BREVE STORIA DEL TEATRO IN MUSICA Prima di documentarsi sulla storia del melodramma, è importante conoscere la musica dei Greci i quali precedettero ogni altra civiltà nell’intendere la musica come mezzo d’espressione e linguaggio d’arte. Scoperto che la musica poteva non solo modificare e dominare gli stati d’animo, ma agire anche sulle facoltà volitive, i Greci stabilirono che l’azione della musica poteva essere difinita di tre tipi: energico-snervante-estasiante. Non si possiede neppure una nota di ciò che è stato composto prima del III secolo a.C., ma l’arte figurativa testimonia un’intensa attività musicale già nel XIX - XVIII secolo a. C. La trasmissione fu essenzialmente orale. Musica e poesia furono strettamente unite in Grecia; i Greci mettevano in musica passi di tragedie in trimetri giambici, metro che nel teatro classico era affidato al parlato; nella tragedia le parti cantate si alternavano al dialogo parlato; il coro nel teatro greco, svolgeva la funzione dell’orchestra. Il legame tra musica-danza-poesia era notevole: il canto condizionava l’esecuzione a livello testuale, ritmico e melodico; ogni composizione veniva ripetuta più volte, ma i suoi elementi - parola, musica e ritmo - serbavano sempre una conformità. Il ritmo di esecuzione musicale seguiva gli stessi principi metrici della poesia: - ritmi dispari: trocheo (lunga breve), giambo (breve lunga); - ritmi pari: dattilo (lunga breve breve) anapesto(breve breve lunga) spondeo(lunga lunga). La metrica greca era fondata sulla quantità delle sillabe e non sulla disposizione degli accenti tonici (come era la metrica delle lingue romanze). I Greci ignoravano le nozioni dell’armonia; la musica si esprimeva attraverso la melodia con un accompagnamento che seguiva lo sviluppo della linea del canto all’unisono o all’ottava. Dopo il IV secolo a.C. alcuni canti furono accompagnati ad intervallo di quarta e quinta. La struttura del verso era determinata dalla successione di sillabe lunghe e brevi secondo un ordine stabilito. Il rapporto doppio tra la durata della sillaba lunga e della sillaba breve fu osservato scrupolosamente nella esecuzione del canto fino alla riforma musicale di Timoteo; in seguito i compositori trattarono con molta libertà i valori degli elementi metrici, prolungando talora fino a cinque tempi la durata della sillaba lunga. La prima forma che precede la tragedia greca è il ditirambo, un racconto cantato di carattere religioso, dove un sacerdote narrava le vicende del dio Dioniso avvenute sulla terra dopo aver sacrificato un caprone sull'altare in suo onore; il ruolo del coro era di commentare con canti e danze il racconto fatto da un corifeo e cercava di rappresentare i sentimenti suscitati. Evolvendosi, il racconto perse ogni rapporto con il dio Dioniso e il suo culto, e divenne un racconto arricchito d’attori, danze, monologhi, dialoghi e cori. Di qui alla tragedia il passo fu breve. Il coro ebbe sempre una grande importanza perché era quello che permetteva la fusione tra musica e poesia; la posizione del coro era lontano dalla scena come l’orchestra nel melodramma. Il teatro tragico ebbe le sue prime manifestazioni col “carro di Tespi”, che percorreva le provincie greche offrendo spettacoli all’aperto. Questi si perfezionarono nella tragedia con Eschilo, Sofocle ed Euripide ove il coro, dapprima preponderante, andò perdendo la sua dominanza, pur conservando una funzione importante. Frinicio (V-IV secolo) introdusse il doppio coro, i personaggi femminili - affidati sempre agli uomini -, e la declamazione con accompagnamento strumentale. I Greci avevano creato una loro teoria musicale, composta dai seguenti elementi: - NOMOS: legge o norma, designa una composizione rigorosamente definita nella struttura e subordinata a precise