Quota: 1086 - Portale di Archeologia Medievale

CITTER, C. a cura di, La Roccaccia di Selvena (Castell’Azzara – GR): relazione
della campagna 2000 e revisione dei dati delle precedenti, “Archeologia
Medievale”, XXVIII.
a cura di Carlo Citter
testi di: Floriano Cavanna, Emilio Baldi, Teresa Cavallo, Luca Giustarini, Sandro Giustarini, Stella
Menci, Hermann Salvadori, Silvia Savelli, Chiara Valdambrini, Serena Zuccherini.
Introduzione
Lo scavo di Selvena è un progetto realizzato in collaborazione dall'Amministrazione Com.le di
Castell'Azzara (concessionario di scavo) e il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti
dell'Università di Siena. La direzione scientifica è affidata al Prof. Riccardo Francovich, il
coordinamento al Dott. Carlo Citter, la documentazione di scavo a Floriano Cavanna (che si è fatto
carico anche della cura redazionale di questo testo), le indagini storiche al Dott. Roberto Farinelli. Per
una lista dei contributi già usciti sullo scavo si rimanda alla bibliografia in calce.
La campagna 2000 ha portato un contributo considerevole alla comprensione della sequenza
stratigrafica del castello di Selvena, sebbene lo scavo sia giunto solo a livelli di inizi XIII. Il rilievo
completo di tutte le emergenze, uno studio, seppure preliminare, sui reperti e sulle tecniche costruttive
consentono di formulare una periodizzazione più articolata anche per le fasi di età moderna. Per
questo motivo abbiamo deciso di fornire in questa sede un riesame completo di quanto finora scavato,
pubblicando tutta la sequenza di ciascuna area per attività-fasi-periodi.
Al termine forniremo una sintesi dove cercheremo di collocare le evidenze in un quadro di riferimento
unitario, in stretto rapporto con i documenti studiati da Roberto Farinelli.
Di seguito sotto forma di tabella riportiamo la nuova periodizzazione alla quale faremo riferimento in
tutti i contributi. L'articolazione in fasi potrà essere modificata e arricchita con la prosecuzione delle
indagini. Al momento abbiamo, infatti, accorpato interventi che potrebbero anche essere stati eseguiti
in momenti diversi seppure entro un arco cronologico molto ristretto. Ad esempio una rapida
successione di livelli di vita e pavimenti del settore B dell'area 300 è stata accorpata nella fase 3 del
periodo VI in attesa che più ampi riscontri in altre zone del castello consentano una scansione più
precisa. Per questi stessi motivi la numerazione delle attività è per ora mantenuta distinta per
area-settore in attesa di poter creare una seriazione unica per tutto lo scavo.
P VII: Il primo castello aldobrandesco (seconda metà XI - metà XII secolo d.C.)
F1: primo recinto
F2: torre est
F3: torre ovest, ambiente attiguo torre est
P VI: Il grande castello di popolamento (metà XII - fine XIII secolo)
F1: recinto romanico fra le torri est e ovest, edificio romanico, prima cinta muraria area sommitale,
cisterna B
F2: parziale distruzione torre ovest e recinto romanico
F3: torre pentagonale e rialzamento torre ovest e recinto romanico, distruzione cisterna B,
costruzione edificio settore B area 300
P V: La massima espansione dell'abitato (prima metà XIV secolo)
F1: distruzione di gran parte delle strutture romaniche più antiche
F2: costruzione del palazzo signorile, della nuova cinta muraria e impianto dei borghi esterni
P IV: Destrutturazione dell'urbanistica castellana (seconda metà XIV - inizi XV secolo)
F1: ridefinizione degli assetti urbanistici dell'area sommitale
F2: fase di vita di alcuni ambienti
F3: abbandono di alcuni ambienti
P III: Dal castello medievale alla fortezza rinascimentale (metà XV - XVII secolo)
F1: modifiche d'uso degli ambienti e degli spazi dell'area sommitale
F2: fase di vita
P II: Ultime fasi di vita del sito (XVII - metà XVIII secolo)
F1: frequentazioni dell'area sommitale
P I: Abbandono del sito (metà XVIII - metà XIX secolo)
F1: abbandono
Carlo Citter
AREA 1
L'area 1, interamente indagata nella campagna di scavo 1997, è compresa tra la torre est e il palazzo.
Le strutture murarie hanno individuato una serie di momenti costruttivi che si estendono dalle prime
fasi di vita del castello al periodo rinascimentale, mentre gli strati di vissuto indicano una
frequentazione posteriore al XVII secolo.
Non si sono conservate stratigrafie relative alle fasi precedenti il XVII/XVIII secolo, per cui sono
stati oggetto di scavo soltanto strati di crollo e di vissuto di età moderna (Tav. 1).
Periodo VII
Fase 1
Attività 1: Recinto con muri a secco
A questa prima attività è riferibile un lacerto di muro (US 52) individuato nella porzione nord ovest
dell'area, formato da alcuni conci di pietra di media grandezza, sommariamente sbozzati e non legati
da malta.
L'allineamento del muro sembra parallelo a quello del muro US 422 emerso nel settore B dell'area 300
durante la campagna di scavo 2000. La somiglianza della tecnica costruttiva, l'orientamento e la
posizione dei due muri in quella che sarà poi l'area signorile, farebbero ipotizzare un primo intervento
di delimitazione dello sperone che un tempo si ergeva all'interno dell'area sommitale.
Fase 2
Attività 2: costruzione torre est
Ascrivibile a questo momento è la costruzione della struttura delimitata dalle US 10, 11, 26, 106,
sicuramente interpretabile come torre. Dei muri perimetrali rimangono solo pochi conci, ma è certo
che l'elevato doveva essere considerevole viste le bozze rinvenute nei crolli e quelle riutilizzate in
interventi costruttivi più recenti (palazzo trecentesco, "vano di pregio").
La tecnica muraria romanica presenta grossi blocchi di pietra, legati con malta di calce, perfettamente
squadrati e disposti su piani di posa perfettamente paralleli.
Data la raffinatezza, è certo che fu realizzata da maestranze chiamate dagli Aldobrandeschi per questo
preciso scopo, mentre la torre ovest, per il livello tecnico decisamente più modesto, potrebbe essere
stata costruita dagli stessi abitanti del castello nello stesso periodo o poco dopo.
La torre est potrebbe aver perso progressivamente la sua funzione difensiva a partire dal momento in
cui, nel corso del XIII secolo, venne costruita l'imponente torre pentagonale.
Fase 3
Attività 3: edificio di servizio accanto alla torre est
La struttura, un'ambiente di forma trapezoidale a ridosso della torre est, è definita dai muri US 6 e 7,
realizzati con conci di pietra calcarea, sommariamente squadrati, legati da malta di calce e disposti a
formare filari orizzontali di altezza variabile.
La difficile lettura dei rapporti stratigrafici ha reso problematica l'interpretazione dell'edificio; la
posizione topografica e la tecnica costruttiva fanno comunque presupporre un intervento di poco
posteriore alla costruzione della torre e connesso a quest'ultima.
Quest'ipotetico ambiente di servizio è stato interessato, nel corso dei secoli, da vari interventi di
modifica, il primo dei quali è forse legato alla costruzione dell'ambiente a nord della torre (US 3, 22),
mentre un secondo è ascrivibile al momento della costruzione della cisterna A.
Periodo VI
Fase 1
Attività 4: recinto che unisce le due torri
I muri individuati a nord della torre est (US 40, 36, 56) sono caratterizzati da un notevole spessore
(160 cm circa) e da una posa in opera regolare. I conci in calcare, ben squadrati, spianati e disposti a
formare corsi orizzontali di altezza variabile, sono di media grandezza e legati con malta di calce. La
tessitura orienta verso il periodo romanico e l'ipotesi avanzata è che, insieme alla torre ovest (Area
200) e al muro 302 (poi parte del perimetrale sud del palazzo), costituissero un recinto che collegava
le due torri nel periodo precedente alla costruzione del palazzo.
Periodo V
Fase 1
Attività 5: distruzione del recinto romanico
E' probabile che a seguito di un cedimento strutturale sia stata operata una rasatura (US 100) dei muri
US 36 e 56 per impostare il muro del vano di transito (US 4). L'intervento fa parte di una ridefinizione
dell'area in fase con la presenza del palazzo.
Fase 2
Attività 6: muro perimetrale nord del palazzo
L'imponente intervento della costruzione della residenza signorile è da attribuire forse al passaggio
del castello nelle mani del Conte Giacomo di Santa Fiora. Riferibile a questo momento è la
costruzione del muro perimetrale del vano di transito (US 4), di cui si conserva una parte molto ridotta
a causa del crollo (US 5, 104). Il muro è formato da conci in pietra non rifiniti e posti in opera a
formare filari abbastanza regolari. In fase con l'US 4 è l'apertura rettangolare con archetto ribassato
(US 17), una porta che costituiva l'accesso ad un'altra area del castello posta a nord.
Periodo IV
Fase 1
Attività 7: muro divisorio del palazzo
Legata al riassetto urbanistico e alla ridefinizione d'uso dell'area sommitale è la costruzione del muro
US 12, attuale perimetrale est del palazzo. La struttura è stata inserita in un momento successivo
all'edificazione del palazzo stesso, dal momento che è stata eseguita un'asportazione della muratura
più antica (US 98). Il muro, la cui parte nord è interamente franata, è costituito da conci in pietra
sbozzati ma non squadrati, posti in opera in corsi orizzontali di altezza variabile, legati con malta di
calce.
In fase con la costruzione del divisorio è la porta ad arco (US 92), successivamente tamponata con
materiale lapideo e la finestra strombata (US 91). La strombatura orientata verso la cisterna A, indica
che l'area era un ambiente aperto.
Attività 8: Edificio a nord della torre
Struttura individuata a nord della torre est, delimitata dalle murature US 3, 6, 22, 26. L'edificio si
imposta su un precedente allineamento costituito dalle US 4, 40, ma lo spessore si riduce da 160 cm.
a 90 cm. circa, riduzione da imputare al venir meno della necessità difensiva e al nuovo riassetto
urbanistico in questo settore del castello.
Periodo III
Fase 1
Attività 9: Vano di pregio
Vano delimitato dalle US 28, 31, 72, individuato a nord della torre est che si imposta sul precedente
ambiente dell'attività 8. La facciata (US 28, 31) è realizzata con conci di pietra squadrati e rifiniti,
legati con malta di calce; orizzontali e di altezza variabile. La tecnica costruttiva, apparentemente
romanica, è in realtà frutto di un massiccio uso di materiale di reimpiego forse dalla stessa torre est.
L'ambiente è dotato di un'apertura con soglia e stipiti ben rifiniti e lavorati a nastrino (US 30);
all'interno è stato rinvenuto uno strato di malta e calce di buona qualità, e un gradino trasversale posto
a 3/4 della lunghezza (US 70). Del gradino rimane soltanto una pietra ben squadrata e lavorata a
nastrino e la tracce in negativo nella malta delle altre tre (US 77), disposte a fianco, con andamento
rettilineo.
La copertura della struttura era costituita da una volta a botte in mattoni, di cui si conserva una grossa
porzione franata (US 34).
L'importanza di questo ambiente è confermata, oltre che dalla pavimentazione in cocciopesto e dal
gradino in pietra, dalla presenza di un intonaco bianco con strisce in rosso alle pareti.
Ancora in corso di verifica l'ipotesi che identificherebbe questo vano con una piccola chiesa edificata
dagli Aldobrandeschi nel 1238, come potrebbe suggerire l'interpretazione di un'iscrizione oggi murata
nella facciata della chiesa del paese di Selvena. Se l'ipotesi fosse esatta il gradino potrebbe
rappresentare l'altare (Fig. 1).
Attività 10: nuovo accesso alla torre
Il nuovo accesso alla torre est (US 65) fu realizzato asportando una grossa porzione del muro
perimetrale sud (US 11), in un momento in cui vengono meno le necessità difensive. L'ingresso,
costituito da 4 gradini con soglia e cardini formati da blocchi in pietra e laterizio, è posto ad una quota
più bassa rispetto all'ingresso originario, a conferma che l'alzato della torre non era più considerevole
come in antico e che probabilmente era in uso solo il piano inferiore.
Periodo II
Fase 1
Attività 11: piani di calpestio di età moderna
Tutta l'area fu coperta da un livello di terra in parte coprendo la roccia, in parte il pavimento in
cocciopesto dell'edificio di pregio (US 45=71=32).
L'analisi del materiale ceramico di questi strati ha proposto una datazione che va dalla metà del XVII
secolo alla metà del XVIII secolo, quando alcune strutture precedenti sono già in rovina o comunque
non vengono più ripristinate. Ne è una prova il gradino US 77 che viene asportato e successivamente
interrato dall’US 71 che copre anche la pavimentazione in cocciopesto (Fig. 2).
Stella Menci
AREA 300 - SETTORE A
Il settore considerato comprende, la cisterna A e l'area di accesso alla stessa (Tav. 2).
Periodo IV
Fase 1
Attività 1: Costruzione del pavimento in pietra
In questo periodo registriamo la costruzione del pavimento in pietra (US 318) che dal palazzo si
estende in direzione est fino alla torre pentagonale, composto da pietre di forma irregolare legate da
scarsa malta di calce. Il problema della datazione controversa di questo pavimento è stata risolta
effettuando uno strappo di 2 mq che ha fornito elementi datanti (US 419, 417, 415) seppure come
termine post-quem, costituito da frammenti di maiolica arcaica (tipi di metà XIV circa).
Periodo III
Fase 1
Attività 2: Asportazione del pavimento in pietra
Asportazione del pavimento in pietra dovuta probabilmente alla modifica dell’assetto urbanistico. La
parte soggetta a questo tipo di intervento è quella situata davanti al palazzo e ad ovest di quest’ultimo.
Attività 3: Costruzione del pavimento in mattoni 304
La struttura è costituita da laterizi disposti di taglio a spina di pesce, non legati da malta di cui si
conservano piccole porzioni davanti al palazzo nel settore B. Questi frammenti permettono di
ipotizzare la sua estensione originaria che doveva occupare tutta la parte occidentale della piazza,
disegnando ampi riquadri con mattoni disposti a formare la cornice riempita da file parallele a spina di
pesce.
Riguardo la cronologia è stato possibile l’inserimento in questa fase per i rapporti con altre strutture
relative sempre all’area 300, ma riferite al saggio C (vedi contributo relativo).
Attività 4: Interventi di restauro relativi alla pavimentazione in mattoni
Da inserire in questa attività sono le porzioni di pavimento, sempre a mattoni (US 344 e 345)
localizzate nella parte ad est del palazzo che probabilmente rappresentano un intervento eseguito per
affiancare le due pavimentazioni in pietra (318) e laterizi (304).
Attività 5: costruzione della cisterna A
In questa fase viene inserita la cisterna A dotata di piano di accesso alla bocca del pozzo, individuato
sul cervello della volta, per permettere l’approvvigionamento dell’acqua. Il complesso è situato in un
ambiente all’aperto, al quale si accedeva tramite quattro gradini di pietra in trachite, costituiti da conci
squadrati disposti a quarto di cerchio fra i muri 6 e 28, che poggiano su un lacerto di pavimento in
malta (US 53).
Quello che rimane di un altro elemento collegato all'area aperta è un muro di modesta fattura (US 107)
individuato fra le US 12 e 8, la cui funzione più probabile è di delimitazione dell'area stessa. Presenta
bozze di pietra di varie dimensioni sommariamente squadrate, disposte su corsi sub-orizzontali, il
legante è quasi completamente assente. Per quanto concerne l'interno si osservano una malta molto
povera, di scarsa tenacia e giunti molto larghi.
La cisterna “A” è oggi solo in parte conservata, con il sacco a vista a causa del crollo quasi completo
della copertura . Il rivestimento interno è composto da mattoni disposti per taglio, legati con
abbondante malta di calce. La volta e il paramento interno della cisterna (US 9, 13, 14, 15) sono
visibili solo parzialmente per il crollo delle strutture.
Pur appartenendo ad una stessa attività, le fasi di realizzazione possono essere elencate in
quest'ordine:
1_scavo della fossa sottostante la cisterna per la realizzazione delle fondamenta (US 414)
2_adattamento delle strutture precedenti (US 110 ) per l’inserimento della cisterna
3_costruzione delle fondamenta (US 416)
4_costruzione della volta e del paramento interno della cisterna (US 9, 13, 14 e 15)
5_riempimento della fossa di preparazione (US 407, 410, 411, 412, 413, 420, 421 e 428 individuata
durante la campagna di scavo 2000)
6 Inserimento dei quattro gradini per l’accesso alla cisterna (US 43)
Nella campagna di scavo 2000 la scelta di indagare la buca 414 con il relativo riempimento è stata
motivata dall’individuazione di una porzione già priva di pavimento durante la campagna del 1999.
