capitolo 1. il ganglio cervicale superiore di roditore - Padis

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “LA SAPIENZA”
Dottorato di ricerca
in
Biologia Cellulare e dello Sviluppo
XVII ciclo
RUOLO DEL COMPLESSO DISTROFINA-DISTROGLICANO E DELLE
METALLOPROTEASI NELLA PLASTICITA’ NEURONALE E SINAPTICA DEL
GANGLIO CERVICALE SUPERIORE DI RODITORI
Dottorando LUCIA LEONE
Docente guida dott.ssa Maria Egle De Stefano
2001-2004
1
INDICE
PREMESSA
pag. 3
INTRODUZIONE
CAPITOLO 1. IL GANGLIO CERVICALE SUPERIORE DI RODITORE
1.1 Anatomia ed istologia
1.2 Gli organi bersaglio del GCS
1.2.1 Ruolo degli organi bersaglio periferici nella sopravvivenza dei neuroni
del GCS
1.3 Proprietà elettriche del GCS
1.4 Proteine coinvolte nell’organizzazione delle sinapsi del GCS
pag. 4
pag. 4
pag. 6
pag. 6
pag. 6
pag. 7
CAPITOLO 2. IL COMPLESSO DISTROFINA-DISTROGLICANO
E LA PLASTICITA’ SINAPTICA
2.1 La distrofina
2.2 Il complesso proteico associato alla distrofina nel sistema nervoso
2.3 Il complesso del distroglicano nel sistema nervoso
2.4 Il ruolo svolto dal complesso distrofina-distroglicano nel GCS di roditori
pag. 9
pag. 9
pag. 9
pag. 10
pag. 11
CAPITOLO 3. RIMODELLAMENTO SINAPTICO INDOTTO DA
DANNO ASSONALE
3.1 Alterazioni morfologiche del neurone leso
3.2 Effetti sull'espressione genica e sulla sintesi proteica
3.3 Distacco dei terminali presinaptici dai neuroni lesi
3.4 Degenerazione del segmento distale e rigenerazione dell'assone leso
pag. 13
pag. 14
pag. 15
pag. 17
pag. 18
CAPITOLO 4. LE METALLOPROTEASI: PROTEASI
RIMODELLAMENTO SINAPTICO
4.1 Le MMPs
4.2 L’attivazione e la regolazione delle MMPs
4.3 L’espressione delle MMPs nel sistema nervoso
4.4 Le proteine bersaglio delle MMPs nel sistema nervoso
COINVOLTE NEL
pag. 20
pag. 20
pag. 21
pag. 22
pag. 25
SCOPO E PIANO DEL LAVORO
pag. 27
MATERIALI E METODI
pag. 29
RISULTATI
pag. 39
DISCUSSIONE
pag. 47
BIBLIOGRAFIA
pag. 53
FIGURE
pag.
2
67
PREMESSA
L’organizzazione strutturale e funzionale dei circuiti neuronali sia del sistema nervoso
centrale (SNC) che periferico (SNP) si basa fondamantalmente sull’elevata precisione con
cui si formano i contatti sinaptici che collegano i neuroni che costituiscono i diversi circuiti e
sulla loro capacità di attivo rimodellamento in risposta ad eventi fisiologici e patologici. La
formazione, il mantenimento e il rimodellamento delle sinapsi sono, quindi, processi
complessi che avvengono sia durante lo sviluppo embrionale sia nella vita adulta e che sono
regolati da fattori intra- ed extra-cellulari. Tuttavia, molti dei fattori e meccanismi che
controllano questi fenomeni sono ancora poco noti. Uno modo per studiare gli eventi
molecolari che sono alla base del rimodellamento sinaptico e, quindi, per identificare i fattori
intrinseci ed estrinseci che determinano l’integrità di un circuito neuronale, è quello di
modificare l’organizzazione strutturale e/o funzionale del circuito stesso. Questo può essere
ottenuto sperimentalmente mediante l’interruzione dei circuiti neuronali ad un determinato
livello e la successiva analisi temporale delle alterazioni molecolari, strutturali e funzionali
che ne conseguono.
Lo studio oggetto di questa tesi ha avuto come obiettivo quello di investigare da un punto di
vista biochimico, ultrastrutturale e molecolare, le risposte di neuroni del sistema nervoso
autonomo (SNA) ad alterazioni del circuito a cui appartengono sia indotte sperimentalmente,
quali la loro assotomia, sia patologiche, quali l’assenza della distrofina, una proteina la cui
mancanza è causa, nell’uomo, della distrofia muscolare di Duchenne.
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INTRODUZIONE
CAPITOLO 1. IL GANGLIO CERVICALE SUPERIORE DI RODITORE
A differenza del SNC, i cui complessi circuiti neuronali ne rendeno difficile lo studio, i
gangli del SNA, sia simpatici che parasimpatici, sono un ottimo modello sperimentale per
analizzare i meccanismi ed i fattori che sono alla base di fenomeni di plasticità sinaptica. In
questa tesi è stato utilizzato come modello sperimentale il ganglio simpatico cervicale
superiore (GCS) di roditore, scelto sulla base di caratteristiche di fondamentale importanza
per i nostri studi. In primo luogo il GCS è costituito da una popolazione neuronale piuttosto
uniforme sia per le caratteristiche morfologiche sia per quelle elettrofisiologiche; in secondo
luogo le basi farmacologiche della trasmissione sinaptica gangliare sono ben conosciute;
inoltre, elemento non trascurabile per studi di tipo sperimentale, è anatomicamente di facile
accesso e pertanto si presta a vari tipi di manipolazione chirurgica; infine, la capacità di
rigenerazione delle fibre pre- e post-gangliari permette di effettuare osservazioni che non
possono essere fatte nel SNC, dove la rigenerazione è abortiva. Tuttavia i neuroni del SNA,
inclusi quelli del GCS, presentano anche caratteristiche comuni al SNC, prima tra tutte la
molteplicità delle connessioni sinaptiche interneuronali.
1.1 Anatomia ed istologia
Il ganglio cervicale superiore (GCS) appartiene alla catena paravertebrale dei gangli del
sistema nervoso simpatico (Figura I) ed è localizzato nella regione cervicale, dorsalmente
alla biforcazione della carotide comune (rassegna in Dail & Burton, 1983). Costituisce un
modello ottimale, date le sue dimensioni ed accessibilità, per studi funzionali relativi ai
gangli simpatici e alla trasmissione sinaptica interneuronale (rassegna in Dail & Burton,
1983). Le cellule gangliari sono separate dall’ambiente circostante da una spessa capsula
connettivale che avvolge anche i nervi afferenti ed efferenti (rassegna in Dail & Burton). Il
GCS ha una vasta irrorazione sanguigna (rassegna in Dail & Burton, 1983) ed è innervato
dall’ottava radice cervicale e dalle prime sette toraciche che decorrono nel tronco cervicale
superiore (Nja & Purves, 1977) (Figura I).
Figura I. Localizzazione del ganglio cervicale superire e suoi organi bersaglio (modificato da Berne
& Levy, 2002)
4
Dal GCS si dipartono due nervi postgangliari principali:
-il nervo carotideo interno (Figura II) che innerva tessuti nel cranio e nell’orbita, il muscolo
dilatatore dell’iride (rassegna in Dail & Burton, 1983), la ghiandola pineale e la muscolatura
liscia di alcune arterie (Caner et al., 1990) (Figura I).
-il nervo carotideo esterno (Figura II) che innerva il cuore ed il complesso delle ghiandole
salivari (rassegna in Dail & Burton, 1983) (Figura I).
Figura II. Schema del ganglio cervicale superiore. I neuroni gangliari hanno il soma in prossimità del
nervo postgangliare nel quale proiettano i propri assoni (modificato da Dail & Burton, 1983).
Il GCS è costituito da sottopopolazioni neuronali che inviano i propri assoni ad organi
bersaglio differenti (rassegna in Dail & Burton, 1983) e che sono localizzati in regioni
diverse del ganglio, ma sempre in prossimità del nervo postgangliare nel quale proiettano i
propri assoni (Bowers & Zigmond, 1979). In questo modo circa il 35% dei neuroni totali è
localizzato nella porzione rostrale del ganglio e proietta le proprie fibre nel nervo carotideo
interno e circa il 45% si trova nella porzione caudale e proietta le proprie fibre nel nervo
carotideo esterno (Figura II). Nella regione caudale è anche presente un numero limitato di
neuroni che proiettano nel tronco cervicale superiore (Bowers & Zigmond, 1979).
I neuroni del GCS sono multipolari in quanto oltre ad un assone principale e ad un esteso
albero dendritico presentano anche assoni collaterali che si dipartono da quelli principali e
che formano sinapsi intragangliari. Il corpo cellulare ed i processi neuronali sono rivestiti da
cellule satelliti; tale rivestimento è però assente in corrispondenza delle sinapsi che gli assoni
pregangliari colinergici stabiliscono sul soma dei neuroni e, soprattutto, sui loro dendriti
(rassegna in Dail & Burton, 1983 e in Taxi & Eugène, 1995). Nei gangli simpatici, compreso
il GCS, sono presenti anche piccole cellule cromaffini contenenti grandi quantità di
catecolamine chiamate SIF (small intensely fluorescent, piccole cellule intensamente
fluorescenti) in quanto sono state visualizzate con tecniche di istofluorescenza (rassegna in
Dail & Burton, 1983). Non è ancora chiaro quale sia la loro funzione, ma sono stati proposti
tre possibili ruoli: vista la frequente vicinanza ai capillari sanguigni le SIF potrebbero essere
dei chemorecettori per sostanze presenti nel sangue, o avere funzione endocrina o paracrina,
o avere un ruolo come interneuroni (rassegna in Baluk, 1995). L’osservazione al microscopio
elettronico dei neuroni del GCS ha rivelato la presenza di numerosi contatti dendro-dendritici
(fra due dendriti) e dendro-somatici (fra dendriti e corpo cellulare) con vescicole sinaptiche
raggruppate nel citoplasma di uno dei due elementi immediatamente sottostante al contatto.
Ciò ha fatto ipotizzare il rilascio locale di neurotrasmettitori, anche se tali sedi non
presentano tutte le caratteristiche tipiche delle sinapsi (Kiraly et al., 1989).
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1.2 Gli organi bersaglio del GCS
Gli assoni dei neuroni gangliari, che decorrono nei nervi carotidei interno ed esterno,
innervano tessuti nel cranio e nell'orbita, il muscolo dilatatore dell'iride, la ghiandola pineale,
la muscolatura di alcuni vasi arteriosi cerebrali, il cuore e le ghiandole salivari, parotidi e
sottomandibolari (Fig. I; rassegna in Dail e Barton, 1983; Caner et al., 1990).
Tra tutti gli organi bersaglio del GCS, il cuore, l'iride e la ghiandola sottomandibolare sono
stati utilizzati nel corso del lavoro sperimentale presentato in questa tesi. Si tratta degli organi
bersaglio maggiormente presi in considerazione per lo studio dei rapporti tra i neuroni
gangliari e gli organi da essi innervati, e questo principalmente a causa della notevole facilità
con cui possono essere manipolati sperimentalmente. Sono inoltre la principale fonte di NGF
per i neuroni gangliari, in particolar modo la ghiandola sottomandibolare (Nagata et al.,
1987).
