seminario modelli 25.9.09

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SECONDO ANDREA FELTRINELLI
MONICA SALVADOR
NOTE RIASSUNTIVE SULLA TUTELA DEL DESIGN IN ITALIA E
ALL’ESTERO
Avvocati Associati Feltrinelli & Brogi
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I DISEGNI E MODELLI INDUSTRIALI (DESIGN) NAZIONALI
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A - I DISEGNI E I MODELLI NAZIONALI
1. Definizione di disegno o modello
Per “disegno o modello” s’intende “l’aspetto dell’intero prodotto o di una sua parte quale risulta,
in particolare dalla caratteristiche delle sue linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura
superficiale e/o dei materiali del prodotto stesso e/o del suo ornamento”.
La norma stabilisce poi che per “prodotto” deve intendersi “qualsiasi oggetto
industriale o artigianale, compresi, fra l’altro, i componenti che devono essere assemblati per formare un
prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli grafici e caratteri tipografici” .
In definitiva, rimangono escluse dalla registrabilità come disegno o modello (e,
quindi, dalla relativa protezione) solo quelle caratteristiche dell’aspetto di un prodotto
“determinate unicamente dalla funzione tecnica del prodotto stesso” (c.d. forme necessitate).
Va, invece, posta in evidenza l’espressa previsione normativa della registrabilità e
della tutela ora accordata anche alle parti componenti, destinate ad essere assemblate in
prodotti complessi: tale regola dovrebbe comportare il superamento di
quell’orientamento giurisprudenziale (sorto, come noto, in ordine ai pezzi di ricambio di
autovetture) che negava la brevettabilità di prodotti costituenti parti staccate di un
prodotto complesso.
A fronte di ciò e di quanto qui appresso subito vedremo in relazione al nuovo
concetto di “novità” (relativa) del modello ed al venir meno del - prima fondamentale requisito dello “speciale ornamento”, si può fin d’ora osservare che – in pratica – quasi
qualunque prodotto che presenti una complessiva novità formale ed una propria ben
definita individualità può essere registrato come modello.
2. Carattere individuale
Per la validità del disegno o modello ornamentale non è infatti più richiesto il
requisito dell’originalità estetica (prima indicato dalla legge con l’espressione “speciale
ornamento”).
Ad esso viene sostituito il più generico (e per la verità apparentemente anche un
po’ più vago) concetto di “carattere individuale” , il quale è ritenuto sussistere se
“l’impressione generale che suscita nell’utilizzatore informato differisce dall’impressione esercitata in tale
utilizzatore da qualsiasi disegno e modello che sia stato divulgato prima della data di presentazione della
domanda di registrazione …” (art. 5-ter l.m.)
Solo la giurisprudenza può fornire lumi concreti su come vada definito
“l’utilizzatore informato” e quali siano i parametri da adottare per individuare questa
figura di riferimento in relazione ai diversi settori produttivi.
Così come va individuato (per evitare il rischio di giudizi troppo soggettivi e
quindi arbitrari), anche un qualche criterio oggettivo cui far riferimento (i) per fissare
“l’impressione generale” suscitata dal modello e (ii) per raffrontarla con quella suscitata
dalle precedenti creazioni.
E’ inoltre interessante osservare che in tema di valutazione del carattere
individuale, precisa che si deve prendere in considerazione “il margine di libertà di cui
l’autore ha beneficiato nel realizzare il disegno o il modello”. Col riferimento al “margine di
libertà” il legislatore ha dimostrato, quindi, di aver tenuto ben presente quanto da tempo
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sottolineato dalla giurisprudenza nella vigenza della pregressa disciplina: ossia che nei c.d.
settori merceologici affollati è sufficiente ai fini della validità del modello anche un
modesto gradiente di originalità.
Si può ritenere quindi che possa essere sufficiente una apprezzabile e concreta
“diversità” dal già esistente per integrare validamente il requisito del “carattere
individuale”. Non più, dunque, un concreto (ancorché modesto) incremento di
originalità (o contributo creativo) rispetto al notorio, ma una mera, complessiva,
difformità, oggettivamente riconoscibile.
3. Novità
Anche sul piano del fondamentale requisito della “novità” (intesa come ontologica
non uguaglianza rispetto alle forme bi o tridimensionali già esistenti all’atto del
deposito del modello), sono stati introdotti notevoli correttivi rispetto al tradizionale
modo di intendere tale concetto, che ne rendono l’applicazione in qualche modo più
elastica, sebbene anche (inevitabilmente) più incerta.
“Un disegno o modello è nuovo se nessun modello identico è stato divulgato anteriormente alla
data di presentazione della domanda di registrazione … I disegni o modelli si reputano identici quando
le loro caratteristiche differiscono soltanto per dettagli irrilevanti”.
Tuttavia, ai fini della valutazione sia del requisito della novità che di quello del c.d.
“carattere individuale” del disegno o modello non si deve tener conto:
a) delle esposizioni, commercializzazioni o comunque delle pubblicazioni del
modello che, sebbene avvenute prima del deposito della relativa domanda di
registrazione, non potessero “ragionevolmente essere conosciute dagli ambienti specializzati del
settore interessato, operanti nella Comunità, nel corso della normale attività commerciale”;
b) delle divulgazioni effettuate dall’autore o dal suo avente causa o da terzi, in
virtù di atti compiuti dall’autore o dal suo avente causa, nei dodici mesi precedenti la data
di deposito della domanda di registrazione del disegno o modello.
La norma non fornisce criteri per la determinazione degli “ambienti specializzati”
dei diversi “settori interessati” ai singoli disegni o modelli, sui quali spetta alla
giurisprudenza stabilire indirizzi precisi. Risulta, inoltre, innovativo (rispetto ai principi in
materia di pre-divulgazione) quella sorta di “anno di grazia” concesso all’autore
anteriormente al deposito della registrazione, verosimilmente al fine di consentirgli di
saggiare le reazioni del mercato.
Annotiamo, concludendo sul punto, che in tema di componenti (come sopra
ricordato autonomamente registrabili) il disegno o modello “applicato o incorporato nel
componente” possiede i requisiti della novità e del carattere individuale qualora il
componente, una volta inserito nel prodotto complesso, rimanga visibile al consumatore
finale.
4. Titolarità
Il diritto alla registrazione di disegni e modelli realizzati da dipendenti nello
svolgimento delle loro mansioni spetta al datore di lavoro, fermo il diritto del dipendente
di essere riconosciuto autore del modello.
5. Durata della privativa
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La durata delle registrazioni di disegni e modelli è fissata in cinque anni
prorogabili, a richiesta dell’interessato (e dietro pagamento di tasse quinquennali) fino ad
un massimo di 25 anni.
E’ interessante notare che, in virtù di un’apposita norma transitoria, anche i
brevetti per modello ornamentale già depositati non ancora scaduti (o decaduti) al 19
aprile 2001 beneficiano del nuovo periodo di durata, assai più lungo del precedente (15
anni), semplicemente pagando le tasse quinquennali di rinnovo.
6. La tutela giudiziaria d’urgenza
6.1. La direttiva 2004/48/CE (qui di seguito “Direttiva”) sul rispetto dei diritti di
proprietà intellettuale (più nota – tout court - come Direttiva “sull’enforcement”), si propone
sostanzialmente di rafforzare, in tutti i paesi membri, la tutela di copyright, software,
brevetti, modelli, marchi, denominazioni, domain names e segreti industriali, non sul piano
del diritto sostanziale, ma su quello squisitamente processuale (a) della raccolta e
salvaguardia delle prove dell’attività di contraffazione (b) della concessione di
provvedimenti d’urgenza (sequestri, inibitorie) anche al fine di garantire, a chi ne ha
diritto, il concreto risarcimento del danno e (b) della determinazione del danno
risarcibile.
6.2. Sotto il primo profilo, gli artt. 6 e 7 della Direttiva, stabiliscono che coloro i
quali abbiano fornito elementi di prova “ragionevolmente accessibili” per sostenere il
proprio diritto di proprietà intellettuale ed abbiano specificato l’esistenza di prove in
possesso della controparte, in ordine alla violazione di tali diritti ed all’entità (anche
economica) di tale violazione, possono ottenere un ordine di esibizione di tali prove nei
confronti della controparte.
a) In particolare, in caso di “violazione commessa su scala commerciale” la
Direttiva prevede che il giudice nazionale debba poter disporre la “comunicazione della
documentazione bancaria, finanziaria o commerciale” che si trovi in possesso della controparte.
b) Inoltre, la Direttiva prevede espressamente che tutte tali prove possano essere
acquisite (ai fini della loro protezione), anche prima dell’introduzione di un giudizio, per
mezzo di “celeri ed efficaci misure provvisorie” emesse “inaudita altera parte” (e cioè senza
previa convocazione della controparte) e che tali misure provvisorie prevedano anche “il
prelievo di campioni o il sequestro delle merci controverse e, all’occorrenza, dei materiali e degli strumenti
utilizzati nella produzione e/o distribuzione di tali merci e dei relativi documenti”.
In questo modo – come si può notare - l’acquisizione delle prove si può
sostanzialmente trasformare nel sequestro delle merci e dei mezzi destinati alla loro
produzione.
6.2.1. Sempre sotto il primo profilo, l’art. 8 della Direttiva stabilisce che l’autorità
giudiziaria degli Stati membri deve poter ordinare, su richiesta “giustificata” del titolare
del diritto, l’acquisizione di tutte le informazioni “sull’origine e sulle reti di distribuzione” delle
merci in affermata contraffazione e ciò sia presso il presunto contraffattore che, presso
ogni altra persona che
(a) sia stata trovata in possesso, su scala commerciale, delle merci asseritamente
contraffatte;
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(b) sia stata sorpresa ad utilizzare o fornire, su scala commerciale, servizi
costituenti (o che consentono la) violazione di un diritto di proprietà intellettuale;
(c) che sia stata indicata dai soggetti di cui sub a) e b) come implicata nella
produzione, fabbricazione o distribuzione di merci o nella prestazione di servizi
costituenti violazione di un altrui diritto di proprietà intellettuale.
6.2.2. Le informazioni di cui sopra comprendono il “nome ed indirizzo dei produttori,
dei distributori, dei fornitori, dei detentori, dei grossisti” delle merci asseritamente contraffatte
nonchè le relative quantità e prezzo.
6.3. Sotto il secondo profilo (provvedimenti d’urgenza), l’art. 9 della Direttiva
prevede espressamente che l’Autorità giudiziaria degli Stati membri debba poter disporre
inibitorie d’urgenza (interim injunctions) anche prima della sentenza che accerta la
contraffazione, sanzionate dall’imposizione di penalità di mora o, in subordine, dalla
prestazione di garanzie da parte del presunto contraffattore per assicurare il successivo
pagamento del danno eventualmente liquidato dal giudice.
La norma prevede che tali ingiunzioni provvisorie possano essere emesse anche
nei confronti degli intermediari (per esempio agenti od importatori) i cui servizi sono
utilizzati da terzi per violare un diritto di proprietà industriale altrui.
6.3.1. La stessa norma prevede poi espressamente la concessione di sequestri dei
prodotti “sospettati” di violare un brevetto, marchio od altro diritto di proprietà
industriale altrui “per impedirne l’ingresso o la circolazione nei circuiti commerciali”.
6.3.2. La Direttiva prevede poi che, “nel caso di violazioni commesse su scala
commerciale”, l’autorità giudiziaria competente possa disporre “il sequestro conservativo di beni
mobili ed immobili” del presunto contraffattore “compreso il blocco dei suoi conti correnti bancari e
di altri averi”.
6.4. Infine, per quanto attiene al risarcimento del danno, la Direttiva prevede che,
il contraffattore “implicato consapevolmente e con ragionevoli motivi per esserne consapevole” nella
violazione degli altrui diritti di proprietà intellettuale, venga condannato al risarcimento
del danno. In proposito, l’art. 13 della Direttiva prevede che, nel fissare il relativo
importo da risarcire, l’Autorità giudiziaria competente
a) tenga conto di tutte le conseguenze economiche negative, quali il mancato
guadagno della parte lesa e i benefici conseguiti illegalmente dal contraffattore, nonchè
“se del caso” di elementi diversi da quelli economici, come il “danno morale” subito dal
titolare del diritto;
b) in alternativa, liquidi il danno in una somma forfetaria in base, per esempio,
all’importo dei diritti (royalties) che il contraffattore avrebbe pagato al titolare del diritto
ove avesse ottenuto contrattualmente l’autorizzazione a far uso del brevetto, marchio,
know-how o copyright di cui trattasi.
6.4.1 Nel caso in cui la violazione sia stata (o debba ritenersi essere stata)
inconsapevole (vale a dire nel caso di contraffazione “in buona fede”, circostanza
difficile da ipotizzare nel caso di brevetti, modelli o marchi, atteso il sistema di pubblicità
che assiste tali diritti) la Direttiva prevede che l’autorità giudiziaria possa limitarsi a
disporre la “retroversione” al titolare del diritto, dei profitti (utili) realizzati dal
contraffattore.
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6.5. La Direttiva, com’è noto, ha ricevuto pratica attuazione in Italia con il D.Lgs
16.3.2006 n° 140, che ha introdotto non poche modifiche alla legge sul diritto d’autore
(LA) ed al c.d. “codice della proprietà industriale” (c.p.i.) per rafforzare ulteriormente –
appunto – la tutela dei diritti di proprietà intellettuale ed industriale (e quindi, in altre
parole, di) e ciò sia nei giudizi di merito che nei procedimenti d’urgenza.
