2^modulo. LA NASCITA E L’EVOLUZIONE DELLO S T A T O MODERNO 0. Alcune domande, a partire dal presente Che cos’è lo stato? Lo stato e la nazione sono la stessa cosa? Quando è nato lo stato, e dove? Partiamo dalle prime due domande: oggi le parole ‘stato’ e ‘nazione’ vengono spesso usate come sinonimi, nel linguaggio comune, ma anche in quello ufficiale: l’organizzazione internazionale di tutti gli stati del mondo si chiama ONU, cioè Organizzazione delle Nazioni Unite. Eppure, se cerchiamo le definizioni di queste due parole, troviamo significati molto diversi: STATO: organizzazione politico-giuridica di un popolo su un territorio, che detiene il monopolio del potere coattivo legittimo (cioè della forza legittima). Sul piano giuridico, cioè, lo stato è un soggetto di diritto internazionale costituito da tre elementi: territorio, popolo, sovranità (o governo). NAZIONE (dal latino nasci = nascere): "insieme di genti legate da comunanza di tradizioni storiche, di lingua, di costumi, e aventi coscienza di tali vincoli comuni " (cfr.dizionario Garzanti). Come mai due parole di significato così diverso possono essere usate come sinonimi? Ciò si deve al fatto che, ai nostri giorni, la forma largamente prevalente di stato è quella dello stato nazionale, che si è diffuso in tutto il mondo: infatti, tutta la superficie terrestre (a parte l’Antartide) è politicamente suddivisa in stati, che sono circa 200. Ma questo è accaduto solo nel Novecento, e soprattutto nella sua seconda metà. Infatti, quando venne fondata l’Onu, nel 1945, gli stati ad essa aderenti erano circa 50, e di questi solo 11 erano asiatici o africani. E mezzo secolo prima, all’inizio del Novecento, lo stato era un’entità quasi esclusivamente europea: in tutto il mondo esistevano circa 40 stati, 22 dei quali erano europei, e quasi tutti gli altri erano le ex colonie europee delle due Americhe, diventate indipendenti tra fine del Settecento (gli Stati Uniti) e l’Ottocento (gli stati latino-americani). Pertanto, lo stato nella forma che conosciamo, di stato nazionale, è nato in Europa. Possiamo anticipare che in questa forma emerse pienamente solo nel XIX secolo, l’Ottocento, quando in Europa si diffuse il “principio di nazionalità”, secondo cui lo stato doveva coincidere con una nazione, ossia con un popolo omogeneo per lingua, storia, tradizioni, e consapevole di questa sua omogeneità (una “comunità di destino”, come la definì Renan, un intellettuale francese del tempo). Di conseguenza, prima dell’Ottocento non si dovrebbe, propriamente parlando, usare il termine ‘stato nazionale’, bensì quello di ‘stato moderno’, che nacque in Europa attraverso un processo di lungo periodo, durato molti secoli. In questo modulo indagheremo (fino all’inizio del Settecento) questo processo plurisecolare di formazione dello stato moderno, dalle sue origini. Ma quando ebbe origine? E poiché il processo di nascita ed evoluzione dello stato moderno ebbe luogo in Europa, dobbiamo porci altre domande: che cos’è l’Europa? da quando esiste l’Europa? 1^parte. Cinque secoli di ‘gestazione’ dello stato moderno, e un modello di analisi 1. 0 Un passo indietro: dall’antichità al Mille Sappiamo che gli stati esistevano già nell’antichità: regni, città-stato (come le poleis greche), grandi imperi. Nella storia, si può cominciare a parlare di stato quando, e solo nei casi in cui, il potere su un popolo in un territorio è gestito in modo impersonale, indiretto, attraverso la mediazione di strutture più o meno complesse, cioè con apparati di funzionari e secondo regole, leggi, istituzioni. Non si può parlare di stato, invece, per villaggi, tribù, o altri tipi di gruppi umani nei quali c’era un rapporto personale, diretto, immediato tra chi deteneva il potere (anziani, capi della tribù o del clan, ecc) e i membri del gruppo. Dall’inizio alla metà del I millennio, lo stato dominante in Occidente fu l’impero romano, che aveva come suo baricentro il Mar Mediterraneo, e comprendeva solo una parte dell’Europa (qui intesa solo come espressione geografica). La restante parte dell’Europa, settentrionale e orientale, era occupata da popoli di lingue germaniche, non organizzati in forma di stato. Dopo le cosiddette “invasioni barbariche”, ovvero le migrazioni di popoli germanici, che provocarono uno profondo rimescolamento culturale tra latini e germanici, la definitiva rottura dell’unità del Mediterraneo antico avvenne con la creazione dell’Islam dal VII secolo. Emersero allora tre grandi aree di civiltà: quella islamica, quella bizantina, quello latino-germanica. Quest’ultima, la più arretrata delle tre, nel IX secolo venne unificata dai Franchi con Carlo Magno, ma il suo impero (Sacro Romano Impero) si dissolse dopo la sua morte. Nel X secolo, le invasioni e le scorrerie di Normanni, Saraceni e Ungari sconvolsero quell’area: non vi erano più poteri centrali, ma solo poteri locali. In quel territorio che oggi chiamiamo Europa, non esistevano perciò forme di potere stabile che meritino il nome di stato: lo stato cessò di esistere. Per il periodo dal Mille in poi, lasciamo ora la parola allo storico C.Tilly”: 1 1. 1 Mille anni fa, quando non esisteva lo stato … e neppure l’Europa “Mille anni fa l’Europa non esisteva. Nei sec.X e XI, i circa 30 milioni di uomini che vivevano nella parte occidentale dell’Eurasia non avevano alcuna valida ragione per pensare a se stessi come a una singola entità legata dalla storia e dal destino comune. E, di fatto, non lo fecero” Lo storico Tilly prosegue descrivendo i tipi di poteri presenti allora: a sud-est l’impero bizantino, e a nord-est debolissimi e instabili regni; la parte mediterranea, cioè la Spagna e la Sicilia, facevano parte dell’Islam; in mezzo, tra l’Italia centrale e il Mare del Nord (attuali Olanda, Belgio e valle del Reno), c’era un fitta rete di città, residuo della colonizzazione romana, che si autogovernavano; a nord, la Scandinavia e l’Inghilterra, semispopolate, che appartenevano a un regno danese. La Germania e l’Italia erano, in teoria, sotto l’autorità del Sacro Romano Impero Germanico, che pretendeva di ergersi a erede di Carlomagno. La Francia occidentale [quella orientale apparteneva all’impero] era divisa in una decina di signorie regionali: uno di questi signori, il conte di Parigi Ugo Capeto, aveva il titolo di re (non ancora di Francia, bensì dei Franchi), ma la sua sovranità effettiva di esercitava di fatto solo su una piccola regione tra Parigi e Orleans. “Ma nessuno di questi nomi di imperi, regni o principati può mascherare la grande frantumazione del potere, cioè della sovranità, che allora dominava lo spazio che sarebbe, nei secoli successivi, diventata la moderna Europa. Gli imperatori, i re, i principi, i duchi, i califfi e gli altri sovrani esercitavano il potere, attorno al Mille, come conquistatori –che riscuotevano tributi e rendite– e non come sovrani di stati in grado di garantire un governo continuo ed efficace nei loro territori. Anzi, all’interno dei loro territori, erano spesso contrastati da grandi vassalli che avrebbero dovuto loro obbedienza. Ovunque proliferavano eserciti privati, e in nessuna parte del continente esisteva qualcosa che possa avvicinarsi a un moderno stato centralizzato”. Tilly sottolinea poi che: “All’interno di questi stati effimeri e dai confini del tutto incerti, inoltre, la sovranità era ancora più frantumata in quanto centinaia di signori locali, vescovadi, città-stato, esercitavano un dominio schiacciante sui territori loro sottoposti. Nell’anno Mille, ad esempio, il papa, l’imperatore di Bisanzio e quello del Sacro Romano Impero pretendevano di detenere il potere in gran parte della penisola italiana, ma in realtà quasi ogni città di un certa importanza agiva come soggetto politico indipendente; e nel Duecento, solo nella penisola italiana, o meglio nella sua parte settentrionale e centrale, c’erano duecento o trecento città-stato indipendenti. E là dove le città erano numerose [cioè nell’Italia centro-settentrionale, nelle Fiandre, nella Germania renana e sul Mar Baltico], la sovranità tendeva maggiormente a frantumarsi, a vantaggio appunto delle città.” Per avere un termine di confronto: a quel tempo, all’estremità opposta dell’Eurasia, la Cina, grande più o meno quanto l’Europa, aveva una fiorente agricoltura e un grande sviluppo urbano, industriale e commerciale, e contava circa 100 milioni di abitanti, tutti sudditi di un unico impero, che governava con una rete capillare di funzionari imperiali. Paragonata alla Cina, l’area europea era quasi spopolata (30 milioni di abitanti), urbanizzata solo nelle regioni dell’Italia e delle Fiandre, con un’economia agraria molto arretrata, spesso di tipo silvo-pastorale; e, come abbiamo appena letto, era estremamente frantumata politicamente: non solo per il grande numero di regni, principati, contee, ecc., ma perché tutti questi erano a loro volta deboli e spezzettati al loro interno, e i poteri effettivi erano solo quelli locali, a volte debolissimi [v. docc.1 e 3, appendice] 2 Un modello di analisi sulla formazione e sull’evoluzione dello stato moderno Dallo stesso Tilly è possibile ricavare anche un modello di analisi sulla formazione e sull’evoluzione dello stato, che ci sarà molto utile: infatti è applicabile sul lunghissimo periodo, dal Mille (quando, come si è visto, di stato non si può ancora parlare) fino… al presente (anche se noi ci fermeremo all’inizio del Settecento). Come ogni modello, è una rappresentazione semplificata, una ‘mappa’ che aiuta a vedere gli aspetti essenziali del ‘territorio’ cui si riferisce, per meglio orientarsi. Lo STATO MODERNO come spazio il cui centro tende a: 1) eliminare i contropoteri, ovvero le prerogative che a vario titolo potevano essere rivendicate da soggetti diversi, sia interni allo spazio statale (i grandi signori feudali, i “magnati”, le “città libere”, i diversi ceti e “ordini”), sia esterni a tale spazio (il papa, l’imperatore); 2) drenare risorse dalla periferia, cioè acquisire i mezzi finanziari per aumentare la propria capacità di spesa, sia ricorrendo a prestiti (il debito pubblico) sia creando, e poi ampliando sempre più, un sistema di tassazione permanente; 3) detenere il monopolio della violenza (o forza) legittima, sia verso l'esterno che verso l'interno: cioè disarmare i sudditi, eliminare gli eserciti privati, diventare l’unico soggetto in grado di mobilitare eserciti (=la violenza rivolta verso l’esterno), e in seguito di organizzare corpi di polizia (= la violenza legittima all’interno dello spazio territoriale su cui lo stato esercita la sua sovranità). 2 STATO MODERNO Il CENTRO tende a: eliminare i CONTROPOTERI interni ed esterni drenare RISORSE dalla periferia detenere il MONOPOLIO della VIOLENZA LEGITTIMA Il modello spiega dunque la nascita e l’evoluzione dello stato sulla base di una triplice centralizzazione: del potere, delle risorse finanziarie, dell’uso della violenza legittima. 3. Il rapporto strettissimo fra stato e guerra. L’evoluzione della guerra Per capire meglio questa triplice centralizzazione, però, è importante sapere che essa si legò strettamente alla conduzione della guerra, e alle sue modificazioni nel corso dei secoli. Infatti, come molti storici sottolineano, c’è un rapporto strettissimo tra: a) la nascita, proprio in Europa, dello stato moderno; b) il fatto che l’Europa fu, dalle sue origini attorno al Mille fino…al 1945 (fine della 2^guerra mondiale), l’area di gran lunga più bellicosa del mondo: in nessun’altra parte del pianeta le guerre furono così numerose e frequenti. Si può dunque affermare che le guerre, e le trasformazioni del modo di combatterle, ebbero un’influenza determinante sulla nascita e sull’evoluzione dello stato europeo, cioè sulla triplice centralizzazione sopra indicata. Pertanto, ci soffermeremo ora sulle trasformazioni della guerra, distinguendo tre fasi: - la prima fase, dai secoli attorno al Mille fino al Duecento; - la seconda, che copre i due secoli successivi (Trecento-Quattrocento); - la terza, dall’inizio del Cinquecento fino al Settecento. 3.1 la prima fase dell’evoluzione della guerra, dall’alto Medioevo al secolo XIII: la guerra feudale Nell’occidente latino-germanico, dai tempi di Carlo Magno fino a tutto il Duecento, la guerra era l’attività unica ed esclusiva di un’aristocrazia di cavalieri corazzati: i loro assalti, irresistibili per qualunque nemico appiedato, erano usualmente rivolti verso altri cavalieri dello stesso tipo. Ecco come ce la descrive George Huppert, lo storico che già conosciamo (Storia sociale dell’Europa nella prima età moderna, 2001, pag.212): “La guerra nel Medioevo non era condotta con spirito affaristico, ma per lo più come uno sport i cui atletici protagonisti erano i cavalieri, guerrieri aristocratici che montavano cavalcature massicce appositamente selezionate e che, protetti dalle armature, si scontravano di solito in “singolar tenzone” con altri cavalieri; anche quando erano contemporaneamente sul campo molti di questi combattenti, si poteva parlare più propriamente di una serie di duelli individuali anziché di un assalto coordinato. Ogni cavaliere, accompagnato da due o tre servitori, andava in battaglia a proprie spese per adempiere a un dovere personale [ndr: verso il sovrano o il signore di cui era vassallo] e nella speranza di conquistare la fama. Non erano lottatori disciplinati e non esisteva una vera a propria catena di comando, e in quanto al nemico si trattava spesso di un parente, o in ogni caso di un altro gentiluomo, al quale non c’era vera ragione di voler male, tanto meno c’era l’intenzione di ucciderlo poiché valeva più da vivo che da morto. Prendere prigionieri era un obiettivo ragionevole, e un guerriero catturato poteva essere condotto al castello dell’avversario e trattato da gradito ospite fino a che non fosse stato offerto un riscatto. In questo gioco complicato non mancava il rapimento a fini di riscatto.” Questa descrizione ci fa capire parecchie cose: a) fino al Duecento la guerra costava poco o nulla al sovrano o al grande signore di cui questi cavalieri erano vassalli, perché il rapporto vassallatico era basato proprio sull’obbligo del servizio in armi a proprie spese: non era dunque necessario “drenare risorse” per finanziare le guerre feudali; b) quel modo di combattere legittimava i privilegi sociali della grande aristocrazia terriera; c) non solo i sovrani e i grandi signori potevano reclutare eserciti feudali, ma anche poche decine di cavalieri (soprattutto i cadetti, cioè i figli non primogeniti, che, privi dell’eredità, erano costretti a cercare altrove fama, gloria e feudi) potevano condurre “guerre private” – e di fatto così facevano – contro altri cavalieri o a spese delle popolazioni rurali e delle carovane dei mercanti, facendo razzie di ogni tipo; d) poiché tutti i cavalieri erano legittimati a portare le armi, è evidente che, per difendersi da questi rissosi “guerrieri a tempo pieno”, anche molti altri soggetti portavano armi, e tra questi in primo luogo i mercanti 3 (spesso vittime di questi atti di violenza, ma capaci anche di organizzarsi in comitive armate o, sui mari, di alternare commercio e pirateria, come usava fin dall’antichità); e) di conseguenza, la violenza organizzata era endemica, diffusa, pressoché continua, senza che si potesse distinguere nettamente i confini tra guerre, razzie, rapimenti a fini di riscatto, banditismo. Non può sorprendere che in quella situazione il potere fosse estremamente frammentato: non solo quello militare, ma anche i poteri di di coniare monete [v.doc.2, vedi appendice), di imporre tasse e tributi [v.doc.5 in appendice], di amministrare la giustizia, di emanare leggi, editti, ordinanze, statuti. In altri termini, rispetto al modello di analisi di Tilly, non si può ancora parlare di stati, oppure si deve parlare di soggetti che aspiravano a diventarlo, quali le monarchie medievali, ma anche le maggiori signorie feudali, le città più potenti, ecc. Questi soggetti, però: 1) dovevano fronteggiare la concorrenza di “contropoteri” molto forti, sia al loro esterno (il papato e l’impero, che rivendicavano una sovranità universale) sia al loro interno (i grandi e piccoli signori feudali, e le città, gelose della propria autonomia); 2) avevano scarsissime risorse finanziarie, poiché non esisteva alcuna forma di tassazione permanente; 3) non avevano affatto il monopolio della violenza legittima, dato che tanti soggetti potevano portare armi e addirittura costituire eserciti privati, anche in concorrenza con quelli dei monarchi . 