CORSO DI PERFEZIONAMENTO IN TUTELA E GESTIONE DEL SUOLO E DELLE ACQUE NELLA PIANIFICAZIONE DI BACINO. Anno accademico 2010-2011 Facoltà di pianificazione del territorio Università IUAV di Venezia PIANIFICAZIONE DI BACINO ED ECOLOGIA DEL PAESAGGIO, con particolare riferimento agli ambiti estuariali. Prof. Virginio Bettini Premessa 1Fisher S.G., Running Waters, Science, 270, 15 december 1995, p.1858 (cartaceo) (recensione di Allan J. D., 1995, Stream Ecology. Structure and Function of Running Water, Chapman and Hall, New York) Premessa 2Odum E.P., Ecosistemi lotici, corsi d’acqua e fiumi (cartaceo) da Odum E.P., 1988, Basi di ecologia, Piccin, Padova, p. 480-481 Comunità lotiche di acqua corrente (lettura) da Odum E.P., 1971, Principi di ecologia, Piccin Padova, p.319-324 1-Corsi d’acqua ed i loro corridoi, la dinamica dei paesaggi 1.1Il bacino idrografico, in particolare quello di piccole dimensioni <100 ha può efficacemente rappresentare il modello geografico sul quale condurre indagini su molti dei processi ecologici, che sono in relazione con le diverse attività dell’uomo. Infatti è a questa scala che moltissimi processi fisici, chimici e biologici si manifestano e sono tra loro interrelati. A questa scala può essere testato l’influsso dei diversi usi del suolo sui cicli dei nutrienti, può essere studiato efficacemente l’inquinamento atmosferico e le piogge acide derivanti, nonché quantificare altri tipi di depositi da inquinanti. Inoltre l’uso del bacino idrografico come confine di un ecosistema assicura che gli effetti osservabili siano inseriti in un landscape quantificabile. Per le sue caratteristiche, il bacino idrografico assicura risposte quantificabili solo a scale temporali medio-lunghe ed alcuni parametri necessitano di decenni per rilevarne la variabilità, per quanto intervalli di 30-50 anni consentano di rilevare importanti trends e variazioni di flussi. (Farina A., 1993, L’ecologia dei sistemi ambientali, CLEUP Editrice, Padova, p.171) Possiamo individuare alcuni indicatori utili nella valutazione della salute di un bacino idrografico (lettura) (Farina A., 2004, Lezioni di ecologia, UTET Libreria, Torino, p. 208-210) 1 L’acqua è un fattore essenziale nell’organizzazione e nell’evoluzione dei paesaggi (Naiman R.J., 1996, Water, society and landscape ecology, Landscape ecology, 11 : 193-196) La dinamica dei paesaggi dei grandi fiumi, come le relazioni tra ambiente terrestre ed ambiente acquatico sono temi importantissimi in ecologia del paesaggio. (Décamps H., 1984, Toward a landscape ecology of river valleys, in Coeley and F. Golley, Trends in ecological research for the 1980’s. Plenum publishing corporation: 5-7) Il concetto del corso d’acqua come corridoio ecologico (Stream corridor) è uno dei primi concetti sviluppati dall’ecologia del paesaggio (Forman R.T.T., Godron M., 1986, Landscape ecology, John Wiley and sons, New York) L’analisi di ecologia del paesaggio si presenta come complementare ai temi dell’idrologia, della pedologia e dei cicli biogeochimici, che si collocano all’origine delle prime ipotesi sperimentali della scala di paesaggio (Likens G.E., Bormann F.H., 1995, Biogeochemistry of a forested ecosystem, Springer-Verlag, New York) 1.2I corsi d’acqua sono sempre stati elementi che l’uomo ha voluto sfruttare e canalizzare a proprio vantaggio. Gli uomini hanno colonizzato molto presto le valli ed il controllo delle inondazioni e del letto dei corsi d’acqua è stato uno degli obiettivi della pianificazione. Infatti quello che caratterizza i corsi d’acqua delle zone agricole ed, a fortiori, delle aree urbane, è la quasi unicità e stabilità del letto, in totale contrasto con i corsi d’acqua selvaggi che regolarmente inondano le loro valli ed il cui letto è costituito da numerosi canali, il più delle volte instabili. L’evoluzione dei paesaggi di alcuni grandi fiumi è stata attentamente studiata in Europa e, in particolar modo, in Francia. (Pautou G., Décamps H., 1985, Ecological interaction between the alluvial forests and hydrology of the Upper Rhone, Arch. Hydrobiol, 104 (1) : 13-37) (Décamps H., Fortuné M., Gazelle F., Pautou G:, 1988, Historical influence of man on the riparian dynamics of a