In particolare si osserva che - a parte la possibilità di disporre sequestri, inibitorie,
rimozione o distruzione dei prodotti contraffatti e dei mezzi destinati alla loro
produzione - sono stati notevolmente rafforzati i poteri inquisitori, repressivi e risarcitori
del giudice.
6.6. In aderenza a quanto previsto dalla Direttiva, in caso di contraffazione
“commessa su scala commerciale” (cioè, di fatto, quasi sempre), il giudice può ora disporre oltre all’acquisizione di elementi, informazioni o documenti per la conferma della
contraffazione e l’identificazione dei soggetti in essa implicati - anche “l’esibizione della
documentazione bancaria, finanziaria e commerciale che si trovi in possesso della controparte” (cioè del
presunto contraffattore – artt 156bis LA e 121 c.p.i.).
6.7. Il giudice inoltre – sia in sede di merito che in sede cautelare (e quindi anche
nei procedimenti d’urgenza) – può ordinare l’interrogatorio (per ottenere informazioni
sull’origine e sulle reti di distribuzione delle merci contraffatte) sia dell’autore materiale
della contraffazione, sia di ogni altra persona che sia stata trovata in possesso, su scala
commerciale, di merci contraffatte, o sia stata sorpresa a fornire servizi utilizzati
nell’attività di contraffazione, o comunque sia stata indicata come implicata nella
produzione, fabbricazione o distribuzione di merci contraffatte o nella fornitura di
servizi utilizzati nello svolgimento di attività di contraffazione.
Tali informazioni possono comprendere, fra l’altro, il nome e l’indirizzo dei
produttori, distributori, fornitori, grossisti, dettaglianti, nonché le quantità di merci
prodotte, consegnate, ricevute o ordinate, oltre al prezzo dei prodotti (art. 156ter LA e
121bis c.p.i.).
E’ da notare che la reticenza o falsità nell’informazione è ora sanzionata
penalmente. Infatti, colui il quale si rifiuti, senza giustificato motivo, di rispondere alle
domande del giudice, o fornisce false informazioni, è punito con le pene previste dall’art.
372 c.p., ridotte alla metà (art. 171octies LA e 127 c.p.i), vale a dire con la pena della
reclusione da 1 a 3 anni.
6.8. E’ inoltre interessante osservare che (art. 124 c.p.i.) la sentenza la quale accerti
la violazione di un diritto di proprietà industriale può ordinare l’inibitoria della
fabbricazione, del commercio, dell’uso nonché il ritiro definitivo dal commercio dei
prodotti contraffatti “nei confronti di chi ne sia il proprietario o ne abbia comunque la
disponibilità”.
Viene quindi espressamente sancito, in questo caso, che l’ordine contenuto nella
sentenza può aver effetto non solo fra le parti del processo, ma anche nei confronti dei
terzi (ancorché rimasti del tutto estranei al giudizio ed anche se in perfetta buona fede,
con la sola esclusione – ovviamente - dei privati utilizzatori).
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Ciò trova indiretta conferma nella successiva disposizione della stessa norma,
secondo la quale “L’inibitoria e l’ordine di ritiro definitivo dal commercio possono essere emessi anche
contro ogni intermediario che sia parte del giudizio ed i cui servizi siano utilizzati per violare un diritto
di proprietà industriale”.
Mentre quindi l’intermediario può essere colpito dalle statuizioni della sentenza
solo ove sia parte del relativo giudizio, coloro che – a qualunque titolo - abbiano
comunque la disponibilità dei prodotti ritenuti contraffatti, sono diretti destinatari di
dette statuizioni, anche se terzi rispetto al relativo processo.
6.9. Importanti (e severe) novità sono inoltre state introdotte in tema di
risarcimento del danno, con l’introduzione di norme che non tengono apparentemente
conto del fatto che, per espressa previsione della Direttiva, l’obbligazione risarcitoria
sorge solo in caso di contraffazione “consapevole” (cioè volontaria).
Innanzitutto, è ora previsto (artt. 162ter LA e 144bis c.p.i.) che quando la parte (in
ipotesi) lesa “faccia valere” (è da notare che la legge non usa espressioni del tipo “dia
prova dell’esistenza” o formule analoghe) circostanze atte a “pregiudicare il pagamento del
[possibile] risarcimento del danno” il giudice può disporre “il sequestro conservativo di beni mobili
ed immobili” del “presunto” (e quindi non ancora accertato) contraffattore, “fino alla
concorrenza del presumibile ammontare del danno, compreso il blocco dei suoi conti correnti bancari e di
altri beni” (e quindi, si ritiene, anche di intere aziende).
Le medesime norme precisano inoltre che “A tal fine [e cioè allo scopo di
consentire la migliore esecuzione del sequestro conservativo], l’autorità giudiziaria può
disporre la comunicazione della documentazione bancaria, finanziaria e commerciale o l’appropriato
accesso alle pertinenti informazioni”; in questo caso, quindi (diversamente da quanto stabilito
dalla Direttiva), è prevista un’acquisizione diretta, per ordine del giudice, di dette
informazioni.
Ne deriva dunque, in buona sostanza, che è ora possibile – di fatto – paralizzare
un’impresa prima ancora di averne accertato l’effettiva attività contraffattoria e prima
ancora di avere stabilito l’ammontare del danno concretamente dovuto.
6.10. Sempre in tema di risarcimento del danno le nuove norme introducono
correttivi che, di fatto, svincolano il titolare del diritto dall’onere di fornire qualunque
prova in ordine al danno subito.
Infatti, oltre a tutti gli altri criteri fin qui fissati (perdite subite dall’avente diritto,
mancato guadagno, benefici ottenuti dal contraffattore, calcolo della royalty che costui
avrebbe pagato in caso di licenza contrattuale), è ora espressamente stabilito (almeno in
tema di diritti di proprietà industriale, ex art. 125 c.p.i.) che “in ogni caso” - e quindi anche
indipendentemente da qualunque prova del danno - “il titolare del diritto leso può chiedere la
restituzione degli utili realizzati dall’autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro
cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento”.
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Anche in questo caso, la norma pare addirittura più severa della corrispondente
previsione della Direttiva, che prevede la reversione degli utili del contraffattore quale
alternativa al risarcimento del lucro cessante e non in aggiunta ad esso.
6.11. Infine, viene ora codificata – tout court - la regola (che la Direttiva prevede
invece sia applicata solo “nei casi appropriati”) per cui, in caso di violazione di diritti di
proprietà industriale o intellettuale, è liquidabile il “danno morale” (cfr. art. 125 c.p.i.).
6.12. La Direttiva doveva trovare pratica attuazione, nelle legislazioni di tutti i
paesi membri, entro il 29 aprile 2006.
Ciò non è tuttavia formalmente ancora avvenuto (anche perchè comunque,
diversi Paesi europei erano già dotati di normative sostanzialmente in linea con la
Direttiva).
Si consideri, inoltre, che la giurisprudenza dei paesi membri (casi specifici si sono
verificati, per esempio, in Germania) interpreta ora, comunque, la normativa nazionale
alla luce dei principi stabiliti dalla Direttiva.
Ne deriva, quindi, che, nel volgere di brevissimo tempo, tutte le legislazioni dei
Paesi membri in materia di tutela dei diritti di proprietà industriale ed intellettuale
saranno armonizzate con (e comunque interpretate alla luce delle) regole comunitarie
sopra sinteticamente esposte ed eventuali disomogeneità riguarderanno aspetti di
importanza se non secondaria, certo non determinante.
(Per esempio, pare che in Germania il risarcimento del danno morale sarà
comunque limitato alle contraffazioni di diritti d’autore – e non di privative industriali - e
che, in Spagna come in Francia resterà la facoltà del presunto contraffattore di evitare
l’applicazione di misure cautelari anticipatorie – come sequestri ed inibitorie – offrendo
appropriata cauzione).
Non si può non osservare, per concludere che – a quanto è dato constatare, per
ora – l’Italia è il Paese che ha recepito le norme della Direttiva, nel modo più severo,
anche al di là dei contenuti e dello spirito di queste ultime (per esempio in tema di
risarcimento del danno, sia morale che materiale o per quanto riguarda il diritto del
presunto contraffattore di non dare informazioni sulla propria attività, diritto
riconosciuto dalla Direttiva – secondo il principio generale per cui il presunto colpevole
non può essere obbligato a fornire prove contro se stesso – ed invece negato dalla
normativa italiana che – artt. 13 e 18 – sanziona penalmente siffatto comportamento).
7. Facoltà di cumulo con la normativa sul copyright
Va poi rilevato che – molto opportunamente – è stato eliminato l’anacronistico
divieto, contenuto nella precedente normativa, di cumulo della protezione derivante dalla
registrazione del modello con quella prevista dalla legge sul diritto d’autore (L. 22 aprile
1941 n° 633). Attesa la rilevanza di tale novità è opportuno ripercorrere sinteticamente le
posizioni raggiunte in base alla disciplina previgente.
Si deve ricordare, infatti, che in forza dell’art. 5 capoverso l.m. (“Ai modelli e disegni
ornamentali non sono applicabili le disposizioni sul diritto d’autore”) veniva negata la possibilità di
tutelare ai sensi della legge sul diritto d’autore i modelli e i disegni ornamentali.
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Corrispondentemente, in forza dell’art. 2 n. 4 della Legge n. 633/1941 sulla protezione
del diritto d’autore erano assoggettate alla relativa tutela, per quanto qui interessa, solo
“le opere della scultura, della pittura dell’arte del disegno, delle incisioni e delle arti figurative e similari,
compresa la scenografia, anche se applicate all’industria, semprechè il loro valore artistico sia scindibile
dal carattere industriale del prodotto al quale sono associate”.
Sulla scorta di questi dati normativi dottrina e giurisprudenza nettamente
dominanti affermavano che le opere d’arte applicate all’industria potevano essere
protette con la normativa del diritto d’autore solo se tali da dar vita ad autonoma
valutazione artistica, a prescindere dal supporto materiale.
La chiave di volta del sistema e dei rapporti fra le due discipline stava dunque nel
c.d. principio di scindibilità a mente del quale soltanto gli oggetti la cui valenza artistica
presenta un valore autonomo rispetto al supporto materiale cui inerisce (vale a dire
quegli oggetti che possono essere apprezzati esteticamente indipendentemente dall’utilità
del prodotto) erano considerati meritevoli della tutela approntata dalle norme sul diritto
d’autore; al di fuori di questa ipotesi, i disegni e i modelli ornamentali dovevano essere
tutelati esclusivamente tramite la disciplina brevettuale sui modelli. Conseguentemente
veniva generalmente esclusa l’applicabilità della tutela del diritto d’autore agli oggetti
dell’industrial design poiché non si ravvisava in essi un autonomo valore artistico,
apprezzabile, sotto il profilo estetico, disgiuntamente dal relativo supporto materiale.
Le conseguenze di tale assetto normativo (e dell’interpretazione che se traeva) non
erano affatto vantaggiose – sotto il profilo della considerazione degli interessi
economico-commerciali – per il design italiano, che non poteva ambire ad ottenere la
protezione immediatamente conseguibile (in quanto non condizionata alla formalità della
previa registrazione dispendiosa in termini cronologici e monetari) offerta dalla
normativa del diritto d’autore. Si noti tra l’altro che, in base al principio della reciprocità,
accolto dal diritto internazionale privato, il “designer” italiano non poteva usufruire della
tutela sul copyright nemmeno in quei paesi (ad esempio Francia e USA) i cui sistemi
legislativi l’ammettevano.
La direttiva della Comunità Europea 98/71, recepita in Italia nel 2001, ha aperto
per disegni e modelli la strada al cumulo della protezione brevettuale con quella del
diritto d’autore, lasciando gli Stati membri liberi di determinare “l’estensione della protezione
e le condizioni alle quali essa è concessa, compreso il grado di originalità che il disegno o modello deve
possedere”. E’ interessante osservare che il legislatore comunitario è intervenuto in un
panorama normativo variegato, in quanto alcuni ordinamenti nazionali (Francia,
Benelux) affidavano principalmente al diritto d’autore la protezione dei modelli e dei
disegni industriali, mentre altri l’ammettevano solo per quei disegni caratterizzati da un
certo pregio artistico (Germania). La scelta, comunque, è inequivocabilmente nella
direzione del doppio binario di tutela e così è stata recepita dal legislatore italiano.
Ed invero, con la novella, in commento, il legislatore è intervenuto proprio sul
citato art. 2 della Legge sul diritto d’autore consentendo così l’applicazione della tutela
normativa del copyright anche alle “opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere
creativo e valore artistico”.
Preliminarmente rileviamo che, nonostante la dizione della legge faccia
riferimento alle opere del disegno industriale (omettendo il richiamo al modello), sembra
senz’altro preferibile ritenere che l’espressione sia stata utilizzata in modo da
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ricomprendere (conformemente al significato della comune espressione anglosassone
“industrial design”) sia i disegni, sia i modelli.
Quanto ai requisiti fissati dalla norma ora in commento, poiché quello del
“carattere creativo” era comunemente ritenuto, sotto la previgente disciplina normativa,
un normale requisito di validità dei modelli ornamentali (e come tale valutato tutt’altro
che severamente), è ora sufficiente individuare anche un “valore artistico” del disegno o
modello – che è ragionevole ritenere potrà anche essere di modesta entità – per far
scattare l’applicabilità del diritto d’autore e, quindi (ove il modello sia anche registrato) il
cumulo delle protezioni.