3.2 La seconda fase, nei secoli XIV-XV: quando la guerra cominciò a diventare un’impresa economica Fra Trecento e Quattrocento il modo di combattere cominciò a cambiare. Ancora da G.Huppert: “La guerra smise di essere un gioco in maniera piuttosto brusco quando i cavalieri dell’aristocrazia cominciarono a contrarsi con le milizie cittadine sui campi di battaglia”. Le milizie cittadine erano composte di fanti, che erano semplici artigiani e mercanti armati di picche (lance lunghe, di 5-6 metri) e di balestre. Le lance lunghe rendevano quelle milizie compatte e disciplinate delle gigantesche “istrici” contro cui si infrangevano le cariche della cavalleria feudale, fino ad allora dominatrice incontrastanta sui campi di battaglia. Come armi offensive le balestre segnarono, ben prima dell’introduzione delle armi da fuoco, il tramonto della cavalleria feudale. Già gli archi lunghi avevano consentito alla fanteria inglese di infliggere tremende sconfitte alla cavalleria feudale francese durante la guerra dei Cent’anni, a Crecy e ad Azincourt. Ma a differenza dell’arco, che richiede anni di addestramento per essere usato con efficacia, la balestra era complessa da costruire ma molto facile da usare, e ancora più potente dell’arco: consentiva anche a fanti con poca esperienza di sfondare le armature metalliche dei cavalieri a 300 metri. “Questi cittadini in armi erano abituati ad agire collettivamente, non cercavano duelli né gloria, non erano interessati a fare prigionieri, avanzavano in massa con il solo intento di annientare il nemico. Il profilo di questa forza combattente si delineò sempre più nettamente nel corso del XIV e del XV secolo. La guerra non poteva più essere affrontata con lo spirito di un’avventura aristocratica; l’addestramento, il coraggio e la fiducia nella propria superiorità militare non servivano molto quando di fronte si avevano immense schiere di soldati pronti a sgozzare un duca con la stessa facilità con cui avrebbero macellato un maiale. Le città imponevano così i loro valori anche sul campo di battaglia: per i loro cittadini, la guerra non era un gioco ma un lavoro che comportava un calcolo dei profitti e delle perdite, dell’efficienza e dell’investimento. Ben presto, però, le città preferirono sempre più spesso assoldare militari di professione anziché mettere a repentaglio la vita dei propri abitanti. (…) Così nacque il business della guerra.” Ciò accadde dopo la metà del Trecento, e furono le più evolute città italiane a sperimentare per prime l’ingaggio di eserciti mercenari, le cosiddette compagnie di ventura, agli ordini di comandanti che negoziavano veri e propri contratti, detti condotte (da cui il termine ‘condottiero’), con i governi delle città, comuni o signorie: contratti per periodi limitati, poi contratti prolungati, anche a vita. Lo storico W. H. McNeil (1984) osserva che “era stata Venezia, all’inizio del Quattrocento, a dare l’avvio alla regolarizzazione di questo tipo di condotte militari a lungo termine”, e sottolinea che il primato veneziano tra gli stati europei durò per tutto il ‘400. Perché proprio Venezia? Perché la Repubblica Serenissima era allora lo stato più evoluto d’Europa: aveva costruito un impero marittimo che controllava il commercio dei beni di lusso tra l’Oriente e l’Europa, e dall’inizio del Quattrocento la sua espansione territoriale si era orientata anche nell’entroterra veneto, fino alla Lombardia orientale; era lo stato che riusciva ad avere i più alti livelli di entrate fiscali; che “inventò” la diplomazia internazionale, istituendo una rete di diplomatici di professione; ed era lo stato più avanzato nello sperimentare le nuove forme di conduzione della guerra. Sull’esempio di Venezia si mossero le altre grandi città-stato italiane del tempo: Milano, Genova, Firenze. Possiamo dunque riassumere: a) fra il Trecento e il Quattrocento la guerra della cavalleria feudale fu gradualmente rimpiazzata da un nuovo modo di combattere, che portò alla ribalta le milizie cittadine e poco dopo le fanterie mercenarie; b) in questa trasformazione, la guerra diventò un fatto economico, il cui successo derivò sempre più dalle capacità di “drenare risorse” finanziarie necessarie per pagare questi nuovi eserciti; 4 c) gli stati cittadini, in particolare quelli delle grandi città mercantili italiane – e tra queste soprattutto Venezia – furono i primi e i più efficienti nel gestire questo nuovo modo di combattere perché, grazie al loro sviluppo artigianale, commerciale e bancario, potevano attingere a mezzi finanziari molto superiori (in termini relativi all’estensione del territorio dello stato, ma spesso anche in termini assoluti) dei mezzi di cui disponevano gli stati territoriali di maggiori dimensioni [vedi dopo, tabella a pag.18]; d) ciò spiega il “primato veneziano” nell’equilibrio economico e politico europeo del Quattrocento. 4. Uno sguardo di lungo periodo sull’evoluzione dello stato, dal 1000 al 1500 Consideriamo ora nel lungo periodo la storia politica europea dei cinque secoli dopo il Mille. A tal fine, prima forniamo una selezione dei fatti fondamentali sull’evoluzione degli stati in Europa, in una breve tabella cronologica (non c’è bisogno di impararla: serve per consultazione); poi li riconsideriamo più ampiamente, alla luce del modello di analisi sull’evoluzione dello stato proposta da Tilly, e del rapporto stato-guerra. secoli 1000 XI 1100 XII 1200 XIII 1300 XIV 1400 XV 1500 Le principali vicende politiche in Europa, tra i secoli XI e XV Nascita di deboli monarchie feudali: i Capetingi in Francia; una dinastia franco-normanna in Inghilterra (1066); un regno normanno nell’Italia del sud; piccoli regni cristiani nel nord della Spagna. In Germania, nascita del Sacro Romano Impero Germanico. Nell’Italia del centro-nord: crescita delle città che verso la fine del secolo si liberano dei vescovi-conti e si danno istituzioni comunali, con a capo consoli e assemblee; 1076: inizia la lotta delle investiture tra papato (Gregorio VII) e impero (Enrico IV). 1096: papa Urbano II lancia la prima crociata, per la riconquista di Gerusalemme. Altre crociate in Terrasanta, con andamento alterno; espansione di regni cristiani in altre direzioni: la reconquista in Spagna, e le conquiste dei cavalieri teutonici (tedeschi) nell’Europa orientale, slava. In Italia: 1122: fine della lotta per le investiture; dalla metà del secolo: 30 anni di lotte tra l’imperatore Federico di Svevia (il Barbarossa) e i comuni italiani, e il papa; a fine secolo: diffusione nei comuni italiani dei podestà, per frenare le lotte intestine tra le fazioni della nobiltà cittadina La monarchia feudale si rafforza in Francia, e si indebolisce in Inghilterra, dove nel 1215 il re deve concedere la Magna Charta. A inizio secolo, massimo prestigio del papato, con la visione teocratica di papa Innocenzo III (1198-1216), che interviene in tutte le principali contese tra i sovrani europei. In Italia: 1212-1250: Federico II di Svevia, re di Sicilia e imperatore di Germania, lotta contro i comuni e il papato; 2^metà del secolo: dinastia angioina (francese) nel regno di Napoli; comune popolare a Firenze, repubblica oligarchica a Venezia e Genova, signorie a Milano (Visconti) e in molte altre città Scontro tra papa Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo il Bello, che rafforza il regno di Francia e indebolisce il papato (dal 1307, per 70 anni la corte papale trasferita da Roma ad Avignone, sotto il controllo dei re francesi). Declino dell’impero in Germania, e la corona imperiale detenuta stabilmente dalla dinastia Asburgo. 1337-1453: in Francia, la guerra dei Cent’anni contro l’Inghilterra, che occupa vasti territori francesi. Rafforzamento delle signorie nell’Italia del centro-nord; lotte tra fazioni a Firenze, poi ascesa della famiglia de’ Medici che instaura anche a Firenze una signoria di fatto. Fino al 1453, prosegue in Francia la guerra dei Cent’anni. 1453: i turchi conquistano Costantinopoli: fine del millenario impero bizantino. In Italia: la pace di Lodi (1454) sancisce l’equilibrio tra le maggiori potenze: Venezia, Milano, Genova, Firenze, Papato, regno di Napoli; inizio del Rinascimento. 2^metà del secolo in Europa: Inghilterra: guerra feudale (delle “due rose”); Francia: la monarchia si rafforza e si espande (annesso il potente ducato di Borgogna). Spagna: unificazione dinastica tra i regni di Castiglia e Aragona; 1492: conclusione della reconquista spagnola, espulsione di ebrei e moriscos (islamici), spedizione di Colombo per le Indie, inizio degli imperi coloniali nelle Americhe. 1494: la discesa in Italia di Carlo VIII di Francia dà inizio alle guerre d’Italia tra Francia e Spagna. 4.1 Le stesse vicende, ma un po’ più ampiamente e alla luce del nostro modello di analisi Prenderemo in esame soprattutto alcune aree territoriali: a) la penisola iberica; b) Francia e Inghilterra; c) Italia e Germania. Prima di farlo, osserviamo in generale che l’Europa, o meglio l’area cristiana feudale latinogermanica, che per i 500 anni prima del Mille era stata meta di migrazioni e invasioni, dal sec.XI invertì questa tendenza, e iniziò a espandersi. Questa espansione è l’aspetto che accomunò fenomeni apparentemente diversi: le crociate in Terrasanta, la conquista normanna della Sicilia, la plurisecolare reconquista spagnola, l’espansione tedesca a est dell’Elba (nelle terre degli slavi dell’Europa orientale). Alle motivazioni religiose si intrecciavano altri fattori: l’espansione demografica e il bisogno di nuove terre, dopo secoli di declino 5 demografico; e soprattutto la necessità di scaricare verso l’esterno la bellicosità della cavalleria feudale, che era un flagello per le popolazioni e un motivo di perenne instabilità. a) Il caso della penisola iberica è quello in cui è più evidente il rapporto stato-guerra. Qui il lento rafforzamento del potere centrale dello stato emerse dalla reconquista, cioè dalla plurisecolare spinta militare dei piccoli regni cristiani delle regioni montanare del nord contro il ricco, evoluto e raffinato emirato islamico di Cordoba, che iniziò nel sec.XI. Nacquero così, dapprima i regni del Portogallo, di Castiglia e di Aragona (la regione mediterranea della Catalogna, cui centro è Barcellona); poi, alla fine del ‘400, il matrimonio tra Isabella regina di Castiglia e Ferdinando re d’Aragona fece nascere il regno di Spagna, ma rimasero intatte le differenze linguistiche, culturali ed economiche tra la Catalogna marittima, commerciale e mediterranea, e la Castiglia agro-pastorale e guerriera, dominata da una nobiltà che si era formata nella lotta contro i “mori” (musulmani) e nell’ideologia della “hispanidad” e della “limpieza de sangre”. Non è un caso che il 1492, l’anno della conquista di Granada, ultimo dominio musulmano, fu anche l’anno d’inizio dell’espulsione degli ebrei (numerosissimi in Spagna), e poi dei musulmani; ed anche l’anno in cui venne finanziata la spedizione di Colombo, che orientò oltreoceano, verso le Americhe, l’espansionismo spagnolo (quello portoghese si era già proteso verso l’Oceano Indiano circumnavigando l’Africa). E proprio dalla Spagna e dal Portogallo prese avvio l’ulteriore spinta espansionistica dell’Europa, oltreoceano, dal Cinquecento alla fine dell’Ottocento. b) Consideriamo congiuntamente Francia e Inghilterra, perché per quasi mezzo millennio le loro storie si intrecciarono. All’inizio del sec.XI i capetingi, cioè i discendenti del conte di Parigi, Ugo Capeto, avevano formalmente il titolo di re dei Franchi, la parte occidentale di quello che era stato il dominio dei Carolingi, ma la loro sovranità effettiva si limitava ai loro domini feudali diretti, l’Ile de France (tra Parigi e Orleans), che era solo uno delle dieci grandi signorie territoriali in cui era divisa allora la Francia. E bisogna ricordare che anche all’interno di queste grandi signorie, il potere era ulteriormente frammentato, ed esercitato a livello locale dai detentori dei poteri bannali [es.doc.3 in appendice]. Uno di quei grandi signori feudali, il duca di Normandia Guglielmo (poi detto il Conquistatore), nel 1066 sbarcò in Inghilterra e fondò un regno anglo-normanno che sottomise la popolazione inglese (sassone) e impose un rigido sistema feudale che asservì tutti i contadini. Ma i successori di Guglielmo continuarono ad avere come loro capitale Rouen, in Normandia, e a parlare francese, e i loro possedimenti francesi si estesero alla Bretagna e al vastissimo feudo d’Aquitania (il sudovest della Francia). Nel Duecento la monarchia inglese si indebolì e perse territori in Francia, tanto che re Giovanni (detto per questo Senzaterra) fu costretto a concedere la Magna Charta, mentre i sovrani francesi, tramite guerre ma soprattutto matrimoni, estesero gradualmente i loro domini sulle altre grandi signorie della Francia. Così, all’inizio del ‘300 la monarchia francese era la più potente d’Europa, ma il suo tentativo di impossessarsi dell’Aquitania, e i diritti dinastici del re d’Inghilterra sul regno di Francia, provocarono la guerra dei Cent’anni (1337-1453). Quella guerra precipitò nel caos il regno di Francia ed espose la popolazione a saccheggi e devastazioni di ogni tipo, anche perchè si crearono due fazioni nobiliari contrapposte, gli Armagnacchi e i Borgognoni, questi ultimi alleati degli inglesi. Sia l’episodio della concessione della Magna Charta sia la secolare guerra dei cent’anni possono essere interpretati come casi in cui il potere centrale si indebolì nei confronti dei contropoteri (feudali); e la guerra civile in cui degenerò in Francia la guerra dei cent’anni è l’esempio della perdita, da parte del potere centrale, del monopolio della forza legittima [es: docc.6-7 in appendice]. A metà del ‘400 la guerra finì con l’estromissione degli inglesi dal territorio di Francia, e l’Inghilterra precipitò in una guerra civile detta “delle due rose” (1450-1485) tra due casate nobiliari, York e Lancaster, che si concluse con l’affermazione della dinastia Tudor e il rafforzamento della monarchia inglese sui contropoteri rappresentati dalla grande nobiltà. In Francia, invece, la monarchia iniziò a rafforzarsi subito dopo la fine della guerra dei Cent’anni, con la dinastia dei Valois. Nei decenni successivi, l’autorità dei re Luigi XI e poi Carlo VIII si estese anche al sud del paese (in Provenza, e così trovò uno sbocco marittimo sul Mediterraneo) e alla Bretagna, potente feudo che fu inglobato per via matrimoniale. La forza espansiva della monarchia francese, a cavallo tra ‘400 e ‘500, trovò espressione nella spedizione militare in Italia di Carlo VIII nel 1494, che diede inizio alla contesa tra Francia e Spagna per il controllo sugli stati della nostra penisola, cioè a 60 anni di guerre condotte in Italia. In estrema sintesi, le monarchie francese e inglese si rafforzarono, ma in modi e tempi diversi, e attraverso guerre che le videro spesso contrapposte l’una all’altra, oltre che (soprattutto) contro i rispettivi contropoteri interni. c) Anche la storia di Germania e Italia in questi 500 anni può essere considerata parallelamente, per due motivi: 1) in entrambe le aree erano presenti potenti signorie feudali ma anche, e soprattutto, una fitta rete di città mercantili, i comuni, orgogliosi della propria autonomia; 2) la Germania e l’Italia erano sedi la prima dell’impero (il Sacro Romano Impero Germanico instaurato dalla dinastia di Sassonia alla fine del sec.X) e la seconda del papato. Questi erano i due grandi poteri “universali”, cioè riconosciuti come “sovraeminenti” (ovvero, superiori per dignità) dai “poteri di fatto” cioè le monarchie, le grandi signorie feudali, le città. Anzi, 6 nella situazione fluida e incerta del potere d’inizio millennio, quei “poteri di fatto” cercavano dal papa e/o dall’imperatore un riconoscimento, una legittimazione per diventare “poteri di diritto”. Da ciò derivarono per secoli il prestigio di papato e impero, ed anche le lotte dell’uno contro l’altro per affermare la propria supremazia. Gli imperatori di Germania sognavano di ricreare l’impero carolingio, o almeno di affermare la pienezza del proprio potere su Germania e Italia. Il sogno teocratico coltivato dai papi Gregorio VII (sec.XI), Innocenzo III (sec.XIII) e Bonifacio VIII (inizio del XIV) era di unificare la “cristianità latina” (cioè l’Europa occidentale: quella orientale era di religione greco-ortodossa) sotto la propria autorità. Da qui la lotta per le investiture dei vescovi-conti, tra l’imperatore Enrico IV e il papa Gregoria VII (col famoso episodio di Canossa), nella seconda metà del sec.XI; poi lo scontro tra l’imperatore Federico I di Svevia (il Barbarossa) e i comuni dell’Italia del nord, appoggiati dal papa, nella seconda metà del sec.XII; e, contro gli stessi avversari, la lotta di Federico II, re di Sicilia e imperatore, nella prima metà del XIII; fino alla sfida, questa volta contro il re di Francia, di papa Bonifacio VIII all’inizio del