L’affidamento dei servizi pubblici locali. Le società partecipate Verso l’ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEI RESPONSABILI DEGLI UFFICI DI PROVVEDITORATO GARE E CONTRATTI DELLE AMMINISTRAZIONI AGGIUDICATRICI Legalità, tutela della concorrenza, qualificazione della spesa pubblica Manifestazioni d’interesse di massima all’indirizzo di posta elettronica [email protected] Indice 1.1. L’affidamento dei servizi a rilevanza economica …………pag. 2 1.2. Le ordinanze di rimessione alla Corte di Giustizia …….….pag. 10 1.3. Orientamenti conformi della prassi e della giurisprudenza…pag. 13 1.4. Pronunce favorevoli alla ri-municipalizzazione …………….pag. 18 1.5. Attività extraterritoriale delle spa locali……………………..pag. 22 2.1. L’affidamento dei servizi privi di rilevanza economica …….pag. 27 2.2.L’affidamento dei servizi alla persona. La normativa………..pag. 30 2.3. Le forme di gestione degli istituti e luoghi della cultura…….pag. 33 2.4. L’affidamento dei servizi alla persona. La giurisprudenza ….pag. 35 3. Gli acquisti di beni e servizi delle spa miste degli enti locali …pag. 37 1.1. L’affidamento dei servizi a rilevanza economica. Al fine di una accelerazione del processo di liberalizzazione dei servizi pubblici, l’art. 35 della L. 448/2001 in tema di obbligo di gara per l’affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza industriale ha novellato l’art. 113 del T.U. sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000 ss.mm.ii.) e ha segnato una svolta nella disciplina in materia, facendo venir meno tra i compiti dell’ente locale la titolarità del servizio (comma 5 dell’art. 113 cit.). L’ente locale ha nel nuovo disegno normativo una funzione autorizzatoria nonché di regolazione del mercato (cui è funzionale la conservazione della titolarità degli impianti, delle reti e delle dotazioni). Sulla gestione dei servizi pubblici locali si apre un mercato nel quale competono soggetti pubblici e privati che concorrono in procedure ad evidenza pubblica per l’assegnazione dei servizi. La norma in questione ha profili spinosi che riguardano la definizione di servizio a rilevanza industriale nonché la previsione di un regime transitorio volto a legittimare la procrastinazione degli affidamenti diretti esistenti. Sia l’una che l’altra questione hanno esposto l’Italia a rilievi da parte delle istituzioni comunitarie che contestano la natura dilatoria degli aspetti attuativi della riforma rispetto all’esigenza di un pieno ed immediato esplicarsi della concorrenza in tale settore, in attuazione dei principi fondamentali del Trattato. Tuttavia il criterio discretivo è pienamente applicabile e si impernia non tanto sull’industrialità (successivamente sostituita dall’economicità, con ritorno alla formula della L. 142/1990) quanto sulla natura sociale o meno del servizio. Infatti soltanto nel primo caso si giustifica l’esistenza di una disciplina derogatoria che consente l’affidamento diretto, tenuto conto delle ancor valide ragioni che possono sorreggere l’intervento della mano pubblica in un settore la cui redditività può essere insufficiente (fermo restando che se l’ente si avvale del concorso di privati dovrà presceglierli con procedure di evidenza pubblica). Negli altri casi, invece, l’ente deve esperire la gara per l’affidamento del (rectius, per l’autorizzazione al) servizio. Tribunale Amministrativo Regionale Campania, Napoli, 30/4/2003 n. 4203: SERVIZI PUBBLICI - SERVIZI A RILEVANZA INDUSTRIALE - DISCIPLINA EX ART.113 DLGS. 267/2000 MOD. EX ART.35 L.448/2001 - CONFERIMENTO DELLA TITOLARITA' DEL SERVIZIO A SOCIETA' DI CAPITALI - OBBLIGO DI PROCEDURE AD EVIDENZA PUBBLICA - SUSSISTE POSSIBILITA' DI ASSICURARE IL RISPETTO DELL'EVIDENZA PUBBLICA MEDIANTE GARA PER LA SCELTA DEL SOCIO DI UNA SOCIETA' MISTA - VA ESCLUSA - RAPPORTO CON I PRINCIPI COMUNITARI - NOZIONE DI INDUSTRIALITA' - INTERPRETAZIONE AFFIDAMENTO DIRETTO A SOCIETA' MISTA COMUNALE DEL SERVIZIO DI GESTIONE DEI PARCHEGGI E DELLA SOSTA - ILLEGITTIMITA' L’art. 35 della legge 448 del 2001, che ha modificato l’art. 113 del TUEL, prescrive che la erogazione del servizio pubblico di rilevanza industriale avviene con conferimento della titolarità del servizio a società di capitali (non necessariamente miste) da individuarsi attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica (comma 5 nuovo art. 113). L’art. 35 suddetto, al comma 15, introduce la disciplina per i servizi pubblici privi di rilevanza industriale, prevedendo che la gestione avvenga mediante affidamento diretto anche a (v. lett. c) società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali, regolate dal codice civile. La nuova disciplina prevede infatti la necessità delle procedure per la scelta dell’altro contraente, in generale, per i servizi industriali, già al momento dell’affidamento del servizio, per la individuazione del soggetto gestore, non accontentandosi della concorrenzialità, eventualmente, soltanto al momento della scelta del socio privato, in caso di affidamento a società mista. Pertanto, ai fini della individuazione della disciplina applicabile, è preliminare distinguere i servizi di rilevanza industriale da quelli privi di rilevanza industriale. Si deve rilevare al riguardo che se è vero che il medesimo art. 35, al comma 16, prevede che il Governo debba adottare le disposizioni necessarie per la individuazione dei servizi di rilevanza industriale, non sembra che l’emanazione di regolamenti esecutivi ed attuativi statali, secondo un riparto di competenza regolamentare della cui costituzionalità peraltro si dubita alla luce del nuovo Titolo V parte seconda della Costituzione, condizioni la efficacia della nuova disciplina, e ciò sia in relazione alla sostanziale completezza della normativa primaria sia in considerazione dell’origine di tale normativa. Infatti la nuova disciplina dell’art. 35 L.448/2001 deriva dalla procedura d’infrazione 1999/2184 della Commissione Europea nei confronti dell’Italia, che ha ritenuto che le modalità di affidamento dei servizi pubblici locali previste dall’art. 22 L.142/1990, e in particolare dalla lettera e), fossero in contrasto con i principi di parità di trattamento, di trasparenza, di non discriminazione e di concorrenza. Le contestazioni comunitarie in verità non hanno risparmiato neanche la nuova disciplina, visto che la Commissione in data 26.06.2002 ha inviato al Governo italiano, una nuova lettera di costituzione in mora per incompatibilità anche dell’articolo 35 con le direttive comunitarie in materia. In sostanza la Commissione ha ritenuto che l’affidamento diretto sia la eccezione e non la regola, e possa avvenire solo nelle ipotesi derogatorie previste dal Trattato, e sono messi in dubbio gli affidamenti diretti della gestione delle reti, così come la estensione della categoria dei servizi privi di 2 rilevanza industriale, la cui disciplina prevederebbe una minore tutela dei principi della concorrenza. Poiché la regola generale, prevista dall’art. 86 del Trattato UE è che le imprese incaricate della gestione dei servizi di interesse economico generale sono sottoposte alle regole della concorrenza nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento in diritto o in fatto della missione o funzione loro affidata, una deroga nel senso di consentire agli stati membri liberamente il tipo di politica e organizzazione da seguire, può consentirsi soltanto in casi ristretti che si pongono come eccezione al principio generale dell’affidamento su gara. In questo quadro non appare determinante la definizione della nozione di "industrialità" e in particolare non può, secondo la interpretazione imposta dalla supremazia del diritto comunitario, ritenersi che il requisito della industrialità, (tale è invece il suo senso per lo studioso del diritto commerciale), vada riferito alla trasformazione fisica della materia (art. 2195 c.c.). Va invece incentrata l’analisi sulla definizione dell’area dei servizi di natura sociale. Ebbene tale area coincide con i servizi di interesse generale le cui funzioni sono principalmente solidaristiche (mense, asili nido, biblioteche, beneficenza pubblica, assistenza sanitaria volontaria, ecc.), consistenti, secondo la definizione datane dall’articolo 128 comma 2 del D.Lgs.112/1998, in quelle <<attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia>>. Tali servizi, di solito, non realizzano profitti e non si prefiggono di svolgere attività per scopo di lucro (rectius, economica o industriale). Pertanto, non rientrano, secondo la interpretazione che deriva dal contesto in cui è sorta la nuova disciplina, in questa categoria, i servizi pubblici di parcheggio e in genere quelli (sosta, impianti semaforici, transennamenti, segnaletica, rimozione), che appartengono piuttosto alla tipologia di quelli economico-produttivi o industriali, tra i quali vanno ricompresi per esempio il servizio postale, telefonico, ferroviario, elettrico, radiotelevisivo. Alla stregua di tali considerazioni, è illegittimo l’affidamento diretto del servizio della gestione dei parcheggi e della sosta ad una società di capitali, seppure mista a partecipazione anche comunale, in quanto in tal modo sono violate le regole della concorrenza nella scelta dell’affidatario, prima che nella scelta del partner privato. Resta ininfluente che tra i concorrenti vi sia una società partecipata dall’ente locale, la quale non potrà che essere uno degli operatori tenuti ad assoggettarsi al confronto concorrenziale sul mercato, essendo venuto meno, correlativamente, il divieto di svolgimento di attività extraterritoriale (ultimo periodo del comma 2 dell’art. 35). La formula gestoria della società partecipata, peraltro, non è più prevista per i servizi di rilevanza industriale. Né rileva, a tal fine, la sussistenza di un periodo transitorio che è finalizzato soltanto alla proroga delle gestioni esistenti. Mentre ha effetto immediato la soppressione della modalità organizzativa della società a partecipazione pubblica locale: l’ente non può più assumere il servizio né direttamente né a mezzo della società partecipata. 