Mod2 lo Stato - Istituto Pascal RE

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2^modulo. LA NASCITA E L’EVOLUZIONE DELLO S T A T O MODERNO
0. Alcune domande, a partire dal presente
Che cos’è lo stato? Lo stato e la nazione sono la stessa cosa? Quando è nato lo stato, e dove?
Partiamo dalle prime due domande: oggi le parole ‘stato’ e ‘nazione’ vengono spesso usate come sinonimi, nel
linguaggio comune, ma anche in quello ufficiale: l’organizzazione internazionale di tutti gli stati del mondo si
chiama ONU, cioè Organizzazione delle Nazioni Unite.
Eppure, se cerchiamo le definizioni di queste due parole, troviamo significati molto diversi:
STATO: organizzazione politico-giuridica di un popolo su un territorio, che detiene il monopolio del potere
coattivo legittimo (cioè della forza legittima). Sul piano giuridico, cioè, lo stato è un soggetto di diritto
internazionale costituito da tre elementi: territorio, popolo, sovranità (o governo).
NAZIONE (dal latino nasci = nascere): "insieme di genti legate da comunanza di tradizioni storiche, di lingua,
di costumi, e aventi coscienza di tali vincoli comuni " (cfr.dizionario Garzanti).
Come mai due parole di significato così diverso possono essere usate come sinonimi?
Ciò si deve al fatto che, ai nostri giorni, la forma largamente prevalente di stato è quella dello stato nazionale,
che si è diffuso in tutto il mondo: infatti, tutta la superficie terrestre (a parte l’Antartide) è politicamente
suddivisa in stati, che sono circa 200. Ma questo è accaduto solo nel Novecento, e soprattutto nella sua
seconda metà. Infatti, quando venne fondata l’Onu, nel 1945, gli stati ad essa aderenti erano circa 50, e di
questi solo 11 erano asiatici o africani. E mezzo secolo prima, all’inizio del Novecento, lo stato era un’entità
quasi esclusivamente europea: in tutto il mondo esistevano circa 40 stati, 22 dei quali erano europei, e quasi
tutti gli altri erano le ex colonie europee delle due Americhe, diventate indipendenti tra fine del Settecento (gli
Stati Uniti) e l’Ottocento (gli stati latino-americani).
Pertanto, lo stato nella forma che conosciamo, di stato nazionale, è nato in Europa. Possiamo anticipare che
in questa forma emerse pienamente solo nel XIX secolo, l’Ottocento, quando in Europa si diffuse il “principio di
nazionalità”, secondo cui lo stato doveva coincidere con una nazione, ossia con un popolo omogeneo per
lingua, storia, tradizioni, e consapevole di questa sua omogeneità (una “comunità di destino”, come la definì
Renan, un intellettuale francese del tempo).
Di conseguenza, prima dell’Ottocento non si dovrebbe, propriamente parlando, usare il termine ‘stato
nazionale’, bensì quello di ‘stato moderno’, che nacque in Europa attraverso un processo di lungo periodo,
durato molti secoli. In questo modulo indagheremo (fino all’inizio del Settecento) questo processo
plurisecolare di formazione dello stato moderno, dalle sue origini. Ma quando ebbe origine? E poiché il
processo di nascita ed evoluzione dello stato moderno ebbe luogo in Europa, dobbiamo porci altre domande:
che cos’è l’Europa? da quando esiste l’Europa?
1^parte. Cinque secoli di ‘gestazione’ dello stato moderno, e un modello di analisi
1. 0 Un passo indietro: dall’antichità al Mille
Sappiamo che gli stati esistevano già nell’antichità: regni, città-stato (come le poleis greche), grandi imperi.
Nella storia, si può cominciare a parlare di stato quando, e solo nei casi in cui, il potere su un popolo in un
territorio è gestito in modo impersonale, indiretto, attraverso la mediazione di strutture più o meno complesse,
cioè con apparati di funzionari e secondo regole, leggi, istituzioni. Non si può parlare di stato, invece, per
villaggi, tribù, o altri tipi di gruppi umani nei quali c’era un rapporto personale, diretto, immediato tra chi
deteneva il potere (anziani, capi della tribù o del clan, ecc) e i membri del gruppo.
Dall’inizio alla metà del I millennio, lo stato dominante in Occidente fu l’impero romano, che aveva come suo
baricentro il Mar Mediterraneo, e comprendeva solo una parte dell’Europa (qui intesa solo come espressione
geografica). La restante parte dell’Europa, settentrionale e orientale, era occupata da popoli di lingue
germaniche, non organizzati in forma di stato. Dopo le cosiddette “invasioni barbariche”, ovvero le migrazioni
di popoli germanici, che provocarono uno profondo rimescolamento culturale tra latini e germanici, la definitiva
rottura dell’unità del Mediterraneo antico avvenne con la creazione dell’Islam dal VII secolo. Emersero allora
tre grandi aree di civiltà: quella islamica, quella bizantina, quello latino-germanica. Quest’ultima, la più
arretrata delle tre, nel IX secolo venne unificata dai Franchi con Carlo Magno, ma il suo impero (Sacro
Romano Impero) si dissolse dopo la sua morte. Nel X secolo, le invasioni e le scorrerie di Normanni, Saraceni
e Ungari sconvolsero quell’area: non vi erano più poteri centrali, ma solo poteri locali. In quel territorio che oggi
chiamiamo Europa, non esistevano perciò forme di potere stabile che meritino il nome di stato: lo stato cessò
di esistere. Per il periodo dal Mille in poi, lasciamo ora la parola allo storico C.Tilly”:
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1. 1 Mille anni fa, quando non esisteva lo stato … e neppure l’Europa
“Mille anni fa l’Europa non esisteva. Nei sec.X e XI, i circa 30 milioni di uomini che vivevano nella
parte occidentale dell’Eurasia non avevano alcuna valida ragione per pensare a se stessi come a
una singola entità legata dalla storia e dal destino comune. E, di fatto, non lo fecero”
Lo storico Tilly prosegue descrivendo i tipi di poteri presenti allora: a sud-est l’impero bizantino, e a nord-est
debolissimi e instabili regni; la parte mediterranea, cioè la Spagna e la Sicilia, facevano parte dell’Islam; in
mezzo, tra l’Italia centrale e il Mare del Nord (attuali Olanda, Belgio e valle del Reno), c’era un fitta rete di città,
residuo della colonizzazione romana, che si autogovernavano; a nord, la Scandinavia e l’Inghilterra,
semispopolate, che appartenevano a un regno danese. La Germania e l’Italia erano, in teoria, sotto l’autorità
del Sacro Romano Impero Germanico, che pretendeva di ergersi a erede di Carlomagno. La Francia
occidentale [quella orientale apparteneva all’impero] era divisa in una decina di signorie regionali: uno di
questi signori, il conte di Parigi Ugo Capeto, aveva il titolo di re (non ancora di Francia, bensì dei Franchi), ma
la sua sovranità effettiva di esercitava di fatto solo su una piccola regione tra Parigi e Orleans.
“Ma nessuno di questi nomi di imperi, regni o principati può mascherare la grande frantumazione
del potere, cioè della sovranità, che allora dominava lo spazio che sarebbe, nei secoli successivi,
diventata la moderna Europa. Gli imperatori, i re, i principi, i duchi, i califfi e gli altri sovrani
esercitavano il potere, attorno al Mille, come conquistatori –che riscuotevano tributi e rendite– e
non come sovrani di stati in grado di garantire un governo continuo ed efficace nei loro territori.
Anzi, all’interno dei loro territori, erano spesso contrastati da grandi vassalli che avrebbero dovuto
loro obbedienza. Ovunque proliferavano eserciti privati, e in nessuna parte del continente esisteva
qualcosa che possa avvicinarsi a un moderno stato centralizzato”. Tilly sottolinea poi che:
“All’interno di questi stati effimeri e dai confini del tutto incerti, inoltre, la sovranità era
ancora più frantumata in quanto centinaia di signori locali, vescovadi, città-stato, esercitavano un
dominio schiacciante sui territori loro sottoposti. Nell’anno Mille, ad esempio, il papa, l’imperatore
di Bisanzio e quello del Sacro Romano Impero pretendevano di detenere il potere in gran parte
della penisola italiana, ma in realtà quasi ogni città di un certa importanza agiva come soggetto
politico indipendente; e nel Duecento, solo nella penisola italiana, o meglio nella sua parte
settentrionale e centrale, c’erano duecento o trecento città-stato indipendenti. E là dove le città
erano numerose [cioè nell’Italia centro-settentrionale, nelle Fiandre, nella Germania renana e sul Mar Baltico], la
sovranità tendeva maggiormente a frantumarsi, a vantaggio appunto delle città.”
Per avere un termine di confronto: a quel tempo, all’estremità opposta dell’Eurasia, la Cina, grande più o
meno quanto l’Europa, aveva una fiorente agricoltura e un grande sviluppo urbano, industriale e commerciale,
e contava circa 100 milioni di abitanti, tutti sudditi di un unico impero, che governava con una rete capillare di
funzionari imperiali. Paragonata alla Cina, l’area europea era quasi spopolata (30 milioni di abitanti),
urbanizzata solo nelle regioni dell’Italia e delle Fiandre, con un’economia agraria molto arretrata, spesso di
tipo silvo-pastorale; e, come abbiamo appena letto, era estremamente frantumata politicamente: non solo per
il grande numero di regni, principati, contee, ecc., ma perché tutti questi erano a loro volta deboli e
spezzettati al loro interno, e i poteri effettivi erano solo quelli locali, a volte debolissimi [v. docc.1 e 3, appendice]
2 Un modello di analisi sulla formazione e sull’evoluzione dello stato moderno
Dallo stesso Tilly è possibile ricavare anche un modello di analisi sulla formazione e sull’evoluzione dello
stato, che ci sarà molto utile: infatti è applicabile sul lunghissimo periodo, dal Mille (quando, come si è visto, di
stato non si può ancora parlare) fino… al presente (anche se noi ci fermeremo all’inizio del Settecento). Come
ogni modello, è una rappresentazione semplificata, una ‘mappa’ che aiuta a vedere gli aspetti essenziali del
‘territorio’ cui si riferisce, per meglio orientarsi.
Lo STATO MODERNO come spazio il cui centro tende a:
1) eliminare i contropoteri, ovvero le prerogative che a vario titolo potevano essere rivendicate da soggetti
diversi, sia interni allo spazio statale (i grandi signori feudali, i “magnati”, le “città libere”, i diversi ceti e
“ordini”), sia esterni a tale spazio (il papa, l’imperatore);
2) drenare risorse dalla periferia, cioè acquisire i mezzi finanziari per aumentare la propria capacità di spesa,
sia ricorrendo a prestiti (il debito pubblico) sia creando, e poi ampliando sempre più, un sistema di tassazione
permanente;
3) detenere il monopolio della violenza (o forza) legittima, sia verso l'esterno che verso l'interno: cioè
disarmare i sudditi, eliminare gli eserciti privati, diventare l’unico soggetto in grado di mobilitare eserciti (=la
violenza rivolta verso l’esterno), e in seguito di organizzare corpi di polizia (= la violenza legittima all’interno
dello spazio territoriale su cui lo stato esercita la sua sovranità).
2
STATO MODERNO
Il CENTRO
tende a:
eliminare i
CONTROPOTERI
interni ed esterni
drenare
RISORSE
dalla periferia
detenere il
MONOPOLIO della
VIOLENZA LEGITTIMA
Il modello spiega dunque la nascita e l’evoluzione dello stato sulla base di una triplice centralizzazione: del
potere, delle risorse finanziarie, dell’uso della violenza legittima.
3. Il rapporto strettissimo fra stato e guerra. L’evoluzione della guerra
Per capire meglio questa triplice centralizzazione, però, è importante sapere che essa si legò strettamente
alla conduzione della guerra, e alle sue modificazioni nel corso dei secoli. Infatti, come molti storici
sottolineano, c’è un rapporto strettissimo tra: a) la nascita, proprio in Europa, dello stato moderno; b) il fatto
che l’Europa fu, dalle sue origini attorno al Mille fino…al 1945 (fine della 2^guerra mondiale), l’area di gran
lunga più bellicosa del mondo: in nessun’altra parte del pianeta le guerre furono così numerose e frequenti.
Si può dunque affermare che le guerre, e le trasformazioni del modo di combatterle, ebbero un’influenza
determinante sulla nascita e sull’evoluzione dello stato europeo, cioè sulla triplice centralizzazione sopra
indicata. Pertanto, ci soffermeremo ora sulle trasformazioni della guerra, distinguendo tre fasi:
- la prima fase, dai secoli attorno al Mille fino al Duecento;
- la seconda, che copre i due secoli successivi (Trecento-Quattrocento);
- la terza, dall’inizio del Cinquecento fino al Settecento.
3.1 la prima fase dell’evoluzione della guerra, dall’alto Medioevo al secolo XIII: la guerra feudale
Nell’occidente latino-germanico, dai tempi di Carlo Magno fino a tutto il Duecento, la guerra era l’attività unica
ed esclusiva di un’aristocrazia di cavalieri corazzati: i loro assalti, irresistibili per qualunque nemico appiedato,
erano usualmente rivolti verso altri cavalieri dello stesso tipo. Ecco come ce la descrive George Huppert, lo
storico che già conosciamo (Storia sociale dell’Europa nella prima età moderna, 2001, pag.212):
“La guerra nel Medioevo non era condotta con spirito affaristico, ma per lo più come uno sport i
cui atletici protagonisti erano i cavalieri, guerrieri aristocratici che montavano cavalcature massicce
appositamente selezionate e che, protetti dalle armature, si scontravano di solito in “singolar
tenzone” con altri cavalieri; anche quando erano contemporaneamente sul campo molti di questi
combattenti, si poteva parlare più propriamente di una serie di duelli individuali anziché di un
assalto coordinato. Ogni cavaliere, accompagnato da due o tre servitori, andava in battaglia a
proprie spese per adempiere a un dovere personale [ndr: verso il sovrano o il signore di cui era vassallo] e
nella speranza di conquistare la fama. Non erano lottatori disciplinati e non esisteva una vera a
propria catena di comando, e in quanto al nemico si trattava spesso di un parente, o in ogni caso di
un altro gentiluomo, al quale non c’era vera ragione di voler male, tanto meno c’era l’intenzione di
ucciderlo poiché valeva più da vivo che da morto. Prendere prigionieri era un obiettivo
ragionevole, e un guerriero catturato poteva essere condotto al castello dell’avversario e trattato da
gradito ospite fino a che non fosse stato offerto un riscatto. In questo gioco complicato non
mancava il rapimento a fini di riscatto.”
Questa descrizione ci fa capire parecchie cose:
a) fino al Duecento la guerra costava poco o nulla al sovrano o al grande signore di cui questi cavalieri erano
vassalli, perché il rapporto vassallatico era basato proprio sull’obbligo del servizio in armi a proprie spese: non
era dunque necessario “drenare risorse” per finanziare le guerre feudali;
b) quel modo di combattere legittimava i privilegi sociali della grande aristocrazia terriera;
c) non solo i sovrani e i grandi signori potevano reclutare eserciti feudali, ma anche poche decine di cavalieri
(soprattutto i cadetti, cioè i figli non primogeniti, che, privi dell’eredità, erano costretti a cercare altrove fama,
gloria e feudi) potevano condurre “guerre private” – e di fatto così facevano – contro altri cavalieri o a spese
delle popolazioni rurali e delle carovane dei mercanti, facendo razzie di ogni tipo;
d) poiché tutti i cavalieri erano legittimati a portare le armi, è evidente che, per difendersi da questi rissosi
“guerrieri a tempo pieno”, anche molti altri soggetti portavano armi, e tra questi in primo luogo i mercanti
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(spesso vittime di questi atti di violenza, ma capaci anche di organizzarsi in comitive armate o, sui mari, di
alternare commercio e pirateria, come usava fin dall’antichità);
e) di conseguenza, la violenza organizzata era endemica, diffusa, pressoché continua, senza che si potesse
distinguere nettamente i confini tra guerre, razzie, rapimenti a fini di riscatto, banditismo.
Non può sorprendere che in quella situazione il potere fosse estremamente frammentato: non solo quello
militare, ma anche i poteri di di coniare monete [v.doc.2, vedi appendice), di imporre tasse e tributi [v.doc.5 in
appendice], di amministrare la giustizia, di emanare leggi, editti, ordinanze, statuti. In altri termini, rispetto al
modello di analisi di Tilly, non si può ancora parlare di stati, oppure si deve parlare di soggetti che aspiravano
a diventarlo, quali le monarchie medievali, ma anche le maggiori signorie feudali, le città più potenti, ecc.
Questi soggetti, però:
1) dovevano fronteggiare la concorrenza di “contropoteri” molto forti, sia al loro esterno (il papato e l’impero,
che rivendicavano una sovranità universale) sia al loro interno (i grandi e piccoli signori feudali, e le città,
gelose della propria autonomia);
2) avevano scarsissime risorse finanziarie, poiché non esisteva alcuna forma di tassazione permanente;
3) non avevano affatto il monopolio della violenza legittima, dato che tanti soggetti potevano portare armi e
addirittura costituire eserciti privati, anche in concorrenza con quelli dei monarchi .
3.2 La seconda fase, nei secoli XIV-XV: quando la guerra cominciò a diventare un’impresa economica
Fra Trecento e Quattrocento il modo di combattere cominciò a cambiare. Ancora da G.Huppert:
“La guerra smise di essere un gioco in maniera piuttosto brusco quando i cavalieri dell’aristocrazia
cominciarono a contrarsi con le milizie cittadine sui campi di battaglia”.