1.2.1 Ruolo degli organi bersaglio periferici nella sopravvivenza dei neuroni del GCS
Le interazioni dei neuroni con i propri organi bersaglio periferici sono importanti, sia nello
sviluppo sia nell’età adulta, al fine di garantirne la sopravvivenza e mantenerne la corretta
morfologia e le connessioni con il sistema nervoso centrale. I dati sperimentali a sostegno di
questa ipotesi sono numerosi: ad esempio, l’asportazione dell’iride e delle ghiandole salivari
in ratti neonati previene il normale aumento d’attività sia della tirosina idrossilasi (T-OH),
l’enzima deputato alla sintesi di catecolamine nei neuroni gangliari, che della colina
acetiltransferasi (ChAT), l’enzima che sintetizza l’aceticolina nei terminali pregangliari
(Dibner et al., 1977), nei GCS ipsilaterali agli organi bersaglio asportati. I neuroni simpatici
che innervano organi bersaglio diversi presentano anche caratteristiche morfologiche
differenti comprese le dimensioni, l’estensione dell’albero dendritico e, a volte, il contenuto
di neuropeptidi (rassegna in Wright, 1995). Inoltre, è stato dimostrato che in GCS di roditore
anche la dimensione relativa degli organi bersaglio influenza il diametro medio neuronale e
la geometria dell’arborizzazione dendritica (Voyvodic, 1989), nonché il calibro e la
mielinizzazione delle fibre postgangliari (Voyvodic, 1989). Il meccanismo molecolare che si
ritiene implicato in questo fenomeno è il rilascio di fattori trofici dagli organi bersaglio e la
loro captazione e trasporto fino al corpo cellulare da parte dei neuroni che li innervano. Come
già accennato, il fattore neurotrofico più importante per la sopravvivenza dei neuroni del
GCS, e in generale dei neuroni simpatici, è il fattore di crescita nervoso (NGF, nerve growth
factor) (rassegna in Wright, 1995). Esso, infatti, è espresso in vivo negli organi bersaglio dei
gangli simpatici quando questi vengono raggiunti dagli assoni gangliari in crescita e i suoi
livelli di espressione regolano direttamente la densità di innervazione (rassegna in Francis &
Landis, 1999). Il principio della teoria neurotrofica nel controllo della sopravvivenza
neuronale si basa sulla competizione dei neuroni per i fattori neurotrofici disponibili in
quantità limitata al livello degli organi bersaglio (Hamburger & Oppenheim, 1982). La
capacità degli assoni in crescita di arborizzare e stabilire contatti sinaptici funzionali con i
propri tessuti bersaglio è un fattore importante nel garantire supporto trofico e, di
conseguenza, sopravvivenza neuronale (Oppenheim, 1989). Anche le afferenze pregangliari
regolano, in parte, la sopravvivenza dei neuroni principali del GCS (Black et al., 1971)
tramite il rilascio di fattori trofici dai terminali presinaptici, o attraverso l’attività sinaptica
stessa (rassegna in Wright, 1995).
1.3 Proprietà elettriche del GCS
L’acetilcolina è il neurotrasmettitore principale rilasciato dai terminali pregangliari che,
agendo su tipi recettoriali diversi, è in grado di evocare tre distinte risposte nei neuroni del
GCS (rassegna in Dail & Burton, 1983). L’attivazione di recettori nicotinici per l’acetilcolina
(nAChRs, nicotinic acetylcholine receptors) è quella che induce potenziali postsinaptici
eccitatori rapidi nelle cellule gangliari (rassegna in Taxi & Eugène, 1995). I nAChRs sono
6
molecole pentameriche composte da combinazioni di diverse subunità chiamate  (da 2 a
10) e  (da 2 a 4). Nel GCS si trovano nAChR omomerici composti da subunità 7 ed
eteromerici formati dalle subunità 3, 2 o 4 (Del Signore et al., 2002). Nel GCS
l’acetilcolina evoca anche potenziali postsinaptici eccitatori lenti, agendo su recettori
muscarinici di classe M1, e potenziali postsinaptici inibitori, agendo su recettori muscarinici
di classe M2. Inoltre, nei bottoni sinaptici pregangliari è stata evidenziata la presenza di
numerosi neuropeptidi: encefaline, il peptide intestinale vasoattivo, la sostanza P ed altri,
suggerendo che questi possano funzionare non solo da neuromodulatori ma anche da veri e
propri neurotrasmettitori generando un potenziale postsinaptico eccitatorio ritardato, anche
se ancora manca una prova sperimentale diretta (rassegna in Taxi & Eugène, 1995). Nei
terminali pregangliari è stata anche riscontrata la presenza di acido -aminobutirrico, che
probabilmente esplica una funzione modulatoria della neurotrasmissione gangliare (rassegna
in Taxi & Eugène, 1995). I neuroni simpatici del GCS risultano quindi eterogenei nelle loro
caratteristiche funzionali e farmacologiche (rassegna in De Biasi, 2002). Questo avvalora
l’ipotesi che, pur possedendo una popolazione neuronale relativamente omogenea (rassegna
in Taxi & Eugène, 1995), i gangli autonomi, compreso il GCS, non sono semplici stazioni
“di passaggio” che convogliano le informazioni dal sistema nervoso centrale verso la
periferia, ma sono in grado di integrare i segnali provenienti da diverse fonti (rassegna in
Baluk, 1995).
1.4 Proteine coinvolte nell’organizzazione delle sinapsi del ganglio cervicale superiore
L’identificazione dei meccanismi e delle proteine responsabili dell’organizzazione delle
sinapsi colinergiche nel SNA è un ambito di ricerca in cui fino ad ora sono stati ottenuti
ancora pochi dati. Recentemente è stato dimostrato come, analogamente alla giunzione
neuromuscolare, anche nel GCS l’agrina giochi un ruolo importante nella corretta formazione
delle sinaspi. Infatti, neuroni del GCS di topo knock-out per l’agrina in coltura formano un
numero ridotto di sinapsi rispetto ai topi wild-type e, nelle sinapsi formatesi, presentano un
livello nettamente più basso di diverse subunità del nAChR, come pure di sinaptofisina,
proteina delle vescicole presinaptiche (Gingras et al., 2002). I meccanismi tramite i quali
l’agrina regola la formazione delle sinapsi colinergiche nel SNA potrebbero coinvolgere,
come accade nella giunzione neuromuscolare, una cascata di eventi iniziati dal recettore
tirosin-chinasico MuSK, espresso anche nel sistema nervoso (Ip et al., 2000). Inoltre l’agrina
potrebbe avere anche la funzione di molecola di adesione, analoga a quella svolta dalle
caderine o dalle neurexine/neuroligine nel SNC; possibili partner dell’agrina sarebbero, in
questo caso, il distroglicano, le integrine o le IgCAMs. Infine, l’agrina potrebbe anche
svolgere un ruolo più indiretto, agendo come ligando di fattori di crescita o differenziamento,
o inducendo l’espressione genica (Gingras et al., 2002).
Per quel che riguarda gli animali adulti, in cui quindi le sinapsi nel GCS si sono già
correttamente formate e stabilizzate, studi immunocitochimici effettuati nel nostro
laboratorio hanno dimostrato che, nei topi, la distrofina, la spettrina ed il -distroglicano
colocalizzano con i nAChR contenenti la subunità 3 (De Stefano et al., 1997; Zaccaria et
al., 1998) nelle specializzazioni postsinaptiche intragangliari. Vi sono inoltre prove a favore
dell’ipotesi che il complesso distrofina-distroglicano abbia un ruolo importante
nell’assemblaggio e disassemblaggio dell’apparato postsinaptico neuronale, in particolare per
quanto riguarda il processo di stabilizzazione degli aggregati sottosinaptici dei nAChR
(Zaccaria et al., 1998, 2000). Tale ruolo del complesso distrofina-distroglicano verrà trattato
in maggior dettaglio nel Capitolo 2.
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CAPITOLO 2. IL COMPLESSO
PLASTICITA’ SINAPTICA
DISTROFINA-DISTROGLICANO
E
LA
2.1 La distrofina
La distrofina è una proteina del citoscheletro corticale di 427 kDa (Dp427) appartenente alla
superfamiglia delle proteine simili alla spettrina, codificata da un gene di grosse dimensioni
(34 Mbasi) localizzato sul cromosoma X e contenente 79 esoni ed una regione codificante di
14.3 kbasi. Alti livelli di Dp427 sono espressi dal tessuto muscolare (scheletrico, cardiaco e
liscio), dai neuroni e dalle cellule gliali del SNC e del SNP (rassegna in Mehler, 2000).
Inoltre, esistono diverse isoforme di distrofina di vario peso molecolare, sintetizzate a partire
da almeno 8 promotori diversi situati a monte e all’interno del gene o mediante splicing
alternativo (Fig. III). Isoforme diverse sono espresse in diversi tipi cellulari e/o in diverse fasi
dello sviluppo.
La distrofina ad alto peso molecolare è formata da 4 domini principali (Fig. III):
a)
un dominio N-terminale di 240 aminoacidi che contiene diversi siti di legame per
l’actina, responsabile quindi delle interazioni tra la distrofina ed il citoscheletro corticale
(rassegna in Kunkel e Hoffman, 1989);
b)
un’ampia regione allungata a tripla elica, formata da 25 ripetizioni di circa 109
aminoacidi ciascuna, disposte in tandem, che permettono appaiamenti omo- o eterooligomerici. In questa struttura sono inoltre presenti 4 regioni cardine ricche in prolina che
conferiscono flessibilità alla proteina ed almeno un altro sito di legame a più bassa affinità
per l’actina (Rybakova et al., 1996; rassegna in Kunkel e Hoffman, 1989);
c)
un dominio ricco in cisteine di 280 aminoacidi, contenente un possibile sito di legame
per il Ca++ e siti di legame per i diversi componenti del complesso proteico associato alla
distrofina: il dominio WW, che lega regioni proteiche ricche di residui di prolina e media,
almeno in parte, l’interazione della distrofina con la regione citoplasmatica del distroglicano (rassegna in Blake et al., 2002); il dominio ZZ, che lega la calmodulina in
maniera calcio-dipendente (Anderson et al., 1996) e può quindi essere coinvolto nelle vie di
segnalazione intracellulare (rassegna in Rando, 2001).
d)
un dominio C-terminale di 420 aminoacidi, la cui struttura secondaria è un’-elica
avvolta a spirale (Blake et al, 1995) e per questo chiamata regione CC (coiled coil). Il
dominio CC è responsabile del legame della distrofina con la distrobrevina e la sintrofina
(Blake et al., 1995).
Fig III. La distrofina: organizzazione del gene e isoforme (da Blake e Kröger, 2000)
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Le isoforme di distrofina a più basso peso molecolare hanno tutte in comune il dominio Cterminale, ma mancano di regioni più o meno estese dell’estremità N-terminale e
bastoncellare (Fig. III).
La Dp427 è espressa in grosse quantità nel muscolo scheletrico e la sua assenza, determinata
da mutazioni (spesso delezioni o duplicazioni) che modificano la fase di lettura introducendo
un codone di stop nei primi esoni del gene, è causa della patologia nota col nome di distrofia
muscolare di Duchenne (DMD). Una forma più lieve della patologia distrofica, denominata
distrofia muscolare di Becker (BMD), è invece causata da delezioni intrageniche che non
modificano la fase di lettura, portando quindi alla produzione di trascritti mancanti di un
tratto intermedio, ma che danno luogo a prodotti proteici che mantengono le funzioni proprie
del dominio N- e C-terminale (rassegna in Mehler, 2000). I segni patologici più gravi della
distrofia si manifestano nel muscolo, ma già Duchenne aveva messo in evidenza in molti
pazienti alterazioni cognitive. In particolare sono stati evidenziati una riduzione del quoziente
intellettivo (in particolare di quello verbale), problemi di lettura e di memorizzazione, e
disturbi dell’attenzione e dell’emozione (rassegna in Blake e Kroger, 2000 e in Anderson et
al., 2002). La presenza di questi aspeti patologici ha suggerito che, nel sistema nervoso, la
distrofina abbia un ruolo importante nella segnalazione intracellulare e nella plasticità
sinaptica. A livello del SNC di topo adulto la presenza di Dp427 è stata dimostrata nelle
cellule di Purkinje del cervelletto e nei neuroni piramidali dell’ippocampo e della corteccia,
associata alle specializzazioni postsinaptiche presenti sul loro corpo cellulare e dendriti
(Lidov et al., 1990; rassegna in Mehler, 2000). In diverse aree del SNC sia di topo che di
uomo, oltre alla Dp427, sono espresse ad alti livelli la Dp71, la Dp140 e la Dp120 (rassegna
in Culligan e Ohlendieck, 2002; Kim et al., 1992; 1995; Austin et al., 2000).
A differenza del SNC, la presenza e localizzazione della distrofina nel SNP non è stata
investigata approfonditamente. Tuttavia è noto da molto tempo che l’isoforma Dp116 è
espressa in modo specifico del nervo sciatico, in particolare nelle cellule di Schwann che
formano il rivestimento mielinico degli assoni periferici (Byers et al., 1993). Inoltre studi
effettuati nel nostro laboratorio hanno dimostrato che nel GCS di topo sia la Dp427 sia sue
isoforme sono localizzate a livello delle densità postsinaptiche e delle giunzioni aderenti
presenti sul corpo cellulare dei neuroni gangliari (De Stefano et al., 1997).
Lo studio delle alterazioni e dei meccanismi patogenetici indotti dall’assenza di Dp427 è
stato effettuato grazie all’esistenza di diversi modelli animali, uno dei quali sono i topi
mdx/mdx. Questi sono privi della Dp427 a seguito di una mutazione spontanea che introduce
un codone di stop a livello del dominio bastoncellare, ma esprimono le isoforme a più basso
peso molecolare (rassegna in De La Porte et al., 1999 e in Blake et al., 2002).
