Nota relativa allo studio di:
E. Gasparini, Il matriarcato slavo: antropologia culturale dei Protoslavi, Firenze, Firenze University
press, 2010 (rist. dell’ediz. Firenze, Sansoni, 1973 preceduta da un’introduzione di Remo Faccani e
seguita dalla ristampa di un’altra opera di EG, Ethnologica: Finni e Slavi, Venezia 1958.
N.B.: d’ora in poi RF = Remo Faccani, EG = Evel Gasparini, ru. = russo, pol. = polacco, c. = ceco.
1. Durante il corso è stata proposta la lettura di due parti dell’opera: l’introduzione di RF e, come
saggio del metodo e della scrittura di EG, i capp. 1-4 della prima parte, dedicati alle fasi economiche
più arcaiche, economia di caccia-raccolta e agricoltura “femminile”, basata sull’uso della zappa e del
falcetto e sulle colture orticole.
Il metodo di Gasparini prevede una documentazione sempre molto attenta sulle tecniche agricole e sui
vari aspetti della cultura materiale, visti anche nelle loro implicazioni per l’assetto generale della
società, esplorate anche sulla base di una sterminata letteratura scientifica relativa all’antropologia
(nessuno slavista italiano ha mai raggiunto una padronanza di questo campo anche lontanamente
paragonabile a quella di EG). Tutto ciò fa sì che a volte risultino di difficile lettura pagine come la 27
del Matr. sl., dense di riferimenti a campi non certo familiari a chi si occupa di slavistica. Per facilitare
la lettura di questi punti più tecnici fornisco qui alcune delucidazioni.
Principali piante cui fa riferimento EG. Occorre anzitutto distinguere tra i cereali in senso stretto,
appartenenti alla famiglia delle Graminacee o Pooidee, e altre piante affini (pseudo-cereali). Al gruppo
dei cereali in senso stretto appartengono numerose piante il cui frutto (in senso botanico) si presta ad
essere sfruttato come granulato tipo kaša oppure macinato per ricavarne farina. Appartengono a
questo gruppo, tra le piante extra-europee, il mais (poi introdotto in Europa dopo le scoperte
geografiche), la quinoa (Ande) e il sorgo (Africa); di origine asiatica anche il riso poi largamente
europeizzato. Tra quelle europee (o almeno acclimatate assai per tempo in Europa) che qui ci
interessano ricordiamo anzitutto il miglio, spesso menzionato anche nel folklore slavo, l’orzo, l’avena e
la segale (pure importantissime in ambito slavo), e tutte le varie specie del genere Triticum, il più
arcaico farro e poi i vari tipi di frumento come il grano duro (T. turgidum) e il grano tenero (T.
aestivum).
Fagopyrum esculentum: fiore e frutto
L’agricoltura più arcaica cui EG dà ampio spazio nella sua trattazione vede però un ruolo molto
importante di uno pseudo-cereale che è il cosiddetto grano saraceno del genere Fagopyrum
(Fagopyrum esculentum, ru. grečicha, pol. gryka, c. pohanka). Appartiene alla famiglia, amplissima e
articolata in numerose sottofamiglie, delle Poligonacee (Polygonaceae). Come tale (P. = “piante dal
frutto poligonale, angoloso”), ha frutti triangolari molto diversi da un chicco di grano, che danno
comunque una buona farina scura (in Italia se ne ricavano anche paste alimentari come i pizzòccheri
valtellinesi).
Nell’agricoltura prevalentemente orticola cui fa riferimento EG hanno molta importanza anche altre
Poligonacee, dalle quali non si ricava nessun tipo di granulato o farina. Qui ricordiamo il rabarbaro
(Rheum officinale: ru. revén’, c. reveň), usato in vari modi a fini alimentari (piccioli, foglie) ed erboristici
(rizoma o pseudo-radice), e le piante del genere Rumex, in particolare l’acetosella (Rumex acetosella;
ru. ščavél’, pol. szczaw, c. šťavel), dalle cui foglie si ricava ancor oggi, con l’eventuale aggiunta di altri
ingredienti, una minestra. Tra le cosiddette verdure a foglia larga gli Slavi hanno usato assai presto le
piante delle Chenopodiacee (Chenopodiaceae) come lo spinacio (Spinacia oleracea) e le varie piante
del genere Beta. Qui una stessa specie (Beta vulgaris) è stata sfruttata diversamente (come del resto in
altre parti d’Europa) nelle sue varietà: dalla varietà B. vulg. cicla (bieta a coste) alla varietà B. vulg.
cruenta, della quale è stata utilizzata la radice (tubero) [barbabietola rossa di diversi tipi: ru.
(krásnaja/stolóvaja) svëkla, pol. (czerwony/ćwikłowy) burak], anche per farne minestre (ru. borščók,
pol. barszcz czerwony).