Le milizie cittadine erano composte di fanti, che erano semplici artigiani e mercanti armati di picche (lance
lunghe, di 5-6 metri) e di balestre. Le lance lunghe rendevano quelle milizie compatte e disciplinate delle
gigantesche “istrici” contro cui si infrangevano le cariche della cavalleria feudale, fino ad allora dominatrice
incontrastanta sui campi di battaglia. Come armi offensive le balestre segnarono, ben prima dell’introduzione
delle armi da fuoco, il tramonto della cavalleria feudale. Già gli archi lunghi avevano consentito alla fanteria
inglese di infliggere tremende sconfitte alla cavalleria feudale francese durante la guerra dei Cent’anni, a
Crecy e ad Azincourt. Ma a differenza dell’arco, che richiede anni di addestramento per essere usato con
efficacia, la balestra era complessa da costruire ma molto facile da usare, e ancora più potente dell’arco:
consentiva anche a fanti con poca esperienza di sfondare le armature metalliche dei cavalieri a 300 metri.
“Questi cittadini in armi erano abituati ad agire collettivamente, non cercavano duelli né
gloria, non erano interessati a fare prigionieri, avanzavano in massa con il solo intento di
annientare il nemico. Il profilo di questa forza combattente si delineò sempre più nettamente nel
corso del XIV e del XV secolo. La guerra non poteva più essere affrontata con lo spirito di
un’avventura aristocratica; l’addestramento, il coraggio e la fiducia nella propria superiorità
militare non servivano molto quando di fronte si avevano immense schiere di soldati pronti a
sgozzare un duca con la stessa facilità con cui avrebbero macellato un maiale. Le città imponevano
così i loro valori anche sul campo di battaglia: per i loro cittadini, la guerra non era un gioco ma un
lavoro che comportava un calcolo dei profitti e delle perdite, dell’efficienza e dell’investimento.
Ben presto, però, le città preferirono sempre più spesso assoldare militari di professione anziché
mettere a repentaglio la vita dei propri abitanti. (…) Così nacque il business della guerra.”
Ciò accadde dopo la metà del Trecento, e furono le più evolute città italiane a sperimentare per prime
l’ingaggio di eserciti mercenari, le cosiddette compagnie di ventura, agli ordini di comandanti che negoziavano
veri e propri contratti, detti condotte (da cui il termine ‘condottiero’), con i governi delle città, comuni o signorie:
contratti per periodi limitati, poi contratti prolungati, anche a vita. Lo storico W. H. McNeil (1984) osserva che
“era stata Venezia, all’inizio del Quattrocento, a dare l’avvio alla regolarizzazione di questo tipo
di condotte militari a lungo termine”,
e sottolinea che il primato veneziano tra gli stati europei durò per tutto il ‘400. Perché proprio Venezia?
Perché la Repubblica Serenissima era allora lo stato più evoluto d’Europa: aveva costruito un impero
marittimo che controllava il commercio dei beni di lusso tra l’Oriente e l’Europa, e dall’inizio del Quattrocento la
sua espansione territoriale si era orientata anche nell’entroterra veneto, fino alla Lombardia orientale; era lo
stato che riusciva ad avere i più alti livelli di entrate fiscali; che “inventò” la diplomazia internazionale,
istituendo una rete di diplomatici di professione; ed era lo stato più avanzato nello sperimentare le nuove
forme di conduzione della guerra. Sull’esempio di Venezia si mossero le altre grandi città-stato italiane del
tempo: Milano, Genova, Firenze. Possiamo dunque riassumere:
a) fra il Trecento e il Quattrocento la guerra della cavalleria feudale fu gradualmente rimpiazzata da un nuovo
modo di combattere, che portò alla ribalta le milizie cittadine e poco dopo le fanterie mercenarie;
b) in questa trasformazione, la guerra diventò un fatto economico, il cui successo derivò sempre più dalle
capacità di “drenare risorse” finanziarie necessarie per pagare questi nuovi eserciti;
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c) gli stati cittadini, in particolare quelli delle grandi città mercantili italiane – e tra queste soprattutto Venezia –
furono i primi e i più efficienti nel gestire questo nuovo modo di combattere perché, grazie al loro sviluppo
artigianale, commerciale e bancario, potevano attingere a mezzi finanziari molto superiori (in termini relativi
all’estensione del territorio dello stato, ma spesso anche in termini assoluti) dei mezzi di cui disponevano gli
stati territoriali di maggiori dimensioni [vedi dopo, tabella a pag.18];
d) ciò spiega il “primato veneziano” nell’equilibrio economico e politico europeo del Quattrocento.
4. Uno sguardo di lungo periodo sull’evoluzione dello stato, dal 1000 al 1500
Consideriamo ora nel lungo periodo la storia politica europea dei cinque secoli dopo il Mille. A tal fine, prima
forniamo una selezione dei fatti fondamentali sull’evoluzione degli stati in Europa, in una breve tabella
cronologica (non c’è bisogno di impararla: serve per consultazione); poi li riconsideriamo più ampiamente, alla
luce del modello di analisi sull’evoluzione dello stato proposta da Tilly, e del rapporto stato-guerra.
secoli
1000
XI
1100
XII
1200
XIII
1300
XIV
1400
XV
1500
Le principali vicende politiche in Europa, tra i secoli XI e XV
Nascita di deboli monarchie feudali: i Capetingi in Francia; una dinastia franco-normanna in
Inghilterra (1066); un regno normanno nell’Italia del sud; piccoli regni cristiani nel nord della Spagna.
In Germania, nascita del Sacro Romano Impero Germanico. Nell’Italia del centro-nord: crescita delle
città che verso la fine del secolo si liberano dei vescovi-conti e si danno istituzioni comunali, con a
capo consoli e assemblee; 1076: inizia la lotta delle investiture tra papato (Gregorio VII) e impero
(Enrico IV). 1096: papa Urbano II lancia la prima crociata, per la riconquista di Gerusalemme.
Altre crociate in Terrasanta, con andamento alterno; espansione di regni cristiani in altre direzioni: la
reconquista in Spagna, e le conquiste dei cavalieri teutonici (tedeschi) nell’Europa orientale, slava.
In Italia: 1122: fine della lotta per le investiture; dalla metà del secolo: 30 anni di lotte tra l’imperatore
Federico di Svevia (il Barbarossa) e i comuni italiani, e il papa; a fine secolo: diffusione nei comuni
italiani dei podestà, per frenare le lotte intestine tra le fazioni della nobiltà cittadina
La monarchia feudale si rafforza in Francia, e si indebolisce in Inghilterra, dove nel 1215 il re deve
concedere la Magna Charta. A inizio secolo, massimo prestigio del papato, con la visione teocratica
di papa Innocenzo III (1198-1216), che interviene in tutte le principali contese tra i sovrani europei.
In Italia: 1212-1250: Federico II di Svevia, re di Sicilia e imperatore di Germania, lotta contro i comuni
e il papato; 2^metà del secolo: dinastia angioina (francese) nel regno di Napoli; comune popolare a
Firenze, repubblica oligarchica a Venezia e Genova, signorie a Milano (Visconti) e in molte altre città
Scontro tra papa Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo il Bello, che rafforza il regno di Francia e
indebolisce il papato (dal 1307, per 70 anni la corte papale trasferita da Roma ad Avignone, sotto il
controllo dei re francesi). Declino dell’impero in Germania, e la corona imperiale detenuta stabilmente
dalla dinastia Asburgo. 1337-1453: in Francia, la guerra dei Cent’anni contro l’Inghilterra, che occupa
vasti territori francesi. Rafforzamento delle signorie nell’Italia del centro-nord; lotte tra fazioni a
Firenze, poi ascesa della famiglia de’ Medici che instaura anche a Firenze una signoria di fatto.
Fino al 1453, prosegue in Francia la guerra dei Cent’anni. 1453: i turchi conquistano Costantinopoli:
fine del millenario impero bizantino. In Italia: la pace di Lodi (1454) sancisce l’equilibrio tra le maggiori
potenze: Venezia, Milano, Genova, Firenze, Papato, regno di Napoli; inizio del Rinascimento.
2^metà del secolo in Europa: Inghilterra: guerra feudale (delle “due rose”); Francia: la monarchia si
rafforza e si espande (annesso il potente ducato di Borgogna). Spagna: unificazione dinastica tra i
regni di Castiglia e Aragona; 1492: conclusione della reconquista spagnola, espulsione di ebrei e
moriscos (islamici), spedizione di Colombo per le Indie, inizio degli imperi coloniali nelle Americhe.
1494: la discesa in Italia di Carlo VIII di Francia dà inizio alle guerre d’Italia tra Francia e Spagna.
4.1 Le stesse vicende, ma un po’ più ampiamente e alla luce del nostro modello di analisi
Prenderemo in esame soprattutto alcune aree territoriali: a) la penisola iberica; b) Francia e Inghilterra; c)
Italia e Germania. Prima di farlo, osserviamo in generale che l’Europa, o meglio l’area cristiana feudale latinogermanica, che per i 500 anni prima del Mille era stata meta di migrazioni e invasioni, dal sec.XI invertì questa
tendenza, e iniziò a espandersi. Questa espansione è l’aspetto che accomunò fenomeni apparentemente
diversi: le crociate in Terrasanta, la conquista normanna della Sicilia, la plurisecolare reconquista spagnola,
l’espansione tedesca a est dell’Elba (nelle terre degli slavi dell’Europa orientale). Alle motivazioni religiose si
intrecciavano altri fattori: l’espansione demografica e il bisogno di nuove terre, dopo secoli di declino
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demografico; e soprattutto la necessità di scaricare verso l’esterno la bellicosità della cavalleria feudale, che
era un flagello per le popolazioni e un motivo di perenne instabilità.
a) Il caso della penisola iberica è quello in cui è più evidente il rapporto stato-guerra. Qui il lento rafforzamento
del potere centrale dello stato emerse dalla reconquista, cioè dalla plurisecolare spinta militare dei piccoli regni
cristiani delle regioni montanare del nord contro il ricco, evoluto e raffinato emirato islamico di Cordoba, che
iniziò nel sec.XI. Nacquero così, dapprima i regni del Portogallo, di Castiglia e di Aragona (la regione
mediterranea della Catalogna, cui centro è Barcellona); poi, alla fine del ‘400, il matrimonio tra Isabella regina
di Castiglia e Ferdinando re d’Aragona fece nascere il regno di Spagna, ma rimasero intatte le differenze
linguistiche, culturali ed economiche tra la Catalogna marittima, commerciale e mediterranea, e la Castiglia
agro-pastorale e guerriera, dominata da una nobiltà che si era formata nella lotta contro i “mori” (musulmani)
e nell’ideologia della “hispanidad” e della “limpieza de sangre”. Non è un caso che il 1492, l’anno della
conquista di Granada, ultimo dominio musulmano, fu anche l’anno d’inizio dell’espulsione degli ebrei
(numerosissimi in Spagna), e poi dei musulmani; ed anche l’anno in cui venne finanziata la spedizione di
Colombo, che orientò oltreoceano, verso le Americhe, l’espansionismo spagnolo (quello portoghese si era già
proteso verso l’Oceano Indiano circumnavigando l’Africa). E proprio dalla Spagna e dal Portogallo prese avvio
l’ulteriore spinta espansionistica dell’Europa, oltreoceano, dal Cinquecento alla fine dell’Ottocento.
b) Consideriamo congiuntamente Francia e Inghilterra, perché per quasi mezzo millennio le loro storie si
intrecciarono. All’inizio del sec.XI i capetingi, cioè i discendenti del conte di Parigi, Ugo Capeto, avevano
formalmente il titolo di re dei Franchi, la parte occidentale di quello che era stato il dominio dei Carolingi, ma la
loro sovranità effettiva si limitava ai loro domini feudali diretti, l’Ile de France (tra Parigi e Orleans), che era
solo uno delle dieci grandi signorie territoriali in cui era divisa allora la Francia. E bisogna ricordare che anche
all’interno di queste grandi signorie, il potere era ulteriormente frammentato, ed esercitato a livello locale dai
detentori dei poteri bannali [es.doc.3 in appendice]. Uno di quei grandi signori feudali, il duca di Normandia
Guglielmo (poi detto il Conquistatore), nel 1066 sbarcò in Inghilterra e fondò un regno anglo-normanno che
sottomise la popolazione inglese (sassone) e impose un rigido sistema feudale che asservì tutti i contadini. Ma
i successori di Guglielmo continuarono ad avere come loro capitale Rouen, in Normandia, e a parlare
francese, e i loro possedimenti francesi si estesero alla Bretagna e al vastissimo feudo d’Aquitania (il sudovest della Francia). Nel Duecento la monarchia inglese si indebolì e perse territori in Francia, tanto che re
Giovanni (detto per questo Senzaterra) fu costretto a concedere la Magna Charta, mentre i sovrani francesi,
tramite guerre ma soprattutto matrimoni, estesero gradualmente i loro domini sulle altre grandi signorie della
Francia. Così, all’inizio del ‘300 la monarchia francese era la più potente d’Europa, ma il suo tentativo di
impossessarsi dell’Aquitania, e i diritti dinastici del re d’Inghilterra sul regno di Francia, provocarono la guerra
dei Cent’anni (1337-1453). Quella guerra precipitò nel caos il regno di Francia ed espose la popolazione a
saccheggi e devastazioni di ogni tipo, anche perchè si crearono due fazioni nobiliari contrapposte, gli
Armagnacchi e i Borgognoni, questi ultimi alleati degli inglesi. Sia l’episodio della concessione della Magna
Charta sia la secolare guerra dei cent’anni possono essere interpretati come casi in cui il potere centrale si
indebolì nei confronti dei contropoteri (feudali); e la guerra civile in cui degenerò in Francia la guerra dei
cent’anni è l’esempio della perdita, da parte del potere centrale, del monopolio della forza legittima [es: docc.6-7
in appendice]. A metà del ‘400 la guerra finì con l’estromissione degli inglesi dal territorio di Francia, e
l’Inghilterra precipitò in una guerra civile detta “delle due rose” (1450-1485) tra due casate nobiliari, York e
Lancaster, che si concluse con l’affermazione della dinastia Tudor e il rafforzamento della monarchia inglese
sui contropoteri rappresentati dalla grande nobiltà. In Francia, invece, la monarchia iniziò a rafforzarsi subito
dopo la fine della guerra dei Cent’anni, con la dinastia dei Valois. Nei decenni successivi, l’autorità dei re Luigi
XI e poi Carlo VIII si estese anche al sud del paese (in Provenza, e così trovò uno sbocco marittimo sul
Mediterraneo) e alla Bretagna, potente feudo che fu inglobato per via matrimoniale. La forza espansiva della
monarchia francese, a cavallo tra ‘400 e ‘500, trovò espressione nella spedizione militare in Italia di Carlo VIII
nel 1494, che diede inizio alla contesa tra Francia e Spagna per il controllo sugli stati della nostra penisola,
cioè a 60 anni di guerre condotte in Italia. In estrema sintesi, le monarchie francese e inglese si rafforzarono,
ma in modi e tempi diversi, e attraverso guerre che le videro spesso contrapposte l’una all’altra, oltre che
(soprattutto) contro i rispettivi contropoteri interni.
c) Anche la storia di Germania e Italia in questi 500 anni può essere considerata parallelamente, per due
motivi: 1) in entrambe le aree erano presenti potenti signorie feudali ma anche, e soprattutto, una fitta rete di
città mercantili, i comuni, orgogliosi della propria autonomia; 2) la Germania e l’Italia erano sedi la prima
dell’impero (il Sacro Romano Impero Germanico instaurato dalla dinastia di Sassonia alla fine del sec.X) e la
seconda del papato. Questi erano i due grandi poteri “universali”, cioè riconosciuti come “sovraeminenti”
(ovvero, superiori per dignità) dai “poteri di fatto” cioè le monarchie, le grandi signorie feudali, le città. Anzi,
6
nella situazione fluida e incerta del potere d’inizio millennio, quei “poteri di fatto” cercavano dal papa e/o
dall’imperatore un riconoscimento, una legittimazione per diventare “poteri di diritto”. Da ciò derivarono per
secoli il prestigio di papato e impero, ed anche le lotte dell’uno contro l’altro per affermare la propria
supremazia. Gli imperatori di Germania sognavano di ricreare l’impero carolingio, o almeno di affermare la
pienezza del proprio potere su Germania e Italia. Il sogno teocratico coltivato dai papi Gregorio VII (sec.XI),
Innocenzo III (sec.XIII) e Bonifacio VIII (inizio del XIV) era di unificare la “cristianità latina” (cioè l’Europa
occidentale: quella orientale era di religione greco-ortodossa) sotto la propria autorità. Da qui la lotta per le
investiture dei vescovi-conti, tra l’imperatore Enrico IV e il papa Gregoria VII (col famoso episodio di Canossa),
nella seconda metà del sec.XI; poi lo scontro tra l’imperatore Federico I di Svevia (il Barbarossa) e i comuni
dell’Italia del nord, appoggiati dal papa, nella seconda metà del sec.XII; e, contro gli stessi avversari, la lotta di
Federico II, re di Sicilia e imperatore, nella prima metà del XIII; fino alla sfida, questa volta contro il re di
Francia, di papa Bonifacio VIII all’inizio del XIV. Se l’uno o l’altro di questi progetti universalistici si fosse
realizzato, come osserva lo storico McNeil, “l’Europa occidentale sarebbe andata assomigliando alla Cina”,
con un unico potere sovrano che governava attraverso una gerarchia di funzionari pubblici di alta cultura.