XIV. Se l’uno o l’altro di questi progetti universalistici si fosse realizzato, come osserva lo storico McNeil, “l’Europa occidentale sarebbe andata assomigliando alla Cina”, con un unico potere sovrano che governava attraverso una gerarchia di funzionari pubblici di alta cultura. Ma l’Europa, e soprattutto la Germania e l’Italia (ad eccezione dell’Italia meridionale e della Sicilia, unificate sotto il vasto regno svevo-normanno) presero la direzione opposta, cioè si moltiplicarono i poteri territoriali concorrenti. I poteri di fatto delle grandi signorie e delle città, anche se rendevano omaggio all’imperatore e/o al papa, mirarono ben presto a guadagnare la propria indipendenza, e consideravano il papa e l’imperatore come ingombranti “contropoteri esterni” della cui tutela occorreva liberarsi. Richiamiamo ad esempio la frase, citata da Huppert, di un esponente del consiglio comunale di una città tedesca: “Quale Imperatore? Qui l’Imperatore siamo noi, e l’Imperatore è l’Imperatore a Vienna”. Così la Germania andò incontro alla massima frantumazione del potere; e la corona imperiale, dal secondo ‘300 detenuta stabilmente dalla dinastia Asburgo, fu da questa usata soprattutto per rafforzare i propri possedimenti diretti, tra l’Austria (Vienna), la Boemia (Praga) e la Slesia, ma la loro autorità sulla Germania rimase quasi solo simbolica. Le città dell’Italia centro-settentrionale, diventate comuni liberi già dal sec.XI, furono le prime e le più dinamiche ad organizzare una ricca economia artigiana, mercantile e finanziaria: riallacciarono i traffici commerciali con l’Oriente; e, più delle altre città europee, imposero il proprio dominio politico sul contado, attirando al proprio interno i signori feudali. Alcune, soprattutto le più prospere città marinare, Venezia e Genova, si organizzarono come repubbliche oligarchiche, dominate dai grandi mercanti-banchieri. In altre città, dalle lotte prima tra le fazioni dell’aristocrazia inurbata (=magnati), poi tra magnati e corporazioni borghesi, si sviluppò in qualche caso, come a Firenze, l’esperienza del comune popolare (dominato dagli esponenti del “popolo grasso”, cioè l’alta borghesia); nella maggior parte delle città, invece, si instaurarono signorie, cioè il potere di una casata aristocratica (Visconti a Milano, Estensi a Ferrara, Gonzaga a Mantova, Della Scala a Verona, Montefeltro a Urbino, ecc.). Fra ‘300 e ‘400, emersero alcune signorie e principati di dimensioni regionali che inglobarono le città minori: nel 1454 la pace di Lodi sancì l’equilibrio tra i 5 stati regionali più potenti: la repubblica di Venezia, il ducato di Milano, la repubblica di Firenze (dominata dalla famiglia Medici), lo stato della Chiesa e il regno di Napoli. Le città-stato italiane furono le prime a coniugare arte della guerra ed economia di mercato, ad organizzare cioè la “commercializzazione della violenza organizzata”. Quando dai conflitti continui tra i comuni emerse questa gerarchia di stati regionali a base cittadina, la modernità di tale sistema fece dell’Italia centrosettentrionale l’area nettamente più evoluta d’Europa: qui nacque la raffinatezza ineguagliata del sistema di corte, entro cui sbocciò la splendida fioritura del Rinascimento. Ma dalla fine del Quattrocento, quando le nuove tecnologie belliche favorirono gli stati d’oltralpe di grandi dimensioni, gli stati cittadini e regionali italiani divennero prima spettatori sgomenti della spedizione di Carlo VIII di Francia (forte di artiglierie sconosciute in Italia); poi, per tutto il primo ‘500, teatro e posta in palio della contesa tra le monarchie francese e spagnola. In conclusione, i cinque secoli tra l’XI e il XV rappresentano la “proto-storia” dello stato in Europa, ovvero la sua – lunghissima ! – fase di “gestazione”, con livelli di centralizzazione del potere, delle risorse e della violenza legittima ancora molto parziali. Alla fine del XV c’erano moltissimi stati, di diverso tipo ed estensione: certo, erano riconoscibili come tali, a differenza di cinque secoli prima, ma… ce n’erano ben 500, nei quali vivevano gli ottanta milioni di europei [per avere un confronto: oggi, all’inizio del XXI secolo, circa 700 milioni di europei vivono in 45 stati]. Vedremo ora, nella seconda parte del modulo, la svolta che si verificò all’inizio del Cinquecento, e i processi che seguirono fino alla fine ‘600 / inizio ‘700, ancora in relazione a importanti trasformazioni nel modo di condurre le guerre: ovvero, il passaggio dalla “proto-storia” alla storia dello stato moderno. 7 2^parte: lo stato e il sistema degli stati europei dall’inizio del ‘500 alla fine del ‘600 1. La terza fase dell’evoluzione della guerra, nei secoli XVI-XVIII: le armi da fuoco e i grandi eserciti Dalla metà del Quattrocento si diffusero le armi da fuoco: dapprima solo pesantissime bombarde e cannoni, ma in seguito anche armi individuali, come i moschetti (i primi fucili). Le armi da fuoco cambiarono radicalmente gli equilibri tra gli stati. Infatti il primato che le città italiane detenevano, nella produzione di armi come le corazze e le balestre, svanì quando divenne decisiva la disponibilità di bronzo (nel ‘500) e poi di ferro, necessari per le armi da fuoco: questi metalli, infatti, erano scarsi in Italia e abbondanti nell’Europa del nord. Ma soprattutto la guerra divenne molto più costosa, non solo per la novità dell’artiglieria, che rivoluzionò gli eserciti e le flotte (sempre più importanti, dopo le scoperte geografiche e l’apertura delle rotte atlantiche), ma anche perché gli eserciti mercenari divennero sempre più grandi, come mostra la seguente tabella: numero dei soldati Spagna Francia Inghilterra Svezia 1470-1480 20.000 40.000 25.000 - 1590-1600 200.000 80.000 30.000 15.000 1630-1640 300.000 150.000 45.000 1650-1660 100.000 100.000 70.000 70.000 Con eserciti tanto numerosi ed equipaggiati con armi così costose, le spese legate alla guerra divoravano letteralmente le entrate degli stati: ne rappresentavano infatti il 50-70% in tempo di pace, e molto di più (anche il 150%) in tempo di guerra. La pressione degli stati sulle rispettive società per ottenere risorse finanziarie divenne perciò sempre più forte. Il sistema di tassazione permanente, sconosciuto nel Medioevo, e fino al Quattrocento presente solo negli stati cittadini italiani, si diffuse anche negli altri stati europei [sulla sua assenza nei secoli precedenti, v.doc.8 in appendice]. Però, non dobbiamo immaginare sistemi fiscali efficienti come negli stati odierni [evasione fiscale a parte…, soprattutto in Italia!]. Infatti, nella prima età moderna, la tassazione permanente rappresentava solo una parte delle entrate statali, e non la principale: gli stati si finanziavano soprattutto ricorrendo a prestiti (ad alto tasso d’interesse). Perché la tassazione rendeva poco, e costringeva i sovrani a ricorrere massicciamente ai prestiti dei banchieri? In primo luogo, per le larghe esenzioni fiscali dei ceti privilegiati (la nobiltà e il clero). In secondo luogo, per una specie di “circolo vizioso” che si può così descrivere. Siccome lo stato aveva poche risorse, non poteva permettersi di avere funzionari stipendiati, sia per riscuotere le tasse sia per gestire le altre funzioni amministrative e giudiziarie. Perciò lo stato appaltava (cioè affidava, dava in concessione) queste funzioni a privati, che in cambio gli anticipavano forti somme di denaro, poi trattenevano una percentuale di quanto incameravano dalle tasse o dall’esercizio delle loro funzioni. Era il fenomeno della vendita delle “cariche pubbliche” (o uffici), iniziato nel Cinquecento e che in Francia venne chiamato “venalità delle cariche”. Si formò in questo modo una borghesia degli uffici, legata appunto all’acquisto e alla gestione di queste cariche (o uffici). I suoi membri, borghesi ricchi e provvisti di cultura giuridica, ebbero poi anche la possibilità di trasmetterle ereditariamente, e di acquistare un titolo di nobiltà: così nacque, all’inizio del Seicento, la nobiltà di toga, che la nobiltà tradizionale (chiamata nobiltà di spada) guardava con disprezzo e sospetto, senza peraltro riuscire a impedirne l’ascesa. La nobiltà di toga, proveniente dalla borghesia degli uffici, secondo Huppert rappresentò (cit., pp.77-85): “ una nuova classe, un’élite di rentiers istruiti, di capitalisti al servizio del governo che non dovevano essere confusi con l’antica élite feudale di guerrieri proprietari di terre… Questi gentiluomini di nuovo genere furono gli artefici della cultura e dello stato moderno”. Huppert accenna all’importanza della nascita di questa nuova classe, colta, abile e fedele allo stato (cioè alla monarchia), perché le sue fortune divennero anche le proprie. Ma quel sistema di appalto delle cariche aveva anche pesanti inconvenienti. In primo luogo, alimentava corruzione e sprechi, perché i sudditi erano gravati da tasse e pagamenti di vario tipo (per l’amministrazione della giustizia, ad esempio) che arricchivano i titolari di questi uffici, mentre solo una parte delle entrate era incamerata dallo stato (ad esempio, nel 1657-59 lo stato francese incassò solo 31 milioni di franchi, su 85 milioni pagati dai contribuenti!). In secondo luogo, il bisogno incessante di denaro induceva gli stati a moltiplicare cariche e uffici spesso del tutto inutili, al solo fine di ottenere le entrate anticipate che questi rentiers (= finanziatori che vivevano di rendita) assicuravano: entrate che, perciò, erano una specie di prestiti mascherati. Ecco come i sudditi pagavano questo sistema, e più in generale come essi subivano i pesantissimi costi sociali del nuovo modo di fare le guerre, nella descrizione di Huppert (ibid, cap. 11): “ Là dove lo storico militare vede due armate contrapposte pronte a scontrarsi sul campo di battaglia, lo storico sociale vede piuttosto il confronto tra civili e soldati. La guerra era una condizione permanente e letale che cominciava con la riscossione, se necessario con la forza delle armi, dei tributi necessari per pagare i soldati, e continuava con l’ordine, dalla conseguenze 8 devastanti, con il quale si imponeva ai civili di alloggiare e nutrire i soldati di stanza nella loro città ben prima che la guerra avesse effettivamente inizio (…) Al centro del meccanismo infernale all’origine di tanta miseria fu l’incompetenza finanziaria dei nuovi stati che, costretti a mettere insieme eserciti numerosi, prendevano denaro in prestito a tassi usurai e per rimborsare tali prestiti inventavano nuove tasse che impoverivano i ceti produttivi. Le unità mercenarie, una volta ingaggiate, dovevano essere pagate, alloggiate, nutrite e rifornite, ma i fondi destinati a tale fine, insufficienti già in partenza, venivano ulteriormente assottigliati da un sistema caratterizzato da frodi e corruzione a tutti i livelli (…) I battaglioni mercenari non erano solo costosi, ma anche pericolosi e inaffidabili: vantando arretrati da riscuotere, e con un sistema di approvvigionamento sempre sul punto di collassare, questi forestieri affamati e disperati si comportavano come criminali incalliti ed erano pronti ad ammutinarsi al minimo pretesto, nonché a cambiare schieramento quando se ne presentava l’opportunità (…) [Sulla difficoltà del reclutamento, che spesso avveniva con la forza:] Non era insolito assistere nei porti all’imbarco delle reclute sotto la minaccia delle armi, necessarie per impedire un estremo tentativo di fuga prima della partenza delle navi (…). La testimonianza dei contemporanei chiarisce che lo scopo principale delle forze mercenarie non era tanto di scontrarsi con il nemico quanto di ricavare il più possibile dai villaggi disarmati che incontravano sul loro cammino, non facendo distinzione tra amici e nemici. (…) Un esercito nella prima età moderna era un popolo in marcia, una città di nomadi [con al seguito mogli, prostitute, marcanti e ricettatori, carrettieri, facchini, fabbri e sellai, ecc., è detto poco prima] che procedevano più o meno alla velocità di dieci miglia al giorno divorando ogni cosa sul suo cammino, producendo montagne di rifiuti e disseminando malattie infettive. Ancor prima che venisse sparato un colpo, e che senza motivo venisse appiccato il fuoco alla prima casa, la notizia dell’avvicinarsi di un’armata spargeva il terrore tra gli abitanti dei villaggi, che sapevano per esperienza cosa attendersi: le città cinte di mura potevano sprangare le porte e sperare che le orde selvagge si stancassero di aspettare e proseguissero, le cittadine più piccole e indifese e i villaggi erano semplicemente alla loro mercé ”. Questa cruda realtà colpisce tanto più se teniamo conto che le guerre furono ininterrotte da metà del ‘400 alla metà del ‘600: “Non ci fu un solo anno, in quel periodo, che vide disoccupati i condottieri e le loro schiere, e poche regioni europee scamparono alla loro presenza” (ibidem). In questa terza fase dell’evoluzione della guerra, quali furono i cambiamenti più importanti? a) L’artiglieria pesante, che fu messa a punto a metà del Quattrocento in Francia (e che terrorizzò gli stati italiani di fronte all’armata francese di Carlo VIII nel 1494) era destinata a durare fino agli anni ’40 dell’Ottocento, con pochi miglioramenti che andarono nella direzione di rendere meno pesanti e ingombranti i cannoni. Quei miglioramenti produssero un duplice risultato: a.1) I cannoni (dal ‘600 in ferro, molto più leggeri dei primi, che erano di bronzo) poterono armare le navi, cioè i grandi galeoni atlantici che imposero la superiorità delle flotte europee negli Oceani di tutto il mondo, dall’inizio del Cinquecento. Tramontò così, definitivamente, la battaglia navale di tipo mediterraneo (fin dall’antichità basata su veloci navi a remi, le galere, sullo speronamento e sull’abbordaggio), in favore delle battaglie tra grandi velieri (i galeoni) armati con più file di cannoni. a.2) Alle grandi battaglie campali, subentrò dagli anni ’20 del Cinquecento il primato delle strategie di fortificazione e di assedio alle città, anche perché, di fronte alle palle da cannone, era stata escogitata una nuova tattica difensiva, ancora una volta a partire dalle città italiane: le vecchie mura medievali di pietra, alte, sottili e vulnerabilissime ai cannoni, vennero sostituite dai bastioni, cioè terrapieni larghi, bassi, protetti da mura e da larghi fossati riempiti d’acqua (ove la terra posta tra le mura dei bastioni assorbiva le palle da cannone, e i fossati pieni d’acqua rappresentavano un ulteriore ostacolo per gli assedianti). Naturalmente, ciò contribuì anche a modificare l’aspetto delle città dal Cinquecento. b) A fianco dell’ artiglieria, si accentuò il primato della fanteria, che costrinse definitivamente molti cavalieri a…scendere da cavallo e a trasformarsi in comandanti di truppe appiedate. Già a fine Quattrocento era emerso il primato dei picchieri reclutati dai francesi tra i montanari svizzeri; a questi gli spagnoli opposero le compagnie dei famosi Landesknechten (lanzichenecchi), equipaggiati come gli svizzeri ma guidati da aristocratici tedeschi anch’essi appiedati. Poi, le guerre d’Italia del 1494 -1559 tra Francia e Spagna costituirono un “laboratorio” di sperimentazione nel quale emerse la superiorità dei tercios spagnoli (o meglio, castigliani), disposti “a quadrato” [da quello l’espressione, rimasta nel linguaggio comune, “fare quadrato”]. Ecco come li descrive McNeil (cit): “Il tercio era costituito da una massa di picchieri schierati a protezione di un contorno di moschettieri appostati lungo il perimetro del quadrato formato dalle picche”. 