Il materiale di riempimento della buca era costituito da schegge di pietra (probabili scarti di cantiere –
US 421) e da altro materiale. Analizzando nel dettaglio la sedimentazione è stato possibile
individuare: uno strato composto da terra e pietre di colore rossastro (probabile termotrasformazione),
individuato al centro del settore (US 407). Quindi seguono altri strati costituiti da argilla, sabbia, calce
e pietre (US 398, 413, 420). Per i reperti emersi dall’indagine effettuata e per la disposizione delle
unità stratigrafiche è stata ipotizzata un’azione di riempimento della buca piuttosto celere, con il
riutilizzo dei materiali di scarto dell’attività di cantiere. Rimane da spiegare il motivo per cui una
volta ricoperte le buche di preparazione, non sia stata ricostruita la pavimentazione, ma sia stato
semplicemente livellato il terreno (Fig. 3-4).
Attività 6: Costruzione della rampa e della pedana
Costruzione della rampa (US 372, 396, 397, 373, 398, 408, 374) e della pedana (US 55) di acceso, la
prima alla torre est (vedi area 1) e la seconda alla parte sommitale della cisterna.
La rampa (US 372) si presenta costituita da tre muri disposti in modo da creare una struttura
rettangolare. Risulta addossata al muro della cisterna (US 8) e al muro della torre est. E’ costituita da
pietre non squadrate e disposte in modo disordinato, la malta impiegata è molto friabile, di scarsa
fattura e quasi totalmente dilavata. Al margine est di questa è stata inserita un’altra struttura in pietra
e mattoni, con funzione di sostegno, che costituiva una scarpa di rinforzo al muro (US 373). La
struttura appare inoltre ricoperta da un pavimento in piccole pietre e frammenti di mattone legati da
malta, disposti in modo confuso (US 396). L’ingresso vero e proprio alla torre est è composto, oltre
che dall'US 372, anche da un muro a forma di elle (US 397), realizzato con pietre non squadrate, di
dimensioni variabili, disposte a formare corsi irregolari. Da notare in particolare la presenza di zeppe
sia in pietra che in mattoni, la scarsa resa della malta utilizzata piuttosto friabile e la presenza di
grosse bozze di pietra, sicuramente di riutilizzo, negli angoli. All’interno, inoltre, appare inserito uno
strato, disposto a formare un terrapieno, composto da piccole pietre e grumi di malta (US 398), al
quale si sovrappone la pavimentazione in mattoni (disposti di taglio ad andamento obliquo) e malta
(US 408).
Le tecniche di costruzione sia per l’US 372 che per l’US 397 sembrerebbero simili.
Per quanto riguarda la pedana (US 55), essa risulta costituita da una fila di lastroni di pietra, legati da
malta, disposti in modo tale da formare due gradini, individuati all’ esterno dell’area, alla quale
permettono l’accesso (vano di transito situato sopra la cisterna), presso i muri US 8, 19 e 302.
Periodo II
Fase 2
Attività 7: Ultime fasi di vita
Ultimi strati di vissuto o di abbandono successivi alla costruzione della cisterna (US 369, 370).
Periodo I
Fase 1
Attività 8: degrado delle strutture
Danneggiamento del pavimento 304 (US 334) coincidente con la sua quasi totale spoliazione e
successivo strato identificabile con l’ultimo piano di calpestio dell’area.
Attività 9: riutilizzo della cisterna
In questo momento viene praticata un’apertura di forma subrettangolare nel muro 8, fronte sud della
cisterna “A” (US 16), quando questa aveva perso la sua funzione, con lo scopo di creare un ricovero
per gli animali.
Alla stessa attività deve essere ascritta l'asportazione di parte del pavimento in pietra (US 318) per
realizzare una canaletta di scolo per il defluire dei liquami (US 550).
Attività 10: Crolli
In questa attività si raggruppano le ultime successioni stratigrafiche costituite dal crollo delle
strutture della cisterna, dal cedimento della rampa, dalla rasatura dei gradini della pedana (oggi del
gradino superiore si conserva solo il sacco) e infine un'ampia asportazione del pavimento superiore
della cisterna.
Chiara Valdambrini
AREA 300 - SETTORE B
L’area 300 si estende dalla torre quadrangolare a est fino all’edificio romanico a ovest (settore C);
nell’ambito di quest’area il settore B occupa la zona antistante il palazzo.
Il saggio, aperto nel 1998 e ancora in corso di scavo, ha restituito un’importante stratificazione
inquadrabile in un lasso di tempo compreso tra la metà dell’XI secolo e l’età moderna.
La scelta di aprire un saggio in quest’area da una parte è stata dettata dall’interesse a verificare i
rapporti delle strutture in elevato con gli strati, ma dall’altra è stata costretta dall’assenza di
pavimentazione (US 304, 318). In questo modo se ne evitava l’asportazione mantenendo la
suggestione creata dalla piazza interamente lastricata. La salvaguardia del pavimento ha però causato
dei seri limiti nella lettura della stratificazione; in qualche caso infatti i rapporti stratigrafici sono
labili al punto da risultare poco affidabili (Tav. 3).
Periodo VII
Il periodo VII è caratterizzato da una sequenza di attività legate alla riorganizzazione dell’area
sommitale attraverso la costruzione di strutture difensive.
Fase 1
Alla prima fase del periodo VII risalgono due attività (A.1 e A.2) connesse alla costruzione di due
stutture in muratura (US 422 e 506) poste in opera con blocchi di pietre di medie dimensioni non
legati da malta.
La cronologia di queste strutture è fornita dalla tessitura muraria, non particolarmente accurata, e dai
rapporti stratigrafici con gli altri strati che le coprivano; si tratta di strati sigillati in un contesto
anteriore alla fine del XIII secolo dall’ultimo strato asportato che conteneva maiolica arcaica (US
363).
Attività 1: probabile primo recinto
L’US 422 è un muro controterra che si estende da ovest, dove si appoggia direttamente sulla roccia di
base, a est fino al limite del settore, con andamento quasi parallelo sia al muro del palazzo che al muro
US 52 emerso nell’area 1 durante la campagna di scavo del 1997.
L’orientamento, la tecnica costruttiva e la posizione nell’area sommitale del poggio, lascerebbero
ipotizzare che si tratti dei resti di un antico recinto costruito con tecnica mista (legno-pietra) per
delimitare l’area.
La verifica dell’estensione reale del muro verso est, potrebbe fornire maggiori e più interessanti dati
interpretativi, ma la presenza della pavimentazione in mattoni proprio al limite est del saggio,
impedisce l’allargamento del settore (Fig. 5).
Attività 2: struttura connessa al recinto
Di dubbia funzione è il muro US 506 che si estende con andamento rettilineo, a partire dal muro US
422, da N-N/E a S-S/O.
La tessitura muraria non è chiara, così come i suoi rapporti stratigrafici con il muro 422, perché
emerge solo per pochi centimetri; dovrebbe trattarsi di un’attività posteriore alla costruzione del muro
422, al quale sembrerebbe essere appoggiato.
Periodo VI
Dalla metà del XII secolo alla metà del successivo, si registrano una serie di attività connesse ad un
progetto sistematico di riorganizzazione dell’area.
Fase 1
Attività 3: costruzione recinto romanico
Alla fase 1 risale la costruzione del recinto dell'area signorile (si veda la relazione dell’area 200) del
quale rimane non solo una porzione visibile nella parte bassa del muro sud del palazzo (US 302), ma
anche la traccia del taglio (US 309) nella roccia, effettuato seguendo un piano orizzontale sul quale è
stata impostata la risega di fondazione (US 389) del muro, costituita da bozze di pietre squadrate e
disposte a regolarizzare dove necessario.
Manca la continuità fisica tra gli strati, la risega e il muro 302 a causa dell’accentuata pendenza verso
sud della roccia di base, ma è comunque possibile ascrivere a questo periodo una serie di strati che
hanno invece rapporto diretto con la cisterna B (attività 4) che al momento sembrerebbe essere uno
degli edifici funzionali costruiti all’esterno del cassero.
Attività 4: costruzione della cisterna B
Dei quattro muri che costituiscono la cisterna B (US 333, 322, 395, 518), solo due sono ben visibili,
non essendo stati gli altri ancora oggetto di indagine stratigrafica.
I muri nord (US 322) ed est (US 333) si appoggiano direttamente alla roccia di base, il primo per tutta
la lunghezza, il secondo solo per la larghezza.
La tessitura muraria non è visibile perché uno strato di tenace malta è stato steso uniformemente sui
paramenti interni e sul pavimento (US 394).
Solo il muro US 333, forse perché è l’unico interamente scavato, presenta un rivestimento di intonaco
anche sul paramento esterno (US 325).
Sul pavimento ai piedi del muro US 518 (US 394), la malta è stata sagomata in modo da ottenere un
invito che consentisse all’acqua di defluire. Non essendo visibile il paramento esterno del muro, non
si può constatare la presenza di una struttura che permettesse la raccolta dell’acqua (Fig. 6).
Attività 5: stesura del terzo pavimento in calce
Nell’area centrale del saggio è stato individuato un pavimento in malta di calce, scarsamente
conservato, che potrebbe rappresentare il piano di calpestio relativo alle fasi di vita della cisterna B.
Manca la continuità fisica tra il pavimento (US 458) e la cisterna, ma al momento questa ipotesi
sembrerebbe l’unica valida.
Si è notato infatti come ad ogni intervento di riorganizzazione (si veda oltre) è associata una
pavimentazione dell’area antistante il palazzo, che ne sottolinea l’importanza.
Fase 3
Alla terza fase del periodo si ascrivono una serie di attività che determinano l’innalzamento del piano
di calpestio (US 458). Si tratta di attività connesse al focolare o ad azioni di vita quotidiana, ma si è
comunque preferito distinguerle in attività diverse. Nella stessa fase collochiamo anche in via
preliminare la costruzione di una struttura (SF2) e attività di riporto per il livellamento dell'area.
Attività 6: formazione strati di vissuto
Le US 488, 430 e 453 sono strati di vissuto in relazione, nel caso specifico delle ultime due, ad un
focolare, come dimostra il colore rossastro che le caratterizza derivante da un alterazione termica del
terreno.
L’US 488, non collegabile ad un’attività specifica, è uno strato di terra e pietre di piccole dimensioni
localizzato nell’area est del settore.
Attività 7: fossa US 508
Non ben interpretabile è la fossa US 508, individuata ad ovest del settore, caratterizzata da forma
ellissoidale con pareti oblique e profondità di circa 40 centimetri.
Il suo riempimento, US 509, è costituito da terreno friabile di colore marrone scuro.
Potrebbe trattarsi della fossa di fondazione del muro US 506, ma non possiamo al momento escludere
altre funzioni.
Attività 8: buca per alloggio di un palo US 459
Nell’area centrale del settore è stata scavata una buca (US 459) di forma circolare con pareti verticali
e profonda dai 35 ai 40 cm. Il riempimento (US 460) è costituito da terra limosa-sabbiosa di colore
marrone. Dopo averne asportato i primi 15 cm., si è notata una maggiore presenza di pietre di piccole
dimensioni. Potrebbe trattarsi di un alloggio per un palo ligneo; la limitata estensione del settore non
aiuta a ricondurre quest’azione ad un’attività connessa alla costruzione di una struttura in materiale
deperibile.
Attività 9: fossa US 456
Adiacente al muro US 333 è stata scavata una fossa (US 456), caratterizzata da una forma irregolare e
da un riempimento (US 455) ricco di materiale ceramico. Potrebbe trattarsi di una buca utilizzata
come butto.
Attività 10: distruzione cisterna B
La distruzione della cisterna è testimoniata dallo strato US 454 individuato a ovest del settore e
appoggiato sia al muro est della cisterna (US 333), sia al muro US 403 costruitovi sopra.
La perdita di funzione della cisterna sembrerebbe connessa ad un intervento distruttivo volontario,
probabilmente finalizzato alla costruzione di una nuova struttura della quale ancora è incerta la
funzione.
Quest’ ipotersi troverebbe conferma nella presenza, all’interno della cisterna, di uno strato composto
da sabbia mista a schegge di pietre e frammenti di malta (US 326). Potrebbe trattarsi cioè di materiale
risultante dalla demolizione della cisterna.
E’ probabile che i conci dei muri siano stati riutilizzati per la costruzione del nuovo edificio (SF2), e
gli scarti per riempire la cisterna.
La prosecuzione delle indagini in questa zona potrebbe fornire ulteriori e più chiari riferimenti
stratigrafici che contribuirebbero a chiarire la cronologia degli interventi connessi alla cisterna,
magari ponendo la costruzione della stessa in un periodo anteriore a quello attualmente proposto sulla
base dei dati disponibili.
Attività 11: struttura di incerta funzione
Sulla rasatura dei muri della cisterna è impostata una struttura (SF 2), non ancora indagata e di incerta
funzione, costituita dai muri 403 e 405.
L’US 403 si imposta sulla rasatura del muro US 333 ed ha andamento nord-sud. Il paramento est è
interamente ricoperto da uno strato di intonaco per cui risulta difficile la lettura della tessitura
muraria. Sembrerebbe però una solida struttura, infatti dalla cresta si vede che i conci sono legati da
uno spesso strato di malta.
Il muro US 405, ammorsato al muro US 403, si estende da est a ovest e presenta il paramento nord
intonacato (US 520); la tecnica costruttiva sembrerebbe del tutto simile a quella impiegata per la posa
in opera del muro US 403.
La funzione di questo edificio non è ancora chiara, ma potrebbe trattarsi di una struttura connessa alla
gestione delle risorse idriche.
Un’ulteriore ipotesi andrebbe avanzata per definire meglio la strutturazione dell’edificio: è probabile
che due dei muri della cisterna (US 322 e 395) siano stati inglobati nella struttura, infatti sono stati
rasati a un livello più alto rispetto agli altri due (US 333 e 518), ma soprattutto la loro rasatura è allo
stesso livello dei muri US 403 e 405.
Attività 12: livellamento e seconda pavimentazione in calce
In relazione alla struttura SF 2 sembrerebbero essere gli strati US 454, 424 e 352, connessi ad
un’attività volta alla riorganizzazione dell’area antistante il palazzo.
L’US 454 segna il momento in cui la cisterna perde la sua funzione e testimonia anche che nell’area è
avvenuta un’attività edilizia, probabilmente connessa all’edificazione dell’edificio SF 2.
Si tratta di uno strato di terra mista a frammenti di malta localizzato solo all’estremità sud-ovest del
settore, che si appoggia sia al muro US 333 che al muro US 403.
La seconda (US 424) è costituita da terra distesa omogeneamente su tutto il settore per creare un
livellamento per pavimentare l’area.
Sopra questo strato la pavimentazione (US 352) è stata realizzata con malta di calce distesa su gran
parte dell’area.
Il pavimento, molto usurato, non ha continuità fisica con l’edificio, ma la sequenza stratigrafica ci
offre spunti per supporre un rapporto diretto tra i due.
La limitata estensione del settore impedisce un’interpretazione più precisa dell’organizzazione
dell’area in questo periodo.
Attività 13: strato di vissuto
Sopra il pavimento US 352 è stato individuato uno strato di terra di colore rossastro interpretabile
come livello di vissuto relativo alle prime fasi di attività dell’edificio SF 2.
Periodo V
Fase 2
Attività’ 14: attività di cantiere
Sull’US 352 è stata individuata una complessa struttura connessa ad attività di cantiere, composta da
diverse unità stratigrafiche:
US 381, individuata a nord-ovest del settore, costituita da pochi mattoni disposti a formare un piccolo
piano di appoggio;
US 376, costituita da due accumuli di malta di calce residua, individuati nell’area centrale del settore,
sagomati sui bordi in modo da formare un argine di contenimento (US 375), rafforzato da pietre di
piccole dimensioni;
US 377, un blocco di pietra di forma cubica con gli angoli smussati, inserito nella struttura per creare
un piano di appoggio per la lavorazione della malta. Sulla superficie sono stati individuati evidenti
segni di lavorazione e tracce di usura perché il blocco emergeva dal pavimento sovrastante (US 350) e
faceva parte del piano di calpestio;
US 409, materiale residuo composto da malta e pietre, individuato nell’area nord-est del settore.
Possiamo forse associare questi interventi ad uno dei tanti momenti costruttivi del palazzo.
Attività 15: primo pavimento di calce
Due strati (US 363 e 350) definiscono un’attività articolata in due momenti il primo (US 363)
costituito da pietre di medie dimensioni e terra, è stato individuato su tutta l’area ed è interpretabile
come preparazione al pavimento in calce (US 350).
L’US 363 è molto importante perché è l’ultimo strato scavato che conteneva maiolica arcaica ed è
sigillato da due pavimenti, uno sotto (US 352) e uno sopra (US 350).