3 Tribunale Amministrativo Regionale Marche, 30/4/2003 n. 246: SERVIZI PUBBLICI - NUOVO ASSETTO DELLA DISCIPLINA EX ART.113 DLGS. 267/2000 MOD. EX ART. 35 L.488/2000 - SERVIZI A RILEVANZA INDUSTRIALE - PERIODO TRANSITORIO - POSSIBILITA' PER L'ENTE LOCALE DI COSTITUIRE SOCIETA' MISTE PER L'AFFIDAMENTO DIRETTO DI SERVIZI PUBBLICI A RILEVANZA INDUSTRIALE - VA ESCLUSA - ANCHE NEL PERIODO TRANSITORIO - RAGIONI - POSSIBILITA' DI COSTITUIRE SOCIETA' INTERAMENTE PARTECIPATA DALL'ENTE LOCALE - VA ESCLUSA - RAGIONI 1. L´art.35 della legge n.448/2000 ha introdotto delle sostanziali innovazioni all' art.113 TUEL, limitando, innanzi tutto, la sua applicazione ai servizi pubblici locali "di rilevanza industriale", mentre il precedente testo si riferiva, più in generale, ai "servizi pubblici locali": di contro, per la disciplina dell´affidamento dei servizi che non hanno rilevanza industriale (recte: che saranno definiti dall´apposito regolamento di rilevanza non industriale) è stato aggiunto l´art.113/bis. Per i servizi di rilevanza industriale è stata eliminata la possibilità della gestione in economia o tramite azienda speciale, mentre la possibilità dell´affidamento diretto a società di capitali con partecipazione maggioritaria degli enti locali è consentita unicamente nell´ipotesi della gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a condizione che "la loro gestione sia separata dall´attività di erogazione dei servizi". Viceversa, l´erogazione dei servizi deve essere effettuata "in regime di concorrenza" e "con conferimento di titolarità a società di capitali individuate attraverso l´espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica" (art.35,V comma, L. n.448/2001). 2. Di conseguenza, se si ammette, come sembra del tutto evidente, che i servizi di gestione delle reti e degli impianti di gas, acqua e depurazione e della loro erogazione siano di "rilevanza industriale", il soggetto cui affidarli deve essere individuato mediante gara pubblica: si tratta tuttavia di stabilire se l´obbligo della gara sia o meno già operante. Al riguardo, deve rilevarsi che: - ai sensi del XVI comma del ripetuto art.35 L. n.448/2001, deve ancora essere emanato il previsto regolamento governativo con la dichiarata finalità di stabilire, appunto, "le disposizioni necessarie per l´esecuzione e l´attuazione del presente articolo", cioè dell´art.35, nonché "l´individuazione dei servizi di cui all´art.113, I comma" del D.Lgs. n.267/2000, cioè dei servizi con "rilevanza industriale" e la de-finizione delle "condizioni per l´ammissione alla gare di imprese estere o di imprese italiane che abbiano avuto all´estero la gestione del servizio senza ricorrere a procedure ad evidenza pubblica" (art.35, II comma); - le prevista gara dovrà essere "indetta nel rispetto degli standard qualitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza definititi dalla competente Autorità di settore o, in mancanza di essa, dagli enti locali" (art.113, VII comma) e questo adempimento neppure risulta intervenuto. 3.Tuttavia, l´impossibilità di ottemperare all´obbligo della gara non comporta che, nelle more dell´emanazione previste disposizioni attuative, il Comune abbia ancora la facoltà di costituire una società di capitali o a responsabilità limitata per l´affidamento "diretto" dei servizi di che trattasi. Infatti, l´art.113 del D.Lgs. n.267/2000, che tanto consentiva, comunque non è più in vigore, essendo stato, appunto, sostituito dall´art.35 della legge n.448/2001, né la sua permanente validità, almeno sino all´emanazione del suindicato regolamento governativo, può essere ugualmente ritenuta 4 perché una siffatta deduzione è indirettamente esclusa proprio dal regime transitorio all´uopo stabilito e consistente, sostanzialmente, nella conferma delle gestioni esistenti affidate senza gara, sia pure entro i limiti temporali indicati nel secondo comma del citato art.35 e da integrare, appunto, dall´emanando regolamento e con l´obbligo di effettuare entro il 30.6.2003 la trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi gestori in società di capitali. 4. Nella specie, la legge 17 maggio 1999 n.114, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, oltre ad aver già previsto, nell´art. 14, I comma, che "il servizio è affidato esclusivamente mediante gara", allorché, nel successivo art.15, disciplina il regime transitorio nelle more dell´adeguamento alle disposizioni della citata legge n.114/ 1999, consente unicamente o la gara pubblica per il suo affidamento, oppure la trasformazione delle aziende o delle "aziende consortili" "che gestiscono il servizio di distribuzione" - con ciò inequivocabilmente intendendo quelle che li gestivano all´epoca della sua emanazione - fissando, per questa seconda ipotesi, i limiti temporali alla cui scadenza si dovrà comunque procedere ai sensi del precedente art.14, cioè mediante gara. Per il servizio idrico integrato, nelle more della riorganizzazione prevista dalla legge 5 gennaio 1994, n.36, si provvede alla gestione: - mediante l´affidamento diretto (stabilito, proprio in alternativa alla gara pubblica, dal successivo quinto comma dell´art.35 della legge n.448/2001) "a società di capitali partecipate unicamente da enti locali che fanno parte dello stesso ambio territoriale ottimale (...)" da parte, però, dei "soggetti competenti, individuati dalle Regioni" ai sensi dell´art.9 della citata legge n.36/1994; - oppure, mediante la conferma delle "gestioni esistenti" alla data della legge, come stabilito dal successivo art.10 della legge n.36/1994. 5. A seguito dunque della generale disciplina posta dall´art.35 della legge n. 448/2001, nonché di quelle specifiche di settore, neppure può essere condivisa l´argomentazione sulla equiparazione della "gestione diretta" alla gestione tramite società interamente partecipata (diversa da quella in capo alla quale è la gestione esistente), che, quindi, sarebbe solo un "organo" interamente controllato dal Comune: a parte che la possibilità della gestione diretta è prevista dall´art.113/bis solo per le attività che non sono di rilevanza industriale e non più per quelle a rilevanza industriale, la costituzione di una società interamente partecipata non è un principio generale insito nell´ordinamento degli Enti locali anche in mancanza di un esplicito presupposto normativo, dal momento che si tratta pur sempre di una forma di gestione introdotta solo da alcuni anni ed a seguito di specifica disposizione di legge, ribadita, appunto, dal precedente testo dell´art.113 del D.Lgs. n.267/2000, però abrogato dall´1.1.2002 e come sopra sostituito; né, ovviamente, può ritenersi che il nuovo assetto legislativo per la gestione dei servizi di rilevanza industriale, anche nel periodo transitorio alla sua completa attuazione, possa essere discrezionalmente disapplicato dai Comuni avvalendosi di assetti organizzativi non più consentiti. Il d.l. 269/2003 (“decretone” di accompagnamento alla finanziaria 2004) reintroduce tuttavia tra le forme gestionali la società partecipata. Ciò determina un corto circuito tra funzioni di regolazione e gestione del servizio: l’ente locale stabilisce la politica tariffaria, gli obiettivi di qualità e di efficienza ma al contempo è controparte di se stesso conservando la titolarità del servizio a mezzo di un soggetto in relazione interorganica con i propri organi decisionali. Sovvertendo le finalità di fondo della riforma - intesa a sottrarre all’ente locale la stessa titolarità dei servizi e a determinare la privatizzazione in senso sostanziale delle spa locali (cioè la cessione di almeno il 40% e poi del 51% del capitale a privati) -, sono fatte salve le gestioni esistenti affidate a società a capitale interamente pubblico. 5 L’unica condizione è che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano. Con ciò la norma si vuole collocare, dichiaratamente, in un quadro di compatibilità con i principi espressi dalla giurisprudenza comunitaria, che ammettono eccezionalmente l’espletamento di servizi "in house". Infatti, come a suo tempo ricordato dalla circolare 19 ottobre 2001, n.12727 del Dipartimento Politiche Comunitarie, la normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione, secondo l'orientamento espresso dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, quando manchi un vero e proprio rapporto contrattuale tra due soggetti, come nel caso, secondo la terminologia della Corte, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale "in house" (cfr.: Corte di giustizia, sentenza Teckal del 18 novembre 1999, causa C-107/98). In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l'applicazione delle direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l'ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona (giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie, per controllo analogo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica. In ogni altro caso, l'aggiudicazione del servizio deve avvenire nel rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento: infatti la necessità di seguire procedure ad evidenza pubblica discende in linea retta dalle norme e dai principi stabiliti dal Trattato (articoli 49 e seguenti, come indicato dalla stessa Commissione nella sua comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario, v. GUCE C 121 del 29 aprile 2000) [tali orientamenti sono stati recepiti dall’emananda direttiva unica in tema di disciplina della concessione di servizi, n.d.r.]