fluvial landscape. Landscape Ecology, 1 (3) : 163-173) (Décamps H. Naiman R.J., 1989, L’écologie des fleuves, La Recherche, 208 : 310-319) La semplificazione dei corsi d’acqua nel corso della storia è una costante. Il caso del Reno è un esempio particolare e specifico: si tratta infatti di uno dei fiumi che più è stato sistemato/pianificato e semplificato negli ultimi due secoli, con importanti industrie chimiche che si sono localizzate sui suoi margini, la sua acqua utilizzata da oltre 40 milioni di persone. All’inizio del XIX secolo un canale di 250 km di lunghezza ha ridotto il Reno ad un canale unico nella sua parte superiore. Gli effetti non hanno tardato a farsi sentire sulla foresta alluvionale, che è fortemente regredita a causa dell’abbassamento della falda freatica (fino a 10 m) ed alla riduzione delle inondazioni, che avevano giocato il ruolo maggiore nel disegno e nella dinamica del paesaggio. Sono infatti le perturbazioni che consentono un ritorno della vegetazione agli stadi giovanili ed un apporto importante di materie organiche e minerali. Queste zone umide, vere strutture ecotonali (di transizione) tra l’ambiente terrestre ed i corsi d’acqua, sono oggetto di analisi e ricerche che riguardano sia la loro dinamica strutturale, che le loro funzioni. 2 (Naiman R.J., Décamps H., Eds, 1990, The ecology and management of aquatic-terrestrial ecotones. Man and the biosphere series, UNESCO, Parthenon Publishing. Lancs, U.K.) 1.3La dinamica degli ecotoni è controllata da un insieme di fattori che intervengono su una vasta gamma di scale spazio-temporali I fenomeni tettonici governano le forme dei rilievi a grande scala, mentre nella scala intermedia sono i cambiamenti dell’idrologia negli ambiti dei bacini versanti che modificano i processi erosivi, la forma dei fondovalle. Ad una scala più fine agiscono i processi biologici, come la successione della vegetazione, processi che intervengono nel controllo della dinamica degli ecotoni. Sono questi due tipi di processi che compongono le vere scale dell’ecologia del paesaggio, con la conseguenza che la geomorfologia degli ecotoni varia dalla sorgente alla foce. Diminuisce la pendenza e si forma una pianura alluvionale, inondabile; il processo di accumulazione prevale e l’ha vinta sul processo di erosione, contribuendo alla diversità del paesaggio. In parallelo, le interazioni dirette tra il versante ed il corso d’acqua diminuiscono, almeno negli ambiti meno perturbati, perché l’ecotono è sempre più largo, ma anche perché la quantità d’acqua che arriva dal versante costituisce una frazione sempre meno importante rispetto a quella che circola nel fiume. 1.4Si deve tener conto di 5 concetti chiave quando si parla di paesaggi fluviali e delle loro trasformazioni a seguito di interventi di canalizzazione o di costruzione di dighe: -le risposte del mosaico della vegetazione alla regolazione dei corsi d’acqua -i controlli idrogeomorfologici -i cambiamenti di equilibrio -la biodiversità -la gestione delle operazioni di restauro. (Johnson W.C., 1998,River régulation and landscape change, in Dover J.W., Bunce R.G.H., Key concepts in landscape ecology, IALE (UK), Preston, 3-18) La vegetazione delle pianure alluvionali è tipicamente un mosaico molto dinamico, composto di diversi stadi di successione potenziale. Questo mosaico è strettamente controllato dalla frequenza delle inondazioni e dai processi di sedimentazione. (Décamps et alii, 1988) (Girel J., Pautou G., 1996, The influence of sedimentation on vegetation structure, in Haycock N.E., Burt T.P., Goulding K.W.T., Pinay G., Buffer zones: their processes and potential in water protection. Quest Environmental, Harpenden, 192-207) Il tempo necessario per raggiungere un nuovo equilibrio, dopo la costruzione di dighe su un corso d’acqua, può anche superare i 100 anni, ma è molto variabile e gli effetti sulla biodiversità sono globalmente negativi a causa dell’omogeneizzazione della vegetazione. (Burel F., Baudry J., Ecologie du paysage. Concepts, méthodes et applications, Editions TEC & DOC, Paris 2003, pagine 149-154) 1.5- (cartaceo) Nouvel obstacle à la construction du barrage géant de Belo Monte au Brésil (Le Monde, vendredi 8 avril 2011) 3 Barionuevo A., 2011, Rallying for a national treasure. Chileans fighting to stop Patagonia dam project despite energy needs, International Herald Tribune, Friday, june 17, 2011, p.21 Dupont G., 2011, L’hydroélectricité est-elle vraiment verte? Quel est l’impact écologique des barrages ?, Le Monde, mardi 19 avril 2011, p. 6-7. 