Attività 16: strati di vissuto sul pavimento 350
L’ US 354, individuata sopra il pavimento US 350, è uno strato di vissuto collegabile alle prime fasi di
vita del palazzo. Si estende quasi uniformemente su tutta la superficie del saggio e presenta un
notevole spessore. In superficie risulta rimaneggiato in seguito all’intervento di asportazione del
pavimento in mattoni (US 304 - si veda la relazione dell’area 300, settore A).
Non è escluso che possa essere stato utilizzato in seguito come preparazione al pavimento in pietra
318, ma non ci sono rapporti stratigrafici diretti che lo confermino.
Periodo III
Fase 1
Attività 17: stesura del pavimento in laterizi
A questa fase risale una profonda trasformazione dell’area; i muri dell’edificio SF 2 vengono rasati
(US 404) per livellare l’area al fine di agevolare la stesura del pavimento US 304 (si veda la relazione
dell’area 300, settore A). A tal proposito viene anche edificato il muro di contenimento US 487 (si
veda relazione area 300, settore C), che taglia il muro US 403 dell’edificio SF 2.
Una piccola porzione del pavimento US 304, individuato nell’area nord-est del settore, testimonia che
tutta l’area antistante il palazzo doveva essere pavimentata.
Periodo I
Fase 1
Attività 18: attività di riporto di terreno
Su tutta l’area è stato individuato uno strato (US 334), che in parte copriva il pavimento US 304 ai
piedi della pedana d’accesso al palazzo. E’ uno strato di notevole spessore, legato ad un’attività di
riporto di terra che riempie il taglio praticato per asportare i mattoni del pavimento.
Quest’attività ha compromesso in parte anche lo strato sottostante (US 354) nel quale infatti sono stati
rinvenuti frammenti di ceramica moderna.
Teresa Cavallo
AREA 300: SETTORE C
Il settore C dell' area 300, scavato parzialmente durante la campagna 2000, è situato ad ovest dell'area
signorile, nei pressi della seconda cisterna, ed è stato determinato dall'allargamento del settore B.
Analizzando la morfologia del settore, è da evidenziare una lieve pendenza a partire dalla torre
quadrangolare ovest posta a lato del palazzo (area 200), che si estende fino alle murature US 432 e US
487 che ne delimitano il margine sud.
Tutta l'area del settore C era ricoperta da uno spesso strato di humus (US 300), costituito da terra di
riporto. L'assenza di livelli di crollo suggerisce una continua riutilizzazione di materiale costruttivo di
reimpiego, dovuto anche all'ininterrotta occupazione del sito.
Asportato lo strato di humus, sono emerse le creste dei muri di alcuni vani; di particolare interesse un
ambiente di forma quadrangolare definito dalle US 432, 435, 437 e 434 (ambiente A). A fianco di
questo edificio l'incrocio casuale delle murature US 487, 497 e 434 delimita un piccolo vano di forma
trapezoidale (ambiente B), di incerta funzionalità.
Nel corso della campagna di scavo 2000 sono state individuate nel settore circa 50 unità stratigrafiche,
datate dalla metà del XII secolo al XIX secolo circa. Manca totalmente documentazione archeologica
relativa al VII periodo (Tavv. 4-5).
Periodo VI
Fase 1
Attività 1: Costruzione dell'edificio romanico
Le prime tracce di insediamento individuate sono costituite da resti di murature (US 432, 436, 448)
relative a un edificio che probabilmente faceva parte delle strutture che circondavano il recinto
romanico. La tecnica costruttiva è molto simile sia a questo che ad alcune porzioni di cinta muraria.
Le murature sono costituite infatti da bozze di pietra di varie dimensioni e con superfici lavorate, i
corsi sono regolari e la faccia a vista è abbastanza curata.
L'edificio ha una pianta quadrangolare ed era composto in origine da uno o più piani rialzati, come si
desume dalla presenza di tre buche pontaie (US 450, 451, 452) individuate sul paramento esterno del
muro romanico (US 432), ad un'altezza di circa un metro dall'attuale livello del terreno.
E' stata individuata anche un'apertura (US 436), che probabilmente costituisce un'articolazione
interna dell'edificio, di cui si conserva intatto lo stipite nord costituito da conci di pietra lavorati a
nastrino.
L'assenza sul lato nord di murature contemporanee rende incompleta la lettura delle reali dimensioni
dell'edificio.
Insieme allo studio delle murature è in corso di scavo la parte interna dell'edificio, che finora non ha
restituito documentazione archeologica relativa a strati di vita attribuibili a questo periodo.
In via del tutto preliminare potremmo interpretare questo edificio come parte di un sistema di lotti
disposti a raggera che trova analogie in altri casi scavati in Toscana, e in particolare a Rocca San
Silvestro (si veda BIANCHI 1995, p. 379).
Periodo V
Fase 1
Attività 2: Abbandono dell'edificio
In un momento successivo l'edificio romanico subì notevoli trasformazioni dovute a cause naturali e
antropiche, in particolare un'asportazione o una frana del paramento interno (US 441). Si ipotizza
inoltre una regolarizzazione delle creste delle altre murature, sicuramente di natura antropica.
Fase 2
Attività 3: Ristrutturazione dell'edificio
Successivamente vengono costruiti i muri US 437, 446, 468, che ridefiniscono il perimetro
dell'ambiente romanico. L'accesso a questo nuovo edificio forse era ancora costituito dall'US 436,
cioè la porta dell'edificio romanico.
La tecnica utilizzata nella costruzione delle murature è del tipo con bozze di pietra poco lavorate, di
varie dimensioni e organizzate in corsi abbastanza regolari; il loro consistente spessore (circa 70
cm.), sottolinea il fatto che questo edificio avesse un discreto elevato, composto da uno o più piani
rialzati.
Lo scavo della parte interna non ha raggiunto ancora livelli di vita riferibili a questa fase e verrà
ultimato durante la prossima campagna.
Periodo IV
Fase 1
Attività 4: Costruzione di una casa a tre piani
Ad ovest dell'ambiente romanico lo sviluppo edilizio di questo periodo è rappresentato dalla
costruzione di un edificio articolato su tre piani di notevoli dimensioni, come documentano le US
435, 496 e le murature conservate ad ovest di queste.
L'US 435 che tampona l'apertura del precedente edificio (US 436), costituisce il muro est della casa e
insieme all'US 496 ne definisce l'angolo nord-est. La tecnica muraria è costituita da blocchi di pietra
irregolari e non lavorati, posti in opera con malta e zeppe di laterizio, disposti a formare corsi
sub-paralleli.
Attività 5: Costruzione cisterna C
Viene costruita nello stesso periodo anche la cisterna C al momento non scavata, e la pedana che vi
consentiva l'accesso (US 439) addossata al muro est (US 435) della casa. La pedana ha una struttura
circolare, posta in opera con pietre e malta a formare uno o più gradini.
Attività 6: Costruzione di un ambiente di servizio
Sono ascrivibili in questa fase le murature US 433, 434 e 440 che si impostano sulla struttura
precedente e definiscono un ambiente di servizio della casa.
La struttura ha una pianta quadrangolare ed è costituita da bozze di pietra non lavorate e zeppe di
laterizio, legate da malta, disposte in corsi non regolari. Lo spessore delle murature è di 40 cm. circa.
E' ipotizzabile quindi che avesse un modesto elevato, limitato a un unico piano, dovuto anche alla
marginalità delle funzioni che ricopriva.
Attività 7: Pavimentazione in mattoni dell'ambiente di servizio
Lo scavo della parte interna ha restituito una documentazione relativa a vari strati (US 514, 484, 476,
477, 543). L'US 514 è un probabile riempimento per livellare la zona su cui è impostata la
preparazione in malta di calce (US 484) al pavimento in mattoni, di cui si conservano due piccole
porzioni (US 476, 477), ma che in origine ricopriva l'intero ambiente. I mattoni che lo costituiscono
hanno dimensioni variabili e solo alcuni si sono conservati intatti.
Attività 8: Uso della pavimentazione
Sulla superficie dei mattoni conservati sono visibili tracce di usura (US 543).
Attività 9: Crollo del tetto
Probabilmente in questa fase il tetto crolla e l'ambiente rimane scoperto, documentato dal
conseguente ritrovamento di resti di focolare.
Fase 2
Attività 10: Realizzazione di un focolare
Addossati al lato nord dell'ambiente A sono emersi i resti di un focolare (US 478): due pietre e due
mattoni disposti a formare un contenimento per il fuoco. Una delle due pietre presenta una forma che
richiama quella di un proiettile per catapulta.
E' stato documentato anche un taglio di forma pseudo-rettangolare profondo circa 15 cm. (US 502),
interpretato come buca per l'alloggio di un palo ligneo, con funzioni inerenti all'attività del focolare. Il
taglio è riempito dall'US 503, di matrice terrosa, al cui interno si conservano le zeppe in pietra e
laterizio poste ad assicurare la stabilità del palo (Fig. 7).
Attività 11: Strati di vita del focolare
L'uso del focolare è testimoniato da una serie di lenti di cenere e terra bruciata con frammenti di ossa,
ferro, bronzo, ceramica e vetro (US 482=495, 475=479), localizzate nell'area ovest dell'ambiente A.
Fase 3
Attività 12: Distruzione dell'ambiente di servizio
In questa fase l'ambiente di servizio subisce notevoli trasformazioni, dovute alla distruzione per cause
incerte delle murature US 433, 434, 440.
Attività 13: Fossa per palizzata
E' riferibile a questa fase anche una fossa a forma di L (US 480) eseguita lungo le murature 435 e 468,
profonda circa 50 cm. e larga circa 30, la cui funzione era forse quella di sorreggere una palizzata che
sostituiva le precedenti murature e circoscriveva un ambiente non coperto da tetto.
Attività 14: Riempimento dell'ambiente e della fossa
La fossa è riempita dall'US 481, costituita da terra, sabbia, calce e malta; al loro interno sono stati
individuati ossa, materiale ferroso, ceramica e carbone.
Fase 4
Attività 15: Abbandono dell'ambiente A
L'ambiente A viene definitivamente abbandonato e riempito dall'US 429, strato omogeneamente
disteso su tutta l' area, composto da grumi di calce, piccole pietre, terra, ossa, vetro, metalli e
frammenti di maiolica arcaica.
Periodo III
Fase 1
In questo periodo il settore C è interessato da una serie di attività che sconvolgono la precedente
situazione.
Attività 16: Ridefinizione del settore C
Viene costruita la struttura in muratura US 487, costituita da pietre di medie dimensioni e zeppe di
laterizio poste in opera con una tecnica alquanto sommaria, che si appoggia al muro est dell'ambiente
romanico e si estende fino alle murature US 405 e 403, poste a sud della cisterna B, per ottenere un
livellamento dell'area.
Attività 17: Pavimentazione dell'area sommitale
Sull'area livellata viene impostata una pavimentazione in mattoni, disposti a spina di pesce (US 512,
304), che originariamente ricopriva tutta l'area antistante e ad ovest del palazzo, ad eccezione
probabilmente dell'ambiente A, dal momento che un piccolo lacerto di questa (US 354) si appoggia
all'US 440.
Attività 18: Costruzione muro US 497
Un'ulteriore attività costruttiva di incerta funzione è costituita dall'US 497, localizzata a metà della
lunghezza dell'US 487, con la quale forma un angolo di 90 gradi. E' realizzata con bozze di pietra
senza l'impiego di legante.
Attività 19: Riempimenti ambiente B
All'interno dell'ambiente B sono stati individuati due strati che lo riempiono (US 498, 505). Il primo è
costituito da pietre di piccole dimensioni, terreno molto ceneroso e ricco di ceramica, malta, chiodi di
ferro, ossa, materiale organico e monete. Lo studio dei materiali ceramici rinvenuti al suo interno ha
fornito una datazione riferibile all'ultimo terzo del XVI secolo.
La sottostante US 505 è di colore grigio e presenta al suo interno pietre di medie dimensioni, carbone,
materiale organico, malta, coppi, ceramica, vetro e materiale ferroso a coprire direttamente la roccia,
che si presenta qui molto irregolare e scoscesa.
Periodo I
Fase 1
Attività 20: Asportazione della pavimentazione a spina di pesce
Si inserisce in questo periodo di abbandoni e crolli finali l'asportazione dell'imponente
pavimentazione in mattoni (US 304, 512), che ricopriva l'area antistante e ad ovest del palazzo, e la
rasatura (US 527) dell'US 497.
Luca Giustarini
AREA 200 - LA TORRE OVEST E RIFERIMENTI ALL'AREA DEL PALAZZO
Una delle strutture indagate durante la campagna di scavo svoltasi nel 1997 è la torre ovest, situata
nella porzione occidentale del sito e denominata area 200.
Recenti crolli hanno probabilmente contribuito alla distruzione di parte delle strutture murarie; ciò è
provato da una foto che risale ai primi decenni del novecento, perciò si conserva solo in parte.
E’ stato scavato l'interno della torre delimitata dai muri US 221, 222, 223, 224. La zona antistante in
direzione ovest deve essere ancora indagata perciò non si può sapere se vi siano strutture sepolte
ricollegabili alla torre che fornirebbero una visione più completa della topografia dell'area.
Nel tentativo di comprendere meglio le fasi di trasformazione della torre e il ruolo svolto da essa
all'interno dell'insediamento è necessario partire dall'impianto (Tav. 6).
Periodo VII
Fase 3
Attività 1: costruzione torre ovest
A questo periodo risale la costruzione della torre ovest a base leggermente trapezoidale realizzata in
conci di pietre sommariamente squadrate delle dimensioni medie di 37 cm di lunghezza e di 23 cm di
larghezza. Il castello si presentava già con forti connotati militari ed era delimitato probabilmente
(vedi relazione area 300 settore B) da un piccolo recinto (US 422) con ai lati la torre ovest e la torre
est. Sono visibili notevoli differenze tra le due torri già dalla loro fondazione. Infatti la torre est è stata
costruita con una perizia tecnica che fa supporre l'arrivo di maestranze specializzate che potevano
produrre murature di ottima fattura (vedi relazione area 1).
I conci di pietre della torre ovest sono invece sommariamente squadrati, di grandi dimensioni, e la
loro posa in opera non è stata curata con la stessa precisione; infatti sia i giunti che i letti di posa sono
molto più larghi. Lo spessore dei muri è di circa 1.60 m e l’interno della torre è un trapezio di 3.39 m,
3.29 m, 3.13 m, 2.76 m. con una pavimentazione composta da uno strato di malta e calce (US 213) che
ritroviamo soltanto lungo i margini delle murature. Queste caratteristiche fanno supporre l'impiego di
maestranze locali (Tav. 7).
Periodo VI
Fase 1
Attività 2: costruzione del recinto romanico
Fra le due torri viene costruito un grande recinto con il perimetro corrispondente a quello dell'attuale
palazzo e proprio lungo il fianco nord (US 36) e sud (US 302) sono stati individuati lacerti di
muratura conservati soltanto nella porzione inferiore. I conci di pietra sono squadrati, di medie
dimensioni, disposti a formare corsi orizzontali molto regolari.
Attività 3: interventi sulla torre
In seguito ad un crollo o ad un intervento antropico la torre ovest e il recinto furono regolarizzati (US
225, US 226, US 227, US 228, US 537) per poterli ricostruire (Tav.7).
Fase 3
Attività 4: restauro della torre ovest e del recinto
La ricostruzione della torre e del recinto (US 203, US 204, US 207, US 208, US 535) è
particolarmente evidente nella parte alta e nell’angolo sud-ovest del palazzo; le murature sono
caratterizzate da corsi sottili e da conci di pietra di dimensioni più piccole rispetto alle murature
precedenti (si veda più avanti contributo sulle murature). E’ sempre riferita a quest'attività la
costruzione di una porta di accesso (US 210) di forma rettangolare situata nel prospetto est della torre
(vedi anche Fig. 9).
L'apertura permetteva il passaggio dalla torre all’interno del recinto.
Periodo V
Fase 1
Attività 5: distruzione del recinto
Gran parte delle strutture costruite nel periodo precedente viene adesso distrutta per cause a noi
sconosciute.
Tutto ciò è documentato dai tagli chiaramente visibili dei muri US 302, 535 e 36.
Nell’analizzare le strutture murarie dell’attuale palazzo notiamo che si sono conservati soltanto alcuni
corsi dei paramenti nord e sud del vecchio recinto. Invece la parte di muratura meglio conservata in
elevato è quella che forma l’angolo che collega il paramento sud (US 302) con la torre ovest (vedi
anche Figg. 13 e 14 e testo corrispondente).
Tutto questo fa pensare ad un evento distruttivo che provocò crolli di grande portata (forse un
terremoto).
Fase 2
Attività 6: costruzione del palazzo
Viene costruito il palazzo che tuttora si conserva nella sua originaria monumentalità. La struttura si
imposta sulle precedenti murature del recinto. Quest’opera deve aver richiesto costi particolarmente
elevati ed una chiara progettazione, per cui pensiamo all'impiego di maestranze specializzate. Il
palazzo è composto da due piani che si individuano chiaramente nel paramento sud (US 340). I conci
di pietra sono squadrati e la loro posa in opera è regolare; nel paramento sud sono visibili alcuni
frammenti di laterizi (vedi relazione tecniche murarie).
