Lecce, 25-27 settembre 2003.
Approcci e metodologie della comparazione nella storia contemporanea
Memoria della violenza in America latina: comparazioni transdisciplinari
Benedetta Calandra (Università Roma TRE / LARAL)
Obiettivo di questo intervento è riflettere su alcuni nodi di carattere metodologico -in
particolar modo relativi all’analisi e l’uso delle fonti- emersi nel corso di una ricerca
centrata sui ricordi, il vissuto e le percezioni individuali dei figli delle vittime della più
recente dittatura argentina (1976-1983).A partire dalla metà degli anni novanta questi
giovani, protagonisti indiretti di una delle pagine più oscure della recente storia
nazionale, si sono costituiti nell’associazione H.I.J.O.S. (Hijos por la Identidad y la
Justicia, contra el Olvido y el Silencio, letteralmente “Figli per l’identità e la giustizia,
contro l’oblio e il silenzio”) allo scopo di preservare memoria dei loro padri e, allo
stesso tempo, rivendicare giustizia per le violenze del regime militare.
Il riscatto della memoria di questo eterogeneo insieme di testimoni (si tratta
essenzialmente di figli di desaparecidos,di ex prigionieri politici e di esiliati) si è
rivelata di fatto la prospettiva privilegiata attraverso cui riflettere, in termini più
generali, sul rapporto tra storia e memoria in un paese latinoamericano che, dalla metà
degli anni ottanta del ventesimo secolo, vede al governo rappresentanti civili e
democraticamente eletti.
La violenza di stato è stato un fenomeno diffuso, che ha coinvolto l’intera società civile,
senza particolare distinzioni di classe, appartenenza politica o religiosa (Graziano 1992;
Feitlowitz 1998; Weiss Fagen 1992). Sui suoi retaggi, ciò che alcuni studiosi
definiscono la deuda interna, il “debito interno”(Brysk, 1994), è in corso una
riflessione collettiva, non certo priva di ambiguità e contraddizioni, facilitate da un
discorso pubblico improntato alla “riconciliazione nazionale” e al “voltar pagina”
(Barahona de Brito et al., 2001, Roniger e Sznaider, 1999).
Al momento attuale, la memoria della repressione è un tema intensamente discusso
all’interno delle accademie latinoamericane. Tale dibattito acquisisce particolare
rilevanza nell’ambito di società che, emergendo da lunghi periodi di censura e
repressione politica, sono oggi coinvolte in processi di democratizzazione e
ricostruzione di identità. E’ questo il caso anche di altri paesi che nel corso degli anni
ottanta hanno vissuto transizioni verso governi civili, come il Brasile (1985), il Cile
(1989), l’Uruguay (1985). Diversi esperti di sociologia della memoria affermano che
l’eventuale elaborazione del ricordo viene pertanto vissuta come parziale superamento
del trauma collettivo (Ashplant, Dawson, Roper 2000) nonché come cruciale momento
spartiacque in termini di ricomposizione di identità infrante o atomizzate nel periodo
dell’autoritarismo, tanto a livello nazionale quanto individuale (Groppo-Flier,2001,
Jelin, 2002).
1
Lo studio delle cosiddette “politiche della memoria”, così come del loro aspetto
complementare e opposto, quello della rimozione e delle amnesie collettive, costituisce
pertanto lo scenario privilegiato dove si contestualizza la ricerca specifica sulle
rielaborazioni del ricordo dei figli argentini. L’approccio a questo tema implica
necessariamente un’analisi interdisciplinare, fondata sul contributo di diversi settori del
sapere come l’antropologia, la sociologia, la psicologia, le scienze politiche e la
letteratura.
In questa sede, pertanto, non esporrò i risultati di un percorso di ricerca a carattere
specificamente comparativo, che mette a confronto, ad esempio, due o più realtà
geografiche, sociali e politiche. Intendo invece riflettere su come la ricostruzione di
questo frammento di “storia del tempo presente” sia stata possibile essenzialmente
grazie ad una fertile contaminazione di approcci e prospettive “altre” rispetto a quelle
della storia contemporanea. In particolare credo sia importante sottolineare come a
questo studio -centrato su eventi e processi tanto recenti quanto traumatici- abbia
contribuito l’utilizzazione di fonti e metodi appartenenti a diverse discipline, sia per
quanto si riferisce alla contestualizzazione dell’oggetto di studio, che per
l’individuazione di diverse chiavi di lettura. Questo è vero in particolare relativamente
al binomio memoria-violenza, ripetutamente emerso nel corso di questo lavoro.
