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Contesto e Fonti della Letteratura Vedica
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La Letteratura Vedica e l’Occidente
L’immenso patrimonio culturale dell’India è stato ed è tuttora veicolato
dalla letteratura dei Veda e dalle opere che su di essa si fondano. L’accettazione
dei Veda come Scritture rivelate è infatti uno dei criteri fondamentali per potersi
dichiarare hindu.
La letteratura vedica 1 è ritenuta fonte di tutta la conoscenza, fisica e
metafisica, giunta fino a noi grazie all’opera esegetica delle varie scuole della
tradizione (Sampradaya).
Cerchiamo innanzitutto di chiarire il significato del termine Veda. La radice
verbale vid significa ‘conoscere’ ma anche ‘vedere’: i compilatori dei Veda infatti,
gli antichi saggi-veggenti (rishi), descrivono in questi testi ciò che hanno
conosciuto attraverso il sapere intuitivo, la visione interiore (darshana), e
propongono la ricerca della luce, lo sfondamento della sostanza materiale per
accedere allo spazio luminoso dell'interiorità.
Essi non si ritengono infatti autori delle loro opere, ma coloro che, assorti
nella meditazione e quindi profondamente ispirati, sono divenuti degni ricettacoli
dell’illuminazione divina2.
I rishi delle Upanishad3, testi tra i più importanti e conosciuti nel
panorama vedico, definiscono questa illuminazione come la via per la
realizzazione del sé immortale, per il ricongiungimento della coscienza individuale
con la Coscienza cosmica, dell’essere individuale (atman) con l’Essere supremo
(Paramatma). La metafora ricorrente nei Veda è quella di un’impresa eroica volta
a liberare gli armenti o le acque, a dischiudere il cielo, a sconfiggere le tenebre;
è l’operazione introspettiva intrapresa dal saggio che riconquista la visione
dispensatrice di prosperità; il trionfo della luce sulle tenebre4. Attraverso questa
“percezione intuitiva” si conosce la Realtà superiore, non accessibile nella sua
totalità attraverso l’intelletto in quanto interiorizzazione e consapevolezza
trascendente.
In tal modo i Veda consentono una comprensione perfetta della
realtà e della sua essenza, perché ricongiungono colui che conosce con ciò che
viene conosciuto, dove ciò che viene conosciuto è, nei punti filosoficamente più
alti delle Scritture, la totalità dell’Essere nelle Sue infinite manifestazioni; totalità
beata e beatificante giacché esente da corruzione, invecchiamento, morte e
rinascita; l’Essere al di là del tempo, Dio o una Sua espansione.
La plurimillenaria cultura dell’India ha da sempre ispirato la maggior parte
dei popoli del sud-est asiatico ed ha influenzato, secondo autorevoli tesi della
moderna ricerca scientifica, anche il mondo occidentale antico.
1 Sull’utilizzo del termine vedico, si veda il capitolo II, Rivelazione e Tradizione: Shruti e
Smriti.
2 L’ispirazione di cui va in cerca il rishi vedico è indispensabile non solo per accogliere la
rivelazione divina nel cuore, ma anche per trasmettere agli altri il sapere che da essa deriva.
3 Cfr. il capitolo II, Rivelazione e Tradizione: Shruti e Smriti.
4 Cfr. Rigveda IV.51: Alle Aurore.
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I Greci, ritenuti i progenitori del pensiero occidentale, forse non crearono
dal nulla la loro filosofia, anche se le loro dottrine svolsero una preziosa funzione
di ponte per un sapere ben più antico.
Tra i numerosi esempi possibili citiamo l’Orfismo, uno dei più noti
movimenti religiosi dell’Ellade, diffusosi in Grecia a partire dal VI sec. a.C. Esso si
fondava su riti il cui scopo era quello di purificare l’essere e di sottrarlo alla
“ruota delle nascite”, ovvero alla trasmigrazione (metempsicosi) in vari corpi,
anche animali e vegetali. Questa concezione ricorda con evidenza le dottrine
vediche del karman, del samsara e della mukti o moksha, cui accenneremo più
avanti. Eraclito, Pitagora, Socrate, Empedocle, condivisero tali dottrine e lo
stesso Platone5 vi si rifà in maniera esplicita.