9 La tattica del tercio, che univa lance lunghe (le picche) e armi da fuoco leggere (i moschetti): “conferì un ruolo decisivo alla fanteria, non soltanto in difesa, ma anche in attacco. Il prestigio della cavalleria in battaglia aveva resistito tenacemente fino al Cinquecento, soprattutto in Francia e in Germania, paesi nei quali gli ordini cavallereschi affondavano saldamente le proprie radici nella struttura sociale delle campagne. A partire però dal 1525 [data della battaglia di Pavia, rovinosa per i francesi, col re Francesco I catturato dai tercios spagnoli], l’idea che un gentiluomo potesse combattere appiedato quasi con la stessa dignità con cui combatteva a cavallo si era fatta in pratica irresistibile, persino presso francesi e tedeschi; anche perché la cavalleria, tutto sommato, non serviva a gran che nella guerra d’assedio, che era diventato il principale terreno di coltura dell’arte militare da almeno mezzo secolo” (ibidem). c) Ancora dalle parole di McNeil leggiamo un altro importante cambiamento: “Nel Seicento, gli olandesi si misero alla testa di un importante rivolgimento del governo delle cose militari, avendo scoperto in particolare che lunghe ore di addestramento ripetuto conferivano agli eserciti una maggiore efficienza sul campo di battaglia e che, anche quando il reclutamento riguardava i ceti più bassi della società, l’istruzione formale infondeva nella massa dei soldati uno straordinario spirito di corpo. Un esercito ben addestrato che rispondesse a una precisa gerarchia di comando, da un monarca regnante per diritto divino fino al più umile comandante di squadra, costituiva indubbiamente uno strumento politico quanto mai duttile ed efficiente”. L’addestramento sistematico, meticoloso, ripetitivo degli eserciti fu un’invenzione di Maurizio di Nassau, principe d’Orange, il comandante militare olandese, che, imbevuto di cultura classica, prese a modello gli antichi romani, rielaborando in modo creativo le loro formidabili tecniche di esercitazione e addestramento. Con la rivoluzione militare da lui introdotta, la piccola Olanda riuscì a resistere alle armate degli Asburgo, cioè della monarchia spagnola, nonostante lo schiacciante squilibrio delle forze in campo. Data la concorrenza serratissima tra gli stati europei, ogni novità introdotta da uno di essi veniva rapidamente imitata da tutti gli altri. La conduzione della guerra diventò così sempre più complessa e costosa, e questo ebbe diverse conseguenze sull’evoluzione degli stati: 1) Poiché la guerra richiedeva tante risorse e un’organizzazione così complessa, gli stati divennero i soli soggetti in grado di condurla: divenne impensabile l’organizzazione di “eserciti privati” o di milizie locali da parte di altri soggetti, quali nobili o città. In altri termini, fece un “salto di qualità” la tendenza del centro ad assumere il monopolio della violenza legittima. Indirettamente, ciò rafforzò lo stato anche nei confronti dei suoi contropoteri interni, sia nel disarmarli sia nel reprimerli. A questo riguardo, Tilly (cit.) sottolinea la tendenza di lungo periodo degli stati a disarmare i civili, da una parte; e dall’altra a condurre guerre meno frequenti ma più distruttive (fino al Novecento, “il secolo più bellicoso della storia umana”): “Sebbene i servizi giornalistici possano far pensare in altro modo, oggi le possibilità di morire di morte violenta per mano di un civile sono enormemente diminuite. I tassi di omicidio nell’Inghilterra del XIII secolo, ad esempio, superavano di circa dieci volte quelli di oggi, e sono diminuiti con particolare rapidità dal XVII al XIX secolo”; con l’eccezione degli Stati Uniti, perché: “Dato che qui i civili sono rimasti affezionati al possesso delle armi da fuoco, pagano un prezzo in termini di percentuali di morti violente centinaia di volte più alti che nelle società europee”. Il disarmo delle popolazioni civili ebbe luogo a piccolissimi passi, ma con una svolta: “Dal XVII secolo, i governanti sono riusciti a spezzare gli equilibri decisamente a svantaggio dei singoli cittadini e dei poteri interni rivali. Hanno reso criminale, impopolare, non praticabile per i sudditi portare armi, avere eserciti privati, e sono riusciti, al contrario, a fare apparire questo normale per gli agenti armati dello stato nei confronti dei civili disarmati… Ad esempio Luigi XIII, il monarca del ‘600 che con l’aiuto di Richelieu ricostituì la forza armata dello stato francese, probabilmente fece demolire più fortezze (di nobili) di quante ne costruì; ma il fatto decisivo è che fece costruire fortezze ai confini e le fece distruggere all’ interno. Assoggettando nobili e città che resistevano al suo dominio, egli faceva demolire le loro fortificazioni, riduceva il loro diritto a portare armi e di conseguenza faceva diminuire le probabilità di qualunque futura ribellione.” 2) La crescita delle spese militari fu una forza di pressione sull’economia degli stati, ma con effetti diversi: alcune economie ne furono soffocate; altre furono indotte a svilupparsi e a produrre risorse, che potevano così essere in parte “drenate” dai monarchi per finanziare le loro guerre. 10 3) Nei rapporti tra gli stati, infine, la sempre maggiore efficienza bellica degli stati europei impedì la supremazia di uno di essi sugli altri, all’interno dell’Europa; ma si rivelò impareggiabile quando essi usarono la propria organizzazione bellica contro altre parti del mondo, dalle Americhe all’Asia (tra il ‘500 e l’ ‘800). 2. Altri importanti cambiamenti, dall’inizio del Cinquecento Oltre alle trasformazioni nel modo di combattere, altri due cambiamenti, entrambi dal secondo decennio del Cinquecento, influenzarono profondamente sia i rapporti tra gli stati sia l’evoluzione interna dei singoli stati tra il ‘500 e il ‘600. Tali cambiamenti, di natura molto diversa, furono: a) l’unificazione dinastica del regno di Spagna e dei possedimenti imperiali degli Asburgo sotto Carlo V, eletto imperatore nel 1519: ciò produsse una formidabile concentrazione di potere e rilanciò il tentativo degli Asburgo di imporre in Europa un potere universalistico. Contro questo tentativo si coalizzarono le altre potenze, in primo luogo la Francia, accerchiata dai possedimenti assurgici. Un primo ridimensionamento del progetto di egemonia europea degli Asburgo si ebbe nel 1556 quando Carlo V abdicò e divise l’impero: il figlio Filippo II ereditò la Spagna e i suoi possedimenti (le colonie americane, il regno di Napoli e il ducato di Milano, i Paesi Bassi e la Franca Contea); il fratello Ferdinando I ebbe il Sacro Romano Impero Germanico e i possedimenti diretti in Austria e Boemia. Ma la lotta contro il primato degli Asburgo d’Austria e di Spagna proseguì fino alla metà del Seicento, quando la fine della guerra dei Trent’anni (1618-1648) segnò una duplice svolta: indebolì il controllo degli Asburgo sulla Germania, e segnò l’avvio dell’irreversibile declino della Spagna. b) la Riforma protestante e la Controriforma cattolica, ovvero la divisione della cristianità dell’occidente europeo, con le guerre di religione che ne seguirono, anch’esse fino alla metà del Seicento. Queste vicende di natura religiosa ebbero perciò anche forti conseguenze politiche sui rapporti tra gli stati e sui singoli stati. Dovremo perciò riassumerne ora i punti fondamentali. 2.1. la Riforma protestante: il luteranesimo Fin dall’alto medioevo la Chiesa cattolica era non soltanto un’istituzione religiosa, ma anche una potenza politica. Le critiche periodicamente rivolte al papato e al clero per la sua eccessiva “mondanizzazione” divennero più insistenti tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500, quando salirono al soglio pontificio alcuni tra i papi più mondani della storia: Alessandro VI Borgia, famoso per la dissolutezza e il nepotismo; Giulio II Della Rovere, grande mecenate dell’arte (attirò a Roma Raffaello e Michelangelo), ma anche papa guerriero, spesso alla testa dei suoi eserciti; Leone X de’ Medici, secondo figlio di Lorenzo il Magnifico: cardinale già a 13 anni, cultore dell’arte, fece di Roma la più splendida corte rinascimentale del tempo, ma dedicò scarsa attenzione alle questioni religiose. La necessità di finanziare la costruzione della nuova basilica di San Pietro lo indusse, nel secondo decennio del ‘500, a lanciare una grande raccolta di “indulgenze”, ovvero la possibilità per i fedeli di acquisire la remissione delle pene per i peccati, propri o dei parenti defunti, pagando una somma di denaro: raccolta che fu condotta in Germania con molto zelo. Nel 1517 il teologo e monaco agostiniano tedesco Martin Lutero appese al portale della chiesa di Wittemberg, in Sassonia, 95 tesi nelle quali contestava la validità delle indulgenze, e più in generale il potere del papa e della Chiesa di perdonare i peccati, e la validità delle buone opere come mezzo per la salvezza. Quelle tesi ebbero una vasta diffusione in Germania, per la profonda insofferenza popolare verso la Chiesa romana e, tra i prìncipi, perchè la raccolta di indulgenze dirottava verso Roma risorse dei loro sudditi. Papa Leone X, occupato a gestire le trattative diplomatiche per l’elezione imperiale (che nel 1519 vide prevalere Carlo V su Francesco I di Francia), solo nel 1520 emanò la bolla Exsurge Domine che minacciava di scomunica Lutero. Ma questi rifiutò di ritrattare anche di fronte all’imperatore Carlo V, che, preoccupato dal pericolo di una nuova eresia nel suo impero, lo convocò tempestivamente a Worms nel 1521. Nel frattempo, anzi, Lutero aveva pubblicato altri tre scritti, nei quali estendeva la sua critica dal piano morale a quello dei principi teologici. Infatti in quei libri egli teorizzava: - la “giustificazione per sola fede”, cioè l’esclusiva validità della fede, e non delle opere, ai fini della salvezza, a causa della natura umana indelebilmente segnata dal peccato; - la validità di soli tre sacramenti (anziché sette): battesimo, penitenza ed eucaristia; - il “sacerdozio universale dei credenti”, contro l’autorità del papa e del clero sui laici; - il “libero esame delle sacre scritture” da parte dei laici, mentre fino ad allora la lettura e l’interpretazione della bibbia erano riservate al clero. Al fine di attuare questo principio, Lutero tradusse in tedesco la bibbia, e questa 11 traduzione, anche grazie alla diffusione a stampa, costituì la base dell’unificazione linguistica dei tedeschi. Lutero fu protetto dal potente principe di Sassonia, ed ebbe grande seguito popolare, come testimonia l’enorme diffusione dei suoi scritti. Inizialmente la dottrina luterana ispirò anche due rivolte sociali: nel 1522 quella della nobiltà minore, rapidamente repressa dai prìncipi; nel 1524-25 la “guerra dei contadini”, che divenne una vasta rivolta antifeudale, sotto la guida di Thomas Muntzer, inizialmente seguace di Lutero. Dopo alcuni tentativi di mediazione, Lutero prese le distanze da quelle che definì “bande brigantesche e assassine dei contadini”, e incitò i prìncipi a reprimerle. L’orrenda strage attuata dai prìncipi, che nel maggio 1525 massacrarono almeno 100.000 contadini e popolani, stroncò definitivamente la rivolta e assicurò a Lutero l’appoggio dei grandi signori. Alla dieta di Spira del 1529, 6 prìncipi e 14 città-stato protestarono (da qui il nome “protestanti”) contro l’editto di Worms del 1521 che condannava il luteranesimo. E nel 1531 si formò la lega di Smalcalda contro l’imperatore Carlo V, impegnato a difendere con le armi l’unità religiosa dell’impero. La guerra che ne seguì si trascinò stancamente, fino a che Carlo V, alle prese con molti altri nemici e con difficoltà finanziarie, accettò un compromesso, con la pace di Augusta del 1555. Essa attribuiva a ogni stato tedesco – cioè a ogni sovrano, alla cui decisione i sudditi dovevano adeguarsi – la possibilità di optare per la religione cattolica o luterana, secondo la formula cuius regio, eius religio, inimmaginabile fino a pochi decenni prima. Era la sanzione del grande scisma, la fine dell’unità religiosa della cristianità occidentale. Il cattolicesimo rimase maggioritario nel sud e nell’ovest dell’area tedesca, mentre il luteranesimo si diffuse nella Germania settentrionale e orientale, e da lì nei paesi scandinavi. 2.2 La Riforma protestante: il calvinismo La diffusione della Riforma protestante al di fuori della Germania e dei paesi scandinavi si deve soprattutto al francese Giovanni Calvino. Inizialmente seguace del luteranesimo, negli anni ’30 a Ginevra egli elaborò una sua nuova versione della Riforma, i cui ordinamenti divennero la base dell’organizzazione politica e religiosa della città svizzera. La teologia di Calvino si basava, ancor più di quella di Lutero, sull’idea che la salvezza dipenda esclusivamente dalla Grazia di Dio, che in modo imperscrutabile ha giù deciso dall’eternità il destino di salvezza o di dannazione di ciascuno: è la teoria della predestinazione, per cui l’uomo non può in alcun modo influire sul proprio destino. Calvino negava valore ai sacramenti, e lasciava all’eucarestia il significato solo simbolico di commemorazione dell’ultima cena; egli organizzò il governo civile e religioso di Ginevra sotto l’autorità dei pastori (al posto dei preti) e dei diaconi, secondo norme morali molto rigide e austere: poiché non era prevista la confessione, il credente doveva mantenere un controllo costante sul proprio operato. Il concetto, tipicamente calvinista, di beruf (che possiamo tradurre con: “vocazione nella sfera mondana”) comporta una forma particolare di attivismo rivolto soprattutto all’ambito lavorativo ed economico. Infatti, se da una parte il proprio agire (le buone opere) non serve ad ottenere la salvezza, che dipende totalmente dall’imperscrutabile volontà di Dio, dall’altra parte la vita virtuosa, e in particolare lo zelo nel lavoro e il successo negli affari, diventano per il calvinista il segnale della Grazia divina, cioè di essere predestinato alla salvezza. Viceversa, la povertà viene giudicata con estrema severità (all’opposto dell’atteggiamento evangelico e francescano), in quanto considerata conseguenza di pigrizia e di altri vizi. Per questi motivi, secondo lo storico Max Weber, l’etica calvinista fu alla base della nascita del moderno spirito del capitalismo che, non a caso, sarebbe nato nei paesi in cui si diffuse il calvinismo. Oltre che in Svizzera, questa nuova versione della Riforma protestante penetrò nei Paesi Bassi spagnoli (l’attuale Olanda), in alcune regioni della Francia (ove i calvinisti erano chiamati ugonotti), in alcune parti della Germania renana e dell’Europa orientale; e più diffusamente in Gran Bretagna, ove si formarono correnti diverse, come i puritani in Inghilterra e i presbiteriani in Scozia. Dalla Gran Bretagna il calvinismo si diffuse in seguito nelle colonie americane che sarebbero diventate, alla fine del Settecento, gli Stati Uniti. 2.3 La Controriforma e le riforme nella Chiesa cattolica: il concilio di Trento e l’ordine dei gesuiti Fin dal primo diffondersi dell’eresia luterana, l’imperatore Carlo V premette sul papato per la convocazione di un concilio che evitasse una divisione religiosa nel suo impero: infatti, secondo un’idea che risaliva all’impero carolingio, l’imperatore doveva preservare l’unità non solo politica ma anche religiosa dei suoi sudditi. Altre voci all’interno della cristianità invocavano una riforma della Chiesa cattolica, in particolare tra gli intellettuali umanisti, come il grande Erasmo da Rotterdam. Ma il papato fu inizialmente molto riluttante alla 12 prospettiva di convocare un concilio, anche perché gli ultimi due, tenutisi a Costanza e a Basilea nella prima metà del ‘400 per condannare l’eresia del boemo J. Huss, avevano teorizzato la superiorità del concilio sul papa. Solo nel 1542, su pressione di Carlo V, il concilio venne convocato a Trento (territorio imperiale, e ponte tra Roma e la Germania), ma iniziò i suoi lavori solo la fine del 1545. A presiederlo fu il cardinale Carafa, intransigente sostenitore del primato papale e ostile a ogni ipotesi di accordo con i protestanti, e che pochi anni dopo divenne papa Paolo IV. Il concilio fu poi trasferito a Bologna, riportato a Trento, sospeso per un decennio, fino al 1562, e finalmente concluso l’anno dopo, nel 1563. Progettato per ricomporre lo scisma della cristianità, il concilio si concluse quando questo era ormai definitivo, e si indirizzò a riaffermare tutti i punti dottrinali contestati dai protestanti e a riorganizzare la Chiesa cattolica, anche per meglio combattere la nuova eresia. A tal fine, nello stesso anno di indizione, il 1542, era stata istituita la Congregazione del Sant’Ufficio, ovvero l’Inquisizione romana, per coordinare da Roma la lotta all’eresia; e nel 1559 Paolo IV promulgò l’Indice dei libri proibiti, che diede avvio a un’opera sistematica di controllo e censura sulla stampa. Sul piano dottrinale, il concilio riaffermò il concorso di fede e opere per il conseguimento della salvezza, e la validità di tutti i sette sacramenti; accentuò il primato del papa e l’autorità del clero, considerato unico interprete legittimo della bibbia; di questa venne riconosciuta valida solo la traduzione latina di San Girolamo, e vietata la traduzione nelle lingue volgari. Inoltre il concilio ribadì, anzi enfatizzò, il culto della Madonna (con la diffusione a livello popolare del rosario), dei santi, delle reliquie, e la validità delle indulgenze. Il concilio non attuò però solo una controriforma, ma anche una riforma interna alla Chiesa cattolica, soprattutto nella direzione di un maggiore rigore morale e intellettuale. Vennero istituiti i seminari per la formazione del clero, e fissate norme per una maggiore cura pastorale, quali l’obbligo di residenza dei parroci nelle parrocchie e dei vescovi nelle diocesi; si cercò poi di far rispettare, più di quanto fino ad allora accadeva, il celibato ecclesiastico (contro la possibilità di sposarsi che avevano i pastori protestanti). Soprattutto, venne promosso un forte slancio missionario nel Nuovo Mondo, e di apostolato popolare, anche con la creazione di istituzioni assistenziali e culturali come ospizi, orfanotrofi, ospedali, scuole e collegi. Un ruolo fondamentale in queste attività ebbero i nuovi ordini religiosi fondati prima e dopo il concilio: teatini, cappuccini (interni all’ordine francescano), orsoline, e soprattutto i gesuiti, i membri della Compagnia di Gesù fondata dallo spagnolo Ignazio di Loyola nel 1540. La compattezza e la rigida struttura gerarchica di quest’ordine, l’assoluta fedeltà al papa di cui esso faceva voto, e la severa preparazione intellettuale, resero i gesuiti un efficientissimo strumento di lotta alla Riforma, anche con la gestione dell’Inquisizione. Ma i gesuiti furono anche e soprattutto i protagonisti di una nuova egemonia culturale nei paesi rimasti fedeli al cattolicesimo, sia come confessori e autorevoli consiglieri di sovrani e potenti, sia come organizzatori dei loro famosi collegi, molto rigidi ed efficienti, nei quali si formò per secoli gran parte delle classi dirigenti dell’Europa cattolica. 