2. Un problema metodologico di fondo. Una delle tesi scientifiche al centro del discorso di EG, anzi forse
la sua tesi centrale, è quella secondo la quale una cultura matriarcale, legata a un elemento etnico di
espressione linguistica non indo-europea (EG è progressivamente giunto a qualificarlo come finnico), è
stata sostituita da una cultura patriarcale legata a un elemento etnico di espressione linguistica indoeuropea (si veda il riassunto di questa impostazione in RF: XXIV-XXV). Ho usato intenzionalmente una
formulazione molto cauta, e generalmente anche le formulazioni di EG sono prudenti. Indubbiamente
però il discorso presuppone la nozione di un “popolo indoeuropeo” esistito in qualche modo in uno
spazio e in un tempo storicamente determinati, anche se è difficile accertarli. Ora, l’esistenza di un
“popolo (proto-)indoeuropeo” non è assolutamente accettata da tutti gli studiosi (assolutamente
contrario era ad es. Nikolaj S. Trubeckoj) e lo stesso proto-indoeuropeo ricostruito è un complesso di
caratteristiche e anche unità linguistiche, ma è molto lontano dal grado di attendibilità che ha, p. es., il
protoslavo (di “Protoslavi” può anche essere abbastanza accettabile parlare, di “Protoindoeuropei”
molto probabilmente no). La questione, complessa e delicatissima, rimane aperta. Tra gli archeologi e
gli storici si scontrano due visioni:
a) quella tradizionale secondo la quale c’è stata un’irradiazione indoeuropea in forma piuttosto rapida
e traumatica (2000 av. Cr.? 1500 av. Cr.?) di popolazioni di guerrieri-pastori probabilmente esperti
nell’uso del cavallo, mossesi a partire da un centro posto forse a nord del Mar Nero (o tra questo e il
Caspio?). Così, ad es. Marija Gimbutas, che parla anche di una “antica Europa” non indoeuropea
caratterizzata da forme di religiosità “femminile” (Dea Madre etc.; su strutture matriarcali però in
sostanza non si pronuncia);
b) una visione innovativa (Colin Renfrew e altri) secondo la quale le lingue indoeuropee si sono diffuse
non in base a migrazioni “militarizzate” ma per processi graduali di plurilinguismo, interferenze e
simbiosi di popolazioni etc., in connessione con la diffusione delle tecniche agricole (neolitico
avanzato?). L’inizio del processo sarebbe molto antico, forse anche 6-5000 av. Cr., e partirebbe
dall’Anatolia. Renfrew, grande archeologo, non ha una preparazione linguistica specifica, e su molti
aspetti della problematica linguistica si è documentato piuttosto tardi e con evidente fatica. Resta il
fatto però che le sue idee meritano attenta considerazione, anche perché le tracce archeologiche delle
famose migrazioni “guerriere” appaiono obiettivamente alquanto labili se non fantomatiche (anche
nell’archeologia dello spazio iranico e indiano, dove presenze “arie” dovrebbero essere
particolarmente evidenti e documentabili).
Dove i miti e le tradizioni parlano di scontri tra elementi “patriarcali” e “matriarcali” bisogna essere
molto cauti nel riferire i primi alla sfera indoeuropea, i secondi a una sfera non-indoeuropea. Si pensi
alla mitologia germanica. Essa ci parla chiaramente del contrasto (e anche di una guerra) tra gli Asi
(divinità guerriere, celesti etc.) e i Vani (divinità agricole e della fecondità). Se alcuni studiosi
ritengono effettivamente che dietro questi contenuti mitici ci sia il ricordo di una guerra tra due popoli
diversi, altri sono di opposto parere e pensano a una sistemazione mitica di aspetti sociali diversi
nell’ambito di un’unica cultura. Anche le idee di Georges Dumézil (società indoeuropea tripartita; idee,
bisogna dire, non da tutti accettate) sembrerebbero implicare la presenza di differenze e anche di
contrasti dentro il mito di per sé, anche senza differenze etniche.
Proviamo a riassumere, con particolare riferimento alla problematica slava:
a) la teoria gaspariniana delle quattro fasi, così come la riassume RF, sembra avere almeno
nelle linee generali un’indiscutibile validità; verosimilmente si è passati (fase 2 > fase 3) da
una società prevalentemente matriarcale, con agricoltura “femminile” (zappa e falcetto,
orto), successione matrilineare e nozze matrilocali, ad una società molto più vicina a un
modello patriarcale con agricoltura “maschile” (falce grande, ampie distese coltivate a
cereali), successione patrilineare (ed etica familiare e sessuale assai più rigida) e nozze
patrilocali;
b) anche certe connessioni rilevate da EG tra le usanze antropologiche, in particolari
matrimoniali, degli Slavi e dei Finni appaiono nel complesso indubitabili;
c) che gli Slavi possano essere in larga parte frutto di convergenza tra più elementi etnici,
almeno in parte “indoeuropeizzati” nel corso del tempo per un cambio di lingua, è pure
possibile, forse probabile (anche se ci aspetteremmo allora prestiti finnici in slavo molto
più numerosi di quelli che realmente si riscontrano);
d) la doppia connessione elemento matriarcale – popoli di lingua non indoeuropea //
elemento patriarcale – popoli di lingua indoeuropea può essere stata valida almeno in certi
contesti e in certe fasi, ma occorre qualche cautela e non la si può considerare un dato
scontato e valido incondizionatamente.
In chiusura vorremmo anche ricordare che nel Matr. sl., opera amplissima e articolata, EG ha toccato
(terza parte) numerosissimi aspetti della cultura spirituale, contribuendo come pochi altri a gettare
luce su una tematica, quella del paganesimo slavo, obiettivamente ancora poco conosciuta. Se il quadro
generale in gran parte sfugge ancora (ed è anche dubbio che sia mai esistita una “religione slava
pagana” unitaria), vanno segnalati almeno alcuni aspetti particolarmente soggetti ad essere raccordati
alla tematica del matriarcato, come il culto lunare, storicamente connesso, presso le più varie società,
appunto a questa prospettiva antropologica.
Altre illustrazioni
Acetosella (Rumex acetosella) (a sin.); Rabarbaro (Rheum officinale) (a destra)
Bieta a coste (Beta vulgaris, var. cicla) (a sin.); Barbabietola rossa (Beta vulgaris, var. cruenta) (a
destra)
Spinacio (Spinacia oleracea)