Ciò che però è davvero interessante è il fatto che, anche in mancanza di una
specifica registrazione del modello (comunque sempre consigliata), sarà ora molto spesso
possibile far valere la (anche recentemente rafforzata) normativa a tutela del copyright, la
quale – com’è noto – non richiede di per sé alcuna formalità di preventiva registrazione
(o pagamenti di tasse).
Va segnalato anche che al fine di armonizzare la disciplina della legge modelli e del
diritto d’autore in tema di titolarità del diritto sull’opera è stato previsto che “qualora
un’opera di disegno industriale sia creata dal lavoratore dipendente nell’esercizio delle sue mansioni, il
datore di lavoro è titolare dei diritti esclusivi di utilizzazione economica”, rimanendo, quindi,
all’autore la titolarità dei diritti morali.
8. Norme transitorie a tutela dei terzi
E’ opportuno segnalare, infine, che il legislatore, accortosi dell’esigenza di
coordinare la nuova tutela concessa a disegni e modelli in base al diritto d’autore (la cui
durata è molto lunga, ossia fino a 70 anni dopo la morte dell’autore) con i diritti e le
aspettativa legittimamente maturate dai terzi in pendenza della normativa previgente, è
intervenuto con il D.Lgs. 12.4.2001 n. 164 introducendo una importante norma di
carattere transitorio.
In particolare è stato precisato che per un periodo di dieci anni decorrenti
dall’entrata in vigore della nuova disciplina sui modelli, la protezione della normativa sul
diritto d’autore “non opera nei confronti di coloro che, anteriormente alla predetta data, hanno
intrapreso la fabbricazione, l’offerta o la commercializzazione di prodotti realizzati in conformità con
disegni o modelli precedentemente tutelati da brevetto e caduti in pubblico dominio”.
In altri termini è stata concessa una sorta di moratoria temporanea al fine di non
pregiudicare le aspettative economiche di quei terzi che in buona fede abbiano posto in
essere attività relative a prodotti che, in base alla disciplina anteriormente vigente, non
erano più oggetto di privative e il cui operato, inopinatamente, avrebbe potuto essere
considerato in violazione della legge sul copyright in virtù della maggior durata
temporale della tutela.
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I DISEGNI E MODELLI COMUNITARI
Preambolo: la normativa applicabile.
Il sistema comunitario di tutela dei modelli e disegni c.d. “ornamentali” (ma
l’espressione è ormai impropria e nel prosieguo sarà sostituita con il termine di “design”)
si articola, oltre che a livello di normative nazionali (reciprocamente uniformate in base
alla Direttiva CE 98/719), anche a livello di normativa unitaria europea
La fonte normativa della disciplina del design comunitario (nel prosieguo anche
DC) è il Regolamento del Consiglio CE n. 02/6 del 12 dicembre 2001 (nel prosieguo
RDC).
Il RDC ha così introdotto una disciplina unitaria, ed al contempo autonoma del
marchio comunitario, applicabile a tutto il territorio dell’Unione Europea, che
attualmente è composto da 25 Paesi: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia,
Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo,
Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna,
Svezia, Regno Unito, Ungheria.
Il sistema di registrazione del DC è operativo dal 1° aprile 2003, mentre la
protezione del DC non registrato (infra, § 2.1.2.) è in vigore dal 6 marzo 2002.
Al citato Regolamento n. 40/94 si aggiungono il relativo Regolamento di
esecuzione (della Commissione) n. 2245/2002 del 16 dicembre 2002 destinato a fissare
le modalità applicative della disciplina del DC e il Regolamento (della Commissione)
relativo ai costi di registrazione del DC n. 2246/2002 del 16 dicembre 2000.
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Va anche ricordato l’Accordo di Locarno dell’8 ottobre 1968 e successive
modificazioni (ratificato con L. 22 maggio 1974 n° 348) sulla classificazione
internazionale dei disegni e modelli.
1 - Definizione e titolarità del DC – Il design realizzato dal dipendente
1.1. La disciplina sostanziale del design comunitario riflette sostanzialmente
(anche se con alcune rilevanti eccezioni)le disposizioni delle normative nazionali,
soprattutto in conseguenza dell’armonizzazione realizzata con la citata Direttiva CE
98/719.
Si tratta di un titolo autonomo: la sua disciplina non si sovrappone nè sostituisce
le normative dei singoli stati ma opera in posizione parallela rispetto a queste ultime
inserendosi nel sistema del diritto comunitario senza insinuarsi nelle normative nazionali.
Il design comunitario si caratterizza altresì per il suo carattere unitario: esso è
infatti valido ed efficace per tutto il territorio della comunità e le vicende che lo
riguardano (registrazione, decadenza, trasferimento, rinuncia, nullità, decisioni, divieti,
ecc.) hanno efficacia solo per l’intera Unione Europea, anche se la vicenda estintiva,
modificativa, ecc. investe un solo Stato membro.
1.2. Accanto al design comunitario registrato (vale a dire oggetto di un formale
attestato di registrazione rilasciato dall’Ufficio Comunitario preposto a tal compito - vale
a dire, nella fattispecie, lo stesso Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno
(UAMI) competente per la registrazione dei Marchi Comunitari), il RDC ha anche
istituito un c.d. design comunitario non registrato, il quale, se dotato di tutti i requisiti di
validità del DC registrato (che qui appresso vedremo), conferisce al relativo titolare un
diritto di esclusiva di durata limitata (triennale) a partire dalla data di prima
divulgazione al pubblico nell’Unione Europea.
Si tratta di un interessante (e del tutto nuovo) istituto, a metà fra il design ed il
diritto d’autore per la cui tutela (ancorché temporalmente limitata) il relativo titolare non
è assoggettato al disbrigo di alcuna formalità amministrativa né al pagamento di alcuna
tassa
1.3. Per “disegno o modello comunitario” (“design comunitario”) si intende l’aspetto
esteriore di un prodotto o di una sua parte quale risulta, in particolare, dalle
caratteristiche delle linee, dei contorni, dei colori, della forma, della struttura superficiale
e/o dei materiali del prodotto stesso e/o del suo ornamento.
Ai fini di tale definizione, per “prodotto” deve intendersi qualsiasi oggetto
industriale o artigianale, comprese, fra l’altro, le componenti destinate ad essere
assemblate per formare un prodotto complesso, gli imballaggi, le presentazioni, i simboli
grafici e i caratteri tipografici, esclusi i programmi per elaboratori
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1.4. Il diritto al DC spetta all’autore ed ai suoi aventi causa. Se il disegno o
modello è stato realizzato da due o più persone il diritto al DC spetta ad esse
congiuntamente.
1.4.1. Nel caso in cui il disegno o modello sia stato sviluppato da un dipendente
nell’esercizio delle sue mansioni o su istruzioni del datore di lavoro, il diritto al DC
spetta al datore di lavoro, salvo patto contrario.
2 - Estensione temporale e territoriale del diritto.
2.1. Il DC registrato ha una durata di 5 anni, decorrenti dalla data di deposito
della relativa domanda.
La registrazione può essere rinnovata per successivi periodi quinquennali fino ad
un massimo di 25 anni dalla data di deposito.
2.2. Il DC non registrato ha una durata di tre anni a decorrere dalla data in cui è
stato divulgato al pubblico per la prima volta nell’Unione Europea (UE).
Un disegno o modello si considera divulgato al pubblico nell’UE se è stato
pubblicato, esposto, usato in commercio o altrimenti reso pubblico in modo tale che, nel
corso della normale attività commerciale, tali fatti possano ragionevolmente essere
conosciuti negli ambienti specializzati del settore interessato operanti nell’UE.
Non vi è divulgazione al pubblico se il disegno o modello è stato rivelato ad un
terzo sotto vincolo implicito o esplicito di riservatezza.
2.3. La tutela del DC, registrato e non registrato, si estende al territorio di tutti i
Paesi membri dell’UE e quindi, attualmente, al territorio di Austria, Belgio, Cipro,
Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Islanda, Italia, Lettonia,
Lituania, Lussemburgo, Malta, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca,
Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Regno Unito e Ungheria.
3 - Requisiti di validità del disegno o modello comunitario
Per la valida registrazione è per la tutela come DC di un disegno o modello è
necessario che esso sia nuovo e dotato di carattere individuale.
3.1. Un disegno o modello si considera nuovo se nessun disegno o modello
identico sia stato divulgato al pubblico:
(i) nel caso di DC non registrato, anteriormente alla data in cui il DC è stato
divulgato al pubblico per la prima volta (cfr. supra § 2.2.);
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(ii) nel caso di DC registrato, anteriormente alla data di deposito della domanda di
registrazione, ovvero, qualora sia stata rivendicata la priorità di una precedente domanda
(infra, § 5.3.), anteriormente alla data di quest’ultima.
3.1.1. I disegni e modelli si reputano identici quando le loro caratteristiche
differiscono soltanto per dettagli sostanzialmente irrilevanti nell’identificazione del
disegno o modello.
3.1.2. Un disegno o modello si considera “divulgato al pubblico”, se è stato
pubblicato, esposto, usato in commercio o comunque reso pubblico anteriormente alle
date di cui all’art. 3.1(i) o 3.1(ii), salvo il caso in cui tali fatti non potessero
ragionevolmente essere conosciuti nel corso della normale attività commerciale negli
ambienti specializzati del settore interessato operanti nella UE.
3.1.3. Non costituisce divulgazione (e non può quindi pregiudicare la validità
del DC) il fatto che il disegno o modello sia stato divulgato al pubblico dall’autore o dal
suo avente causa o anche da terzi, in base ad informazioni fornite o ad atti compiuti
dall’autore o dal suo avente causa, nei dodici mesi che precedono la data del deposito
della relativa domanda, ovvero, qualora si rivendichi la priorità di una precedente
domanda, nei dodici mesi precedenti la data di quest’ultima.
3.1.3.1. Non costituisce inoltre divulgazione invalidante il DC quella verificatasi a
seguito di un abuso commesso nei confronti dell’autore o del suo avente causa.
3.2. Un disegno o modello si considera dotato di carattere individuale se
l’impressione generale che suscita nell’utilizzatore informato differisce in modo
significativo dall’impressione generale suscitata in tale utilizzatore da un qualsiasi disegno
o modello che sia stato divulgato al pubblico:
(i) nel caso di DC non registrato, anteriormente alla data in cui il DC è stato
divulgato al pubblico per la prima volta (cfr. supra § 2.2.);
(ii) nel caso di DC registrato, anteriormente alla data di deposito della domanda di
registrazione, ovvero, qualora sia stata rivendicata la priorità di una precedente domanda,
anteriormente alla data di quest’ultima.
3.2.1. Nell’accertare il carattere individuale si deve prendere in considerazione
anche il margine di libertà dell’autore nella realizzazione del disegno o modello (teoria
del c.d. “campo affollato”).
4. Divieto di registrazione
4.1. Non sono proteggibili come DC le caratteristiche dell’aspetto di un prodotto
determinate unicamente dalla sua funzione tecnica.
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4.2. Non sono inoltre proteggibili come DC quelle caratteristiche dell’aspetto di
un prodotto che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme e
dimensioni per consentire al prodotto di essere connesso meccanicamente con altro
prodotto o di essere collocato all’interno di altro prodotto, intorno ad esso in contatto
con esso in modo che ciascun prodotto possa svolgere la propria funzione.
4.3. Non sono infine proteggibili come DC i disegni o modelli contrari all’ordine
pubblico o al buon costume.
5. Procedura di registrazione
5.1. La domanda di registrazione di un DC (che deve contenere i dati
fondamentali di identificazione del disegno o modello e del relativo richiedente, come
previsto dall’art. 36 del RDC e nel relativo Regolamento di esecuzione e che è soggetta al
pagamento di una tassa di registrazione e pubblicazione), può essere depositata o
direttamente presso l’Ufficio comunitario (qui di seguito “Ufficio Comunitario”)
all’uopo previsto dal RDC (vale a dire l’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato
Interno - UAMI - con sede in Alicante, Spagna) oppure presso l’Ufficio Centrale per la
Proprietà Industriale di ciascuno stato membro dell’UE (per l’Italia l’Ufficio Italiano
Brevetti e Marchi – UIBM – presso il Ministero delle Attività Produttive) il quale, a sua
volta, ne cura l’inoltro all’UAMI.
5.2. Con il pagamento di una tassa supplementare è possibile il deposito domanda
c.d. “multipla” contenente cioè più modelli o disegni alla sola condizione che essi siano
tutti compresi nella medesima classe dell’Accordo di Locarno del 1968 sulla
classificazione internazionale di disegni e modelli.
5.3. Chiunque abbia regolarmente depositato una domanda di registrazione di un
disegno o modello (design) o di un modello di utilità in uno dei Paesi che aderiscono
alla Convenzione di Unione di Parigi o all’Accordo istitutivo dell’Organizzazione
mondiale del commercio (è quindi, in pratica, quasi in un qualunque Paese del mondo),
ovvero l’avente causa del depositante, per un periodo di 6 mesi dalla data di tale
deposito, gode del diritto (di priorità) per depositare domanda di registrazione di un
DC avente ad oggetto il medesimo design o modello di utilità.
Per effetto del diritto di priorità, la data di deposito della domanda (di design o di
modello di utilità) è considerata come data di deposito della domanda di registrazione del
DC per quanto attiene alla valutazione dei requisiti della novità e del carattere individuale
del design.
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5.4. La domanda di registrazione del DC alla quale sia stata assegnata una data di
deposito, ha, in tutti i Paesi membri dell’UE, la stessa efficacia e conferisce gli stessi
diritti di un regolare deposito nazionale.
5.5. Ricevuta la domanda di registrazione, l’Ufficio Comunitario effettua
innanzitutto un esame di regolarità formale della domanda, compresa la verifica del
pagamento delle tasse di registrazione di pubblicazione.