2.4 Le conseguenze culturali, politiche ed economiche di Riforma e Controriforma La Riforma e la Controriforma provocarono un nuovo fervore religioso, sia pure in direzioni opposte: una religiosità più intima, personale e introspettiva quella protestante; una religiosità più coreografica, “visiva” (vedi l’arte barocca), solenne e popolare quella cattolica dopo il concilio di Trento. Entrambe produssero anche un clima culturale più intransigente e intollerante, facendo a gara nella persecuzione delle eresie e delle minoranze religiose: fu l’età della caccia alle streghe, dei roghi per gli eretici, e nei paesi cattolici dell’Inquisizione romana e di un pesante controllo sulla cultura e sugli intellettuali (vedi i casi di Giordano Bruno, bruciato sul rogo nel 1600, e di Galileo Galilei, condannato dall’Inquisizione nei decenni successivi). Per un secolo, poi, lo scisma fece divampare le guerre di religione, o comunque alimentate anche da contrasti religiosi: sia guerre civili, sia guerre tra stati. E poiché, come abbiamo visto (cap.1), il nuovo modo di condurre le guerre le rendeva molto più devastanti, i cent’anni tra la metà del Cinquecento e quella del Seicento furono particolarmente aspri per i rapporti tra gli stati, e durissimi per le popolazioni (tormentate dagli eserciti e dalle persecuzioni religiose, e anche da carestie e pestilenze, frequenti in quei decenni): non a caso lo storico G.Kamen definì quei cent’anni “il secolo di ferro”. Diversa, come vedremo, fu la situazione dopo il 1660. La Riforma ebbe anche rilevanti conseguenze economiche, nei paesi del nord Europa ove penetrò. L’abolizione degli ordini religiosi portò alla confisca delle loro terre, che, rivendute ai ceti abbienti in grado di acquistarle, determinarono una enorme redistribuzione della ricchezza fondiaria. Ciò accadde anche, e soprattutto, in Gran Bretagna, ove il re Enrico VIII Tudor, pur non aderendo alla Riforma (anzi ne perseguitò i seguaci nel suo regno), si separò dalla Chiesa cattolica, per un dissidio col papa che non gli aveva permesso di divorziare: con l’Atto di Supremazia del 1534, egli fondò la Chiesa anglicana (cioè d’Inghilterra), ponendola sotto il controllo della monarchia. 13 3. L’evoluzione degli stati europei tra Cinquecento e Seicento secoli Le principali vicende politiche in Europa, nei secoli XVI e XVII 1500 1^metà del secolo: Mentre nelle corti italiane fiorisce la splendida stagione artistico-culturale del Rinascimento, la penisola è teatro delle guerre tra Francia e Spagna per il dominio sugli stati italiani. 1517, Germania: con l’esposizione delle 95 tesi di Lutero inizia la Riforma protestante, nella versione luterana, che si diffonde in Germania e nell’area scandinava; dagli anni ’40, la versione calvinista della Riforma, promossa da Calvino, si diffonde in altre parti dell’Europa del nord e in Francia. 1519: Carlo V di Gand, erede delle corone di Spagna e degli Asburgo d’Austria, è eletto imperatore XVI del Sacro Romano Impero e inizia la sua triplice lotta: contro la Francia di Francesco I, contro i principi luterani tedeschi, contro i turchi (che, con Solimano il Magnifico, conquistano l’Ungheria e nel 1529 arrivano ad assediare Vienna). Le guerre d’Italia, dopo alterne vicende (tra le quali, nel 1527, il 1^ parte, saccheggio di Roma dei lanzichenecchi imperiali), finiscono nel 1559 con la pace di Cateau fino Cambresis, che sancisce l’egemonia degli spagnoli in Italia, e il loro dominio diretto sul ducato di al Milano e sul regno di Napoli (che durerà fino all’inizio del ‘700); solo Venezia rimane autonoma. 1560 La guerra di Carlo V contro i luterani tedeschi finisce con la pace di Augusta del 1555 (secondo il principio “Cuius regio, eius religio”). Sul piano dottrinale, la lotta viene proseguita dalla Chiesa cattolica, col concilio di Trento (1545-1563) e con l’organizzazione della Controriforma. Inghilterra: Enrico VIII Tudor rafforza la monarchia, anche con lo scisma da Roma del 1534 che lo pone a capo della Chiesa d’Inghilterra (anglicana). Francia: il lungo regno di Francesco I rafforza la monarchia francese, fino a spezzare “l’accerchiamento” degli Asburgo: nel 1556 Carlo V abdica e divide i suoi possedimenti: al figlio Filippo II quelli spagnoli, al fratello quelli austriaci e l’impero. 2^metà del secolo (dai ’60) In Inghilterra, la monarchia si rafforza col lungo regno di Elisabetta I, che promuove l’espansione marittima, e nel 1588 sconfigge l’Envencible Armada spagnola. Il calvinismo si diffonde nel regno:puritani in Inghilterra, presbiteriani in Scozia; sottomissione dell’Irlanda cattolica. La Francia precipita nelle guerre civili tra fazioni nobiliari di cattolici e calvinisti (in Francia, ugonotti), concluse con la salita al trono di Enrico IV di Borbone e il suo editto sulla tolleranza religiosa (1594). XVI La Spagna di Filippo II fallisce nel progetto di imporre la propria egemonia in Europa: perde la sfida marittima con l’Inghilterra; non riesce a fare prevalere la fazione cattolica (filo-spagnola) nelle guerre 2^ di religione in Francia; perde la lunga e costosissima guerra nei Paesi Bassi (le Fiandre), iniziata parte negli anni ’60 contro una rivolta al contempo politica e religiosa: la guerra finisce nel 1609 con del l’indipendenza della Repubblica delle Province Unite (i Paesi Bassi del nord, cioè l’Olanda). secolo 1571: nel Mediterraneo, una flotta di stati cristiani guidata dagli Asburgo sconfigge i turchi nella battaglia di Lepanto, ma con scarse conseguenze: prosegue l’espansione turca nei Balcani. In Italia, cresce l’importanza finanziaria della repubblica di Genova, importante “banca” della Spagna. Nell’Europa orientale, grande espansione del regno di Polonia e dell’impero russo. Sullo sfondo, per tutto il secolo, crescita della popolazione, degli scambi mercantili, e dell’inflazione. 1560 1^metà del secolo: in Francia si alternano fasi di forza e di debolezza della monarchia dei Borboni, in un lungo scontro tra la volontà di affermare l’assolutismo del re Enrico IV (1594-610), poi del cardinale Richelieu (1624-1642), 1^ministro di Luigi XIII, poi del cardinale Mazzarino (1642-1661), e le tenaci resistenze dei ‘contropoteri’, soprattutto aristocratici. All’esterno, la Francia prosegue la sfida contro gli Asburgo d’Austria e di Spagna, intervenendo con successo nella guerra dei Trent’anni. Per la Spagna, la pace dei Pirenei (1659) accelera il progressivo e definitivo declino politico ed economico. In Inghilterra, il tentativo della dinastia Stuart di affermare l’assolutismo monarchico, come in Francia, XVII trova resistenze molto maggiori, coalizzate attorno al parlamento di Londra. Lo scontro, che è anche sociale e religioso (re-grandi aristocratici-anglicani contro parlamento-borghesi-puritani), sfocia in una 1^ guerra civile (1642-1649): nel 1949, il re Carlo I Stuart viene sconfitto e decapitato: proclamata la parte, repubblica sotto il “protettorato” di Cromwell, leader del parlamento e dei puritani (i calvinisti inglesi). fino La Germania è teatro della devastante guerra dei Trent’anni (1618-1648), scontro tra cattolici e al protestanti, e anche tra il progetto degli Asburgo d’Austria (alleati con quelli di Spagna) di riaffermare 1660 la propria egemonia imperiale, e le forze ostili a questo progetto: i principi protestanti, in Germania, e le varie potenze (Francia, Danimarca, Svezia) che in fasi diverse intervengono nel conflitto. La guerra finisce col trattato di Westfalia (1648) che sancisce: il declino dell’autorità imperiale in una Germania devastata dalla guerra, e sempre più frantumata in una miriade di 300 stati regionali e cittadini, e l’ascesa di nuove potenze militari (la Svezia e la Prussia) e commerciali (l’Olanda). I trattati di Westfalia (’48) e dei Pirenei (’59) segnano perciò una svolta nei rapporti tra gli stati europei 1600 14 2^meta del secolo: In Francia, diventata dopo il declino degli Asburgo la maggiore potenza europea, il lunghissimo regno di Luigi XIV, il Re Sole (1661-1715), segna il trionfo dell’assolutismo monarchico, con la massima centralizzazione del potere dello stato. Scarsi esiti hanno invece le numerose guerre d’espansione condotte dal re, contro il quale si coalizzarono le altre potenze europee. In Inghilterra, dopo la restaurazione della monarchia Stuart nel 1660, il suo rinnovato indirizzo assolutistico provoca una seconda rivoluzione, questa volta incruenta: la Glorious Revolution (1689), con l’instaurazione di una sovrano olandese, Guglielmo d’Orange, che sottoscrive il Bill of Right, una carta dei diritti che diventa la base di una monarchia parlamentare, nella quale il potere legislativo è saldamente in mano al parlamento: in questa direzione il nuovo sistema si consolida per tutto il ‘700. XVII Dalla fine del ‘600 l’Inghilterra prosegue la sua espansione marittima e coloniale in Asia e America, in forte competizione economica con l’Olanda, contro la quale conduce diverse guerre commerciali. L’Olanda, rafforzata dalla guerra dei Trent’anni, prosegue la sua espansione coloniale e commerciale 2^ ma subisce la sempre più serrata concorrenza della potenza inglese contro il suo primato marittimo. parte L’Italia, divisa in piccoli stati regionali o cittadini, direttamente o indirettamente sotto l’egemonia spagnola, subisce il declino politico ed economico della Spagna e la decadenza del Mediterraneo, rispetto alla grande espansione marittima commerciale e coloniale degli stati atlantici. Nell’area tedesca, prostrata dalle conseguenze della guerra dei Trent’anni, emerge la potenza del regno di Brandeburgo-Prussia. Nell’area balcanica, l’assedio di Vienna del 1683 da parte dei turchi, respinto, è l’ultimo atto dell’espansionismo dell’impero ottomano, e l’inizio del suo declino. Nell’Europa orientale, prosegue l’espansione dell’impero russo della dinastia Romanov Sullo sfondo, per tutto il secolo, il ristagno demografico provocato dalle frequenti epidemie di peste, il 1700 regresso economico dell’Europa mediterranea e l’ascesa economica dell’Europa nord-occidentale. 1660 Ora, nel paragrafo 3.1 tireremo le somme dell’evoluzione dei rapporti nel sistema degli stati europei, e nel paragrafo 3.2 esamineremo l’evoluzione interna di alcuni stati, rispetto al nostro modello di analisi, con un’attenzione particolare per il caso francese 3.1 L’evoluzione dei rapporti tra gli stati Dall’inizio del Cinquecento (più esattamente dagli anni ‘20 del secolo) alla metà del Seicento, l’Europa fu teatro di guerre continue, quasi tutte legate all’intreccio di due fattori: le contrapposizioni religiose tra cattolici e protestanti, e il tentativo degli Asburgo di affermare la propria supremazia. Questo tentativo, contrastato da tutte le altre potenze, singolarmente o in coalizione, venne stroncato definitivamente con i trattati di Westfalia del 1648 e dei Pirenei del 1659. Seguiamo questa parabola. Le guerre d’Italia per l’egemonia sulla penisola (molto ambita per il suo primato economico e culturale, e per la debolezza politica dei suoi stati), erano già iniziate tra Francia e Spagna alla fine del Quattrocento. Ma la contesa si nutrì di nuovi motivi con la salita al trono di due giovani e ambizioni sovrani, Francesco I in Francia (1515) e Carlo V. Il fatto che nel 1519 quest’ultimo fu eletto imperatore (a scapito dell’altro) espose il regno di Francia, allora il più potente e popoloso d’Europa, al rischio di essere stretto in una “tenaglia”. Oltre alla guerra in Italia, però, Carlo V dovette fronteggiare anche l’eresia luterana in Germania, nonché l’espansionismo dell’impero turco nel Mediterraneo e nei Balcani. Carlo V aveva molti nemici, ed anche “amici” spesso poco affidabili, come il papa. Perciò nel 1556, quando abdicò, divise l’immenso impero tra il figlio Filippo e il fratello Ferdinando, per concentrare le forze contro i troppi nemici. Ma nei successivi cent’anni, lo schema dei rapporti in Europa rimase lo stesso. Il “cattolicissimo” Filippo II e i suoi successori dovettero combattere su più fronti: il più oneroso fu quello delle Fiandre, o Paesi Bassi, la cui rivolta era dovuta al desiderio di indipendenza politica, religiosa (gli olandesi erano in larga maggioranza calvinisti) ed economica (la ricca provincia dei Paesi Bassi costituiva per la Spagna la maggior fonte di tributi). Quella guerra, durissima, portò più volte alla bancarotta lo stato spagnolo (e rovinò i banchieri di Genova e Anversa che lo finanziavano), ed ebbe un esito fallimentare, dato che le province del nord (attuale Olanda) nel 1609 divennero indipendenti come Repubblica delle Province Unite; la Spagna riuscì solo a staccarne le province meridionali, cioè l’attuale Belgio, sulle quali mantenne il controllo. Fallimentare fu anche il tentativo di sostenere le forze filo-cattoliche in Inghilterra (dopo il rifiuto, da parte della regina Elisabetta, di sposare Filippo II, cosa che avrebbe unificato le due corone); e nel 1588 la flotta inglese e il naufragio dell’Invencible Armada stroncarono l’ambizioso progetto spagnolo di invadere l’Inghilterra. Filippo II sostenne anche le forze cattoliche nelle guerre di religione in Francia, ma anche in questo caso la fine di quelle guerre, con la salita al trono dell’ex ugonotto Enrico IV, ebbe un esito 15 opposto a quello sperato. I successori di Filippo II ebbero risultati ancora peggiori, intervenendo nella guerra dei Trent’anni a fianco degli Asburgo d’Austria, e quando nel 1659 la Spagna fu costretta a firmare la pace dei Pirenei con la Francia, che equivaleva a una resa, essi era ormai un paese in declino, nonostante il suo immenso impero coloniale nelle Americhe. E tale declino politico ed economico (di cui è immortale emblema letterario l’hidalgo don Chisciotte) si estese agli stati regionali italiani, allora dominati dalla Spagna. Anche gli Asburgo l’Austria assunsero il ruolo di sovrani “cattolicissimi”, ai quali la geografia politica assegnava due avversari: l’impero turco ottomano, musulmano, nel Mediterraneo e nei Balcani, e i principi luterani in Germania. Il tentativo di riaffermare l’egemonia asburgica e cattolica nel Sacro Romano Impero scatenò la terribile guerra dei Trent’anni: di fronte agli iniziali successi delle truppe imperiali, intervennero in successione danesi, svedesi e anche la Francia, che non esitò ad allearsi coi protestanti pur di sconfiggere gli Asburgo, come alla fine accadde, nel 1648. Nella seconda parte del Seicento (e ancora di più nel Settecento), peraltro, gli Asburgo d’Austria seppero estendere il loro impero sia a spese dei turchi (che nel 1683 assediarono per l’ultima volta Vienna, ma poi iniziarono un lungo declino), conquistando l’Ungheria, sia in Italia, ove all’inizio del Settecento sostituirono la loro egemonia a quella spagnola. L’epoca che inizia nel secondo Seicento ha caratteristiche diverse, come ci spiega lo storico Paul Kennedy: “Il secolo e mezzo di lotte internazionali che iniziò nel 1660 fu molto diverso da quello che lo aveva preceduto; questi cambiamenti riflettono un ulteriore stadio della politica internazionale. La caratteristica più significativa della scena delle grandi potenze dopo il 1660 fu il consolidarsi di un vero e proprio sistema multipolare di stati europei, ciascuno dei quali tendeva a prendere decisioni in merito alla guerra o alla pace sulla base di “interessi nazionali” piuttosto che di ragioni sopranazionali o religiose. Questo non fu, beninteso, un cambiamento repentino e assoluto. Tuttavia, la principale caratteristica del periodo 1519-1659 (cioè l’asse austro-spagnolo stabilito dagli Asburgo, contro una coalizione di