2-I sistemi estuariali 2.1-La qualità degli ecosistemi estuariali Per valutare la qualità dei sistemi estuariali dobbiamo tener conto di diversi impatti (geologici, climatici, oceanici, antropici), definendo: -l’equilibrio dinamico e la sua dimensione -le perturbazioni e la loro intensità -la vulnerabilità delle specie L’equilibrio dinamico tra perturbazioni e tasso di rinnovamento di una popolazione si realizza in un contesto locale che si caratterizza attraverso una specifica eterogeneità spaziale, che si inserisce nella biogeografia regionale. A sua volta la condizione “benthic division” qualifica organismi e processi che hanno un legame con il fondo del mare, la microfauna bentonica, della dimensione superiore ad 1 mm, che vive nei sedimenti, può essere utilizzata come un indicatore biologico dell’ecosistema marino (gli anellidi, ad esempio) (Glémarec M., 1979, Les fluctuations temporelles des peuplements bentiques liées aux fluctuations climatiques, Oceanol Acta 2, 365-371) (benthos : forme del fondo di macroconsumatori primari) Le perturbazioni che si rilevano nei siti intertidali sono sempre influenzate dalla topografia e dalla batimetria, dal substrato geologico, dalla geomorfologia, dalle condizioni climatiche, dalle attività umane. L’intensità delle perturbazioni si valuta attraverso la biomassa persa, sia a livello di popolazione che di comunità e dipende dalla magnitudine del fattore, dalle caratteristiche fisiologiche, dalla morfologia degli organismi e dalla natura del substrato. La vulnerabilità delle specie dipende dall’equilibrio dinamico, in stretta relazione con la prevedibilità degli eventi, con i cicli climatici e biologici. (Huston M.A., 1994, Biological diversity: the coexistence of species on changing landscape, Cambridge University Press) Le modificazioni delle condizioni locali, nelle aree estuariali, sono essenzialmente legate al tasso di ossigenazione alla sedimentazione all’idrodinamismo e si collocano in stretta relazione con gli scambi geochimici che avvengono nell’interfaccia acquasubstrato, mentre le specie interessate svolgono un ruolo significativo nella dinamica locale. In altre parole: l’equilibrio ecologico, in ambito estuariale, è in continuo cambiamento. 2.2-La misura della biodiversità. La convenzione sulla diversità biologica, all’art. 2, definisce la biodiversità come: 4 “la variabilità degli organismi viventi di ogni origine, in tutti gli ambiti, terrestri,marini, acquatici, quindi diversità nelle specie, tra le specie e negli ecosistemi” La diversità biologica è favorita da una forte eterogeneità spaziale e riflette l’abbondanza relativa degli elementi strutturali. La complessità, a sua volta, misura le interrelazioni tra elementi strutturali. S’instaura quindi un’eterogeneità temporale che proviene dal processo di esclusione competitiva. (Tales E., Berrebi R., 2007, Controls of local young-of-the-year fish species richness in flood plain water bodies: potential effects of habitat heterogeneity, productivity and colonisation-extinction events. Ecology of Freshwater Fish, 16, 144-154) Di non minore importanza sono le strategie demografiche delle diverse specie, in risposta alle condizioni del mezzo, il cui effetto non dipende necessariamente dalla densità degli individui. Si tratta di definire le caratteristiche degli individui di alcune specie nelle condizioni primarie di equilibrio o disequilibrio, il che ci consente di spiegare come alcuni fattori di mortalità agiscano sulle comunità, creando condizioni per cui l’esclusione per competitività non si presenta più, con un’alterazione dell’equilibrio, che si traduce in un va e vieni permanente. Il già citato Huston (1994) ha chiarito come i processi competitivi e la mortalità dovuti alle perturbazioni, possono compensarsi in un equilibrio che non è mai raggiunto, un equilibrio “dinamico” che dipende dalla sensibilità del sistema alle perturbazioni, quindi dalla sua vulnerabilità. In un habitat estuariale a vocazione naturale questo si traduce in effetti negativi dovuti ad una pianificazione che non tiene conto delle sue leggi e del suo funzionamento. Si tratta di una vulnerabilità che potremmo definire “sistemica”,che ci indica la fragilità dell’ecosistema e, in maniera indiretta, la sua capacità di superare uno squilibrio causato da fattori di rischio. 