Se riscontra irregolarità, l’Ufficio Comunitario invita il richiedente a regolarizzare
la domanda entro un certo termine, scaduto il quale senza che l’interessato abbia
provveduto, l’Ufficio Comunitario respinge la domanda (o, nei casi di più grave
irregolarità, la considera come non depositata).
5.6. Una volta verificata la regolarità formale della domanda, l’Ufficio Comunitario
la esamina al solo fine di verificare se il disegno o modello (o, nel caso di domanda
multipla, i disegni e modelli) di cui è chiesta la registrazione come DC
a) corrisponde alla definizione prevista dal RDC (cfr. supra, § 1.3) e
b) risulta contrario all’ordine pubblico o al buon costume.
5.6.1. Ove rilevi che tali condizioni non sono soddisfatte, l’Ufficio Comunitario
respinge la domanda, ma, prima di provvedere in tal senso, deve dare l’opportunità al
richiedente di presentare le proprie osservazioni e, se del caso, di modificare o ritirare la
domanda.
5.6.2. Ne deriva quindi che l’Ufficio Comunitario, non effettua alcun esame
sostanziale per la verifica dei requisiti della novità e del carattere individuale (cfr supra §
3) e che, conseguentemente, la registrazione di un DC viene, di regola, sempre concessa
in tutti i casi in cui la relativa domanda risulti formalmente regolare.
5.7. Contro le decisioni dell’Ufficio Comunitario può essere proposto ricorso
avanti apposite Commissioni (le Commissioni dei Ricorsi) istituite presso l’Ufficio. Il
ricorso ha effetto sospensivo della decisione impugnata.
5.7.1. Il ricorso deve essere presentato per iscritto all’Ufficio Comunitario entro 2
mesi dalla data di notifica della decisione che si intende impugnare e non si considera
presentato fino a quando non sia stata pagata la relativa tassa. Entro 4 mesi dalla stessa
data deve essere depositata una memoria scritta contenente i motivi del ricorso.
5.7.2. Contro le decisioni delle Commissioni dei Ricorsi può essere proposto
ricorso avanti la Corte di Giustizia UE per incompetenza, violazione del trattato UE o
del RDC o di qualsiasi norma giuridica relativa alla loro applicazione, o per sviamento di
potere.
Il ricorso deve essere presentato entro 2 mesi dalla notifica della decisione che si
intende impugnare.
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6. Diritti conferiti dal DC - Il diritto di preuso
6.1. Il DC registrato conferisce al titolare il diritto esclusivo di utilizzare il
disegno o modello e di vietarne a terzi l’uso senza il suo consenso. Sono in particolare
considerati atti di utilizzazione la fabbricazione, l’offerta, la commercializzazione,
l’importazione, l’esportazione o l’impiego di un prodotto in cui il disegno o modello è
incorporato o cui è applicato, ovvero la detenzione di siffatto prodotto per tali finalità.
6.2. Il DC non registrato conferisce al titolare il diritto di vietare gli stessi atti di
cui sopra solo nei confronti di colui che abbia copiato l’oggetto del DC. Gli atti
contestati non sono considerati derivanti da copiatura del DC se risultano frutto di una
creazione indipendente realizzata da chi si può ragionevolmente ritenere non conoscesse
il DC non registrato.
In altre parole, la tutela derivante dal DC non registrato si realizza unicamente nei
confronti di quei disegni e modelli che presentano una somiglianza tale con il DC da
rendere improbabile una coincidenza creativa
6.4. Qualunque terzo il quale fornisca la prova di aver, prima della data di deposito
della domanda di registrazione del DC (ovvero, se viene rivendicata una priorità, prima
della data cui detta priorità risale), iniziato in buona fede ad impiegare nell’Unione
Europea – o compiuto seri preparativi a tal fine – un disegno o modello rientrante
nell’ambito di protezione del DC e non costituente una copia di quest’ultimo, ha la
facoltà di continuare ad utilizzarlo per gli scopi per i quali aveva iniziato l’uso o aveva
compiuto seri ed effettivi preparativi a tal fine prima della data di deposito o di priorità
del DC registrato.
Il titolare di tale diritto di preuso non ha la facoltà di concedere a terzi licenze
d’uso del disegno o modello; inoltre, se il preutente è un imprenditore, il diritto di preuso
può essere trasferito solo con il ramo d’azienda nell’ambito del quale è stato posto in
essere detto preuso
7 – La circolazione del DC: cessioni, licenze ed “esaurimento” del diritto.
7.1. Il DC può essere
dell’Unione Europea.
ceduto nella sua interezza e per tutto il territorio
L’atto di cessione di un DC registrato deve essere trascritto, su istanza di almeno
una delle parti, nell’apposito registro dell’Ufficio Comunitario a quindi pubblicato. Fino
a quando il trasferimento non è trascritto nel registro, l’avente causa non può far valere i
diritti derivanti dalla registrazione del DC.
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7.2. Un DC può essere concesso in licenza per l’intera UE o per parte di essa; la
licenza può essere esclusiva o non esclusiva. Se il DC è registrato la concessione di una
licenza su di esso deve essere trascritta nel registro dell’Ufficio Comunitario e pubblicata
7.2.1. Il titolare può azionare il DC nei confronti del licenziatario il quale
contravvenga a qualsiasi disposizione del contratto di licenza per quanto attiene alla
durata del contratto stesso, alla forma in cui può venire impiegato il disegno o modello,
alla gamma di prodotti per i quali è concessa la licenza ed alla qualità dei prodotti
fabbricati dal licenziatario.
7.2.2. fatto salvo quanto previsto dal contratto di licenza, il licenziatario può
proporre un’azione per contraffazione del DC soltanto con il consenso del titolare.
Tuttavia, scaduto inutilmente un congruo termine concesso al titolare del DC per
proporre l’azione, questa può anche essere promossa dal licenziatario esclusivo.
Il licenziatario è in ogni caso legittimato ad intervenire nel processo per
contraffazione introdotto dal titolare del DC.
7.3. Il DC può essere oggetto altresì di diritti reali di godimento o garanzia (come
il pegno), e può altresì essere oggetto di esecuzione forzata.
7.4. Gli atti di cessione, di licenza e di costituzione di diritti reali su di un DC sono
opponibili a terzi, in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, solo dopo la loro
trascrizione nel registro dell’Ufficio Comunitario, a meno che detti terzi non fossero
comunque a conoscenza del contenuto di tali atti al momento dell’acquisto di diritti sul
DC.
7.5. I diritti conferiti dal DC non consentono al relativo titolare ed al suo avente
causa di opporsi alla circolazione od utilizzazione del prodotto in cui il disegno o
modello è incorporato od al quale è applicato, quando detto prodotto sia stato immesso
sul mercato, nell’Unione Europea, dal titolare del DC o con il suo consenso (c.d.
“esaurimento comunitario del diritto”).
8 – Tutela giudiziaria del diritto: azioni di contraffazione e procedimenti d’urgenza
8.1. Gli Stati membri hanno l’obbligo di designare, nel proprio territorio, un
numero (il più limitato possibile) di Tribunali di prima e seconda istanza (che in Italia ora
coincidono con le Sezioni Specializzate in materia di Proprietà Industriale ed
Intellettuale), denominati Tribunali dei disegni e modelli comunitari (qui di seguito
anche “Tribunali comunitari”) ai quali è devoluta la competenza esclusiva in materia di:
(i) azioni di contraffazione (anche potenziale) di un DC; (ii) azioni di accertamento di
non contraffazione; (iii) domande riconvenzionali di decadenza o nullità; (iv) domande di
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nullità dei DC non registrati.
8.1.1 La competenza si determina in base (a) al luogo di residenza del convenuto o
(b) al luogo ove egli abbia una stabile organizzazione. Se il convenuto non ha residenza
né stabile organizzazione in uno dei Paesi dell’Unione Europea la competenza si
determina in base al luogo (c) di residenza dell’attore oppure (d) a quello in cui l’attore ha
una stabile organizzazione. Se (e) neppure l’attore ha residenza o stabile organizzazione
in uno dei Paesi dell’Unione Europea, sono competenti i Tribunali dei DC del Paese in
cui ha sede l’Ufficio Comunitario (Spagna).
La competenza può tuttavia essere determinata anche (f) in base al luogo in cui
l’atto di contraffazione è stato commesso (forum commissi delicti) o in cui vi è pericolo che
si verifichi (tale regola non si applica in caso di accertamento negativo della
contraffazione).
8.1.2. Vi è tuttavia un’importante differenza nel caso si applichino i criteri
attributivi di competenza di cui sopra alle lettere (a), (b), (c), (d) od (e), da un lato, o
quello di cui alla lettera (f) dall’altro.
Nei primi quattro casi, infatti (criterio della residenza del convenuto o dell’attore)
la decisione del Tribunale Comunitario adito avrà effetto in tutti i Paesi della Comunità;
invece nel caso sub (f) – criterio del luogo ha avuto (o minaccia di aver) luogo la
contraffazione - la decisione avrà effetto solo nello Stato membro in cui è stata emessa.
8.2. Il Tribunale comunitario che accerti la contraffazione di un MC può disporre,
nei confronti del responsabile (a) l’inibitoria di ogni ulteriore atto di contraffazione, (b) il
sequestro dei prodotti costituenti contraffazione del DC, (c) il sequestro dei materiali e
dei mezzi utilizzati per fabbricare i prodotti costituenti contraffazione del DC e (d)
qualunque altro provvedimento, commisurato alle circostanze, previsto dallo Stato
membro in cui si sono verificati gli atti di contraffazione o di minaccia di contraffazione
8.3. Qualunque Tribunale (compresi i Tribunali comunitari) competente secondo
le leggi di uno Stato membro, può disporre misure provvisorie e cautelari, previste dalle
leggi di detto Stato (sequestri, inibitorie, provvedimenti atipici) a tutela di un DC anche
quando la competenza a decidere del merito appartenga al Tribunale comunitario di un
altro Stato membro.
8.3.1. Il Tribunale comunitario la cui competenza è determinata in base ad uno dei
criteri di cui alle lettere (b), (b), (c), (d) od (e) del § 8.1.1. (residenza o stabile
organizzazione del convenuto o dell’attore, o sede dell’Ufficio Comunitaria) può
ordinare misure provvisorie e cautelari aventi efficacia sull’intero territorio dell’Unione
Europea.
Tale facoltà non compete a nessun altro organo giurisdizionale.
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8.4. I Tribunali comunitari sono tenuti ad applicare la normativa comunitaria
contenuta nel RDC: per quanto non disciplinato espressamente da quest’ultimo, ed
altresì per le norme processuali, si applicherà la normativa nazionale.
9. Nullità
9.1. Un DC può essere dichiarato nullo solo se:
(a) non corrisponde alla definizione stabilita dal RDC (cfr. supra § 1.3);
(b) non possiede i requisiti di novità e carattere individuale, se ha per oggetto
caratteristiche di un prodotto aventi natura esclusivamente tecnica o se è contrario
all’ordine pubblico o al buon costume (cfr. supra, § 4);
(c) a seguito di una decisione giudiziale definitiva, risulti che il relativo titolare non
aveva diritto alla registrazione (cfr. supra § 1.4.);
(d) è in conflitto con un disegno o modello anteriore, pubblicato dopo la
domanda di registrazione del DC o dopo la relativa data di priorità e che è tuttavia
protetto da data anteriore in virtù di una registrazione o domanda di registrazione
comunitaria o di uno Stato membro;
(e) se in esso è utilizzato un segno distintivo avente effetto da data anteriore e il
diritto comunitario o la legislazione di uno Stato membro conferiscono al relativo
titolare il diritto;
(f) se la sua utilizzazione costituisce violazione di un’opera protetta dalla
legislazione di uno Stato membro in materia di diritto d’autore;
(g) se esso costituisce utilizzazione abusiva di stemmi, bandiere, emblemi di Stato
(art. 6ter della Convenzione di Unione di Parigi) o di altri segni, emblemi o stemmi di
particolare interesse pubblico in uno Stato membro.
9.1.1. Il motivo di cui alla lettera c) può essere invocato solo dal titolare del diritto
alla registrazione; quelli di cui alle lettere d), e) ed f) possono essere invocati solo dal
titolare del diritto anteriore; quello di cui alla lettera g) può essere invocato solo dalla
persona o dall’ente titolare del segno, emblema o stemma
9.2. La nullità di un DC registrato può essere fatta valere sia in via principale sia
in via riconvenzionale nel corso di un’azione per contraffazione.
Se la nullità è fatta valere in via riconvenzionale il giudice competente è quello
avanti il quale pende il giudizio di contraffazione, ovvero il Tribunale comunitario, il
quale peraltro, su istanza del titolare del DC, può sospendere il giudizio di contraffazione
ed invitare il convenuto a proporre domanda di nullità avanti l’Ufficio Comunitario.
Qualora invece si voglia ottenere in via principale la declaratoria di nullità di un
DC registrato la relativa domanda deve essere proposta unicamente presso le Divisioni
di annullamento dell’Ufficio Comunitario.
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Le declaratoria dell’Ufficio Comunitario, come anche la sentenza del Tribunale
che dichiarano la nullità del DC, vengono iscritte nel Registro dell’Ufficio Comunitario;
tali decisioni possono anche stabilire che il DC resti in vita in forma modificata,
dichiarando quindi la nullità parziale del DC che viene parimenti iscritta nel Registro.
9.3. La competenza a giudicare della nullità di un DC non registrato, sia in via
principale che in via riconvenzionale, spetta invece esclusivamente ai Tribunali
comunitari.