Ma l’Europa, e soprattutto la Germania e l’Italia (ad eccezione dell’Italia meridionale e della Sicilia, unificate
sotto il vasto regno svevo-normanno) presero la direzione opposta, cioè si moltiplicarono i poteri territoriali
concorrenti. I poteri di fatto delle grandi signorie e delle città, anche se rendevano omaggio all’imperatore e/o
al papa, mirarono ben presto a guadagnare la propria indipendenza, e consideravano il papa e l’imperatore
come ingombranti “contropoteri esterni” della cui tutela occorreva liberarsi. Richiamiamo ad esempio la frase,
citata da Huppert, di un esponente del consiglio comunale di una città tedesca: “Quale Imperatore? Qui
l’Imperatore siamo noi, e l’Imperatore è l’Imperatore a Vienna”. Così la Germania andò incontro alla massima
frantumazione del potere; e la corona imperiale, dal secondo ‘300 detenuta stabilmente dalla dinastia
Asburgo, fu da questa usata soprattutto per rafforzare i propri possedimenti diretti, tra l’Austria (Vienna), la
Boemia (Praga) e la Slesia, ma la loro autorità sulla Germania rimase quasi solo simbolica. Le città dell’Italia
centro-settentrionale, diventate comuni liberi già dal sec.XI, furono le prime e le più dinamiche ad organizzare
una ricca economia artigiana, mercantile e finanziaria: riallacciarono i traffici commerciali con l’Oriente; e, più
delle altre città europee, imposero il proprio dominio politico sul contado, attirando al proprio interno i signori
feudali. Alcune, soprattutto le più prospere città marinare, Venezia e Genova, si organizzarono come
repubbliche oligarchiche, dominate dai grandi mercanti-banchieri. In altre città, dalle lotte prima tra le fazioni
dell’aristocrazia inurbata (=magnati), poi tra magnati e corporazioni borghesi, si sviluppò in qualche caso,
come a Firenze, l’esperienza del comune popolare (dominato dagli esponenti del “popolo grasso”, cioè l’alta
borghesia); nella maggior parte delle città, invece, si instaurarono signorie, cioè il potere di una casata
aristocratica (Visconti a Milano, Estensi a Ferrara, Gonzaga a Mantova, Della Scala a Verona, Montefeltro a
Urbino, ecc.). Fra ‘300 e ‘400, emersero alcune signorie e principati di dimensioni regionali che inglobarono le
città minori: nel 1454 la pace di Lodi sancì l’equilibrio tra i 5 stati regionali più potenti: la repubblica di Venezia,
il ducato di Milano, la repubblica di Firenze (dominata dalla famiglia Medici), lo stato della Chiesa e il regno di
Napoli.
Le città-stato italiane furono le prime a coniugare arte della guerra ed economia di mercato, ad organizzare
cioè la “commercializzazione della violenza organizzata”. Quando dai conflitti continui tra i comuni emerse
questa gerarchia di stati regionali a base cittadina, la modernità di tale sistema fece dell’Italia centrosettentrionale l’area nettamente più evoluta d’Europa: qui nacque la raffinatezza ineguagliata del sistema di
corte, entro cui sbocciò la splendida fioritura del Rinascimento. Ma dalla fine del Quattrocento, quando le
nuove tecnologie belliche favorirono gli stati d’oltralpe di grandi dimensioni, gli stati cittadini e regionali italiani
divennero prima spettatori sgomenti della spedizione di Carlo VIII di Francia (forte di artiglierie sconosciute in
Italia); poi, per tutto il primo ‘500, teatro e posta in palio della contesa tra le monarchie francese e spagnola.
In conclusione, i cinque secoli tra l’XI e il XV rappresentano la “proto-storia” dello stato in Europa, ovvero la
sua – lunghissima ! – fase di “gestazione”, con livelli di centralizzazione del potere, delle risorse e della
violenza legittima ancora molto parziali. Alla fine del XV c’erano moltissimi stati, di diverso tipo ed estensione:
certo, erano riconoscibili come tali, a differenza di cinque secoli prima, ma… ce n’erano ben 500, nei quali
vivevano gli ottanta milioni di europei [per avere un confronto: oggi, all’inizio del XXI secolo, circa 700 milioni
di europei vivono in 45 stati]. Vedremo ora, nella seconda parte del modulo, la svolta che si verificò all’inizio
del Cinquecento, e i processi che seguirono fino alla fine ‘600 / inizio ‘700, ancora in relazione a importanti
trasformazioni nel modo di condurre le guerre: ovvero, il passaggio dalla “proto-storia” alla storia dello stato
moderno.
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2^parte: lo stato e il sistema degli stati europei dall’inizio del ‘500 alla fine del ‘600
1. La terza fase dell’evoluzione della guerra, nei secoli XVI-XVIII: le armi da fuoco e i grandi eserciti
Dalla metà del Quattrocento si diffusero le armi da fuoco: dapprima solo pesantissime bombarde e cannoni,
ma in seguito anche armi individuali, come i moschetti (i primi fucili). Le armi da fuoco cambiarono
radicalmente gli equilibri tra gli stati. Infatti il primato che le città italiane detenevano, nella produzione di armi
come le corazze e le balestre, svanì quando divenne decisiva la disponibilità di bronzo (nel ‘500) e poi di ferro,
necessari per le armi da fuoco: questi metalli, infatti, erano scarsi in Italia e abbondanti nell’Europa del nord.
Ma soprattutto la guerra divenne molto più costosa, non solo per la novità dell’artiglieria, che rivoluzionò gli
eserciti e le flotte (sempre più importanti, dopo le scoperte geografiche e l’apertura delle rotte atlantiche), ma
anche perché gli eserciti mercenari divennero sempre più grandi, come mostra la seguente tabella:
numero dei soldati
Spagna
Francia
Inghilterra
Svezia
1470-1480
20.000
40.000
25.000
-
1590-1600
200.000
80.000
30.000
15.000
1630-1640
300.000
150.000
45.000
1650-1660
100.000
100.000
70.000
70.000
Con eserciti tanto numerosi ed equipaggiati con armi così costose, le spese legate alla guerra divoravano
letteralmente le entrate degli stati: ne rappresentavano infatti il 50-70% in tempo di pace, e molto di più (anche
il 150%) in tempo di guerra. La pressione degli stati sulle rispettive società per ottenere risorse finanziarie
divenne perciò sempre più forte. Il sistema di tassazione permanente, sconosciuto nel Medioevo, e fino al
Quattrocento presente solo negli stati cittadini italiani, si diffuse anche negli altri stati europei [sulla sua assenza
nei secoli precedenti, v.doc.8 in appendice]. Però, non dobbiamo immaginare sistemi fiscali efficienti come negli stati
odierni [evasione fiscale a parte…, soprattutto in Italia!]. Infatti, nella prima età moderna, la tassazione
permanente rappresentava solo una parte delle entrate statali, e non la principale: gli stati si finanziavano
soprattutto ricorrendo a prestiti (ad alto tasso d’interesse). Perché la tassazione rendeva poco, e costringeva i
sovrani a ricorrere massicciamente ai prestiti dei banchieri? In primo luogo, per le larghe esenzioni fiscali dei
ceti privilegiati (la nobiltà e il clero). In secondo luogo, per una specie di “circolo vizioso” che si può così
descrivere. Siccome lo stato aveva poche risorse, non poteva permettersi di avere funzionari stipendiati, sia
per riscuotere le tasse sia per gestire le altre funzioni amministrative e giudiziarie. Perciò lo stato appaltava
(cioè affidava, dava in concessione) queste funzioni a privati, che in cambio gli anticipavano forti somme di
denaro, poi trattenevano una percentuale di quanto incameravano dalle tasse o dall’esercizio delle loro
funzioni. Era il fenomeno della vendita delle “cariche pubbliche” (o uffici), iniziato nel Cinquecento e che in
Francia venne chiamato “venalità delle cariche”. Si formò in questo modo una borghesia degli uffici, legata
appunto all’acquisto e alla gestione di queste cariche (o uffici). I suoi membri, borghesi ricchi e provvisti di
cultura giuridica, ebbero poi anche la possibilità di trasmetterle ereditariamente, e di acquistare un titolo di
nobiltà: così nacque, all’inizio del Seicento, la nobiltà di toga, che la nobiltà tradizionale (chiamata nobiltà di
spada) guardava con disprezzo e sospetto, senza peraltro riuscire a impedirne l’ascesa. La nobiltà di toga,
proveniente dalla borghesia degli uffici, secondo Huppert rappresentò (cit., pp.77-85):
“ una nuova classe, un’élite di rentiers istruiti, di capitalisti al servizio del governo che non
dovevano essere confusi con l’antica élite feudale di guerrieri proprietari di terre… Questi
gentiluomini di nuovo genere furono gli artefici della cultura e dello stato moderno”.
Huppert accenna all’importanza della nascita di questa nuova classe, colta, abile e fedele allo stato (cioè alla
monarchia), perché le sue fortune divennero anche le proprie. Ma quel sistema di appalto delle cariche aveva
anche pesanti inconvenienti. In primo luogo, alimentava corruzione e sprechi, perché i sudditi erano gravati da
tasse e pagamenti di vario tipo (per l’amministrazione della giustizia, ad esempio) che arricchivano i titolari di
questi uffici, mentre solo una parte delle entrate era incamerata dallo stato (ad esempio, nel 1657-59 lo stato
francese incassò solo 31 milioni di franchi, su 85 milioni pagati dai contribuenti!). In secondo luogo, il bisogno
incessante di denaro induceva gli stati a moltiplicare cariche e uffici spesso del tutto inutili, al solo fine di
ottenere le entrate anticipate che questi rentiers (= finanziatori che vivevano di rendita) assicuravano: entrate
che, perciò, erano una specie di prestiti mascherati. Ecco come i sudditi pagavano questo sistema, e più in
generale come essi subivano i pesantissimi costi sociali del nuovo modo di fare le guerre, nella descrizione di
Huppert (ibid, cap. 11):
“ Là dove lo storico militare vede due armate contrapposte pronte a scontrarsi sul campo di
battaglia, lo storico sociale vede piuttosto il confronto tra civili e soldati. La guerra era una
condizione permanente e letale che cominciava con la riscossione, se necessario con la forza delle
armi, dei tributi necessari per pagare i soldati, e continuava con l’ordine, dalla conseguenze
8
devastanti, con il quale si imponeva ai civili di alloggiare e nutrire i soldati di stanza nella loro città
ben prima che la guerra avesse effettivamente inizio (…) Al centro del meccanismo infernale
all’origine di tanta miseria fu l’incompetenza finanziaria dei nuovi stati che, costretti a mettere
insieme eserciti numerosi, prendevano denaro in prestito a tassi usurai e per rimborsare tali
prestiti inventavano nuove tasse che impoverivano i ceti produttivi. Le unità mercenarie, una volta
ingaggiate, dovevano essere pagate, alloggiate, nutrite e rifornite, ma i fondi destinati a tale fine,
insufficienti già in partenza, venivano ulteriormente assottigliati da un sistema caratterizzato da
frodi e corruzione a tutti i livelli (…) I battaglioni mercenari non erano solo costosi, ma anche
pericolosi e inaffidabili: vantando arretrati da riscuotere, e con un sistema di approvvigionamento
sempre sul punto di collassare, questi forestieri affamati e disperati si comportavano come
criminali incalliti ed erano pronti ad ammutinarsi al minimo pretesto, nonché a cambiare
schieramento quando se ne presentava l’opportunità (…) [Sulla difficoltà del reclutamento, che spesso avveniva
con la forza:] Non era insolito assistere nei porti all’imbarco delle reclute sotto la minaccia delle armi,
necessarie per impedire un estremo tentativo di fuga prima della partenza delle navi (…). La
testimonianza dei contemporanei chiarisce che lo scopo principale delle forze mercenarie non era
tanto di scontrarsi con il nemico quanto di ricavare il più possibile dai villaggi disarmati che
incontravano sul loro cammino, non facendo distinzione tra amici e nemici. (…) Un esercito nella
prima età moderna era un popolo in marcia, una città di nomadi [con al seguito mogli, prostitute, marcanti e
ricettatori, carrettieri, facchini, fabbri e sellai, ecc., è detto poco prima] che procedevano più o meno alla velocità di
dieci miglia al giorno divorando ogni cosa sul suo cammino, producendo montagne di rifiuti e
disseminando malattie infettive. Ancor prima che venisse sparato un colpo, e che senza motivo
venisse appiccato il fuoco alla prima casa, la notizia dell’avvicinarsi di un’armata spargeva il
terrore tra gli abitanti dei villaggi, che sapevano per esperienza cosa attendersi: le città cinte di
mura potevano sprangare le porte e sperare che le orde selvagge si stancassero di aspettare e
proseguissero, le cittadine più piccole e indifese e i villaggi erano semplicemente alla loro mercé ”.
Questa cruda realtà colpisce tanto più se teniamo conto che le guerre furono ininterrotte da metà del
‘400 alla metà del ‘600: “Non ci fu un solo anno, in quel periodo, che vide disoccupati i condottieri e
le loro schiere, e poche regioni europee scamparono alla loro presenza” (ibidem).
In questa terza fase dell’evoluzione della guerra, quali furono i cambiamenti più importanti?
a) L’artiglieria pesante, che fu messa a punto a metà del Quattrocento in Francia (e che terrorizzò gli stati
italiani di fronte all’armata francese di Carlo VIII nel 1494) era destinata a durare fino agli anni ’40
dell’Ottocento, con pochi miglioramenti che andarono nella direzione di rendere meno pesanti e ingombranti i
cannoni. Quei miglioramenti produssero un duplice risultato:
a.1) I cannoni (dal ‘600 in ferro, molto più leggeri dei primi, che erano di bronzo) poterono armare le navi, cioè
i grandi galeoni atlantici che imposero la superiorità delle flotte europee negli Oceani di tutto il mondo,
dall’inizio del Cinquecento. Tramontò così, definitivamente, la battaglia navale di tipo mediterraneo (fin
dall’antichità basata su veloci navi a remi, le galere, sullo speronamento e sull’abbordaggio), in favore delle
battaglie tra grandi velieri (i galeoni) armati con più file di cannoni.
a.2) Alle grandi battaglie campali, subentrò dagli anni ’20 del Cinquecento il primato delle strategie di
fortificazione e di assedio alle città, anche perché, di fronte alle palle da cannone, era stata escogitata una
nuova tattica difensiva, ancora una volta a partire dalle città italiane: le vecchie mura medievali di pietra, alte,
sottili e vulnerabilissime ai cannoni, vennero sostituite dai bastioni, cioè terrapieni larghi, bassi, protetti da
mura e da larghi fossati riempiti d’acqua (ove la terra posta tra le mura dei bastioni assorbiva le palle da
cannone, e i fossati pieni d’acqua rappresentavano un ulteriore ostacolo per gli assedianti). Naturalmente, ciò
contribuì anche a modificare l’aspetto delle città dal Cinquecento.
b) A fianco dell’ artiglieria, si accentuò il primato della fanteria, che costrinse definitivamente molti cavalieri
a…scendere da cavallo e a trasformarsi in comandanti di truppe appiedate. Già a fine Quattrocento era
emerso il primato dei picchieri reclutati dai francesi tra i montanari svizzeri; a questi gli spagnoli opposero le
compagnie dei famosi Landesknechten (lanzichenecchi), equipaggiati come gli svizzeri ma guidati da
aristocratici tedeschi anch’essi appiedati. Poi, le guerre d’Italia del 1494 -1559 tra Francia e Spagna
costituirono un “laboratorio” di sperimentazione nel quale emerse la superiorità dei tercios spagnoli (o meglio,
castigliani), disposti “a quadrato” [da quello l’espressione, rimasta nel linguaggio comune, “fare quadrato”].
Ecco come li descrive McNeil (cit):
“Il tercio era costituito da una massa di picchieri schierati a protezione di un contorno di
moschettieri appostati lungo il perimetro del quadrato formato dalle picche”.
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La tattica del tercio, che univa lance lunghe (le picche) e armi da fuoco leggere (i moschetti):
“conferì un ruolo decisivo alla fanteria, non soltanto in difesa, ma anche in attacco. Il
prestigio della cavalleria in battaglia aveva resistito tenacemente fino al Cinquecento, soprattutto
in Francia e in Germania, paesi nei quali gli ordini cavallereschi affondavano saldamente le
proprie radici nella struttura sociale delle campagne. A partire però dal 1525 [data della battaglia di
Pavia, rovinosa per i francesi, col re Francesco I catturato dai tercios spagnoli], l’idea che un gentiluomo potesse
combattere appiedato quasi con la stessa dignità con cui combatteva a cavallo si era fatta in pratica
irresistibile, persino presso francesi e tedeschi; anche perché la cavalleria, tutto sommato, non
serviva a gran che nella guerra d’assedio, che era diventato il principale terreno di coltura dell’arte
militare da almeno mezzo secolo” (ibidem).
c) Ancora dalle parole di McNeil leggiamo un altro importante cambiamento:
“Nel Seicento, gli olandesi si misero alla testa di un importante rivolgimento del governo delle
cose militari, avendo scoperto in particolare che lunghe ore di addestramento ripetuto conferivano
agli eserciti una maggiore efficienza sul campo di battaglia e che, anche quando il reclutamento
riguardava i ceti più bassi della società, l’istruzione formale infondeva nella massa dei soldati uno
straordinario spirito di corpo. Un esercito ben addestrato che rispondesse a una precisa gerarchia
di comando, da un monarca regnante per diritto divino fino al più umile comandante di squadra,
costituiva indubbiamente uno strumento politico quanto mai duttile ed efficiente”.
L’addestramento sistematico, meticoloso, ripetitivo degli eserciti fu un’invenzione di Maurizio di Nassau,
principe d’Orange, il comandante militare olandese, che, imbevuto di cultura classica, prese a modello gli
antichi romani, rielaborando in modo creativo le loro formidabili tecniche di esercitazione e addestramento.