2.2 Il complesso proteico associato alla distrofina nel sistema nervoso
Tutte le proteine che legano la distrofina nei suoi diversi domini strutturali costituiscono un
complesso multiproteico denominato DAPC (dystrophin-associated protein complex,
complesso proteico associato alla distrofina, Fig. IV), la cui presenza è determinante per la
funzione della distrofina. Oltre che nel muscolo, dove è stato caratterizzato più in dettaglio, il
DAPC è presente anche nei neuroni, a livello delle densità postsinaptiche di alcuni tipi di
sinapsi, e nelle cellule gliali, in particolare astrociti (rassegna in Culligan e Ohlendieck,
2002). La composizione del DAPC nel sistema nervoso è in parte differente da quella del
DAPC delle cellule muscolari striate e lisce (rassegna in Culligan e Ohlendieck, 2002).
La distrofina è in grado di interagire strutturalmente e funzionalmente, in modo diretto ed
indiretto, con molecole della matrice extracellulare e proteine di segnalazione intracellulare,
costituendo un ponte tra la matrice ed il citoplasma e dando luogo a interazioni importanti
per il consolidamento ed il mantenimento delle giunzioni sinaptiche. Essa lega, infatti, il
complesso del distroglicano che, attraversando la membrana plasmatica, prende contatto con
diversi ligandi della matrice extracellulare. Il complesso del distroglicano verrà descritto in
dettaglio nel paragrafo successivo. Nel cervello sono poi presenti e legano la distrofina l’ e
9
Figura IV. Il complesso proteico associato alla distrofina (DAPC) nel sistema nervoso centrale. Sono
rappresentate, tra le altre proteine, la neurexina (NXN), l’ e il  distroglicano (DG), la
 distrobrevina (DYB) (da Culligan e Ohlendieck, 2002).
la -distrobrevina, proteine omologhe alla porzione C-terminale della distrofina stessa, la
prima maggiormente riscontrata nelle cellule gliali, la seconda nei neuroni ippocampali
(rassegna in Culligan e Ohlendieck, 2002). Vi sono poi le sintrofine, una famiglia di proteine
che legano il dominio C-terminale della distrofina, e possiedono anche domini di legame per
l’actina, la distrobrevina e la calmodulina (rassegna in Mehler, 2000). Queste molecole, come
nel muscolo, mediano a loro volta il legame con numerose proteine di segnalazione cellulare
e canali ionici. Gee et al. (1998) hanno dimostrato che le sintrofine nel cervello interagiscono
con una classe di canali del sodio, ed il legame è mediato dalle regioni PH1 (plekstrin
homology 1) e SU (syntrophin unique). Inoltre, il dominio PDZ media, almeno in alcuni
neuroni ipotalamici, l’interazione dell’ossido nitrico sintasi neuronale (nNOS) con l’1sintrofina, così come avviene nel muscolo scheletrico (Hashida-Okumura et al., 1999). In
altre aree del SNC, invece, la distrofina sembra non essere necessaria per la localizzazione
dell’nNOS al di sotto della membrana plasmatica (Brenman et al., 1996). Questi risultati
sono tuttavia congruenti con l’iniziale osservazione di Lidov e colleghi (1990) che la
distrofina è espressa solo in alcuni neuroni del SNC.
2.3 Il complesso del distroglicano nel sistema nervoso
Il complesso del distroglicano è costituito dal -distroglicano, una proteina integrale di
membrana, e dall’-distroglicano, localizzato nello spazio extracellulare (rassegna in Blake
et al., 2002). Entrambe le subunita sono trascritte dallo stesso locus genico e vanno incontro a
modificazioni posttrascrizionali che comportano il taglio proteolitico dell’unico precursore di
97 kDa nelle due molecole  e -distroglicano e la loro successiva glicosilazione
(Ibraghimov-Beskrovnaya et al., 1993). Il -distroglicano è direttamente connesso al dominio
ricco in cisteine della distrofina tramite la sua regione C-terminale intracellulare che contiene
molti residui di prolina, necessari per questa interazione. L’-distroglicano, invece, è in
grado di legare con diversa affinità numerose proteine della matrice extracellulare, tra le
quali la laminina, l’agrina ed il perlecano (rassegna in Blake et al., 2002). Così, le due
subunità del distroglicano svolgono un ruolo fondamentale all’interno del DAPC nella
stabilizzazione della membrana plasmatica. Infatti, la rottura del legame distrofinadistroglicano, o la mancanza di distroglicano indotta in modelli sperimentali di topi knock out
(Williamson et al., 1997), causano un fenotipo di distrofia muscolare simile a quello di
Duchenne (rassegna in Ehmsen et al., 2002). Inoltre, il distroglicano, tramite la sua regione
ricca in prolina, può associarsi a Grb2, una proteina adattatrice coinvolta nella via di
trasduzione del segnale associata ai recettori tirosin-chinasi e a Ras, e avere così un ruolo
nella propagazione di segnali intracellulari (rassegna in Rando, 2001). Nella giunzione
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neuromuscolare il distroglicano partecipa alla stabilizzazione degli aggregati post-sinaptici
dei recettori nicotinici per l’acetilcolina mediante il suo legame con l’agrina (che a sua volta
è coinvolta nella formazione della specializzazione post-sinaptica durante lo sviluppo
embrionale) e la laminina (che facilita l’aggregazione dei recettori stessi) (rassegna in
Hemler, 1999).
Nel sistema nervoso, il complesso del distroglicano è essenzialmente uguale a quello
presente nelle cellule muscolari con la sola differenza che esistono alcuni ligandi
extracellulari dell’-distroglicano unici del sistema nervoso. Tra questi i più importanti sono
sicuramente le neurexine, proteine presinaptiche associate alla membrana plasmatica. Il
legame Ca++-dipendente che si instaura tra l’-distroglicano della cellula postsinaptica e le
neurexine di quella presinaptica media un tipo di aggregazione cellulare che potrebbe essere
favorevole alla formazione di sinapsi (Sugita et al., 2001). Inoltre, le interazioni dell’distroglicano con altre proteine della matrice extracellulare, come la laminina, la merosina,
l’agrina, il biglicano e il perlecano, sono ritenute importanti nella stabilizzazione delle
giunzioni sinaptiche. Infine, la regione citoplasmatica del -distroglicano è necessaria per
l’associazione della rapsina con i recettori nicotinici dell’acetilcolina (rassegna in Culligan &
Ohlendieck, 2002).
2.4 Il ruolo svolto dal complesso distrofina-distroglicano nel GCS di roditori
In specifiche popolazioni neuronali del SNC è stato dimostrato che la dimensione e la forma
dei neuroni, l’arborizzazione dendritica (Jagadha e Becker, 1988), la stabilizzazione degli
aggregati di recettori (Knuesel et al., 1999), la sopravvivenza neuronale (Sbriccoli et al.,
1995; Carretta et al., 2001), la sinaptogenesi e diverse forme di plasticità neuronale e
sinaptica sono modulate dalla distrofina (rassegna in Mehler, 2000). Qui ci occuperemo in
particolare del ruolo della Dp427 e del distroglicano nella modulazione del rimodellamento
sinaptico nel GCS.
Studi condotti nel nostro laboratorio hanno evidenziato, con tecniche di immunocitochimica
per la microscopia elettronica, che la distrofina e le sue isoforme a basso peso molecolare
sono presenti nel 67% delle specializzazioni postsinaptiche delle sinapsi che le terminazioni
pregangliari formano sul corpo cellulare e sui dendriti dei neuroni del GCS di topo normale.
Diversamente, nei topi mdx, che mancando della distrofina ad alto peso molecolare (Dp427),
la percentuale di specializzazioni postsinaptiche immunopositive per le isoforme di distrofina
è ridotta al 15% (De Stefano et al., 1997). Questo suggerisce che la Dp427 è presente nella
maggior parte delle specializzazioni postsinaptiche nel GCS di topi normali (De Stefano et
al., 1997). Parallelamente, sempre mediante immunocitochimica al microscopio elettronico, è
stato dimostrato che mentre il 60% ed il 77% delle specializzazioni postsinaptiche presenti
nei GCS di topi normali sono immunopositive rispettivamente per il -distroglicano e la
subunità 3 del nAChR (3nAChR), solo l’8% di queste è marcato per il -distroglicano e il
18% per l’3nAChR nei GCS di topi mdx (Zaccaria et al., 2000). Non si osservano, invece,
alterazioni nella percentuale delle specializzazioni postsinaptiche immunopositive per l’altro
tipo di recettore nicotinico presente nei neuroni del GCS, quello omomerico costituito da
subunità 7 (Del Signore et al., 2002). Questi primi dati, quindi, hanno suggerito che la
distrofina ad alto peso molecolare sia coinvolta con il DAPC, nella stabilizzazione dei
recettori nicotinici intragangliari contenenti la subunità 3, mentre i recettori contenenti la
subunità 7 sono probabilmente stabilizzati da proteine diverse.
La conferma che il complesso distrofina-distroglicano fosse effettivamente coinvolto nella
stabilizzazione dei 3nAChRs nel GCS di roditore è emersa da studi paralleli, sempre
effettuati nel nostro laboratorio. Utilizzando lo schiacciamento delle fibre postgangliari del
GCS come mezzo sperimentale per indurre il distacco temporaneo delle sinapsi intragangliari
dal corpo cellulare dei neuroni assotomizzati è stato osservato che il calo atteso del numero
di sinapsi intragangliari era preceduto da un rapido declino del numero delle specializzazioni
postsinaptiche immunopositive per le isoforme di distrofina, per il -distroglicano e per
11
3nAChRs (Zaccaria et al., 1998). In concomitanza con la successiva fase di rigenerazione
assonale il numero di sinapsi intragangliari aumentava, così come le specializzazioni
postsinaptiche immunpositive per le suddette proteine. Il fatto che il ripristino
dell’immunopositività per i 3nAChRs avvenisse in ritardo rispetto a quello per la distrofina
ed il -distroglicano era un’ulteriore conferma che nel GCS di topo il complesso distrofinadistroglicano non solo gioca un ruolo fondamentale nelle fasi di disassemblaggioriassemblaggio delle sinapsi intragangliari, ma anche nella stabilizzazione dei 3nAChRs. La
riduzione del numero dei 3nAChRs nel GCS dei topi mdx potrebbe causare una riduzione
della trasmissione intragangliare rapida e, di conseguenza, essere uno dei fattori responsabili
delle disfunzioni del sistema nervoso autonomo, come le alterazioni del battito cardiaco
descritte nei pazienti DMD (Yotsukura et al., 1995).
La mancanza di Dp427 nei topi mdx interferisce anche con il rimodellamento sinaptico
indotto dall’assotomia dei neuroni del GCS. Infatti, sempre in studi condotti nel nostro
laboratorio, è stato osservato che l’andamento temporale della riduzione del numero di
sinapsi è molto più rapido nei topi wild-type rispetto a quelli mdx, con tempi di
dimezzamento pari rispettivamente a 8 ore e 45 minuti (min) e 15 ore. La Dp427,
responsabile del legame tra il citoscheletro di actina e la matrice extracellulare tramite il
distroglicano, è probabilmente uno dei primi bersagli dei segnali che si originano al punto di
lesione e portano al disassemblaggio delle sinapsi intragangliari. La sua assenza nei topi mdx
renderebbe, quindi, più lento tale processo (Zaccaria et al., 2000).
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CAPITOLO 3.
ASSONALE
RIMODELLAMENTO
SINAPTICO
INDOTTO
DA
DANNO
La reazione del neurone al danno del suo assone (Fig. V) può essere indotta mediante il
taglio, la legatura o lo schiacciamento di un nervo periferico; tutti questi tipi di danno sono
complessivamente indicati con il termine di assotomia (rassegna in Taxi e Eugène, 1995). A
differenza di quanto accade nel SNP, in seguito ad assotomia nel SNC si hanno per lo più
effetti gravi ed irreversibili, dovuti alle limitate capacità di rigenerazione degli assoni lesi. Le
cellule danneggiate, non avendo la possibilità di ristabilire i normali contatti con i tessuti
bersaglio, non sopravvivono. La lesione di un nervo periferico, invece, non impedisce ai
neuroni assotomizzati di riacquistare a pieno la propria funzionalità, previa rigenerazione dei
prolungamenti assonali e ripristino delle originarie connessioni con le altre cellule (rassegna
in Fawcett e Keynes, 1990). Proprio per questo l’assotomia dei neuroni periferici è un mezzo
sperimentale molto utilizzato per indurre in modo evidente, e di conseguenza poter studiare, la
plasticità neuronale e sinaptica.
Figura V. Rappresentazione schematica della reazione al danno assonale.