2.3-Biotopi ed habitat. La classificazione delle aree litoranee costiere, di cui fanno parte i sistemi estuariali avviene, almeno in Gran Bretagna, dove lo si fa dagli anni ’90 del secolo scorso, attraverso la individuazione dei biotopi, che deve avvenire attraverso EUNIS (European Union Nature Identification System) (Condor D.W., Allen G.H., Golding H., Howell K.L., Lieberknecht L.M., Northern K.O., Roger G.B., 2004, The marine habitat classification for Britain and Ireland, JNCC Report, Peterborrough, UK). I biotopi/biofacies (che potremmo definire come l’insieme dei fattori fisici che caratterizzano l’ecosistema occupato da organismi che vivono in associazione specifica, le biocenosi, sono una componente non vivente o abiotica dell’ecosistema, una sottounità dell’ecosistema, che è caratterizzata dal proprio substrato e da una specie dominante rappresentativa della comunità) rappresentano anche l’ecologia funzionale. In Francia, l’analisi delle biofacies e dei biotopi è servita a modellare l’evoluzione spaziale degli ecosistemi nelle baie della Somme e di Veys. Si creano microhabitat che presentano un’eterogeneità spaziale nella ripartizione della fauna invertebrata e nella composizione delle comunità; la biodiversità dipende dalla distribuzione dei micro-habitat sulla base del seguente schema: variabilità verticale= stress intertidali distribuzione dei popolamenti 5 gradienti di diversità specifica e trofica pool di specie regionali variabilità orizzontale a piccola scala= complessità ed eterogeneità dell’habitat variabilità delle biomasse sfumatura della disposizione a piani variabilità orizzontale (inter-sites)=particolarità ambientali e storiche A livello regionale, in una scala di 100 km, si rileva una variabilità orizzontale tra i siti, che dipende da specifiche condizioni ambientali (micro-habitat e risorse trofiche). Esiste comunque un pool regionale di specie sul quale si appoggia ogni ricolonizzazione. Ovviamente possono esistere differenze tra i siti, in particolare per quanto concerne i gruppi funzionali. (Hily C., Bouteille M., 1999, Modification of the specific diversity and feeling guilds in an intertidal sediment colonised by an eelgrass meadow (Zostera marina), C.R. Acad. Sci. Paris, Sciences de la vie-Life/Sciences, 322, 1121-1131). A livello intertidale (la zona intertidale è quella compresa tra la bassa e l’alta marea) esistono ben 3 tipi di possibilità di cambiamento, che possiamo definire sorgenti di variabilità: 1-lo stress che si esercita lungo il gradiente ipsometrico (variazione di altezza del livello dell’acqua) comporta una variabilità locale della comunità a livelli di biotopo (spazio occupato da una biocenosi, ovvero da un ecosistema) 2-l’eterogeneità degli habitat e la complessità delle relazioni interspecifiche accentuano questa variabilità e conferiscono ai siti una loro specificità nella zonizzazione orizzontale 3-le caratteristiche ambientali del sito e le interazioni storiche tra specie, in altre parole, la complessità del sistema, sono all’origine della variabilità tra siti della comunità. Alla scala regionale i biotopi (i quali rappresentano una porzione di territorio le cui condizioni ambientali sono omogenee, per biotopo non si intende solo il substrato suolo, ma anche tutti i fattori fisico-chimici, come temperatura, illuminazione, ioni ecc) si comportano come sottosistemi geografici dinamici in seno alla meta comunità. (Le Hir M., Ducrotoy J.P., 2003, Biodiversity of macro-faunal communities in intertidal boulder fields of Brittany (France): patterns of distribution and hierarchical structure. Hermann P., Heip C., European Commission, High Level Scientific Conferences. Biodiversity of Coastal Marine Ecosystems: A Functional Approach to Coastal Marine Biodiversity) Rientriamo quindi nell’ambito degli habitat naturali, il cui concetto, come definito dalla direttiva europea 92/43/CEE è il seguente: “zone terrestri o acquatiche che si distinguono per le loro caratteristiche geografiche, abiotiche e biotiche, siano esse interamente naturali o seminaturali”. La direttiva scivola però da una nozione scientifica (insieme di fattori ecologici che interessano l’area in cui si sviluppa una specie o una comunità) verso un ibrido concettuale che include una componente biotica, avvicinandosi al concetto di biotopo. 