Periodo III
Fase 1
Attività 7: costruzione rampa
In questo periodo probabilmente, anche in mancanza di sicuri elementi datanti, viene costruita la
rampa di accesso al secondo piano del palazzo formata da gradini in pietra legati con malta di calce; la
struttura è situata presso l'angolo sud-ovest dell' edificio.
Fase 2
Attività 8: butto torre ovest
La porta d'accesso alla torre (US 210) viene tamponata forse in questo momento con conci di pietre
che all'interno della torre sono disposti in modo incoerente mentre sul fronte che dà sull'interno del
palazzo seguono l'andamento della muratura con disposizione regolare dei conci.
La torre, che ormai ha perso il suo ruolo difensivo originario, viene adesso utilizzata come butto (US
214). Nello strato di terra, argillosa al centro e sabbiosa ai lati, è stata ritrovata una notevole quantità
di reperti.
Periodo I
Fase 2
Attività 9: abbandono e crollo
Si assiste all'abbandono definitivo delle strutture e al crollo di gran parte di esse.
Per quanto riguarda la torre ovest, essa si conserva in elevato nei punti più alti per alcuni metri.
Serena Zuccherini
LE TECNICHE COSTRUTTIVE MEDIEVALI: MATERIALI PER UNA TIPOLOGIA
Una prima indagine sugli elevati di Selvena è stata condotta durante la campagna 1997 a cura di
Giovanna Bianchi che ha interessato per lo più il palazzo e il muro di cinta dell'area sommitale. In
questa sede si intende presentare una serie di campioni di tecniche costruttive funzionale alla
creazione di una vera e propria tipologia da confrontare con gli altri castelli del territorio circostante
Le tecniche campionate vengono raggruppate per fasce cronologiche. Le datazioni sono preliminari,
pertanto mantengono margini piuttosto larghi. Le prime tre, per le loro somiglianze, si possono
posizionare cronologicamente nell'arco di tempo che va dalla fine dell'XI alla metà del XII nel
seguente ordine: torre est, recinto, torre ovest. Quest'accuratezza nella tessitura viene in parte meno
nelle tecniche 4-7 che possiamo collocare fra la metà del XII e la fine XIII, per diminuire
ulteriormente nelle ultime due (8-9).
MURATURE ROMANICHE
Tecnica 1 : Rinvenuta nella torre est, è costituita da un'apparecchiatura regolare con conci
perfettamente squadrati di notevoli dimensioni disposti a corsi orizzontali e paralleli. Le pietre, con
una media di cm 48 in lunghezza per cm 28 in altezza, sono di calcare locale, lavorate a subbia e
scalpello. Il legante è costituito da malta di calce di color grigio; abbastanza dilavata, si è conservata
soltanto nella porzione sud in giunti sottilissimi. La tecnica così curata è sicuramente opera di
maestranze venute da fuori, forse da un centro urbano (Tav. 8.1).
Tecnica 2: Vicino alla torre est si conservano tracce di un piccolo recinto costruito forse nello stesso
periodo della torre. L’apparecchiatura è composta da conci in pietra calcarea, non rifiniti e non molto
squadrati con una misura media di cm 30 in lunghezza per cm 14 in altezza. Le pietre così sbozzate
sono poste in corsi sfalsati e legati con malta di calce. Occorre sottolineare che i giunti sono più
dilavati e più larghi rispetto alla torre est (Tav. 8.3).
Tecnica 3: Questa tecnica caratterizza la torre ovest, costruita poco dopo quella est. Costituita da
grossi conci di calcare locale, con dimensioni medie cm 37 in lunghezza per cm 23 in altezza, si
presenta meno curata rispetto all’altra torre. Le pietre, infatti, sono abbastanza lavorate ma senza
rispettare il dettaglio della prima. I giunti, inoltre, sono più larghi rispetto a quella est, con un
accentuato dilavamento. Nel complesso l’apparecchiatura è regolare in quanto presenta pietre
abbastanza squadrate con superfici lavorate a subbia poste in corsi orizzontali (Tav. 7).
Tecnica 4: Costituita da blocchi di calcare squadrati con misure medie di cm 26 in lunghezza per cm
18 in altezza, questa tecnica ha un'apparecchiatura regolare composta da corsi orizzontali e paralleli.
Le pietre, alcune delle quali messe in posizione verticale, sono rifinite a subbia mentre i giunti con lo
spessore di cm 2-3 e i letti di posa di cm 2-4 di altezza, sono slavati. La tecnica descritta è visibile nel
recinto che collega la torre est con la ovest e nella cinta muraria accanto alla torre pentagonale (Fig.
9).
Tecnica 5: Tipico di questa tecnica è il muro 432 caratterizzato da grossi conci non perfettamente
squadrati ma allineati orizzontalmente ed in file parallele. I conci di pietra calcarea non hanno
superfici spianate e sono di diversa grandezza, con una misura media di cm 28 in lunghezza x cm 18
in altezza. Nella maggior parte della struttura la malta risulta abbastanza compatta, i giunti infatti non
sono molto dilavati ma più larghi rispetto alle altre tecniche (Tav. 8.2).
Tecnica 6: L'apparecchiatura è costituita da conci squadrati di forma rettangolare lavorati a subbia e
disposti in corsi paralleli. La caratteristica di questa tecnica, oltre al sottile spessore delle pietre, è la
presenza di filari sottilissimi che evidenziano la scansione delle giornate lavorative. Come per la
maggior parte delle tecniche, i giunti ed i letti di posa sono dilavati. Si trova nella porzione di
muratura a ovest nella facciata sud del palazzo, nella parte alta della torre ovest ed in un edificio posto
a nord, ancora in corso di studio (Tav. 7, Fig. 8-9).
Tecnica 7: La torre pentagonale, eretta alla metà del XIII secolo, differisce per caratteristiche
costruttive dalle precedenti tecniche. Occorre evidenziare le differenze che intercorrono tra il
cantonale ed il paramento; per quanto riguarda il primo i blocchi squadrati (base cm 55, altezza cm
18-25, profondità cm 20-25) sono ammorsati regolarmente e rifiniti a subbia con tracce di scalpello. Il
paramento è caratterizzato da bugne con nastrino (cm 3-5) rifinite a scalpello. Questi conci sono
alternati ad altri squadrati e finiti con la stessa tecnica del cantonale. L’apparecchiatura regolare ha
l’altezza di filari degradanti verso l’alto con un’alternanza di conci più grossi; nella parte bassa le
pietre sono più quadrate mentre in quella alta tendono ad avere una forma rettangolare. I giunti ed i
letti di posa, con dimensioni variabili tra cm 1 e 2, sono lisciati in quanto la malta di calce ha una
buona coesione. Come ultima cosa occorre ricordare che sia qui che nel palazzo sono ancora leggibili
le tracce delle buche pontaie allineate regolarmente (Tav. 8.4).
MURATURE BASSOMEDIEVALI
Tecnica 8 : L'apparecchiatura muraria è caratterizzata da corsi orizzontali, composta da conci non
perfettamente squadrati e di dimensioni variabili soprattutto per quanto riguarda la lunghezza che
oscilla da un minimo di cm 16 ad un massimo di cm 33, mentre l'altezza varia da un massimo di cm
22 ad un minimo di cm 15. Il materiale calcareo normalmente si presenta di colore grigio che può
variare su tonalità che vanno dall'ocra al rossastro causa la presenza di ossidi di ferro. Oltre a questi
conci ci sono dei laterizi che fungono da piccole zeppe. I giunti sono molto dilatati ma in alcuni casi
sono rifluenti con spessori di cm 2-4 come per i letti di posa. Occorre dire, inoltre, che questa tecnica
è caratterizzata dalla minore altezza dei filari. E' visibile nella facciata esterna del palazzo (Fig. 9).
Tecnica 9: Caratteristica di questa tecnica è la parte alta del palazzo, costituita da pietre non ben
squadrate e messe in opera in modo sfalsato. Si alternano conci grossi a conci più piccoli con nette
variazioni di colore anche per la presenza di laterizi. Sia i giunti che i letti di posa avendo notevoli
dimensioni sono molto dilavati. La tecnica oltre che nel palazzo, è visibile anche nella scala posta ad
ovest dell'edificio (Fig. 9).
Silvia Savelli
RELAZIONE PRELIMINARE SUI RESTI FAUNISTICI RINVENUTI NEL LO SCAVO DI
ROCCA SILVANA
Durante la campagna di scavo dell’anno 2000 oltre alla gran quantità di materiali di origine antropica,
rinvenuta nei saggi di scavo, degno di nota è sicuramente anche il gran numero di reperti osteologici
animali recuperati.
Sono stati conteggiati 3837 frammenti, considerando sia quelli per i quali è possibile fare una
determinazione delle specie di appartenenza sia quelli che non è possibile attribuire a nessun taxa a
causa dell’alto grado di frammentarietà che presentano.
Si tratta di un campione consistente che, insieme alle altre categorie di reperti, testimonia la proficuità
della campagna 2000 come era stato sottolineato già durante lo scavo. Questo dato è tanto più
significativo tenuto conto che il recupero dei materiali è avvenuto prevalentemente a vista: l’uso di
setacci è stato limitato a quelle situazioni in cui l'affidabilità stratigrafica era giudicata maggiore.
In questi casi, la rappresentatività del campione potrebbe subire delle distorsioni, tuttavia si è ritenuto
trascurabile questo fenomeno in considerazione del fatto che il buono stato di conservazione in cui si
presentano i frammenti permette comunque uno studio esaustivo.
E infatti già durante le procedure di immagazzinamento ed il relativo conteggio dei reperti è stato
possibile il riconoscimento di alcune specie presenti, grazie a caratteri particolari riscontrabili sugli
elementi ossei meglio conservati. La distinzione delle specie domestiche e di quelle selvatiche appare
quindi il primo elemento di analisi. Scendendo gradualmente nel dettaglio dello studio, sarà
interessante capire che apporto davano alcune tra le specie domestiche individuate in termini di forza
lavoro (animali da traino o da soma), o come risorse alimentari di carne, latte, uova: tra esse si
menzionano bovini, suini, caprovini, pollame. Nel caso invece delle specie selvatiche al momento
individuate (cervo, lepre, cinghiale) lo studio sarà indirizzato, per quanto sia possibile ricavare da
eventuali tracce sui frammenti o da documenti d’archivio, all’attività venatoria, cercando di capire
verso quali animali di preferenza si indirizzava la caccia e se questa fosse consentita ad ogni classe
sociale oppure riservata alla nobiltà.
Non saranno da trascurare anche altre specie animali quali pesci, molluschi marini e terrestri,
tartarughe, che sono risultate presenti anche se in misura minore e che erano già state rinvenute anche
in altri contesti medievali (per questo aspetto si fa riferimento a BEDINI 1987).
Altri saranno poi gli obiettivi che si prefigge lo studio zooarcheologico di Rocca Silvana. Tra questi
rientrano l’individuazione delle tracce di scarnificazione sulle ossa, che serviranno per confrontare
varie tecniche di macellazione. Da questo stesso esame si potrà anche capire quali parti dell’animale
venissero usate e in che modo.
Anche l’individuazione di elementi ossei lavorati dall’uomo è un altro interessante aspetto della
ricerca,che mette in primo piano la realizzazione di utensili d’uso quotidiano che utilizzavano l’osso
come parte integrante dell’oggetto: il ritrovamento di un frammento di corno di cervo che presente
tracce di lavorazione fa presupporre la preparazione per una immanicatura di coltello. Anche per la
realizzazione di armi, l’osso trovava impiego: il caso di Rocca Silvana è quello della balestra in cui
l’osso era utilizzato sotto forma di un disco sagomato, intaccato superiormente, che serviva per
scoccare il dardo: questo elemento prende il nome di noce (Tav. 9). Qui l’osso era l’alternativa al più
costoso bronzo.
Ultimo ma non meno importante sarà lo studio delle differenze sociali fra coloro che abitavano il
cassero e coloro che invece vivevano nel borgo. Le stratificazioni sociali infatti sono riscontrabili
anche attraverso una presunta diversità di dieta, testimoniata da resti ossei animali (avanzi di pasto).
Quest’ultimo aspetto potrà comunque essere ben analizzato solo in seguito ad un confronto tra i dati
provenienti dal borgo con quelli rinvenuti nel cassero, al momento unica zona indagata.
Emilio Baldi
I MATERIALI MEDIEVALI
Introduzione
Un primo esame complessivo dei reperti ceramici provenienti dallo scavo di Rocca Silvana ha lo
scopo di fornire cronologie attendibili per le stratigrafie rinvenute. Lo studio ha interessato materiali
medievali e moderni (che verranno analizzati nel successivo intervento) provenienti dall’area 300
settore B e C. Qui ci occuperemo dei reperti ceramici medievali. L’area 300 settore B restituisce la
maggior parte dei materiali in un contesto stratigrafico sigillato dal pavimento US 350 relativo al
periodo VI e collocabile cronologicamente tra la metà del XII secolo e la fine del XIII. Negli strati
superiori l’infiltrazione di materiale moderno, dovuta alla continuità di fasi di vita del sito, pone seri
problemi di affidabilità stratigrafica. La ceramica rinvenuta nel settore C dell’area 300, negli strati che
coprono il pavimento US 476 e nello strato ad esso sottostante (US 514), è caratterizzata da una
percentuale più elevata di acroma grezza e maiolica arcaica. Una prima analisi delle forme colloca la
formazione di questi strati intorno alla metà del XIV secolo, senza la possibilità di ulteriori e più
precise scansioni cronologiche, data l’uniformità tipologica dei materiali.
Quali siano stati i maggiori centri di produzione delle ceramiche di Rocca Silvana è un problema
ancora tutto da definire a causa della particolare posizione geografica del castello, posto a cerniera tra
le aree di influenza senese e umbro - laziale, come mostra anche una prima analisi della maiolica
arcaica. Un successivo studio degli impasti, delle forme e delle decorazioni aprirà la strada a ricerche
più puntuali sui centri di produzione, ivi inclusi eventuali punti intermedi fra i centri maggiori.
L’ACROMA GREZZA.
La ceramica acroma da cucina è la classe maggiormente attestata nelle stratigrafie delle aree indagate.
L’assenza di forme integre costringe, in questo primo contributo, a formulare ipotesi prudenti
passibili di future revisioni. Le forme ricostruite mostrano un’alta percentuale di olle con
caratteristiche tecniche di buon livello, tracce di lavorazione al tornio veloce e pareti lisciate. Un dato
importante da segnalare è una forte standardizzazione delle forme degli orli restituiti dagli strati
superficiali e prodotti contestualmente alla maiolica arcaica rispetto agli strati intermedi dove è
possibile notare una maggiore articolazione delle forme. La variazione dei diametri è notevole: da
13,4 cm a 30,2 cm, prevalgono comunque olle di medie dimensioni, nella maggior parte dei casi prive
di anse.
Il tipo 1, Tav. 10.1 (US 454), presenta un orlo arrotondato molto estroflesso ed è simile ad altri,
prodotti in area pisana, relativi a stratigrafie di X-XII e XIII secolo (BRUNI et alii 1993, pag. 436 n°
36). Il tipo 2, Tav.10.2-3 (US 514), con corpo globulare e orlo svasato è confrontabile con esemplari
rinvenuti a Grosseto (FRANCOVICH, GELICHI 1980a, tav. 18.94), a Castel di Pietra
(FRANCOVICH et alii 1999, pag. 158, tav.1.4-5) e a Rocchette Pannocchieschi (BIANCHI et alii
1994, tav.II.5), databili al XIV secolo. Il tipo 3, Tav. 10.4 (US 393), con orlo piano, non è legato
strettamente ad un ambito cronologico ben determinato. Esemplari simili sono stati rinvenuti Rocca
Silvana in contesti di fine XIII - prima metà XIV e si possono confrontare con altri provenienti da San
Silvestro (FRANCOVICH, GELICHI, PARENTI 1980, pag. 26, fig. 19. 13-14), da Montarrenti
(RONCAGLIA 1986, pag. 272, fig. 2.7) e da Pisa (BRUNI et alii 1993, pag. 436 MFAC. 40, pag. 437
MFAC. 48, pag. 441 MFAC. 71). Infine il tipo 4, Tav. 10.5-6-7, con orlo estroflesso e squadrato è una
forma molto diffusa all’interno del castello, che si diffonde a Selvena contemporaneamente alla
maiolica arcaica. Una conferma della cronologia di questo tipo che si avvicina al più comune orlo ad
arpione peraltro non presente a Selvena, viene dai contesti trecenteschi di Montemassi (BOLDRINI,
GRASSI 2000, pag. 200, tav. V, 8)
Tra le forme aperte numerosi sono i testi rinvenuti, di fattura variabile. Una prima analisi consente di
distinguere esemplari di produzione casalinga, caratterizzati da impasti teneri con grandi inclusi, da
altri di produzione "industriale" eseguiti al tornio. Il tipo 1, Tav. 10.8-9, con orlo arrotondato, pareti
basse e forte spessore del fondo e delle pareti, è confrontabile con forme rinvenute in contesti di
XII-XIII secolo in area grossetana (FRANCOVICH, GELICHI 1980a, pag. 105 tav. 20.2, pag. 109
tav. 21.34, pag. 123 tav. 25.3) e pisana (BRUNI et alii, 1993, pag. 462 MFAA. 38). Il tipo 2, Tav.