. Il caso esaminato nella sentenza Teckal è emblematico. Si trattava di un appalto di forniture (di combustibile) affidato direttamente ad un’azienda consortile a partecipazione comunale. Nella specie la Corte di Giustizia ha osservato che nella materia delle forniture manca l’eccezione prevista nella direttiva servizi in merito agli appalti affidati a soggetti che siano essi stessi amministrazioni aggiudicatici che beneficiano di diritti di esclusiva compatibili con il Trattato. La Corte ha dunque enunciato il principio richiamato, per cui nelle forniture la sola fattispecie di legittimo affidamento diretto è quella che concreta una forma di fornitura "in house" o di autoproduzione in senso proprio. Ciò riepilogato, non pare dunque congruo affidare alla formula della sentenza Teckal il tentativo di procrastinare l’introduzione di forme di concorrenza nell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali. Infatti la Corte di Giustizia non ha inteso altro che ritenere possibili, in casi eccezionali, le produzioni di beni e servizi in economia ("in house"). E’ - invero - quanto da sempre previsto anche nella legislazione nazionale, nel caso di forniture o anche di servizi di limitato importo che si prestano, per loro natura, ad essere espletati in economia. 6 Dunque tale principio non si presta ad essere esteso alla materia dei servizi pubblici locali, in relazione ai quali l’esigenza dell’apertura alla concorrenza è ormai piena per la loro rilevanza economica e imprenditoriale, che esclude una loro gestione diretta. Detto altrimenti, è evidente la contraddizione contenuta in una disposizione che, da un lato, esclude la gestione diretta in economia quale possibile forma di gestione dei servizi pubblici (ad eccezione di casi limitati di minore dimensione), dall’altro consente una loro gestione a mezzo di società interamente partecipata, fondata sul presupposto dell’assimilazione del controllo esercitato dall’ente su quest’ultima ad un controllo diretto sui servizi dell’ente. Gli orientamenti comunitari nel settore delle public utilities sono riassunti nel Libro verde della Commissione europea sui servizi di interesse generale. Viene ricordato che, in un contesto di liberalizzazione, al fine di un progressivo miglioramento della qualità dei servizi e della concorrenza sulle tariffe, l’ordinamento comunitario di norma esclude l’affidamento dei servizi pubblici ad un unico gestore in regime di esclusiva. Laddove ciò è inevitabile per la natura del servizio, la regola è la scelta del gestore a mezzo di pubbliche gare. L’intervento della mano pubblica è residuale e si giustifica soltanto se il ricorso al mercato non garantisce la fornitura di standard minimi di servizio, in quanto solo in tal caso è legittima la deroga ai principi di concorrenza tutelati dal Trattato UE. Se in passato lo strumento è stato quello della municipalizzazione dei servizi salva la concessione all’industria privata, oggi il principio di sussidiarietà orizzontale impone un rovesciamento della logica. Una lettura del d.l. 269/2003 orientata alla conformità con il diritto comunitario deve quindi imporre che l’utilizzo della formula organizzativa della società pubblica non costituisce un’alternativa libera ma viceversa condizionata al ricorrere di tali circostanze. Inoltre, se l’ordinamento comunitario consente sia il modello dell’esternalizzazione sia quello dell'"in house providing", ossia del mantenimento all’interno della sfera pubblica della gestione, tuttavia l’utilizzo della forma societaria per la produzione "in house" dei servizi è condizionato al conseguimento di economie di gestione (art. 29, 1° comma, lett. b, L. 448/2001). Ma anche sotto un altro profilo, se la disposizione intende richiamarsi testualmente alla giurisprudenza comunitaria ed in particolare alla citata sentenza Teckal, non pare che la stessa sia utilmente applicabile per raggiungere gli scopi perseguiti dal legislatore nazionale. Presumibilmente - nell’intento dei compilatori della disposizione - è implicita in qualunque società in mano pubblica la ricordata condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Tuttavia le cose paiono stare diversamente. Infatti la ridetta definizione - di per sé - sembra attagliarsi soltanto alle vecchie aziende in economia degli enti locali, che erano organi non dotati di personalità giuridica distinta rispetto a quella dell’ente locale di appartenenza ma solo di autonomia tecnica e contabile (es. aziende bagni, ecc.). Solo in un tal caso, dunque, si poteva correttamente discorrere di una relazione interorganica tra organi decisionali dell’ente e azienda. 7 Già l’azienda speciale ex art. 114 TUEL (ex art. 23 L. 142/1990) si pone fuori da tale definizione: essa è dotata di personalità giuridica e di autonomia imprenditoriale, segno della reiezione dell’ingerenza dell’ente nella gestione aziendale. A maggior ragione ciò vale se si guarda alle società a partecipazione pubblica locale. Invero, la disciplina applicabile alle medesime non si differenzia da quella prevista per le società il cui capitale sia di proprietà di privati, se non per quanto previsto dagli artt. 2458 ss. c.c.. Ne consegue che il controllo esercitato dall’ente sulla società ai sensi del diritto societario (derivante dalla partecipazione totalitaria dell’ente al capitale sociale) non è per sé sufficiente ad escludere l’applicazione delle norme in materia di affidamento degli appalti pubblici e delle concessioni. Non può cioè, verificarsi realmente la condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Infatti, anche per gli amministratori nominati direttamente dall’ente, le direttive impartite dall’ente locale non possono che contenere linee di politica imprenditoriale e non hanno alcun valore obbligatorio sul piano societario: nell’esercizio del proprio mandato gli amministratori debbono perseguire unicamente gli interessi della società. Dunque, da questi sia pur brevi cenni emerge che non può trattarsi in nessun caso di rapporto equivalente ad una relazione di sovraordinazione gerarchica, né nei confronti della società (in relazione alla quale l’ente locale non ha da esercitare null’altro che i normali diritti dell’azionista) né nei confronti degli amministratori. Il punto è che sussiste contratto d’appalto se questo sia stipulato fra un’amministrazione aggiudicatrice e una <<persona giuridicamente distinta (...) da essa sul piano formale e autonoma rispetto ad essa sul piano decisionale>> [sentenza Teckal cit. ]. La Corte conclude che il giudice nazionale <<deve verificare se [nel caso specifico] ci sia stato un incontro di volontà tra due persone distinte>> (punto 49). Affinché non sussista il rapporto di terzietà rilevante ai fini della applicazione delle regole comunitarie, <<non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario>>. Infatti, è necessario un <<assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del soggetto partecipato>> da parte dell’amministrazione controllante (punti 32-33 dell’atto di reiterazione di messa in mora [c(2002) 2329 del 26/06/2002] della Commissione europea, citato da G.Sciullo, "La procedura di affidamento dei servizi pubblici locali tra disciplina interna e principi comunitari", in "lexitalia.it", 12/2003). 1.2. Le ordinanze di rimessione alla Corte di Giustizia. Il punto è colto da Consiglio di Stato sez.V 22/4/2004 n. 2316. 8 Preventivabile che si ponesse quanto prima – ai livelli più autorevoli – questione circa la compatibilità comunitaria della normativa nazionale (statale e regionale) relativa all’affidamento "in house" dei servizi pubblici locali. La pronuncia rimette gli atti alla Corte di giustizia della Comunità Europea, a sensi dell'art. 234 del Trattato istitutivo, ai fini della pronuncia pregiudiziale sul seguente quesito: se è compatibile col diritto comunitario, in particolare con la libertà della prestazione di servizi, il divieto di discriminazione e l'obbligo di parità di trattamento, trasparenza e libera concorrenza, di cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato, l'affidamento diretto, ossia in deroga ai sistemi di scelta del contraente di cui alla Direttiva 92/50 CEE, della gestione di servizi pubblici (nella specie, parcheggi pubblici a pagamento), ad una società per azioni, a capitale interamente pubblico. Secondo Palazzo Spada, il controllo contemplato nella sentenza Teckal fa infatti riferimento ad un rapporto che determina, da parte dell'amministrazione controllante, un assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato, e che riguarda l'insieme dei più importanti atti di gestione del medesimo. Sembra alludersi, quindi, ad un fenomeno giuridico assimilabile a quello delle aziende municipalizzate di cui al r.d. 15 ottobre 1925 n.2578, nel quale si istituiva un soggetto sottoposto peraltro a penetranti poteri di vigilanza da parte dell'Amministrazione (art. 16 e ss. R.D. n. 2578/1925). L'affidamento diretto a società per azioni, del tutto autonome, salvo l'esercizio dei poteri propri del possessore della maggioranza delle azioni, secondo le norme del diritto commerciale comune, sembra esporre la gestione delle pubbliche risorse a procedure diverse da quelle destinate a garantire una crescita del mercato interno, l'economia nelle spese e il vantaggio per l'utenza. Si riscontra – concludono i supremi giudici amministrativi – un impiego sempre più frequente della detta deroga, e ciò comporta la sottrazione di aree assai ampie di attività economiche all'iniziativa imprenditoriale privata, in contrasto con la stessa ragion d'essere dell'Unione Europea. Va ricordata anche l’ordinanza del Tar barese che censura l’utilizzo generalizzato dell’affidamento “in house” che il regime di cui al d.l. 269/03 legittima, in contrasto con