Con la rivoluzione militare da lui introdotta, la piccola Olanda riuscì a resistere alle armate degli Asburgo, cioè
della monarchia spagnola, nonostante lo schiacciante squilibrio delle forze in campo.
Data la concorrenza serratissima tra gli stati europei, ogni novità introdotta da uno di essi veniva
rapidamente imitata da tutti gli altri. La conduzione della guerra diventò così sempre più complessa e costosa,
e questo ebbe diverse conseguenze sull’evoluzione degli stati:
1) Poiché la guerra richiedeva tante risorse e un’organizzazione così complessa, gli stati divennero i soli
soggetti in grado di condurla: divenne impensabile l’organizzazione di “eserciti privati” o di milizie locali da
parte di altri soggetti, quali nobili o città. In altri termini, fece un “salto di qualità” la tendenza del centro ad
assumere il monopolio della violenza legittima. Indirettamente, ciò rafforzò lo stato anche nei confronti dei suoi
contropoteri interni, sia nel disarmarli sia nel reprimerli.
A questo riguardo, Tilly (cit.) sottolinea la tendenza di lungo periodo degli stati a disarmare i civili, da
una parte; e dall’altra a condurre guerre meno frequenti ma più distruttive (fino al Novecento, “il secolo più
bellicoso della storia umana”): “Sebbene i servizi giornalistici possano far pensare in altro modo, oggi le
possibilità di morire di morte violenta per mano di un civile sono enormemente diminuite. I tassi di omicidio
nell’Inghilterra del XIII secolo, ad esempio, superavano di circa dieci volte quelli di oggi, e sono diminuiti con
particolare rapidità dal XVII al XIX secolo”; con l’eccezione degli Stati Uniti, perché: “Dato che qui i civili
sono rimasti affezionati al possesso delle armi da fuoco, pagano un prezzo in termini di
percentuali di morti violente centinaia di volte più alti che nelle società europee”. Il disarmo delle
popolazioni civili ebbe luogo a piccolissimi passi, ma con una svolta: “Dal XVII secolo, i governanti
sono riusciti a spezzare gli equilibri decisamente a svantaggio dei singoli cittadini e dei poteri
interni rivali. Hanno reso criminale, impopolare, non praticabile per i sudditi portare armi, avere
eserciti privati, e sono riusciti, al contrario, a fare apparire questo normale per gli agenti armati
dello stato nei confronti dei civili disarmati… Ad esempio Luigi XIII, il monarca del ‘600 che con
l’aiuto di Richelieu ricostituì la forza armata dello stato francese, probabilmente fece demolire più
fortezze (di nobili) di quante ne costruì; ma il fatto decisivo è che fece costruire fortezze ai confini e
le fece distruggere all’ interno. Assoggettando nobili e città che resistevano al suo dominio, egli
faceva demolire le loro fortificazioni, riduceva il loro diritto a portare armi e di conseguenza faceva
diminuire le probabilità di qualunque futura ribellione.”
2) La crescita delle spese militari fu una forza di pressione sull’economia degli stati, ma con effetti diversi:
alcune economie ne furono soffocate; altre furono indotte a svilupparsi e a produrre risorse, che potevano così
essere in parte “drenate” dai monarchi per finanziare le loro guerre.
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3) Nei rapporti tra gli stati, infine, la sempre maggiore efficienza bellica degli stati europei impedì la
supremazia di uno di essi sugli altri, all’interno dell’Europa; ma si rivelò impareggiabile quando essi usarono la
propria organizzazione bellica contro altre parti del mondo, dalle Americhe all’Asia (tra il ‘500 e l’ ‘800).
2. Altri importanti cambiamenti, dall’inizio del Cinquecento
Oltre alle trasformazioni nel modo di combattere, altri due cambiamenti, entrambi dal secondo decennio del
Cinquecento, influenzarono profondamente sia i rapporti tra gli stati sia l’evoluzione interna dei singoli stati tra
il ‘500 e il ‘600. Tali cambiamenti, di natura molto diversa, furono:
a) l’unificazione dinastica del regno di Spagna e dei possedimenti imperiali degli Asburgo sotto Carlo V, eletto
imperatore nel 1519: ciò produsse una formidabile concentrazione di potere e rilanciò il tentativo degli Asburgo
di imporre in Europa un potere universalistico. Contro questo tentativo si coalizzarono le altre potenze, in
primo luogo la Francia, accerchiata dai possedimenti assurgici. Un primo ridimensionamento del progetto di
egemonia europea degli Asburgo si ebbe nel 1556 quando Carlo V abdicò e divise l’impero: il figlio Filippo II
ereditò la Spagna e i suoi possedimenti (le colonie americane, il regno di Napoli e il ducato di Milano, i Paesi
Bassi e la Franca Contea); il fratello Ferdinando I ebbe il Sacro Romano Impero Germanico e i possedimenti
diretti in Austria e Boemia. Ma la lotta contro il primato degli Asburgo d’Austria e di Spagna proseguì fino alla
metà del Seicento, quando la fine della guerra dei Trent’anni (1618-1648) segnò una duplice svolta: indebolì il
controllo degli Asburgo sulla Germania, e segnò l’avvio dell’irreversibile declino della Spagna.
b) la Riforma protestante e la Controriforma cattolica, ovvero la divisione della cristianità dell’occidente
europeo, con le guerre di religione che ne seguirono, anch’esse fino alla metà del Seicento. Queste vicende di
natura religiosa ebbero perciò anche forti conseguenze politiche sui rapporti tra gli stati e sui singoli stati.
Dovremo perciò riassumerne ora i punti fondamentali.
2.1. la Riforma protestante: il luteranesimo
Fin dall’alto medioevo la Chiesa cattolica era non soltanto un’istituzione religiosa, ma anche una potenza
politica. Le critiche periodicamente rivolte al papato e al clero per la sua eccessiva “mondanizzazione”
divennero più insistenti tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, quando salirono al soglio pontificio alcuni tra i papi
più mondani della storia: Alessandro VI Borgia, famoso per la dissolutezza e il nepotismo; Giulio II Della
Rovere, grande mecenate dell’arte (attirò a Roma Raffaello e Michelangelo), ma anche papa guerriero,
spesso alla testa dei suoi eserciti; Leone X de’ Medici, secondo figlio di Lorenzo il Magnifico: cardinale già a
13 anni, cultore dell’arte, fece di Roma la più splendida corte rinascimentale del tempo, ma dedicò scarsa
attenzione alle questioni religiose. La necessità di finanziare la costruzione della nuova basilica di San Pietro
lo indusse, nel secondo decennio del ‘500, a lanciare una grande raccolta di “indulgenze”, ovvero la possibilità
per i fedeli di acquisire la remissione delle pene per i peccati, propri o dei parenti defunti, pagando una somma
di denaro: raccolta che fu condotta in Germania con molto zelo.
Nel 1517 il teologo e monaco agostiniano tedesco Martin Lutero appese al portale della chiesa di
Wittemberg, in Sassonia, 95 tesi nelle quali contestava la validità delle indulgenze, e più in generale il potere
del papa e della Chiesa di perdonare i peccati, e la validità delle buone opere come mezzo per la salvezza.
Quelle tesi ebbero una vasta diffusione in Germania, per la profonda insofferenza popolare verso la Chiesa
romana e, tra i prìncipi, perchè la raccolta di indulgenze dirottava verso Roma risorse dei loro sudditi. Papa
Leone X, occupato a gestire le trattative diplomatiche per l’elezione imperiale (che nel 1519 vide prevalere
Carlo V su Francesco I di Francia), solo nel 1520 emanò la bolla Exsurge Domine che minacciava di
scomunica Lutero. Ma questi rifiutò di ritrattare anche di fronte all’imperatore Carlo V, che, preoccupato dal
pericolo di una nuova eresia nel suo impero, lo convocò tempestivamente a Worms nel 1521. Nel frattempo,
anzi, Lutero aveva pubblicato altri tre scritti, nei quali estendeva la sua critica dal piano morale a quello dei
principi teologici. Infatti in quei libri egli teorizzava:
- la “giustificazione per sola fede”, cioè l’esclusiva validità della fede, e non delle opere, ai fini della salvezza, a
causa della natura umana indelebilmente segnata dal peccato;
- la validità di soli tre sacramenti (anziché sette): battesimo, penitenza ed eucaristia;
- il “sacerdozio universale dei credenti”, contro l’autorità del papa e del clero sui laici;
- il “libero esame delle sacre scritture” da parte dei laici, mentre fino ad allora la lettura e l’interpretazione della
bibbia erano riservate al clero. Al fine di attuare questo principio, Lutero tradusse in tedesco la bibbia, e questa
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traduzione, anche grazie alla diffusione a stampa, costituì la base dell’unificazione linguistica dei tedeschi.
Lutero fu protetto dal potente principe di Sassonia, ed ebbe grande seguito popolare, come testimonia
l’enorme diffusione dei suoi scritti. Inizialmente la dottrina luterana ispirò anche due rivolte sociali: nel 1522
quella della nobiltà minore, rapidamente repressa dai prìncipi; nel 1524-25 la “guerra dei contadini”, che
divenne una vasta rivolta antifeudale, sotto la guida di Thomas Muntzer, inizialmente seguace di Lutero. Dopo
alcuni tentativi di mediazione, Lutero prese le distanze da quelle che definì “bande brigantesche e assassine
dei contadini”, e incitò i prìncipi a reprimerle. L’orrenda strage attuata dai prìncipi, che nel maggio 1525
massacrarono almeno 100.000 contadini e popolani, stroncò definitivamente la rivolta e assicurò a Lutero
l’appoggio dei grandi signori. Alla dieta di Spira del 1529, 6 prìncipi e 14 città-stato protestarono (da qui il
nome “protestanti”) contro l’editto di Worms del 1521 che condannava il luteranesimo. E nel 1531 si formò la
lega di Smalcalda contro l’imperatore Carlo V, impegnato a difendere con le armi l’unità religiosa dell’impero.
La guerra che ne seguì si trascinò stancamente, fino a che Carlo V, alle prese con molti altri nemici e con
difficoltà finanziarie, accettò un compromesso, con la pace di Augusta del 1555. Essa attribuiva a ogni stato
tedesco – cioè a ogni sovrano, alla cui decisione i sudditi dovevano adeguarsi – la possibilità di optare per la
religione cattolica o luterana, secondo la formula cuius regio, eius religio, inimmaginabile fino a pochi decenni
prima. Era la sanzione del grande scisma, la fine dell’unità religiosa della cristianità occidentale. Il
cattolicesimo rimase maggioritario nel sud e nell’ovest dell’area tedesca, mentre il luteranesimo si diffuse nella
Germania settentrionale e orientale, e da lì nei paesi scandinavi.
2.2 La Riforma protestante: il calvinismo
La diffusione della Riforma protestante al di fuori della Germania e dei paesi scandinavi si deve soprattutto
al francese Giovanni Calvino. Inizialmente seguace del luteranesimo, negli anni ’30 a Ginevra egli elaborò una
sua nuova versione della Riforma, i cui ordinamenti divennero la base dell’organizzazione politica e religiosa
della città svizzera. La teologia di Calvino si basava, ancor più di quella di Lutero, sull’idea che la salvezza
dipenda esclusivamente dalla Grazia di Dio, che in modo imperscrutabile ha giù deciso dall’eternità il destino
di salvezza o di dannazione di ciascuno: è la teoria della predestinazione, per cui l’uomo non può in alcun
modo influire sul proprio destino. Calvino negava valore ai sacramenti, e lasciava all’eucarestia il significato
solo simbolico di commemorazione dell’ultima cena; egli organizzò il governo civile e religioso di Ginevra sotto
l’autorità dei pastori (al posto dei preti) e dei diaconi, secondo norme morali molto rigide e austere: poiché non
era prevista la confessione, il credente doveva mantenere un controllo costante sul proprio operato. Il
concetto, tipicamente calvinista, di beruf (che possiamo tradurre con: “vocazione nella sfera mondana”)
comporta una forma particolare di attivismo rivolto soprattutto all’ambito lavorativo ed economico. Infatti, se
da una parte il proprio agire (le buone opere) non serve ad ottenere la salvezza, che dipende totalmente
dall’imperscrutabile volontà di Dio, dall’altra parte la vita virtuosa, e in particolare lo zelo nel lavoro e il
successo negli affari, diventano per il calvinista il segnale della Grazia divina, cioè di essere predestinato alla
salvezza. Viceversa, la povertà viene giudicata con estrema severità (all’opposto dell’atteggiamento
evangelico e francescano), in quanto considerata conseguenza di pigrizia e di altri vizi. Per questi motivi,
secondo lo storico Max Weber, l’etica calvinista fu alla base della nascita del moderno spirito del capitalismo
che, non a caso, sarebbe nato nei paesi in cui si diffuse il calvinismo. Oltre che in Svizzera, questa nuova
versione della Riforma protestante penetrò nei Paesi Bassi spagnoli (l’attuale Olanda), in alcune regioni della
Francia (ove i calvinisti erano chiamati ugonotti), in alcune parti della Germania renana e dell’Europa orientale;
e più diffusamente in Gran Bretagna, ove si formarono correnti diverse, come i puritani in Inghilterra e i
presbiteriani in Scozia. Dalla Gran Bretagna il calvinismo si diffuse in seguito nelle colonie americane che
sarebbero diventate, alla fine del Settecento, gli Stati Uniti.
2.3 La Controriforma e le riforme nella Chiesa cattolica: il concilio di Trento e l’ordine dei gesuiti
Fin dal primo diffondersi dell’eresia luterana, l’imperatore Carlo V premette sul papato per la convocazione
di un concilio che evitasse una divisione religiosa nel suo impero: infatti, secondo un’idea che risaliva
all’impero carolingio, l’imperatore doveva preservare l’unità non solo politica ma anche religiosa dei suoi
sudditi. Altre voci all’interno della cristianità invocavano una riforma della Chiesa cattolica, in particolare tra gli
intellettuali umanisti, come il grande Erasmo da Rotterdam. Ma il papato fu inizialmente molto riluttante alla
12
prospettiva di convocare un concilio, anche perché gli ultimi due, tenutisi a Costanza e a Basilea nella prima
metà del ‘400 per condannare l’eresia del boemo J. Huss, avevano teorizzato la superiorità del concilio sul
papa. Solo nel 1542, su pressione di Carlo V, il concilio venne convocato a Trento (territorio imperiale, e
ponte tra Roma e la Germania), ma iniziò i suoi lavori solo la fine del 1545. A presiederlo fu il cardinale Carafa,
intransigente sostenitore del primato papale e ostile a ogni ipotesi di accordo con i protestanti, e che pochi
anni dopo divenne papa Paolo IV. Il concilio fu poi trasferito a Bologna, riportato a Trento, sospeso per un
decennio, fino al 1562, e finalmente concluso l’anno dopo, nel 1563. Progettato per ricomporre lo scisma della
cristianità, il concilio si concluse quando questo era ormai definitivo, e si indirizzò a riaffermare tutti i punti
dottrinali contestati dai protestanti e a riorganizzare la Chiesa cattolica, anche per meglio combattere la nuova
eresia. A tal fine, nello stesso anno di indizione, il 1542, era stata istituita la Congregazione del Sant’Ufficio,
ovvero l’Inquisizione romana, per coordinare da Roma la lotta all’eresia; e nel 1559 Paolo IV promulgò l’Indice
dei libri proibiti, che diede avvio a un’opera sistematica di controllo e censura sulla stampa.
Sul piano dottrinale, il concilio riaffermò il concorso di fede e opere per il conseguimento della salvezza, e la
validità di tutti i sette sacramenti; accentuò il primato del papa e l’autorità del clero, considerato unico
interprete legittimo della bibbia; di questa venne riconosciuta valida solo la traduzione latina di San Girolamo,
e vietata la traduzione nelle lingue volgari. Inoltre il concilio ribadì, anzi enfatizzò, il culto della Madonna (con
la diffusione a livello popolare del rosario), dei santi, delle reliquie, e la validità delle indulgenze. Il concilio non
attuò però solo una controriforma, ma anche una riforma interna alla Chiesa cattolica, soprattutto nella
direzione di un maggiore rigore morale e intellettuale. Vennero istituiti i seminari per la formazione del clero, e
fissate norme per una maggiore cura pastorale, quali l’obbligo di residenza dei parroci nelle parrocchie e dei
vescovi nelle diocesi; si cercò poi di far rispettare, più di quanto fino ad allora accadeva, il celibato
ecclesiastico (contro la possibilità di sposarsi che avevano i pastori protestanti). Soprattutto, venne promosso
un forte slancio missionario nel Nuovo Mondo, e di apostolato popolare, anche con la creazione di istituzioni
assistenziali e culturali come ospizi, orfanotrofi, ospedali, scuole e collegi. Un ruolo fondamentale in queste
attività ebbero i nuovi ordini religiosi fondati prima e dopo il concilio: teatini, cappuccini (interni all’ordine
francescano), orsoline, e soprattutto i gesuiti, i membri della Compagnia di Gesù fondata dallo spagnolo
Ignazio di Loyola nel 1540. La compattezza e la rigida struttura gerarchica di quest’ordine, l’assoluta fedeltà al
papa di cui esso faceva voto, e la severa preparazione intellettuale, resero i gesuiti un efficientissimo
strumento di lotta alla Riforma, anche con la gestione dell’Inquisizione. Ma i gesuiti furono anche e soprattutto
i protagonisti di una nuova egemonia culturale nei paesi rimasti fedeli al cattolicesimo, sia come confessori e
autorevoli consiglieri di sovrani e potenti, sia come organizzatori dei loro famosi collegi, molto rigidi ed
efficienti, nei quali si formò per secoli gran parte delle classi dirigenti dell’Europa cattolica.