9.4. La dichiarazione di nullità di un DC ha effetto retroattivo, posto che, in tal
caso, il DC è considerato privo di effetti fin dall’origine.
Tale retroattività, tuttavia, non pregiudica:
a) Le decisioni in tema di contraffazione passate in giudicato e già eseguite
anteriormente alla declaratoria di nullità
b) I contratti conclusi anteriormente alla declaratoria di nullità, nella misura in cui
soni già stati eseguiti. In tal caso, tuttavia, per ragioni di equità l’interessato può chiedere
un equo rimborso degli importi versati in virtù del contratto
10. Varie
10.1 Chiunque abbia una sede o uno stabilimento nel territorio dell’Unione
Europea può (ma non è obbligato), farsi rappresentare dinanzi all’Ufficio Comunitario.
La rappresentanza è obbligatoria per i soggetti che non abbiano domicilio e neppure
uno stabilimento industriale o commerciale effettivo all’interno dell’Unione Europea.
10.2 Possono assumere la rappresentanza delle persone fisiche o giuridiche
dinanzi all’Ufficio Comunitario soltanto:
a) gli avvocati iscritti all’Ordine dello Stato cui appartengono, se in tale Stato
possono agire in qualità di mandatari in materia di proprietà industriale;
b) i mandatari abilitati iscritti nell’apposito albo tenuto presso l’Ufficio
Comunitario.
10.2. Le domande di registrazione di DC possono essere presentate in qualsiasi
lingua ufficiale dell’Unione Europea; il richiedente ha tuttavia l’onere di indicare una
seconda lingua di procedura scelta fra le cinque lingue dell’Ufficio Comunitario (inglese,
francese, tedesco, italiano, spagnolo).
Se la domanda è stata presentata in una lingua che non è una lingua dell’Ufficio
Comunitario, quest’ultimo provvede alla sua traduzione nella seconda lingua indicata dal
richiedente.
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I DISEGNI E MODELLI INTERNAZIONALI
Preambolo: la normativa applicabile.
Il sistema di registrazione c.d. internazionale dei disegni e modelli industriali
(design) è stato istituito con l’Accordo dell’Aja del 6 novembre 1925, modificato a
Londra il 2 giugno 1939 ed infine, in modo più inciso, ancora all’Aja il 26 novembre
1960. Data l’importanza delle modifiche, alcuni considerano l’Accordo dell’Aja del
1960 (qui di seguito “Accordo”) come un atto completamente nuovo, completato
dall’Atto aggiuntivo di Monaco del 18 novembre 1961 e dall’Atto complementare di
Stoccolma del 14 luglio 1967. Il relativo Regolamento di esecuzione è stato adottato
il 1° ottobre 1985.
L’Italia ha ratificato l’Accordo con l. 24 ottobre 1980 n° 774, che è quindi entrato
in vigore nel nostro Paese il 21 novembre 1980.
Una conferenza diplomatica tenutasi a Ginevra nel 1999, ha adottato in data 2
luglio 1999 una nuova versione dell’Accordo, che va sotto il nome di Atto di Ginevra,
con il relativo Regolamento di esecuzione. Fino ad oggi, peraltro, l’Atto di Ginevra non è
ancora entrato in vigore non essendo ancora stato ratificato da un numero sufficiente di
Stati.
Attualmente, gli Stati che aderiscono all’Accordo sono 25 e precisamente: Belgio,
Benin, Bulgaria, Costa d’Avorio, Macedonia, Francia, Germania, Grecia, Jugoslavia, Italia,
Liechtenstein, Lussemburgo, Marocco, Monaco, Mongolia, Paesi Bassi, Repubblica Moldava,
repubblica popolare democratica di Corea, Romania, Senegal, Slovenia, Suriname, Svizzera, Ucraina e
Ungheria.
Va infine ricordato che 5 Stati (Egitto, Indonesia, Santa Sede, Spagna e Tunisia)
continuano ad applicare fra loro l’Atto del 1934 non essendo ancora divenuti parti
dell’Accordo; di conseguenza, gli Stati che (come l’Italia) hanno aderito solo a
quest’ultimo, non possono richiedere la registrazione di modelli internazionali efficaci
negli Stati da ultimo ricordati.
Anche in tema di disegni e modelli internazionali va ricordato l’Accordo di
Locarno dell’8 ottobre 1968 e successive modificazioni (ratificato con l. 22 maggio 1974
n° 348) sulla classificazione internazionale dei disegni e modelli.
1 - Definizione e titolarità del Modello Internazionale (qui di seguito MI)
22
1.1. Contrariamente a quanto potrebbe indicare l’espressione “Modello
Internazionale” L’Accordo non istituisce un titolo autonomo ed unitario (com’è il caso
del Modello Comunitario), ma realizza unicamente ad una procedura semplificata,
poco costosa ed unificata di registrazione di disegni e modelli (design) che sarà
regolata, negli Stati indicati dal richiedente, secondo le norme previste dalle singole
legislazioni nazionali.
In altre parole, in ciascuno degli Stati aderenti all’Accordo, indicati dal richiedente
all’atto del deposito della domanda di registrazione internazionale, il MI – una volta
registrato presso un Ufficio Internazionale all’uopo istituito - risulterà del tutto
equivalente ad una registrazione di disegno o modello rilasciata secondo la normativa
nazionale.
1.2. Possono essere titolari di un MI i cittadini (persone fisiche o giuridiche) degli
Stati contraenti o le persone che, pur non avendo la cittadinanza in uno di tali Stati,
sono ivi domiciliari o hanno uno stabilimento industriale o commerciale effettivo in uno
di detti Stati
2 - Estensione temporale e territoriale del diritto
2.1. In base all’Accordo, il MI ha una durata iniziale di 5 anni, decorrenti dalla
data di deposito della relativa domanda: tale periodo iniziale può essere rinnovato per
successivi periodi di 5 anni.
La durata minima totale del MI non può essere inferiore a 10 anni; tuttavia, se
la legge di uno Stato membro prevede che la durata complessiva della protezione
conferita in tale Stato ai disegni o modelli registrati sia superiore a detta durata minima,
la medesima disposizione di applicherà al MI in tale Stato.
2.2. L’efficacia del MI si estende al territorio di tutti quei Paesi membri
dell’Accordo (cfr. supra. Preambolo) indicati dal richiedente all’atto del deposito della
domanda.
Se il richiedente ne fa domanda, l’efficacia del MI si estende anche al Paese di
origine del richiedente.
3 - Requisiti di validità del MI
3.1. Sono registrabili come MI i disegni o modelli bidimensionali o
tridimensionali aventi ad oggetto le caratteristiche di forma esteriore di uno o più
prodotti. Caratteristiche formali dettate da una mera natura o funzione tecnica, non sono
proteggibili.
23
L’esistenza di una precedente registrazione nazionale del disegno o modello nel
Paese di origine non è necessaria.
3.2. A parte i requisiti minimi di cui sopra, poiché il MI ha per effetto di realizzare
da una registrazione che, negli Stati membri designati dal richiedente, sarà soggetta alle
norme nazionali che regolano la registrazione locale dei disegni o modelli, altri specifici
requisiti di validità (locale) del MI, particolarmente in tema di novità ed originalità (o
“carattere individuale”, come ora previsto dalla legislazione uniforme dell’Unione
Europea) sono quelli stabiliti dalle leggi nazionali in materia di disegni e modelli.
In proposito, l’Accordo prevede che i Paesi le cui leggi nazionali prevedono che la
registrazione del modello possa essere rifiutata in base ad un preventivo esame d’ufficio
o su opposizione di parte, possano comunicare all’Ufficio Internazionale preposto alla
registrazione (infra § 5) il rifiuto di protezione nazionale del MI entro 6 mesi dalla
notificazione dell’avvenuta registrazione internazionale.
4. Divieto di registrazione
4.1. Come già rilevato (§ 3.1.) l’Accordo prevede un divieto di registrazione del
MI, a livello internazionale, esclusivamente per quelle forme esteriori aventi natura e
funzione meramente tecniche.
Tuttavia, poiché l’Ufficio Internazionale svolge un esame solo formale e poiché il
MI, una volta registrato, è soggetto, in ogni Paese designato, alla legislazione nazionale, i
divieti di registrazione sono i medesimi previsti da tale normativa per i modelli registrati
in via nazionale.
5. Procedura di registrazione
5.1. La domanda di registrazione di un MI deve essere depositata presso l’Ufficio
Internazionale dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (in inglese
“WIPO” ed in francese “OMPI”) che ha sede a Ginevra (Svizzera) direttamente o (se le
leggi nazionali lo permettono o lo impongono) tramite l’Ufficio Centrale per la Proprietà
Industriale del Paese del richiedente.
Il richiedente deve essere il medesimo per tutti i Paesi membri per i quali è
richiesta la registrazione del MI.
5.2. Con una sola domanda (c.d. “multipla) è possibile richiedere la registrazione
di più disegni o modelli (fino a 100) a condizione che essi siano tutti compresi nella
medesima classe internazionale come prevista l’Accordo di Locarno dell’8 ottobre 1968
e successive modificazioni sulla classificazione internazionale dei disegni e modelli.
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5.3. La domanda (che va redatta in Inglese o in Francese) su un modulo specifico
distribuito gratuitamente dall’Ufficio Internazionale, deve contenere, in particolare – ed
oltre a tutti gli estremi identificativi del richiedente, della sua nazionalità e residenza –
l’indicazione dei disegni o modelli compresi in un’unica domanda (in caso di domanda
multipla) e la loro riproduzione in disegno o fotografia, l’esatta indicazione dei prodotti
nei quali i disegni o modelli sono incorporati, la designazione dei Paesi membri
dell’Accordo per i quali si richiede che il MI abbia effetto, nonché l’attestazione di
pagamento delle prescritte tasse di registrazione.
Inoltre, se è rivendicata la priorità di una precedente domanda nazionale, va
indicata la data, il numero ed il Paese di deposito di detta domanda.
Come sempre, in tema di disegni e modelli, il termine per il deposito della
domanda con rivendicazione di priorità, è di 6 mesi dalla data della prima domanda.
5.4. L’Ufficio Internazionale effettua un esame della domanda di registrazione del
MI esclusivamente sotto il profilo della sua regolarità formale e non svolge quindi
nessun esame sostanziale (in particolare sotto il profilo della novità ed originalità – o
“carattere individuale”) che compete invece alle amministrazioni nazionali che lo
prevedono.
Se l’Ufficio Internazionale riscontra irregolarità formali invita il richiedente a
regolarizzare la domanda nel termine di 3 mesi; in difetto di regolarizzazione la
registrazione del MI viene rifiutata.
La registrazione del MI viene pubblicata sul Bollettino Internazionale dei Modelli
(International Designs Bulletin).
5.4.1. Ciascuno Stato membro dell’Accordo la cui legge nazionale prevede la
possibilità di rifiutare la registrazione di un disegno o modello in base ad un esame
preventivo di validità o di una opposizione di parte, può notificare all’Ufficio
Internazionale, entro 6 mesi dalla data in cui il rispettivo l’Ufficio Nazionale riceve
l’esemplare del Bollettino in cui è pubblicato il MI, il rifiuto di protezione del medesimo
in detto Stato.
In tal caso, l’avviso di rifiuto deve contenere le relative motivazioni e deve
indicare il termine per ricorrere contro tale decisione nonché l’autorità nazionale cui il
ricorso va proposto.
6. Diritti conferiti dal MI
6.1. Poiché la disciplina sostanziale del MI, in ciascun Paese membro dell’Accordo
al quale la relativa efficacia è stata estesa, su richiesta del depositante, è dettata dalla
legislazione nazionale di detto Paese, i diritti conferiti al titolare del MI non hanno
25
carattere unitario, ma sono quelli che la legge nazionale di ciascun Paese riconosce ai
titolari di disegni e modelli localmente registrati secondo tale legge
7 – La circolazione del MI: cessioni e licenze.
7.1. Il MI, come oggetto di proprietà, è regolato, in ciascun Paese per il quale è
efficace, dalla legge nazionale.
Ciò premesso, il MI può essere ceduto anche solo per alcuni dei Paesi per i quali è
stato registrato e, in caso di registrazioni multiple, anche solo per alcuni dei disegni o
modelli che ne formano oggetto.
La cessione totale o parziale del MI deve essere trascritta presso l’Ufficio
Internazionale, senza peraltro che tale trascrizione costituisca un requisito di validità
della cessione. L’avvenuta cessione del MI è pubblicata sul Bollettino Internazionale dei
Modelli.
7.1.1. Va peraltro rilevato che un MI può essere ceduto, in tutto od in parte, solo a
persone fisiche o giuridiche abilitate alla relativa registrazione (cfr. supra § 1.2.).
7.2. Non è prevista la trascrizione dei contratti di licenza né di altri diversi da
quelli che modificano la proprietà del MI.
8 – Tutela giudiziaria del diritto: azioni di contraffazione e procedimenti d’urgenza
8.1. Per le stesse ragioni sopra indicate (cfr. § 6.1.) la disciplina della
tutela giudiziaria del MI è totalmente demandata, per ciascun Paese per il quale è
richiesta la registrazione internazionale, alla relativa legge nazionale.
9. Nullità
9.1. Per le stesse ragioni sopra indicate (cfr. § 6.1.) la disciplina della nullità del MI
è totalmente demandata, per ciascun Paese per il quale è richiesta la registrazione
internazionale, alla relativa legge nazionale.