la natura eccezionale dello stesso che le fonti comunitarie, che pure il decretone collegato alla finanziaria 2004 pretenderebbe recepire, delineano. Parole severe dai giudici pugliesi anche sul modello della società mista, vista anch’essa come forma di creazione di mercati riservati. Tribunale Amministrativo Regionale Puglia, Bari, sez.III 8/9/2004 n. 885: SERVIZI PUBBLICI LOCALI - AFFIDAMENTO IN HOUSE - DISCIPLINA EX ART.113, C.5, LETT.C) DLGS.267/2000 - QUESTIONE CIRCA COMPATIBILITA' COL DIRITTO COMUNITARIO - RIMESSIONE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA CE Va rimessa alla Corte di Giustizia Europea, ai sensi dell'art. 234 del Trattato istitutivo, la pronuncia pregiudiziale sul seguente quesito: Se sia compatibile con il diritto comunitario, ed in particolare con gli obblighi di trasparenza e libera concorrenza di cui agli artt. 46, 49 e 86 del Trattato, l'art. 113 co. V D. Lgs. nr. 267/00, come modificato dall'art. 14 D.L. nr. 269/03, nella parte in cui non pone alcun limite alla libertà di scelta 9 dell'Amministrazione pubblica tra le diverse forme di affidamento del servizio pubblico, ed in particolare tra l'affidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica e l'affidamento diretto a società da essa interamente controllata. “Venendo ora all’esame della normativa interna di cui all’art. 113 D. Lgs. nr. 267/00, quale risultante dalle modifiche introdotte con l’art. 14 del D.L. nr. 269/03, non v’è dubbio che le stesse – così come dedotto dalla ricorrente – siano suscettibili di incentivare un ricorso sempre più massiccio da parte delle Amministrazioni locali alla deroga costituita dall’affidamento in house. Per queste ragioni, la Corte europea è stata già investita della questione di compatibilità della disposizione con la normativa comunitaria, ritenendosi la norma sostanzialmente non conforme allo spirito della disciplina in materia di concorrenza nel settore dei servizi pubblici (cfr. Cons. Stato, Sez. V, Ord. 22.4.2004, nr. 2316, nella quale, peraltro, viene in gioco anche una disciplina locale ancor più ampliativa delle possibilità di ricorso all’affidamento diretto). Tuttavia, non può sottacersi l’esattezza delle osservazioni sviluppate dalle parti resistenti, secondo cui neppure astrattamente potrebbe porsi una siffatta questione di compatibilità, in quanto la disposizione di cui alla lettera c) del comma V dell’art. 113, nello “scolpire” le caratteristiche dell’affidamento in house, riproduce quasi letteralmente i parametri individuati dalla c.d. sentenza Teckal (controllo dell’Ente pubblico sulla società equivalente a quello che il primo esercita sui propri servizi, svolgimento da parte della società di attività prevalente per l’Ente pubblico controllante etc.). “Per tali ragioni, si afferma la piena compatibilità della previsione ai principi comunitari: sulla base di tale ordine di considerazioni, in altra occasione è stata disattesa la medesima questione di compatibilità della norma con la disciplina CE (cfr. Cons. Stato, sez. V. 26.6.2004, nr. 4771). Il Collegio, pur dando atto della perfetta aderenza del disposto della citata lettera c) ai principi sopra ricostruiti, ritiene che non sia questo il punto centrale della questione. Ed invero, dalle considerazioni che si sono sin qui svolte emerge con chiarezza che il vero profilo nevralgico della materia – sul quale non risulta che la Corte di Giustizia sia stata finora chiamata a pronunciarsi – è costituito non già dal modo con cui nella norma de qua è costruita la figura dell’affidamento in house, ma nel fatto che in essa l’istituto viene di fatto generalizzato, lasciando apparentemente alle Amministrazioni locali piena discrezionalità in ordine alla scelta tra esso e l’affidamento mediante gara ad evidenza pubblica (o, ancora, attraverso il sistema “misto” dell’affidamento diretto a società pubblico-privata in cui il socio privato sia scelto con procedura di evidenza pubblica). “Una tale previsione, nella sua pratica attuazione, è suscettibile di stravolgere quello che si è visto essere, alla stregua dei principi comunitari, il rapporto tra i diversi modelli di affidamento dei servizi pubblici, in forza del quale il ricorso a procedure di evidenza pubblica dovrebbe configurarsi come la regola e l’affidamento in house come eccezione. In altri termini, manca nella disciplina all’esame ogni riferimento alle modalità con cui le Amministrazioni dovranno esternare le proprie valutazioni in ordine alle “esigenze” del servizio che giustificano la deroga al principio della gara pubblica: tale non può certamente considerarsi il successivo comma Vbis dell’art. 113 (introdotto dalla L. nr. 350/03), secondo cui “le normative di settore, al fine di superare assetti monopolistici, possono introdurre regole che assicurino concorrenzialità nella gestione dei servizi da esse disciplinati prevedendo, nel rispetto delle disposizioni di cui al comma V, criteri di gradualità nella scelta delle modalità di conferimento del servizio”. Infatti, anzi tutto tale norma è espressamente limitata ai casi in cui sussista l’esigenza di “superare assetti monopolistici”; in secondo luogo – ed in questo il Collegio concorda con l’opinione delle parti resistenti – essa, lungi dal porre un principio di gradualità tra i vari modelli di affidamento, si limita a rinviare al legislatore futuro l’individuazione eventuale di tale gradualità, con riguardo ai singoli settori d’intervento.E anzi, il comma Vbis a ben vedere, disegnando in termini di mera facoltà 10 la possibile previsione futura di criteri di gradualità in specifici settori, mostra e contrario di considerare del tutto equipollenti, in linea generale, i tre modelli individuati dal precedente comma V. “Inoltre, è lo stesso contrasto di opinioni esistente fra le parti, con riguardo al caso che occupa, in ordine all’applicabilità o meno dei principi a suo tempo elaborati dalla normativa di settore in materia di trasporti (D. Lgs. nr. 422/97) a dimostrare come un generico rinvio alla disciplina di settore non sia per nulla idoneo a garantire il rispetto dei principi comunitari più volte richiamati. “8. Non può dubitarsi della rilevanza della questione, con riguardo al caso di specie. Infatti, è proprio a seguito dell’entrata in vigore del D.L. nr. 269/03 che il Comune di Bari ha deciso di abbandonare la gara ad evidenza pubblica già avviata per l’affidamento del servizio di trasporto pubblico locale, optando per l’affidamento diretto alla A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. Siffatta decisione non appare assistita da adeguata motivazione in ordine alle esigenze del servizio, tale non potendosi considerare la richiamata esigenza – su cui insiste la difesa dell’Amministrazione resistente – di “valorizzare” la società affidataria (che sembra corrispondere ad esigenze di quest’ultima, e non del servizio); peraltro, tale carenza motivazionale non appare allo stato configurare un contrasto del provvedimento impugnato con la normativa, che come detto nulla prevede in ordine alle valutazioni sottostanti alla scelta della modalità di affidamento del servizio. Né il problema può dirsi superato, come argomentato dalle parti resistenti, in virtù del fatto che l’Amministrazione, con provvedimenti successivi, sta ponendo in atto un’opera di “privatizzazione sostanziale” del servizio, avviando una gara ad evidenza pubblica per l’individuazione del socio privato cui cedere una cospicua parte del capitale sociale dell’A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. (cfr. delibera di G.M. nr. 413 del 21.5.2004).Tale evenienza, al contrario, segnala l’insorgenza di una prassi anch’essa presumibilmente destinata a generalizzarsi, in forza della quale le Amministrazioni provvederanno dapprima ad affidamento diretto dei servizi a società da esse interamente controllate (secondo lo schema di cui alla lettera c) dell’art. 113 co. V), e quindi provvederanno a cedere una parte del capitale a socio privato (attuando in concreto il modello di cui alla precedente lettera b). “Tuttavia, è vero che anche l’affidamento del servizio a società “mista”, come rilevato da parte ricorrente, pone delicati problemi di compatibilità col diritto comunitario, atteso che l’esperimento della gara avviene non per la scelta della migliore modalità tecnica di erogazione del servizio, ma per la sola scelta del socio privato, che sarà destinato ad inserirsi in uno schema già approvato a priori dall’Amministrazione, con modalità non concorrenziali. La prassi suindicata, realizzando una sorta di privatizzazione indiretta di rilevanti settori d’intervento pubblico, sembra configurare un sostanziale aggiramento della normativa comunitaria in materia di concorrenza.S’impone, pertanto, il ricorso alla Corte europea perché valuti la conformità della predetta disciplina alla normativa comunitaria sotto i profili innanzi evidenziati.” 1.3. Orientamenti conformi della prassi e della giurisprudenza. Mentre non sono intervenute le attese indicazioni del Dipartimento delle Politiche Comunitarie, sul decretone si è espressa la Circolare Ministero dell'ambiente e tutela del territorio 6/12/2004 “Affidamento in house del servizio idrico integrato” (G.U. 13/12/2004 n. 291). 