3-Potenzialità ecologiche del sistema estuariale 3.1-Idrologia estuariale 6 Si tratta di comprendere le relazioni che intercorrono tra idrologia e funzione delle zone umide estuariali. I processi idrologici sono responsabili dell’evoluzione e della variabilità dei diversi habitat, nonché del loro valore funzionale, in quanto regolano i movimenti della materia e degli organismi tra l’estuario, le paludi adiacenti, il bacino versante e le falde. L’estuario presenta la caratteristica di rispondere alle influenze marine e continentali con processi di sedimentazione che sono la combinazione di processi fluviali e marini. L’idrologia condiziona anche tutte le altre funzioni in quanto rappresenta l’interfaccia fra falda, acqua superficiale ed atmosfera. Le paludi marine e fluviali, inoltre possono stoccare acqua in caso di inondazioni e cederla in caso di siccità Schema di un complesso estuariale: dinamica idrosedimentaria: Ducrotoy J.P., 2010, La restauration écologique des estuaires, Lavoisier, Paris, p. 23 (cartaceo) L’approfondimento dell’argomento comporterebbe anche lo studio delle maree, la funzione di interfaccia tra ambiente continentale ed ambiente marino, i diversi tipi di estuario. (Ducrotoy, 2010, p. 24-26) 3.2-Caratteristiche morfosedimentarie Tenendo presente che le basse valli alluvionali sono state incise nel corso dell’ultima fase glaciale, oltre 12.000 anni or sono, dobbiamo rifarci alla storia geologica recente ed alla costante influenza su fiumi ed estuari che l’uomo ha esercitato negli ultimi 150 anni. Sono le sabbie che compongono l’ossatura del prisma estuariale a causa anche dell’aumento del livello del mare nel corso dell’olocene. I depositi fluviali hanno riempito le valli, sabbia fine e melma hanno colmato l’estuario, cui si sono poi aggiunti i sedimenti del sistema fluviale. La velocità delle correnti ha condizionato la velocità di erosione, di trasporto e deposito dei sedimenti sulla base della diversa dimensione delle particelle. Sappiamo che sono le forze fisiche in gioco che modellano la morfologia degli estuari ed in particolare la distribuzione dei sedimenti. (Ducrotoy, 2010, p. 28) 4- Le comunità biologiche Gli estuari ospitano comunità tipiche del mezzo a salinità variabile. Le condizioni fisico-climatiche definiscono, in ambito ambientale, gradienti che hanno una grande influenza sulla ripartizione di animali e piante. Gli specialisti degli ecosistemi estuariali hanno in corso un dibattito molto vivace in merito al fatto che comunità di consumatori primari abbiano una vita colma di abbondanza, mentre, tenendo conto dei modelli classici, la qualità biologica si dovrebbe configurare sulla base di un’elevata diversità biologica. Sta qui il vero paradosso circa la qualità degli ecosistemi estuariali: una fauna ed una flora specializzata sostituiscono organismi provenienti sia dal fiume che dal mare, con relazioni fondamentali e diversificate in quanto la complessità del sistema è molto elevata. 4.1-I produttori primari Contrariamente al mare aperto, gli estuari debbono la produzione primaria alle piante fanerogame delle praterie salate, che sostituiscono macro alghe bentoniche e fitoplancton. 