Sulla interpretazione musicale Ogni opera d’arte presuppone necessariamente due fasi o momenti: la concezione e la realizzazione. In tutte le arti spaziali (architettura, pittura, scultura...) tali fasi vengono a corrispondere, nell’attualizzarsi dell’opera stessa, in una forma data una volta per tutte (un quadro, una statua). Nella musica non può darsi corrispondenza tra i due momenti, data la sua natura essenzialmente temporale. Infatti l’opera musicale reale, vivente, che si svolge nella dimensione del tempo, non è che virtualmente presente nella partitura scritta. La musica è pura virtualità che attende sempre di realizzarsi ad ogni esecuzione. E mentre in ogni altra arte creatore ed esecutore coincidono, in musica compositore ed esecutore rappresentano due figure nettamente distinte. Un pianista che interpreta la propria musica dà luogo ad una delle infinite possibili realizzazioni della sua opera. Detto ciò, risulta chiaro che una partitura musicale è opera in potenza, ma non in atto. Per questo, in musica, il problema della interpretazione è di essenziale importanza ai fini del compimento dell’ opera d’arte. A questo punto è tuttavia lecito interrogarci sul senso di una certa richiesta o addirittura pretesa di fedeltà alla partitura o perfino alle intenzioni dell’ autore. Come infatti si può esigere da parte dell’interprete fedeltà a qualcosa che non può essere per sé, ma solo virtualmente in funzione di possibili esistenze? E’opportuno fare qui un passo indietro per risalire al processo creativo e chiarire in quale rapporto stia l’invenzione artistica con la scrittura musicale. Già si è precedentemente argomentato come il linguaggio musicale non significhi altro che il fluire vitale dell’anima nella sua estensione temporale. Tale moto interiore con le sue ineffabili varianti di colore, immagine e ritmo, per essere espresso e comunicato, deve trovare una precisa collocazione spaziale (la partitura) in cui figurano determinati tutti gli elementi costitutivi del discorso musicale (altezza e durata dei suoni,unità ritmiche,accenti e dinamiche varie , annotazioni espressive,ecc). In termini bergsoniani si può dire che la musica scritta stia alla vita dell’anima del suo creatore come il tempo spazializzato, misurabile e reversibile sta alla durata, metafisico tempo della coscienza, non misurabile e irreversibile. Si tratta di due piani ontologicamente distinti, la cui distanza è in linea di principio incolmabile. Per quanto perfetta e ricca di notazioni musicali sia, una partitura è impossibilitata a esprimere la complessità dell’evento creatore e a comprendere in sé la realtà della possibile esecuzione.Essa è tuttavia l’unica possibile forma in cui tradurre e fissare l’idea musicale, il solo paradigma a cui attingere per sviluppare qualsivoglia idea interpretativa. La straordinarietà del linguaggio musicale è proprio nella distanza tra i due ordini sopra accennati, distanza che è garante di assoluta libertà di inventiva anche per l’interprete, il quale non è statico osservatore o passivo esecutore, ma è chiamato a prender parte attivamente al compimento dell’opera d’arte, E’ chiamato cioè a contemplare. La contemplazione è già in qualche modo un atto metafisico, perché ci spinge oltre il dato fenomenico (la partitura come tempo spazializzato) verso il tempo reale (la durata come tempo interiore), verso cioè quell’evento germinale e creatore che non compete esclusivamente al singolo artista, ma all’anima in universale. Ciò acquisito, ne risulta che ogni vera interpretazione è una ricreazione non già perché rimetta in essere ciò che per sua natura è irrepetibile, vale a dire l’atto creativo del compositore, ma perché è una creazione all’inverso. Infatti, come nella concezione creativa si procede dall’esistenza all’essenza, cioè a quello schema virtuale capace per così dire di innumeri incarnazioni, così nella interpretazione si procede dall’essenza all’esistenza, cioè alla realizzazione sensibile dell’ idea. Realizzazione che sceglie e inevitabilmente esclude e mai dà ragione di quella abissale potenzialità (dinamis) racchiusa nell’idea e nella pagina musicale. In questa luce è forse opportuno reputare tanto migliore una interpretazione quanto più riesce a spalancarci lo sguardo non solo e non tanto sul mondo e sull’anima di questo o quell’autore quanto su quel fondo dell’essere che precede e trascende ogni rappresentazione sensibile e che la filosofia nomina come l’Essenza. "Con i suoni danza il nostro amore su variopinti arcobaleni. Tutto va, tutto torna. Il centro è ovunque. Curvo è il sentiero dell’ eternità" (da “Così parlò Zarathustra”)