11 La società di gestione a capitale interamente pubblico, introdotta con l'art. 14 del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, e contemplata alla lettera c) del comma 5 del novato art. 113 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267, rappresenta una forma gestionale innovativa le cui modalità di costituzione, operatività e funzionalità, in adeguamento alla cornice normativa esistente in materia societaria, sono disciplinate dalla presente circolare, nella quale sono definite le condizioni essenziali e non eludibili per ricorrere all'affidamento con le suddette modalità e per rispettare i principi di diritto comunitario. La principale peculiarità che caratterizza la suddetta società e che la distingue rispetto alle altre società di diritto privato regolate dal codice civile, risiede nella legittimazione a diventare soggetto affidatario del servizio idrico integrato senza propedeutica gara europea ad evidenza pubblica idonea all'individuazione del concessionario ai sensi dell'art. 20 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 22 novembre 2001. La società di cui all'oggetto, rappresentando un contenitore atipico sotto diversi aspetti che nel prosieguo si evidenzieranno, determina il concretizzarsi di un rapporto, tra l'amministrazione concedente e la società stessa, non riconducibile ad un rapporto contrattuale tra due soggetti autonomi e distinti, bensì ad una ipotesi di delegazione interoganica. Infatti, come esplicitato nella norma sopra richiamata, “l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitano sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”. In tal caso, dunque, non si configura un contratto tra l'amministrazione che conferisce la titolarità del servizio ed un soggetto sostanzialmente distinto da essa e autonomo sul piano decisionale; si realizza, invece, un rapporto riconducibile nella forma e nella sostanza a quello che l'amministrazione ha nei confronti dei propri servizi, seppur nella peculiarità del modello societario in cui tali servizi sono organizzati. Tale modalità gestionale (peraltro menzionata anche dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento delle politiche comunitarie del 19 ottobre 2001, n. 12727), notoriamente definita in house, a seguito della sentenza Teckal del 18 novembre 1999, nella quale la Corte di giustizia configurò questa ipotesi di delegazione interorganica, sancendone l'esclusione dall'applicabilità della normativa europea in materia di appalti pubblici, ovverosia della necessaria messa in concorrenza, rappresenta un'ulteriore opportunità, per la gestione dei servizi pubblici locali, che si aggiunge ai modelli tradizionali. Ad essa tuttavia si dovrà ricorrere soltanto in casi eccezionali e residuali, venendosi contrariamente ad eludere i principi derivanti dai trattati, in particolare le norme sulla libera circolazione dei beni e dei servizi, nonché i principi fondamentali di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza e mutuo riconoscimento, che disciplinano il mercato dei servizi. Si ricordi a tale riguardo che la stessa Commissione europea ritiene che l'inosservanza dei menzionati principi del trattato costituisca un impedimento al corretto funzionamento del mercato interno ed alla liberalizzazione degli appalti e dei servizi in cui sono in gioco importanti interessi economici. I medesimi concetti sono ribaditi ed esplicitati nella comunicazione interpretativa della Commissione europea sulle concessioni nel diritto comunitario, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Comunità europea del 29 aprile 2000, laddove si afferma che, mentre le concessioni di lavori sono disciplinate specificatamente dalla direttiva comunitaria n. 93/37, art. 1, lettera d), le altre forme di concessioni, nella misura in cui risultino essere atti dello Stato (da intendersi come atti adottati dalle autorità pubbliche che fanno parte dell'organizzazione dello Stato, nonché quelli adottati da qualsiasi altro organismo che, se pur dotato di personalità giuridica autonoma, sia collegato allo Stato da vincoli così stretti da poter essere considerato come facente parte dell'organizzazione di questo ...), sebbene non siano coperti dalle direttive sugli appalti pubblici, sono ugualmente soggette alle disposizioni generali del trattato ed ai principi che la corte ha elaborato in materia di appalti (principio di parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, e mutuo riconoscimento. 12 Quanto sopra conferma il carattere strettamente residuale del modello societario in house, il quale deve configurarsi come un'opportunità residuale per gli enti locali: malgrado la configurazione societaria che tale modello possiede, infatti, esso non rappresenta una reale esternalizzazione della gestione rispetto alla originaria competenza degli enti locali, bensì costituisce un modello organizzativo per migliorare l'efficienza e l'economicità dell'attività di gestione che gli stessi enti locali sono chiamati a svolgere. L'affidamento diretto del servizio a tale società e la contestuale esclusione dell'obbligo di gara, trova la propria giustificazione nel fatto che il conferimento del servizio, a causa di una motivata e comprovata ragione di interesse pubblico che obiettivamente escluda la possibilità di ricorrere alla gara, non avviene nei confronti di un soggetto giuridico sostanzialmente autonomo, bensì nei confronti di un soggetto gerarchicamente subordinato, assoggettato obbligatoriamente ad un controllo funzionale, gestionale e finanziario stringente. La durata della società in house, precisata nell'atto di affidamento, dovrà essere motivata e obbligatoriamente limitata al tempo necessario per il superamento degli impedimenti all'effettiva messa in concorrenza del servizio, da attuarsi mediante la concessione a terzi, ovvero all'affidamento diretto a società a capitale misto pubblico-privato previa individuazione del socio privato mediante procedimento di gara europea. In virtù di ciò, è obbligatorio che l'atto costitutivo e lo statuto prevedano che la società sia dotata di un'autonomia finanziaria e decisionale limitata e preventivamente circoscritta. In particolare, le deliberazioni concernenti l'amministrazione straordinaria e quelle di determinante rilievo per l'attività sociale, quali il bilancio, la relazione programmatica, l'organigramma, il piano degli investimenti, il piano di sviluppo ed equivalenti, dovranno essere approvati dagli enti locali partecipanti alla società. Gli amministratori ed il direttore della S.p.a. saranno nominati direttamente dagli enti locali proprietari, conformemente, del resto, alle previsioni in materia dettate dagli articoli del codice civile. Alla società in house dovranno partecipare esclusivamente enti locali, trattandosi di una società di scopo con peculiari caratteristiche. Essa non potrà essere partecipata da società a partecipazione pubblica, neppure totale, così come da consorzi intercomunali o, qualora ancora esistenti, da aziende speciali. Non risulta, infatti, che la partecipazione indiretta degli enti locali sia ammissibile in base ai principi comunitari, né che sia funzionale allo scopo della gestione in house. Come affermato nel dettato normativo, dovendo la società realizzare la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano, la società dovrà essere partecipata da tutti gli enti locali facenti parte dell'ambito territoriale ottimale. La società a totale capitale pubblico che riceve l'affidamento del servizio in house è una società di scopo strettamente interdipendente dall'ambito territoriale nel quale svolge il proprio servizio. La società non potrà quindi operare al di fuori del proprio ambito territoriale ottimale, perché finalizzata unicamente alla gestione del servizio idrico integrato in quel determinato territorio. Ciò dovrà essere espressamente previsto dallo statuto. Nelle ipotesi in cui sia stata scelta la modalità di affidamento prevista dal comma 5 dell'art. 35 della legge n. 448 del 2001, essa - in luogo della cessazione entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006, senza necessità di apposita deliberazione dell'ente d'ambito, stabilita nel comma 15-bis del novato art. 113 del testo unico n. 267/2000 - può considerarsi assimilata all'ipotesi di gestione in house solo nel caso in cui tale società presenti rigorosamente i requisiti e le caratteristiche formali e sostanziali sopra elencati. 13 Parallela la Circolare Ministero dell'ambiente e tutela del territorio 6/12/2004 “Affidamento del servizio idrico integrato a società a capitale misto pubblico-privato” (G.U. 13/12/2004 n. 291). L'affidamento del servizio idrico integrato a società mista a capitale pubblico-privato è disciplinato dal comma 5, lettera b), dell'art. 113 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali approvato con decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267, così come modificato dall'art. 14 del decreto-legge del 30 settembre 2003, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326. Come già affermato anche nella precedente circolare del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio n. 11559 del 17 ottobre 2001, la particolare configurazione di questa società comporta fin dal momento della sua costituzione la necessaria presenza di un partner privato all'interno della compagine societaria. La presenza del socio privato è dunque requisito indispensabile per l'inquadramento della società nella fattispecie delle società a capitale pubblico-privato, secondo quanto previsto dal novato art. 113 del testo unico n. 267/2000. Le questioni centrali in merito alla scelta del socio privato sono essenzialmente tre: le modalità con cui selezionare il partner privato (scelta intuitus personae o selezione concorrenziale; criteri per la scelta del socio);in quale fase del procedimento di costituzione debba avvenire la selezione; il quantum di capitale sociale da attribuire. Per quanto concerne la prima questione, attinente alle modalità di selezione del partner privato, appare pacifico ai sensi della normativa vigente in Italia - decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1996, n. 533 - il necessario ricorso ad una gara ad evidenza pubblica. Qualora l'ente d'ambito non opti per una procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla concessione del servizio idrico integrato e scelga invece l'affidamento diretto ad una società mista, il momento di confronto concorrenziale deve essere comunque riservato alla fase antecedente all'affidamento stesso, ovverosia al momento della selezione del socio o dei soci privati che faranno parte del capitale sociale. Queste disposizioni, confermate dalla prevalente dottrina e dalla giurisprudenza ormai consolidata, si fondano sull'ineludibile necessità di un previo confronto con altri soggetti operanti sul mercato. Nessun margine di interpretazione è lasciato in relazione a questo aspetto: risulterebbe quindi elusivo della normativa non ricorrere alla preventiva procedura concorsuale per la scelta del socio privato nella costituenda società affidataria del servizio. La scelta non può dunque basarsi sul mero intuitus personae pena l'elusione di principi di buon andamento ed imparzialità. Per quanto poi attiene alla natura del soggetto privato da selezionare, si ritiene che nella suddetta tipologia di società mista, il privato debba avere determinati requisiti di capacità tecnico-gestionale oltrechè finanziaria.Contrariamente, verrebbe meno il rispetto dell'intendimento del legislatore e non risulterebbero perseguiti gli obiettivi che il medesimo si era prefisso quando ha configurato l'utilizzo del modello societario anche per la gestione dei servizi pubblici locali. La finalità era e resta la configurazione di un contenitore all'interno del quale gli enti locali, titolari del servizio, possano operare in termini più strettamente imprenditoriali, avvalendosi dell'apporto fattivo di know-how proveniente da soggetti imprenditoriali esterni. Gli obiettivi erano e restano quelli del perseguimento di una gestione efficiente, efficace ed economica. Per quanto concerne i criteri di ammissione alla gara e di valutazione delle offerte, pertanto, stante, per le ragioni sopra evidenziate, l'evidente ed assoluta assimilabilità della procedura di selezione del socio privato nelle società miste con quella di individuazione del concessionario nella procedura ex art. 20 della legge n. 36/1994, gli enti locali dovranno fare riferimento, anche in via analogica, al decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 22 novembre 2001 e successive 14 modifiche ed integrazioni.Diversamente però da quanto stabilito nel predetto decreto per la concessione a terzi, la gara per la individuazione del socio privato nella società mista sarà efficace anche in presenza di un'unica offerta valida. In stretta aderenza con quanto sopra, in riferimento all'aspetto che attiene al momento in cui scegliere il partner, occorre chiarire in via definitiva che la scelta del socio privato deve avvenire prima, o comunque contestualmente alla costituzione della società cui affidare il servizio. Come già affermato in precedenza, la configurazione della società cosiddetta mista, nonché il beneficio di ricevere l'affidamento diretto del servizio, trova il suo presupposto ed il suo fondamento di legittimità nel fatto che il confronto concorrenziale e la procedura ad evidenza pubblica sia comunque avvenuta, ancorché non nella fase di affidamento del servizio ma in quella antecedente di selezione del partner privato. In altri termini, poiché la società risulterà costituita con il soggetto che sarà selezionato, è necessario che la relativa procedura di selezione avvenga antecedentemente alla costituzione della società ed al conseguente affidamento del servizio. Nel caso contrario, risulterebbe esserci una violazione dei principi comunitari derivanti dai trattati in tema di parità di trattamento e di tutela della concorrenza. Qualora tale procedura non sia stata rispettata in passato o non lo sia in futuro, la società non può considerarsi avente i requisiti della fattispecie di cui all'oggetto, ed è pertanto soggetta alla decadenza prevista alla data del 31 dicembre 2006, come disposto dal comma 15-bis dell'art. 113 del testo n.267/2000, così come modificato dall'art. 14 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326. Infine, sulla questione relativa al quantum di partecipazione del socio privato al capitale della società, la scelta è a totale discrezione degli enti locali, fermo restando che una partecipazione minimale andrebbe ad eludere il dettato normativo - come statuito anche dalla giurisprudenza - e sarebbe in palese contraddizione con la ratio legis volta a garantire che il privato rappresenti un valore aggiunto a vantaggio della funzionalità della società di gestione e quindi, auspicabilmente, degli utenti destinatari finali del servizio. Ne deriva che la presenza del privato deve avere un rilievo “sostanziale” anche in termini quantitativi e non solo qualitativi, per evitare che vi sia il formale rispetto della norma, senza che se ne perseguano, realmente, le finalità. Di particolare interesse, sul quantum di partecipazione, la decisione in rassegna del Tribunale Amministrativo Regionale Toscana, sez.II, 28/7/2004 n. 2833. Con la stessa i giudici amministrativi fiorentini ricordano in primo luogo che, in consonanza con i principi fissati in tema di libera concorrenza dalla Corte di Giustizia C.E., di norma l'affidamento della gestione dei servizi pubblici locali deve comunque fare seguito all'espletamento di una procedura di gara pubblica secondo la regola fissata in materia di appalto di servizi dalla direttiva C.E. 93/38. In deroga si è ritenuto che l'amministrazione pubblica (soggetto aggiudicatore per definizione) possa procedere all'affidamento "diretto" del servizio ad una società mista partecipata e/o costituita dall'ente titolare del servizio (c.d. affidamento "in house" e cioè domestico) in presenza di specifiche e speciali condizioni (soggette a rigorosa verifica) quali: 1) la dipendenza finanziaria, organizzativa e gestionale del soggetto gestore rispetto all'amministrazione aggiudicatrice e, quindi, la possibilità di un effettivo controllo dell'amministrazione sul gestore del servizio equiparabile a quello esercitabile 15 sui propri organi; 2) lo svolgimento dell'attività economica oggetto del servizio pubblico ad un livello dimensionale tale da risultare, in via di fatto, di prevalente e circoscritto beneficio dell'autorità controllante (Corte di Giustizia C.E. sent. 18.11.1999 su causa 107/1998 Teckal S.r.l. - Comune di Viano). Venendo al caso di specie (riguardante l'affidamento del servizio cimiteriale) il Tar ritiene che non sussistono le illustrate condizioni non essendovi prova in ordine alle procedure ed alla casistica delle scelte gestionali della società gestore oggetto delle funzioni di controllo ed indirizzo esercitate e/o esercitabili dal Comune partecipante alla finanziaria capo gruppo (insieme ad altri 40 comuni). Tali delucidazioni, prosegue il Tar, sono quanto mai essenziali perché l'esiguità della partecipazione azionaria non lascia dubbi circa la non sussistenza dell'ipotesi di dipendenza finanziaria e gestionale connessa ad una significativa e diretta partecipazione azionaria dell'amministrazione titolare del servizio nella società "controllata" - affidataria del medesimo in via diretta. Quindi mancano i necessari elementi di valutazione che inducano a ritenere presente in capo al Comune un potere di direzione e supervisione dell'attività del soggetto partecipato (come avverrebbe ove il soggetto societario prescelto fosse nient'altro che una "longa manus" dello stesso ente locale il cui obiettivo quindi - non può che essere la realizzazione dell'interesse pubblico nel rispetto dei principi di economicità ed efficienza). Pertanto, concludono i giudici amministrativi, se la prevalenza del capitale pubblico locale nella società mista (costituita o partecipata dall'ente titolare del servizio) è presupposto necessario perché l'ente locale possa affidarle la gestione di un servizio pubblico, tuttavia, affinché si deroghi alla regola della gara pubblica, è necessaria altresì la sussistenza degli elementi sopraillustrati che - in sostanza danno conto del fatto che il servizio non viene affidato ad un qualunque imprenditore operante sul mercato, ma, sotto l'abito formale di un soggetto terzo, ad una struttura commerciale che di fatto è un'emanazione dello stesso soggetto-amministrazione; in tal guisa, infatti, si realizza quell'affidamento "in house" ritenuto compatibile dalla Corte di giustizia con la tutela del principio fondamentale della libera concorrenza nel mercato. Deve peraltro essere ricordato il diverso orientamento giurisprudenziale di cui alla decisione del Consiglio di Stato - sez. V - sentenza 30 aprile 2002 n. 2297. In tale sede, Palazzo Spada ha annullato la pronuncia del TAR per la Lombardia, sezione di Brescia, 18 maggio 2001, n. 368 riguardante una deliberazione comunale che aveva affidato il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani a società costituita da altro ente, condizionandone l'efficacia al perfezionamento della partecipazione azionaria dell'ente al capitale della società affidataria. Il primo giudice aveva ritenuto fondata la censura con la quale la società ricorrente aveva affermato che "l'acquisto, da parte del comune, di un limitato numero di azioni di una società per azioni a capitale pubblico locale già costituita (da altri enti) non può consentire l'affidamento diretto alla medesima di un pubblico servizio, con conseguente omissione della procedura concorsuale." I supremi giudici amministrativi ribattono che la tesi secondo cui il sistema normativo in materia di servizi pubblici locali ruoterebbe intorno ad un principio cardine il quale imporrebbe all'ente locale partecipante alla società di detenere una quota dal "capitale sociale rilevante nella misura atta ad assicurare il vincolo di strumentalità della società così costituita" non può essere condivisa laddove se ne vorrebbe far discendere la conseguenza che ciascun ente pubblico partecipante dovrebbe svolgere il ruolo guida della società. 