stati protestanti più la Francia) scomparve e venne sostituita da un sistema molto più libero di alleanze variabili e a breve termine. Paesi che in una guerra erano stati nemici spesso si ritrovarono alleati nella successiva (…). Le variazioni in campo diplomatico e bellico venivano ulteriormente complicate da un elemento non nuovo ma comune a tutte le epoche: l’ascesa di alcuni stati e il declino di altri. Durante questo secolo e mezzo di rivalità internazionali, dall’assunzione dei pieni poteri di Luigi XIV in Francia nel 1661 alla resa di Napoleone dopo Waterloo nel 1815, alcuni degli stati che avevano dominato nel periodo precedente (l’impero ottomano, la Spagna, l’Olanda, la Svezia) ricaddero in posizione di second’ordine, e la Polonia scomparve del tutto come stato. Gli Asburgo d’Austria, tramite vari assestamenti territoriali e strutturali nei loro territori ereditari, riuscirono a mantenersi al primo livello; e nella Germania settentrionale il Brandeburgo-Prussia riuscì a raggiungere quello stesso livello. A Occidente, la Francia, prima del 1660, aveva incrementato la propria potenza militare tanto da diventare il più forte stato europeo e, secondo molti osservatori, da essere in grado di esercitare un dominio come non erano riusciti a fare gli Asburgo mezzo secolo prima. Solo unioni temporanee di stati vicini impedirono alla Francia di dominare l’Europa centro-occidentale, con una serie di lunghe guerre (1689-1697; 1702-1714; 1739-1748; 1756-1763); ma questa possibilità si ripresentò nell’epoca napoleonica [1796-1815], con una serie di vittorie militari francesi cui pose fine soltanto una coalizione delle altre quattro grandi potenze [l’impero asburgico d’Austria, l’impero russo, l’Inghilterra, la Prussia]. Tra la Francia a ovest e i due stati tedeschi di Prussia e Austria a est, quindi, si venne a creare, all’alba del Settecento, un vero e proprio equilibrio trilaterale nel cuore del’Europa. Ma in quel periodo, i cambiamenti veramente significativi all’interno del sistema delle grandi potenze si verificarono alla periferia dell’Europa, e anche più lontano. [qui l’autore allude all’espansione marittima e coloniale dell’Inghilterra, a ovest, e quella territoriale della Russia a est]”. Dunque, nel secondo Seicento si inaugurò un nuovo sistema di equilibrio “multipolare” tra cinque grandi potenze europee (Russia, Prussia, Austria, Francia, Inghilterra), secondo logiche diverse da quelle dell’età precedente. Un equilibrio “a somma zero” all’interno dell’Europa, cioè che impedì stabili egemonie, e consentì invece l’espansione verso l’esterno degli imperi russo e inglese. 16 3.2 L’evoluzione interna dello stato: alcuni casi esemplari L’evoluzione interna fu evidentemente influenzata dai rapporti con gli altri stati (in particolare dall’esito delle guerre), ma vale altrettanto la relazione inversa: il successo o l’insuccesso nei rapporti internazionali di ogni singoli stato dipese anche dalla sua capacità di consolidarsi al suo interno, ossia di attuare la triplice centralizzazione: del potere (piegando i contropoteri), delle risorse (indispensabili per finanziare la guerra), della violenza legittima. Tra il Cinquecento e il Seicento questa centralizzazione, ovvero il rafforzamento dello stato, fece un salto di qualità, tanto che si può parlare di passaggio dalla ‘proto-storia’ alla storia dello stato moderno. La tendenza prevalente in quei due secoli fu la realizzazione dello stato assoluto (dal latino: legibus solutus), cioè sciolto, liberato dall’osservanza di leggi e vincoli che non fossero la volontà stessa del sovrano, unica legittimazione del potere (secondo la formula che fu anche teorizzata nel secondo Cinquecento da filosofi e giuristi). Ma questa tendenza non si realizzò ovunque, né fu lineare e costante: come vedremo, in taluni casi o in alcuni periodi prevalsero le controtendenze che si opponevano alla centralizzazione del potere. Le vicende religiose ebbero grande influenza sull’evoluzione interna degli stati, ma con esiti diversi e talora opposti nei differenti casi. Come già visto, la riforma protestante diventò un fattore di disgregazione e di indebolimento del potere centrale per l’impero degli Asburgo; viceversa, essa diventò un potente fattore di coesione interna e di rafforzamento dello stato per la Prussia, la Svezia e l’Olanda. Poiché è impossibile seguire i modi con cui la triplice centralizzazione si realizzò – o fallì – all’interno dei differenti stati, ci limiteremo ad esaminare più o meno ampiamente alcuni casi significativi. a. Il caso della Polonia è l’esempio più vistoso del fallimento dello stato, in particolare nei confronti del contropotere costituito dalla grande aristocrazia terriera. Nel ‘500 la Polonia era un regno vastissimo, molto composito per gruppi etnici e religiosi (cattolici, ortodossi, luterani, calvinisti e numerose comunità ebraiche), che il diffuso spirito di tolleranza risparmiò da guerre e conflitti religiosi: caso unico nell’Europa del tempo. Ma le cose cambiarono dal ‘600 in poi, quando la nobiltà polacca impose al paese una forte identità nazionale cattolica, forse anche per la posizione di “frontiera” tra l’impero turco musulmano, quello russo ortodosso, e i regni luterani di Svezia e Prussia. Soprattutto, però, nel ‘600 la nobiltà accentuò il suo strapotere sociale e politico: da una parte impose ai contadini il servaggio (cioè la servitù della gleba, scomparsa da secoli nell’Europa occidentale); dall’altra essa conquistò il diritto di eleggere i sovrani, scegliendoli sempre tra dinastie straniere in modo che essi fossero debolissimi. Il regno di Polonia divenne così, di fatto, una repubblica aristocratica, con un potere centrale debolissimo e una borghesia quasi inesistente, dato lo strapotere della nobiltà agraria. La conseguenza fu il declino politico ed economico che portò addirittura, alla fine del ‘700, alla scomparsa dello stato polacco, spartito tra Russia, Prussia e Austria (esso rinacque dopo oltre cent’anni, nel 1918, alla fine della 1^guerra mondiale). b. Il caso della Spagna è l’esempio delle difficoltà di un grande impero a realizzare uno stato assoluto e centralizzato, nonostante gli Asburgo perseguissero questo obiettivo. Il fallimento del loro progetto di egemonia europea fu dovuto infatti non solo a fattori esterni (cioè, come abbiamo visto, i troppi avversari con cui dovettero misurarsi Carlo V, Filippo II e i suoi successori), ma anche a fattori interni, e cioè: - i possedimenti degli Asburgo, dispersi su mezza Europa (oltre alle colonie americane), erano troppo disomogenei, e in ciascuno di essi vi erano contropoteri in grado di mettere in difficoltà la monarchia: le città spagnole che si ribellarono più volte contro le tasse o per difendere antichi privilegi; i principi luterani in Germania e i calvinisti olandesi (entrambi questi soggetti, si noti, dal punto di vista dei sovrani Asburgo erano considerati “contropoteri” interni al loro impero). - l’inefficienza degli sovrani spagnoli nel drenare risorse finanziarie, e la cronica debolezza economica della Castiglia (cuore dell’impero ma regione semidesertica e pastorale), costrinsero più volte, nel secondo ‘500 e nel ‘600, la monarchia a dichiarare bancarotta. Altro esempio: l’armata spagnola nei Paesi Bassi si ammutinò per ben 46 volte tra il 1572 e il 1606, a causa delle paghe che non arrivavano, e in una di queste rivolte saccheggiò irreparabilmente la città di Anversa, che insieme a Genova era il centro finanziario dell’impero spagnolo. Pertanto, la debolezza nel drenare le risorse compromise anche l’efficienza militare dello stato, la sua capacità di mantenere il monopolio della violenza e di vincere le guerre. 17 c. I casi dell’Olanda e, soprattutto, dell’Inghilterra sono esempi importanti di un rafforzamento dello stato e dei suoi poteri ma in una direzione diversa da quella francese (che esamineremo subito dopo): non l’assolutismo monarchico, bensì lo sviluppo di uno stato mercantile – in qualche modo, sull’esempio della Repubblica Serenissima di Venezia del Quattrocento – , cioè uno stato attento a promuove gli interessi economici dei suoi ceti mercantili (mercanti, banchieri, grandi armatori navali), che erano proiettati sui commerci marittimi. Nel caso olandese, questo fu realizzato da una repubblica oligarchica; nel caso inglese, da una monarchia parlamentare (ma su entrambi i casi torneremo in seguito…). d. Il caso della Francia è, viceversa, l’esempio più riuscito di assolutismo, la deliberata ed esplicita volontà del sovrano di realizzare un potere assoluto, che diventò un modello per l’intera Europa. Perciò qui di seguito esamineremo più ampiamente il caso francese. Da segnalare che un altro caso di assolutismo realizzato in modo efficace fu quella della Prussia (vedi libro di testo, carta a pag.68, testo a pag.69) 4. Lo stato moderno in Francia: la monarchia assoluta 4.1 Nella prima metà del Cinquecento, fino al 1559 anno Totale entrate (tonnellate argento) Popolazione (in milioni) All’inizio del ‘500 il regno di Francia era un paese 1500 35 1,0 Venezia enorme, ancora per un terzo coperto di foreste: a 1560 39 1,6 percorrerlo da nord a sud un uomo medio impiegava 1600 80 1,8 un mese. Come mostra la tabella, era anche molto più 1532 96 15 Francia popoloso degli altri stati. Dopo la guerra dei 100 anni, 1560 222 16,5 la dinastia dei Valois aveva ripreso ad espandersi in 1600 236 17,5 tutte le direzioni e a fagocitare le enclaves feudali interne. 1510 29 4,5 Spagna Ma solo alla fine del ‘400 la lingua francese (langue d’oil) 1560 140 7,5 iniziò ad essere parlata anche a sud della Loira. 1598 340 8,5 Fino ad allora l’identità collettiva era quella cristiana, e 220 7,1 Castiglia 1598 solo alla fine del ‘500 iniziò a diffondersi tra i ceti dominanti la coscienza di appartenere a una nazione. 69 4,2 Inghilterra 1610 Parimenti, solo a fine ‘500 emerse la centralità di Parigi tabella tratta da F. Braudel, Civiltà e imperi… 1976 quale capitale e sede stabile dei sovrani: i re della dinastia Valois erano re itineranti, per garantirsi le L’evoluzione del sistema fiscale francese andò entrate e per controllare la nobiltà. dall’imposta eccezionale di guerra, a un’imposta regolare Secondo storico Le Roy Ladurie (1999), le guerre di guerra, a un’imposta regolare anche in tempo di pace, all’esterno, iniziate nel 1494 con la campagna d’Italia e questo processo si concluse alla fine del sec. XV: di Carlo VIII e proseguite da Luigi XI, da Francesco I - a inizio ‘300 (epoca di Filippo il Bello): 46 tonnellate ed Enrico II fino agli anni ’50, ebbero un duplice 1430 (territorio mutilato per la guerra): 52 t vantaggio: 1) evitarono i conflitti interni, da parte della fine ‘400 (sotto Luigi XI): 100 t bellicosa nobiltà feudale (che infatti li ricominciò nella metà ‘500 (sotto Enrico II): 190 t seconda metà del ‘500), cioè pacificarono il paese; inizio ‘600 (sotto Enrico IV): 200 t 2) il costo di quelle guerre indusse lo stato ad - metà ‘600 (governo di Mazzarino): 1.000 t ** aumentare il prelievo fiscale (che fino a metà del ‘500 ** questo livello di 1.000 tonnellate d’argento di imposte era modesto), vendendo cariche e uffici: ciò servì ad rimase stabile fino all’inizio del ‘700, cioè per tutto il regno di irrobustire uno stato che fino ad allora aveva un apparato burocratico del tutto insufficiente, soprattutto Luigi XIV, salvo qualche momento breve ed eccezionale. dati tratti da E. Le Roy Ladurie, Lo stato del re, 1999 ai fini del controllo delle violenze private, ancora molto diffuse. Infatti all’ inizio del ‘500 vi erano solo 4000-5000 detentori di cariche pubbliche (150 anni dopo sarebbero stati 46.000, dieci volte di più). Il rafforzamento del potere della monarchia, in questa prima metà del secolo, fu perciò un fattore di stabilità e di pace interna per il paese. Francesco I, durante il suo lungo regno (1515-47), fu un tipico sovrano rinascimentale, munifico nel promuovere l’arte (attirò alla sua corte Leonardo da Vinci) e spregiudicato in politica: non esitò ad allearsi sottobanco con i principi luterani (mentre, all’interno, perseguitava i protestanti), e anche con il sultano turco, per ostacolare la potenza degli Asburgo. 4.2 Nella seconda metà del Cinquecento, fino al 1598 Dopo il 1559, quando morì il re Enrico II e assunse la reggenza la moglie Caterina de' Medici, esplosero i contrasti religiosi tra i cattolici e i calvinisti francesi, detti ugonotti. Questi contrasti degenerarono in guerre di religione che furono anche guerre civili, con le due potenti casate nobiliari dei duchi di Guisa e dei Borboni a 18 capo delle rispettive fazioni. Le guerre proseguirono con rare interruzioni fino agli anni '90, con stragi, tradimenti e uccisioni dei capi delle due fazioni e dei possibili pretendenti al trono: clamorosa fu la strage della notte di San Bartolomeo, nel 1571, quando in una festa di “riconciliazione” furono uccisi a tradimento quasi tutti i capi ugonotti. La Spagna di Filippo II spalleggiò i cattolici, ma fu il capo della fazione protestante, Enrico di Borbone, unico legittimo erede al trono sopravvissuto alle guerre, a prevalere: si convertì al cattolicesimo, e questa scelta gli spalancò trionfalmente le porte di Parigi, ove salì al trono nel 1594. Nel 1598 egli siglò la pace con la Spagna ed emanò l’editto di Nantes, che proclamava il cattolicesimo religione ufficiale, ma assicurava anche agli ugonotti la libertà di culto (fuori da Parigi) e alcune città fortificate, tra qui la cittàfortezza di La Rochelle. In questo mezzo secolo si ebbe dunque un forte indebolimento dello stato rispetto ai contropoteri, in particolare quelli rappresentati dalle grandi casate nobiliari delle due fazioni in conflitto, ciascuna in grado di armare propri eserciti: la monarchia, perciò, perse anche il monopolio della forza legittima, e la Francia ripiombò nell’anarchia feudale, con il dilagare della violenza, anche se la crisi fu poi superata con l’avvento al trono della nuova dinastia dei Borbone, alla fine del secolo. Diminuì anche la capacità di drenare risorse, soprattutto in termini di entrate fiscali. Infatti, osservando le cifre di pag.18 (e tenendo conto, cosa fondamentale, che l’inflazione della seconda metà del Cinquecento diminuì il valore delle tonnellate d’argento di quel periodo), si nota in questo mezzo secolo un lievissimo incremento nominale delle entrate, che a causa dell’inflazione corrisponde di fatto a un decremento di tali entrate, cioè della capacità impositiva dello stato. 4.3 La prima metà del Seicento, dall’editto di Nantes al governo di Mazzarino (1661) In questo periodo si succedono fasi diverse, che è necessario seguire distintamente: - dal 1598 al 1610, quando venne assassinato da un fanatico cattolico, il “convertito” Enrico IV rafforzò il potere della monarchia: il suo fu un centralismo proto-assolutistico, senza il fasto e il prestigio della successiva età del Re Sole. Fu lui a istituire nel 1604 la Paulette, una tassa che consentiva ai detentori delle cariche pubbliche di nobilitarsi e di trasmetterle ereditariamente ai discendenti: così venne di fatto creata la nobiltà di toga, che suscitò l’ostilità della nobiltà di spada. - 1610-1620: dopo l'assassinio di Enrico IV e durante la reggenza di Maria de’ Medici, madre del re Luigi XIII ancora minorenne, l'aristocrazia approfittò della debolezza della monarchia e impose la convocazione degli Stati generali (antico organismo di rappresentanza dei tre ordini: clero, aristocrazia, terzo stato cioè borghesia: organismo caduto in disuso dall’inizio del ‘500), con l’obiettivo di limitare i poteri del sovrano e l'ascesa sociale della borghesia degli uffici e della nobiltà di toga. - 1620-1642: Luigi XIII, divenuto maggiorenne, salì al potere, ma di fatto il governo fu esercitato dal suo primo ministro, il cardinale Richelieu, dal 1624 alla morte nel 1642 (quasi contemporanea a quella del re). Il governo di Richelieu centralizzò e rafforzò il potere dello stato. Egli iniziò assediando La Rochelle, la città-fortezza degli ugonotti (ai quali lasciò però la libertà di culto, sancita dall’editto di Nantes). Colpì poi, anche con condanne a morte, numerosi nobili incolpati di delitti contro lo stato, per stroncare il loro potere (come già detto a pag.10, Luigi XIII distrusse più castelli di quelli che costruì: beninteso, distrusse quelli degli aristocratici, all’interno, costruì quelli sulle frontiere del regno). Represse con durezza le rivolte contadine, numerose per l’aggravamento delle condizioni di vita nel primo Seicento e per il crescente inasprimento del carico fiscale. Richelieu diede anche maggiori poteri agli intendenti, rappresentanti dello stato in periferia, e tramite queste figure rafforzò il controllo dello stato sul territorio. Dal 1635 egli impegnò la Francia nella guerra dei 30 anni, combattendo in particolare contro gli Asburgo di Spagna. - 1642-1661: Richelieu e Luigi XIII morirono lo stesso anno e, con l'erede al trono Luigi XIV ancora bambino, la Francia venne governata per un altro ventennio da un altro primo ministro cardinale, il Mazzarino. Egli proseguì la politica del predecessore, ma dovette fronteggiare difficoltà molto maggiori. Nonostante i suoi successi militari nella guerra dei 30 anni (con la pace di Wesfalia e quella dei Pirenei la Francia indebolì i suoi nemici, gli Asburgo, e acquisì alcuni territori di confine con la Germania e con la Spagna), i costi della guerra e il conseguente inasprimento fiscale provocarono rivolte contadine, favorite anche da una lunghissima crisi agraria. Inoltre la città di Parigi, con suo parlamento, si sollevò nel 1648 contro l'assolutismo regio, e costrinse la corte a fuggire: era la "fronda [=rivolta] parlamentare", una vera e propria guerra civile che durò alcuni mesi (proprio quando, oltre la Manica, il parlamento inglese tagliava la testa al suo re Carlo I). Di lì a poco esplose un'altra rivolta, questa volta promossa dall'aristocrazia: la "fronda dei principi”, che sembrò far ripiombare il regno nelle guerre civili del secondo Cinquecento. Essa durò dal 1650 al 1652, quando la corte e Mazzarino, con il sostegno della borghesia, poterono rientrare a Parigi nella pienezza dei loro poteri. 