10.10, con orlo arrotondato e pareti alte, si può confrontare con i testi di Grosseto (FRANCOVICH,
GELICHI 1980, pag. 109 tav. 21 fig. 35, pag. 131 tav. 29 fig. 1) e Montarrenti (RONCAGLIA 1986,
pag. 271 fig. 1.9), databili al XIII secolo. Il tipo 3, Tav. 10.11, si distingue dagli altri tipi per l’orlo
piano, le pareti alte poco inclinate e le grandi dimensioni (diam. all’orlo 30/40 cm). Al momento non
sono riscontrabili forme simili, qui emerse da stratigrafie di periodo V (XIV secolo) e VI (metà
XIV-inizi XV secolo). La evidente differenza tra il tipo 3 e i tipi 1 e 2 fa ipotizzare una fase di
passaggio verso la forma più complessa del tegame.
L’ACROMA DEPURATA
Il problema che si è presentato per lo studio della ceramica acroma depurata è stato quello
dell’estrema frammentarietà dei reperti. Ciò ha reso difficile una completa ricostruzione delle forme a
causa dell’assenza di elementi tipologizzanti e per la somiglianza degli impasti, ad una prima analisi
macroscopica. Un dato da non trascurare è la presenza relativamente bassa (12,44% dei reperti) di
depurata rinvenuta presso Rocca Silvana, comprensibile in contesti altomedievali, ma di complessa
soluzione per i secoli successivi.
L’esiguo numero delle forme ricostruibili è ascrivibile a contesti di seconda metà del XII–fine del XIII
secolo rinvenuti nelle US 424, 453, 509, 525, documentate nella campagna di scavo 2000. Nonostante
ciò è stato possibile individuare tre boccaletti forse trilobati (US 453, 509), simili tra loro, con orlo
assottigliato e corpo globulare, di circa 10 cm di diametro (Tav.11. 15-16-17). Al momento non sono
stati trovati confronti con altri esemplari. L’US 525 restituisce un frammento di fondo di un boccale di
corpo troncoconico, probabilmente impiegato per la conservazione di liquidi (Tav. 11.18).
Il rinvenimento di frammenti di anse, Tav. 11.19-20-21 (US 424,453), di larghezza variabile tra i 4 e
i 6 cm., permette di ipotizzare l’appartenenza a brocche di medie e grandi dimensioni (si veda quanto
detto in FRANCOVICH et alii 1999, pag. 160). Il futuro approfondimento sullo studio degli impasti
permetterà una quantificazione del numero minimo delle forme, al momento sconosciuto.
L’INVETRIATA DA CUCINA
La percentuale di ceramica invetriata da cucina emersa durante le campagne di scavo è molto bassa
(0,34%) ma i reperti rinvenuti hanno permesso una esatta ricostruzione delle forme e l’individuazione
di tre tipi presenti in contesti dell’area maremmana ascrivibili al XIV secolo. Il tipo 1, Tav. 11.12 (US
514), con orlo confluente, parete inclinata, presa a linguetta e spessa vetrina verde chiara, è simile ad
un esemplare rinvenuto a Castel di Pietra (GRASSI 1999, tav. 1.1) datato al XIV secolo. Il tipo 2, Tav.
11.13, con orlo arrotondato ripiegato all’interno, corpo emisferico, fondo convesso, presa a linguetta e
spessa vetrina marrone, al momento non trova confronti con altri esempi noti ma proviene da uno
strato (US 514) di periodo IV datato tra la seconda metà del XIV – inizi XV secolo (per le
caratteristiche del fondo e della presa può essere associato alla forma del tegame edito in GRASSI
1999, pag. 431 tav. 1.2). Il tegame di tipo 3, Tav. 11.14 (US 354), totalmente ricostruito, con orlo
dritto e labbro arrotondato, corpo troncoconico, fondo piano, vetrina marrone lucida interna con
colature esterne e due anse a nastro, è confrontabile con quello rinvenuto a Castel di Pietra
(FRANCOVICH et alii 1999, tav. 2.7).
LA MAIOLICA ARCAICA
La restituzione di questo tipo di ceramica è al momento relativamente bassa (11,94%), e non è stata
possibile una ricostruzione del profilo morfologico delle forme. I reperti rinvenuti, per la maggior
parte pareti, hanno evidenziato la predominanza di forme chiuse tipiche di contesti relativi alla prima
metà del XIV secolo. Ad una prima analisi degli impasti e delle decorazioni si nota una prevalenza di
produzioni di area senese a cui si sommano, in numero inferiore, manufatti di area umbro- laziale e
pisana. I due frammenti di boccale con piede svasato, Tav. 11.22-23, provenienti dall’US 363, sono
simili al tipo 3 rinvenuto presso la Contrada della Civetta a Siena (LUNA 1999, pag. 415 fig. 3), a
Montarrenti (BOLDRINI, RONCAGLIA, 1984, pag. 270 Fig. 1.8) e al tipo A.1 edito in
FRANCOVICH 1982, pag. 122, databili alla prima metà del XIV secolo.
Il piede a disco, Tav. 11.24, caratterizza produzioni senesi della seconda metà del XIV secolo e si
avvicina al tipo 1.14 descritto in BERTI,CAPPELLI, FRANCOVICH 1986.
La ciotola con piede a disco, Tav. 11.25, biansata, con decorazione di colore verde diluito a catenella,
peraltro tipica del panorama senese, e diametro all’orlo di 8,4 cm, è simile a quella ritrovata a
Tuscania databile intorno alla metà del XIV secolo (JOHNS 1973, pag. 69 fig. 11.101). Un’altra
ciotola, Tav. 11.26, biansata, piede a disco e decorazioni ripetute in bruno è di forma simile al tipo 39,
fig 2, edita in BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986 pag. 487, datata al XV secolo e ad una
rinvenuta a Tuscania (JOHNS 1973, pag. 67, fig.10.98).
CATALOGO DEI REPERTI
Qui di seguito riportiamo una descrizione dei reperti presi in esame, scelti per le loro caratteristiche
tipologiche e maggiormente confrontabili con le produzioni di altri castelli della Toscana
centro-settentrionale e meridionale e dell’area umbro – laziale.
Tav.10.1: Olla in acroma grezza con orlo arrotondato molto estroflesso, diam. all’orlo :25,8 cm,
presenta segni di fumigazione.
Tav.10.2: Olla in acroma grezza con orlo svasato, ingrossato ed estroflesso, diam.all’orlo 26 cm.
Tav.10.3: Olla in acroma grezza con orlo svasato, ingrossato ed estroflesso, diam. all’orlo 18 cm,
presenta segni di fumigazione.
Tav.10.4: Olla in acroma grezza con orlo piano leggermente ingrossato ed estroflesso, diam. all’orlo
15,4 cm, h. 25 cm, corpo globulare e fondo piano, presenta segni di fumigazione su gran parte della
superficie.
Tav.10.5: Orciolo in acroma grezza con orlo svasato ed estroflesso, labbro appuntito,diam. all’orlo
30,4 cm. La forma sembra preludere al più tardo orlo ad arpione. Rinvenuto in stratigrafie di XIV sec.
(US 349)
Tav.10.6: Orciolo in acroma grezza simile al Fig. 5, con diam. all’orlo 30 cm.
Tav.10.7: Orciolo in acroma grezza simile al Fig. 5 e 6, con diam. all’orlo di 32, 4 cm, si distingue
dalle altre due forme per il maggiore spessore delle pareti.
Tav.10.8: Testo con orlo arrotondato, pareti basse e inclinate distinte dal fondo, forte spessore del
fondo e delle pareti, diam. all’orlo 28,8 cm, h. 4.2 cm.
Tav.10.9: Testo con orlo arrotondato, pareti basse e inclinate distinte dal fondo (piano), diam. all’orlo
29 cm, h. 3,4 cm. Tav.10.10: Testo con orlo arrotondato, pareti alte molto inclinate, diam. all’orlo 25
cm, con evidenti segni di torniture sia all’esterno che all’interno.
Tav.10.11: Testo/ tegame con orlo piano, pareti alte e poco inclinate ben distinte dal fondo, diam.
all’orlo 32 cm. Forme simili sono state rinvenute in stratigrafie di XIV– inizi XV sec. (US 363- 358)
Tav.11.12: Tegame con orlo dritto ed appuntito, pareti inclinate, prese a linguetta. Vetrina verde
chiara interna, diam. orlo cm 22.
Tav.11.13: Tegame con orlo arrotondato ripiegato all’interno, corpo emisferico e fondo convesso,
prese a linguetta. Vetrina interna marrone lucida molto coprente,diam. orlo cm 19.
Tav.11.14: Tegame con orlo dritto e tagliato, corpo troncoconico, fondo piano, due anse a nastro.
Vetrina marrone lucida interna con colature esterne. Diam. orlo cm. 21, diam. fondo cm. 19,8.
Tav.11.15: Boccaletto forse trilobato in acroma depurata con orlo arrotondato ed assottigliato e corpo
globulare. Diam. orlo cm 10 ca.; presenta segni di tornitura sul collo. Rinvenuta in contesti di XIII sec.
(US 453).
Tav.11.16: Boccaletto forse trilobato in acroma depurata con orlo arrotondato poco estroflesso, diam.
cm 10 ca. Presenta linee di tornitura sia all’interno che all’esterno del collo.
Tav.11.17: Boccaletto forse trilobato in acroma depurata con orlo arrotondato, collo breve e corpo
globulare, diam. cm 9,4; visibili torniture interne.
Tav.11.18: Fondo di boccale in acroma depurata di forma non ricostruibile, apodo e corpo
troncoconico. Diam. fondo cm 9,4. Proveniente da contesti di XIII secolo.
Tav.11.19: Frammento di ansa a nastro in acroma depurata, largh. cm 4,5 parte di una forma non
ricostruibile, si ipotizza una brocca di grandi dimensioni. Rinvenuta in contesti di XIII sec. (US 424).
Tav.11.20: Frammento di ansa a nastro in acroma depurata, largh. cm 5,5. Cfr. n°19.
Tav.11.21: Frammento di ansa a nastro in acroma depurata, largh. cm 4,5. Cfr. nn°18-19.
Tav.11.22: Fondo di boccale in maiolica arcaica di tipo senese, con piede svasato leggermente
ripiegato, invetriatura esterna ed interna, diam. fondo cm 11,4. Visibile una porzione di decorazione
in bruno.
Tav.11.23: Fondo di boccale in maiolica arcaica di tipo senese, con piede svasato, invetriatura esterna
ed interna, diam. cm 10,4.
Tav.11.24: Fondo di boccale in maiolica arcaica di tipo senese, con piede a disco appena rilevato,
invetriato internamente, diam. cm 9,6.
Tav.11.25: Ciotola biansata in maiolica arcaica con piede a disco, orlo arrotondato e pareti
assottigliate, decorazione a catenella in verde diluito, diam. orlo cm 8,2, diam. fondo cm 3,8.
Provenienza altolaziale.
Tav.11.26 : Ciotola biansata in maiolica arcaica con orlo arrotondato, decorazione geometrica in
bruno. Provenienza altolaziale.
Sandro Giustarini
UNA PRIMA ANALISI DELLA CERAMICA DI ETA' MODERNA
La sezione riguardante lo studio della ceramica di età moderna rinvenuta nello scavo della Rocca di
Selvena, assume una particolare rilevanza soprattutto in considerazione del fatto che il livello
conoscitivo di questo particolare ambito cronologico, circa i luoghi di produzione, le tecnologie, le
tipologie decorative e la circolazione, non ha raggiunto un grado sufficientemente esaustivo e chiaro.
Nonostante ciò ci sono studi indirizzati verso una comprensione maggiore della produzione senese, in
modo particolare del ‘500, i cui elementi sono ottenuti dalla combinazione dei dati delle fonti storiche
e di quelle archeologiche (fornaci, scarti di lavorazione, recuperi da sterri). Restano tuttavia ancora
molte zone lacunose soprattutto per quello che concerne le produzioni non di pregio che,
generalmente, rappresentano la maggior parte dei ritrovamenti in quanto oggetti d’uso comune,
specialmente nelle fasi in cui si verifica una flessione del potere signorile che potrebbe essere stato in
passato causa/effetto della presenza di materiale di un certo pregio.
Nel caso specifico del castello di Selvena è proprio in questo senso che si orienta lo studio della
ceramica (in modo particolare della maiolica) post- medievale. Infatti dalla documentazione
d’archivio della metà del XVI secolo sappiamo che il castello assume una funzione più
specificatamente militare, il che potrebbe trovare un riscontro pratico con l’assenza di materiale
palesemente di pregio a vantaggio di una notevole quantità di materiale dozzinale peraltro non di
scarsa qualità. Per questo motivo l’integrazione dei dati archivistici con quelli archeologici relativi
all’età moderna, può essere utile a fornire elementi che aumentino la conoscenza, sul modo e lo
spazio temporale, delle fasi relative allo spopolamento e al progressivo abbandono del sito in
questione. Lo stato attuale degli studi sulle produzioni ceramiche di età moderna che interessano
l’area del grossetano è praticamente inesistente ed è incentrato principalmente sui rapporti con l’area
senese e alto laziale, visto che si sa ben poco dell’esistenza di grandi centri di produzione in questa
zona. Effettivamente il riscontro pratico con i materiali rinvenuti sia in scavi che in ricognizione
lascia presupporre una vastissima influenza dei prodotti senesi e del Lazio settentrionale anche se non
è da escludere a priori che le zone di approvvigionamento siano state molteplici, per questo può essere
più corretto parlare di area senese piuttosto che di prodotti senesi. Infatti, se per il XVII secolo si
delinea un probabile scenario di decadenza della produzione senese (LUCCARELLI 1990, pag. 361),
nonostante le fonti archivistiche non siano state oggetto di indagini mirate e anche le fonti
archeologiche forniscano scarse indicazioni, per il XVIII secolo si può parlare di una flessione
produttiva di Siena imputabile anche alla comparsa e al rafforzamento di centri limitrofi
(MILANESE 1997, pag. 97). A tale proposito è opportuno fare delle precisazioni riguardo alla
metodologia di identificazione dei materiali, vista l’esiguità di materiale edito e visto che la maggior
parte delle pubblicazioni si occupa in prevalenza di pezzi di pregio. In primo luogo dal punto di vista
tecnologico si è notato che la maggior parte dei frammenti ceramici rinvenuti è stata realizzata con la
tecnica dello smalto su ingobbio che sappiamo dalle fonti essere prerogativa, per lo meno per il XVI
secolo, ma anche fino al pieno XIX, delle produzioni senesi. Proprio per questo motivo tale fattore
tecnologico è stato proposto come elemento distintivo, come base iniziale della ricerca, anche se non
è da escludere che questa tecnologia sia stata usata da altri centri della Toscana meridionale
(Montepulciano) e dell’alto Lazio (MILANESE 1997, pag.98). In conseguenza di ciò tutte le
ceramiche realizzate con la tecnica dello smalto su ingobbio sono state definite tipo Siena con il
proposito di tentare di delineare una geografia di zone produttive più puntuale utilizzando anche
l’analisi degli impasti oltre all’approfondimento delle fonti documentarie e archeologiche. I materiali
rinvenuti confermano che l’area del grossetano è interessata dalla presenza di manufatti alto laziali
mentre è notevolmente minore l’afflusso di materiali provenienti dai maggiori centri produttivi della
Toscana centro settentrionale come ad esempio Montelupo F.no (2 soli frr., uno di blu graffito e un
frammento di orlo di piatto decorato alla porcellana); scarse sono anche le produzioni di graffita
policroma (5 frr. totali in tutto lo scavo) e liguri (3 frr. per altro monocromi). Tale situazione potrebbe
essere giustificata dal fatto che molto probabilmente le decorazioni tipiche montelupine, prima di
giungere in area grossetana, subissero un filtraggio proprio nella zona di Siena, non è infatti raro
trovare imitazioni di decorazioni di Montelupo (spirali arancio, boccali a medaglione centrale entro
motivo a scaletta, decoro alla porcellana ecc.) realizzate con la tecnica dello smalto su ingobbio. In
questi casi si è potuto sopperire alla mancanza di elementi di confronto dei materiali, sia di area
senese che grossetana, appoggiandosi all’edito di produzioni della Toscana centro settentrionale,
dell’Umbria e dell’alto Lazio. Questa situazione ha determinato la scelta del materiale presente in
questa pubblicazione, infatti, la scelta dei frammenti è dettata esclusivamente dalla possibilità di
confrontarli ed inquadrarli cronologicamente in base ad imitazioni o evoluzioni di determinati schemi
decorativi. Naturalmente senza voler proporre certezze assolute su decorazioni e cronologie, credo si
possa considerare questa una valida base di partenza per un successivo approfondimento
dell’argomento. Per quello che riguarda le zone di produzione e la circolazione delle ceramiche si
hanno notizie abbastanza utili dalle inchieste granducali, soprattutto per il XVIII e XIX secolo, mentre
sono più scarse quelle per il XVI e XVII secolo, anche se da recuperi urbani è possibile delineare,
anche se necessita di un approfondimento, un primo quadro (MILANESE 1997, pag. 106 fig. 1-2;
pag. 107 fig. 7; pag. 110 fig. 20; pag 111 fig. 23).