L'assotomia induce in primo luogo la separazione del prolungamento assonale in due
componenti: il segmento prossimale, costituito dalla parte di assone che rimane connesso al
corpo cellulare del neurone leso; ed il segmento distale, dato dalla porzione di fibra rimasta
isolata dal resto della cellula (rassegna in Gold e Spencer, 1993). Il destino di ciascuno dei
due frammenti di fibra è diverso. Nel segmento prossimale e nel pericarion si riscontrano
evidenti cambiamenti morfologici, caretteristici del fenomeno noto col nome di cromatolisi
(rassegna in Kreutzberg, 1995; e in Lieberman, 1971). La porzione distale va incontro a
degenerazione spontanea, meglio conosciuta come degenerazione Walleriana, dal nome di
Augustus Waller che la descrisse per primo nel secolo scorso (rassegna in Fawcett e Keynes,
1990; e in Kandel, 1994). Nel complesso, le alterazioni che seguono al danno dell'assone,
sono indicate in letteratura come "reazione assonale" o "risposta assonale" o "retrograda"
(rassegna in Torvik, 1976). Nelle sezioni seguenti saranno trattate le varie fasi della reazione
assonale.
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3.1 Alterazioni morfologiche del neurone leso
Le prime modificazioni evidenti a livello del corpo cellulare (a partire da 1 giorno dal
danno assonale) sono il rigonfiamento, la disintegrazione, ridistribuzione ed apparente
scomparsa del materiale basofilo del citoplasma, noto come sostanza di Nissl (cromatolisi). In
un neurone intatto essa è composta da aggregati compatti di cisterne del reticolo
endoplasmatico rugoso, disposte parallelamente tra loro ed inframezzate da numerose rosette
di ribosomi liberi. Durante gli stadi precoci della cromatolisi le cisterne si frammentano in
piccoli segmenti a partire dalla regione centrale della cellula ed, insieme alle rosette di
ribosomi, si disperdono per tutto il citoplasma (rassegna in Matthews e Raisman, 1972).
Contemporaneamente, o subito dopo, anche il nucleo aumenta di volume e si sposta da una
posizione centrale ad una più eccentrica, alla periferia della cellula, in genere al polo opposto
a quello da cui emerge il prolungamento assonale (rassegna in Lieberman, 1971; in Torvik,
1976; ed in Kreutzberg, 1995). Altra alterazione tipica del nucleo è l'incremento del numero
di pori nucleari per unità di superficie. Va menzionato, inoltre, l'aumento di dimensioni del
nucleolo, quale indice di un maggior tasso di sintesi di RNA e dell'accumulo di proteine
nucleolari (rassegna in Lieberman, 1971).
Le modificazioni a carico dell'apparato di Golgi durante la cromatolisi, variano a seconda
delle condizioni sperimentali e, soprattutto, del tipo di neurone leso. Nel caso del taglio (o
legatura) dei nervi postgangliari del GCS di ratto, Matthews e Raisman non hanno osservato
cambiamenti significativi della morfologia dell'apparato di Golgi nel corso dei primi due
giorni successivi all'operazione. Solo al termine della prima settimana, si assiste ad una
graduale riduzione nelle dimensioni e nella complessità delle strutture del Golgi (Matthews e
Raisman, 1972).
Subiscono un incremento, invece, il numero e il volume dei lisosomi e dei vacuoli
autofagici, tra cui i corpi multivescicolari, organuli costituiti da piccole vescicole racchiuse in
corpi vescicolari più grandi (rassegna in Lieberman, 1971; e in Torvik, 1976). E' possibile
distinguere tra corpi multivescicolari "regolari", di forma sferica, ed "irregolari" per i
contorni, e di dimensioni non uniformi (rassegna in Matthews e Raisman, 1972). L'attività
degradativa associata all'apparato endo-lisosomiale e dei sistemi proteolitici liberi nel
citoplasma svolge un ruolo importante nella rimozione delle proteine alterate e, come sarà
illustrato in seguito, nel rimodellamento del citoscheletro a sostegno della crescita assonale
durante le fasi rigenerative.
L'albero dendritico si riduce notevolmente entro le prime due settimane successive
all'assotomia, per ritornare a valori prossimi a quelli del controllo intorno alla dodicesima
settimana (Yawo, 1987).
Già a partire dal 3°/6° giorno dall'intervento, ha inizio la fase di ricostituzione della
sostanza di Nissl verso un recupero delle condizioni normali; tra il 7° e il 21° giorno la
frazione di neuroni ancora in piena cromatolisi è del 60-50% (Matthews e Raisman, 1972).
Occorre precisare che la cromatolisi non necessariamente è seguita dalla rigenerazione
dell'assone, e da un ripristino dei contatti sinaptici originari del neurone con i tessuti
bersaglio. La cellula, infatti, può riacquistare a pieno la sua funzionalità, o rimanere in uno
stato atrofico con recupero parziale; o ancora, perdere tutte le funzioni vitali e andare incontro
a morte. Analogamente, la fase rigenerativa della reazione assonale avviene, in alcuni casi, in
assenza dei processi cromatolitici.
Il destino del neurone leso è diverso a seconda:
a) del tipo di danno cui è stato sottoposto. Ad esempio, la legatura (o il taglio) di un nervo
periferico conferisce alle fibre recise minori probabilità di ricrescere rispetto allo
schiacciamento dello stesso (rassegna in Torvik, 1976);
b) della distanza, lungo l'assone, della lesione dal perikaryon; quanto più è piccola tanto più
gravi saranno le conseguenze;
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c) dell'età dell'animale. Nei neonati, l'assotomia dei nervi post-gangliari determina la morte
del 90% circa dei neuroni del GCS di ratto, tale percentuale si riduce notevolmente con
l'avanzare dell'età (rassegna in Cowen e Gavazzi, 1998);
d) della specie animale; nel topo si ha la dispersione della sostanza di Nissl, come nel ratto,
ma gli elementi basofili del citoplasma invece di diminuire aumentano;
e) infine, ma non meno importante, del tipo neuronale sottoposto al danno. Ad esempio nel
topo i neuroni del nucleo faciale mostrano, dopo danno assonale, un aumento di elementi
basofili, mentre i neuroni di altri nuclei del cervello vanno incontro ad atrofia con
graduale diminuziuone degli organuli intracellulari senza aumento di elementi basofili
(rassegna in Torvik, 1976).
3.2 Effetti sull'espressione genica e sulla sintesi proteica
Negli ultimi anni gli eventi causati dal danno assonale sono stati indagati anche con studi
di tipo biochimico e genetico-molecolare. La cascata di eventi innescata dal danno assonale è
il risultato di un nuovo pattern di sintesi di RNA e proteine, tale da indirizzare il neurone leso
verso l'esecuzione di un programma di morte cellulare o di sopravvivenza. Ma come viene
compiuta la scelta tra la degenerazione e il recupero funzionale?
Uno dei primi segni molecolari di risposta neuronale ad un insulto esterno è la rapida
induzione ed espressione a lungo termine del gene precoce (IEG, immediate early gene) che
codifica per il fattore di trascrizione c-Jun (rassegna in Müller e Stoll, 1998). Esso appartiene
alla famiglia delle proteine Fos e Jun, contenenti il dominio a cerniera di leucine, con le quali
dimerizza per formare il complesso AP-1 e legare il DNA su sequenze specifiche (AP1 o
AP1-simile) presenti sui promotori dei geni di cui regola l'epressione. Inoltre c-Jun è in grado
di modulare la trascrizione di un ampio pool di geni provvisti delle sequenze consenso CRE
(cAMP response element) (rassegna in Herdegen et al., 1997). Oltre a c-jun, altri IEGs, come
c-fos, junB e junD, sono espressi ad alti livelli nelle fasi iniziali della reazione assonale, ma
solo c-Jun è un tipico prodotto delle cellule neuronali. Questo è quanto emerso da studi di
ibridazione in situ, condotti su GCS di ratto al fine di localizzare le molecole di mRNA degli
IEGs in seguito ad assotomia. I risultati indicano che gli IEGs sono attivati prevalentemente
nelle cellule non-neuronali del GCS, ad eccezione di c-Jun, il solo ad essere presente anche
nei neuroni (Koistinaho et al., 1993). L'incremento, indotto da assotomia, dei livelli proteici e
di mRNA di c-Jun è stato osservato in molti modelli sperimentali, sia del SNC (per esempio
nei neuroni del setto ippocampale), sia del SNP (neuroni simpatici). Gli effetti di tale
incremento dipendono da quali geni bersaglio verranno sovra- o sotto-espressi. Tra i prodotti
dei geni regolati da c-Jun ci sono la proteina associata alla crescita GAP-43, la tirosina
idrossilasi (T-OH, l'enzima limitante nella sintesi delle catecolamine), neuropeptidi come la
dinorfina, l'encefalina, la galanina e il peptide intestinale vasoattivo (VIP) (De Felipe et al.,
1993; rassegna in Herdegen et al., 1997).
Nel caso dei gangli simpatici di ratto, la maggior parte dei neuroni esprime, in condizioni
normali, il neuropeptide Y (NPY); mentre solo alcuni di essi sono immunoreattivi per altri
neuropeptidi come la sostanza P, la galanina e il VIP. In seguito ad assotomia si registra una
diminuzione sia dei livelli di mRNA che proteici per il NPY e la tirosina idrossilasi,
accompagnata da un incremento dell'espressione della sostanza P, della galanina e di VIP
(Klimaschewski et al., 1994; Zhang et al., 1994; Zigmond et al., 1996). Queste ed altre prove
sperimentali hanno portato ad ipotizzare che il VIP e/o la galanina svolgano una funzione
paracrina durante la rigenerazione, con effetti trofici su quegli stessi neuroni che, una volta
assotomizzati, non hanno più a disposizione i fattori trofici normalmente liberati dai loro
tessuti bersaglio (Zigmond et al., 1996; Zigmond, 1997).
In studi recenti si è dimostrato che la plasticità nell'espressione dei neuropeptidi indotta
dal danno assonale, è causata principalmente da due tipi di segnale:
a) la liberazione del fattore inibente la leucemia (LIF);
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b) la minore disponibilità dei fattori trofici derivanti dai tessuti bersaglio.
Il taglio dei nervi post-gangliari del GCS induce la sintesi e il rilascio del LIF,
appartenente alla famiglia delle citochine neuropoietiche, da parte delle cellule non-neuronali
presenti all'interno del ganglio (Banner e Patterson, 1994). Contemporaneamente, il trasporto
retrogrado della citochina lungo le fibre dei neuroni lesi, subisce un incremento significativo
(Curtis et al., 1994). La somministrazione di anticorpi anti-LIF a neuroni simpatici in coltura,
ha l'effetto di ridurre la produzione dei suddetti neuropeptidi (Sun e Zigmond, 1996).
Per quanto riguarda il secondo punto, il fattore neurotrofico meglio caratterizzato è il
fattore di accrescimento nervoso (NGF). Una volta rilasciato dai tessuti bersaglio, l'NGF si
lega ai propri recettori di membrana, con i quali è internalizzato, e raggiunge il corpo cellulare
mediante il trasporto retrogrado. Quindi l'interruzione degli assoni periferici impedisce
l'apporto NGF al neurone (Nagata et al., 1987; Zhou et al., 1994). Sono stati condotti
numerosi esperimenti per appurare se la disponibilità di NGF sia uno dei fattori che modula
l'espressione dei neuropeptidi. Ad esempio, si è visto che la somministrazione di NGF
esogeno previene il calo dell'attività enzimatica della T-OH conseguente all'assotomia postgangliare del GCS, così come inibisce l'induzione dell'epressione della galanina (Federoff et
al., 1992; Sun e Zigmond, 1995). Tali risultati sono stati ulteriormente confermati da un
recente lavoro in cui si è fatto uso di un antisiero contro NGF (aNGF), iniettato in ratti non
operati, per mimare la diminuzione pato-fisiologica dei livelli della neurotrofina. Nei neuroni
simpatici trattati con aNGF, si ha la variazione delle quantità proteiche e di mRNA della
galanina e del VIP, che aumentano; e del NPY, che si riducono (Shadiack et al., 2001).
Inoltre, è stato visto che la mancanza di NGF nei neuroni simpatici attiva ATF-2, un fattore di
trascrizione che dimerizza con c-Jun per stimolare l'espressione del gene c-jun (Eilers et al.,
2001).
Come accennato brevemente sopra, uno dei geni bersaglio del fattore di trascrizione c-Jun
codifica per la proteina associata alla crescita GAP-43. Alti livelli di espressione per questa
proteina sono caratteristici durante lo sviluppo del sistema nervoso, mentre nella maggior
parte dei neuroni la sintesi di GAP-43 è inibita a partire dalla sinaptogenesi (Skene, 1990).