Violenza politica ed autoritarismo costituiscono a detta di diversi studiosi un principio
identitario ricorrente in America latina, in particolare a partire dalla seconda metà del
secolo XIX, tanto da essere letto, soprattutto da alcuni letterati, come categoria astorica,
quasi fosse elemento ciclico e ineluttabile del percorso di questo continente1. E’
certamente compito degli storici declinarla e analizzarla nelle sue dinamiche specifiche,
e all’interno di specifici contesti. Nell’analisi della memoria dei figli dei desaparecidos
argentini il piano del ricordo s’intreccia indissolubilmente con quello della violenza.
Ma, a complicare ancor di più il quadro di analisi, occorre prendere atto che, in molti
casi, questa si identifica con una memoria negata dalla censura, cancellata dalla
repressione politica, o rimossa dagli stessi protagonisti.
Nell’esame di processi traumatici e violenti come la dittatura argentina del 1976-83,
bisogna pertanto prendere atto delle difficoltà oggettive che la disciplina storica incontra
lungo il suo percorso: le sue categorie interpretative rischiano di rimanere mute o
inadeguate ad esprimere realtà così complesse. Al fine di una ricerca di attribuzione di
senso, dunque, si ricorre a strumenti “altri”. La metodologia dello storico
contemporaneista deve necessariamente ampliarsi, flettersi, favorire osmosi con altre
discipline per cercare di gettar luce sull’opacità del reale.
Questo lavoro lascia molti più interrogativi aperti che conclusioni certe. Partirei
innanzitutto da una perplessità di fondo essenziale: è possibile fare storia di “eventi
caldi”, da intendersi nella doppia accezione di traumatici da una parte, e recenti
dall’altra? Proverò qui a spiegare come, proprio sulla base di questa difficoltà, un
impianto di carattere transdisciplinare è stato estremamente utile nel conferire senso agli
eventi e ai processi analizzati. Una riflessione di tipo comparativo si identifica dunque,
E’ l’ideal-tipo che incarna l’altra faccia del real maravilloso: il “reale spaventoso”(Dorfman, 1972,
Comte, 1972).
1
2
all’interno del mio percorso di ricerca, con un’analisi relativa alle modalità con cui
l’indagine storica ha essenzialmente attinto a fonti e metodi afferenti ad altri settori del
sapere, in particolare la letteratura, la psicologia e la sociologia della memoria,
traendone suggerimenti e preziose chiavi di lettura.
Un primo dubbio inerente a questa ricerca -che ha facilitato di fatto la contaminazione
disciplinare- verte sulla possibilità di analizzare eventi “caldi” intesi come recenti.
La scarsa distanza temporale di eventi e processi in corso di studio è un nodo su cui
diversi storici contemporaneisti hanno riflettuto, sia all’interno di un confronto specifico
con storici medievisti e modernisti, sia nell’ambito degli stessi “storici della
contemporaneità”. Come ad esempio ci ricorda Giovanni de Luna
Le maggiori perplessità epistemologiche (l’assenza di una adeguata “distanza cronologica” e i “falsi
pregiudizi” che ne derivano) addensatesi sulla storia contemporanea scaturiscono proprio dalla sua stretta
contiguità con questo presente: da un lato, la mancanza del necessario distacco tra lo storico e l’oggetto
della sua analisi, dall’altro l’assenza di una prospettiva sufficientemente solida, perché il processo storico è
ancora in atto, non si è ancora concluso, sono i due elementi tradizionalmente invocati da chi giudica fallaci
e inattendibili le sue ricerche e le sue conclusioni 2
De Luna, d’altronde, muove le proprie riflessioni dalla definizione stessa di “storia
immediata” o “storia del tempo presente”, che raggiunge la sua sintesi più completa a
partire dalle grandi provocazioni intellettuali lanciate da storici come Pierre Nora o
Jacques Le Goff fin dalla metà degli anni settanta, sulla scia di quel profondo
rinnovamento, tanto sul piano metodologico che su quello contenutistico, proposto dalla
scuola delle Annales. Suggestive, a questo proposito, le considerazioni proposte da Nora
nel suo saggio dedicato alla complessità dell’”avvenimento”:
Se è vero che la storia comincia solo quando lo storico pone al passato, in funzione del proprio presente,
domande di cui i contemporanei non potevano avere la minima idea, chi ci potrà dire -già oggi- quale
inquietudine si nasconde dietro questo bisogno di avvenimenti (…) quale avvenimento fondamentale
della nostra civiltà esprime la costruzione di questo vasto sistema di avvenimenti che costituisce
l’attualità? E’ a causa dell’incapacità di dominare l’avvenimento contemporaneo, di cui non si conoscono
le ‘conseguenze’, che i positivisti, per fondare una scienza della storia, condannavano il presente a una
debolezza di principio. Oggi che l’intera storiografia ha conquistato la sua modernità cancellando
l’avvenimento, negandone l’importanza e dissolvendolo, l’avvenimento ritorna e con esso forse la stessa
possibilità di una storia propriamente contemporanea 3.