prescrizioni; poteva essere per voce con accompagnamento di aulòs o cetra, con moduli ritmici legati alle forme poetiche; - HARMONIA: indica un complesso di suoni e di caratteristiche che creavano un discorso musicale, la disposizione degli intervalli variava e da questa variazione si otteneva l’armonia dorica (austero-virile) frigia (pacifica-persuasiva) lidia (conviviale-dolce). Platone e Aristotele attribuirono ad alcune armonie un valore morale e pedagogico. - TETRACORDO: successione di quattro suoni discendenti, (due toni e mezzo) fissi i suoni esterni, mobili quelli interni, l’unione di due tetracordi creava una harmonia, in base alla posizione che poteva avere il semitono all’interno del tetracordo l’armonia diventava lidia, frigia o dorica. Gli strumenti musicali impiegati erano prevalentemente i seguenti: - LIRA: si componeva di una cassa risonanza in legno ove venivano tese delle corde in origine tre corde poi arrivò a ben 18 corde e veniva portata a spalla. - AULOS: era uno strumento a fiato fatto con delle canne e a volte con doppia imboccatura. Le origini del teatro d’opera in Italia sono riconducibili a due date e a due luoghi: - il 1600 a Firenze con la rappresentazione dell’Euridice di Ottavio Rinuccini (primo dramma interamente cantato di cui esiste anche la partitura). - il 1637 a Venezia con l'istituzione dei teatri pubblici su base imprenditoriali, che procurarono al teatro d’opera la sua stabilità economica ed artistica. Nel Seicento, a causa delle particolari situazioni economiche e politiche oltre che artistiche, si verificarono le condizioni favorevoli alla nascita del melodramma che fu impiegato spesso come uno strumento di persuasione e mobilitazione ideologica. Le forme più rilevanti erano sostanzialmente due: l’opera di corte, destinata ad un pubblico selezionato ed invitato, che era costossissima e suscitava grande ammirazione da parte degli spettatori presenti all’evento; l’opera impresariale, destinata ad un pubblico vario, che aveva un costo modesto e che veniva ripetuta più volte. Si distinguevano tre tipi di opere: - opere vistose, stimabili fatte nei palazzi dei principi; - opere rappresentate da uomini colti o gentiluomini; - opere messe in scena da cantanti, musicisti organizzati in compagnie teatrali con il solo scopo di lucro e con una ostentata esibizione di donne canterine. Il modello imprenditoriale di Venezia della gestione dei teatri permise una permanenza lunga del teatro d’opera; i padroni del teatro a Venezia furono le grandi famiglie che investirono e acquistarono edifici teatrali, affidando ad un impresario la gestione della stagione teatrale e del denaro. Due antecedenti del teatro in musica, nel XVI secolo, sono gli intermedi e i balletti di corte. Gli intermedi erano forme di intrattenimento teatrale d’origine italiana, basati sulla musica, il canto e il ballo; si eseguivano tra un atto e l’altro di una tragedia. Ebbero grande consenso da parte del pubblico tanto che divennero la parte più gradita della tragedia, diventando via via una forma con una propria autonomia da eseguire durante feste, cerimonie o celebrazioni di nozze. I balletti di corte erano una successione di danze legate tra loro da un filo narrativo, accompagnate da strumenti e canti. In Francia ebbero grande successo. I primi melodrammi erano composti da: - una recitazione intonata (recitar cantando) con brevi pezzi melodici; - il soggetto utilizzato era mitologico; - i cori erano pochi ed avevano la funzione di narratore; - l’orchestra era povera e composta da cembali, lire, liuti e viole. I primi melodrammi quindi non furono altro che semplici declamazioni del testo, ma si diffusero in tutte le città e furono ovunque accolti con entusiasmo. La situazione verso la metà del Seicento in