Nell'adulto tale proteina è per lo più scarsamente prodotta dai motoneuroni e dai neuroni dei
gangli delle radici dorsali (DRG), e ampiamente indotta nel SNP e in alcuni distretti del SNC
dopo danno assonale. Una volta sintetizzata, GAP-43 è velocemente trasportata lungo l'assone
(17 mm/h) e raggiunge il cono di crescita del segmento prossimale entro poche ore dalla
lesione. Una possibile funzione di GAP-43 potrebbe essere quella di regolare i livelli
intracellulari della calmodulina nel cono di crescita, oppure lo stato di attivazione proteine G
(rassegna in Bisby, 1995). GAP-43 è una fosfoproteina di membrana, e la sua attività è
modulata dalla PKC (rassegna in Kreutzberg, 1995). Hou e collaboratori (1998) hanno
dimostrato che GAP-43 è assente nel corpo cellulare dei neuroni del GCS in condizioni
normali, bensì è localizzata lungo le fibre e nelle terminazioni nervose. Ad un giorno
dall'assotomia dei nervi postgangliari, gran parte dei neuroni è immunopositiva a livello del
pericarion per GAP-43. A quattordici giorni dalla lesione, persiste la presenza della proteina
soprattutto nelle cellule neuronali delle regioni caudale e centrale del ganglio. Dal momento
che i neuroni simpatici del GCS sono noti per le loro elevate capacità plastiche, simili risultati
forniscono una forte indicazione a favore dell'ipotesi che la proteina GAP-43 svolga un ruolo
importante nei meccanismi di plasticità neuronali (Hou et al., 1998). L'aumento di espressione
di GAP-43 è, dunque, un evento caratteristico delle risposte del corpo cellulare all'assotomia e
sembra essere necessaria perché sia innescata la rigenerazione (Strata et al., 1999). Di recente
è stata identificata un'altra proteina associata alla crescita coinvolta nelle fasi precoci del
processo rigenerativo di un assone leso: si tratta di CAP-23, proteina associata al citoscheletro
ed in grado di legare la calmodulina. Come GAP-43 è espressa ad alti livelli durante lo
sviluppo ed è indotta durante la rigenerazione dopo danno (Frey et al., 2000).
Oltre alla GAP-43, altre proteine implicate nei processi di rigenerazione subiscono un
cambiamento di espressione a seguito della lesione delle fibre nervose. In una gran varietà di
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neuroni di vertebrati inferiori, di uccelli e mammiferi, l'assotomia provoca un incremento
nella sintesi e nel trasporto di tubulina e actina; e una riduzione della sintesi e del trasporto dei
neurofilamenti (Jacob e McQuarrie, 1991; rassegna in Kreutzberg, 1995; ed in Bisby, 1995).
Per quanto riguarda la tubulina, l'incremento più rilevante è relativo alle forme molecolari III ed 1 sia a livello di mRNA sia a livello proteico (Bisby e Tetzlaff, 1992; rassegna in
Kreutzberg, 1995). Si ritiene che la maggior espressione di actina sia direttamente legata alla
formazione del cono di crescita. Esso è un'espansione dell'estremità terminale del segmento
prossimale, ricca di filamenti di actina, dalla quale emerge l'assone in fase di rigenerazione
(rassegna in Bisby, 1995). Il decremento della sintesi dei neurofilamenti è accompagnato da
un'alterazione del loro stato di fosforilazione nei diversi compartimenti cellulari: mentre nel
corpo cellulare si accumulano e sono più fosforilati, lungo l'assone diminuiscono, sono meno
fosforilati e più impaccati (Shaw et al., 1988). Essendo i neurofilamenti i principali
responsabili del calibro dell’assone, la loro diminuzione in questo compartimento è causa
della riduzione del calibro della porzione prossimale della fibra, fenomeno conosciuto come
"atrofia assonale somatofugale". Tale denominazione deriva dal fatto che l'atrofia assonale
parte dal corpo cellulare del neurone e procede in direzione centrifuga (o somatofugale) lungo
l'assone, alla stessa velocità della componente lenta del trasporto assonale (rassegna in Gold e
Spencer, 1993).
Negli ultimi anni la tecnica dei DNA microarrays ha permesso lo studio su vasta scala
delle alterazioni dell’espressione genica indotte da diversi stimoli. La tecnica è stata applicata
anche allo studio dell’effetto dell’assotomia sulla espressione genica in neuroni del SNP. In
linea generale è stato osservato che l’assotomia modula geni che codificano proteine coinvolte
nell’infiammazione, prevalentemente inducendoli, e proteine coinvolte nella trasmissione
sinaptica, come recettori per diversi neurotrasmettitori e canali ionici, alcuni dei quali
risultano indotti ed altri repressi (Xiao et al., 2002; Costigan et al., 2002).
3.3 Distacco dei terminali presinaptici dai neuroni lesi
La reazione assonale retrograda influenza anche i neuroni che stabiliscono contatti
sinaptici con quello assotomizzato. Uno degli eventi più rilevanti che fanno seguito
all’assotomia è il distacco dei terminali presinaptici che afferiscono sulla superficie della
cellula neuronale lesa (Matthews e Nelson, 1975; Purves, 1975). Alla luce di tale evento, si
possono comprendere meglio le ragioni delle proprietà elettrofisiologiche alterate dei neuroni
sottoposti al danno assonale. Durante le fasi precoci della reazione assonale, infatti,
l'ampiezza del potenziale postsinaptico eccitatorio (EPSP) registrato nel neurone
assotomizzato subisce una riduzione significativa (più del 70%) in risposta ad una
stimolazione massimale dei neuroni pregangliari (Purves, 1975; Purves e Lichtman, 1978).
Parallelamente, tra il quarto e il settimo giorno dall'operazione si osserva un calo pari al 6570% del numero di sinapsi per unità di superficie (Purves, 1975; Matthews e Nelson, 1975).
L'analisi dei cambiamenti che si verificano a livello dei contatti sinaptici sul pericarion
del neurone leso si articola su tre punti principali: a) la riduzione del rilascio di
neurotrasmettitore dai terminali presinaptici; b) il distacco e la retrazione degli elementi
presinaptici dal corpo cellulare dei neuroni cromatolitici; c) la diminuzione della sensibilità
postsinaptica al neuromediatore (Brenner e Johnson, 1976). Relativamente al primo punto, è
stato accertato che, dopo assotomia, si ha un decremento del contenuto medio quantale di
neurotrasmettitore rilasciato dalle terminazioni presinaptiche (Brenner e Johnson, 1976). Il
distacco dei bottoni sinaptici (punto "b") dai neuroni in fase cromatolitica è stato riscontrato
in numerosi modelli sperimentali, tra cui i nuclei del facciale e del vago, le radici ventrali del
midollo spinale (rassegna in Kreutzberg, 1995) e il GCS di ratto (Matthews e Nelson, 1975) e
di cavia (Purves, 1975). In tutti questi modelli, il distacco e la retrazione delle afferenze
presinaptiche sono dovuti, con ogni probabilità, all'azione della popolazione microgliale (nel
SNC) o gliale (nel SNP), che si attiva in risposta al danno, acquistando capacità fagocitarie e
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sviluppando processi citoplasmatici. Quest'ultimi si interpongono tra gli elementi pre- e
postsinaptici allontanandoli meccanicamente. Tale fenomeno è denominato synaptic stripping
(rassegna in Kreutzberg, 1995; e in Kandel, 1994). Modalità diverse di distacco si ipotizzano,
invece, nel nucleo dell'ipoglosso di ratto (Svensson e Aldskogius, 1993) e nel ganglio ciliare
(GC) degli uccelli (De Stefano et al., 1994) dove, in assenza di un'evidente attivazione della
popolazione gliale, giocano un ruolo importante i fattori coinvolti nel mantenimento della
sinapsi tra il neurone pre- e quello post-sinaptico, quali le proteine di adesione (Squitti et al.,
1999; De Stefano et al., 2001).
Se gli assoni che rigenerano riescono a ristabilire delle connessioni funzionali con le
proprie cellule bersaglio si ha il ripristino delle afferenze sinaptiche al corpo cellulare dei
neuroni lesi (Purves, 1975; Purves e Lichtman, 1978). Nel GCS di ratto si è osservato un
recupero quasi totale della trasmissione sinaptica tra neuroni pre- e postgangliari dopo 42
giorni dall'assotomia (Matthews e Nelson, 1975). L'importanza del recupero dei contatti con i
tessuti bersaglio, invece, è dovuta al fatto che essi producono e rilasciano quei fattori di cui il
neurone ha bisogno per il mantenimento delle connessioni sinaptiche. In particolare si è visto
che la somministrazione di NGF in prossimità dei neuroni simpatici del GCS, dopo il taglio
delle loro fibre, impedisce l'allontanamento di molte delle terminazioni presinaptiche. Al
contrario, il trattamento di animali non operati con iniezione di anti-NGF determina un
notevole distacco delle terminazioni presinaptiche dai neuroni gangliari (Njå e Purves, 1978).
Infine, per quanto riguarda la perdita della sensibilità postsinaptica al neuromediatore si
ritiene che essa sia un evento antecedente, e verosimilmente preliminare, al distacco dei
bottoni sinaptici dovuto, almeno in parte, all'alterazione e alla riduzione del numero dei
nAChRs che mediano la trasmissione sinaptica rapida nei neuroni del sistema nervoso
autonomo (SNA, rassegna in Taxi e Eugène, 1995). Effettivamente dopo assotomia è stata
osservata, sia nel GCS che nel GC, una riduzione dei livelli di mRNA e di proteina delle
diverse subunità che compongono i nAChRs (rassegna in Rosenberg et al., 2002). Il risultato
finale, tenendo presente anche la diminuzione della velocità di conduzione dell'impulso
nervoso lungo la fibra per via del ridotto calibro assonale (rassegna in Gold e Spencer, 1993),
è la scomparsa della trasmissione sinaptica elettrica intragangliare nelle cellule interessate dal
danno (rassegna in Kandel, 1994).
3.4 Degenerazione del segmento distale e rigenerazione dell'assone leso
Entro 24-48 ore dalla lesione, il tratto terminale di fibra inizia a degenerare. Esso si
riempie di agglomerati di neurofilamenti e microtubuli a causa dell'interruzione del trasporto
assonale, e si frammenta. Le cellule di Schwann interrompono la sintesi delle proteine
strutturali della mielina e i loro processi si separano dagli assoni lesi che man mano vengono
perduti. (rassegna in Kandel, 1994; e in Bisby, 1995). A 72 ore dal danno, si ha una massiccia
invasione e proliferazione di monociti nel segmento distale, fenomeno cruciale del processo
degenerativo Walleriano. Tali cellule vengono richiamate in seguito alla cascata di eventi
innescata dai prodotti di degradazione neuronali e mielinici. I residui cellulari vengono
eliminati, nel corso delle settimane successive, grazie all'attività fagocitaria tanto delle cellule
gliali quanto dei monociti (rassegna in Bisby, 1995). Quest'ultimi, inoltre, sono direttamente
coinvolti nelle fasi rigenerative, sia mediante rilascio di interleuchine come l'IL-1, che induce
la sintesi di NGF e di recettori a bassa affinità per l'NGF da parte delle cellule di Schwann
(Heumann et al., 1987), sia producendo apolipoproteina E. Quest'ultima funge da
trasportatore dei lipidi alle cellule di Schwann, ottenuti dalla degradazione della mielina e poi
riutilizzati nella sintesi della stessa dalle cellule gliali (rassegna in Goodrum e Bouldin, 1996).
Occorre precisare che l'infiltrazione e l'attivazione dei monociti, sia di quelli provenienti dal
flusso sanguigno sia di quelli residenti, avvengono non solo a livello delle fibre lese, ma
anche all'interno dei gangli simpatici e sensoriali che hanno subito l'assotomia postgangliare
18
(Lu e Richardson, 1991; Schreiber et al., 1995). Contemporaneamente, le cellule di Schwann
iniziano a proliferare e formano lunghe catene di cellule, denominate bande di Büngner
fungendo così, insieme a fibroblasti, collagene e lamina basale, da substrato per la ricrescita
assonale. Lesioni particolari, come lo schiacciamento di un nervo, sono in grado di
interrompere gli assoni periferici lasciando intatta la guaina che li circonda. In tal caso, la
guaina fa da canale e guida le fibre in via di rigenerazione verso le loro cellule bersaglio
(rassegna in Bisby, 1995; e in Fawcett e Keynes, 1990). Il vantaggio del mantenimento della
guaina si rivela in una maggior velocità di rigenerazione dell'assone danneggiato che nel caso
dello schiacciamento avviene ad una velocità media di 3-4 mm al giorno, mentre nel caso del
taglio avviene ad una velocità di 2-3 mm al giorno (rassegna in Stoll e Muller, 1999).