L’analisi quantitativa dei reperti permette di individuare una presenza superiore di forme aperte con la
decorazione ancora comprensibile, rispetto alle forme chiuse, per le quali è possibile notare che
subiscono più frequentemente l’esfoliazione dello smalto (anche se allo stato attuale delle conoscenze
non è possibile dare una spiegazione o almeno pronunciarsi sull’argomento: es. US 214, tipo Siena
esfoliata, 97 frr., forme aperte 1 fr., forme chiuse 96; US 369, tipo Siena esfoliata, 131 frr., forme
aperte 11 frr.; forme chiuse 120 frr.). Molte delle tipologie delle forme aperte sono riconducibili a
produzioni montelupine mentre più rari sono i riferimenti al centro fiorentino per le forme chiuse in
quanto si trovano molti frammenti decorati a serpentina che sono più comuni nelle produzioni laziali.
Sono stati rinvenuti inoltre 2 frammenti di una forma aperta umbonata di produzione valenzana che
costituisce un unicum per lo scavo. I frammenti scelti per la pubblicazione sono composti per la quasi
totalità da forme aperte se si eccettuano 2 frammenti di boccale di chiara ispirazione montelupina, che
provengono da strati relativi alle ultime fasi di vita del sito ( periodo II ; XVII -metà XVIII) in
particolare da livelli d’uso (US 32, 45, 71) posti nella zona in prossimità della torre est; e da strati
pertinenti a butti e livellamenti (US 214, 505 e 498) e livelli di vissuto (US 369, 370) inseribili nel
passaggio dal castello alla fortezza rinascimentale (periodo III fasi 1 e 2). La scansione dei due periodi
è evidenziata, nei materiali, anche dalla presenza di Slip Ware che viene prodotta dal XVII sec. e di
cui ci sono testimonianze solo nelle US 32, 45, 71 relative alla fase 1 del periodo III (XVII-metà
XVIII). La determinazione delle cronologie sulla base delle imitazioni risulta anche complicata e in
certi casi può essere fuorviante in quanto non c’è certezza sugli intervalli cronologici che intercorrono
tra una produzione (es. spirali arancio di Montelupo) e la sua diffusione sotto forma di imitazione di
un altro centro produttivo, anche se non è errato considerare in ogni caso uno scarto cronologico.
Le tipologie ceramiche prese in esame in questa parte del lavoro sono dunque quelle che si possono
più facilmente confrontare con l’edito relativo a produzioni della Toscana centro settentrionale
dell’Umbria e dell’alto Lazio:
1_ maiolica tipo Siena/ piatto con cavetto pronunciato e tesa leggermente obliqua con orlo rinforzato
verso l’alto/ decorazione ad archetti sulla tesa in blu su due fasce arancio e giallo, compresa tra fasce
concentriche in blu, con motivi riempitivi a ricciolo in blu posti all’attaccatura del cavetto su cui si
trovano motivi a monticelli stilizzati di color arancio/matrice arancio/ diametro 20 cm. Fig. 10.1/
confronto forma Vulci ’95, pag. 147 – confronto decorazione Vulci 1995 pag. 147 e LUZI 1993, pag
61 fig. 22/ tardo XVI
2_maiolica prod. laziale/piatto con cavetto pronunciato arrotondato all’interno con andamento
troncoconico all’esterno tesa leggermente obliqua con orlo rinforzato superiormente/ decorazione a
monticelli policromi alternati a motivi vegetali stilizzati compresa tra fasce concentriche in blu e
arancio (2 fasce blu sull’orlo, banda arancio entro 2 fasce blu all’attaccatura del cavetto)/matrice
beige/ Fig. 10.17/ confronto decorazione simile a Vulci 1995 pag. 99/ inizi XVI
3_maiolica tipo Siena/boccale di forma ovoidale su base piana sporgente/la parte di decorazione
resttante sembra essere la zona di separazione tra la decorazione anteriore (con figura centrale) e la
decorazione posteriore con decorazione vegetale/matrice rosata/Tav. 9.1, Fig. 10.2/ boccale
assimilabile alle produzioni montelupine di XVI secolo la cui tecnologia fa presupporre che sia
un’imitazione senese
4_maiolica tipo Siena/piatto con piede ad anello/il fondo è decorato con fasce concentriche in giallo e
arancio in cui è evidente un motivo a girandola in blu, questi appaiono delimitate da una banda
circolare in verde ramina e tre fasce in arancio. All’attaccatura del cavetto si nota l’inizio della
decorazione a spirali in arancio intervallati da sottili tratti in blu/matrice arancio-rosata/diametro al
piede 8,4 cm. Tav. 12.2, Fig. 10.3/cfr forma Farnese 1991, piatto 11 pag. 85- cfr decorazione
BERTI-PASQUINELLI 1984, pag.87 e simile a Vulci 1995 pag. 151/2° metà XVI
5_ maiolica tipo Siena/piatto grande a sezione emisferica con larga tesa obliqua concava e orlo
ingrossato nella parte superiore/ decorazione sulla tesa a monticelli in policromia blu e arancio
alternati e inseriti all’interno di un motivo vegetale (foglie allungate) a capanna entro bande e fasce
concentriche in blu. Sull’orlo una banda in giallo e nel cavetto immediatamente sotto l’attaccatura
della tesa si trovano 2 fasce concentriche in giallo e arancio e distinte da queste una fascia arancio e
una banda azzurra, verso la parte inferiore probabilmente all’attaccatura del fondo si trovano motivi
ripetuti a monticelli in policromia blu e arancio sopra una banda gialla/matrice
arancio-rosata/diametro 32,6 cm.- dis 5 Tav. 12.3, Fig. 10.4/cfr forma Farnese 1991 piatto 6/1 pag. 85
e Vulci 1995 pag. 141- decorazione non identificabile la tecnologia è quella tipica senese che può
essere avvicinabile o considerata un’evoluzione di Farnese 1991 pag. 41 fig. 19 che viene datata
all’ultimo terzo del XVI secolo
6_ maiolica tipo Siena/ ciotola con piede a disco concavo in cui si nota il distacco dal tornio a
cordicella/decorazione floreale in cui è evidente un fiore in tutte le sue parti attorniato da un gruppo di
4 stami e un foglia/matrice arancio-rosata/diametro 6 cm- Tav. 12.4, Fig. 10.5/ cfr forma solo fondo
simile a Farnese 1991 ciotola 3-11-12 pag. 82- la tecnologia senese può far considerare il frammento
come imitazione del mazzetto fiorito di Montelupo (?) metà XVIII
7_ maiolica tipo Siena/ciotola a sezione troncoconica con orlo ingrossato nella spalla che si restringe
nella parte superiore/decorazione a fili e fasce concentriche in blu verde e arancio /matrice
rosata/diametro 12,8- Tav. 12.5, Fig. 10.6 /cfr forma LUZI 1993 pag. 58 fig. 18 attribuzione a Castro
(2° metà XVI) tecnologia senese/ fine XVI
8_ maiolica tipo Siena/ciotola di piccole dimensioni a sezione emisferica con orlo assottigliato/ fasce
concentriche in arancio chiaro in prossimità dell’orlo con motivi semicircolari in giallo con motivi
riempitivi in blu, tale decorazione potrebbe essere assimilata alle imitazioni del lustro
metallica/matrice arancio- rosata/ diametro 11cm- Fig. 10.7/tecnologia senese che sembra riprendere
le imitazioni del lustro di montelupo/metà fine XVI
9_maiolica tipo Siena/ piccola ciotola a sezione emisferica con orlo assottigliato/decorazione a
monticelli (policromi?) alternati a motivi vegetali stilizzati entro bande blu in prossimità
dell’orlo/matrice rosata/diametro 15,6 cm.- Tav. 12.6, Fig. 10.8/cfr forma solo orlo Vulci 1995 pag
65- cfr decorazioni vari esempi su Vulci 1995 pag. 97 e 99/fine XV inizi XVI (la tecnologia tipica
della zona senese nel caso fosse un’imitazione può spingere sino alla 1° metà XVI)
10_maiolica tipo Siena/piatto con piede ad anello/decorazione a fili e bande concentriche in blu (fili)
e arancio (bande), le bande arancio sono comprese tra due fili in blu ed intervallate tra loro da altri due
fili in blu, nella parte superiore la decorazione a bande è in verticale a scomparti/matrice
rosata/diametro 14,6- Tav. 12.7, Fig. 10.9/cfr solo piede e fondo simile a Farnese 1985, pag 41 , AB
906 M/
11_graffita policroma/ciotola con piede a disco concavo/ decorazione vedi 11-8 /matrice arancio/
diametro 5,8- Tav. 12.8, Fig. 10.10/cfr forma MILANESE 1997, pag. 382 fig. 12 b*/XVI
12_maiolica prod. laziale/piccola ciotola a sezione emisferica con orlo che si assottiglia verso
l’alto/sotto l’orlo decorato con bande in arancio e una fascia azzurra si ha una decorazione a
monticelli blu alternati con motivi vegetali stilizzati anch’essi in blu/ matrice bianca/diametro 10,4Tav. 12.9, Fig. 10.11/cfr forma e decorazione simile Vulci 1995 pag 105
13_ maiolica tipo Siena/ciotola a sezione emisferica con fondo concavo/si può notare una porzione di
decorazione del fondo e del cavetto all’attaccatura del fondo. Tra cavetto e fondo si ha una banda blu
con motivo riempitivo ad archetto, nel cavetto due fili in blu sovrastati da motivi ad onda con punto
superiore in arancio/matrice rosata/diametro10,8- Tav. 12.10/cfr forma solo fondo Vulci 1995 pag
129
14_maiolica valenzana/forma aperta umbonata/sul fondo e sul cavetto sono presenti decorazioni in
rilievo ad onde (gallones), da un esame più accurato appaiono evidenti le tracce della decorazione a
lustro metallico adesso degradata, questa si trova sia all’esterno che all’interno. La parete esterna era
decorata a bande e fasce parallele mentre sul fondo è evidente una decorazione a linea ondulata; nel
fondo sono visibili motivi decorativi ad archetti che seguono il profilo della decorazione in rilievo
mentre nella zona di attacco dell’umbonatura c’è un motivo semicircolare riempito a raggi. I piccoli
motivi decorativi sparsi e l’uso della tecnica a gallones si possono collocare cronologicamente tra
l’inizio e la metà del XVI sec (si ringrazia per le delucidazioni in merito la Dott.ssa Biccone). Fig.
10.12.
15_ Maiolica montelupo/piatto decorato alla porcellana/ matrice bianca/inizi XVI/ Fig. 10.18
16_maiolica tipo Siena/scodella in cui è evidente soltanto la decorazione accessoria sul cavetto
all’attacco del fondo ad archetti tagliati da un tratto orizzontale/matrice rosata/Fig. 10.19/ cfr
decorazione FRANCOVICH 1982 pag 266 fs 12 fig 240
17_maiolica tipo Siena/ciotola con orlo assottigliato verso l’alto con fondo concavo/motivo a spirali
in arancio con chiazza di verde e sottili tratti in blu entro fasce concentriche in arancio (tre superiori
due inferiori) e banda gialla sull’orlo. Sul fondo bande concentriche in verde con motivo a girandola
risparmiato/matrice rosata/ Fig. 10.20/ cfr forma FRANCOVICH 1982 pag 249 fig. 16/imitazione
senese degli spirali arancio di Montelupo metà XVI
18_maiolica tipo Siena/ boccale/ decorazione a reticolo con tratti policromi e sottili tratti in
bruno/matrice rosata/Fig. 10.21/ cfr forma assimilabile a Farnese 1985 pag. 142 evoluzione e
imitazione senese
19_ maiolica produzione laziale/piatto con cavetto poco pronunciato a tesa leggermente obliqua e
orlo rialzato verso la parte superiore/decorazione sulla tesa ad archetti in blu su 2 bande arancio(sup)
e giallo(inf) entro fasce e bande concentriche in blu/ matrice rosata/Fig. 10.22/ cfr forma Farnese ’85
pag 40 AB 420 M cfr decorazione Luzi ’93 pag 61 fig 22/ XVI secolo
20_maiolica tipo Siena/boccale con corpo ovoidale a base piana leggermente sporgente/nella parte
terminale della decorazione si può notare la decorazione a scaletta che si trova in genere attorno alla
figura centrale/matrice rosata/diametro 8,6- Tav. 12.11, Fig. 10.13/ cfr forma LUZI 1993 pag 70
scheda 8, pag 58 fig 8- riconducibile ai boccali montelupini di XVI secolo
21_maiolica tipo Siena/piatto con tesa leggermente confluente, orlo arrotondato e rilevato nella parte
superiore/decorazione sulla tesa monticelli policromi (verde arancio) alternati inseriti all’interno di
un motivo geometrico regolare disposto a capanna compreso tra due fasce in blu e due bande azzurre
interne, l’orlo è decorato con una banda gialla/diametro 18 cm.- Tav. 12.12, Fig. 10.14/matrice
rosata/cfr forma solo tesa Farnese 1991 piatto 7 pag. 85- cfr decorazione Farnese 1991 fig. 19 pag.
41/evoluzione o imitazione senese fine XVI inizi XVII
22_maiolica tipo Siena/ piatto con orlo arrotondato e ingrossato decorazione alla porcellana
riconducibile alla decorazione a delfini/matrice arancio-rosata/diametro24 cm- Tav. 12.13, Fig.
10.15/cfr GELICHI 1978, tav. XIX p. 58 e FRANCOVICH 1982 pag. 193 fig.181 nn 2-3; pp.267-269
fig 243 foto 1/XVI-XVII secolo
23_ maiolica tipo Siena/ciotola decorata a nastro nell’interno con la parte apicale del nastro in verde
tagliata da una banda in giallo tra vari tratti sottili ed obliqui in bruno, verso l’alto si trovano due fasce
concentriche in arancio/ matrice rosata/diametro 15 cm.-Tav. 12.14, Fig. 10.16/cfr forma Farnese
1991 solo orlo ciotola 11 pag. 82- cfr decorazione Farnese 1991 fig. 3 pag. 28/ fine XVI inizi XVII
Hermann Salvadori
UNO SGUARDO D'INSIEME AI RISULTATI DELLE PRIME QUATTRO CAMPAGNE.
La formazione e lo sviluppo del castello di popolamento (periodi VII-VI).
I dati di scavo consentono di formulare alcune ipotesi più concrete sulla formazione del primo nucleo
castrense, sebbene ancora non siamo in grado di cogliere l'aggancio con la documentazione
archivistica per i secoli IX-XI. Le attestazioni più antiche a livello di stratigrafia non sono anteriori
alla fine del XII secolo e si riferiscono ad una frequentazione dell'area antistante il palazzo
aldobrandesco, in un contesto che è ancora tutto da chiarire.
Sembra di poter cogliere elementi di un primo recinto realizzato con materiale lapideo non lavorato,
legato con argilla o a secco, quindi inquadrabile in un contesto tecnologico povero e più vicino ai
modelli altomedievali che alle opere romaniche di cui peraltro abbiamo una cospicua documentazione
archeologica a Selvena. E' presto per dire siamo di fronte al corrispettivo archeologico del casale di
Selvena (citato nel IX secolo), ma è comunque un indizio da tenere in considerazione per le prossime
campagne. Potrebbe infatti essere il residuo di frequentazioni anche molto più antiche (Tav. 13).
La varietà tipologica delle tecniche costruttive romaniche testimonia forse non solo una scansione
cronologica all'interno dei secoli XI-XIII, ma, come sembra di poter affermare per le due torri
quadrangolari, anche l'uso di maestranze in possesso di saperi tecnici molto disomogenei. In ogni caso
già nel corso del tardo XI l'impianto di una torre dalla tecnica estremamente raffinata potrebbe
costituire il parallelo della citazione di un "castrum" connesso ad una "villa". Saremmo cioè in
presenza del primo incastellamento. La mancanza di confronti con le strutture romaniche conservate
nei castelli amiatini suggerisce, pur con le dovute cautele, che fin dall'inizio il castello di Selvena
fosse un luogo di importanza strategica per l'affermazione del potere signorile degli Aldobrandeschi.