In assenza di un dibattito storiografico maturo ed articolato sulle dinamiche generali
della dittatura argentina si è vista pertanto la necessità di esplorare le indicazioni di tipo
teorico e metodologico provenienti dalla produzione critica esistente, essenzialmente
centrata su studi politologici e sociologici ed elaborata a partire dalla metà degli anni
ottanta del secolo appena trascorso.
Solo per citare i più noti, gli studi dei politologi Luis Roniger e Mario Sznaider (1999)
su come la dimensione della cittadinanza, negata durante l’autoritarismo, viene
ricostruita e rielaborata nella fase di transizione democratica, così come l’analisi di
2
G. De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, Milano, La Nuova Italia, 2001, p.
5.
3
P. Nora, “Il ritorno dell’avvenimento”, in J. Le Goff, P. Nora (a cura di) Fare storia, Torino, Einaudi, 1981, pp 15657.
3
Alyson Brysk (1994), sull’interazione tra difesa dei diritti umani e movimenti della
società civile. Elizabeth Jelin, studiosa di sociologia della memoria, ha fornito al
dibattito contemporaneo un apporto insostituibile: in una prima fase, attraverso una
specifica riflessione sul ruolo svolto dai movimenti dei familiari degli scomparsi, in
termini di denuncia e provocazione civile, durante la dittatura, e di attivi “custodi di
memoria” dopo la transizione democratica (1995). In una fase successiva, attraverso una
vasta opera di raccolta e sistematizzazione di studi, raccolti nella collana Memoria de la
represión (2002), all’interno della quale ricordiamo, ad esempio, le analisi sulla
costruzione dei “luoghi della memoria”, che così efficacemente evidenziano il nesso tra
utilizzazione dello spazio pubblico e costruzione di identità collettiva (Di Cori, 2000).
Altro nodo di grande complessità -parte rilevante delle sfide inerenti a una ricerca su un
evento “caldo” come la memoria della dittatura argentina- è il grado di distanza e la
necessaria sospensione del giudizio nell’analisi delle testimonianze dei figli delle vittime
della violenza di stato. Testimonianze così definite dal punto di vista politico ed etico, e
scaturite da un contesto in cui il “confine tra il bene e il male” sembra essere apparentemente
chiaro, da non facilitare quel distacco che chi si occupa di ricerca storica dovrebbe assumere
nei confronti del proprio oggetto di studio, al fine di produrre un'analisi rigorosa e aderente a
criteri di scientificità.