10. Varie
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10.1. L’Accordo prevede che nessuna legge nazionale possa imporre l’uso – sui
prodotti nei quali il disegno o modello oggetto di registrazione è incorporato - di
particolari simboli o diciture quale condizione di efficacia nazionale del MI. Se l’uso di
tali simboli è necessario, secondo una legge nazionale, per altre finalità (per esempio al
fine della richiesta di risarcimento del danno), tale requisito è soddisfatto con la semplice
apposizione della lettera D maiuscola inscritta in un cerchio, accompagnata dall’anno o
dal numero di registrazione.
10.2. La registrazione di un MI non preclude il conferimento, al medesimo
disegno o modello, di una più ampia protezione da parte delle leggi nazionali, in
particolare sotto il profilo del diritto d’autore.
10.3. Dietro pagamento di una specifica tassa, qualunque interessato può far
svolgere, all’Ufficio Internazionale, ricerche nominative per rintracciare tutti i MI
registrati a nome di una determinata persona fisica o giuridica; non è invece possibile
effettuare ricerche per argomento o per tipo di modello o disegno.
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LA REDAZIONE DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI PER L’UTILIZZO
DEI DIRITTI DI PROPRIETÀ INTELLETTUALE: IN PARTICOLARE I
CONTRATTI DI LICENZA
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CAPITOLO PRIMO
LE VERIFICHE PRELIMINARI E LE FONDAMENTALI CLAUSOLE
CONTRATTUALI
I – Premessa
I contratti internazionali che hanno ad oggetto il trasferimento della proprietà o la
concessione di licenze d’uso di diritti di proprietà intellettuale (in particolare brevetti,
modelli e marchi) a fronte del pagamento di somme “una tantum” o di royalties
presentano sempre - oltre alle specifiche problematiche di ciascun caso concreto, che
non è quindi possibile esaminare in questa sede – alcune questioni chiave, di particolare
delicatezza, che attengono all’individuazione dell’esatta portata del brevetto (o del
modello o marchio) venduto o concesso in licenza, alle garanzie (e conseguenti
responsabilità) in ordine alla validità del diritto ceduto, alla libertà di utilizzazione del
brevetto o marchio (e quindi alla legittimità della produzione e vendita dei prodotti
che ne formano oggetto o dal quale sono contraddistinti) alla gestione di eventuali
azioni di contraffazione promosse da (o contro) il licenziatario (o cessionario) del
brevetto o marchio, all’ammissibilità di clausole limitative della concorrenza, alla
scelta della legge regolatrice del contratto e dell’organo cui affidare la risoluzione delle
controversie che eventualmente insorgano fra cedente (o licenziante) e cessionario (o
licenziatario).
Esamineremo brevemente tali questioni, qui appresso, cercando di fornire
qualche suggerimento (ed esempio) pratico per affrontarle
(e regolamentarle
contrattualmente) in modo semplice e tale da evitare, per quanto possibile, il sorgere di
problemi interpretativi (a volte assai gravi), quando ormai il contratto è stato stipulato ed
è quindi ormai troppo tardi per cercare di imporre correttivi.
Per ragioni di chiarezza e brevità espositive prenderemo come parametro di
riferimento il caso (di gran lunga più frequente) del contratto di licenza internazionale
d’uso di brevetto e di marchio, anche perché si tratta delle tipologie contrattuali più
complesse. Va peraltro da sé che le osservazioni e i suggerimenti qui contenuti valgono
anche per i (concettualmente molto più semplici) contratti di cessione – tout court – della
proprietà di brevetti, marchi e modelli.
II – Il brevetto (modello o marchio) oggetto del contratto: le verifiche preliminari
2.1. Com’è noto, una registrazione di brevetto (o di modello) altro non
costituiscono che il diritto di monopolizzare (e cioè di vietare a chiunque di realizzare) il
prodotto o il procedimento che ne forma oggetto
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Allo stesso modo, una registrazione di marchio consiste nel diritto di vietare a
terzi l’uso della parola o figura che ne forma oggetto in relazione a determinati prodotti o
servizi
Per essere validamente monopolizzabile, un prodotto, un procedimento (così
come la parola o la figura oggetto del marchio) devono essere nuovi e comportare un
certo grado di originalità.
Orbene, la materiale esistenza della registrazione del brevetto o del marchio (e
cioè il fatto che una competente amministrazione nazionale o sovranazionale abbiano
effettivamente rilasciato un attestato di registrazione del brevetto) non è di per sé
sufficiente a garantire l’effettiva validità del brevetto o del marchio in termini di
concreta novità ed originalità.
Premesso, infatti, che in alcuni paesi (o sistemi sovranazionali) il brevetto o il
marchio vengono rilasciati senza un esame preventivo di merito, non può certo
escludersi che anche laddove tale esame è previsto, esso venga condotto in modo
superficiale (o non particolarmente approfondito), così da trascurare documenti anteriori
magari anche molto pertinenti e tali da invalidare – in tutto od in parte – la privativa
successivamente concessa.
Pertanto, prima di concludere un contratto di licenza (o di cessione) di
brevetto, modello o marchio d’impresa è importante svolgere delle specifiche (e
approfondite) ricerche di novità internazionale – avvalendosi della collaborazione di
specialisti del settore - che forniscano, con un buon grado di attendibilità,
sufficienti informazioni in ordine all’effettiva validità del diritto che si intende
acquistare (o assumere in licenza).
2.2. D’altra parte, accade anche molto spesso che, dopo aver subito l’esame di una
amministrazione (nazionale o sovranazionale) e pur sfociando nell’effettiva concessione
di un attestato di registrazione di brevetto, l’ambito protettivo della privativa venga
molto ridimensionato rispetto al suo contenuto di partenza, cosicchè, per esempio,
quello che inizialmente sembrava un brevetto suscettibile di monopolizzare un intero
macchinario o un complesso procedimento, si riduce poi ad una privativa che rivendica
(solo) alcune specifiche caratteristiche in un determinato contesto tecnico.
Parallelamente, è ben possibile che il marchio che si intende acquistare (in
proprietà od in licenza d’uso) pur essendo effettivamente stato registrato – magari anche
per tutto il territorio su cui il contratto deve avere efficacia - non copra i prodotti (o i
servizi) che effettivamente interessano all’acquirente.
Conseguentemente, prima di stipulare un contratto di licenza (o cessione)
di brevetto o marchio è importante valutarne non solo l’effettiva validità, ma anche
il concreto ambito di protezione, e ciò al fine di evitare di pagare corrispettivi – a
volte cospicui – per una privativa magari destinata a monopolizzare solo alcune
specifiche caratteristiche tecniche di per sé non essenziali (e magari neppure
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difficilmente aggirabili) o solo alcuni prodotti che non riguardano l’attività
dell’acquirente (o licenziatario).
2.3. Come abbiamo detto, una (valida) registrazione di brevetto (modello o
marchio) conferisce al suo titolare (e al suo licenziatario) un diritto di monopolio e cioè
il diritto di vietare a chiunque di realizzare il prodotto o procedimento brevettati o di
usare la parola o la figura registrati.
Un brevetto, però - anche se di per sé validissimo – non garantisce affatto al
suo titolare (ed ai relativi aventi causa) di poter senz’altro realizzare e
commercializzare il prodotto (od attuare il procedimento) che ne forma oggetto.
In altre parole, è ben possibile che l’attuazione di un valido brevetto (per esempio
relativo al perfezionamento di un certo dispositivo o macchinario) comporti
inevitabilmente anche la realizzazione di una precedente privativa di proprietà di un
terzo e che, conseguentemente, in mancanza di specifica autorizzazione da parte di
quest’ultimo, l’attuazione del secondo brevetto non sia consentita perché tale da ledere
gli altrui diritti anteriori.
Allo stesso modo, è possibile che, nonostante l’avvenuta registrazione di un
marchio (marchio anche valido nel suo complesso), una parola (o una figura) che ne
forma oggetto non possano essere utilizzate, perchè singolarmente già oggetto di una
precedente registrazione altrui.
Ne consegue che, prima di stipulare un contratto di cessione o licenza di diritti
di proprietà industriale, è opportuno effettuare anche un’appropriata ricerca
internazionale preventiva, vale a dire un’indagine avente lo scopo di verificare se
quanto forma oggetto del brevetto o modello che si intende acquisire può indipendentemente dalla validità delle privative - essere effettivamente prodotto e
venduto (o se, trattandosi di marchio d’impresa, la parola o la figura che ne forma
oggetto possono essere effettivamente utilizzate), oppure se, invece, ciò potrebbe
violare eventuali diritti anteriori di proprietà altrui.
31
III – Le clausole contrattuali
3.1. Le garanzie
3.1.1. Tutti i possibili vizi del brevetto, modello o marchio, i limiti del loro ambito
protettivo, l’eventuale impossibilità giuridica di produrre e commercializzare quanto ne
forma oggetto o di usare la parola o figura registrata (a causa di eventuali brevetti
anteriori di terzi), si trasformano in corrispondenti responsabilità del titolare del
brevetto o marchio che lo cede (o lo concede in licenza) ad altri, responsabilità che, se
non espressamente escluse o limitate contrattualmente, si considerano automaticamente
a carico del cedente o licenziante.
In altre parole, se tutte queste questioni non trovano una loro specifica
regolamentazione nel contratto, il cessionario o licenziatario del brevetto o marchio
potrebbe (per esempio a fronte della mancata concessione od annullamento giudiziale
della privativa), non solo domandare l’accertamento della nullità della privativa (e quindi
del contratto) ma anche agire in giudizio nei confronti del relativo titolare per il
risarcimento del danno.
3.1.2. E’ dunque assolutamente necessario, in ogni contratto di cessione o
licenza di brevetto (e di ogni altro diritto di proprietà industriale), inserire clausole tali
da escludere espressamente qualunque responsabilità del titolare del brevetto o
marchio nei confronti del cessionario, licenziatario e relativi aventi causa per
l’eventualità di rifiuto di concessione (quando il brevetto o marchio si trovino ancora
allo stato di domanda, in uno o più dei Paesi cui la licenza o la cessione si riferiscono) od
annullamento giudiziale (qualora la privativa sia già stata concessa), totale o parziale
del diritto.
3.1.3. Allo stesso modo, è poi assolutamente necessario inserire clausole che
escludano qualunque responsabilità del titolare del brevetto o del marchio (in
buona fede) per il caso in cui, indipendentemente dalla validità della registrazione, il
prodotto o procedimento che ne forma oggetto non possano essere praticamente
realizzati (o la parola o la figura non possano essere utilizzate) a causa di brevetti
anteriori (od altri diritti di proprietà industriale od intellettuale) di terzi che potrebbero
risultare comunque violati dalla produzione e/o commercializzazione di tali prodotti o
dalla realizzazione del procedimento brevettato o dall’uso della parola o della figura
oggetto della registrazione di marchio.
3.2. La responsabilità da prodotto difettoso (product liability)
32
3.2.1. Com’è noto, un brevetto contiene una succinta descrizione tecnica
dell’invenzione, la quale si rivolge ad esperti del ramo e dà quindi per conosciuti (e
pertanto non illustra) i fondamentali concetti tecnici della materia e le basilari
cognizioni pratiche indispensabili per la realizzazione del prodotto (o per l’attuazione
del metodo) brevettato.
E’ pertanto indispensabile (e lo è ancor di più qualora il cedente o licenziante si sia
impegnato anche a fornire la propria assistenza tecnica al cessionario o licenziatario)
stabilire espressamente che questi ultimi sono in possesso delle cognizioni
tecniche e delle strutture ed impianti industriali necessari per realizzare
correttamente i prodotti o il procedimento brevettato, sulla base della descrizione
dell’invenzione contenuta nel brevetto eventualmente integrata dall’assistenza
tecnica fornita dal cedente (o licenziante) a fronte di espresse previsioni contrattuali
(che comunque si sconsigliano, per evitare future contestazioni).
In quest’ultimo caso è comunque necessario disciplinare con precisione le
modalità (anche di tempo e di luogo) con cui tale assistenza tecnica deve essere
fornita e ciò allo scopo di evitare che possano sorgere contestazioni circa l’esatto
adempimento di quest’obbligo da parte del cedente o licenziante.
E’ inoltre sempre buona norma escludere qualunque responsabilità (e
conseguente garanzia) nei confronti del cessionario o licenziatario – e dei
rispettivi clienti – in ordine al livello qualitativo dei prodotti da loro realizzati e,
conseguentemente, per il caso di eventuali vizi costruttivi o di progetto di tali
prodotti.
3.3. La difesa del brevetto (del modello o del marchio) oggetto del contratto
3.3.1. Una questione ricorrente ed assai delicata è quella relativa alla difesa del
brevetto (o del modello o marchio concesso in licenza), per il caso di eventuali violazioni
o contraffazioni poste in essere da terzi concorrenti del licenziatario.
Spesso, infatti, quest’ultimo ritiene che per il solo fatto di ricevere corrispettivi
(royalties), a fronte della concessione in uso del proprio brevetto o marchio, il relativo
titolare sia giuridicamente obbligato – se richiesto – ad agire in giudizio a proprie spese
nei confronti di eventuali contraffattori.
Ciò non è esatto. Generalmente parlando, infatti, il titolare del brevetto o del
marchio è obbligato a tutelare il proprio licenziatario (o cessionario) solo nei confronti di
colui che intenda far valere dei (pretesi) diritti nei confronti del titolo (brevetto, modello
o marchio) oggetto del contratto.
Il contraffattore, invece, non avanza alcun diritto (vero o presunto) rispetto detti
titoli, che semplicemente infrange senza curarsi dei rispettivi titolari i quali, in tal caso, in
mancanza di specifiche pattuizioni, non hanno alcun obbligo di attivarsi nei confronti di
tali violazioni, nè – a maggior ragione – sono obbligati a farlo a proprie spese.