19 Sia nel rapporto con i contropoteri (soprattutto l’aristocrazia di spada, ma anche la borghesia urbana che trovava voce nel parlamento di Parigi, e i centri fortificati degli ugonotti), sia nella capacità di mantenere il monopolio della violenza, questo periodo fu dunque contrassegnato da un andamento alterno. Si ebbero indubbi progressi nella direzione dell’assolutismo, tenacemente perseguito da Enrico IV e dai ministri-cardinali Richelieu e Mazzarino, ma anche forti opposizioni, soprattutto – ma non solo – nelle fasi di interregno. Sulla base del 2^ riquadro di pag.18, osserviamo che la capacità di drenare risorse ebbe invece in questo mezzo secolo un forte aumento. Se teniamo conto del fatto che il Seicento, all’opposto del Cinquecento, non fu un secolo di inflazione, colpisce l’alto incremento di entrate, che quintuplicarono. Ciò spiega anche il profondo disagio dei ceti popolari e le loro frequenti rivolte – peraltro sempre represse – di questo periodo. 4.3 Il lungo regno di Luigi XIV, il Re Sole (1661-1715): l’apogeo dell’assolutismo monarchico Vedi libro di testo, pp.62-65…. Riferimenti bibliografici. I brani riportati nel testo sono tratti dalle seguenti opere: Charles Tilly, L’oro e la spada, Ponte alle Grazie, Firenze 1991 George Huppert, Storia sociale dell’Europa moderna, Il Mulino, Bologna 2001 Paul Kennedy, Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti, Milano 1999 William H. Mc Neil, Caccia al potere. Tecnologia, armi, realtà sociale dall’anno Mille, Feltrinelli, Bologna 1984 Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Einaudi, Torino 1976 Emmanuel LeRoy Ladurie, Lo stato del re. La Francia dal 1460 al 1610, Bologna, Il Mulino 1999 20 Appendice: DOCUMENTI Doc. 1 L’anarchia feudale. 1040, Reggio Emilia Questo brano è una parte del “Polittico delle malefatte”: è così chiamato un promemoria scritto dal vescovo di Reggio, che offre un vivo spaccato dei costumi del tempo. Non si è ancora affermato il comune, né l’influenza dei conti di Canossa. Il vescovo è il rappresentante imperiale, con vasti poteri feudali e di governo della città (e i canonici sono i suoi collaboratori). Eppure, ecco cosa possono… permettersi di combinare, a lui e ai suoi canonici, i figli (Guido e Ugo) e i nipoti di Gandolfo da Palude, una famiglia di signorotti feudali da pochi decenni insediatisi nel reggiano. E’ la testimonianza dell’ascesa di una nuova aristocrazia, spesso di oscure origini, che si incunea tra i poteri tradizionali e i contadini, a spese di entrambi. “ Inizia l’elenco delle malversazioni compiute a Rivalta e in altri luoghi dai figli di Giudo ai danni dei canonici di Reggio. Nei tempi in cui era rettore di detta canonica, Ildeberto rapita la figlia del prete Asprando contro la volontà del vescovo Tenzone, fuggì sotto la protezione di Ugo e Guido, figli di Gandolfo da Palude, e affinché lo proteggessero dal vescovo, concesse loro in livello [ndr: contratto di affitto trentennale], contro la volontà del vescovo e dei canonici, il castello e le terre padronali di Rivalta. Da quel giorno non ebbero più termine le angherie di costoro, sicché i canonici non ebbero più potere su tale corte, se non quel tanto che permettevano essi e i loro servi (…). Ora non permettono che i servi dei canonici, cioè i loro boscaioli, cuochi, fornai e amministratori, servano e obbediscano a essi. (…). C’è Ugo, quello detto “il conte di Rivalta”, che occupa con la forza la casa e la terra del prete Giovanni. I suoi fratelli, con lui, si sono impossessati di un podere di Rivalta, già lavorato dal massaro Racagno, ne hanno tagliato la vigna e distrutto la casa, per poi dividersi la terra come una loro proprietà. Hanno poi rubato ai canonici la Selva Maggiore. Così essi e i loro servi angariano i contadini dei canonici, compiendo malversazioni, devastando i loro possessi, danneggiandoli continuamente al punto che, a causa di tutte le loro violenze, costoro dicono di voler abbandonare la terra [segue un lungo elenco, qui omesso, di violenze sui contadini e di appropriazioni di terre compiute ad Argine, Bagnolo, Gavasseto, Noceto, Reggio…]. A Paolone hanno rubato 11 porci e 7 capre, a Giovanni Dentulo 4 porci e un carro. Al nostro arimanno (=uomo libero, in longobardo) Arnolfo hanno rotto la chiusa del mulino e da quando io sono diventato vescovo non hanno mai cessato di perseguitare i miei arimanni di Modolena e poiché questi si sono lamentati di ciò con me, costoro minacciano di bruciare le loro case. Il prete Gerardo, mortagli una sua donna, benché fosse ormai vecchio, il giorno dell’Ascensione se ne prese un’altra, cosa che noi gli abbiamo vietata, come era giusto, in modo che, se si fosse accompagnato ancora con lei, dovesse restituirci la carica di canonica e darci un suo podere; ma egli, non tenendo conto di queste nostre ingiunzioni, stette di nuovo con lei. Dopo di ciò si presentò ai confratelli e giurò che mai aveva giaciuto né convissuto con quella donna, voleva quindi darci una casa e un’altra terra, se gli concedevamo di abitare con lei, alla presenza dello stesso Ugo. Ugo e suo fratello Guido gli permisero di abitare con lei e gli concessero anzi in beneficio il nostro arcidiaconato. Inoltre hanno incendiato Arceto, un nostro castello con la sua chiesa, le case dei nostri coloni le hanno trasportate a Sabbione e hanno dato fuoco alle vigne e a una parte di selva.” - principale indicatore di analisi: il potere nell’ XI secolo - altro indicatore di analisi: i costumi del clero prima della riforma della Chiesa iniziata da Gregorio VII, e conclusa dalla Controriforma. --------------------------------------------------------------------Doc.2 Il potere di conio, da Carlomagno a Luigi IX A. Da due capitolari di Carlo Magno, fine del secolo VIII: “Sulla moneta: nessuno dopo le calende di agosto osi dare o accettare quei denari che aveva prima; se qualcuno lo farà, paghi la nostra ammenda.” “Per quanto concerne i denari, vi sia noto senza possibilità di dubbio il nostro editto: in ogni luogo, città e mercato abbiano ugualmente corso questi nostri denari e siano ricevuti da tutti.” B Dall’ordinanza sulla moneta emanata dal re di Francia Luigi IX nel 1293: “ Nessuno potrà fare una moneta che assomigli a quella del re [il denaro d’argento, 1/12 di soldo], ma anzi dovrà essere con tutta evidenza assai diversa. Nessuna moneta sia accettata nel regno a partire dal giorno di San Giovanni, là dove non ci sono monete locali, all’ infuori della moneta del re e nessuno venda, compri o faccia mercato se non con quella moneta. E la moneta del re può e deve avere corso per tutto il regno, senza essere ostacolata da nessuno, abbia o no costui una moneta propria.” - Confronta i documenti 2A e 2B, assumendoli come fonti sulla situazione del potere (che si esprime anche nel potere di conio, cioè di emissione, della moneta): quali informazioni permettono di ricavare? 21 Doc.3 Una signoria bannale. Francia, metà sec.XII Doc.4 La nobiltà cittadina, fine del sec.XII Una carta di consuetudini emanata da una signoria ecclesiastica (il monastero di Saint-Denis) della regione del Berry, nella Francia centrale, cui è soggetto il villaggio di La Chapelle. Nel documento A l’autore di una Cronaca genovese riporta un episodio accaduto tra due casate della nobiltà cittadina di quella città, nel 1194. Il documento B è la prima parte di un atto notarile che registra l’accordo in un clan familiare bolognese di nobiltà inurbata, per la costruzione di una casa-torre. All’interno delle città, le case-torri dell’aristocrazia feudale inurbata non erano, evidentemente, soltanto simboli del prestigio nobiliare, che richiamavano i castelli rurali in cui gli aristocratici abitualmente vivevano. Non a caso, nei secoli successivi i comuni imposero di abbassare, o addirittura di abbattere la maggior parte delle case-torri urbane; così come le monarchie, secoli dopo, presero a distruggere i castelli aristocratici nelle campagne. “Il priore avrà credito nel villaggio per il pane, la carne e altre merci fino a 14 giorni. Se un personaggio potente è ospitato dai monaci e non si trova carne nel villaggio, i sergenti prenderanno i maiali e i polli; a giudizio di due o tre uomini, il priore pagherà il prezzo ai proprietari entro 14 giorni. Ogni volta che vorrà, il priore venderà il suo vino sotto il bando [il banvin, bando del vino, era uno dei più diffusi diritti bannali], tranne che nelle fiere. Nessun abitante del villaggio oserà vendere il suo, fino a che resterà qualcosa da vendere del vino dei monaci, a meno che non lo abbia fatto prima del bando. Se qualcuno osa violare il bando pagherà 60 solfi. I monaci non venderanno il vino sotto bando a prezzo più caro degli altri. Nessuno osi aumentare o diminuire la misura del vino e del grano che il priore ha stabilito. Se lo farà, pagherà l’ammenda e la misura non conforme andrà distrutta. Se qualcuno, residente entro i confini delle quattro croci, cuoce il suo pane altrove che al forno del monastero di Saint-Denis, e ciò viene provato, pagherà il diritto del forno poi l’ammenda. Parimenti, se verrò provato che qualcuno ha macinato il suo grano altrove che al mulino del santo, pagherà il diritto del mulino e l’ammenda. Si stabilisce che qualsiasi abitante di La Chapelle che esporrà in vendita il suo vino pagherà ai monaci un sestario [=circa mezzo litro] per ogni botte (…). Il priore imporrà nel villaggio, con il consiglio dei monaci e dei sergenti, una moneta che sia utile a lui e ai borghesi e che sia accolta in altri villaggi intorno a La Chapelle.” Indicatori di analisi: a) il sistema bannale; b) il funzionamento dell’ economia influenzata da questo sistema sociale; c) il rapporto tra potere centrale e contropoteri, nei primi secoli dopo il Mille. ---------------------------------------------------------------------Sui prossimi documenti, la consegna è: 1. cercare di individuare autonomamente la/le domanda/e, cioè le prospettive d’indagine (indicatori di analisi), cui i documenti possono dare le risposte (cioè le informazioni) più interessanti; 2. raccogliere tali informazioni. A. “ I Volta e quelli della loro parte costruirono un’arma nuova e potente. Rivolsero la spingarda di legno contro la torre di Oberto Grimaldi e contro la nuova torre di Obero Spinola. Con questa, in vista di tutti, riuscirono a fare un buco nella nuova torre di Bulbunoso, che sta al crocevia di San Siro. In tal modo distrussero gran parte della torre e la fecero crollare. Poi gli uomini della corte vennero a mettere in posizione una macchina nell’orto di San Siro, con la quale scagliarono molte pietre contro le case e le torri di Oberto Grimaldi e della famiglia Spinola. In seguito eressero altre macchine e anche l’altra parte costruì molte macchine e gettò molte pietre sulle case e le torri di quelli della corte. ” B “ In nome di Dio, anno 1196, 12 aprile. Noi che giuriamo questo breve scritto giuriamo in buona fede e senza frode di aiutarci vicendevolmente con la torre e con la casa comune, e di non fare niente che sia contrario l’uno all’altro. E se a qualcuno di quelli che giurano sarà necessario l’uso di questa torre per un suo interesse, gli altri siano tenuti a dargliela con la casa e aiutarlo per mezzo di essa e non fare niente che gli sia di danno (…). ” ---------------------------------------------------------------------Doc. 5 Lo statuto De Tallagio non concedendo emanato dal re Edoardo I di Inghiterra nel 1293 (cioè sui limiti della tassazione e di altre imposizioni) “ I. Nessuna taglia [=imposta diretta, sulle persone, ndr.] o contributo sarà imposta o prelevata da noi e dai nostri successori, nel nostro regno, senza la volontà e il comune assenso degli arcivescovi, vescovi e altri prelati, conti, baroni, uomini d’arme, borghesi e altri uomini liberi del regno. II. Nessun ufficiale sia nostro sia dei nostri eredi potrà confiscare grano, lane, cuoio e altri oggetti da 22 chiunque, senza la volontà ed il consenso di colui al quale questi oggetti appartengono. III. Nulla sarà prelevato sui sacchi di lana a titolo di angaria [=imposizione] o a qualsiasi altro titolo. IV. Vogliamo inoltre, e accordiamo per noi e per i nostri successori, che tutti i chierici e i laici del nostro regno godano di tutte le loro leggi, libertà, libere consuetudini, così pienamente e interamente come hanno fatto quando questo godimento è stato il più pieno e il più intero. E se noi e i nostri successori avremo a fare statuti e a introdurre usi contrari a queste libertà, o a qualche articolo del presente statuto, noi vogliamo e decidiamo che tali statuti e usi siano nulli e senza effetto per l’avvenire.” ---------------------------------------------------------------------Doc. 6 Gli Stati generali in Francia. Metà sec.XIV Siamo in un momento drammatico della storia della Francia, nel periodo peggiore della guerra dei Cent’anni. Dieci anni dopo la disastrosa sconfitta di Crecy contro gli arcieri inglesi, nel settembre del 1356, a Poitiers, il re francese Giovanni II il Buono subisce un’altra rovinosa sconfitta e viene addirittura fatto prigioniero. Pochi mesi dopo l’erede al trono, duca di Normandia, riunisce a Parigi gli Stati generali per ottenere i mezzi per proseguire la guerra (e per pagare il riscatto, richiesto in questi casi). Etienne Marcel, qui citato come rappresentante del Terzo Stato, sarà poi colui che guiderà la protesta di un paese sconvolto dalla peste e dalla guerra. “ Il 3 marzo 1357 si riunirono gli Stati generali, alla presenza di monsignore il duca di Normandia [è il futuro re Carlo V di Francia, erede del re Giovanni e reggente durante la prigionia di questi] e dei suoi fratelli, conte d’Angiò e conte di Poitiers. Robert le Coq, vescovo di Laon, predicò e disse che il re e il regno erano stati in passato mal governati. Molte sventure ne erano risultate, per il regno e per i sudditi, sia come mutazioni monetarie sia come requisizioni. Si era poi male amministrato i denari che il re aveva ricevuto dal popolo, una gran parte dei quali era stata data, e molte volte, a chi aveva mal servito. Il detto vescovo chiese poi che tutti i grandi funzionari del regno di Francia fossero sospesi e che dei riformatori fossero indicati dai tre stati. Il detto vescovo chiese anche che una buona moneta avesse corso, secondo quanto avessero disposto i tre stati. Un cavaliere, Jean de Pecquigny, approvò a nome dei nobili; il vescovo approvò; un avvocato di Abbeville, Colart le Caucheteur, approvò a nome delle città; e così fece Etienne Marcel, prevosto dei mercanti di Parigi. Ed essi offrirono al duca, a nome dei tre stati, 30.000 uomini d’arme, che avrebbero pagato personalmente o attraverso dei delegati. E per far fronte alle spese a ciò connesse, avrebbero ordinato dei sussidi: gli uomini di Chiesa avrebbero pagato un decimo e mezzo delle loro rendite, cioè per ogni 100 lire di proprietà terriera, 15 lire; i nobili, anch’essi un decimo e mezzo. Gli abitanti delle città (dei castelli e dei contadi) avrebbero pagato un uomo d’arme ogni 100 fuochi, cioè mezzo scudo al giorno. Il duca di Normandia acconsentì a tutte le loro richieste.” ---------------------------------------------------------------------Doc. 7 La grande jacquerie del 1358 Nello stesso contesto storico del doc. 6, nella Francia del nord esplode a fine maggio del 1358 una grande rivolta contadina; ma dopo meno di due settimane, i nobili armati la reprimono massacrando a migliaia i contadini. Il seguente resoconto è tratto dalla cronaca di un monaco di Parigi della stessa epoca. “ In quel tempo i nobili deridevano i contadini e gli umili, chiamandoli con il nome Jacques Bonhomme. E’ con questo nome che i lavoratori della terra furono poi sempre chiamati, sia in Francia sia in Inghilterra. Ma, oh, dolore!, molti di quelli che allora li schernivano ne furono poi vittime. E infatti molti morirono più tardi miserevolmente per mano dei contadini, mentre un gran numero di contadini furono massacrati dai nobili e videro come rappresaglia i loro villaggi dati alle fiamme.