Vengono in mente a questo proposito le considerazioni di Annette Viewiorka nel suo saggio
sulla figura del testimone della Shoah, la “metonimia del male assoluto”, il paradigma di
memoria scottante a cui qualsiasi analisi critica di eventi traumatici ha dovuto
necessariamente riferirsi a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo:
Tuttavia, per quanto riguarda la testimonianza della Shoah, egli [lo storico] si trova, come avviene anche per
altri campi “scottanti” della storia più recente, in una situazione che ci sembra inedita. Lo storico non vive sulle
nuvole, ma è immerso nella stessa atmosfera degli altri, si nutre degli stessi giornali, delle stesse trasmissioni
televisive, è toccato dalle stesse polemiche. Certo, si suppone che egli sia capace di una certa ascesi, di avere
uno spirito critico, di mettere tra parentesi le proprie emozioni, le sue antipatie e le sue simpatie, di valutare le
rappresentazioni che nascono da ciò che scrive, e , nei dibattiti pubblici, di dire il vero e il giusto. Eppure, egli si
trova sempre sotto fuoco dell’attualità, in cui i problemi si annodano e si mescolano, in cui, a volte, le poste in
gioco etiche e scientifiche si trovano ad essere intrappolate in quelle politiche 4.
Considerazioni di questo tipo acquisiscono particolare rilevanza nell’ambito di uno
studio che, come ho accennato, si è avvalso delle storie di vita degli stessi protagonisti.
Oggetto privilegiato del lavoro è il vissuto e la soggettività attraverso cui i figli argentini
dell'associazione H.I.J.O.S. ricordano la violenza di stato. Pertanto, si è fatto largo uso
di storie di vita individuali, registrate su nastro. Non per supplire a una documentazione
storica carente o assente -per motivi in parte precedentemente esplicitati, e su cui
comunque tornerò- quanto per riscattare memorie individuali e percezioni soggettive,
filtrate dal racconto.
E a questo proposito è necessario fare un’ulteriore precisazione metodologica.
Non è certo questa la sede per entrare nel dibattito sulle relazioni di carattere a volte
polemico, a volte ancillare, altre integrativo, che le fonti orali hanno avuto rispetto a
quelle scritte, in diversi momenti e contesti del dibattito storiografico contemporaneo 5.
Ma, all’interno di una riflessione complessiva su fonti e metodi afferenti a diverse
A.Wieviorka, L’era del testimone, Milano, Raffaello Cortina editore, 1998, pp. 14-16.
Una sintesi recente ed esaustiva in C. Bermani (a cura di) Introduzione alle fonti orali, Roma, Odradek, 2001-2002.
Cfr. anche D. Dunaway, W. Baum ( a cura di) Oral History. An interdisciplinary anthology New York- Oxford,
Altamira Press, 1996.
4
5
4
discipline, ritengo sia importante accennare alle specificità con cui la testimonianza
orale è stata utilizzata nell’ambito di questa ricerca.
Se è vero infatti -come afferma l’antropologo Pietro Clemente- che la testimonianza
orale si colloca idealmente in un vero e proprio territorio di frontiera tra antropologia,
etnologia, sociologia e storia 6, è tuttavia possibile tracciare i confini, accennare alle
specificità che caratterizzano l’uso di questa metodologia in storia contemporanea,
mutuata dalle scienze sociali e successivamente rielaborata. La narrazione è stata
funzionale alla valorizzazione di singoli individui, e non alla ricerca di modelli astratti o
generalizzanti, obiettivo presunto di discipline come la sociologia o l’antropologia. La
memoria della violenza è stata dunque coniugata al singolare, attraverso memorie
individuali intese come luogo di ricostruzione della molteplicità e del dramma di tanti
singoli percorsi biografici spezzati dalla repressione organizzata.
Le storie di vita si sono configurate attraverso il metodo dell’intervista a schema aperto,
con andamento libero della narrazione, stimolato da alcune domande che, soprattutto
all’inizio, seguivano cronologicamente la vita del testimone: la militanza politica dei
genitori, la prigionia e, per chi ne fosse stato coinvolto, l’esilio e l’eventuale rientro in
Argentina, il significato della partecipazione nell’associazione H.I.J.O.S., le dinamiche
che si sono sviluppate al suo interno, i progetti e le aspettative per il futuro. Le interviste
non hanno seguito questionari prestabiliti, né sono state eccessivamente strutturate in
precedenza, sulla base di ipotesi precise e definite in attesa di verifica. L’interesse
risiedeva piuttosto nel riscatto del vissuto nel suo complesso, per poi estrapolare
successivamente gli elementi maggiormente funzionali alla mia ricerca. La
testimonianza biografica ha richiesto inoltre particolare rigore nell’analisi della
temporalità: il filo della narrazione, infatti, sembrava costantemente rimettere in gioco
la falsa percezione di un tempo lineare, ed ha di fatto stimolato una sfida a discernere il
dato storico da quello più intimo e privato. L’aspetto narrativo, pertanto, si è rivelato
indissolubilmente intrecciato con quello più strettamente conoscitivo, così come il
“dato” e il “fatto” rispetto alla percezione soggettiva.