Noti pensatori europei, venuti a contatto con la realtà indiana, hanno
espresso grande apprezzamento per la sua letteratura; per citare soltanto alcuni
dei più vicini a noi: Schopenhauer, Nietzsche, Hegel, Thoreau, Emerson.
Schopenhauer ad esempio, vide nell’India la terra della saggezza primigenia, il
luogo da cui gli europei potevano tracciare la loro provenienza e la civiltà da cui
erano stati influenzati in maniera decisiva.
Studiando i testi antico-indiani, gli studiosi europei si stupirono nello
scoprire che essi contenevano un pensiero maturo, tutt’altro che primitivo,
caratterizzato da acquisizioni avanzate nei vari campi del sapere, come in
astronomia, medicina, psicologia, grammatica, logica, filosofia, musica,
matematica6, ecc.
La letteratura tradizionale dell’India, come vedremo nel corso dei nostri
studi, fornisce una conoscenza integrata ed organica, ricca di risvolti sul piano
pratico e esistenziale, finalizzata a migliorare concretamente la qualità della vita
estendendosi a tutti i piani antropologici. Proponendo ricerche multidisciplinari,
essa veicola valori e modelli di comportamento in grado di guidare ogni azione
dell’uomo nel mondo7, ispirando l’interpretazione globale dell’agire che, in questa
tradizione, non può essere disgiunta dai concetti di cosmogonia e di escatologia,
da quelle che sono le ragioni fondamentali del vivere e dal suo fine. Un sistema
filosofico, per quanto grande e geniale possa essere, mancherebbe infatti di
valore se non riuscisse ad intervenire concretamente nel quotidiano, elevando il
livello di consapevolezza e migliorando l’esistenza anche sul piano pratico.
I Veda
sono testi religiosi ma anche vasti insiemi di simboli, di
formulazioni dottrinali, di suggestioni valoriali ed esistenziali che si inseriscono ai
5 Come ben si può dedurre dai seguenti passi del Fedone (XXIX-XXX), tratti dal dialogo tra
Socrate e Cebete: “[...] anime condannate a brancolare in simili paraggi per castigo di quel
loro stile miserabile di vita. Devono vagabondare finché [...] s’imprigionano un'altra volta in
un corpo. E, logicamente, s'intrecciano a consuetudini tali e quali quelle praticate nella
trascorsa vita. [...]”. “Di questa gente [...], quelli destinati alla sistemazione più gradevole
sono coloro che hanno coltivato nella vita un primato morale, [...] quello che definiscono
autocontrollo, rettitudine, valori nati dal carattere e dall'applicazione”. Cfr. Platone:
Simposio, Apologia di Socrate, Critone, Fedone, a cura di Ezio Savino. Milano, Mondadori,
1987, p. 345-347.
6 Come dimostra il trattato noto come Shulba-sutra o Shulba-shastra, tradizionalmente
datato attorno al 2.000 a.C., contenente i teoremi sul triangolo rettangolo che verranno poi
attribuiti a Pitagora.
7 Il tradizionale sistema socio-religioso del daivi varna-ashrama-dharma, di cui parleremo in
seguito, ne è un esempio evidente.
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vertici della storia del pensiero antico e moderno, costituendo la più grande
avventura dell’intelletto umano.
Il valore di queste opere, che offrono una preziosa sintesi tra teoretica e
pratica, non è limitato a un determinato popolo, luogo geografico o arco
temporale ma rappresenta un patrimonio eterno a disposizione dell’umanità.
Esse investigano il fenomeno e il noumeno; il mondo fisico, quello psichico e la
dimensione trascendente, la materia e lo Spirito, abbracciando discipline che
vanno dalla psicologia alla filosofia, dal diritto alla logica e alla fisica, per
giungere alla trattazione approfondita di tematiche inerenti la sfera del sacro nel
senso più ampio ed alto.
Questa millenaria letteratura, fondamento del pensiero e del sentire
religioso degli indiani, costituisce il sapere più antico che l’umanità conosca, un
sapere che però ha mantenuto intatti nel tempo pregio e freschezza, tanto da
essere ancora oggi di straordinaria attualità. Le concezioni vediche in merito alla
strutturazione dell’universo sensibile, del corpo e della mente umana
costituiscono un importante punto di riferimento per il mondo scientifico
all’avanguardia; sempre più larghe branche dell’archeologia, della psicologia,
della medicina e della fisica moderne stanno rivalutando e confermando il valore
dell’antica scienza vedica.