2.4 Le conseguenze culturali, politiche ed economiche di Riforma e Controriforma
La Riforma e la Controriforma provocarono un nuovo fervore religioso, sia pure in direzioni opposte: una
religiosità più intima, personale e introspettiva quella protestante; una religiosità più coreografica, “visiva” (vedi
l’arte barocca), solenne e popolare quella cattolica dopo il concilio di Trento. Entrambe produssero anche un
clima culturale più intransigente e intollerante, facendo a gara nella persecuzione delle eresie e delle
minoranze religiose: fu l’età della caccia alle streghe, dei roghi per gli eretici, e nei paesi cattolici
dell’Inquisizione romana e di un pesante controllo sulla cultura e sugli intellettuali (vedi i casi di Giordano
Bruno, bruciato sul rogo nel 1600, e di Galileo Galilei, condannato dall’Inquisizione nei decenni successivi).
Per un secolo, poi, lo scisma fece divampare le guerre di religione, o comunque alimentate anche da contrasti
religiosi: sia guerre civili, sia guerre tra stati. E poiché, come abbiamo visto (cap.1), il nuovo modo di condurre
le guerre le rendeva molto più devastanti, i cent’anni tra la metà del Cinquecento e quella del Seicento furono
particolarmente aspri per i rapporti tra gli stati, e durissimi per le popolazioni (tormentate dagli eserciti e dalle
persecuzioni religiose, e anche da carestie e pestilenze, frequenti in quei decenni): non a caso lo storico
G.Kamen definì quei cent’anni “il secolo di ferro”. Diversa, come vedremo, fu la situazione dopo il 1660.
La Riforma ebbe anche rilevanti conseguenze economiche, nei paesi del nord Europa ove penetrò.
L’abolizione degli ordini religiosi portò alla confisca delle loro terre, che, rivendute ai ceti abbienti in grado di
acquistarle, determinarono una enorme redistribuzione della ricchezza fondiaria.
Ciò accadde anche, e soprattutto, in Gran Bretagna, ove il re Enrico VIII Tudor, pur non aderendo alla Riforma
(anzi ne perseguitò i seguaci nel suo regno), si separò dalla Chiesa cattolica, per un dissidio col papa che non
gli aveva permesso di divorziare: con l’Atto di Supremazia del 1534, egli fondò la Chiesa anglicana (cioè
d’Inghilterra), ponendola sotto il controllo della monarchia.
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3. L’evoluzione degli stati europei tra Cinquecento e Seicento
secoli
Le principali vicende politiche in Europa, nei secoli XVI e XVII
1500 1^metà del secolo: Mentre nelle corti italiane fiorisce la splendida stagione artistico-culturale del
Rinascimento, la penisola è teatro delle guerre tra Francia e Spagna per il dominio sugli stati italiani.
1517, Germania: con l’esposizione delle 95 tesi di Lutero inizia la Riforma protestante, nella versione
luterana, che si diffonde in Germania e nell’area scandinava; dagli anni ’40, la versione calvinista
della Riforma, promossa da Calvino, si diffonde in altre parti dell’Europa del nord e in Francia.
1519: Carlo V di Gand, erede delle corone di Spagna e degli Asburgo d’Austria, è eletto imperatore
XVI del Sacro Romano Impero e inizia la sua triplice lotta: contro la Francia di Francesco I, contro i
principi luterani tedeschi, contro i turchi (che, con Solimano il Magnifico, conquistano l’Ungheria e nel
1529 arrivano ad assediare Vienna). Le guerre d’Italia, dopo alterne vicende (tra le quali, nel 1527, il
1^
parte, saccheggio di Roma dei lanzichenecchi imperiali), finiscono nel 1559 con la pace di Cateau
fino Cambresis, che sancisce l’egemonia degli spagnoli in Italia, e il loro dominio diretto sul ducato di
al
Milano e sul regno di Napoli (che durerà fino all’inizio del ‘700); solo Venezia rimane autonoma.
1560 La guerra di Carlo V contro i luterani tedeschi finisce con la pace di Augusta del 1555 (secondo il
principio “Cuius regio, eius religio”). Sul piano dottrinale, la lotta viene proseguita dalla Chiesa
cattolica, col concilio di Trento (1545-1563) e con l’organizzazione della Controriforma.
Inghilterra: Enrico VIII Tudor rafforza la monarchia, anche con lo scisma da Roma del 1534 che lo
pone a capo della Chiesa d’Inghilterra (anglicana). Francia: il lungo regno di Francesco I rafforza la
monarchia francese, fino a spezzare “l’accerchiamento” degli Asburgo: nel 1556 Carlo V abdica e
divide i suoi possedimenti: al figlio Filippo II quelli spagnoli, al fratello quelli austriaci e l’impero.
2^metà del secolo (dai ’60) In Inghilterra, la monarchia si rafforza col lungo regno di Elisabetta I, che
promuove l’espansione marittima, e nel 1588 sconfigge l’Envencible Armada spagnola. Il calvinismo
si diffonde nel regno:puritani in Inghilterra, presbiteriani in Scozia; sottomissione dell’Irlanda cattolica.
La Francia precipita nelle guerre civili tra fazioni nobiliari di cattolici e calvinisti (in Francia, ugonotti),
concluse con la salita al trono di Enrico IV di Borbone e il suo editto sulla tolleranza religiosa (1594).
XVI La Spagna di Filippo II fallisce nel progetto di imporre la propria egemonia in Europa: perde la sfida
marittima con l’Inghilterra; non riesce a fare prevalere la fazione cattolica (filo-spagnola) nelle guerre
2^
di religione in Francia; perde la lunga e costosissima guerra nei Paesi Bassi (le Fiandre), iniziata
parte negli anni ’60 contro una rivolta al contempo politica e religiosa: la guerra finisce nel 1609 con
del
l’indipendenza della Repubblica delle Province Unite (i Paesi Bassi del nord, cioè l’Olanda).
secolo 1571: nel Mediterraneo, una flotta di stati cristiani guidata dagli Asburgo sconfigge i turchi nella
battaglia di Lepanto, ma con scarse conseguenze: prosegue l’espansione turca nei Balcani.
In Italia, cresce l’importanza finanziaria della repubblica di Genova, importante “banca” della Spagna.
Nell’Europa orientale, grande espansione del regno di Polonia e dell’impero russo.
Sullo sfondo, per tutto il secolo, crescita della popolazione, degli scambi mercantili, e dell’inflazione.
1560
1^metà del secolo: in Francia si alternano fasi di forza e di debolezza della monarchia dei Borboni, in
un lungo scontro tra la volontà di affermare l’assolutismo del re Enrico IV (1594-610), poi del cardinale
Richelieu (1624-1642), 1^ministro di Luigi XIII, poi del cardinale Mazzarino (1642-1661), e le tenaci
resistenze dei ‘contropoteri’, soprattutto aristocratici. All’esterno, la Francia prosegue la sfida contro
gli Asburgo d’Austria e di Spagna, intervenendo con successo nella guerra dei Trent’anni. Per la
Spagna, la pace dei Pirenei (1659) accelera il progressivo e definitivo declino politico ed economico.
In Inghilterra, il tentativo della dinastia Stuart di affermare l’assolutismo monarchico, come in Francia,
XVII trova resistenze molto maggiori, coalizzate attorno al parlamento di Londra. Lo scontro, che è anche
sociale e religioso (re-grandi aristocratici-anglicani contro parlamento-borghesi-puritani), sfocia in una
1^
guerra civile (1642-1649): nel 1949, il re Carlo I Stuart viene sconfitto e decapitato: proclamata la
parte, repubblica sotto il “protettorato” di Cromwell, leader del parlamento e dei puritani (i calvinisti inglesi).
fino La Germania è teatro della devastante guerra dei Trent’anni (1618-1648), scontro tra cattolici e
al
protestanti, e anche tra il progetto degli Asburgo d’Austria (alleati con quelli di Spagna) di riaffermare
1660 la propria egemonia imperiale, e le forze ostili a questo progetto: i principi protestanti, in Germania, e
le varie potenze (Francia, Danimarca, Svezia) che in fasi diverse intervengono nel conflitto. La guerra
finisce col trattato di Westfalia (1648) che sancisce: il declino dell’autorità imperiale in una Germania
devastata dalla guerra, e sempre più frantumata in una miriade di 300 stati regionali e cittadini, e
l’ascesa di nuove potenze militari (la Svezia e la Prussia) e commerciali (l’Olanda).
I trattati di Westfalia (’48) e dei Pirenei (’59) segnano perciò una svolta nei rapporti tra gli stati europei
1600
14
2^meta del secolo: In Francia, diventata dopo il declino degli Asburgo la maggiore potenza europea,
il lunghissimo regno di Luigi XIV, il Re Sole (1661-1715), segna il trionfo dell’assolutismo monarchico,
con la massima centralizzazione del potere dello stato. Scarsi esiti hanno invece le numerose guerre
d’espansione condotte dal re, contro il quale si coalizzarono le altre potenze europee.
In Inghilterra, dopo la restaurazione della monarchia Stuart nel 1660, il suo rinnovato indirizzo
assolutistico provoca una seconda rivoluzione, questa volta incruenta: la Glorious Revolution (1689),
con l’instaurazione di una sovrano olandese, Guglielmo d’Orange, che sottoscrive il Bill of Right, una
carta dei diritti che diventa la base di una monarchia parlamentare, nella quale il potere legislativo è
saldamente in mano al parlamento: in questa direzione il nuovo sistema si consolida per tutto il ‘700.
XVII Dalla fine del ‘600 l’Inghilterra prosegue la sua espansione marittima e coloniale in Asia e America, in
forte competizione economica con l’Olanda, contro la quale conduce diverse guerre commerciali.
L’Olanda, rafforzata dalla guerra dei Trent’anni, prosegue la sua espansione coloniale e commerciale
2^
ma subisce la sempre più serrata concorrenza della potenza inglese contro il suo primato marittimo.
parte L’Italia, divisa in piccoli stati regionali o cittadini, direttamente o indirettamente sotto l’egemonia
spagnola, subisce il declino politico ed economico della Spagna e la decadenza del Mediterraneo,
rispetto alla grande espansione marittima commerciale e coloniale degli stati atlantici.
Nell’area tedesca, prostrata dalle conseguenze della guerra dei Trent’anni, emerge la potenza del
regno di Brandeburgo-Prussia. Nell’area balcanica, l’assedio di Vienna del 1683 da parte dei turchi,
respinto, è l’ultimo atto dell’espansionismo dell’impero ottomano, e l’inizio del suo declino.
Nell’Europa orientale, prosegue l’espansione dell’impero russo della dinastia Romanov
Sullo sfondo, per tutto il secolo, il ristagno demografico provocato dalle frequenti epidemie di peste, il
1700 regresso economico dell’Europa mediterranea e l’ascesa economica dell’Europa nord-occidentale.
1660
Ora, nel paragrafo 3.1 tireremo le somme dell’evoluzione dei rapporti nel sistema degli stati europei, e nel
paragrafo 3.2 esamineremo l’evoluzione interna di alcuni stati, rispetto al nostro modello di analisi, con
un’attenzione particolare per il caso francese
3.1 L’evoluzione dei rapporti tra gli stati
Dall’inizio del Cinquecento (più esattamente dagli anni ‘20 del secolo) alla metà del Seicento, l’Europa fu
teatro di guerre continue, quasi tutte legate all’intreccio di due fattori: le contrapposizioni religiose tra cattolici e
protestanti, e il tentativo degli Asburgo di affermare la propria supremazia. Questo tentativo, contrastato da
tutte le altre potenze, singolarmente o in coalizione, venne stroncato definitivamente con i trattati di Westfalia
del 1648 e dei Pirenei del 1659. Seguiamo questa parabola. Le guerre d’Italia per l’egemonia sulla penisola
(molto ambita per il suo primato economico e culturale, e per la debolezza politica dei suoi stati), erano già
iniziate tra Francia e Spagna alla fine del Quattrocento. Ma la contesa si nutrì di nuovi motivi con la salita al
trono di due giovani e ambizioni sovrani, Francesco I in Francia (1515) e Carlo V. Il fatto che nel 1519
quest’ultimo fu eletto imperatore (a scapito dell’altro) espose il regno di Francia, allora il più potente e
popoloso d’Europa, al rischio di essere stretto in una “tenaglia”. Oltre alla guerra in Italia, però, Carlo V
dovette fronteggiare anche l’eresia luterana in Germania, nonché l’espansionismo dell’impero turco nel
Mediterraneo e nei Balcani. Carlo V aveva molti nemici, ed anche “amici” spesso poco affidabili, come il papa.
Perciò nel 1556, quando abdicò, divise l’immenso impero tra il figlio Filippo e il fratello Ferdinando, per
concentrare le forze contro i troppi nemici. Ma nei successivi cent’anni, lo schema dei rapporti in Europa
rimase lo stesso. Il “cattolicissimo” Filippo II e i suoi successori dovettero combattere su più fronti: il più
oneroso fu quello delle Fiandre, o Paesi Bassi, la cui rivolta era dovuta al desiderio di indipendenza politica,
religiosa (gli olandesi erano in larga maggioranza calvinisti) ed economica (la ricca provincia dei Paesi Bassi
costituiva per la Spagna la maggior fonte di tributi). Quella guerra, durissima, portò più volte alla bancarotta lo
stato spagnolo (e rovinò i banchieri di Genova e Anversa che lo finanziavano), ed ebbe un esito fallimentare,
dato che le province del nord (attuale Olanda) nel 1609 divennero indipendenti come Repubblica delle
Province Unite; la Spagna riuscì solo a staccarne le province meridionali, cioè l’attuale Belgio, sulle quali
mantenne il controllo. Fallimentare fu anche il tentativo di sostenere le forze filo-cattoliche in Inghilterra (dopo
il rifiuto, da parte della regina Elisabetta, di sposare Filippo II, cosa che avrebbe unificato le due corone); e nel
1588 la flotta inglese e il naufragio dell’Invencible Armada stroncarono l’ambizioso progetto spagnolo di
invadere l’Inghilterra. Filippo II sostenne anche le forze cattoliche nelle guerre di religione in Francia, ma
anche in questo caso la fine di quelle guerre, con la salita al trono dell’ex ugonotto Enrico IV, ebbe un esito
15
opposto a quello sperato. I successori di Filippo II ebbero risultati ancora peggiori, intervenendo nella guerra
dei Trent’anni a fianco degli Asburgo d’Austria, e quando nel 1659 la Spagna fu costretta a firmare la pace dei
Pirenei con la Francia, che equivaleva a una resa, essi era ormai un paese in declino, nonostante il suo
immenso impero coloniale nelle Americhe. E tale declino politico ed economico (di cui è immortale emblema
letterario l’hidalgo don Chisciotte) si estese agli stati regionali italiani, allora dominati dalla Spagna.
Anche gli Asburgo l’Austria assunsero il ruolo di sovrani “cattolicissimi”, ai quali la geografia politica
assegnava due avversari: l’impero turco ottomano, musulmano, nel Mediterraneo e nei Balcani, e i principi
luterani in Germania. Il tentativo di riaffermare l’egemonia asburgica e cattolica nel Sacro Romano Impero
scatenò la terribile guerra dei Trent’anni: di fronte agli iniziali successi delle truppe imperiali, intervennero in
successione danesi, svedesi e anche la Francia, che non esitò ad allearsi coi protestanti pur di sconfiggere gli
Asburgo, come alla fine accadde, nel 1648. Nella seconda parte del Seicento (e ancora di più nel Settecento),
peraltro, gli Asburgo d’Austria seppero estendere il loro impero sia a spese dei turchi (che nel 1683
assediarono per l’ultima volta Vienna, ma poi iniziarono un lungo declino), conquistando l’Ungheria, sia in
Italia, ove all’inizio del Settecento sostituirono la loro egemonia a quella spagnola.
L’epoca che inizia nel secondo Seicento ha caratteristiche diverse, come ci spiega lo storico Paul Kennedy:
“Il secolo e mezzo di lotte internazionali che iniziò nel 1660 fu molto diverso da quello che
lo aveva preceduto; questi cambiamenti riflettono un ulteriore stadio della politica internazionale.
La caratteristica più significativa della scena delle grandi potenze dopo il 1660 fu il consolidarsi di
un vero e proprio sistema multipolare di stati europei, ciascuno dei quali tendeva a prendere
decisioni in merito alla guerra o alla pace sulla base di “interessi nazionali” piuttosto che di ragioni
sopranazionali o religiose. Questo non fu, beninteso, un cambiamento repentino e assoluto.
Tuttavia, la principale caratteristica del periodo 1519-1659 (cioè l’asse austro-spagnolo stabilito
dagli Asburgo, contro una coalizione di stati protestanti più la Francia) scomparve e venne
sostituita da un sistema molto più libero di alleanze variabili e a breve termine. Paesi che in una
guerra erano stati nemici spesso si ritrovarono alleati nella successiva (…).