16 Infatti, il significato della partecipazione dell'ente pubblico a società "a prevalente capitale pubblico locale costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o privati" sta nell'apprestare una formula organizzativa che consenta non solo la cooperazione tra l'interesse delle pubbliche amministrazioni con quello dell'impresa privata, ma anche l'esercizio in comune di servizi da parte di enti pubblici aventi interessi omogenei. Ciò spiega - conclude Palazzo Spada - perché la norma, oltre a prevedere la partecipazione di più soggetti pubblici, riferisca la prevalenza del capitale, attraverso la quale si esplica il controllo sulla società, all'insieme degli enti e non a ciascuno di essi singolarmente considerato. 1.4. Pronunce favorevoli alla ri-municipalizzazione. Consiglio di Stato, sez.V, 30/8/2004 n. 5643: SERVIZI PUBBLICI LOCALI - DELIBERAZIONE FORMA DI GESTIONE SOCIETA' MISTA IMPLICA VALUTAZIONI DI MERITO - ASSENZA POSIZIONI SOGGETTIVE TUTELABILI OBBLIGO DI RISERVARE ALLE IMPRESE PRIVATE GESTIONE SERVIZI PUBBLICI - NON SUSSISTE 1. La deliberazione che stabilisce di scegliere, tra le forme di gestione dei servizi pubblici comunali indicate dall'art. 22, comma 3, della legge 8.6.1990, n. 142, il modulo organizzativo della società mista, riguarda una scelta in funzione dell'organizzazione dei servizi pubblici di competenza comunale, riservata esclusivamente all'autonomia e alla responsabilità del Comune. Il Comune stabilisce l'assetto e il conseguente regime dei servizi pubblici di propria competenza, scegliendo tra gli strumenti operativi prefigurati dalla legge, con valutazioni che attengono, alla efficienza, alla economicità e alla efficacia dei servizi stessi, quello ritenuto più idoneo in relazione alle esigenze proprie della collettività che solo il Comune, quale ente rappresentativo della comunità locale e titolare del compito di soddisfare di tali esigenze, può concretamente stimare. Si tratta, quindi, di valutazioni che agiscono sul piano del merito dell'azione amministrativa, nei cui confronti non sono configurabili posizioni giuridiche soggettive tutelabili dei privati, anche se titolari di imprese che esercitano attività potenzialmente idonee a svolgere detti servizi. D'altronde, non vi è una norma che riservi al mercato e pertanto alle imprese private l'esercizio di servizi pubblici. Consiglio di Stato, sez.V, 28/6/2004 n. 4771: 1. SERVIZI PUBBLICI LOCALI - MODALITA' DI GESTIONE - AFFIDAMENTO IN HOUSE EX ART.113, C.5, LETT.C) DLGS. 267/2000 - LEGITTIMITA' - COMPATIBILITA' CON I PRINCIPI DEL DIRITTO COMUNITARIO - VA AFFERMATA 2. SERVIZI PUBBLICI LOCALI - MODALITA' DI GESTIONE - DISCIPLINA EX ART.113, C.,15BIS DLGS. 267/2000 - EFFETTO SANANTE CONCESSIONI NON AD EVIDENZA PUBBLICA CONDIZIONI Il testo attuale dell' art. 113 TUEL, al comma 5, lett. c), consente l'affidamento dell'erogazione del servizio pubblico "a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.". Tale formulazione, riproducendo alla lettera le espressioni usate 17 dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea nella nota sentenza 18 novembre 1999 adottata in causa 107/98, Teckal s.r.l. c. Comune di Aviano, deve, allo stato, ritenersi conforme ai principi del diritto comunitario. 2. L'art. 14 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003 n. 326, ha inserito nell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 un comma 15-bis, con il quale si opera un effetto sanante delle concessioni di servizi pubblici "con procedure diverse dall'evidenza pubblica" in caso di società a capitale interamente pubblico, ancora una volta "a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano.". Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia, Milano, sez.III, 12/5/2004 n. 1685: 1. SERVIZI PUBBLICI LOCALI – MODALITA’ DI GESTIONE – COSTITUZIONE O PARTECIPAZIONE DI SOCIETA’ MISTA – ESPRESSIONE DELLA VOLONTA’ IN ORDINE ALLA MODALITA’ DI GESTIONE DIRETTA – SUCCESSIVO ATTO DI AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO ALLA SOCIETA’ – ATTO MERAMENTE CONSEQUENZIALE E VINCOLATO – LESIONE DEGLI INTERESSI DELLE IMPRESE CHE ASPIRANO ALLA GESTIONE DEL SERVIZIO – SI VERIFICA NELLE DELIBERAZIONI DI COSTITUZIONE O ACQUISIZIONE DI QUOTA DELLA SOCIETA’ 2. SERVIZI PUBBLICI LOCALI - MODALITA’ DI GESTIONE A SEGUITO DELLA NOVELLA EX D.L. 269/2003 – REINTRODUZIONE MODELLO DELLA SOCIETA’ MISTA – LEGITTIMITA’ DEGLI AFFIDAMENTI DISPOSTI SOTTO IL PRECEDENTE REGIME – VA AFFERMATA – RAGIONI 3. SERVIZI PUBBLICI LOCALI – GESTIONE A MEZZO SOCIETA’ MISTA – SOCIETA’ MISTA PARTECIPATA MAGGIORITARIAMENTE DA PIU’ ENTI LOCALI – AFFIDAMENTI DIRETTI DI SERVIZI NEGLI AMBITI TERRITORIALI DEGLI ENTI LOCALI SOCI – LEGITTIMITA’ RAGIONI 1. Gli atti di costituzione della società mista o quelli successivi di acquisizione della partecipazione da parte di un altro ente locale si rivelano i provvedimenti concretamente idonei a sottrarre dal mercato di riferimento la possibilità di accesso alla contrattazione con l’amministrazione che ha optato per quella peculiare forma di gestione diretta del servizio, posto che il conferimento della sua titolarità vale quale atto meramente consequenziale rispetto a quelli di formazione della società e, per certi versi, automatico e vincolato in relazione alla presupposta scelta del modulo in questione (CdS V 30 giugno 2003 n.3864). E’ proprio con la prima categoria di provvedimenti, in conclusione, che l’ente locale manifesta e cristallizza l’opzione del modulo gestorio considerato, mentre con il successivo atto di affidamento si limita a dare esecuzione (necessitata) alla presupposta scelta organizzativa, di talché la lesione effettiva ed immediata degli interessi delle imprese che aspirano alla gestione del servizio risale all’adozione delle delibere di costituzione o di acquisizione della quota di partecipazione nella società mista, tenuto conto del carattere conclusivo della determinazione organizzatoria che esse implicano. 2. Con particolare riferimento ai servizi di rilevanza industriale, che assumono la nuova denominazione di servizi di ‘rilevanza economica’, il nuovo testo dell’art. 113, comma 5, TUEL - a differenza dalla previgente disposizione, che ammetteva solo procedure ad evidenza pubblica dispone (lett. b) che l’erogazione possa avvenire anche a mezzo di ‘società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso provvedimenti o circolari specifiche.’ La fattispecie descritta non è destinata a valere soltanto per il 18 futuro, ma viene presa in considerazione anche con riferimento al passato. La novella introduce infatti nell’art. 113 del d.lgs n. 267/2000 un comma 15-bis, secondo cui ‘nel caso in cui le disposizioni previste per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di transizione, ai fini dell’attuazione della disposizioni previste dal presente articolo, le concessioni rilasciate con procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante. Sono escluse dalla cessazione le concessioni affidate a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza." Si tratta, al di la di ogni ragionevole dubbio, di una norma di salvezza destinata a conferire legittimità a provvedimenti posti in essere sotto il vigore di una diversa disciplina e a escludere l’applicazione della regola dell’anticipata cessazione alle concessioni di cui sia titolare la società a capitale misto. 3. La nuova normativa non esclude la possibilità, per la società mista a dominanza pubblica che sia partecipata da più enti locali e ad essi unita da legame funzionale, di ottenere l'affidamento diretto del servizio negli ambiti territoriali degli enti di riferimento, con il solo vincolo ostativo alla partecipazione alle gare indette per l’affidamento al di fuori del territorio degli enti soci. Il termine plurale utilizzato al comma 15 bis, laddove si ammette che la società mista realizzi la propria attività con gli enti pubblici che la controllano, evidenzia come non si debba necessariamente trattare di società istituite allo scopo dal singolo ente locale per l’erogazione del solo servizio di sua esclusiva pertinenza. La pronuncia si segnala per aver ritenuto la persistente legittimità del modulo organizzativo dei servizi pubblici locali a rilevanza economica mediante affidamento diretto a società mista. Ciò costituisce l’effetto delle previsioni del d.l. 269/2003 che ha reintrodotto la forma gestionale in questione, sovvertendo l’impostazione della riforma dei ss.pp.ll. come configurata dall’art. 35 della l. 448/01. In realtà, il modello della società mista, a differenza dell’”in house providing” mediante società partecipata totalitariamente, sembra privo di esplicita copertura sul piano della compatibilità comunitaria; sul punto, si veda ad es. la pressoché coeva sentenza: Tribunale Amministrativo Regionale Abruzzo, L'Aquila, 14/5/2004 n. 619 1. APPALTI DI SERVIZI - AFFIDAMENTI IN HOUSE - PRESUPPOSTI - AFFIDAMENTO DI SERVIZI A SOCIETA' MISTA - ILLEGITTIMITA' - FATTISPECIE 2. APPALTI DI SERVIZI - AFFIDAMENTI IN HOUSE - PRESUPPOSTI - AFFIDAMENTO DI SERVIZI A SOCIETA' MISTA - SCELTA DEL SOCIO PRIVATO AD EVIDENZA PUBBLICA - NON COSTIUISCE ELEMENTO SUFFICIENTE A LEGITTIMARE L'AFFIDAMENTO DIRETTO 1. Se è vero che la direttiva 92/50/CEE non si applica ai soggetti "in house" (v. sent. Corte Giust. Eur. 18-11-99 - caso TeeKal), ossia ai soggetti sottoposti ad un penetrante controllo da parte della P.A., non può considersi "in house" la Società che gode di un notevole grado d'autonmia, che si manifesta sia nella partecipazione dell'Ente con un capitale del solo 51%, sia nella possibilità che il C.d.A. sia composto a maggioranza privata, sia nella disposizione che riserva ai soci privati la nomina dell'Amministratiore delegato (fattispecie in materia di affidamento della gestione delle attività inerenti i servizi all'impiego da parte di amministrazione provinciale). 