Seppur con l’utilizzo di metodologie e percorsi diversi, lo scopo ultimo cui
mirano la filosofia e la letteratura tradizionale dell’India è la realizzazione
spirituale dell’essere e il raggiungimento di moksha, ovvero la liberazione dal
samsara, il ciclo dell’esistenza incarnata scandito dal continuo susseguirsi di
nascite e morti, in cui sono dolorosamente costretti gli esseri condizionati, privi di
atma-vidya o conoscenza del sé. Moksha coincide con il superamento di avidya,
la non consapevolezza spirituale, e permette l’emancipazione dalla sofferenza
che da essa scaturisce, consentendo la reintegrazione dell’io storico nel sé, il
passaggio dall’inconscio alla coscienza luminosa e la riscoperta del Divino,
dell’Essere supremo che, pur manifestandosi in un numero infinito di forme e di
nomi8, rimane il Principio unico e originario da Cui tutto promana.
Ad una prima e superficiale lettura della realtà religiosa vedica
sembrerebbe naturale parlare di politeismo, ma tale concetto rispecchia solo la
superficie della civiltà arya o brahmanica9. Essa è infatti portatrice di un pensiero
religioso monoteistico di tipo polimorfo, in cui le diverse manifestazioni del Divino
rappresentano i plurimi aspetti della Sua unità.
Dunque, al di là delle apparenti incongruenze ed ambiguità, le opere
vediche hanno in comune una determinata visione del mondo e una particolare
prospettiva di salvezza, alla cui formazione concorrono molteplici vie mistiche e
metafisiche. Questa letteratura trasmette magistralmente princìpi e valori di base
che, ben radicati nel vissuto collettivo degli indiani, sostanziano e accomunano le
diverse componenti dell’Induismo, conferendogli un carattere organico ed
unitario, seppur marcatamente differenziato.
Questo sapere ha esercitato ed esercita tuttora una funzione fondante e
unificante dell’intera civiltà indiana che, pur con alcune degenerazioni,
ideologiche e non, con vari adattamenti e cambiamenti formali, è riuscita a
8 Nel Rigveda (I.164.46) si afferma: “[…] I saggi danno molti nomi a Colui che è unico ”.
9 Così chiamata perché basa la propria organizzazione e affonda le proprie motivazioni nel
Brahman, la Realtà ultima, quella spirituale. Detta anche società del daivi varna-ashramadharma.
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conservare pressoché intatta nel corso dei millenni la propria identità religiosa e
culturale, nonostante i rivolgimenti politici, sociali ed economici di cui è stata
sovente teatro10.
Dobbiamo però anche evidenziare che il contenuto dei Veda, pur essendo
stato perfettamente conservato, è oggi purtroppo sempre meno compreso nella
sua essenza e nei suoi valori tradizionali; soprattutto in seguito alla mistificazione
di questo sapere operata dagli inizi dell’Ottocento in un ambito colonialista e
fortemente eurocentrico.
I primi indologi, ai quali va peraltro il merito di aver prodotto una mole
enorme di preziosi strumenti didattici, quali traduzioni, dizionari sanscriti ed
edizioni critiche delle massime opere vediche, si trovarono a dover confrontare
una cultura più antica, più vasta nei concetti e più profonda nei valori, di tutte
quelle fino allora note, in particolare di quella greco-romana che rappresentava il
comune modello di riferimento e il più alto esempio di civiltà storica. Nel clima
culturale, religioso e politico dell’epoca coloniale, come ormai viene ampiamente
confermato da eminenti studiosi moderni, fu messa in atto da parte
dell’Occidente una vera e propria campagna denigratoria, orchestrata per
sminuire il pensiero indiano, per depotenziarlo, ridurlo a mito e a stravaganza e
infine disperderne i significati autentici.