Le variazioni in campo diplomatico e bellico venivano ulteriormente complicate da un elemento
non nuovo ma comune a tutte le epoche: l’ascesa di alcuni stati e il declino di altri. Durante questo
secolo e mezzo di rivalità internazionali, dall’assunzione dei pieni poteri di Luigi XIV in Francia
nel 1661 alla resa di Napoleone dopo Waterloo nel 1815, alcuni degli stati che avevano dominato
nel periodo precedente (l’impero ottomano, la Spagna, l’Olanda, la Svezia) ricaddero in posizione
di second’ordine, e la Polonia scomparve del tutto come stato. Gli Asburgo d’Austria, tramite vari
assestamenti territoriali e strutturali nei loro territori ereditari, riuscirono a mantenersi al primo
livello; e nella Germania settentrionale il Brandeburgo-Prussia riuscì a raggiungere quello stesso
livello. A Occidente, la Francia, prima del 1660, aveva incrementato la propria potenza militare
tanto da diventare il più forte stato europeo e, secondo molti osservatori, da essere in grado di
esercitare un dominio come non erano riusciti a fare gli Asburgo mezzo secolo prima. Solo unioni
temporanee di stati vicini impedirono alla Francia di dominare l’Europa centro-occidentale, con
una serie di lunghe guerre (1689-1697; 1702-1714; 1739-1748; 1756-1763); ma questa possibilità si
ripresentò nell’epoca napoleonica [1796-1815], con una serie di vittorie militari francesi cui pose fine
soltanto una coalizione delle altre quattro grandi potenze [l’impero asburgico d’Austria, l’impero russo,
l’Inghilterra, la Prussia]. Tra la Francia a ovest e i due stati tedeschi di Prussia e Austria a est, quindi, si
venne a creare, all’alba del Settecento, un vero e proprio equilibrio trilaterale nel cuore del’Europa.
Ma in quel periodo, i cambiamenti veramente significativi all’interno del sistema delle grandi
potenze si verificarono alla periferia dell’Europa, e anche più lontano. [qui l’autore allude all’espansione
marittima e coloniale dell’Inghilterra, a ovest, e quella territoriale della Russia a est]”.
Dunque, nel secondo Seicento si inaugurò un nuovo sistema di equilibrio “multipolare” tra cinque grandi
potenze europee (Russia, Prussia, Austria, Francia, Inghilterra), secondo logiche diverse da quelle dell’età
precedente. Un equilibrio “a somma zero” all’interno dell’Europa, cioè che impedì stabili egemonie, e consentì
invece l’espansione verso l’esterno degli imperi russo e inglese.
16
3.2 L’evoluzione interna dello stato: alcuni casi esemplari
L’evoluzione interna fu evidentemente influenzata dai rapporti con gli altri stati (in particolare dall’esito delle
guerre), ma vale altrettanto la relazione inversa: il successo o l’insuccesso nei rapporti internazionali di ogni
singoli stato dipese anche dalla sua capacità di consolidarsi al suo interno, ossia di attuare la triplice
centralizzazione: del potere (piegando i contropoteri), delle risorse (indispensabili per finanziare la guerra),
della violenza legittima.
Tra il Cinquecento e il Seicento questa centralizzazione, ovvero il rafforzamento dello stato, fece un salto di
qualità, tanto che si può parlare di passaggio dalla ‘proto-storia’ alla storia dello stato moderno. La tendenza
prevalente in quei due secoli fu la realizzazione dello stato assoluto (dal latino: legibus solutus), cioè sciolto,
liberato dall’osservanza di leggi e vincoli che non fossero la volontà stessa del sovrano, unica legittimazione
del potere (secondo la formula che fu anche teorizzata nel secondo Cinquecento da filosofi e giuristi). Ma
questa tendenza non si realizzò ovunque, né fu lineare e costante: come vedremo, in taluni casi o in alcuni
periodi prevalsero le controtendenze che si opponevano alla centralizzazione del potere.
Le vicende religiose ebbero grande influenza sull’evoluzione interna degli stati, ma con esiti diversi e talora
opposti nei differenti casi. Come già visto, la riforma protestante diventò un fattore di disgregazione e di
indebolimento del potere centrale per l’impero degli Asburgo; viceversa, essa diventò un potente fattore di
coesione interna e di rafforzamento dello stato per la Prussia, la Svezia e l’Olanda. Poiché è impossibile
seguire i modi con cui la triplice centralizzazione si realizzò – o fallì – all’interno dei differenti stati, ci
limiteremo ad esaminare più o meno ampiamente alcuni casi significativi.
a. Il caso della Polonia è l’esempio più vistoso del fallimento dello stato, in particolare nei confronti del
contropotere costituito dalla grande aristocrazia terriera. Nel ‘500 la Polonia era un regno vastissimo, molto
composito per gruppi etnici e religiosi (cattolici, ortodossi, luterani, calvinisti e numerose comunità ebraiche),
che il diffuso spirito di tolleranza risparmiò da guerre e conflitti religiosi: caso unico nell’Europa del tempo. Ma
le cose cambiarono dal ‘600 in poi, quando la nobiltà polacca impose al paese una forte identità nazionale
cattolica, forse anche per la posizione di “frontiera” tra l’impero turco musulmano, quello russo ortodosso, e i
regni luterani di Svezia e Prussia. Soprattutto, però, nel ‘600 la nobiltà accentuò il suo strapotere sociale e
politico: da una parte impose ai contadini il servaggio (cioè la servitù della gleba, scomparsa da secoli
nell’Europa occidentale); dall’altra essa conquistò il diritto di eleggere i sovrani, scegliendoli sempre tra
dinastie straniere in modo che essi fossero debolissimi. Il regno di Polonia divenne così, di fatto, una
repubblica aristocratica, con un potere centrale debolissimo e una borghesia quasi inesistente, dato lo
strapotere della nobiltà agraria. La conseguenza fu il declino politico ed economico che portò addirittura, alla
fine del ‘700, alla scomparsa dello stato polacco, spartito tra Russia, Prussia e Austria (esso rinacque dopo
oltre cent’anni, nel 1918, alla fine della 1^guerra mondiale).
b. Il caso della Spagna è l’esempio delle difficoltà di un grande impero a realizzare uno stato assoluto e
centralizzato, nonostante gli Asburgo perseguissero questo obiettivo. Il fallimento del loro progetto di
egemonia europea fu dovuto infatti non solo a fattori esterni (cioè, come abbiamo visto, i troppi avversari con
cui dovettero misurarsi Carlo V, Filippo II e i suoi successori), ma anche a fattori interni, e cioè:
- i possedimenti degli Asburgo, dispersi su mezza Europa (oltre alle colonie americane), erano troppo
disomogenei, e in ciascuno di essi vi erano contropoteri in grado di mettere in difficoltà la monarchia: le città
spagnole che si ribellarono più volte contro le tasse o per difendere antichi privilegi; i principi luterani in
Germania e i calvinisti olandesi (entrambi questi soggetti, si noti, dal punto di vista dei sovrani Asburgo erano
considerati “contropoteri” interni al loro impero).
- l’inefficienza degli sovrani spagnoli nel drenare risorse finanziarie, e la cronica debolezza economica della
Castiglia (cuore dell’impero ma regione semidesertica e pastorale), costrinsero più volte, nel secondo ‘500 e
nel ‘600, la monarchia a dichiarare bancarotta. Altro esempio: l’armata spagnola nei Paesi Bassi si ammutinò
per ben 46 volte tra il 1572 e il 1606, a causa delle paghe che non arrivavano, e in una di queste rivolte
saccheggiò irreparabilmente la città di Anversa, che insieme a Genova era il centro finanziario dell’impero
spagnolo. Pertanto, la debolezza nel drenare le risorse compromise anche l’efficienza militare dello stato, la
sua capacità di mantenere il monopolio della violenza e di vincere le guerre.
17
c. I casi dell’Olanda e, soprattutto, dell’Inghilterra sono esempi importanti di un rafforzamento dello stato e
dei suoi poteri ma in una direzione diversa da quella francese (che esamineremo subito dopo): non
l’assolutismo monarchico, bensì lo sviluppo di uno stato mercantile – in qualche modo, sull’esempio della
Repubblica Serenissima di Venezia del Quattrocento – , cioè uno stato attento a promuove gli interessi
economici dei suoi ceti mercantili (mercanti, banchieri, grandi armatori navali), che erano proiettati sui
commerci marittimi. Nel caso olandese, questo fu realizzato da una repubblica oligarchica; nel caso inglese,
da una monarchia parlamentare (ma su entrambi i casi torneremo in seguito…).
d. Il caso della Francia è, viceversa, l’esempio più riuscito di assolutismo, la deliberata ed esplicita volontà
del sovrano di realizzare un potere assoluto, che diventò un modello per l’intera Europa. Perciò qui di seguito
esamineremo più ampiamente il caso francese. Da segnalare che un altro caso di assolutismo realizzato in
modo efficace fu quella della Prussia (vedi libro di testo, carta a pag.68, testo a pag.69)
4. Lo stato moderno in Francia: la monarchia assoluta
4.1 Nella prima metà del Cinquecento, fino al 1559
anno
Totale entrate
(tonnellate argento)
Popolazione
(in milioni)
All’inizio del ‘500 il regno di Francia era un paese
1500
35
1,0
Venezia
enorme, ancora per un terzo coperto di foreste: a
1560
39
1,6
percorrerlo da nord a sud un uomo medio impiegava
1600
80
1,8
un mese. Come mostra la tabella, era anche molto più
1532
96
15
Francia
popoloso degli altri stati. Dopo la guerra dei 100 anni,
1560
222
16,5
la dinastia dei Valois aveva ripreso ad espandersi in
1600
236
17,5
tutte le direzioni e a fagocitare le enclaves feudali interne.
1510
29
4,5
Spagna
Ma solo alla fine del ‘400 la lingua francese (langue d’oil)
1560
140
7,5
iniziò ad essere parlata anche a sud della Loira.
1598
340
8,5
Fino ad allora l’identità collettiva era quella cristiana, e
220
7,1
Castiglia 1598
solo alla fine del ‘500 iniziò a diffondersi tra i ceti
dominanti la coscienza di appartenere a una nazione.
69
4,2
Inghilterra 1610
Parimenti, solo a fine ‘500 emerse la centralità di Parigi
tabella tratta da F. Braudel, Civiltà e imperi… 1976
quale capitale e sede stabile dei sovrani: i re della
dinastia Valois erano re itineranti, per garantirsi le
L’evoluzione del sistema fiscale francese andò
entrate e per controllare la nobiltà.
dall’imposta eccezionale di guerra, a un’imposta regolare
Secondo storico Le Roy Ladurie (1999), le guerre
di guerra, a un’imposta regolare anche in tempo di pace,
all’esterno, iniziate nel 1494 con la campagna d’Italia
e questo processo si concluse alla fine del sec. XV:
di Carlo VIII e proseguite da Luigi XI, da Francesco I
- a inizio ‘300 (epoca di Filippo il Bello):
46 tonnellate
ed Enrico II fino agli anni ’50, ebbero un duplice
1430
(territorio
mutilato
per
la
guerra):
52 t
vantaggio: 1) evitarono i conflitti interni, da parte della
fine
‘400
(sotto
Luigi
XI):
100
t
bellicosa nobiltà feudale (che infatti li ricominciò nella
metà
‘500
(sotto
Enrico
II):
190
t
seconda metà del ‘500), cioè pacificarono il paese;
inizio
‘600
(sotto
Enrico
IV):
200
t
2) il costo di quelle guerre indusse lo stato ad
- metà ‘600 (governo di Mazzarino):
1.000 t **
aumentare il prelievo fiscale (che fino a metà del ‘500
** questo livello di 1.000 tonnellate d’argento di imposte
era modesto), vendendo cariche e uffici: ciò servì ad
rimase stabile fino all’inizio del ‘700, cioè per tutto il regno di
irrobustire uno stato che fino ad allora aveva un
apparato burocratico del tutto insufficiente, soprattutto Luigi XIV, salvo qualche momento breve ed eccezionale.
dati tratti da E. Le Roy Ladurie, Lo stato del re, 1999
ai fini del controllo delle violenze private, ancora
molto diffuse. Infatti all’ inizio del ‘500 vi erano solo
4000-5000 detentori di cariche pubbliche (150 anni dopo sarebbero stati 46.000, dieci volte di più). Il
rafforzamento del potere della monarchia, in questa prima metà del secolo, fu perciò un fattore di stabilità e di
pace interna per il paese. Francesco I, durante il suo lungo regno (1515-47), fu un tipico sovrano
rinascimentale, munifico nel promuovere l’arte (attirò alla sua corte Leonardo da Vinci) e spregiudicato in
politica: non esitò ad allearsi sottobanco con i principi luterani (mentre, all’interno, perseguitava i protestanti), e
anche con il sultano turco, per ostacolare la potenza degli Asburgo.
4.2 Nella seconda metà del Cinquecento, fino al 1598
Dopo il 1559, quando morì il re Enrico II e assunse la reggenza la moglie Caterina de' Medici, esplosero i
contrasti religiosi tra i cattolici e i calvinisti francesi, detti ugonotti. Questi contrasti degenerarono in guerre di
religione che furono anche guerre civili, con le due potenti casate nobiliari dei duchi di Guisa e dei Borboni a
18
capo delle rispettive fazioni. Le guerre proseguirono con rare interruzioni fino agli anni '90, con stragi,
tradimenti e uccisioni dei capi delle due fazioni e dei possibili pretendenti al trono: clamorosa fu la strage della
notte di San Bartolomeo, nel 1571, quando in una festa di “riconciliazione” furono uccisi a tradimento quasi
tutti i capi ugonotti. La Spagna di Filippo II spalleggiò i cattolici, ma fu il capo della fazione protestante, Enrico
di Borbone, unico legittimo erede al trono sopravvissuto alle guerre, a prevalere: si convertì al cattolicesimo, e
questa scelta gli spalancò trionfalmente le porte di Parigi, ove salì al trono nel 1594. Nel 1598 egli siglò la
pace con la Spagna ed emanò l’editto di Nantes, che proclamava il cattolicesimo religione ufficiale, ma
assicurava anche agli ugonotti la libertà di culto (fuori da Parigi) e alcune città fortificate, tra qui la cittàfortezza di La Rochelle. In questo mezzo secolo si ebbe dunque un forte indebolimento dello stato rispetto ai
contropoteri, in particolare quelli rappresentati dalle grandi casate nobiliari delle due fazioni in conflitto,
ciascuna in grado di armare propri eserciti: la monarchia, perciò, perse anche il monopolio della forza
legittima, e la Francia ripiombò nell’anarchia feudale, con il dilagare della violenza, anche se la crisi fu poi
superata con l’avvento al trono della nuova dinastia dei Borbone, alla fine del secolo.
Diminuì anche la capacità di drenare risorse, soprattutto in termini di entrate fiscali. Infatti, osservando le cifre
di pag.18 (e tenendo conto, cosa fondamentale, che l’inflazione della seconda metà del Cinquecento diminuì il
valore delle tonnellate d’argento di quel periodo), si nota in questo mezzo secolo un lievissimo incremento
nominale delle entrate, che a causa dell’inflazione corrisponde di fatto a un decremento di tali entrate, cioè
della capacità impositiva dello stato.
4.3 La prima metà del Seicento, dall’editto di Nantes al governo di Mazzarino (1661)
In questo periodo si succedono fasi diverse, che è necessario seguire distintamente:
- dal 1598 al 1610, quando venne assassinato da un fanatico cattolico, il “convertito” Enrico IV rafforzò il
potere della monarchia: il suo fu un centralismo proto-assolutistico, senza il fasto e il prestigio della successiva
età del Re Sole. Fu lui a istituire nel 1604 la Paulette, una tassa che consentiva ai detentori delle cariche
pubbliche di nobilitarsi e di trasmetterle ereditariamente ai discendenti: così venne di fatto creata la nobiltà di
toga, che suscitò l’ostilità della nobiltà di spada.
- 1610-1620: dopo l'assassinio di Enrico IV e durante la reggenza di Maria de’ Medici, madre del re Luigi XIII
ancora minorenne, l'aristocrazia approfittò della debolezza della monarchia e impose la convocazione degli
Stati generali (antico organismo di rappresentanza dei tre ordini: clero, aristocrazia, terzo stato cioè borghesia:
organismo caduto in disuso dall’inizio del ‘500), con l’obiettivo di limitare i poteri del sovrano e l'ascesa sociale
della borghesia degli uffici e della nobiltà di toga.
- 1620-1642: Luigi XIII, divenuto maggiorenne, salì al potere, ma di fatto il governo fu esercitato dal suo primo
ministro, il cardinale Richelieu, dal 1624 alla morte nel 1642 (quasi contemporanea a quella del re). Il governo
di Richelieu centralizzò e rafforzò il potere dello stato. Egli iniziò assediando La Rochelle, la città-fortezza degli
ugonotti (ai quali lasciò però la libertà di culto, sancita dall’editto di Nantes). Colpì poi, anche con condanne a
morte, numerosi nobili incolpati di delitti contro lo stato, per stroncare il loro potere (come già detto a pag.10,
Luigi XIII distrusse più castelli di quelli che costruì: beninteso, distrusse quelli degli aristocratici, all’interno,
costruì quelli sulle frontiere del regno). Represse con durezza le rivolte contadine, numerose per
l’aggravamento delle condizioni di vita nel primo Seicento e per il crescente inasprimento del carico fiscale.
Richelieu diede anche maggiori poteri agli intendenti, rappresentanti dello stato in periferia, e tramite queste
figure rafforzò il controllo dello stato sul territorio. Dal 1635 egli impegnò la Francia nella guerra dei 30 anni,
combattendo in particolare contro gli Asburgo di Spagna.