Per tornare nel merito dei contenuti e dell’approccio generale della ricerca, è opportuno
riprendere ora alcune considerazioni sulla difficoltà di produrre analisi di eventi “caldi”,
questa volta nell’accezione di traumatici o violenti. In particolare, per dirla con Pierre
Nora, è possibile raccontare come si è tentato di “raccogliere in un solo fascio significati
sparsi” relativamente alla violenza coniugata in due specifiche accezioni, molto ricorrenti
nel vissuto dei figli delle vittime della dittatura e filtrate attraverso il ricordo dei padri:
quella della desaparición (la scomparsa forzata) e dei campi di detenzione clandestina.
Le difficoltà incontrate relativamente a queste due realtà hanno gravitato attorno a due
ordini essenziali di problemi.
Un primo problema, strettamente attinente alla difficoltà di reperimento delle fonti,
riguarda specificamente l'assenza o la carenza di prove documentarie. Il cosiddetto
proceso de reorganización nacional operato dai militari argentini negli anni 1976-83 ha
infatti implicato, soprattutto nei primi anni del regime, la censura, la disinformazione o
la mistificazione degli avvenimenti. Nonché, per definizione, la sistematica assenza di
catalogazione e sistematizzazione di eventuali documenti d'archivio che potessero in
qualche modo testimoniare le dinamiche con cui operava la repressione politica.
P. Clemente “Autobiografie al magnetofono. Una introduzione”, in: Io so’ nata a Santa Lucia,. Il racconto
autobiografico di una donna toscana tra mondo contadino e società d’oggi, Castelfiorentino, Società storica della
Veldelsa, 1988. Interessanti a questo proposito, e in gran parte ancora attuali, le riflessioni nello speciale numero
monografico di Quaderni storici “Oral History: tra antropologia e storia”, Maggio - Agosto 1977.
6
5
Nel caso dei campi di detenzione clandestina, ad esempio, i casi di ritrovamento dei
cosiddetti “archivi della repressione” sono ancora rari. Fa eccezione el archivo de la
represión a La Plata, scoperto per un caso fortuito, da cui possiamo evincere una serie
di dati sulle modalità di gestione di questi centri in base agli effetti personali dei
detenuti, nonché specifiche schede informative compilate dagli stessi militari.
E ancor più difficile è documentare la realtà delle desapariciones, veri e propri vuoti di
senso, buchi neri, nella loro essenza più profonda. Riprendendo le considerazioni di
Maria Ferretti, relative a tutt'altro contesto -la repressione e le “sparizioni” del periodo
stalinista- ma non per questo meno preziose al fine della nostra analisi:
Costretta al silenzio la società sovietica, sconvolta dal Grande terrore, perde anche il diritto alla memoria.
La distruzione sistematica della memoria invade l’intimità della vita privata. Gli arrestati vengono portati
via di notte, le loro case sequestrate,devastati archivi e album di famiglia. Ana Michailovna Larina,
moglie del ‘traditore della patria’ Bucharin, era riuscita a tenere con sé, nascondendola, la fotografia del
figlioletto Jurj […..] la letteratura ci ha tramandato gli effetti devastanti di questa amnesia imposta:
uomini scomparsi nella notte, code infinite di donne davanti ai kafkiani sportelli della macchina
giudiziaria alla ricerca disperata di una notizia, un segno. Arroganza di funzionari, sportelli che sbattono
[….] Un baratro oscuro inghiotte mariti, figli, congiunti, distruggendo affetti senza lasciare traccia 7 .