L’estremità distale assume, entro 24 ore dall’assotomia, le caratteristiche strutturali e
funzionali del cono di crescita. Questo è un fenomeno precoce della reazione assonale, che ha
inizio prima ancora che si possa riscontrare nel corpo cellulare alcuna alterazione
morfologica. Il processo di allungamento dell'assone è seguito da un aumento del calibro e
dalla rimielinizzazione. La rigenerazione si conclude una volta che le connessioni originarie
con i tessuti bersaglio si sono ristabilite, garanzia del recupero funzionale del neurone leso. La
reinnervazione è tanto più accurata quanto minore è la gravità della lesione. Ovvero, in
seguito allo schiacciamento di un nervo le fibre, grazie alla persistenza della guaina, hanno
maggiori probabilità di proiettare correttemente al proprio tessuto bersaglio, rispetto alle fibre
che ne abbiano subito la perdita (rassegna in Fawcett e Keynes, 1990). Nel GCS, la
formazione di connessioni "inappropriate" nel corso della rigenerazione, è stata dimostrata,
mediante l'uso del marcatore fluorescente Fast Blue, da Hendry e collaboratori (Hendry et al.,
1986). Tuttavia, il fatto che le terminazioni nervose non raggiungano il bersaglio originale,
non preclude ai neuroni simpatici di recuperare la propria funzionalità (rassegna in Fawcett e
Keynes, 1990; e in Taxi e Eugène, 1995).
19
CAPITOLO 4. LE METALLOPROTEASI:
RIMODELLAMENTO SINAPTICO
PROTEASI
COINVOLTE
NEL
Le metalloproteasi della matrice extracellulare (MMPs) ed i loro inibitori endogeni
tissutali specifici (TIMPs) costituiscono un sistema enzimatico che gioca un ruolo
determinante in una varietà di processi fisiologici e patologici in diversi distretti, inclusi il
SNC e il SNP. Sebbene ancora poco è noto sulle possibili funzioni svolte dalle MMPs in
processi fisiologici neuronali, studi recenti suggeriscono una loro implicazione in almeno
alcuni dei fenomeni di plasticità neuronale, partecipando direttamente al rimodellamento
sinaptico che è alla base dell’apprendimento e della memoria.
Figura VI. Rappresentazione schematica dei domini strutturali delle MMPs
4.1 Le MMPs
Le MMPs costituiscono una famiglia di più di venti enzimi secreti nello spazio
extracellulare (la maggior parte pericellularmente mentre altri sono ancorati alla membrana
plasmatica) e responsabili della degradazione di numerosi substrati pericellulari. Le MMPs
sono delle endopeptidasi della matrice extracellulare (MEC), contenenti uno ione Zn++ nel sito
catalico essenziale per la loro attività enzimatica (Woessner and Nagase, 2000). Esse vengono
prodotte sotto forma di enzimi latenti ed attivate in seguito all’escissione di un propeptide
inserito nella porzione N-terminale, che ripiegandosi sul sito catalitico ne impedisce l’attività
enzimatica (Fig.VI). La maggior parte delle MMPs contiene un dominio emopexino-simile
nella regione C-terminale resposabile del legame con alcuni substrati, compresi gli inibitori
tissutali specifici delle MMPs, i TIMPs. Le MMPs di membrana (MT-MMP, membrane-type
metalloproteinase) contengono, invece, nella loro porzione C-terminale un dominio
transmembrana ed una breve coda citoplasmatica, oppure una regione idrofobica che potrebbe
funzionare da GPI (glicofosfatidil inositolo) (Sternlicht and Werb, 2001). Tutte le MMPs
richiedono comunque un’attivazione enzimatica ottenuta ad opera di serin proteasi, come la
plasmina, o di altre MMPs, e che comprende un passaggio autocatalitico (Woessner and
Nagase, 2000). I TIMPs (-1 -2, -3 e -4) sono piccole proteine di circa 20-22kDa che legano in
modo non covalente le MMPs e ne bloccano l’attività (Woessner and Nagase, 2000). Essi
mostrano il 37-51% di omologia di sequenza, una struttura del gene conservata, e dodici
ripetizioni simili di residui di cisteina. Queste cisteine invariate formano sei ponti disulfidici
intracatena che costituiscono sei anse conservate e due domini strutturali principali. Diversi
studi hanno dimostrato che l’attività inibitrice dei TIMPs risiede quasi esclusivamente nel loro
dominio N-terminale, mentre entrambi i domini sono in grado di influenzare il legame
enzima-inibitore. Ad esempio, il dominio C-terminale di TIMP-1 lega più rapidamente il
dominio emopexino della MMP-9 che quello appartente alla MMP-2, mentre il dominio Cterminale di TIMP-2 lega preferenzialmente il dominio emopexino della MMP-2 (Sternlicht
and Werb, 2001). I TIMPs si distinguono comunque in base alla loro abilità di inibire diverse
MMPs (Woessner and Nagase, 2000).
20
4.2 L’attivazione e la regolazione delle MMPs
Per adempiere alle loro funzioni, le MMPs devono essere esocitate nello spazio
pericellulare al momento appropriato e nella giusta concentrazione e devono essere attivate o
inibite in modo corretto. Per questo motivo le MMPs sono finemente regolare sia a livello
trascrizionale sia post-trascrizionale ed i loro livelli di espressione proteica dipendono sia da
attivatori ed inibitori specifici sia dalla loro localizzazione sulla superficie cellulare. La
maggior parte delle MMPs sono strettamente regolate a livello trascrizionale, con la sola
eccezione della MMP-2. Quest’ultima è spesso espressa costitutivamente e viene controllata
attraverso un unico meccanismo di attivazione enzimatica (Strongin et al., 1995) e più stadi di
stabilizzazione post-trascrizionale (Sternlicht and Werb, 2001). Studi recenti hanno
dimostrato che l’espresssione basale della MMP-2, della MT1-MMP, e del TIMP-2 sono coregolati. MT1-MMP e TIMP-2 sono, infatti, entrambi necessari per l’attivazione della MMP-2
(Hernandez-Barrantes et al., 2000).
In generale, l’espressione delle MMPs è regolata da numerosi fattori stimolatori ed
inibitori, quali citochine, fattori di crescita e EMMPRIN (extracellular matrix
metalloproteinase inducer, induttori delle MMPs). Molti di questi fattori inducono
l’espressione e/o l’attivazione dei prodotti dei pro-oncogeni c-fos e c-jun, che
eterodimerizzano e legano la proteina attivatrice 1 (AP-1) all’interno di diversi promotori di
geni che codificano per le MMPs (Sternlicht and Werb, 2001). Come già accennato,
l’espressione delle MMPs può essere regolata anche da meccanismi post-trascrizionali, come
ad esempio accade per l’mRNA della MMP-9, che una volta prodotto viene stabilizzato
dall’ossido nitrico (Dzwonek et al., 2004).
Le MMPs appena sintetizzate contengono un peptide segnale responsabile della loro
traslocazione nel reticolo endoplasmatico. Una volta che il peptide segnale è stato rimosso, le
MMPs sono secrete nello spazio extracellulare ed attivate. Le MMPs sono secrete in forma
inattiva (pro-MMP), in cui un residuo di cisteina della regione del propeptide è legato ad un
atomo di Zn++ presente nel dominio catalitico. La proteina attiva è generata dalla rottura
dell’interazione cisteina-zinco e dalla rimozione del propeptide (Woessner and Nagase, 2000).
L’attivazione extracellulare della maggior parte delle MMPs può avvenire ad opera di altre
MMPs già attive o di alcune serin proteasi che, tagliando il propeptide, smascherano il sito
catalitico e lo attivano. Le MT-MMPs, invece, contengono un motivo furina-simile tra il
propeptide ed il dominio catalitico che permette loro di essere attivate da serin proteasi
intracellulari prima di raggiungere la superficie cellulare. Uno dei meccanismi di attivazione
maggiormente delineati è quello della MMP-2. L’attivazione di quet’ultima, infatti, sembra
non dipendere dall’azione delle serin proteasi, almeno inizialmente, e coinvolgere la MT1MMP ed il TIMP-2 attraverso un meccanismo a più stadi (Strongin et al., 1995). In
particolare, la MT1-MMP presente sulla superficie cellulare lega ed è inibita dal dominio Nterminale del TIMP-2, mentre il dominio C-terminale del TIMP-2 legato aggisce come
recettore del dominio emopexino della pro-MMP-2. Successivamente, una MT1-MMP
adiacente libera dal TIMP-2 (e quindi non inibita) taglia ed attiva la pro-MMP-2 legata (Fig.
VII). Al taglio iniziale della pro-MMP-2 da parte della MT1-MMP segue la rimozione di una
porzione residua del propeptide della MMP-2, eseguita da un’altra MMP-2 già attiva, che
porta lla formazione di una MMP-2 attiva e matura (Deryugina et al., 2001). In vivo, il ruolo
principale del TIMP-2 è l’attivazione della MMP-2. Infatti, mentre il dominio C-terminale del
TIMP-2 partecipa all’ancoraggio e all’attivazione della MMP-2, la sua porzione N-terminale è
un inibitore delle MMPs. Livelli bassi di TIMP-2 promuovono l’attivazione della MMP-2,
mentre livelli alti ne inibiscono l’attivazione in quanto saturano le MT1-MMP libere
necessarie per la rimozione del propeptide della MMP-2 (Fig. VII)(Strongin et al., 1995).
21
Figura VII. Rappresentazione schematica del meccanismo di attivazione della pro-MMP-2
Studi recenti condotti su co-colture di astrociti e cellule di glioma hanno però suggerito
che nel meccanismo di attivazione della pro-MMP-2 sia coinvolta anche la cascata
dell’attivatore urokinasico del plasminogeno (uPA) e la plasmina. In particolare, l’uPA
legandosi al suo recettore (uPAR, recettore dell’attivatote urochinasico del plasminogeno)
determina la conversione del plasminogeno in plasmina e quest’ultima partecipa alla
conversione della pro-MMP-2 nella sua forma attiva, facilitando l’invasività delle cellule di
glioma (Duc M. Le et al., 2003). Del resto studi precedenti avevano dimostrato che il sistema
attivatore del plasminogeno/plasmina non può iniziare il trattamento della pro-MMP-2 (72
kDa), ma è in grado di convertire totalmente l’intermedio attivo della MMP-2 (da 64 kDa)
nella forma matura, proteoliticamente attiva, da 62 kDa. Secondo questa ipotesi, la plasmina e
la MT1-MMP coopererebbero nel processo di attivazione della pro-MMP-2 (Baramova et al.,
1997).
Il sistema attivatore del plasminogeno/plasmina sembra regolare anche l’attivazione di
altre MMPs. Ad esempio, l’attivatore del plasminogeno trasformando il plasminogeno in
plasmina attiva la MMP-1 e -3, le quali a loro volta tagliano il propeptide della pro-MMP-9.
L’attivatore del plasminogeno può agire sulla MMP-9 anche in modo plasmina-indipendente,
legando le proteine recettore a bassa densità (LRP) e regolando indirettamente la trascrizione
del gene della MMP-9. LRP possono inoltre agire come recettori della MMP-9, mediandone
l’internalizzazione e la degradazione. Infine, l’attività della MMP-9, come quella delle altre
MMPs, può essere inibita dai TIMPs (Dzwonek et al., 2004).
4.3 L’espressione delle MMPs nel sistema nervoso
In generale, il sistema MMPs/TIMPs è coinvolto in numerosi processi, sia fisiologici
che patologici, associati al rimodellamento della MEC quali: l’organogenesi, la migrazione
cellulare, la tumorigenesi, le patologie degenerative e i processi infiammatori in generale
(Sternlicht and Werb, 2001). Le MMPs maggiormente espresse a livello del sistema nervoso
sono le gelatinasi A e B (rispettivamente MMP-2 e MMP-9) e per questo anche le più
frequentemente studiate. Entrambe sono coinvolte nella crescita neuritica (Oh et al., 1999;
Vaillant et al., 1999, 2003,; Webber et al., 2002), nella degenerazione e rigenerazione di nervi
periferici (Ferguson and Muir, 2000; La Fleur et al., 1996; Kherif et al., 1998; Duchossoy et
al., 2001) e nella plasticità neuronale (Kaczmarek et al., 2002; Szklarczyk et al., 2002;
Dzwonek et al., 2004).
In diverse aree del SNC l’espressione di MMP-2 è prevalentemente di origine gliale
(Szklarczyk et al., 2002; Rivera et al.,2002; Jourquin et al., 2003). Tuttavia è stato dimostrato
22
che la MMP-2 viene espressa anche da alcuni neuroni corticali e dai neuroni cerebellari,
incluse le cellule del Purkinje (Vaillant et al., 1999; Wright et al., 2003; Zhang et al., 1998).