Italia era la seguente. A Firenze si impose il “recitar cantando” con la “camerata fiorentina”; presso la casa del conte Giovanni Bardi un gruppo di letterati, poeti e musicisti aveva come scopo di far rivivere lo spirito dell’antica tragedia greca ed ideare una forma in cui musica e testo potessero fondersi meglio, contrapponendo la monodia alla polifonia. Il loro “recitar cantando” era basato sulla monodia con accompagnamento strumentale. A Venezia con la costruzione di ben 16 teatri e 358 rappresentazioni, i teatri da privati diventano pubblici e a pagamento; il pubblico pagante era sempre più esigente: per questo l’opera veneziana si caratterizzò per soddisfare il pubblico, differenziandosi dall’opera di Firenze in basa a: - un apparato scenico ricco ed imponente realizzato ad opera di valenti architetti (nascita scenotecnica); - moltissimi virtuosismi canori da parte dei cantanti (epoca dei castrati); - l’introduzione di soggetti storici oltre ai mitologici e religiosi; - la perdita d’importanza del coro; - una maggiore cura dell’aria a livello melodico, lasciando ai recitativi il compito di esprimere il dramma. A Roma il melodramma si diffuse, sotto l’influenza del “recitar cantando”, con una scelta di soggetti spirituali e religiosi, in forma di dramma religioso, questo entusiasmò il clero e il mecenate Barberini che fondò un teatro. Nei melodrammi si cominciano a vedere anche dei personaggi comici precedendo la nascita dell’opera buffa di Napoli. A Napoli verso la seconda metà del Seicento si rappresentano opere veneziane adattate al gusto locale con personaggi comici che cantavano in napoletano o calabrese, il coro viene quasi eliminato e gli strumenti musicali ridotti, vi fu una vera e propria divisione dell’opera in: - opera seria, raccontava vicende solenni eroiche con libretti scritti da letterati, eseguita in teatri di corte con orchestre nutrite di strumenti e cantanti celebri, dove trionfava il virtuosismo canoro in modo eccessivo; - opera buffa, raccontava vicende che riguardavano la vita quotidiana, si parlava in dialetto, eseguita in teatri piccoli con orchestra ridotta, con i personaggi che agivano e poco riflettevano, organizzata in modo più libera di forme e contenuto, con alternanza di arie, recitativi, duetti, terzetti, pezzi concertati e finali elaborati; nel settecento mentre l’opera seria decadeva per colpa dell’esuberanza dei cantanti con i loro virtuosismi canori l’opera buffa trionfa per tutta l'Europa e diviene il modello per la futura opera romantica. L’opera italiana predominò per tutta Europa nel Settecento e nell’Ottocento, tanto che, musicisti, librettisti, cantanti e scenografi venivano chiamati a lavorare per vari aristocratici europei amanti del melodramma italiano che conservava le linee direttrici dell’opera buffa napoletana, nonostante la crisi dell’opera seria e delle riforme attuate da Gluck. Gioacchino Rossini suggellò il melodramma del Settecento; le sue opere sia serie che buffe si caratterizzarono dalla ripulitura dei virtuosismi dei cantanti e dall’impiego di una strumentazione più varia e dalla scelta di una musica spigliata, vivace, con ritmi giocosi e spensierati. Con Donizetti e Bellini invece nacque il vero teatro musicale romantico: il lieto fine cedette il posto al finale tragico, la scrittura strumentale divenne più curata e raffinata, si fece un largo uso di melodie di gusto popolare, i soggetti e personaggi divennero moderni e molte volte richiamarono la cronaca dell’epoca (l’amore, la patria, l’innocenza, il bene-male, gli ideali ecc); le vicende narrate furono passionali, conflittuali e drammatiche per tutto il dramma. Se Rossini suggellò il melodramma del Settecento, Verdi dominò per tutto l’Ottocento. Le sue prime opere riportarono la concezione