E’ questa una dimensione d’indagine paradossale: la ricerca dell’assenza. Si chiede a
questo proposito la Wieviorka:
In quale modo scrivere la storia quando un mondo è scomparso, quando non esiste alcuna possibilità di
stabilire una continuità tra il mondo di prima e quello abitato dallo storico? Ogni storia è contemporanea,
interroga il passato a partire dal presente. Ma quando il presente non esiste più, quali sono le domande
che lo storico può porre al passato? 8
Una ricerca che in parte verte su “i silenzi della storia” non è dunque esente dalla
paradossale sfida, così efficacemente sintetizzata da Le Goff, di lavorare su “gli oblii, i
vuoti, gli spazi bianchi della storia. Bisogna fare l’inventario degli archivi del silenzio,
e fare la storia a partire dai documenti e dall'assenza di documenti9“.
Un secondo ordine di problemi, che prescinde dalle difficoltà oggettive di reperimento
della documentazione, riguarda invece le possibilità espressive del doloroso vissuto dei
padri. Se volessimo ridurre una questione così complessa in un’unica, semplice
domanda potremmo chiederci: come si esprimono l'orrore e la violenza?
In contesti di trauma collettivo a volte la storia si è rivelata assente, muta o inadeguata a
raccontare determinati eventi. La dimensione di sospensione di categorie normalmente
pertinenti alla razionalità umana è stata invece resa con grande densità dalla letteratura,
essenzialmente sotto forma di romanzo, racconto, o storia di vita.
Per tornare all'esempio dei campi di detenzione clandestina ricordiamo che parte del
senso, dei nessi e delle dinamiche inerenti a questo mondo sono state ricostruite grazie
ad uno specifico filone di letteratura di denuncia, fiorito nei primi anni ottanta -dunque
contemporaneamente alla dittatura- grazie all'opera di giornalisti e letterati come Miguel
Bonasso e Rodolfo Walsh. La dimensione infernale della realtà di “vita tra la morte” di
uno dei centri di detenzione più tristemente famosi, la Escuela Mecánica de la ArmadaESMA, viene, ad esempio, efficacemente descritta in Recuerdo de la muerte di Bonasso.
7
M.Ferretti, La memoria mutilata. La Russia ricorda, Milano, Corbaccio, 1993, pp.15-16.
A. Wieviorka, L’era del testimone, Milano, Raffaello Cortina editore, 1998, p.68.
9
J. Le Goff, (a cura di) “Storia”, Enciclopedia Einaudi, Torino, Vol. 13, 1981, p.629.
8
6
E’ la lucida e allo stesso tempo allucinata descrizione di alcune prigioniere che, sotto
forma di racconto autobiografico, narrano la paura e l’orrore, alludendo -pur senza mai
menzionarla narrarla esplicitamente- alla pratica della tortura10. Quest’opera rappresenta
di fatto un’interessante commistione di generi, poiché l’autore intreccia nella trama
dello stesso racconto autobiografico, come in filigrana, precisazioni di carattere storico
che intervengono a chiarire eventi specifici 11.
E' importante sottolineare che il racconto di questa livida quotidianità viene nella
grande maggioranza dei casi affidato a testimoni che di persona hanno vissuto questa
esperienza. Così ad esempio l’opera di Pilar Calveiro (1998), che partendo dal racconto
autobiografico -narrato in terza persona, quasi a conferire un apparente distaccopropone con Poder y desaparición una lucida analisi delle diverse forme di
rappresentazione dell'universo concentrazionario elaborate dalla società argentina.
Riflette dunque sulla percezione, il giudizio o l'eventuale rimozione che la società civile
esprime nei confronti di queste istituzioni; analizza inoltre le diverse forme di
interiorizzazione di questa esperienza, l’atteggiamento di critica, consenso, apatia,
disinteresse, paura o passività che emerge a seconda dei momenti.
La fonte letteraria è riuscita pertanto, nell’ambito di questa ricerca, a gettar luce, a
costruire senso e nessi laddove alla storia questi sembrano negati, o quantomeno
temporaneamente incomprensibili o indecifrabili.
Forse proprio perché, come afferma De Luna, l’approccio letterario “sa cogliere e
risolvere più intuitivamente quello che altre elaborazioni di pensiero sono più lente a
metabolizzare e a formulare compiutamente “. Dunque, in attesa di un dibattito
storiografico maturo ed articolato, questa disciplina è stata in grado di cogliere il
significato e fornire una prima elaborazione dei processi in questione.