Inoltre, studi in vitro hanno dimostrato che l’attività della MMP-2 è prodotta dagli astrociti e
dalla microglia (Rosenberg et al., 2001), dagli oligodendrociti (Oh et al., 1999) e dai neuroni.
Bisogna però ricordare che le colture neuronali sono costituite da una popolazione cellulare
molto immatura e quindi non rispecchiano completamente tutte le caratteristiche delle cellule
mature. A tal proposito, molto interessati sono le osservazioni di Dzwonek et al. (2004)
secondo i quali la MMP-2 viene maggiormente espressa nella corteccia cerebrale durante lo
sviluppo postnatale piuttosto che nell’adulto. L’espressione inducibile di MMP-2 è stata
inoltre osservata nella glia in seguito ad ischemia cerebrale (Rivera et al., 2002; Planas et al.,
2001), a trattamento con acido kainico ed in seguito a lesione traumatica cerebrale (Zhang et
al., 1998; Phillips and Reeves, 2001). Un ruolo importante della MMP-2 nell’induzione
dell’arborizzazione assonale in seguito a lesione e nella plasticità neuronale è stato suggerito
da Reeves e colleghi, i quali riportano che la de-afferentazione e il successivo recupero
funzionale delle proiezioni cortico-entorinali al giro dentato dell’ippocampo correlano con
l’aumento di attività della MMP-2 (Reeves et al., 2003).
Diversamente dalla MMP-2, la MMP-9 è preferenzialmente espressa nel corpo
cellulare e nei dendriti di neuroni dell’ippocampo, del cervelletto e della corteccia (Szklarczyk
et al., 2002; Rivera et al., 2002). Studi in vitro hanno dimostrato che la MMP-9 è presente
anche nei processi di neuroni ippocampali in coltura (Szklarczyk et al., 2002). Una
espressione più limitata di MMP-9 è stata, inoltre, osservata nella glia, in particolare negli
astrociti e nella microglia sia in vitro che in vivo (Vaillant et al., 1999; Rosenberg et al.,
2001). Sia il gruppo di Szklarczyk (2002) che quello di Zhang (1998) hanno dimostrato che
l’iperstimolazione indotta da kainato produce un aumento dell’mRNA della MMP-9, dei
livelli di proteina e della sua attività enzimatica nel giro dentato e nella corteccia. La
localizzazione esclusivamente ippocampale dell’aumento di MMP-9 all’interno del giro
dentato suggerisce che MMP-9 possa essere coinvolta nella plasticità sinaptica. L’aumentata
espressione di mRNA è localizzata sia nel corpo cellulare neuronale che nei dendriti,
suggerendo che l’mRNA della MMP-9 venga traslocato in seguito all’attività nei dendriti.
Jourquin e colleghi (2003) hanno dimostrato che l’attività della MMP-9, ma non della MMP2, è indotta da trattamento con kainato in colture organotipiche di ippocampo. Inoltre, è stato
dimostrato che i livelli di mRNA di MMP-9 aumentano in seguito a depolarizzazione con
cloruro di potassio nella corteccia, e che l’attività enzimatica di MMP-9, ma non di MMP-2,
aumenta nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale di ratto nel corso dell’apprendimento
spaziale (Wright et al., 2003). Al contrario, i livelli di mRNA di MMP-9 diminuiscono nella
corteccia cerebrale in seguito a deprivazione da sonno, mentre in seguito ad aumento di
temperatura, una condizione che stimola il sonno, l’mRNA della MMP-9 aumenta (Dzwonek
et al., 2004). Durante lo sviluppo postnatale cerebellare, la MMP-9 è espressa dai granuli e dai
neuroni del Purkinje del cervelletto (Vaillant et al., 2003). MMP-9 promuove la migrazione
delle cellule granulari cerebellari e la crescita assonale durante i primi stati della vita
postnatale (Vaillant et al., 2003). In questo periodo l’apoptosi delle cellule granulari
cerebellari coincide con il periodo iniziale della sinaptogenesi tra le fibre parallele e le cellule
del Purkinje. In topi knock-out per la MMP-9 è stato osservato un decremento fisiologico
dell’apoptosi delle cellule granulari durante questo periodo, suggerendo che possa esistere un
collegamento tra la sopravvivenza neuronale, la sinaptogenesi e l’espressione di MMP-9. Al
momento, non esistono dati funzionali sufficienti per stabilire il diretto coinvolgimento della
MMP-9 nella plasticità neuronale. I topi knock-out per la MMP-9 sono stati utilizzati solo per
studi riguardanti danni cerebrali, in cui si è trovato che la mancanza di MMP-9 riduce la
neurodegenerazione indotta da ischemia o da traumi cerebrali (Asahi et al., 2000; Wang et al.,
2000). Questi risultati appaiono in contrasto con quelli descritti precedentemente, in cui
veniva suggerito che MMP-9 fosse coinvolta nella plasticità neuronale. Tuttavia, sebbene in
diverse condizioni neurodegenerative (ischemia, trauma cerebrale, infezione virale, sclerosi
23
laterale amiotrofica, morbo di Parkinson e morbo di Alzheimer) la MMP-9 rimane
principalmente di origine neuronale, non è ancora chiaro se essa venga espressa dai neuroni
per promuoverne la morte o nel tentativo di riparare il danno (Rivera et al., 2002, Dzwonek et
al., 2004). Come è stato recentemente proposto, entrambe le possibilità possono essere
egualmente considerate (Lee et al.,2004).
Tra le altre MMPs individuate nel SNC vi è la MMP-3. Vaillant e colleghi hanno
studiato l’espressione di MMP-3 nel cervelletto di ratto e hanno dimostrato che essa è
presente nei corpi cellulari degli interneuroni, delle cellule del Purkinje, dei neuroni granulari,
nello strato granulare interno e nelle fibre gliali di Bergman. La MMP-3 è anche espressa da
neuroni corticali e da astrociti in coltura (Muir et al., 2002). Inoltre, la MMP-3 è presente in
neuroni e microglia/macrofagi attivati da ischemia della corteccia cerebrale (Rosenberg et al.,
2001). L’induzione di MMP-3 nelle patologie cerebrali può essere collegata con la sua azione
anti-apoptotica esercitata rimuovendo i recettori pro-apoptotici dalla superficie cellulare
neuronale (Dzwonek et al., 2004).
Per quanto riguarda l’espressione delle MMPs nel SNP, sia la MMP-2 sia la MMP-9
sembrano essere in grado di promuovere la crescita assonale in seguito a danno dei nervi
periferici (Fergusson and Muir, 2000; Kherif et al., 1998; La Fleur et al., 1996). Entrambi gli
enzimi favoriscono la crescita neuritica promuovendo l’attività della lamina basale delle
cellule di Schwann: la MMP-2 attraverso la degradazione dei proteoglicani condroitin solfato
(Zuo et al., 1998; Murphy and Gavrilovic, 1999), la MMP-9 probabilmente degradando la
proteina basica della mielina (MBP), un componente della mielina. La MMP-9 è, inoltre,
implicata nei processi di mielinizzazione del nervo ottico durante lo sviluppo embrionale, in
cui aree di attività focale di MMP-9 rispecchiano l’espressione della MBP. Si pensa che le
aree di attività gelatinolitica che circondano gli oligodendrociti siano dovute all’attività della
MMP-9 che rimodella la MEC durante il processo di crescita (Oh et al., 1999). Le MMP-2 e 9 sono espresse anche nei nervi periferici in seguito a costrizione cronica (CCI), un modello
di lesione nervosa dolorosa (Shubayev and Myers, 2000). L’ aumento dei livelli di TNF
rilasciato dalle cellule di Schwann in risposta al danno del nervo corrisponde a un’aumento
dell’attività gelatinasica all’interno del nervo sciatico danneggiato. E’ stato suggerito che
l’attività della MMP-2 durante il danno del nervo potrebbe essere associata al rilascio di
TNF attivo e contribuire ai sintomi clinci associati con la neuropatia dolorosa, quali
l’aumento del dolore (iperalgesia termica) e l’infiammazione (edema endoneuriale)
(Shubayev and Myers, 2000). Un’aumento dell’attività gelatinasica di MMP-2 e MMP-9 è
stato, inoltre, dimostrato all’interno della cicatrice tissutale dovuta a danno del midollo
spinale adulto (Duschossoy et al., 2001). Noble et al. (2002) hanno stabilito il ruolo della
MMP-9 nella lesione del midollo spinale in topi knock-out per la MMP-9. Questi autori hanno
osservato che in topi di controllo in seguito a lesione spinale si verificava un aumento di
MMP-9 che raggiungeva un massimo 24 ore dopo il danno per poi tornare ai livelli di
controllo a partire da 7 giorni. La MMP-9 indotta era espressa in diversi tipi cellulari inclusi i
neutrofili infiltranti. Sorprendentemente, i topi knock-out per la MMP-9 mostravano una
riduzione della permeazione della barriera emato-spinale in seguito al danno ed una
diminuzione dell’infiltrazione dei neutrofili. Inoltre, questi esibivano un maggiore recupero
della funzione locomotoria rispetto ai topi wild-type (Noble et al., 2002).
Le MMPs sono anche coinvolte nella degenerazione Walleriana indotta da
schiacciamento del nervo sciatico, in seguito al quale è stato osservato un aumento dei livelli
di MMP2, MMP-3 e MMP-9 (La Fleur et al., 1996; Siebert et al. 2001).
Tutti e quattro i geni che codificano per i TIMPs sono espressi nel SNC adulto
(Kaczmarek et al., 2002). La presenza di mRNA codificante per TIMP-1 è stata descritta sia
nelle cellule granulari del giro dentato che nelle cellule piramidali delle zone CA1 e CA3
(Rivera et al., 2002), mentre l’immunoreattività per TIMP-1 risulta per lo più associata ai
neuroni dell’ippocampo, della corteccia e del cervelletto (Vaillant et al., 1999). Elevati livelli
di TIMP-1 sono presenti in tutte le zone dell’ippocampo, suggerendo che esso venga prodotto
24
dai neuroni in seguito ad un aumento dell’attività (Rivera et al., 2002). Inoltre, è stato
dimostrato che in vivo il trattamento con kainato induce una repentina espressione di TIMP-1
nei neuroni, e successivamente negli astrociti, nelle aree di degenerazione neuronale e di
rimodellamento tissutale (Rivera et al., 1997). In condizioni patologiche di danno cerebrale
indotto da ischemia, così come nelle infezioni virali, l’aumento dell’espressione di TIMP-1
osservato ha suggerito che esso possa svolgere un potenziale ruolo neuroprotettivo. Cosa
ancora più interessante è che l’espressione genica di TIMP-1 nell’ippocampo è regolata dal
fattore di trascrizione AP-1, il quale è strettamente coinvolto nei fenomeni di plasticità
neuronale, inclusi l’apprendimento e la memoria.
TIMP-2 è l’inibibitore maggiormente espresso nel SNC adulto. Nel cervelletto di ratto
esso è localizzato nel corpo cellulare degli interneuroni, delle cellule del Purkinje, e dei
neuroni granulari dello strato interno. La sua espressione non sembra essere regolata da
depolarizzazione neuronale o da altre condizioni patologiche che attivano TIMP-1.
TIMP-3 è espresso a livelli molto bassi nel cervello di ratti adulti, per lo più dai neuroni
del cervelletto. TIMP-3 (la proteina, ma non mRNA) è l’unico identificato nei dendriti
(Vaillant et al., 1999).