- 1642-1661: Richelieu e Luigi XIII morirono lo stesso anno e, con l'erede al trono Luigi XIV ancora bambino,
la Francia venne governata per un altro ventennio da un altro primo ministro cardinale, il Mazzarino. Egli
proseguì la politica del predecessore, ma dovette fronteggiare difficoltà molto maggiori. Nonostante i suoi
successi militari nella guerra dei 30 anni (con la pace di Wesfalia e quella dei Pirenei la Francia indebolì i suoi
nemici, gli Asburgo, e acquisì alcuni territori di confine con la Germania e con la Spagna), i costi della guerra e
il conseguente inasprimento fiscale provocarono rivolte contadine, favorite anche da una lunghissima crisi
agraria. Inoltre la città di Parigi, con suo parlamento, si sollevò nel 1648 contro l'assolutismo regio, e costrinse
la corte a fuggire: era la "fronda [=rivolta] parlamentare", una vera e propria guerra civile che durò alcuni mesi
(proprio quando, oltre la Manica, il parlamento inglese tagliava la testa al suo re Carlo I). Di lì a poco esplose
un'altra rivolta, questa volta promossa dall'aristocrazia: la "fronda dei principi”, che sembrò far ripiombare il
regno nelle guerre civili del secondo Cinquecento. Essa durò dal 1650 al 1652, quando la corte e Mazzarino,
con il sostegno della borghesia, poterono rientrare a Parigi nella pienezza dei loro poteri.
19
Sia nel rapporto con i contropoteri (soprattutto l’aristocrazia di spada, ma anche la borghesia urbana che
trovava voce nel parlamento di Parigi, e i centri fortificati degli ugonotti), sia nella capacità di mantenere il
monopolio della violenza, questo periodo fu dunque contrassegnato da un andamento alterno. Si ebbero
indubbi progressi nella direzione dell’assolutismo, tenacemente perseguito da Enrico IV e dai ministri-cardinali
Richelieu e Mazzarino, ma anche forti opposizioni, soprattutto – ma non solo – nelle fasi di interregno. Sulla
base del 2^ riquadro di pag.18, osserviamo che la capacità di drenare risorse ebbe invece in questo mezzo
secolo un forte aumento. Se teniamo conto del fatto che il Seicento, all’opposto del Cinquecento, non fu un
secolo di inflazione, colpisce l’alto incremento di entrate, che quintuplicarono. Ciò spiega anche il profondo
disagio dei ceti popolari e le loro frequenti rivolte – peraltro sempre represse – di questo periodo.
4.3 Il lungo regno di Luigi XIV, il Re Sole (1661-1715): l’apogeo dell’assolutismo monarchico
Vedi libro di testo, pp.62-65….
Riferimenti bibliografici.
I brani riportati nel testo sono tratti dalle seguenti opere:
Charles Tilly,
L’oro e la spada, Ponte alle Grazie, Firenze 1991
George Huppert, Storia sociale dell’Europa moderna, Il Mulino, Bologna 2001
Paul Kennedy,
Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti, Milano 1999
William H. Mc Neil, Caccia al potere. Tecnologia, armi, realtà sociale dall’anno Mille, Feltrinelli, Bologna 1984
Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Einaudi, Torino 1976
Emmanuel LeRoy Ladurie, Lo stato del re. La Francia dal 1460 al 1610, Bologna, Il Mulino 1999
20
Appendice:
DOCUMENTI
Doc. 1 L’anarchia feudale. 1040, Reggio Emilia
Questo brano è una parte del “Polittico delle malefatte”: è
così chiamato un promemoria scritto dal vescovo di
Reggio, che offre un vivo spaccato dei costumi del tempo.
Non si è ancora affermato il comune, né l’influenza dei
conti di Canossa. Il vescovo è il rappresentante imperiale,
con vasti poteri feudali e di governo della città (e i canonici
sono i suoi collaboratori). Eppure, ecco cosa possono…
permettersi di combinare, a lui e ai suoi canonici, i figli
(Guido e Ugo) e i nipoti di Gandolfo da Palude, una
famiglia di signorotti feudali da pochi decenni insediatisi
nel reggiano. E’ la testimonianza dell’ascesa di una nuova
aristocrazia, spesso di oscure origini, che si incunea tra i
poteri tradizionali e i contadini, a spese di entrambi.
“ Inizia l’elenco delle malversazioni compiute a
Rivalta e in altri luoghi dai figli di Giudo ai danni dei
canonici di Reggio. Nei tempi in cui era rettore di
detta canonica, Ildeberto rapita la figlia del prete
Asprando contro la volontà del vescovo Tenzone,
fuggì sotto la protezione di Ugo e Guido, figli di
Gandolfo da Palude, e affinché lo proteggessero dal
vescovo, concesse loro in livello [ndr: contratto di affitto
trentennale], contro la volontà del vescovo e dei
canonici, il castello e le terre padronali di Rivalta.
Da quel giorno non ebbero più termine le angherie di
costoro, sicché i canonici non ebbero più potere su
tale corte, se non quel tanto che permettevano essi e
i loro servi (…). Ora non permettono che i servi dei
canonici, cioè i loro boscaioli, cuochi, fornai e
amministratori, servano e obbediscano a essi. (…).
C’è Ugo, quello detto “il conte di Rivalta”, che occupa
con la forza la casa e la terra del prete Giovanni. I
suoi fratelli, con lui, si sono impossessati di un
podere di Rivalta, già lavorato dal massaro Racagno,
ne hanno tagliato la vigna e distrutto la casa, per poi
dividersi la terra come una loro proprietà. Hanno poi
rubato ai canonici la Selva Maggiore. Così essi e i
loro servi angariano i contadini dei canonici, compiendo malversazioni, devastando i loro possessi,
danneggiandoli continuamente al punto che, a causa
di tutte le loro violenze, costoro dicono di voler
abbandonare la terra [segue un lungo elenco, qui omesso,
di violenze sui contadini e di appropriazioni di terre compiute ad
Argine, Bagnolo, Gavasseto, Noceto, Reggio…]. A Paolone
hanno rubato 11 porci e 7 capre, a Giovanni Dentulo
4 porci e un carro. Al nostro arimanno (=uomo libero, in
longobardo) Arnolfo hanno rotto la chiusa del mulino e
da quando io sono diventato vescovo non hanno mai
cessato di perseguitare i miei arimanni di Modolena e
poiché questi si sono lamentati di ciò con me, costoro
minacciano di bruciare le loro case. Il prete Gerardo,
mortagli una sua donna, benché fosse ormai vecchio,
il giorno dell’Ascensione se ne prese un’altra, cosa
che noi gli abbiamo vietata, come era giusto, in modo
che, se si fosse accompagnato ancora con lei,
dovesse restituirci la carica di canonica e darci un
suo podere; ma egli, non tenendo conto di queste
nostre ingiunzioni, stette di nuovo con lei. Dopo di
ciò si presentò ai confratelli e giurò che mai aveva
giaciuto né convissuto con quella donna, voleva
quindi darci una casa e un’altra terra, se gli
concedevamo di abitare con lei, alla presenza dello
stesso Ugo. Ugo e suo fratello Guido gli permisero di
abitare con lei e gli concessero anzi in beneficio il
nostro arcidiaconato. Inoltre hanno incendiato Arceto,
un nostro castello con la sua chiesa, le case dei
nostri coloni le hanno trasportate a Sabbione e hanno
dato fuoco alle vigne e a una parte di selva.”
- principale indicatore di analisi: il potere nell’ XI secolo
- altro indicatore di analisi: i costumi del clero prima
della riforma della Chiesa iniziata da Gregorio VII, e
conclusa dalla Controriforma.
--------------------------------------------------------------------Doc.2 Il potere di conio, da Carlomagno a Luigi IX
A. Da due capitolari di Carlo Magno, fine del secolo VIII:
“Sulla moneta: nessuno dopo le calende di agosto
osi dare o accettare quei denari che aveva prima; se
qualcuno lo farà, paghi la nostra ammenda.”
“Per quanto concerne i denari, vi sia noto senza
possibilità di dubbio il nostro editto: in ogni luogo,
città e mercato abbiano ugualmente corso questi
nostri denari e siano ricevuti da tutti.”
B Dall’ordinanza sulla moneta emanata dal re di Francia
Luigi IX nel 1293:
“ Nessuno potrà fare una moneta che assomigli a
quella del re [il denaro d’argento, 1/12 di soldo], ma anzi
dovrà essere con tutta evidenza assai diversa.
Nessuna moneta sia accettata nel regno a partire dal
giorno di San Giovanni, là dove non ci sono monete
locali, all’ infuori della moneta del re e nessuno
venda, compri o faccia mercato se non con quella
moneta. E la moneta del re può e deve avere corso
per tutto il regno, senza essere ostacolata da
nessuno, abbia o no costui una moneta propria.”
- Confronta i documenti 2A e 2B, assumendoli come
fonti sulla situazione del potere (che si esprime anche
nel potere di conio, cioè di emissione, della moneta):
quali informazioni permettono di ricavare?
21
Doc.3 Una signoria bannale. Francia, metà sec.XII
Doc.4 La nobiltà cittadina, fine del sec.XII
Una carta di consuetudini emanata da una signoria
ecclesiastica (il monastero di Saint-Denis) della regione
del Berry, nella Francia centrale, cui è soggetto il villaggio
di La Chapelle.
Nel documento A l’autore di una Cronaca genovese
riporta un episodio accaduto tra due casate della nobiltà
cittadina di quella città, nel 1194.
Il documento B è la prima parte di un atto notarile che
registra l’accordo in un clan familiare bolognese di nobiltà
inurbata, per la costruzione di una casa-torre.
All’interno delle città, le case-torri dell’aristocrazia feudale
inurbata non erano, evidentemente, soltanto simboli del
prestigio nobiliare, che richiamavano i castelli rurali in cui
gli aristocratici abitualmente vivevano. Non a caso, nei
secoli successivi i comuni imposero di abbassare, o
addirittura di abbattere la maggior parte delle case-torri
urbane; così come le monarchie, secoli dopo, presero a
distruggere i castelli aristocratici nelle campagne.
“Il priore avrà credito nel villaggio per il pane, la
carne e altre merci fino a 14 giorni.
Se un personaggio potente è ospitato dai monaci e
non si trova carne nel villaggio, i sergenti
prenderanno i maiali e i polli; a giudizio di due o tre
uomini, il priore pagherà il prezzo ai proprietari entro
14 giorni.
Ogni volta che vorrà, il priore venderà il suo vino
sotto il bando [il banvin, bando del vino, era uno dei
più diffusi diritti bannali], tranne che nelle fiere.
Nessun abitante del villaggio oserà vendere il suo,
fino a che resterà qualcosa da vendere del vino dei
monaci, a meno che non lo abbia fatto prima del
bando. Se qualcuno osa violare il bando pagherà 60
solfi. I monaci non venderanno il vino sotto bando a
prezzo più caro degli altri.
Nessuno osi aumentare o diminuire la misura del
vino e del grano che il priore ha stabilito. Se lo farà,
pagherà l’ammenda e la misura non conforme andrà
distrutta.
Se qualcuno, residente entro i confini delle quattro
croci, cuoce il suo pane altrove che al forno del
monastero di Saint-Denis, e ciò viene provato,
pagherà il diritto del forno poi l’ammenda. Parimenti,
se verrò provato che qualcuno ha macinato il suo
grano altrove che al mulino del santo, pagherà il
diritto del mulino e l’ammenda.
Si stabilisce che qualsiasi abitante di La Chapelle che
esporrà in vendita il suo vino pagherà ai monaci un
sestario [=circa mezzo litro] per ogni botte (…).
Il priore imporrà nel villaggio, con il consiglio dei
monaci e dei sergenti, una moneta che sia utile a lui
e ai borghesi e che sia accolta in altri villaggi intorno
a La Chapelle.”
Indicatori di analisi: a) il sistema bannale;
b) il funzionamento dell’ economia influenzata da questo
sistema sociale; c) il rapporto tra potere centrale e
contropoteri, nei primi secoli dopo il Mille.
---------------------------------------------------------------------Sui prossimi documenti, la consegna è:
1. cercare di individuare autonomamente la/le domanda/e,
cioè le prospettive d’indagine (indicatori di analisi), cui i
documenti possono dare le risposte (cioè le informazioni)
più interessanti;
2. raccogliere tali informazioni.
A. “ I Volta e quelli della loro parte costruirono
un’arma nuova e potente. Rivolsero la spingarda di
legno contro la torre di Oberto Grimaldi e contro la
nuova torre di Obero Spinola. Con questa, in vista di
tutti, riuscirono a fare un buco nella nuova torre di
Bulbunoso, che sta al crocevia di San Siro. In tal
modo distrussero gran parte della torre e la fecero
crollare. Poi gli uomini della corte vennero a mettere
in posizione una macchina nell’orto di San Siro, con
la quale scagliarono molte pietre contro le case e le
torri di Oberto Grimaldi e della famiglia Spinola. In
seguito eressero altre macchine e anche l’altra parte
costruì molte macchine e gettò molte pietre sulle
case e le torri di quelli della corte. ”
B “ In nome di Dio, anno 1196, 12 aprile. Noi che
giuriamo questo breve scritto giuriamo in buona fede
e senza frode di aiutarci vicendevolmente con la torre
e con la casa comune, e di non fare niente che sia
contrario l’uno all’altro. E se a qualcuno di quelli che
giurano sarà necessario l’uso di questa torre per un
suo interesse, gli altri siano tenuti a dargliela con la
casa e aiutarlo per mezzo di essa e non fare niente
che gli sia di danno (…). ”
---------------------------------------------------------------------Doc. 5 Lo statuto De Tallagio non concedendo
emanato dal re Edoardo I di Inghiterra nel 1293
(cioè sui limiti della tassazione e di altre imposizioni)
“ I. Nessuna taglia [=imposta diretta, sulle persone, ndr.] o
contributo sarà imposta o prelevata da noi e dai
nostri successori, nel nostro regno, senza la volontà
e il comune assenso degli arcivescovi, vescovi e altri
prelati, conti, baroni, uomini d’arme, borghesi e altri
uomini liberi del regno.
II. Nessun ufficiale sia nostro sia dei nostri eredi
potrà confiscare grano, lane, cuoio e altri oggetti da
22
chiunque, senza la volontà ed il consenso di colui al
quale questi oggetti appartengono.
III. Nulla sarà prelevato sui sacchi di lana a titolo di
angaria [=imposizione] o a qualsiasi altro titolo.
IV. Vogliamo inoltre, e accordiamo per noi e per i
nostri successori, che tutti i chierici e i laici del nostro
regno godano di tutte le loro leggi, libertà, libere
consuetudini, così pienamente e interamente come
hanno fatto quando questo godimento è stato il più
pieno e il più intero. E se noi e i nostri successori
avremo a fare statuti e a introdurre usi contrari a
queste libertà, o a qualche articolo del presente
statuto, noi vogliamo e decidiamo che tali statuti e usi
siano nulli e senza effetto per l’avvenire.”
---------------------------------------------------------------------Doc. 6 Gli Stati generali in Francia. Metà sec.XIV
Siamo in un momento drammatico della storia della
Francia, nel periodo peggiore della guerra dei Cent’anni.
Dieci anni dopo la disastrosa sconfitta di Crecy contro gli
arcieri inglesi, nel settembre del 1356, a Poitiers, il re
francese Giovanni II il Buono subisce un’altra rovinosa
sconfitta e viene addirittura fatto prigioniero. Pochi mesi
dopo l’erede al trono, duca di Normandia, riunisce a
Parigi gli Stati generali per ottenere i mezzi per proseguire
la guerra (e per pagare il riscatto, richiesto in questi casi).
Etienne Marcel, qui citato come rappresentante del Terzo
Stato, sarà poi colui che guiderà la protesta di un paese
sconvolto dalla peste e dalla guerra.
“ Il 3 marzo 1357 si riunirono gli Stati generali, alla
presenza di monsignore il duca di Normandia [è il
futuro re Carlo V di Francia, erede del re Giovanni e reggente
durante la prigionia di questi] e dei suoi fratelli, conte
d’Angiò e conte di Poitiers. Robert le Coq, vescovo
di Laon, predicò e disse che il re e il regno erano stati
in passato mal governati. Molte sventure ne erano
risultate, per il regno e per i sudditi, sia come
mutazioni monetarie sia come requisizioni. Si era poi
male amministrato i denari che il re aveva ricevuto
dal popolo, una gran parte dei quali era stata data, e
molte volte, a chi aveva mal servito. Il detto vescovo
chiese poi che tutti i grandi funzionari del regno di
Francia fossero sospesi e che dei riformatori fossero
indicati dai tre stati. Il detto vescovo chiese anche
che una buona moneta avesse corso, secondo
quanto avessero disposto i tre stati. Un cavaliere,
Jean de Pecquigny, approvò a nome dei nobili; il
vescovo approvò; un avvocato di Abbeville, Colart le
Caucheteur, approvò a nome delle città; e così fece
Etienne Marcel, prevosto dei mercanti di Parigi. Ed
essi offrirono al duca, a nome dei tre stati, 30.000
uomini d’arme, che avrebbero pagato personalmente
o attraverso dei delegati. E per far fronte alle spese a
ciò connesse, avrebbero ordinato dei sussidi: gli
uomini di Chiesa avrebbero pagato un decimo e
mezzo delle loro rendite, cioè per ogni 100 lire di
proprietà terriera, 15 lire; i nobili, anch’essi un decimo
e mezzo. Gli abitanti delle città (dei castelli e dei
contadi) avrebbero pagato un uomo d’arme ogni 100
fuochi, cioè mezzo scudo al giorno. Il duca di
Normandia acconsentì a tutte le loro richieste.”
---------------------------------------------------------------------Doc. 7 La grande jacquerie del 1358
Nello stesso contesto storico del doc. 6, nella Francia del
nord esplode a fine maggio del 1358 una grande rivolta
contadina; ma dopo meno di due settimane, i nobili armati
la reprimono massacrando a migliaia i contadini.
Il seguente resoconto è tratto dalla cronaca di un monaco
di Parigi della stessa epoca.
“ In quel tempo i nobili deridevano i contadini e gli
umili, chiamandoli con il nome Jacques Bonhomme.