E’ questo un fenomeno che registra diversi precedenti. Riprendo, ancora una volta, le
riflessioni di Maria Ferretti in La memoria mutilata
Nel momento in cui gli storici restano silenziosi e si ammette ufficialmente che non esistono studi capaci
di rispondere alle questioni più inquietanti (… ) è la letteratura ad assumersi il compito di ricostituire il
passato, a farsi memoria. (…). Spiega Natalija Ivanova: “ Se in questi ultimi decenni la scienza storica
non ha potuto dare alla società la possibilità di capire se stessa e il suo passato, se fino a oggi quasi non si
pubblicano documenti, se fino a oggi c’è una fame acutissima di lavori di ricerca sulla storia obiettiva del
Partito , dello stato, se fino a oggi si tengono sotto chiave gli archivi della guerra civile, i dati sulla
collettivizzazione, sui lager, sulle prigioni e le deportazioni, se fino a oggi il popolo non conosce
nemmeno le cifre dei morti negli anni del terrore , allora la letteratura è costretta ad assumersi la funzione
extraletteraria di ricerca e autocoscienza storica 12 .
Si ricorre dunque alla letteratura laddove la storia è carente, sottoposta a censura, o
“semplicemente” incapace di fornire interpretazioni, modelli o descrizioni esaustive
della realtà. Il romanzo, il racconto, l’autobiografia riempiono i vuoti lasciati dalle
rappresentazioni storiografiche.
10
Molto interessanti a questo proposito, anche se relativi al contesto cileno, alcuni studi di psicologia clinica, in
particolare vedi E. Lira, E. Weinstein, Psicoterapia y represión política, Città del Messico, Siglo XXI, 1984.
11
In Recuerdo de la muerte le storie di vita delle ex detenute sono spesso arricchite da note esplicative
che spiegano in maniera precisa e puntuale la dinamiche di contesto di determinati avvenimenti
(soprattutto per quanto riguarda la cattura di esponenti della guerriglia) , riportando il lettore da una
dimensione sofferente e allucinata ad un fredda oggettività.
12
M. Ferretti, La memoria mutilata, op. cit, pp.112-113.
7
E’ questa l’ipotesi centrale di Fernando Reati, che analizza il corpus di produzione
letteraria elaborata in Argentina tra il 1975 e il 1985 13.
Al centro di questo studio è la domanda che ci siamo posti precedentemente, suggerita
già dal titolo, Nombrar lo innombrable: com’è possibile rappresentare la violenza,
esprimere efficacemente l’orrore e il dolore? Come possono essere narrate esperienze
che esulano dagli archetipi tradizionali dell’esperienza umana, come la desaparición, la
tortura, i campi di detenzione clandestina? La stessa arte mimetica si trova in difficoltà,
e dunque la finzione interviene laddove la realtà non rientra più in categorie
interpretative razionali o lineari, ma anzi è dominata dal parossismo: non è un caso
infatti, ci rammenta, che il tema dell’irrazionale, della schizofrenia, del doppio,
dominano il panorama della produzione artistica a Buenos Aires nei primi anni ottanta.
Una prospettiva comparata tra storia e romanzo costituisce pertanto una preziosa chiave
di lettura che arricchisce di nuove sfumature la rappresentazione della violenza politica.
La letteratura s’insinua dunque “nelle frammentarie zone opache” della storia, ci
consente una parziale approssimazione alla complessità del reale.
Simili considerazioni possono essere ovviamente dedotte da analisi relative al contesto
europeo. Sostiene ad esempio De Luna, che riflettendo sui filoni narrativi della
Resistenza, ricorda in particolare l’opera di Beppe Fenoglio:
Tutta la complessità del reale, ostinatamente negatasi alla conoscenza degli storici, sembra invece offrirsi
nella maniera più dispiegata all’indagine letteraria, lasciando affiorare una molteplicità di percorsi
esistenziali difficilmente riconducibili a un’uniformità segnata dalle grandi sintesi politiche e
ideologiche. Anche in romanzi come Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino ci sono grandi intuizioni dal
punto di vista storiografico 14.