(…) Le cose andarono nello stesso modo nei dintorni di Parigi. Nessun nobile osava mostrarsi fuori dalle proprie fortezze, perché se i contadini l’avessero visto o fosse caduto nelle loro mani, l’avrebbero massacrato o quanto meno l’avrebbero lasciato molto malridotto. I contadini crebbero tanto in forza che li si sarebbe potuti stimare a più di cinquemila, alla ricerca di nobili e ansiosi di sopprimerli con le loro mogli e figli. Ma questa impresa mostruosa non durò a lungo: essa cessò da sé e non fu Dio a mettervi fine (…). Quelli che in principio si erano lanciati in questa azione per amore di giustizia e perchè i loro signori, invece di difenderli, li opprimevano, si abbandonarono ad atti vili e abominevoli; a quanto si dice, essi si diedero a violenze contro le nobildonne, massacrarono bambini innocenti, rubarono le ricchezze e si vestirono con troppa cura. Questa azioni malvagie non potevano durare a lungo: non era decente. I cavalieri e i nobili si rimisero in forza e desiderando di vendicarsi e percorrendo le campagne, misero a fuoco i campi; sgozzarono miserabilmente i contadini, sia i traditori sia gli altri, scovandoli i casa o occupati a lavorare nelle vigne o nei campi.” 23 Doc. 8 L’evoluzione del sistema fiscale inglese I seguenti brani sono tratti da atti del parlamento inglese in tempi diversi, ma sullo stesso tema: come finanziare la guerra dei Cent’anni: all’inizio, erano bastati i saccheggi in suolo francese, e l’enorme riscatto imposto per liberare re Giovanni (v.intr.doc.5) ma ciò non basta più. Nel 1377 si delibera un’imposta straordinaria (cioè eccezionale, una tantum); ma il protrarsi della guerra ripropone il problema.. A. 1377. “I prelati, i nobili signori e i comuni riuniti in questo Parlamento hanno, con il loro comune assenso e con liberale volontà, accordato al nostro signore il re, perché possa finanziare le sue guerre, 4 denari [1 lira sterlina=240 denari] da riscuotere dai beni di ciascuna persona del regno, maschio o femmina, di età superiore ai 14 anni, con la sola eccezione dei mendicanti autentici e senza frode.” [1380 sintesi: viene riportato un lungo dibattito su come rinnovare la concessione al re, ma in modo meno iniquo dell’anno prima (i 4 denari uguali per ricchi e poveri): qualcuno propone una tassa indiretta sulle merci comprate e vendute (una… specie di Iva), ma viene scartata poiché non è stata mai provata, e quindi non si sa quanto frutterebbe. Si decide una tassa personale (la poll-tax), in media di 12 denari, cioè 1 scellino (che corrisponde a 3 giornate di salario di un bracciante agricolo), ma ripartita nelle comunità locali in proporzione alla ricchezza, da un massimo di 20 scellini a un minimo di 0,33 scellini.] B. 1381 “I prelati, signori e comuni pensano che, a causa della continua esistenza del sussidio nelle mani del re, senza interruzione di tempo, si potrebbe con leggerezza reclamare per il re e in suo nome di avere questi sussidi come di diritto e di consuetudine, mentre il re non ha alcun diritto al di fuori di quello derivante dalla concessione del parlamento: la qual cosa, nel corso del tempo, potrebbe arrivare allo spossessamento della comunità d’Inghilterra e alla loro imposizione continua, per sempre, che Dio non voglia. Dunque, per evitare questo danno, i prelati, signori e comuni concedono al nostro signore il re, a nome proprio e dell’Inghilterra, gli stessi sussidi in lane, pelli e cuoio che egli riceveva in virtù dell’ultima concessione (che durava fino al 25 dicembre), a partire dalla prossima festa della Circoncisione di Nostro Signore, in modo che lo spazio di tempo fra Natale e la Circoncisione sia del tutto vuoto e vi sia perciò un’interruzione.” C. 1415. “ I comuni del regno riuniti in questo parlamento, considerando che il re nostro signore, pur non avendo abbastanza risorse – fra redditi propri e redditi dai sussidi già concessi in precedenza – con le quali perseguire il suo diritto alla corona di Francia, ma sperando in Dio di vedersi sostenuto nella sua giusta pretesa, ha intrapreso un viaggio al di là del mare, impegnando i suoi gioielli per avere una scorta di denaro; considerando inoltre che il re Enrico è risultato vincitore nella battaglia di Azincourt, per la grande affezione e amore al nostri signor re, i comuni del regno d’Inghilterra, con l’assenso dei signori spirituali e temporali riuniti al parlamento tenuto a Westminster il lunedì successivo a Ognissanti, nel terzo anno del regno, concedono al nostro sovrane e signor re, per la difesa del regno, il sussidio della lana, cuoio e pelle da essere levato sui mercanti del regno [… seguono le cifre e i criteri: si è passati a una tassa sulle compravendite, come l’Iva oggi] da prendere e ricevere a partire dalla festa di San Michele prossimo venturo, per tutta la vita del nostro sovrano signor re, affinché ne disponga secondo la sua graziosa volontà e discrezione per la suddetta difesa. Che questa concessione non sia presa ad esempio dai re d’Inghilterra dei tempi futuri.” ---------------------------------------------------------------------Doc. 9 Lettere sulle regole della guerra Nel 1372 tra Modena e Reggio si fronteggiano sul fiume Secchia l’esercito di Barnabò Visconti, signore di Milano che si è impadronito di Reggio e minaccia Modena, e l’esercito del marchese d’Este, che ha l’appoggio delle truppe del papa. Riproduciamo stralci delle lettere di sfida che vengono scambiate, dal 20 aprile (in traduzione: gli originali sono scritti in latino). Si noti: il primo condottiero dell’esercito di Milano è John Hackwood, (col nome italianizzato: Giovanni Acuto), uno dei primi e dei più famosi condottieri di ventura del Trecento. A. “Alle nobili e illustri persone, capitani, marescialli, e in genere tutto l’esercito del magnifico ed eccelso signore, il marchese d’Este ora accampati di fronte al forte di Cesio, noi – capitani, marescialli, consiglieri e in genere tutto l’esercito del magnifico ed eccelso signore Bernabò Visconti, vicario generale imperiale di Milano ecc. – facciano sapere che, sperando e desiderando agire per l’onore del nostro detto signore vi facciamo portare, a voi suddette nobili persone, questo guanto, in segno di guerra, affinché ci diciate in che modo volete procedere e quale campo di battaglia ci proponete, in nome della vostra armata. Fateci avere una risposta e sappiate che attenderemo per tutto il giorno corrente. Vi diamo inoltre la più ampia scelta del campo di battaglia, al di qua o al di là del fiume Secchia. La presente lettera è 24 sigillata con i sigilli del signor Giovanni Acuto (John Hackwood), capitano ecc., del signor conte Konrad von Rostenteyn, di Guglielmo e del signore di Rieten, con l’accordo e la volontà di tutta la suddetta armata. Dato nel campo sul Secchia il 20 aprile 1372.” B.(risposta) “Alle illustri, valorose e nobili persone (…), noi capitani (…) dell’armata del magnifico e illustre signore marchese d’Este, di Ferrara ecc, e vicario imperiale di Modena. Ci avete inviato con il vostro trombettiere, in segno di guerra, un guanto insanguinato che abbiamo ricevuto con volto lieto e animo gioioso, insieme alla vostra lettera. Ad essa noi rispondiamo, con la presente, che da parecchi giorni siamo accampati presso il forte di Cesio, aspettando che il vostro nobile valore venga a guerreggiare con noi senza fallo. E’ per questo che voi potete venire ad ingaggiare battaglia in questo campo aperto, a vostro piacere: fino a che ci tratterremo qui, ci troverete disposti e pronti con animo gioioso ad ingaggiare battaglia con voi. Ci sono qui, intorno a noi, campi che si estendono da ogni parte, nei quali possiamo farci battaglia a morte, e per questo non è necessario cercare un campo di battaglia, visto che potete trovarne uno già pronto, nel quale vi aspettiamo, pregando la vostra nobiltà di non allontanarvi in niente da ciò che è detto nella presente lettera (…seguono firme… e data: 20 aprile 1372)” In realtà la battaglia ha luogo solo il 2 giugno, con la sconfitta degli Estensi. Ma le fortificazioni di Modena resistono agli assalti, e dopo un mese e mezzo, a metà luglio, i due eserciti si ritrovano di fronte, nella stessa località della battaglia del 2 giugno. Si ricomincia… C. “Alle valorose, illustri e bellicose persone, capitani e marescialli e consiglieri dell’armata del magnifico ed eccelso signor Bernabò Visconti, vicario imperiale di Milano ecc. Siamo assai sorpresi noi, capitani (…) dell’illustre e magnifico signor marchese d’Este, che il vostro ardore non abbia acconsentito, alla bianca aurora odierna, a farvi recare in ordine di battaglia alla piana di Marzaglia, che ora ci separa, mentre noi avevamo ferma intenzione di andarci. Noi, ben decisi a che questa battaglia si combatta rapidamente, senza più tergiversare, vi mandiamo assieme a questa lettera sei uomini nobili e valorosi, incaricati di scegliere a nostro nome il terreno su cui combatteremo, con animo gioioso, coi voi. (…) Esortiamo la vostra nobiltà e il vostro ardore a evitare ogni ritardo o rinvio in questa impresa bellica. Dato nel campo sul fiume Secchia, il 17 luglio 1372.” Doc. 10 L’elezione imperiale di Carlo V Nel 1519, quando muore l’imperatore Massimiliano d’Asburgo, il giovane nipote Carlo di Gand scrive ai sette principi elettori, per rivendicare il suo titolo alla successione. Sia in Spagna, ove da poco è re, sia in Germania, egli è considerato straniero per la sua provenienza fiamminga. E’ soprattutto la famiglia dei potentissimi banchieri Fugger, di Anversa (vedi cartina, p.180) a finanziare le ingenti spese con cui Carlo “compra” l’appoggio dei grandi elettori, battendo la concorrenza di Francesco I di Francia, appoggiato dal papa. Tali spese, che ammontano all’enorme cifra di 853.700 fiorini d’oro, vengono tutte coperte con prestiti di banchieri fiamminghi, fiorentini e genovesi: circa il 70%, cioè 543.583 fiorini, provengono dai Fugger, che nel 1523 inviano a Carlo questa lettera di sollecito alla restituzione. “ La Vostra Maestà Imperiale sa, senza dubbio alcuno, quanto i miei cugini e io siamo sempre stati fin qui sottomessi al servizio della prosperità e dell’innalzamento della Casa d’Austria, e come siamo stati condotti, per compiacere Sua Maestà vostro nonno, l’imperatore Massimiliano, a procurare a Vostra Maestà la corona romana, e a impegnarci nei confronti dei principi che non volevano accordare fiducia e credito a nessun altro che a me; come, ancora, noi abbiamo anticipato ai commissari di Vostra Maestà e per lo stesso scopo una importante somma di denaro, che noi stessi abbiamo dovuto in gran parte prendere in prestito dai nostri amici. E’ poi notorio e verificato che, senza il mio aiuto, Vostra Maestà Imperiale non avrebbe mai potuto ottenere la corona romana, cosa che posso provare con scritti di mano dei commissari di Vostra Maestà. Non ho avuto in vista il mio interesse personale, perché, se avessi voluto abbandonare la Casa d’Austria e favorire la Francia, avrei ottenuto molto denaro e beni, come mi era stato proposto. Quale danno ciò avrebbe provocato per Vostra Maestà Imperiale e per la Casa d’Austria, il profondo giudizio di Vostra Maestà vi permetterà di valutare ”. (Jacob Fugger, aprile 1523) -------------------------------------------------------------------------- Doc. 11 Le rivolte rurali nella Francia del sec.XVII Con il nome di croquants, i contadini ribelli della Francia sudoccidentale sono protagonisti di circa 500 episodi di rivolte armate tra gli anni ’30 e ’40 del Seicento, quasi sempre contro il crescente carico fiscale. La rivolta della regione del Perigord è la più ampia per coinvolgimento e durata: dal 1637 al 1641. Riportiamo una parte di una anonima relazione di un borghese del luogo, del 1637. “ Dopo avere adottato la loro risoluzione di protesta, gli abitanti dei comuni si radunarono sui prati attorno 25 alla città di Periguex; dapprima demolirono una casa campestre del signor Saleton, ricevitore delle taglie [le imposte personali], e qualche altra casa. Questa assemblea poteva essere di 4 o 5.000 uomini. (…) Questa assemblea inviò suoi rappresentanti in tutto il Perigord e fissò un nuovo appuntamento per tutti nelle lande tra le città di Periguex e Bergerac. In questa nuova assemblea, il 7 o l’8 maggio, si ritrovarono fra 20 e 25.000 uomini, fra i quali il loro generale scelse gli 8-9.000 più robusti che poté trovare, distribuendo loro tutte le buone armi che questa grande folla aveva per armare quelli che venivano da lui scelti. Questo generale è il signore di La Mothe La Forest, che ha sposato una figlia del marchese La Douze.(…) Il giorno dopo, egli si impadronì della città di Bergerac, facendola poi circondare di barricate e lasciandovi 20 compagnie.(…) La causa principale di queste emozioni sta nel fatto che queste popolazioni sollevate parlano dei denari straordinari che sono stati levati oltre le taglie e il taglione, per un ammontare di 150.000 scudi, imposti per il soldo dell’ armata di Bayonne [cioè per pagarla: siamo durante la guerra dei Trent’anni, nella quale la Francia di Richelieu si prepara a intervenire], nonché dell’imposta in grani stabilita per nutrire la detta armata; ed è stata poi fatta una terza imposta, detta “le razioni”, senza che per nessuna delle tre vi sia alcuna commissione del Re. (…) Noi non sappiamo cosa succederà, ma in ogni caso non può succedere che qualcosa di male a tutta la provincia, e noi che ci troviamo qui abbiamo enormi difficoltà a mantenere il popolo in obbedienza. Speriamo che Vostra Maestà vorrà provvedere, sulla base dei rapporti che gli sono stati fatti, perché noi crediamo che i rimedi qui presi siano un po’ deboli per far fronte a un male così grande. Questo è insomma il vero resoconto di quel che accade da queste parti(…). Oltre a tutte le imposte straordinarie, gli alloggiamenti opprimono gli abitanti della regione a tal punto che essi sono alla disperazione ”. Doc. 12 Il mercantilismo nelle lettere di Colbert Vediamo qui due esempi concreti della politica economica praticata dal ministro delle Finanze di Luigi XIV, Colbert, all’insegna del mercantilismo (vedi nota, pp.21-22). A. Lettera al Sig. Bellinzani, ispettore generale delle manifatture. 6 novembre 1670 “ Vi invio questa lettera ad Abbeville. Non mancate di esaminare, quando vi sarete, tutti i mezzi per perfezionare la manifattura di drappi che vi si è stabilita e per fare in modo che vi si facciano drappi grigio-misti altrettanto belli e buoni che in Olanda e in Inghilterra. Troverete a Beauvais il signor Hirnard (direttore delle tappezzerie reali di quella città) sempre affamato di nuove grazie. Dovrete esaminare a fondo la condotta di quella manifattura: tutto fa credere che essa verrà meno, perché Hinard ha sempre voluto e ancora vuole vendere le sue tappezzerie troppo care. Vi ho spedito un decreto per impedire l’uscita delle specie d’oro e d’argento.” B. Al Sig. De Breteuil, intendente ad Amiens. 23.12.1682 “ Vengo a sapere, dalla vostra del 22, degli incontri che avete avuto con il signor Van Robais. Poiché la sua manifattura sta riuscendo molto bene, non resta che obbligarlo a fare dei drappi della stessa finezza di quelli d’Inghilterra e della stessa larghezza. E’ su questo che vi prego di intervenire (…). Se questa fabbrica cresce in numero di telai e di operai, darò di tanto in tanto qualche gratifica al signor Van Robais per obbligarlo a farle aumentare continuamente, vista la grande utilità per lo Stato di queste manifatture. (…) Se vi fosse anche possibile, per mezzo di uno dei suoi figli, di fare uno stabilimento della stessa manifattura ad Amiens, o in qualche altra città della vostra intendenza, ciò sarebbe di grande vantaggio per i popoli. Soprattutto vi prego di osservare che non bisogna che egli fabbrichi drappi simili a quelli delle altre manifatture del regno; occorre obbligarlo a fabbricarne, almeno per la maggior parte, solo di simili, in finezza e in larghezza, ai drappi d’Inghilterra e d’Olanda. E’ a questo che vi prego di prestare la massima cura.” 26