E’ con questo nome che i lavoratori della terra furono
poi sempre chiamati, sia in Francia sia in Inghilterra.
Ma, oh, dolore!, molti di quelli che allora li schernivano ne furono poi vittime. E infatti molti morirono più
tardi miserevolmente per mano dei contadini, mentre
un gran numero di contadini furono massacrati dai
nobili e videro come rappresaglia i loro villaggi dati
alle fiamme.(…) Le cose andarono nello stesso modo
nei dintorni di Parigi. Nessun nobile osava mostrarsi
fuori dalle proprie fortezze, perché se i contadini
l’avessero visto o fosse caduto nelle loro mani,
l’avrebbero massacrato o quanto meno l’avrebbero
lasciato molto malridotto. I contadini crebbero tanto in
forza che li si sarebbe potuti stimare a più di
cinquemila, alla ricerca di nobili e ansiosi di
sopprimerli con le loro mogli e figli. Ma questa
impresa mostruosa non durò a lungo: essa cessò da
sé e non fu Dio a mettervi fine (…). Quelli che in
principio si erano lanciati in questa azione per amore
di giustizia e perchè i loro signori, invece di difenderli,
li opprimevano, si abbandonarono ad atti vili e
abominevoli; a quanto si dice, essi si diedero a
violenze contro le nobildonne, massacrarono bambini
innocenti, rubarono le ricchezze e si vestirono con
troppa cura. Questa azioni malvagie non potevano
durare a lungo: non era decente. I cavalieri e i nobili
si rimisero in forza e desiderando di vendicarsi e
percorrendo le campagne, misero a fuoco i campi;
sgozzarono miserabilmente i contadini, sia i traditori
sia gli altri, scovandoli i casa o occupati a lavorare
nelle vigne o nei campi.”
23
Doc. 8 L’evoluzione del sistema fiscale inglese
I seguenti brani sono tratti da atti del parlamento inglese
in tempi diversi, ma sullo stesso tema: come finanziare la
guerra dei Cent’anni: all’inizio, erano bastati i saccheggi in
suolo francese, e l’enorme riscatto imposto per liberare re
Giovanni (v.intr.doc.5) ma ciò non basta più. Nel 1377 si
delibera un’imposta straordinaria (cioè eccezionale, una
tantum); ma il protrarsi della guerra ripropone il problema..
A. 1377. “I prelati, i nobili signori e i comuni riuniti in
questo Parlamento hanno, con il loro comune
assenso e con liberale volontà, accordato al nostro
signore il re, perché possa finanziare le sue guerre, 4
denari [1 lira sterlina=240 denari] da riscuotere dai beni di
ciascuna persona del regno, maschio o femmina, di
età superiore ai 14 anni, con la sola eccezione dei
mendicanti autentici e senza frode.”
[1380 sintesi: viene riportato un lungo dibattito su come
rinnovare la concessione al re, ma in modo meno iniquo
dell’anno prima (i 4 denari uguali per ricchi e poveri):
qualcuno propone una tassa indiretta sulle merci
comprate e vendute (una… specie di Iva), ma viene
scartata poiché non è stata mai provata, e quindi non si sa
quanto frutterebbe. Si decide una tassa personale (la
poll-tax), in media di 12 denari, cioè 1 scellino (che
corrisponde a 3 giornate di salario di un bracciante
agricolo), ma ripartita nelle comunità locali in proporzione
alla ricchezza, da un massimo di 20 scellini a un minimo di
0,33 scellini.]
B. 1381 “I prelati, signori e comuni pensano che, a
causa della continua esistenza del sussidio nelle
mani del re, senza interruzione di tempo, si potrebbe
con leggerezza reclamare per il re e in suo nome di
avere questi sussidi come di diritto e di consuetudine,
mentre il re non ha alcun diritto al di fuori di quello
derivante dalla concessione del parlamento: la qual
cosa, nel corso del tempo, potrebbe arrivare allo
spossessamento della comunità d’Inghilterra e alla
loro imposizione continua, per sempre, che Dio non
voglia. Dunque, per evitare questo danno, i prelati,
signori e comuni concedono al nostro signore il re, a
nome proprio e dell’Inghilterra, gli stessi sussidi in
lane, pelli e cuoio che egli riceveva in virtù dell’ultima
concessione (che durava fino al 25 dicembre), a
partire dalla prossima festa della Circoncisione di
Nostro Signore, in modo che lo spazio di tempo fra
Natale e la Circoncisione sia del tutto vuoto e vi sia
perciò un’interruzione.”
C. 1415. “ I comuni del regno riuniti in questo
parlamento, considerando che il re nostro signore,
pur non avendo abbastanza risorse – fra redditi
propri e redditi dai sussidi già concessi in precedenza
– con le quali perseguire il suo diritto alla corona di
Francia, ma sperando in Dio di vedersi sostenuto
nella sua giusta pretesa, ha intrapreso un viaggio al
di là del mare, impegnando i suoi gioielli per avere
una scorta di denaro; considerando inoltre che il re
Enrico è risultato vincitore nella battaglia di Azincourt,
per la grande affezione e amore al nostri signor re, i
comuni del regno d’Inghilterra, con l’assenso dei
signori spirituali e temporali riuniti al parlamento
tenuto a Westminster il lunedì successivo a
Ognissanti, nel terzo anno del regno, concedono al
nostro sovrane e signor re, per la difesa del regno, il
sussidio della lana, cuoio e pelle da essere levato sui
mercanti del regno [… seguono le cifre e i criteri: si è passati
a una tassa sulle compravendite, come l’Iva oggi] da
prendere e ricevere a partire dalla festa di San
Michele prossimo venturo, per tutta la vita del nostro
sovrano signor re, affinché ne disponga secondo la
sua graziosa volontà e discrezione per la suddetta
difesa. Che questa concessione non sia presa ad
esempio dai re d’Inghilterra dei tempi futuri.”
---------------------------------------------------------------------Doc. 9 Lettere sulle regole della guerra
Nel 1372 tra Modena e Reggio si fronteggiano sul fiume
Secchia l’esercito di Barnabò Visconti, signore di Milano
che si è impadronito di Reggio e minaccia Modena, e
l’esercito del marchese d’Este, che ha l’appoggio delle
truppe del papa. Riproduciamo stralci delle lettere di sfida
che vengono scambiate, dal 20 aprile (in traduzione: gli
originali sono scritti in latino). Si noti: il primo condottiero
dell’esercito di Milano è John Hackwood, (col nome
italianizzato: Giovanni Acuto), uno dei primi e dei più
famosi condottieri di ventura del Trecento.
A. “Alle nobili e illustri persone, capitani, marescialli,
e in genere tutto l’esercito del magnifico ed eccelso
signore, il marchese d’Este ora accampati di fronte al
forte di Cesio, noi – capitani, marescialli, consiglieri e
in genere tutto l’esercito del magnifico ed eccelso
signore Bernabò Visconti, vicario generale imperiale
di Milano ecc. – facciano sapere che, sperando e
desiderando agire per l’onore del nostro detto signore
vi facciamo portare, a voi suddette nobili persone,
questo guanto, in segno di guerra, affinché ci diciate
in che modo volete procedere e quale campo di
battaglia ci proponete, in nome della vostra armata.
Fateci avere una risposta e sappiate che
attenderemo per tutto il giorno corrente. Vi diamo
inoltre la più ampia scelta del campo di battaglia, al di
qua o al di là del fiume Secchia. La presente lettera è
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sigillata con i sigilli del signor Giovanni Acuto (John
Hackwood), capitano ecc., del signor conte Konrad
von Rostenteyn, di Guglielmo e del signore di Rieten,
con l’accordo e la volontà di tutta la suddetta armata.
Dato nel campo sul Secchia il 20 aprile 1372.”
B.(risposta) “Alle illustri, valorose e nobili persone (…),
noi capitani (…) dell’armata del magnifico e illustre
signore marchese d’Este, di Ferrara ecc, e vicario
imperiale di Modena. Ci avete inviato con il vostro
trombettiere, in segno di guerra, un guanto
insanguinato che abbiamo ricevuto con volto lieto e
animo gioioso, insieme alla vostra lettera. Ad essa
noi rispondiamo, con la presente, che da parecchi
giorni siamo accampati presso il forte di Cesio,
aspettando che il vostro nobile valore venga a
guerreggiare con noi senza fallo. E’ per questo che
voi potete venire ad ingaggiare battaglia in questo
campo aperto, a vostro piacere: fino a che ci tratterremo qui, ci troverete disposti e pronti con animo
gioioso ad ingaggiare battaglia con voi. Ci sono qui,
intorno a noi, campi che si estendono da ogni parte,
nei quali possiamo farci battaglia a morte, e per
questo non è necessario cercare un campo di battaglia, visto che potete trovarne uno già pronto, nel
quale vi aspettiamo, pregando la vostra nobiltà di non
allontanarvi in niente da ciò che è detto nella presente lettera (…seguono firme… e data: 20 aprile 1372)”
In realtà la battaglia ha luogo solo il 2 giugno, con la
sconfitta degli Estensi. Ma le fortificazioni di Modena
resistono agli assalti, e dopo un mese e mezzo, a metà
luglio, i due eserciti si ritrovano di fronte, nella stessa
località della battaglia del 2 giugno. Si ricomincia…
C. “Alle valorose, illustri e bellicose persone, capitani
e marescialli e consiglieri dell’armata del magnifico
ed eccelso signor Bernabò Visconti, vicario imperiale
di Milano ecc. Siamo assai sorpresi noi, capitani (…)
dell’illustre e magnifico signor marchese d’Este, che
il vostro ardore non abbia acconsentito, alla bianca
aurora odierna, a farvi recare in ordine di battaglia
alla piana di Marzaglia, che ora ci separa, mentre noi
avevamo ferma intenzione di andarci. Noi, ben decisi
a che questa battaglia si combatta rapidamente,
senza più tergiversare, vi mandiamo assieme a
questa lettera sei uomini nobili e valorosi, incaricati di
scegliere a nostro nome il terreno su cui
combatteremo, con animo gioioso, coi voi. (…)
Esortiamo la vostra nobiltà e il vostro ardore a evitare
ogni ritardo o rinvio in questa impresa bellica.
Dato nel campo sul fiume Secchia, il 17 luglio 1372.”
Doc. 10 L’elezione imperiale di Carlo V
Nel 1519, quando muore l’imperatore Massimiliano
d’Asburgo, il giovane nipote Carlo di Gand scrive ai sette
principi elettori, per rivendicare il suo titolo alla
successione. Sia in Spagna, ove da poco è re, sia in
Germania, egli è considerato straniero per la sua
provenienza fiamminga. E’ soprattutto la famiglia dei
potentissimi banchieri Fugger, di Anversa (vedi cartina,
p.180) a finanziare le ingenti spese con cui Carlo “compra”
l’appoggio dei grandi elettori, battendo la concorrenza di
Francesco I di Francia, appoggiato dal papa. Tali spese,
che ammontano all’enorme cifra di 853.700 fiorini d’oro,
vengono tutte coperte con prestiti di banchieri fiamminghi,
fiorentini e genovesi: circa il 70%, cioè 543.583 fiorini,
provengono dai Fugger, che nel 1523 inviano a Carlo
questa lettera di sollecito alla restituzione.
“ La Vostra Maestà Imperiale sa, senza dubbio
alcuno, quanto i miei cugini e io siamo sempre stati
fin qui sottomessi al servizio della prosperità e
dell’innalzamento della Casa d’Austria, e come siamo
stati condotti, per compiacere Sua Maestà vostro
nonno, l’imperatore Massimiliano, a procurare a
Vostra Maestà la corona romana, e a impegnarci nei
confronti dei principi che non volevano accordare
fiducia e credito a nessun altro che a me; come,
ancora, noi abbiamo anticipato ai commissari di
Vostra Maestà e per lo stesso scopo una importante
somma di denaro, che noi stessi abbiamo dovuto in
gran parte prendere in prestito dai nostri amici. E’
poi notorio e verificato che, senza il mio aiuto, Vostra
Maestà Imperiale non avrebbe mai potuto ottenere la
corona romana, cosa che posso provare con scritti di
mano dei commissari di Vostra Maestà. Non ho avuto
in vista il mio interesse personale, perché, se avessi
voluto abbandonare la Casa d’Austria e favorire la
Francia, avrei ottenuto molto denaro e beni, come mi
era stato proposto. Quale danno ciò avrebbe
provocato per Vostra Maestà Imperiale e per la Casa
d’Austria, il profondo giudizio di Vostra Maestà vi
permetterà di valutare ”. (Jacob Fugger, aprile 1523)
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Doc. 11 Le rivolte rurali nella Francia del sec.XVII
Con il nome di croquants, i contadini ribelli della Francia
sudoccidentale sono protagonisti di circa 500 episodi di
rivolte armate tra gli anni ’30 e ’40 del Seicento, quasi
sempre contro il crescente carico fiscale. La rivolta della
regione del Perigord è la più ampia per coinvolgimento e
durata: dal 1637 al 1641. Riportiamo una parte di una
anonima relazione di un borghese del luogo, del 1637.
“ Dopo avere adottato la loro risoluzione di protesta,
gli abitanti dei comuni si radunarono sui prati attorno
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alla città di Periguex; dapprima demolirono una casa
campestre del signor Saleton, ricevitore delle taglie
[le imposte personali], e qualche altra casa. Questa
assemblea poteva essere di 4 o 5.000 uomini. (…)
Questa assemblea inviò suoi rappresentanti in tutto il
Perigord e fissò un nuovo appuntamento per tutti
nelle lande tra le città di Periguex e Bergerac. In
questa nuova assemblea, il 7 o l’8 maggio, si
ritrovarono fra 20 e 25.000 uomini, fra i quali il loro
generale scelse gli 8-9.000 più robusti che poté
trovare, distribuendo loro tutte le buone armi che
questa grande folla aveva per armare quelli che
venivano da lui scelti. Questo generale è il signore di
La Mothe La Forest, che ha sposato una figlia del
marchese La Douze.(…) Il giorno dopo, egli si
impadronì della città di Bergerac, facendola poi
circondare di barricate e lasciandovi 20 compagnie.(…) La causa principale di queste emozioni sta
nel fatto che queste popolazioni sollevate parlano dei
denari straordinari che sono stati levati oltre le taglie
e il taglione, per un ammontare di 150.000 scudi,
imposti per il soldo dell’ armata di Bayonne [cioè per
pagarla: siamo durante la guerra dei Trent’anni, nella quale la
Francia di Richelieu si prepara a intervenire], nonché
dell’imposta in grani stabilita per nutrire la detta
armata; ed è stata poi fatta una terza imposta, detta
“le razioni”, senza che per nessuna delle tre vi sia
alcuna commissione del Re. (…) Noi non sappiamo
cosa succederà, ma in ogni caso non può succedere
che qualcosa di male a tutta la provincia, e noi che ci
troviamo qui abbiamo enormi difficoltà a mantenere il
popolo in obbedienza.
Speriamo che Vostra Maestà vorrà provvedere, sulla
base dei rapporti che gli sono stati fatti, perché noi
crediamo che i rimedi qui presi siano un po’ deboli
per far fronte a un male così grande. Questo è
insomma il vero resoconto di quel che accade da
queste parti(…). Oltre a tutte le imposte straordinarie,
gli alloggiamenti opprimono gli abitanti della regione
a tal punto che essi sono alla disperazione ”.
Doc. 12 Il mercantilismo nelle lettere di Colbert
Vediamo qui due esempi concreti della politica economica
praticata dal ministro delle Finanze di Luigi XIV, Colbert,
all’insegna del mercantilismo (vedi nota, pp.21-22).
A. Lettera al Sig. Bellinzani, ispettore generale delle
manifatture. 6 novembre 1670
“ Vi invio questa lettera ad Abbeville. Non mancate
di esaminare, quando vi sarete, tutti i mezzi per
perfezionare la manifattura di drappi che vi si è
stabilita e per fare in modo che vi si facciano drappi
grigio-misti altrettanto belli e buoni che in Olanda e in
Inghilterra. Troverete a Beauvais il signor Hirnard
(direttore delle tappezzerie reali di quella città)
sempre affamato di nuove grazie. Dovrete esaminare
a fondo la condotta di quella manifattura: tutto fa
credere che essa verrà meno, perché Hinard ha
sempre voluto e ancora vuole vendere le sue
tappezzerie troppo care. Vi ho spedito un decreto per
impedire l’uscita delle specie d’oro e d’argento.”
B. Al Sig. De Breteuil, intendente ad Amiens. 23.12.1682
“ Vengo a sapere, dalla vostra del 22, degli incontri
che avete avuto con il signor Van Robais. Poiché la
sua manifattura sta riuscendo molto bene, non resta
che obbligarlo a fare dei drappi della stessa finezza
di quelli d’Inghilterra e della stessa larghezza. E’ su
questo che vi prego di intervenire (…). Se questa
fabbrica cresce in numero di telai e di operai, darò di
tanto in tanto qualche gratifica al signor Van Robais
per obbligarlo a farle aumentare continuamente, vista
la grande utilità per lo Stato di queste manifatture.
(…) Se vi fosse anche possibile, per mezzo di uno
dei suoi figli, di fare uno stabilimento della stessa
manifattura ad Amiens, o in qualche altra città della
vostra intendenza, ciò sarebbe di grande vantaggio
per i popoli. Soprattutto vi prego di osservare che
non bisogna che egli fabbrichi drappi simili a quelli
delle altre manifatture del regno; occorre obbligarlo a
fabbricarne, almeno per la maggior parte, solo di
simili, in finezza e in larghezza, ai drappi d’Inghilterra
e d’Olanda. E’ a questo che vi prego di prestare la
massima cura.”
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