Lo stato frammentario della documentazione, in particolare la mancanza di strati associati a queste
prime strutture suggerisce in ogni caso molta cautela. Non si può infatti escludere a priori che
l'evidente differenza di tecnica costruttiva fra le due torri sia l'indizio sì di una seriorità, ma di quella
est.
Quello che ci appare invece più articolato è il successivo sviluppo dell'abitato romanico nel corso del
XII secolo, cioè il fenomeno noto come secondo incastellamento. La realizzazione di un recinto in
pietra che univa le due torri (articolato in almeno due fasi costruttive la più recente delle quali è forse
da imputare ad una ricostruzione a seguito di un evento piuttosto traumatico quale potrebbe essere
l'assedio del 1241 o un terremoto) non è più un fenomeno isolato, ma si può associare all'impianto di
una cinta muraria che chiudeva parti dell'area sommitale e che forse già prevedeva un accesso
principale in corrispondenza di quello attuale. La forma appuntita dello spigolo sudest, suggerita
peraltro dalla conformazione del pianoro, potrebbe nascondere strutture difensive poi soppiantate
dall'imponente torre pentagonale (Tav. 14).
Di fronte al recinto che univa le due torri sono emersi elementi che fanno ipotizzare la presenza di una
serie di lotti di edifici che seguivano il pendio a raggiera, sul modello delle pianificazioni di abitazioni
romaniche di impianto signorile, e a queste potremmo associare anche la cisterna B, ma non abbiamo
ancora scavato tutta l'area, quindi manteniamo per il momento sospeso il giudizio.
Sulla natura e la funzione del recinto fra le due torri, le successive asportazioni dei livelli pavimentali
interni e le frequentazioni fino a tempi recenti rendono impossibile formulare ipotesi. Sulla base delle
tracce visibili negli elevati superstiti possiamo solo dire che il muro nord aveva un ballatoio esterno,
mentre la torre ovest era in collegamento con l'interno, almeno nella seconda fase (Tav. 14). Il muro
sud è stato quasi interamente ricostruito con l'impianto del palazzo e così anche il muro est è un
restauro piuttosto recente.
Problematica è infine la collocazione di un lacerto di recinto trapezoidale poi inglobato nella grande
cisterna A, che potrebbe essere parte della struttura difensiva connessa alla torre est.
L'ultimo intervento di rilievo riferibile a questi periodi è la costruzione della grande torre pentagonale
che per la presenza di conci lavorati a bugnato e finestrella ad arco ogivale sembra collocabile intorno
alla metà del XIII secolo. Attribuita in genere a maestranze federiciane venute al seguito delle truppe
che assediarono il castello nel 1241, essa trova stringenti confronti con altre regioni d'Italia,
soprattutto nel centro nord. Sarà certamente un punto importante della ricerca approfondire i confronti
di quello che rimane ad oggi un unicum in tutta la provincia di Grosseto (Fig. 12).
Carlo Citter
Massima espansione e crisi del castello medievale (periodi V-IV)
Non sappiamo quanto tempo è intercorso realmente fra l'esecuzione della torre pentagonale e la
grande stagione di interventi edilizi che cambiarono radicalmente il volto al castello. Per il momento
pensiamo, sulla base di dati archeologici e documentari, che gli ultimi anni del XIII secolo e più
probabilmente i primi decenni del XIV siano per Selvena il momento di massima espansione, a
differenza di molti altri castelli toscani che proprio allora videro l'inizio di una irreversibile crisi.
Seppure il termine può sembrare audace, potremmo forse parlare di un "terzo incastellamento", dando
a questa definizione un significato circoscritto al sito in esame e più vicino all'accezione di una
complessa e articolata fase di ridefinizione urbanistica. Sarebbe infatti riduttivo, una volta enfatizzato
il processo di incastellamento, parlare delle trasformazioni dei primi decenni del XIV secolo in
termini di semplice fase di costruzione.
L'edificazione del palazzo signorile sui resti del recinto romanico determinò la trasformazione
dell'intera area sommitale in area di servizio alle strutture signorili, mentre furono progettati, ma non
sappiamo se e in che misura furono abitati, due borghi cinti da mura che aumentarono di sei volte
l'area difesa, con terrazzi, lotti di edifici, forse anche la chiesa sul luogo di quella di età moderna (Tav.
15, Fig. 11).
Lo sforzo economico necessario non è pensabile senza un preciso obiettivo da parte degli
Aldobrandeschi e segnatamente del conte Giacomo di S. Fiora. Le stratigrafie dell'area antistante il
palazzo mostrano una crescita rapida dei piani d'uso, un'intensa attività costruttiva. A queste si
aggiungono la spoliazione o la rasatura di edifici preesistenti per consentire la realizzazione di una
grande piazza lastricata. Allo stato attuale sia in elevato che nel sedimento il XIV secolo (forse più la
prima metà) ci appare il momento di maggiore sforzo costruttivo. In un periodo di generale selezione
della maglia insediativa la scelta di investire su Selvena può essere compresa, a nostro avviso, solo se
pensiamo ad un forte interesse nello sfruttamento della risorsa mineraria.
L'abbandono di alcuni castelli prossimi a Selvena nel corso del XIII secolo, come Penna, Grossetello,
La Roccaccia di Piano (tutti entro un raggio di 3/5 Km.) potrebbe essere pertanto inquadrato in un
processo di ulteriore accentramento verso Selvena stessa.
Quanto durò questo periodo di espansione è presto per dirlo, ma si fa sempre più convincente l'ipotesi
che fosse legato alla presenza fisica del conte Giacomo; la cui morte (1346) potrebbero segnare il
momento finale. Le stratigrafie indagate mostrano sequenze con materiali del pieno XIV secolo, ma
non abbiamo al momento quegli indicatori tipici delle sequenze di XV secolo (le ingobbiate e
graffite). La presenza invece di questi materiali nelle discariche esterne al borgo del vicino castello di
Sorano potrebbe essere la spia di un periodo di stagnazione se non addirittura di recessione,
adombrata anche dalla documentazione d'archivio, dove Selvena appare come fortezza e non più
come centro di popolamento strategico nella gestione delle risorse minerarie.
Floriano Cavanna
Dal castello alla fortezza (periodi III-I)
Le fonti documentarie della metà del XVI secolo ci informano che durante la guerra di Siena furono
effettuati interventi di potenziamento delle fortificazioni della contea di S. Fiora, con particolare
riferimento a quelle di Selvena. I dati archeologici confermano una trasformazione delle strutture
dell'area sommitale. Il nuovo assetto urbanistico orienta verso una perdita delle funzioni di centro di
popolamento a favore di più marcati connotati militari.
In questo senso sono interpretabili il rafforzamento del muro di cinta, il cui spessore viene più che
triplicato sui versanti nord-est e sud-ovest (quelli più esposti) e il cambio di funzione delle strutture
signorili bassomedievali.
Testimonianza di questa mutazione dell'assetto urbanistico può essere intesa la realizzazione della
pavimentazione in laterizi nella parte antistante il palazzo che va a sostituire il precedente pavimento
in pietra. Nella definitiva perdita di funzione degli ambienti signorili si possono inserire le vicende
occorse alle due torri: quella ovest viene utilizzata come butto, quella est, probabilmente in gran parte
già franata, viene usata come ambiente di servizio.
I vani voltati realizzati a ridosso del muro di cinta sul versante nordest potrebbero essere messi in
relazione con le notizie documentarie che ricordano nel 1597 la presenza di carceri nella "rocca
fortissima" di Selvena.
In attesa di un approfondimento maggiore nell'area sud-ovest, si può attribuire al tardomedioevo la
costruzione di un edificio a più vani (area 300 settore C) addossato al muro di cinta che testimonia
comunque l'allentamento dei poteri signorili. Tuttavia questo ambiente potrebbe aver avuto fasi di
vita durante tutta l'età moderna.
Ad un periodo successivo si può attribuire la suddivisione del palazzo in tre vani distinti, il
cambiamento funzionale della cisterna adibita a ricovero per animali e piani di calpestio in terra
battuta rinvenuti nella zona ad est del palazzo (vano di transito e ambiente di pregio - area 1).
Tali trasformazioni possono essere attribuite non tanto ad una frequentazione sporadica di pastori
come affermato da fonti cronachistiche, ma ad una presenza stabile seppure di modesta entità. I
materiali, del resto, attestano che il sito fu abitato fino alla metà del XIX secolo. E inoltre da fonte
orale sappiamo che alcune case del borgo e la chiesa esterna erano in uso fino ai primi decenni del
XX. Rimane incerta per ora la sorte in generale de due borghi dopo la pianificazione bassomedievale,
perché le indagini stratigrafiche non sono ancora state intraprese.
Hermann Salvadori
INDAGINI ARCHEOLOGICHE
MINERARIA
NEL
TERRITORIO:
CASTELLI
E
RISORSA
Gli affioramenti di minerale
La zona cinabrifera del Monte Amiata era considerata negli anni '70 la più importante del mondo, sia
per quantità della produzione annua che si aggirava sulle 50.000 bombole di mercurio (essendo ogni
bombola l'equivalente di circa 36 Kg), sia per la consistenza delle riserve (nell’ordine di un milione di
bombole).
Quest' area si estende su una direttrice di circa 30 km, da Bagni di San Filippo fino a Saturnia e per
una larghezza di alcuni chilometri.
Le mineralizzazioni predominanti hanno sede: nei calcari del retico (terziario superiore-secondario)
(miniera di Càpita e Morone), presso Selvena, a ridosso del massiccio mesozoico di Monte Civitella.
_ nelle ftaniti e nei calcari del Lias superiore (miniere di Cornacchino, Monte Labbro);
_ nei calcari marnosi e selciferi (sopranummulitico) dell’Eocene medio (miniera di Cortevecchia e
Abbadia S. Salvatore);
_ nelle arenarie dell’Eocene medio (miniere del Siele e di Bagnore);
_ nei calcari marnosi (“coltellini”) dell’Eocene medio (miniere del Siele);
_ altre sono note nella zona del Monte Labro ed a Cerreto Piano presso Pereta (Scansano).
Il tipo di mineralizzazione e la localizzazione variano con il variare della natura litologica dei terreni
ospitanti; proprio quest'aspetto è di fondamentale interesse per la comprensione dello sfruttamento
minerario in antico. L'individuazione del minerale che si presenta con vari aspetti e tenore, e la
disponibilità in superficie hanno sicuramente influito sullo sfruttamento di questa risorsa.
Come ricorda G. Santi, l'estrazione del cinabro avveniva in cave, scavate quasi a fior di terra, e con il
lavoro di poche braccia; il minerale era inglobato in zolle d'argilla che formavano filoni in una terra
gialla e granulosa, il "marmorino giallo". Santi racconta minuziosamente degli altri minerali che
raccolse durante il viaggio da S.Fiora a Selvena, e descrive particolarmente bene gli affioramenti
nell'area attorno al fosso la Canala, poggio Paulorio e le Zolfiere. Egli parla anche delle miniere di
antimonio e della fabbrica che lo trasformava in vetriolo; quest'edificio che aveva avuto nei due secoli
precedenti notevole importanza era ormai in disuso(per queste osservazioni e parte di ciò che segue si
rimanda anche a quanto detto in FRANCOVICH et alii 2000, pp. 187-188).
Proprio la produzione del vetriolo a Selvena deve aver avuto un notevole sviluppo durante l'età
moderna. Il trattatista senese Biringuccio rammenta la produzione di vetriolo nella contea di S.Fiora,
più precisamente a Selvena. Verso la fine del secolo XVI il naturalista Michele Mercati, descrisse il
procedimento d'estrazione del vetriolo, ed inoltre nella sua opera Metallotheca vaticana, edita
postuma tra il 1717 ed il 1719, inserì una raffigurazione dell'impianto d'estrazione.
Ancora ampiamente documentata nel corso del secolo XVII, la produzione di vetriolo entrò in crisi
nel primo Settecento e dopo un breve periodo d'interruzione, riprese ma probabilmente con scarso
tenore.
La ricognizione ha permesso, grazie anche all'aiuto delle fonti orali raccolte sul luogo, di individuare
nell'area del fosso la Canala, tracce di un'intensa attività estrattiva (Tav. 16).
Segni di un edificio sono stati rintracciati in prossimità del letto del fosso la Canala sul margine destro
(UT 83). Una fonte orale ricorda che pochi decenni or sono l'edificio, dal significativo nome "la
fabbrica del vetriolo", fu distrutto.
Restano sparsi sul suolo frammenti di laterizio e materiale lapideo in grande quantità. Di rilevante
interesse sono alcuni blocchi ben squadrati di trachite inseriti nella muratura di un vicino ricovero per
attrezzi agricoli. Uno dei blocchi di trachite ha una forma prismatica ottagonale e ha un foro circolare
longitudinale. Al momento questo reperto non trova una particolare interpretazione, ma dato che la
trachite ha un'alta resistenza al calore è possibile che facesse parte di strutture per l'arrostimento dei
minerali.
Sempre in prossimità del fosso la Canala, circa 150 m a sud della precedente struttura, è stata
localizzata una piccola struttura, e una galleria ormai franata (UT 84). Il piccolo edificio a più vani è
costituito da murature a secco scarsamente conservate. La bassa visibilità ha impedito la raccolta di
materiale utile per un'interpretazione e datazione precisa. L'unica ipotesi è che fosse una struttura di
sostegno per le attività d'estrazione che si effettuavano nella vicina galleria.
Sul margine sinistro del fosso, in località l'Aiaccia, è stata individuata un'area con altissima
concentrazione di ceramica, cenere e frammenti di minerale, a breve distanza da un pozzo minerario
ormai occluso (UT 81).
I reperti ceramici, riconducibili a olle in acroma grezza con una grande bocca (circa 30 cm. di
diametro) ed un piccolo fondo (circa 10/12 cm) non trovano per il momento confronti con i materiali
rinvenuti durante lo scavo del castello di Selvena. Molto probabilmente sono dei grandi crogiuoli,
infatti sia nella superficie interna che esterna sono presenti colature, anche molto spesse, di minerali
liquefatti. I frammenti di minerale raccolti sono con molta probabilità antimonite (Sb2S3), molti di
questi sono ridotti a piccole scaglie e fortemente alterati dal calore ma nei pezzi più grandi si può
ancora osservare la struttura cristallina.
Biringuccio descrive un processo di estrazione del mercurio che ha forti attinenze con i materiali
rinvenuti: "fan certi vasi in terra, larghi in bocca et stretti in fondo, come sono le forme da far gli
zucchari, alli quali fanno un coperchio commesso" (da VICARELLI 1992, p. 158).
E' molto probabile che quest’area sia una discarica di materiale scartato da un forno per la produzione
di antimonio, perciò riteniamo che meriti un approfondimento. L'area del fosso La Canala deve essere
stata da sempre il luogo di maggior interesse per le attività estrattive, perciò sarà interessante capire
quale minerale e in che periodo ha svolto il ruolo principale in un'economia che probabilmente traeva
la maggiore rendita da questo esercizio. Un altro elemento che può stimolare la ricerca è dato dalla
vicinanza che c'è tra gli insediamenti medievali circostanti e le miniere contemporanee.
Quasi tutti gli insediamenti si collocano in aree dove è presente il cinabro, e in alcuni analizzando le
sezioni delle miniere possiamo dedurre che il minerale era presente anche in superficie. Dobbiamo
comunque distinguere lo sfruttamento industriale da quello antico che sicuramente tendeva a coltivare
anche giacimenti di piccola entità e che non sono presenti nella documentazione moderna.
Il geologo Arduino esegui un sopralluogo nel 1757 nell'area di Selvena, rimanendo probabilmente
confuso dalla presenza di vari minerali, dalla loro intricata disposizione e dallo scarso tenore; infatti
giudicò scarsamente produttiva questa zona. Probabilmente sia le conoscenze geologiche che le
tecnologie impiegate non consentivano di ottenere il giusto rapporto tra spesa e guadagno, come nei
secoli precedenti. Circa un secolo dopo le nuove cognizioni sia tecniche che scientifiche
permetteranno di accedere ai principali filoni cinabriferi e di utilizzare in pieno questa risorsa, dando
vita allo sfruttamento industriale.
L'unico insediamento che ha vari elementi che comprovano un'intensa utilizzazione di questa
ricchezza in età medievale è Selvena. La presenza di vari minerali, il loro facile reperimento, le fonti
archivistiche, e la posizione topografica che non ha caratteri spiccatamente strategici sono tutti
elementi, che possono far ipotizzare che questa risorsa fosse l'elemento trainante di una economia che
si estendeva a tutta la contea di S.Fiora. Il mercurio, l'antimonio e il vetriolo sono indubbiamente tra i
materiali prodotti a Selvena. Sarà interesse delle prossime indagini comprendere i motivi e che
portarono a sfruttare le varie risorse nel tempo.