di un dramma che doveva dominare durante lo svolgimento dell’opera; le successive si arricchirono di melodie duttili con un linguaggio armonico ricco e un’orchestrazione più elaborata e completa; il linguaggio musicale di Verdi si rinnova in base alle polemiche nate dopo le rappresentazione delle opere di Wagner in Italia,che crearono polemiche ed opposizioni al teatro verdiano. Verso la fine dell’Ottocento predomina l’opera verista: Puccini fu un rappresentante di queste opere che raccontano drammi famigliari, ideali della borghesia, vicende di vita quotidiana con passioni e drammi comuni. Ma la vera rivoluzione del teatro in musica e quella che attua Wagner in Germania, rivoluzionando il linguaggio musicale, portando l’armonia tonale agli estremi, utilizzando svariate combinazioni timbriche e disfando ogni forma e struttura esistente. La forma di opera musicale che dominò in Germania solo verso la metà del Settecento fu il SINGSPIEL su modello dell’opera comique francese di forma drammatica, dove si alternavano dialoghi, recitanti e brani cantati con accompagnamento strumentale e si passò nell’Ottocento all’opera romantica tedesca di Wagner. Wagner voleva dare alla Germania un teatro dove la rappresentazione teatrale fosse totale, dove tutte le arti venivano riunite; per questo si ispirò alla storia e ai miti della Germania. Tre sono le caratteristiche delle sue opere: - non è mai assoluto il predominio della voce, soprattutto a scapito dell’elemento sinfonico; - la melodia è continua, mai strofica, la melodia segue il dialogo, non esiste più il recitativo e l’aria; - vengono introdotti i leit - motive, brevi temi conduttori che circolano durante lo svolgimento dell’opera ,per evocare, ricordare sentimenti, fatti, personaggi ed altro. L’influsso del teatro wagneriano fu profondo e procurò polemiche in Italia e Francia. Qui, dopo il successo del Ballet de Cour, verso la metà del Seicento prende vita la commédie-ballet dove brani danzati e pezzi cantati sono inseriti in dialoghi parlati. Lully crea la tragédie lyrique dove la musica aderisce al testo e la segue sillabicamente nei recitativi ma anche nelle arie, (pochi virtuosismi canori) il ruolo importante ritorna al coro e alle danze. Dopo il 1830 si afferma il Grand-opéra prediletto dai francesi con una grandiosità scenica, la sua fusione con l’opera - comiqué crea nella metà dell’Ottocento il Dramma lirico. LA DODECAFONIA Il melodramma dominò fino alla fine dell’Ottocento e così anche il sistema tonale per la composizione della musica. Uno dei primi a mettere in discussione la tonalità e il sistema di composizione usato fu Wagner che, nelle sue composizioni, con le dissonanze e l’uso del cromatismo estremo comincia a mettere in crisi il sistema armonico - tonale, permettendo il passaggio da un sistema tonale all’atonalità e successivamente alla dodecafonia. La situazione nei primi trent’anni del Novecento era la seguente: Puccini con l’opera verista; Strauss e Debussy - due pilastri del sistema tonale che segnano la fine di esso e l’inizio della cosiddetta “musica moderna” -. La scuola di Vienna, dove l’atonalità era di casa, venne superata; così nacque, grazie a Arnold Schonberg (1874-1951), la tecnica della composizione dodecafonica, un termine non accettato da Schonberg che usò la definizione di <<metodo di composizione con dodici note che sono in relazione soltanto fra di loro>>; la dodecafonia fu chiamata anche il “comunismo in musica”: questa definizione si deve al fatto che non esisteva più una gerarchia dei suoni, ma questi venivano tutti considerati uguali: nessuno poteva essere ripetuto se non venivano prima impiegati tutti gli altri 11. La base compositiva era la serie (una successione di suoni che contiene tutte le 12 note della scala