7 Le fanerogame possiedono radici, fusti e foglie e si riproducono sessualmente grazie a fiori e semi. In ambiente marino litoraneo esistono fanerogame marine che vivono a bassa profondità e che necessitano di luce per la fotosintesi, come zoostere e posidonie. Il tripton, materia organica vegetale in decomposizione, che comprende anche i microrganismi che ne sono responsabili e le diatomee (alghe al silicio), gioca un ruolo fondamentale nell’approvvigionamento in materia prima vegetale degli estuari, con il fitoplancton stagionale. Una forte biomassa fitoplanctonica può svilupparsi in tutta l’area estuariale. In primavera, nelle aree poco stratificate dell’estuario, esplodono le diatomee, là dove penetra la luce. Il massimo delle biomasse si produce grazie ad una serie di fioriture estive di dinoflagellati. Diatomee e dinoflagellati si escludono a vicenda. Per quanto diversi tipi di vegetali si possano installare nelle aree tidali degli estuari, gli ecosistemi presentano una debole diversità flogistica e fitocenotica. La spartina (Spartina alterniflora) in particolare può coprire fino al 90% della zona intertidale: si tratta di una specie invasiva che causa problemi sia dal punto di vista ecologico che economico. Il fenomeno dell’eutrofizzazione può colpire anche gli estuari: l’ossidazione di stock importanti di materia organica particolarmente biodegradabile può portare ad un serio deficit di ossigeno disciolto nel corso del periodo estivo. Si tratta di un altro dei paradossi della qualità ambientale degli estuari, i quali si possono comportare come veri e propri impianti di trattamento della materia organica. Negli estuari inquinati i flussi di azoto sono aumentati negli anni ’90, mentre la silice è rimasta stazionaria ed il fosforo è diminuito. L’estuario gioca un fondamentale ruolo di interfaccia ed è alla parte più alta dell’estuario che dobbiamo fare maggiore attenzione: è infatti in queste aree che debbono essere mantenuti o riproposti/ricostruiti gli habitat in grado di migliorare il riciclo dell’azoto. Nella parte più a valle dell’estuario la nitrificazione è rapida e completa, un comportamento legato alle diverse condizioni idrosanitarie dei due sistemi, in quanto batteri nitrificanti sono associati alle particelle in sospensione. Siamo sempre nell’ambito del paradosso della qualità ecologica estuariale. (Dauvin J.C., 2007, Paradox of estuarine quality: benthic indicators and indices, consensus or debite for the future, Marine Pollution Bulletin, 55 (1-6), 271-281) (Ducrotoy, 2010, p. 41-42) Paradossalmente, le zone interne degli estuari sono veri e propri impianti di trattamento della material organica, una funzione che è progressivamente scemata a causa della continua riduzione di seperficie degli ultimi 150 anni. 4.2-Fauna bentonica. Per quanto le caratteristiche morfologiche degli ambienti estuariali differiscano, la distribuzione longitudinale delle comunità bentoniche presenta caratteristiche simili. Nelle aree subtidali, sottoposte all’influenza marina, la fauna macrobentonica (di taglia superiore al millimetro) è particolarmente povera in termini di biomassa specifica. Le sabbie estuariali, sottoposte all’influenza marina, ospitano una fauna specifica, con nicchie ecologiche occupate da diversi taxa, dall’Europa all’America del Sud, dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti. (Ducrotoy, 2010, p. 43-44) 8 Nelle aree a monte degli estuari la diversità è spesso più elevata, dalle spugne agli insetti (chironomidi), con maggiore nbiodiversità là dove le correnti sono meno forti. Il regime ideologico e le attività antropiche influiscono sulla variabilità temporale e spaziale di queste comunità, a diverse scale temporali. Esistono poi, ovviamente,variazioni stagionali tipiche in ogni estuario. Le specie marine presentano il massimo di densità in estate ed autunno, mentre le specie estuariali sono più abbondanti nel corso delle piene e delle magre, con differenze dovute alla latitudine e ad altri fattori climatici. La ripartizione spaziale delle specie ne risente a causa della penetrazione delle specie marine nell’estuario. La dinamica bio-sedimentaria dipende dalla portata del fiume: nel momento in cui la portata è alta si verifica un forte deposito di argilla fine, mentre nei periodi di magra sono i depositi sabbiosi che raggiungono un livello elevato. Gli episodi di trasporto del sedimento sono, o almeno sembrano essere, un rilevante meccanismo strutturale del benthos. Questa è una delle ragioni per cui la composizione faunistica muta nel corso dell’anno: la fauna invernale e primaverile, caratterizzata da specie che vivono nella sabbia fine o nella melma, nel corso dell’estate e dell’autunno, si arrichisce di specie che vivono nella sabbia fine pulita. Esiste quindi un importante accoppiamento bento-pelagico, dovuto essenzialmente all’instabilità sedimentaria, che influenza la dinamica macrobentonica. 