L’insediamento accentrato nel medioevo fra Paglia e Fiora.
Per comprendere maggiormente le vicende insediative di età medievale, la ricognizione è stata estesa
anche ad alcuni siti limitrofi al territorio comunale.
L'indagine ha interessato sia castelli abbandonati come Castel Marino, La Roccaccia di
Montevitozzo, Grossetello, Montebuono e Boceno, e castelli ancora abitati come Castellazzara.
Lo scopo principale è capire la gerarchia degli insediamenti e quindi dove collocare il castello di
Selvena. La schedatura sistematica delle emergenze medievali in termini di comprensorio permette
una visione globale del fenomeno dell'incastellamento e una seriazione più precisa delle dinamiche
insediative, delle fasi di espansione e di contrazione dell'insediamento accentrato, che comunque fu
una caratteristica dell'area per molti secoli.
Di seguito forniamo una breve scheda delle emergenze rilevate.
La Roccaccia di Montevitozzo
Quota: 926
Superficie: 5200 mq
La Roccacia di Montevitozzo è localizzata sulla vetta di una collina calcarea; si estende da est a ovest
ed è particolarmente scoscesa sul fianco settentrionale. Il castello ha una forma semicircolare
influenzata fortemente da fattori morfologici; l’area più elevata è occupata da una torre con cassero.
Del borgo restano evidenti tracce dei lotti, che appaiono ben definiti e pianificati. Il muro di cinta si
conserva in elevato, in alcuni punti sul margine meridionale.
Molto interessante e ben conservata è la struttura sommitale che ha due ben distinte fasi costruttive.
La prima fase costruttiva individuabile sul margine meridionale del grande edificio(fine XI- metà
XII) è caratterizzata dalla presenza di una torre quadrangolare con il lato di circa 4,50m. La muratura
è di tipo romanico e di notevole fattura, le bozze di pietra di medie dimensioni sono abbastanza
squadrate ma non rifinite, disposte a formare corsi paralleli e legate con tenace malta.
La seconda fase (metà XII-inizi XIII) vede la costruzione di una grande edificio a pianta trapezoidale
composto da una torre ed articolato in vari ambienti. La nuova torre di dimensioni maggiori (6,50 m di
lato circa) incorpora la precedente struttura (19 x 11 x 16 x 23 m). Le murature sono sempre di tipo
romanico, ma si distinguono nettamente dalla precedente, soprattutto per l’utilizzo di bozze di pietra
di minore pezzatura e per una sommaria lavorazione (Fig. 14).
Probabilmente è di questa fase o di poco successiva la fondazione del borgo.
Castell'Azzara
Quota: 809
Superficie: 8100 mq
Castell'Azzara è collocata su un crinale di calcare che si estende da nord-est a sud ovest che è
particolarmente scosceso sul fianco nord. La morfologia deve aver dettato le forme e invogliato
l'insediamento in questo luogo, che sovrasta la val di Paglia. Dalla foto aerea s'intuisce l'esistenza di
un primo nucleo fortificato a forma di semicerchio che si colloca con il diametro a ridosso del dirupo.
L'area sommitale è occupata dalla chiesa, da una piazzetta e da un grande edificio; da quest'ultimo si
diramano a raggiera i lotti abitativi.
La cinta muraria proteggeva principalmente la porzione meridionale, visto che a nord era già
naturalmente difesa. Se ne intuisce l'andamento semicircolare mantenuto dalle abitazioni.
Una prima verifica delle strutture presenti ha permesso di individuare alcune murature medievali, e di
dare una prima valutazione generale sul mantenimento di queste. Il litotipo che costituisce quasi
interamente le strutture è il calcare nummulitico, materiale che si rinviene in lastre e che influenza
particolarmente le tecniche costruttive. La tecnica romanica che s'identifica generalmente con corsi
paralleli e le bozze squadrate, in quest'area deve trovare anche altre discriminanti, da determinare con
una lettura della muratura più approfondita.
Le murature che possiamo ascrivere per ora al periodo romanico sono molto poche; fra queste una
piccola porzione individuata nell'area sommitale inglobata in un grande edificio che presenta molti
rifacimenti e materiale di riutilizzo.
Questo grande edificio ad una prima lettura evidenzia almeno tre momenti costruttivi. Le porzioni
romaniche che probabilmente costituivano il primo nucleo forse una torre o un cassero, furono
ridefinite e trasformate in un secondo momento con la costruzione di un grande edificio dotato di
scarpa. Successivamente dobbiamo registrare degli ampliamenti e dei restauri.
La fase centrale e di rilevante utilità per capire la morfologia su cui si impostava la costruzione, infatti
l'edificio fu dotato di un grande muro a scarpa nei lati sud ed ovest che oggi risulta quasi interamente
interrato e inglobato nelle attuali strutture. La muratura a scarpa e il dislivello, forse artificiale, che c'è
tra questa e il borgo moderno ad ovest, indicano che l'edificio era collocato su un'area rilevata, questo
indizio è forse utile per comprendere le precedenti fasi dell' insediamento (Fig. 13).
1. Struttura turriforme individuata sul margine nord, la muratura e composta da bozze di pietra di
dimensioni varie non molto squadrate, e disposte in corsi paralleli.
2. Facciata del grande edificio antistante la chiesa. Su questo paramento sono presenti varie aperture,
e porzioni di muratura di varia tecnica. Nella porzione inferiore possiamo notare una muratura che
apparentemente ha una tessitura di tipo romanico, di cui non possiamo valutare l’estensione né i
caratteri costruttivi dato che l'area è parzialmente ricoperta da intonaco. Particolarmente evidenti
sono due aperture, una di queste è con arco a tutto sesto costituito da bozze di pietra ben rifinite.
Quest'ultima riutilizza parzialmente una più antica apertura, di cui si conservano solamente gli
stipiti.
3. La muratura più interessante, e forse la più antica, è localizzata sul margine sud del grande
edificio; è costituita da bozze sommariamente squadrate di medie dimensioni disposte a seguire
corsi paralleli, non presenta finiture. Questa porzione di muratura si interrompe a circa 3 m ed è
restaurata dalla muratura che definisce il grande edificio.
4. Questa muratura definisce il grande edificio ed è ben visibile su tutta la facciata ovest e sud. E'
edificata con bozze di pietra scarsamente squadrate disposte a formare corsi paralleli di altezza
variabile, inoltre possiamo notare che nella porzione inferiore era disposta a scarpa. Sul margine
superiore del prospetto ovest sono ben visibili quattro finestre ad arco, parzialmente occluse da
interventi moderni.
5. In quest'area dove potenzialmente doveva trovarsi la cinta muraria, sono individuabili lacerti di
murature che sporgono leggermente dalle facciate degli attuali edifici, che forse si sono adeguati
alle preesistenti strutture difensive.
Monte Penna
Quota: 1086
Superficie: 3850 mq
Abitato fortificato individuato sulla sommità del monte Penna.
Il muro di cinta descrive intorno alla sommità del poggio una elle, il fianco che rimane scoperto non
ha bisogno di difesa visto che un baratro di circa 80-100 m di dislivello crea un ostacolo invalicabile.
La tecnica costruttiva del muro di cinta è assai rozza; per la sua costruzione sono stati utilizzati
blocchi di pietra locale di grosse dimensioni non squadrati e disposti in modo disordinato, senza l'uso
di malta. Non è da escludere che si tratti di un intervento premedievale. Del borgo sono rimaste scarse
tracce murarie, quasi fosse costituito in gran parte da capanne. La parte sommitale è occupata da
murature scarsamente visibili, si intuisce parzialmente l'estensione e la forma e sono costituite da
bozze di pietra squadrate legate da malta. Ai piedi di questa zona rilevata è presente un cumulo di
macerie composto, da calce, scarsissimi frammenti di laterizi e bozze di pietra. E' molto probabile che
in questa area fosse collocato un edificio turriforme di modeste dimensioni. I materiali ceramici
rinvenuti durante la ricognizione permettono di datare l'abbandono dell'abitato nella seconda metà del
XIII.
Montebuono
Quota: 519
Superficie: 2400
Il castello di Montebuono è situato su di una collinetta di arenaria abbastanza erta ed orientata nordsud. Posizione geografica di particolare interesse perché collocata tra il pedemontano e l'area
pianeggiante dei tufi, ed inoltre la valle del Fiora da questo punto verso monte diventa più incassata
tra le montagne e di conseguenza costringeva la viabilità a seguire un percorso obbligato.
L'area sommitale è abbastanza pianeggiante e circondata da un muro di cinta che descrive attorno alla
collina una forma ellittica.
Questa muratura si conserva per tutta la sua estensione originaria particolarmente sul versante nord
dove ha un elevato di circa 4-5 m, mentre del restante perimetro la vegetazione e vari crolli limitano la
visione.
Costruita con la stessa arenaria su cui poggia, i blocchi non sono particolarmente squadrati e sono
disposti a formare corsi orizzontali di altezza variabile, con molte zeppe ma non in laterizio che è
totalmente assente.
Sul perimetro nord recenti lavori per l'impianto di un deposito per l'acqua hanno distrutto una
porzione della cinta muraria. Accanto a questa struttura collocata all'interno del pianoro sommitale,
sono evidenti le tracce di una antica cisterna.
Quest'ultima ha una pianta rettangolare ed è coperta da una volta a botte in travertino o tufo, e
particolarmente evidente è lo scarico delle acque in eccesso, costituito da tre tubi in ceramica inclinati
verso il basso e collocati in prossimità dell'imposta della volta.
Questa struttura è molto compromessa da interventi abbastanza recenti che hanno modificato la sua
funzione, infatti sul margine è stata creata una porta.
Nel restante pianoro sommitale non sono evidenti tracce di strutture.
Grossetello
Quota: 435
Superficie: 2850 mq
Sulla riva sinistra del fiume Fiora sono stati individuati i resti un abitato fortificato collocato su di una
piccola collinetta dove anche in questo caso affiora la roccia di base, e che rende abbastanza scosceso
il margine sud.
Sulla sommità sono scarsamente conservati i resti della cinta muraria e di alcune strutture.
La Roccaccia di Piano
Quota: 934
Superficie: 2000 mq
Il poggio la Roccaccia, nel comune di Piancastagnaio, e costituito da arenaria ed è caratterizzato da un
dirupo di circa 10/15m che si estende da nord a sud.
Sulla sommità sono ben rintracciabili tre terrazzi artificiali di forma ellissoidale e concentrici. Sono
delimitati in alcuni punti da murature a secco che sono ben visibili sul terrazzo sommitale. All'interno
dei due terrazzi inferiori sono scarsamente visibili le creste di alcuni ambienti, costruiti con murature
senza l'utilizzo di malta; in questi punti è stata ritrovata anche una discreta quantità di reperti
ceramici.
In prossimità del dirupo sul terrazzo sommitale, nella porzione più elevata è collocata una torre a base
quadrata. La torre è conservata in elevato per circa 3m, il paramento esterno è quasi completamente
illeggibile, mentre all'interno e ancora ben conservato. Questa è costruita con conci perfettamente
squadrati di arenaria locale, legati da tenace malta e disposti a seguire corsi paralleli, i giunti e i letti di
posa sono molto sottili.
Boceno
Quota: 465
Superficie: 2500 mq
In prossimità del torrente Siele su di una piccola collina sono stati individuati i resti molto scarsi di un
abitato medievale.
L'area recentemente è stata interessata da lavori per l'impianto di un acquedotto, tracce di una
profonda trincea attraversano tutta la collina e sulla sommità è stato creato un grande deposito.
Sicuramente questo intervento ha compromesso fortemente la conservazione di eventuali strutture.
L'area sommitale è molto pianeggiante e di forma ovale, sul perimetro si rintracciano molte pietre, ma
apparentemente non disposte a formare una cinta muraria.
La fitta vegetazione al momento della ricognizione ha permesso una scarsa raccolta di materiale; sono
stati rinvenuti pochi frammenti di ceramica grezza e depurata
Qualche conclusione
Potremmo tentare una prima visione stratificata del territorio cercando di cogliere proprio delle
similitudini tra i castelli. E’ in corso di stesura un lavoro più ampio sul comprensorio amiatino
(oggetto di una comunicazione ad un convegno sugli Aldobrandeschi tenutosi a S. Fiora nel mese di
maggio). In questa sede ci limitiasmo ai siti menzionati sopra. Partendo dalla misurazione della
superficie di massima espansione possiamo dividere i castelli esaminati in tre fasce di grandezza. In
ordine Selvena con 27000 mq si colloca nella classe di maggiore grandezza, di seguito troviamo la
Roccaccia di Montevitozzo e Castell'Azzara rispettivamente con 5400 mq e 8100 mq, ed in fine la più
piccola, che mediamente ha una superficie di 2700 mq, composta dai restanti siti. Una divisione
cronologica associata alle dimensioni dei siti può fornire una mappa degli insediamenti che si
differenziavano, già dalle prime fasi, per la loro posizione, funzione e ruolo come centri di
accentramento della popolazione.
Le ricerche in corso sul castello di Selvena hanno permesso una prima periodizzazione, che delinea
le grandi fasi di costruzione e di vita dell'insediamento e che potrebbe anche essere estesa al territorio.
Possiamo notare che sia sul castello di Selvena, che in alcuni dei siti presi in esame come la Roccaccia
di Piano, Monte Penna, la Roccaccia di Montevitozzo, appare evidente e comune una fase
cronologicamente collocabile tra la fine dell'XI sec. e la metà del successivo. Questo momento è
caratterizzato dalla costruzione di piccole torri che mostrano caratteri tecnici, morfologici e
topografici molto simili. Queste strutture di "prima fase" hanno caratteristiche comuni: forma,
dimensioni ridotte, grande pezzatura dei conci, posa in opera, finitura della facciavista, e legante di
ottima tenacia, tutti elementi che denotano una tecnica costruttiva estremamente curata eseguita da
maestranze molto specializzate.
Sicuramente la torre ha esercitato funzioni prettamente militari, ma altrettanto importante deve essere
stata la sua rappresentatività (Fig. 14-15).
La funzione militare potrebbe essere suggerita in questo caso anche dalla posizione geografica che
occupano, infatti si collocano quasi tutte sulle alture dello spartiacque tra valle del Fiora e Val di
Paglia. L'unica che non si pone in posizione prettamente strategica è Selvena, in questo caso
probabilmente la funzione di controllo territoriale è di scarsa rilevanza e potremmo ricollegare questa
scelta forse più ad un controllo sull'estrazione mineraria (Tav. 17).
Alle torri possiamo associare delle recinzioni con muratura in pietra a secco, che probabilmente
costituivano le difese dei nuclei abitativi. Sono state riscontrate sia alla Roccaccia di Piano, che a
Monte Penna e a Selvena (Periodo VII-fase1).
Non dobbiamo escludere che queste strutture siano antecedenti alla costruzione delle torri e che siano
i resti del più antico abitato. Un esempio in questo senso è il muro di cinta del castello di Monte Penna
che probabilmente ha caratteristiche costruttive di età premedievale. Dato che le fonti archivistiche
attestano l'esistenza di villaggi fra IX e XI è possibile che alcune di queste labili strutture siano
riferibili allo stesso orizzonte cronologico. Questa prima fase non coinvolse probabilmente tutti i siti
infatti nei castelli di Boceno e di Grossetello non sono state rintracciate strutture identificabili con una
torre. E' possibile che i ceti dirigenti abbiano effettuato una selezione, volta all'accentramento della
popolazione in luoghi prescelti.
Tra la metà del XII secolo e la metà del successivo riscontriamo un secondo momento costruttivo che
non coinvolse anche in questo caso tutti gli abitati fortificati. Sia a Selvena che a Montevitozzo sulle
precedenti torri vengono edificate strutture più articolate e ampie, caratterizzate da murature di tipo
romanico ma con caratteri tecnici più approssimati, la pezzatura dei conci si riduce notevolmente e la
lavorazione è più sommaria. Anche a Castell'Azzara le strutture presenti potrebbero essere collocate
in questo arco cronologico, restano ancora difficilmente interpretabile le strutture di Montebuono. La
documentazione archivistica, se confrontata con le tracce rinvenute sul territorio, può dare in alcuni
casi una prima datazione corrispondente con l'abbandono di alcuni siti; in questo senso i castelli di
Monte Penna, la Roccaccia di Piano, Grossetello, e Boceno, non sembrano sopravvivere oltre la fine
del duecento. Probabilmente questi centri non superarono la nuova riorganizzazione territoriale, volta
sempre più all'accentramento della popolazione, che sarà attratta o costretta a confluire in pochi
castelli.
Floriano Cavanna
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