Inoltre, nei secoli XIX e XX, molti studiosi indiani, per reazione al colonialismo economico, politico e intellettuale dell’Occidente, hanno insistito sul loro
diritto di interpretare la propria storia e la propria cultura11. Qualche volta però
questo processo interpretativo, influenzato da un eccesso di nazionalismo e dalla
visione sentimental-romantica del passato, è stato condotto con scarso rigore
scientifico e quindi con non obiettiva considerazione della tradizione e della
letteratura dell’India antica.
Un approccio corretto alla conoscenza della civiltà dei Veda, la quale presenta di per sé notevole complessità, è dunque oltremodo intralciato da simili
fattori fuorvianti che, nel corso dei secoli, hanno contribuito ad oscurare il
significato autentico di quella cultura.
Importanti acquisizioni della ricerca scientifica occidentale, soprattutto in
campo archeologico, hanno oggi demolito gran parte dei luoghi comuni che, dai
primi dell’Ottocento fino a pochi anni fa, venivano correntemente accettati e
insegnati come dimostrati e ovvii. Come approfondiremo nelle nostre materie di
studio, sono stati sollevati ad esempio dubbi sempre crescenti sul fatto che sia
effettivamente avvenuta una cosiddetta “invasione ariana” 12 , mentre la
sociologia e l’antropologia hanno rivisitato il significato di “casta”, parola tra
l’altro di origine portoghese ed estranea alla concezione vedica.
Nel sistema socio-religioso del varna-ashrama-dharma non compaiono
infatti ceti ermeticamente chiusi ed invalicabili, ma riparti funzionali della società,
10 Basti pensare alle ininterrotte invasioni musulmane che cominciarono a partire dall’anno
mille.
11 Non solo nella storia recente ma fin dai tempi della campagna indiana di Alessandro il
Macedone (327-326 a.C.), la classe sacerdotale brahmanica ha sempre rappresentato una
barriera ideologica contro l’invasione straniera, favorendo la coesione nazionale sia religiosa
che politica.
12 Sull’argomento cfr. Elst, K., Linguistics and the Aryan Non-Invasion Theory. New Delhi,
Aditya Prakashan; Rajaram, N.S., Aryan Invasion Theory is a Hoax: History Revisited in
Times of India e The Politics of History. In: The Hindustan Times, 1993.
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detti varna, che rispondono non ad un rigido diritto di nascita (jati) bensì alle
effettive qualità ed aspirazioni degli individui. I quattro varna (comparti sociali) e
i quattro ashrama (stadi di vita) risultano garanti dell’armonia e della reciproca
legittimazione delle diverse individualità, strumenti per lo sviluppo della
personalità tali da permettere ad ognuno, secondo il proprio guna-karman
(tendenze ed esperienze), di collocarsi al meglio nella società e di progredire
esprimendo, sempre al meglio, le proprie potenzialità.
Nel corso degli ultimi millenni questa suddivisione sociale è stata
ideologicamente adulterata, in gran parte proprio da coloro che si ritenevano i
depositari della tradizione, cioè gli smarta brahmana (brahmani di casta). La loro
interpretazione rigida e restrittiva del diritto di nascita, al fine di procurarsi e
mantenere privilegi, tra cui quelli provenienti dal monopolio del rituale religioso,
ha fatto degenerare l’intero sistema sociale indiano al punto da ridurlo ad iniquo
strumento di oppressione delle classi più deboli.
Questa è la situazione che hanno trovato in India i primi studiosi
europei a partire dal XV sec. Costoro, confinando il fenomeno all’interno degli
ultimi millenni, e scambiandolo erroneamente con il modello originario descritto
nella letteratura vedica, lo divulgarono in Occidente con il nome di “sistema delle
caste”.
I nostri studi si inseriscono nel clima di rinnovamento culturale cui
abbiamo appena accennato e che induce a ripensare la storia dell’umanità in una
prospettiva più ampia. Oggi possiamo infatti considerare con occhi più critici quei
fattori storici, esterni ed interni all’ambiente indiano, che hanno originato
malintesi sulla civiltà vedica. Di essa intendiamo offrire una conoscenza il più
possibile oggettiva, studiando le sue molteplici espressioni culturali secondo i
parametri della tradizione cui appartengono, e impiegando contestualmente i
criteri della moderna ricerca scientifica.
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