4.3-L’ambito estuariale come area di allevamento di pesci, soggiorno e nutrimento di uccelli. Gli estuari hanno la possibilità di proteggere una vasta gamma di specie erbivore, planctivore, ma anche predatori del benthos e di altri pesci le cui proporzioni sono definite dalle condizioni ambientali abiotiche. Negli estuari dei paesi temperati, la zona sub-tidale sotto l’influenza dell’estuario è la più ricca per biodiversità ed abbondanza di pesci. Negli ambiti polialini le popolazioni di pesci si alimentano a partire dalla fauna bentonica nelle aree a bassa torpidità, dove esiste un’elevata concentrazione di ossigeno. Nelle zone oligoaline, dove la torpidità raggiunge il massimo, la catena alimentare è esclusivamente planctonica. Le aree fangose dell’ambito intertidale sono utilizzate da numerose specie (ad esempio spigola/branzino) in estate ed ai primi d’autunno. Essendo l’acqua dolce respinta e contenuta dalla marea, alle volte sono presenti anche pesci d’acqua dolce. I fattori che governano la distribuzione dei pesci estuariali sono comunque complessi e si sbaglia quando si tiene unicamente conto della salinità. Il livello di ossigeno, come rilevato nella baia di Barataria (Luisiana, USA) e nel fiume Humber (GB) è decisamente significativo per la presenza di pesci in un estuario. (Allen R.L., Baltz D.M., 1997, Distribution and microhabitat use by flatfishes in a Louisiana esruary, Environmental Biology of Fishes, 50, 85-103) (Marshall S., Elliott M., 1998, Environmental influences on the fish assemblage of the Hummer estuary, UK, Estuarine Coastal and Shelf Science 46: 175-184) Tuttavia dobbiamo ricordare che questi ecosistemi non sono isolati gli uni rispetto agli altri: negli Stati Uniti, la salacca/agone americano (Alosa sapidissima) si sposta, di estuario in estuario lungo le coste atlantiche, dal Labrador alla Florida. (Dadswell M.J., Rulifson R.A., 1994, Macrotidal estuaries: a region of collision between migratory aninmals and tidal power development, Biological Journal of the Linnean Society, 51, 93-113) 9 Nonostante la contaminazione organica e chimica, cui si aggiungono le attività umane, gli estuari, anche quelli interessati da insediamenti industriali, restano essenziali ecosistemi di scambio e costituiscono una “nourrisserie” per i pesci di mare, oltre ad essere un’area fondamentale di riposo ed alimentazione per gli uccelli migratori. A loro volta, i pesci migratori, come la trota di mare, il salmone, l’anguilla, la lampreda fluviale e marina, la salacca/agone sono stati individuati in moltissimi estuari, nel corso degli ultimi anni. Il tutto è chiaramente dovuto al buon funzionamento di queste “aree di alimentazione” che si strutturano sulla base di diversi ambienti aventi funzioni complementari. Qui si concentrano gli uccelli, utilizzando i tempi e gli andamenti delle maree e così, per alcuni anatidi, l’ambito estuariale diventa il sito preferito per il riposo diurno, in attesa della ricerca di nutrimento, nelle praterie umide dei margini, nel corso della notte. Questo sta a significare il valore e l’importanza delle aree marginali (ecotoni). Molte aree ed ambiti estuariali sono luoghi anche di svernamento per molte specie avicole, come l’avocetta, la volpoca, l’anatra codone, il chiurlo cinerino, la beccaccia, il ravanello…. 