E’ pertanto sempre buona norma disciplinare espressamente tali questioni.
33
3.4. Le clausole restrittive della concorrenza
3.4.1. Accade spesso che il titolare di un certo brevetto o marchio, nel concederli
in licenza a terzi, tenda ad imporre loro determinate restrizioni - territoriali, quantitative
o qualitative - in ordine al suo sfruttamento.
Per esempio, può accadere che il titolare di brevetti o marchi di analogo
contenuto, ciascuno depositato in un diverso Paese, voglia concederne l’uso ad un
diverso licenziatario per ognuno di tali Paesi e voglia altresì ottenere l’espresso impegno
di ogni licenziatario a non utilizzare il brevetto al di fuori del territorio a lui assegnato e,
in particolare, nel territorio riservato agli altri.
Può accadere altresì che il titolare di un brevetto o marchio voglia concederlo in
licenza solo per determinati prodotti o settori merceologici o solo per determinati canali
commerciali o fasce di prezzo.
Può accedere, ancora, che il licenziante voglia limitare il quantitativo di prodotti
che il licenziatario è autorizzato a commercializzare per la durata della licenza o per
determinate unità di tempo (per esempio un anno) nel corso del contratto.
Tutte queste clausole si risolvono in restrizioni – più o meno marcate – al diritto
del licenziatario di svolgere liberamente la propria attività economica e, quindi, in ultima
analisi, in restrizioni al diritto di concorrenza vietate da norme nazionali o
sovranazionali finalizzate ad evitare limitazioni sensibili alla concorrenza.
3.4.2. Le norme comunitarie
A) In proposito, occorre premettere che l’art. 81, par. 1 (ex art. 85) del Trattato
CE vieta, a pena di nullità, le intese o le altre pratiche concordate e le decisioni fra
associazioni di imprese che comportino una restrizione sensibile della concorrenza e
siano idonee ad influenzare il commercio tra gli stati membri.
Tale regola conosce, tuttavia, non poche eccezioni in virtù del paragrafo 3 del
richiamato art. 81.
In particolare, detto regime legale di eccezioni opera tramite specifici regolamenti
(c.d. Regolamenti di esenzione) che esentano, a determinate condizioni, alcune
categorie di accordi dal divieto sopra richiamato di siglare accordi restrittivi della
concorrenza. Esistono alcuni regolamenti di esenzione della UE che attengono proprio il
settore della proprietà intellettuale, il più importante dei quali è:
B) Il regolamento CE n. 240/96 del 31 gennaio 1996 relativo agli accordi di
trasferimento di tecnologia
Il regolamento disciplina le esenzioni per categoria degli:
- accordi puri di licenza di brevetti (nazionali, comunitari ed europei);
- accordi puri di licenza di know-how;
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- accordi misti di licenza di brevetto e di know-how;
- accordi che contengono clausole riguardanti diritti di proprietà industriale diversi
dai brevetti, cui partecipino solo due imprese;
- accordi di cessione di brevetti o di know-how, se il rischio dello sfruttamento
rimane a carico del cedente (in particolare quando il corrispettivo della cessione dipende
dal fatturato realizzato dal cessionario).
Per quanto il testo del regolamento parli di “brevetti”, le disposizioni ivi contenute
si ritengono applicabili anche alle licenze di diritti diversi dai brevetti (dunque marchi,
modelli ornamentali, diritti d’autore e software) qualora le clausole relative abbiano
carattere accessorio al contratto.
Tutti gli accordi richiamati sono innanzitutto esentati a condizione che vi
prendano parte solo due imprese.
In siffatti accordi possono essere lecitamente inserite clausole che prevedono (art.
1) in sintesi:
B1) per quanto riguarda il licenziante l’obbligo: (a) di non autorizzare altre imprese
ad utilizzare nel territorio oggetto del contratto la tecnologia concessa in licenza; (b) di
non utilizzare egli stesso nel territorio della licenza la tecnologia concessa;
B2) per quanto riguarda il licenziatario l’obbligo: (a) di non utilizzare nel territorio
del licenziante la tecnologia concessa; (b) di astenersi dal fabbricare od utilizzare il
prodotto oggetto della licenza o dall’utilizzare il procedimento oggetto della licenza nei
territori degli altri licenziatari all’interno del mercato comune; (c) di astenersi dal
praticare una politica attiva di immissione in commercio del prodotto oggetto di licenza
nei territori degli altri licenziatari all’interno del mercato comune e, in particolare, dal fare
pubblicità espressamente destinata a questi territori, costituirvi succursali e mantenervi
depositi per la distribuzione del prodotto stesso; (d) di astenersi dall’immettere in
commercio il prodotto oggetto di licenza nei territori degli altri licenziatari all’interno del
mercato comune, in risposta a domande di fornitura non sollecitate; (e) di utilizzare
unicamente il marchio del licenziante o la presentazione da questi stabilita per
contraddistinguere il prodotto oggetto di licenza durante il periodo di vigenza
dell’accordo, purché al licenziatario non venga impedito di indicare la sua qualità di
fabbricante del prodotto oggetto di licenza;
B3) a dette clausole - che comunque sono soggette a limitazioni temporali
(variabili in funzione della specifica clausola, della effettiva sussistenza del brevetto (o dei
brevetti) negli altri Stati membri, della effettiva segretezza e del carattere sostanziale del
know how, ecc. - possono essere aggiunte legittimamente altre clausole, restrittive della
concorrenza, contenute nella c.d. white list (art. 2). Fra queste si segnalano gli obblighi
del licenziatario di: (a) non divulgare il know-how comunicato dal licenziante, anche
successivamente alla scadenza dell’accordo; (b) non concedere sublicenze o di non
cedere la licenza; (c) non sfruttare il know-how o i brevetti oggetto della licenza dopo la
scadenza dell’accordo nella misura in cui e fino a quando il know-how rimanga segreto e
i brevetti restino in vigore; (d) accordare una licenza al licenziante per i perfezionamenti
o le nuove applicazioni apportate dal licenziatario; (e) attenersi alle norme minime di
qualità del prodotto oggetto della licenza; (f) segnalare al licenziante tutti i casi di
35
appropriazione indebita del know-how o di violazione dei brevetti concessi in licenza,
ecc.
Le clausole previste nella c.d. white list sono esentate anche se non accompagnate
da alcuno degli obblighi previsti all’art. 1;
B4) esiste poi un elenco di clausole che costituiscono la c.d. black list (art. 3) le
quali, se inserite nell’accordo, anche qualora siano accompagnate dalle clausole di cui agli
art. 1 e 2, sono illegittime e fanno perdere anche a queste ultime il beneficio
dell’esenzione.
Dette clausole riguardano, in sintesi: (a) le restrizioni in ordine alla determinazione
dei prezzi, (b) i divieti di concorrenza previsti per una parte nei confronti della
controparte, di imprese ad essa collegate o di altre imprese nel campo della ricerca,
sviluppo, fabbricazione, utilizzazione o distribuzione di prodotti concorrenti, (c) gli
obblighi di rifiutare richieste di fornitura all’interno del proprio territorio destinate al
commercio al di fuori del territorio (c.d. importazioni parallele), (d) le restrizioni di clientela,
(e) le restrizioni in ordine ai quantitativi da fabbricare o da vendere, (f) gli obblighi
relativi alla cessione dei diritti del licenziatario sui miglioramenti o sulle nuove
applicazioni, ecc.
Qualora si vogliano inserire in un accordo obblighi restrittivi della concorrenza
non espressamente esentati dalla c.d. white list né proibiti dalla c.d. black list, è necessario
richiedere una esenzione individuale da parte della Commissione.
Il regolamento è in vigore sino al 31 marzo 2006.
3.4.3. Le norme internazionali - l’Accordo TRIPs
A) In proposito, si ricorda che l’”Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual
Property Rights Includind Trade on Counterfeit Goods” (più noto con l’acronimo “TRIPs”)
stipulato a Marrakech nel 1994 (ed entrato in vigore il 1° gennaio 1996) nel quadro del
c.d. Uruguay Round dell’Accordo GATT (General Agreement on Tariff and Trade) e
quindi esteso alla quasi totalità dei Paesi del mondo, detta disposizioni generali in
materia di accordi di trasferimento di tecnologia.
In particolare, l’art. 40 dell’Accordo TRIPs riconosce che, in linea generale,
alcune condizioni per la concessione di licenze di sfruttamento dei diritti di proprietà
intellettuale, che limitano la concorrenza, potrebbero avere effetti negativi sul
commercio internazionale ed impedire il trasferimento e la diffusione delle tecnologie.
Conseguentemente, la norma prevede espressamente il diritto degli Strati membri
di inserire, nelle rispettive legislazioni nazionali, disposizioni che vietano la stipulazione
di clausole contrattuali tali da integrare un abuso dei diritti di proprietà intellettuale, con
effetto negativo sulla concorrenza. In linea del tutto generale e non esaustiva, l’art. 40
dell’Accordo TRIP’s individua possibili situazioni di abuso nelle clausole che:
(i) obbligano il licenziatario a concedere al licenziante diritti esclusivi di
sfruttamento sui miglioramenti della tecnologia licenziata realizzati dal licenziatario;
36
(ii) obbligo del licenziatario di non contestare la validità dei diritti di proprietà
intellettuale ricevuti in licenza;
(iii) impongono al licenziatario l’acquisizione di licenze globali (vale a dire anche
su brevetti, tecnologie o marchi che il licenziatario non richiederebbe, ma che viene
obbligato ad accettare come condizione per l’ottenimento della licenza)
B) Anche a fronte di ciò, quasi tutti i Paesi del mondo (e non solo quelli in via di
sviluppo ma anche quelli più industrializzati, come – ad esempio – gli USA, il Giappone
e la Cina), hanno adottato normative antitrust, che vietano di imporre al licenziatario del
brevetto o del marchio restrizioni ingiustificate al diritto di concorrenza . In linea del
tutto generale, sono quindi da considerarsi suscettibili di possibile divieto (e quindi di
annullamento):
(i) - le clausole che impongono restrizioni allo sviluppo della ricerca;
(ii) - le clausole che obbligano il licenziatario a cedere al licenziante i diritti sugli
sviluppi o miglioramenti del brevetto licenziato messi a punto dal licenziatario o che gli
impongono di concedere al licenziante licenze su tali sviluppi o miglioramenti (“grantback arrrangements”);
(iii) - le clausole che impongono restrizioni sui volumi di vendita, sui prezzi di
vendita (o di rivendita) sugli sbocchi commerciali e così via;
(iv) - le clausole che impongono restrizioni al licenziatario anche oltre il termine
di validità del brevetto (od altro diritto di proprietà intellettuale) oggetto di licenza;
(v) - le clausole che, senza in ragionevole motivo, impongono al licenziatario di
acquistare forniture, componenti o materie prime, al fine di realizzare i prodotti o il
processo brevettato, presso il licenziante o altri soggetti indicati dal licenziante o che
vietano al licenziatario di approvvigionarsi di tali componenti o materie prime presso
concorrenti del licenziante (“tying arrangements”);
(vi) - le clausole che obbligano il licenziatario a non contestare la validità dei diritti
di proprietà intellettuale ricevuti in licenza (“no contest arrangements”)
(vii) - le clausole che impongono al licenziatario l’acquisizione di licenze globali.
A fronte della varietà di tali norme (e della relativa prassi di applicazione), nonchè
delle particolarità di ogni caso concreto è assolutamente indispensabile verificare di
volta in volta il tenore del contratto con uno specialista della proprietà intellettuale
internazionale;
3.5. Il trattamento fiscale internazionale dei corrispettivi (royalties)
3.5.1. Le legislazioni di quasi tutti i Paesi del mondo prevedono che, in caso di
trasferimento all’estero di somme o canoni (royalties) a fronte dello sfruttamento di
diritti di proprietà industriale o intellettuale (brevetti, modelli, marchi, know-how,
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copyright), l’amministrazione finanziaria applichi su tali corrispettivi una ritenuta alla
fonte (withholding tax) a titolo d’imposta, in una aliquota che varia da paese a paese.
Poiché tali corrispettivi sono poi sempre assoggettati a tassazione (imposta sul
reddito) anche dall’amministrazione finanziaria del Paese cui appartiene il percettore di
dette somme, potrebbe in concreto verificarsi che sullo stesso cespite incida una doppia
imposizione fiscale.
Per evitare situazioni di questo tipo sono stati (e vengono continuamente)
stipulati molti accordi internazionali bilaterali (tax treaties), in base ai quali – di regola (ma
non sempre) - l’amministrazione finanziaria del Paese cui appartiene il soggetto che
eroga il corrispettivo rinuncia, in tutto od in parte, alla relativa tassazione, che sarà quindi
applicata solo da parte del Paese del soggetto che percepisce la royalty.
Occorre però fare molta attenzione e valutare, caso per caso, la normativa fiscale
in vigore e l’esistenza (ed il contenuto) di uno specifico Tax Treaty fra gli stati cui
appartengono le parti del contratto, anche perché ciò può influire in modo significativo
sull’entità dei corrispettivi che il licenziante effettivamente percepisce al netto della
ritenuta fiscale, al di là di quanto previsto dalle pattuizioni contrattuali.
Inoltre, nel caso in cui – per inesistenza di uno specifico Tax Treaty o per le
particolari previsioni di quest’ultimo – l’amministrazione finanziaria del paese del
soggetto erogante applichi comunque una ritenuta alla fonte, è necessario che il
percettore della royalty si faccia rilasciare dal licenziatario una ricevuta ufficiale di tale
pagamento, così da poter godere, nel proprio paese, di un corrispondente sgravio fiscale
(tax credit).