4.4 Le proteine bersaglio delle MMPs nel sistema nervoso
In generale, i substrati delle MMPs includono altre proteasi, inibitori delle proteasi,
molecole chemotattiche, fattori di crescita, recettori della superficie cellulare, molecole di
adesione, e virtualmente tutte le proteine strutturali della MEC (Woessner and Nagase, 2000
Yamada et al., 2001). Tuttavia, ancora non è chiaro quale di questi substrati possa essere il
bersaglio specifico per le diverse MMPs. La situazione diventa più complicata per il sistema
nervoso, dal momento che la composizione della MEC differisce marcatamente da quella
tipica di altri organi. Lo spazio extracellulare tra i neuroni nel SNC adulto manca della lamina
basale e apparentemente non contiene i componenti classici della MEC, come le laminine e i
collageni, suscettibili alla degradazione da parte delle MMPs (Sugida et al., 2001). Dati
recenti suggeriscono che i substrati delle MMPs nel sistema nervoso possano essere proteine
coinvolte nella plasticità neuronale. Tra questi, le integrine sembrano essere dei buon
candidati; infatti, diversi risultati suggeriscono che esse svolgono un ruolo determinante nella
plasticità neuronale, nell’apprendimento e nella memoria (Kaczmarek et al., 2002). Possibili
bersagli delle MMPs sono anche alcune neurotrofine, il cui ruolo nella plasticità sinaptica è
stato ampiamente dimostrato. A tal proposito, recentemente Lee et al. (2001) hanno
identificato pro-NGF e pro-BDNF come substrati della MMP-3 e MMP-7. Osservazioni
recenti hanno, inoltre, indicato il distroglicano come possibile bersaglio fisiologico di alcune
MMPs (molto probabilmente della MMP-2 e della MMP-9) (Yamada et al., 2001). Sebbene
questo fenomeno non sia particolarmente pronunciato nel SNC, studi recenti hanno
dimostrato che la degradazione proteolitica del -distroglicano avviene anche nell’ippocampo
di ratto in risposta al trattamento con kainato con un andamento temporale parallelo
all’aumento dei livelli di attività enzimatica della MMP-9. Inoltre, recenti evidenze
sperimentali hanno dimostrato che il -distroglicano gioca un ruolo importante nel
potenziamento sinaptico a lungo termine (LTP, long term potentiation), un modello di
plasticità neuronale (Moore et al., 2002). Nel sistema nervoso, il distroglicano è uno dei
ligandi principali delle neurexine (Sugita et al., 2001). Le neurexine (I, II, III: e ) si
estendono dal lato presinaptico verso la MEC e sono in grado di riconoscere e legare diverse
molecole. Gorecki et al. (1999) hanno dimostrato che l’mRNA della neurexina II si
accumula nel giro dentato dell’ippocampo in risposta ad un’aumentata attività neuronale,
mentre l’mRNA per l’isoforma della distrofina Dp71 scompare dalle stesse regioni in seguito
al trattamento. Queste osservazioni, insieme con la dimostrazione che il giro dentato è
selettivamente implicato nella plasticità neuronale in seguito a trattamento con kainato,
suggeriscono un possibile ruolo di queste due proteine nei fenomeni di plasticità. Secondo
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l’ipotesi più recente, le neurexine, sporgendo dal terminale presinaptico, interagiscono
direttamente con le molecole postsinptiche di distroglicano, che a loro volta comunicano
attraverso la distrofina con il citoscheletro postsinaptico e altre proteine. La degradazione del
distroglicano ad opera delle MMPs (come MMP-9 neuronale) potrebbe produrre dei
cambiamenti conformazionali a carico sia del terminale pre- (neurexine) sia di quello postsinaptico (distrogliano-distrofina). Tuttavia, è ancora poco chiaro se, e in che modo, questi
cambiamenti strutturali influenzino l’organizzazione del citoscheletro e/o qualunque
meccanismo di trasduzione del segnale in entrambi i compartimenti sinaptici (Kaczmarek et
al., 2002).
Anche il peptide amiloide, un marcatore del morbo di Alzhaimer (AD), potrebbe essere
un possibile substrato della MMP-9 nel SNC. Nell’ippocampo di pazienti affetti da AD è stata
osservata un’accumulo di pro-MMP-9 localizzato sia nei neuroni sia nelle placche senili e
aggregati neurofibrillari. Inoltre, in seguito ad incubazione in vitro, la MMP-9 attivata
degrada il peptide sintetico dell’amiloide in diversi punti, generando una forma del peptide
amiloide non neurotossica (Dzwonek et al., 2004).
Infine, è stato dimostrato che la MMP-2 neuronale degrada in vitro il proteoglicano
condroitin solfato di neuroni dei gangli delle radici dorsali embrionali di pollo in
rigenerazione, giocando un ruolo molto importante nella rigenerazione dei nervi periferici
(Dzwonek et al., 2004).
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SCOPO E PIANO DEL LAVORO
La funzione del sistema nervoso è strettamente dipendente dalla formazione di
connessioni sinaptiche precise tra neurone e neurone e tra neurone ed organo bersaglio. Nel
corso di questa tesi è stata presa in esame la risposta di neuroni del sistema nervoso autonomo
a modificazioni del circuito a cui appartengono e conseguenti a:
a) condizioni patologiche naturali, quali la mancanza di distrofina nei topi mdx
geneticamente distrofici, che rappresentano un modello animale della distrofia
muscolare di Duchenne.
b) condizioni patologiche sperimentali, quali l’interruzione degli assoni.
Lo studio svolto in questa tesi ha utilizzato come modello sperimentale i neuroni
simpatici del GCS. Benchè il circuito neuronale in cui i neuroni gangliari sono inseriti ha
molte similitudini con i circuiti del SNC, a differenza di quest’ultimo il GCS è facilmente
accessibile e manipolabile sperimentalmente, cosa che permette di studiare più agevolmente
le modificazioni delle giunzioni interneuronali che verranno indotte. Inoltre, l’anatomia e le
basi farmacologiche della trasmissione gangliare sono essenzialmente ben note. Studi
precedenti condotti nel nostro laboratorio hanno dimostrato che il complesso distrofinadistroglicano è localizzato nelle specializzazioni postsinaptiche di numerose sinapsi
intragangliari nel GCS di topo (De Stefano et al., 1997), dove tale complesso gioca un ruolo
fondamentale nella stabilizzazione dei 3AchRs (Zaccaria et al., 1998, 2000; Del Signore et
al., 2002). Nel GCS di topi mdx l’assenza della Dp427 altera il corretto assemblaggio del
complesso distrofina-distroglicano con la conseguente riduzione del numero di
specializzazioni postsinaptiche immunopositive per le isoforme di distrofina, per il distroglicano e per la sibunità 3 del nAChR di circa il 75-85% (Zaccaria et al., 2000).
Prendendo spunto da queste osservazioni e dal fatto che il GCS dei topi mdx è più piccolo di
quello dei topi di controllo, ci siamo chiesti se a tale riduzione di dimensioni corrispondesse
una differenza nel numero di neuroni del GCS tra i due ceppi murini. Abbiamo quindi
effettuato una conta del numero di neuroni del GCS di topi di controllo e mdx a diverse età
post-natali (5, 10, 15 e 21 giorni e 6-7 settimane). I risultati ottenuti dimostrano che il numero
dei neuroni del GCS dei topi mdx è ridotto del 36% rispetto a quello dei topi di controllo e che
tale riduzione avviene tra 5 e 10 giorni di vita postnatali, in concomitanza con la morte
neuronale fisiologica. A questo punto ci siamo chiesti se il minor numero di neuroni gangliari
nei topi mdx potesse in qualche modo influenzare la rete di innervazione adrenergica negli
organi bersaglio periferici del GCS. I risultati ottenuti dall’immunolocalizzazione dell’enzima
T-OH, enzima limitante della sintesi delle catecolamine (Levitt et al., 1965) ed indicatore
dell’attività funzionale dei neuroni postgangliari (Black & Mytilineou, 1976), hanno
dimostrato che l’estensione della rete d’innervazione è ridotta sia nel cuore che nell’iride di
topi mdx adulti e che tali alterazioni sono già visibili a cinque giorni postnatali, quando ancora
non si è verificata la perdita dei neuroni gangliari nei topi mdx. Inoltre, sono stati osservati
anche difetti nella de-fascicolazione e arborizzazione terminale degli assoni adrenergici che
innervano la ghiandola sottomandibolare, ma non dell’estensione della rete d’innervazione
come nel caso del cuore e dell’iride. La successiva marcatura neuronale retrograda ottenuta
iniettando l’agglutinina del germe di grano coniugata con perossidasi di rafano nella camera
anteriore dell’occhio, in prossimità delle terminazioni assonali gangliari nell’iride (bersaglio
del GCS di tipo muscolare), o nella ghiandola sottomandibolare (bersaglio del GCS di tipo
non-muscolare), ha dimostrato che la riduzione del numero dei neuroni del GCS nei topi mdx
è selettiva per quelli che innervano bersagli di tipo muscolare. Considerando l’importanza
della corretta interazione tra neuroni gangliari e organi bersaglio sulla sopravvivenza dei
neuroni stessi, abbiamo ipotizzato che nei topi mdx la perdita selettiva dei neuroni gangliari
che innervano bersagli di tipo muscolare potesse essere correlata con i danni indotti dalla
mancanza di distrofina proprio in questi ultimi. Questa ipotesi è stata confermata dalle
osservazioni successive in cui si è dimostrato che la Dp427 è espressa, oltre che dai
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cardiomiociti, anche dalle cellule muscolari lisce dell’iride e da diversi tipi cellulari nella
ghinadola sottomandibolare, e che la sua mancanza nei topi mdx altera l’integrità della
membrana plasmatica delle cellule muscolari del cuore e dell’iride già a P10, quando la
perdita neuronale è in corso, ma non si osservano ancora alterazioni ultrastrutturali dovute alla
mancaza di distrofina. In conclusione, questi risultati indicano che la mancanza di Dp427
causa alterazioni intrinseche nei neuroni del GCS che associate ai danni causati dalla
mancanza di Dp427 nei bersagli muscolari del GCS, portano alla perdita dei neuroni
gangliari.
Che il complesso distrofina-distroglicano svolgesse un ruolo fondamentale nei i
neuroni del GCS era già emerso da studi precedenti, condotti nel nostro laboratorio, in cui era
stato utilizzato lo schiacciamento dei nervi postgangliari come procedura sperimentale per
indurre il rimodellamento delle sinapsi intragangliari. Questa strategia sperimentale comporta
la rimozione della distrofina e del -distroglicano dalle specializzazioni postsinaptiche dei
neuroni assotomizzati e il conseguente disassemblaggio delle sinapsi intragangliari (Zaccaria
et al., 1998). Nei topi mdx, in cui manca il complesso distrofina-distroglicano, la cinetica di
rimozione delle sinapsi intragangliari in seguito a danno assonale è molto più lenta (Zaccaria
et al., 2000). Partendo da queste osservazioni, ci siamo chiesti quali fossero i meccanismi
molecolari coinvolti nel distacco temporaneo dei dei terminali presinaptici dal soma dei
neuroni gangliari assotomizzati e nel conseguente disassemblaggio delle sinapsi
intragangliari. Dati recenti di letteratura riportano che in alcuni fenomeni di plasticità
neuronale e sinaptica, sia fisiologici che patologici, sono coinvolte le MMPs, una famiglia di
enzimi responsabili del rimodellamento della MEC. Le MMPs principalmente espresse a
livello del sistema nervoso sono la MMP-2 e la MMP-9, entrambe in grado di degradare
diversi substrati, tra cui il -distroglicano (Yamada et al., 2001; Kaczmarek et al., 2002).
Prendendo spunto da queste evidenze sperimentali ci siamo chiesti se questi enzimi fossero
coinvolti anche nel rimodellamento sinaptico indotto dall’assotomia dei neuroni del GCS.
Inizialmente abbiamo caratterizzato da un punto di vista biochimico le MMPs espresse nel
GCS di ratti di controllo ed in seguito a danno assonale. L’utilizzo del ratto invece del topo in
questa fase dello studio è stata dettata da diversi motivi. Innanzi tutto, nel nostro laboratorio è
attualmente in corso un progetto che si propone lo studio delle variazione dell’espressione
genica in seguito all’assotomia e questo permetterà di coordinare le informazioni ricavate dai
diversi approcci sperimentali per una visione più completa dei meccanismi e dei fattori
implicati nella stabilizzazione e rimodellamento sinaptico; in secondo luogo il GCS di ratto è
più ricco di proteine di quello del topo, cosa non trascurabile per studi di ordine biochimico
sopratutto in una fase in cui devono essere messe a punto nuove tecniche. Una volta
identificata la MMP-2 come quella maggiormente espressa ed attivata nel GCS in seguito ad
assotomia, abbiamo determinato la sua localizzazione cellulare e subcellulare con tecniche di
immunocitochimica al microscopio ottico ed elettronico. Successivamente, abbiamo studiato
il meccanismo enzimatico coinvolto nell’attivazione della MMP-2 nel GCS di ratto in seguito
a danno assonale. A tal proposito, abbiamo studiato l’espressione di MT1-MMP e di TIMP-2,
due proteine coinvolte nella modulazione dell’attività di MMP-2. Infine abbiamo cercato di
identificare un possibile substrato della MMP-2 nel rimodellamento sinaptico indotto da
danno assonale nel GCS, concentrando la nostra attenzione sul distroglicano, proteina
coinvolta nella stabilizzazione dei contatti sinaptici. La possibile degradazione del
distroglicano ad opera della MMP-2 potrebbe favorire il distacco temporaneo dei terminali
presinaptici dal soma dei neuroni gangliari ed il conseguente rimodellamento dei circuiti
intagangliari.
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