4.4-La dinamica ecologica degli estuariGli estuari sono ecosistemi dinamici nei quali la variabilità delle condizioni biofisiche dei margini risulta molto importante. Si tratta di una dinamica che si inscrive nella dimensione spazio-temporale, che è appunto quella dell’estuario marino, il quale -risulta inseparabile dalla valle alluvionale -la sua rapida evoluzione, inoltre, si accelera sotto l’influenza dei cambiamenti climatici. Gli habitat degli estuari non sono isolati, ma interagiscono, sia fisicamente che biologicamente. Le praterie salate, ad esempio, contribuiscono all’arricchimento in materia organica delle aree fangose interessate dall’acqua di mare, aree che, a loro volta, producono nutrimento per numerosi predatori sotto forma di zoo-benthos. In altre parole, anche se questo non risulta immediatamente evidente, le zone peri-estuariali sono inseparabili dalle aree estuariali sottoposte ad influenza marina. Nel corso della storia la maggioranza degli estuari ha perso i propri habitat marginali/periferici, sottratti dall’uomo per l’agricoltura, la localizzazione di città, porti ed aree industriali. Questi polders e queste aree arginate continuano comunque a fare parte del complesso estuariale, che è stato frammentato. In termini di ecologia del paesaggio possiamo segnalare la scomparsa dell’ecomosaico, sostituito da un mosaico di colture e praterie artificiali, con una gestioine produttivista e grandi interventi di drenaggio, che hanno portato all’impoverimento delle comunità vegetali ed alla loro incoerenza dal punto di vista ecologico. Le poche zone non coltivate sono costituite da prateria mesofite o sub-alofile ai bordi dei fiumi. Si dovrebbe ipotizzare un deciso ripristino delle aree peri-estuariali in modo tale da ristabilire il contatto con l’ambito estuariale soggetto all’influenza marina, tenendo conto del fatto che le aree palustri e gli stagni partecipano in maniera efficace alla depurazione dell’acqua, dal momento che il loro funzionamento si basa su di una diversità adattativi. Nelle zone umide associate agli estuari tidali, le torbiere presentano habitat colonizzati dalla vegetazione, le cui particolari condizioni ecologiche hanno permesso la formazione di un suolo costituito da un deposito di torba e da un deposito organico, risultato dell’incompleta degradazione di resti vegetali in un ambiente saturo d’acqua, in uno spessore di parecchi metri, al ritmo di 0,2-1 mm all’anno. La maggior parte delle torbiere si è formata dopo l’ultima glaciazione (Würm, circa 12.000 anni fa) ed i depositi di torba che si sono osservati hanno uno spessore tra i 50 cm ed i 5-20 m. I vegetali che strutturano la torba sono in generale briofite, sfagni ed altre erbacee ed una torbiera, anche se inattiva, può rigenerarsi. 10 C’è poi il problema del canneto (Phragmites australis, Calystergia sepium, Sambucus nigra). La canna è una pianta molto competitiva che finisce per eliminare le altre specie. I canneti sono quindi, in generale, poveri in specie flogistiche, ma quelle che si sviluppano sono molto rare ed ospitano molte specie di uccelli. Esistono poi, ai margini, praterie più continentali a Cynosurus cristatus, Bromus racemosus e Festuca pratensis, che sono interessate dall’acqua di ruscellamento e dalle variazioni del livello delle acque sotterranee del bacino versante. Queste praterie possono favorire il passaggio di acqua continentale verso l’estuario marino, il che consente di ricreare ecotoni. Nel loro insieme, le aree umide del letto principale del fiume giocano un ruolo essenziale nella tutela della risorsa acqua, contribuendo alla regolazione idraulica, la miglioramento della qualità delle acque ed al mantenimento di un ecosistema ben diversificato. Le aree umide creano una zona tampone che attenua l’erosione. Tutti elementi da verificare in funzione del previsto innalzamento del livello del mare. Gli effetti dei cambiamenti climatici si risentiranno sul benthos, anche se poco ancora si conosce in merito, in termini bioenergetici, se non a proposito della variabilità delle piogge sugli invertebrati, sui molluschi, sulle ostriche, su alcuni pesci del Rodano e della regione del Qeensland (Australia), sui salmoni e sugli uccelli. In termini di ecologia del paesaggio non esistono dubbi: si debbono ricreare habitat in ambito estuariale ed in ambiente fluviale, cercando di consolidare ecosistemi che siamo resilienti in futuro, anche perché molte specie, la cui biogeografia si andrà modificando, dovranno trovare rifugio in habitat di cui, al momento, non abbiamo idea. 5-Ecologia degli estuari Definizione e tipi (lettura) Biota e produttività (lettura) (Odum E.P., 1971,Principi di ecologia, Piccin, Padova) Estuari (cartaceo) (Odum E.P., 1988, Basi di ecologia, Piccin, Padova, 491-494) 11