Michel Foucault, L`ermeneutica del soggetto

Michel Foucault, L’ermeneutica del soggetto
Dal capitolo 1
Quest’anno mi sono proposto di sperimentare la formula seguente: fare due ore di lezione (dalle nove e
un quarto alle undici e un quarto), con una breve interruzione di alcuni minuti dopo la prima ora per
consentire, sia a me che a voi, di riposare, oppure a voi di andarvene nel caso vi annoiaste. Ma cercherò
anche, nella misura del possibile, di diversificare almeno in parte le due ore di lezione, vale a dire di
fare nella prima ora – o comunque in una delle due ore – un’esposizione che potremmo definire più
teorica e generale, mentre nell’altra mi dedicherò piuttosto a qualcosa che potremmo assimilare alla
spiegazione di testi. Tutto ciò comporta, naturalmente, una serie di ostacoli e di inconvenienti, connessi
all’organizzazione del corso, ovvero al fatto che non potranno esservi distribuiti i testi, dal momento
che non è noto in anticipo quanti sarete, e altri problemi del genere. Ma, dopotutto, si procede sempre
per tentativi, e se la cosa non funziona, l’anno prossimo, o forse persino nel corso di quest’anno,
cercheremo di trovare un’altra soluzione. Vi crea molti problemi il fatto di dover venire, in generale,
alle nove e un quarto? No? Va bene così? Allora vuol dire che siete messi meglio di me.
L’anno scorso avevo tentato di avviare una riflessione storica sul tema delle relazioni tra soggettività e
verità. Per studiare il problema avevo scelto, come esempio privilegiato, o se volete come superficie di
rifrazione, la questione del regime dei comportamenti e dei piaceri sessuali nell’Antichità – il regime
degli aphrodisia, come forse ricorderete – così come era apparso ed era stato definito nei primi due
secoli della nostra era. Tra tutte le dimensioni che lo rendono un fenomeno interessante, mi sembrava
che tale regime ne comportasse in particolare una, e cioè la possibilità di individuare l’armatura
fondamentale della moderna morale sessuale europea non tanto all’interno della morale cosiddetta
cristiana, o peggio ancora giudaico-cristiana, bensì proprio all’interno del regime degli aphrodisia.
Quest’anno vorrei però prendere un po’ di distanze rispetto a tale specifico esempio e rispetto al
particolare materiale relativo agli aphrodisia e al regime dei comportamenti sessuali, per tentare
piuttosto di far emergere, a partire da questo specifico esempio, i termini più generali del problema
“soggetto e verità”. Più precisamente ancora: non voglio in nessun caso eliminare o annullare la
dimensione storica entro la quale ho cercato di collocare il problema dei rapporti tra soggettività e
verità, che vorrei però comunque far apparire in una forma molto più generale. La questione che vorrei
affrontare quest’anno è dunque quella dell’individuazione della forma storica in cui si sono intrecciati,
in Occidente, i rapporti tra due elementi come il “soggetto” e la “verità”, e che non fanno certo parte
della pratica e dell’analisi storica abituali.
Vorrei pertanto assumere come punto di partenza una nozione sulla quale credo di avervi già detto
qualcosa l’anno scorso. Si tratta della nozione di “cura di se stessi”. Con questa espressione cerco di
tradurre, in un qualche modo, una nozione greca estremamente complessa e ricca, oltre che assai
diffusa, e che ha avuto una storia molto lunga nel corso di tutta quanta la cultura greca. Si tratta della
nozione di epimeleia heautou, che i latini hanno tradotto con un’espressione come quella di cura sui,
che comporta, come si sa, tutta una serie di insulsaggini che sono state sovente denunciate, o in ogni
caso segnalate. Epimeleia heautou significa la cura di se stessi, indica il fatto di occuparsi di se stessi,
di preoccuparsi per se stessi, e così via. Mi si potrà obiettare che scegliere, per studiare i rapporti tra
soggetto e verità, una nozione come quella di epimeleia heautou, a cui dopotutto la storiografia
filosofica non ha accordato, almeno fino a ora, una gran importanza, è sicuramente una cosa un po’
paradossale e non poco artificiosa, dal momento che tutti sanno, tutti affermano, tutti ripetono, e da così
gran tempo, che la questione del soggetto (vale a dire quella della conoscenza del soggetto, e della
conoscenza del soggetto da parte del soggetto stesso) sarebbe stata originariamente elaborata in base a
tutt’altra formula e a un precetto del tutto diverso, vale a dire secondo la celebre prescrizione delfica
dello gnÿthi seauton (“conosci te stesso”). Perché, allora, decidere di fare ricorso a una nozione come
quella di cura di se stessi, di epimeleia heautou, in apparenza un po’ marginale, dal momento che, se
anche ricorre nel pensiero greco, non sembra tuttavia aver ricevuto uno statuto particolare, e soprattutto
se consideriamo che, nella storia della filosofia, e più in generale nella storia del pensiero occidentale,
tutto sembra indicare che la formula fondatrice della questione dei rapporti tra soggetto e verità è lo
gnÿthi seauton? Ecco perché, in questa prima ora, vorrei soffermarmi brevemente proprio sul problema
dei rapporti tra l’epimeleia heautou (la cura di sé) e lo gnÿthi seauton (il “conosci te stesso”). […]