cromatica); questa serie, in cui i suoni potevano essere impiegati sia in modo verticale sia in modo orizzontale, doveva essere eseguita per tutta la composizione secondo la successione fissata. La serie poteva avere tre aspetti: a) la serie originale poteva essere invertita (a specchio); b) la serie poteva essere riproposta, ma partendo dall’ultimo suono e arrivando al primo (retrograda); c) la serie si poteva proporre all’indietro e capovolta (invertita e retrogada). La prima composizione dodecafonica di Schonberg fu il Valzer, ultimo dei 5 pezzi per pianoforte op. 23. Il sistema dodecafonico fu adottato da molti musicisti vicini alla scuola di Vienna. In Italia fu Luigi Dallapiccola (1904-1975) ad introdurla per primo; seguirono altri seguaci ed allievi di Schonberg. Si diffuse in modo straordinario dopo il 1945. Kurt Weill (1900-1950), compositore tedesco che aderì alla dodecafonia, collaborò con B. Brecht; la sua musica si trovò in perfetta sintonia con i testi aggressivi ed amari del drammaturgo; da questa intensa collaborazione nacque un primo lavoro teatrale intitolato Mahagonny (1927) e successivamente L’opera dei tre soldi (1928), opera che suscitò dapprima un grande scandalo, ma che poi divenne popolare in tutta la Germania. Con il diffondersi del nazismo, l’opera fu perseguitata per il suo significato politico; proprio per problematiche politiche, Weill, come Brecht, lasciò la Germania e si rifugiò negli Stati Uniti. La sua musica, che assunse i moduli del jazz, del café-concert, fu caratterizzata da ritmi ballabili, da uno stile popolare orecchiabile ed accessibile a tutti. Per quanto riguarda l’opera, nel Novecento in Italia si oscillò tra l’opera di Wagner e il grand-operà francese; nacque intorno al 1910 l’opera da camera, un’opera breve con organico strumentale ridotto, apparato scenico povero e pochi personaggi: era un nuovo modo di concepire il teatro in musica. Il compositore del Novecento si poneva davanti all’opera come ad un esperimento individuale. Con queste innovazioni, il melodramma venne a perdere la sua predominanza dopo ben due secoli. LE REGOLE ARMONICHE DEL SISTEMA TONALE Il sistema tonale si basa su sette suoni; la successione dei suoni deve avvenire sempre in modo uguale se si vuole creare una scala-tonalità-accordo (due toni - un semitono - tre toni - un semitono): questa successione si chiama diatonica. I suoni dominanti e prevalenti sono: tonica (I° suono) dà il nome alla tonalità – scala - accordo e comunica una sensazione di riposo; modale (III° suono) permette di rendere maggiore (distanza due toni) o minore (un tono un semitono) la tonalità – scala - accordo; dominante (V° suono), che domina la tonalità – scala - accordo con un’attrazione verso la tonica, é un suono dinamico; sensibile (VII° suono) è dinamico e deve sempre cadere sulla tonica per dare la sensazione di fine, conclusione o risoluzione. Esiste nel sistema tonale una vera gerarchia tra questi suoni che sono fondamentali per creare un’armonia e un senso musicale al quale siamo abituati; altri suoni, che gravitano intorno a questi, non hanno importanza, ma vengono utilizzati per passare dalla tonica alla dominante o dalla sensibile alla tonica e così via. In conclusione si può affermare che l’armonia delle composizioni realizzate tra il Seicento e la fine dell’Ottocento era basata sul gioco attrattivo tra tonica dominante sensibile tonica, e su due modi sonori: il maggiore e minore. Appunti di Laura Lucchetta Bibliografia essenziale: Riccardo Allorto, Vera D’Agostino Schnirlin, La moderna didattica dell’educazione musicale in Europa, Ricordi, Milano, 1991 AA. VV., Enciclopedia della musica, Milano, Garzanti Massimo Mila, Breve storia della musica, Torino, Enaudi, 1977 Luigi Rossi, Teoria musicale, Carrara 1977