Considerazioni di questo tipo potrebbero stimolare di fatto una più ampia riflessione di
carattere epistemologico sulla ricerca storica in termini complessivi. Reati, nella sua
analisi sulla relazione tra fatto storico e forme di finzione adeguate alla sua
rappresentazione, che definisce un complesso insieme di “prestiti e resistenze
reciproche”, esprime una forma di scetticismo sulle possibilità per la storia di accesso alla
conoscenza di fenomeni come la violenza della dittatura militare. In particolare,
considera di difficile espressione una delle sue più immediate conseguenze: la
frantumazione di identità, tanto individuale quanto collettiva. Perché, come è noto, la
repressione in Argentina ha colpito trasversalmente, senza particolari distinzioni di
classe, sesso, appartenenza politica o religiosa, l'intera società civile: una sola muerte
numerosa, come ci rammenta la scrittrice Nora Strejlevic (1999).
Il binomio storia-letteratura, così frequente, poliedrico e ricco di frutti in questa specifica
ricerca, ha confermato la necessità per la storia di attingere a fonti e metodi afferenti a
discipline “altre”, ma ha anche implicato una riflessione sulla “storia come narrazione”.
Non a caso studiosi come de Luna contemplano la figura dello “storico-narratore” come
profilo dalle grandi potenzialità: un intellettuale particolarmente attento, nella ricerca e
produzione storica, ai canoni della narratività:
[veniamo ora ] alle questioni epistemologiche che si addensano intorno alla storia come narrazione.
Partiamo da quella configurazione del binomio storia-letteratura in cui lo storico usa la narrativa come
fonte, assorbendola quindi d’imperio nel proprio campo disciplinare, indagandola all’interno delle proprie
categorie metodologiche, sollecitandola con scrupolo filologico, con gli abituali procedimenti di critica
interna e di critica esterna, e riconfermando sostanzialmente le proprie certezze disciplinari. Questo
13
14
F. Reati, Nombrar lo innombrable. Violencia política y novela argentina Buenos Aires, Editorial Legasa, 1992.
G. De Luna, La passione e la ragione, op. cit, p.68.
8
approccio è comunque salutare e la frequentazione di opere letterarie fuori dai corpus di fonti tradizionali
ha dato risultati importanti sul piano delle ricerche di storia contemporanea. Spesso, infatti, quelle fonti
sono in grado di restituire alla storia straordinari squarci di realtà 15.
La ricerca sulla memoria della violenza della dittatura argentina ha quindi stimolato un
ripensamento sulla storia in termini di narrazione, nonché sulle modalità attraverso le
quali “narrare la storia” (Topolski 1997). Ci ricorda infatti Paul Ricoeur che “un evento
non è solo quello che succede, è anche quel che può essere raccontato”. Portando alle
estreme conseguenze questa affermazione, affiorano alla mente le affermazioni di Carlo
Ginzburg nel suo Rapporti di forza. Storia, retorica, prova laddove sostiene che
La storiografia, come la retorica, si propone unicamente di convincere. Il suo fine è l’efficacia, non la
verità. Non diversamente da un romanzo, un’opera storiografica costruisce un mondo testuale autonomo
che non ha alcun rapporto dimostrabile con le realtà extratestuali a cui si riferisce 16
Questo processo non si identifica necessariamente col mero atto descrittivo, né
necessariamente porta al relativismo assoluto, che vedrebbe la narrazione storica scissa
dalla prova documentaria. La ricostruzione dell'evento deve rimanere, certamente,
ancorata a saldi paradigmi conoscitivi; implica infatti, e in ogni caso, una responsabilità
da parte di chi fa storia, un rigore nella scelta di cosa narrare, e in quale ordine narrare.
Poiché è ovviamente dopo aver scelto, che si può raccontare. Tuttavia, pur mantenendo
il rigore implicito ad ogni ricerca storica, l’eterogeneità di fonti e metodi utilizzati per la
ricostruzione della memoria dei figli argentini ha ribadito la costante necessità di una di
una storia “plurale”, “polisemica”, particolarmente attenta ai canoni della narratività e in
grado di accogliere costantemente suggestioni da ambiti teorici e metodologici
diversificati.
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16
G. De Luna, La passione e la ragione. .. op cit, p. 53.
C. Ginzburg, Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, Milano, Feltrinelli, 2000, pp. 52 e segg.
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