3.6. Le restrizioni al trasferimento di somme o royalties all’estero
3.6.1. Normalmente (in particolare nei Paesi occidentali) la determinazione
dell’ammontare dei corrispettivi (e dell’importo percentuale delle royalties) applicabili ad
un contratto internazionale di cessione o licenza di brevetti e marchi è affidato
esclusivamente al libero negoziato fra le parti, che possono anche pattuire (e
normalmente pattuiscono) l’obbligo di pagare corrispettivi (royalties) minimi garantiti,
indipendentemente dall’effettivo ammontare delle vendite dei prodotti brevettati o
contraddistinti con il marchio licenziato.
Ciò non è, però, sempre vero. In non pochi casi, infatti (soprattutto nel caso di
paesi in via di sviluppo, nell’area centro-sudamericana, del medio oriente), vengono
fissati autoritativamente dei limiti (sempre piuttosto bassi) al trasferimento all’estero dei
corrispettivi o delle royalties pattuite a fronte di licenze di brevetto o di altri diritti di
proprietà intellettuale.
Limiti (o divieti) ancor più severi sono stabiliti, assai spesso, per le clausole sui
minimi garantiti.
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E’ pertanto molto importante valutare, caso per caso, questo aspetto (critico) del
contratto, prima di giungere alla stipulazione di accordi che rischiano poi, sul piano
pratico, di non poter ricevere attuazione.
3.7. La legge applicabile e gli strumenti di risoluzione delle controversie
3.7.1. In proposito – ed in linea generale - si osserva che, nei contratti
internazionali, la scelta della legge (sostanziale) che dovrà disciplinare lo svolgimento
del rapporto, l’interpretazione delle clausole contrattuali e determinare altresì la validità
(ed eventuale violazione) del contratto, così come quella dell’organo (autorità giudiziaria
nazionale o collegio arbitrale), che dovrà giudicare ogni possibile controversia che
dovesse insorgere fra le parti in relazione al contratto da esse stipulato, è lasciata al
libero accordo fra le parti.
Tale libertà costituisce la regola nei Paesi occidentali, mentre, in altre aree, si
possono riscontrare situazioni normative più incerte.
3.7.2. Ciò premesso, in linea generale, va anche osservato che, per esempio, in
base all’art. 16 n° 4 della Convenzione di Bruxelles del 27.9.1968 (sulla competenza
giurisdizionale e sull’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale), la
validità dei titoli di proprietà industriale soggetti a registrazione (brevetti, marchi,
disegni, modelli ecc.) deve essere valutata secondo la legge nazionale dei paese che li ha
rilasciati.
Pertanto, indipendentemente dalla legge nazionale scelta dalle parti per regolare i
loro rapporti contrattuali, ogni eventuale contestazione che dovesse insorgere fra loro
in ordine alla validità dei brevetti o dei marchi oggetto del contratto sarà comunque
regolata dalla legge del Paese in cui tali titoli sono stati rilasciati.
Pertanto, onde evitare eccessive complicazioni processuali sembra consigliabile –
in linea generale e salvo diverse indicazioni riferibili a ciascun caso concreto – far in
modo che la legge regolatrice del contratto coincida con quella del Paese nel quale i
brevetti (o i marchi) che ne formano oggetto sono stati rilasciati.
Ciò naturalmente non è possibile nel caso in cui il territorio contrattuale abbracci diversi
paesi, in ciascuno dei quali siano stati rilasciati brevetti (o marchi) nazionali.
Allo stesso modo, il suggerimento non vale nel caso in cui il contratto abbia ad
oggetto, per esempio, Marchi o Disegni Comunitari.
In tal caso, infatti, non solo la disciplina della validità del Marchio o Modello
Comunitario è dettata unicamente dal Regolamento che lo ha istituito, ma anche tutte le
vertenze che riguardano unicamente tale validità sono di esclusiva competenza
dell’Ufficio Comunitario (UAMI) preposto alla sua concessione.
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3.7.3. Va poi rilevato che, molto spesso, si assiste ad una sorta di automatico
rifiuto della legge (e del sistema giudiziario) della controparte contrattuale,
sostanzialmente basato non su oggettive e motivate valutazioni, ma su di una sorta di
generale diffidenza nei confronti di sistemi normativi (e giudiziari) evidentemente non
molto noti e che quindi – per tale ragione - si teme possano in qualche modo
avvantaggiare la controparte.
Un tale approccio – per così dire sostanzialmente “emotivo” e non molto
razionale – non tiene conto del fatto che, per esempio, le leggi sostanziali europee in
materia di proprietà intellettuale sono ormai tutte armonizzate e che il funzionamento,
anche qualitativo, dell’amministrazione giudiziaria italiana – pur mediamente assai meno
precario ed insoddisfacente di quanto spesso si afferma senza alcuna reale conoscenza
del problema - non può certo dirsi migliore di quello delle corrispondenti
amministrazioni di molti altri Paesi.
Ne deriva che, non di rado, è più conveniente accettare che il contratto sia
regolato, per esempio, dalla legge tedesca, svizzera od olandese (ed assoggettato alla
giurisdizione dei relativi tribunali) – magari barattando la rinuncia alla giurisdizione
italiana con altri vantaggi contrattuali – piuttosto che insistere, senza un concreto
vantaggio (e con scarse probabilità di convincere la controparte), sulla legge e
giurisdizione italiana.
Naturalmente, anche questo suggerimento di carattere generale può subire delle
eccezioni se valutato sotto diverse angolazioni.
Per esempio, la giurisdizione di tipo anglosassone (in particolare quella del Regno
Unito e dei paesi nordamericani), oltre a fondarsi su principi ed istituti spesso non
omologabili a quelli dei paesi a tradizione giuridica romanistica (come l’Italia), implica
notoriamente costi di difesa giudiziale molto alti, assolutamente non comparabili a
quelli mediamente applicati nei paesi dell’Europa continentale.
Inoltre, gli Stati Uniti d’America non sono parti della sopra ricordata
Convenzione di Bruxelles e quindi la delibazione, nel nostro paese, di sentenze rese da
Corti statunitensi può comportare qualche maggiore (ancorchè certo non
insormontabile) complessità burocratica.
Ancora, in Francia le vertenze in materia di concorrenza fra imprese (e quindi –
latu sensu – anche quelle di inadempimento contrattuale, specie in relazione alle tipologie
di accordi qui in esame), possono ricadere nell’ambito della competenza dei c.d.
Tribunali di Commercio nei quali le funzioni di giudice sono affidate (oltre che a
magistrati di carriera) anche ad esponenti della categoria imprenditoriale la cui
competenza tecnico-legale si rivela, a volte, non del tutto ineccepibile.
Ne deriva dunque che, mentre la diffidenza verso le legislazioni e le corti straniere
(e particolarmente quelle tedesche, svizzere od olandesi) non sembra, in generale, del
tutto giustificata, è peraltro consigliabile evitare - ogniqualvolta ciò sia possibile – di
assoggettare il contratto a leggi e giurisdizioni nordamericane e francesi (oltre che,
ovviamente, a quelle di paesi poco noti o le cui strutture amministrative e giudiziarie non
offrano una qualche garanzia di sufficiente affidabilità, come, per esempio quelle dei
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paesi dell’America latina, a meno che ciò non sia imposto dalla legge del paese di
nazionalità del partner contrattuale. In tal caso, però, è senz’altro consigliabile ricorrere
allo strumento dell’arbitrato internazionale, di cui infra, § 3.7.4.).
3.7.4. Allorquando risulti problematico raggiungere un accordo con il partner (di
un contratto internazionale) in ordine alla scelta del giudice nazionale cui affidare la
risoluzione di eventuali controversie, può essere molto utile il ricorso all’arbitrato
internazionale.
In proposito, va peraltro preliminarmente osservato che – secondo la personale
opinione di chi scrive – l’utilizzo dello strumento arbitrale dovrebbe comunque avere
carattere residuale e ciò sia per gli alti costi che queste procedure sempre comportano
(nel caso di giudizio arbitrale, infatti, le parti debbono pagare non solo i rispettivi
difensori, ma anche il giudice, che può essere sia unico che collegiale), sia anche per il
fatto che, non di rado, una procedura arbitrale non è poi sempre così rapida come
normalmente si ritiene, soprattutto allorquando si debba ricorrere ad attività istruttorie
più o meno complesse, com’è – per esempio – il caso della consulenza tecnicobrevettuale.
Ciò premesso, prima di inserire una clausola arbitrale nel contratto, occorre
innanzitutto accertare che entrambi i contraenti appartengano a Paesi che hanno
ratificato convenzioni internazionali in tema di arbitrato ed in particolare la
Convenzione di New York del 10 giugno 1958 sul riconoscimento ed esecuzione di
sentenze arbitrali straniere (cui in realtà aderiscono un gran numero di Stati) e la
Convenzione Europea sull’arbitrato commerciale internazionale, stipulata a Ginevra il
21 aprile 1961.
3.7.5. Fra le diverse possibili tipologie di arbitrato, chi scrive suggerisce senz’altro
di ricorrere ad uno di quelli c.d. “amministrati”, vale a dire gestiti da apposite istituzioni
le quali, attraverso un proprio regolamento arbitrale, si danno carico di disciplinare ed
amministrare l’intero procedimento arbitrale nelle sue varie fasi e cioè sia quella – molto
delicata – della costituzione del collegio arbitrale, sia quella del procedimento vero e
proprio.
Fra le varie istituzioni arbitrali internazionali, che gestiscono procedure di
arbitrato amministrato si possono ricordare:
- La Corte Internazionale di Arbitrato presso la Camera di Commercio
Internazionale (CCI) con sede a Parigi, che è di gran lunga l’istituzione privata più
importante in materia di arbitrato internazionale;
- L’American Arbitration Association, con sede a New York che ha una
caratura meno internazionale rispetto alla CCI e più tipicamente statunitense e non è
molto utilizzata nelle tipologie contrattuali qui in esame;
- La London Court of International Arbitration (LCIA), con sede a Londra, il
cui regolamento arbitrale ha, fra l’altro, il pregio di aver stabilito che il costo del
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procedimento si basa sull’effettivo lavoro svolto dagli arbitri e non è invece costituito da
una percentuale sul valore della controversia (come nel caso della CCI).
3.8. Le formalità di trascrizione ed approvazione (di merito) del contratto
3.8.1. I brevetti (così come i disegni, i modelli industriali ed i marchi) sono – in
tutto il mondo - beni inscritti in pubblici registri che documentano gli aspetti
fondamentali delle loro vicende, come la concessione, il trasferimento, la concessione di
licenze, l’annullamento, ecc.
Pertanto, i contratti che hanno ad oggetto detti beni devono anch’essi venire
trascritti in tali registri. Tuttavia – di regola – la mancata trascrizione di un contratto di
cessione o licenza di brevetto o marchio non incide sulla sua validità fra le parti né sul
potere del cessionario o licenziatario di far valere i propri diritti nei confronti di terzi (per
esempio nei confronti di eventuali contraffattori).
Inoltre, normalmente, la determinazione del contenuto dei contratti in questione
(e quindi di tutte le relative clausole) è lasciato alla libera trattativa privata.
Anche in questo caso, però, ciò non è sempre vero.
3.8.2. Esistono infatti, innanzitutto, paesi o normative sovranazionali che
collegano alla mancata trascrizione del contratto conseguenze più o meno gravi.
Per esempio il contratto di cessione o licenza di un marchio o modello
comunitario, in mancanza di trascrizione presso il competente ufficio (UAMI), è del
tutto inefficace.
Allo stesso modo, per esempio, la mancata trascrizione di un contratto di licenza
di marchio in Paesi di normativa o tradizione anglosassone può comportare la
decadenza del relativo diritto per mancato uso, posto che l’utilizzazione del marchio
da parte di un licenziatario che non ha registrato il contratto è considerata priva di valore
ufficiale.
Conseguenze analoghe (inefficacia del contratto) sono previste dalle leggi di
diversi paesi in via di sviluppo e dell’area centro e sudamericana o del medio e lontano
oriente in caso di mancata trascrizione.
3.8.3. In molti dei paesi da ultimo citati, inoltre, i contratti di cessione e licenza di
diritti di proprietà intellettuale sono assoggettati anche ad una valutazione di merito da
parte di apposite amministrazioni statali o locali, le quali hanno il compito di verificare se
tali accordi sono concretamente utili all’economia nazionale (perché consentono di
acquisire tecnologia effettivamente innovativa ed utile), o se invece altro non
costituiscono che uno strumento mascherato per esportare valuta, e se, comunque, i
corrispettivi e le altre condizioni pattuite sono effettivamente congrue rispetto ai diritti
attribuiti al licenziatario locale.
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Tali autorità hanno quindi il potere di sindacare le singole pattuizioni,
chiedendo eventualmente l’abolizione o la modifica di clausole ritenute inaccettabili.
Se le modifiche richieste non vengono apportate, il contratto non viene ammesso
a registrazione e resta quindi inefficace (con il che, per esempio, nessun corrispettivo
può essere trasferito all’estero).
Ne deriva che, nel caso si debbano stipulare contratti di cessione o licenza di
brevetto o marchio in uno dei paesi appartenenti alle aree sopra indicate, è indispensabile
valutarne anticipatamente la registrabilità (indipendentemente dall’accordo
eventualmente raggiunto con il partner), meglio se con la collaborazione di
specialisti locali.
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