2. L'aver individuato tramite procedura di gara il socio privato di minoranza (nella costituzione della società mista) non rappresenta di per sé elemento sufficiente ad esimere necessariamente la P.A. 19 dalla necessità di procedere ad una ulteriore gara per l'affidamento di appalti di servizi alle società miste. <<L'operazione consistente nel creare un'impresa a capitale misto, di per sé non è contemplata dal diritto degli appalti pubblici e delle concessioni >> (“Libro verde relativo ai partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”). La questione era stata affrontata con una nota circolare sull’affidamento del servizio idrico integrato che aveva preceduto di pochi mesi la novella di cui all’art. 35 L. 448/2001. <<È difficile (e tra l'altro in contrasto con la disciplina comunitaria) sostenere la tesi che gli enti locali possono affidare senza alcuna gara la gestione dei pubblici servizi - e nello specifico quello del servizio idrico integrato - a società con prevalente capitale pubblico.>> <<La tesi opposta, quella cioè secondo la quale le società a prevalente capitale pubblico non dovrebbero essere soggette a partecipare a procedure concorrenziali per l'affidamento della gestione dei servizi, appare esplicitamente contrastare con il complesso delle norme richiamate>> (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, circolare 17 ottobre 2001, “Società a prevalente capitale pubblico locale per la gestione del servizio idrico integrato”). In un’ottica comunitaria, l’affidamento diretto a società partecipata può non essere legittimo, soprattutto per gli elementi di indeterminatezza che introduce. <<La scelta del socio privato di minoranza mediante gara non vale a giustificare l’affidamento ad esso dei lavori, atteso che l’aver anticipato la fase dell’evidenza pubblica non vale ad assicurare la legittimità nell’affidamento delle opere[…]>>. <<Ad ulteriore conferma di ciò vi è la circostanza per cui non è dato conoscere l’esatto costo dei lavori da realizzare>> (Deliberazione Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici 14/1/2004 n. 1, “Legge regionale Lazio 28 ottobre 2002 n. 37 in materia di "promozione della costituzione di una società per azioni per la progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione a tariffa o a pedaggio della rete autostradale e di infrastrutture di viabilità a pedaggio nel Lazio"”). <<La durata della relazione di partenariato [il c.d. partenariato istituzionalizzato che si attua attraverso la costituzione della società mista, n.d.r.] deve essere fissata in modo da non restringere o limitare la libera concorrenza al di là di quanto sia necessario per garantire l'ammortamento degli investimenti ed una ragionevole rendita dei capitali investiti. Una durata eccessiva sarebbe infatti in contrasto con i principi che disciplinano il mercato interno o con le disposizioni del Trattato in materia di concorrenza […].>> <<La Commissione ha sovente constatato che le missioni affidate alla struttura della partnerhip non sono chiaramente definite e che in alcuni casi sfuggono anche a qualsiasi quadro contrattuale. Questo non solo contrasta con i principi di trasparenza e di parità di trattamento, ma rischia anche di pregiudicare gli obiettivi d'interesse generale perseguiti dalla pubblica autorità.>> (“Libro verde”, cit.). Consiglio di Stato, sez.VI, 22/11/2004 n. 7637: SERVIZI PUBBLICI LOCALI - SERVIZIO TRASPORTO SCOLASTICO - CARATTERE DI DOVEROSITA' - MODALITA' DI GESTIONE - GESTIONE ATTRAVERSO ORGANISMO TECNICO SPECIALIZZATO - APPLICAZIONE DIRETTIVE COMUNITARIE APPALTI DI SERVIZI - VA ESCLUSA 20 1. Lo svolgimento del servizio trasporti alunni delle scuole materne ha carattere di doverosità, e l'art. 22 della legge 8.6.1990 n. 142 prevede, tra l'altro, che l'ente locale possa attribuire la gestione di servizi finalizzati a soddisfare esigenze di rilievo sociale della comunità locale (quale quello in specie) ad "aziende speciali" o ad apposito organismo deputato allo scopo. La determinazione del Comune non integra, quindi, un atto con il quale si costituisce un rapporto contrattuale con un soggetto "terzo", ma individua, nell'ambito del proprio assetto organizzativo, l'organismo (tecnicamente specializzato), al quale attribuire la cura, in via strumentale, dello specifico interesse di rilievo pubblico. Anche la direttiva 50/92/CEE in materia di appalti di pubblici servizi, esclude dal suo campo di applicazione le prestazioni di servizio non fondate su contratto di appalto "ma rese in base a leggi e regolamenti". 1.5. Attività extraterritoriale delle spa locali. Orientamento favorevole della giurisprudenza (che tuttavia muove dal presupposto della fine del regime degli affidamenti diretti). Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia, Milano, sez.III, 13/4/2004 n. 1453: 1. SERVIZI PUBBLICI LOCALI - DIVIETO EX ART.113, C.6, DLGS. 267/2000 - NON OPERA PER LE PRIME GARE INDETTE IN CHIUSURA DEL PERIODO TRANSITORIO - FATTISPECIE ANTERIORE ALL'ENTRATA IN VIGORE DEL D.L. 269/2003 2. SERVIZI PUBBLICI LOCALI - ATTIVITÀ EXTRA MOENIA DELLE SOCIETÀ COSTITUITE DAGLI ENTI LOCALI - VINCOLO TERRITORIALE - VALENZA PER AZIENDE SPECIALI E SOCIETÀ DI GESTIONE T.P.L. - INSUSSISTENZA PER LE SOCIETÀ DI GESTIONE T.P.L. 1. Il divieto di cui al sesto comma dell'art.113 TUEL non trova applicazione per le prime gare indette, per ogni ambito territoriale, in chiusura del periodo transitorio. Ed invero, il sistema operante prima dell'entrata in vigore del d.l. n.269/03, (che aprendo nuovi scenari per le società a capitale pubblico ha reso recessive le esigenze che presidiavano la fase transitoria e che avevano giustificato la temporanea moratoria al divieto di partecipare alle gare per i soggetti che gestivano servizi pubblici in virtù di affidamenti diretti), garantiva a tali soggetti la possibilità di concorrere per l'aggiudicazione di ambiti territoriali diversi da quello di riferimento. 2. Né è possibile ritenere che l'attività extra moenia, connessa alla partecipazione degli affidatari diretti alle prime gare indette in chiusura del periodo transitorio, resti sottoposta ai limiti di ordine funzionale che sono stati elaborati dalla giurisprudenza in relazione al diverso fenomeno delle aziende speciali. Le censure risultano non centrate proprio perché dirette a sostenere la persistente efficacia dei limiti di operatività delle aziende speciali anche nei confronti delle società costituite in trasformazione delle stesse, laddove, come è stato già affermato, si tratta invece di nuovi soggetti giuridici con ben distinte caratteristiche non assimilabili sul piano della disciplina applicabile e della rispettiva capacità operativa (cfr. CdS V 9 Maggio 2003 n.2467). In proposito anche la Suprema Corte ha evidenziato come la circostanza che il capitale sociale sia di esclusiva appartenenza di enti pubblici non incida, in sé, sulla natura giuridica della società (Cass., SS.UU., 27 marzo 1997, n. 2738). La società costituita dall'ente locale in trasformazione dell'azienda speciale, in quanto dotata di personalità giuridica propria di diritto privato, non soffre in via di principio del limite territoriale alla propria attività, potendo estenderla anche al di fuori dell'ambito territoriale dell'ente di riferimento. I vincoli di integrazione funzionale nello svolgimento del servizio 21 extra moenia delle aziende speciali sono stati enucleati in vigenza delle previsioni dettate nella l.n.142/90 e trovavano, in quel sistema, una specifica ragion d'essere, rinvenibile, oltre che nella natura dei soggetti considerati, nella necessità di connettere alla sussistenza del collegamento funzionale il presupposto essenziale per legittimare la deroga alle norme che, nel rispetto della concorrenza, già imponevano procedure concorsuali per l'affidamento da parte degli enti pubblici dei servizi fuori dall'ambito comunale dell'attività delle aziende speciali. Siffatte esigenze non sono ripetibili nel nuovo sistema caratterizzato, oltre che dalla natura societaria dei soggetti, dal superamento dell'istituto dell'affidamento diretto extra moenia e dalla vigenza della regola della contendibilità di tutti gli ambiti territoriali (con le sole eccezioni derivanti dall'applicazione della nota giurisprudenza sugli affidamenti in house). Tribunale Amministrativo Regionale Liguria, sez.II, 31/3/2004 n. 312: 1. SOCIETA' A CAPITALE MISTO COSTITUITE DAGLI EE.LL. - LIMITE TERRITORIALE - SI RIFERISCE ALLA PRESTAZIONE DI SERVIZI PUBBLICI - PRESTAZIONE DI APPALTI DI SERVIZI - ASSENZA DEL VINCOLO TERRITORIALE 1. Al di là della complessa e sofferta legislazione in materia di società locali a capitale misto pubblico privato, le norme con le relative preclusioni alle attività extraterritoriale per tale tipo di persone giuridiche riguardano l'assunzione di servizi pubblici. Ora, si intende comunemente per servizio pubblico un servizio di cui la legge riconosce l'utilità sociale reso da enti pubblici o da privati concessionari o comunque gestori autorizzati nei confronti della collettività indistinta o comunque di una certa massa di utenti: quindi nel caso in cui non sia una pubblica amministrazione la diretta erogatrice, vi deve essere un rapporto trilaterale tra P.A. che pone le regole o che affida il servizio, soggetto che lo gestisce ed infine gli utenti. Le preclusioni di cui sopra non si applicano dunque laddove si è in presenza dell'aggiudicazione di un servizio, ovverosia della prestazione che deve essere resa da un imprenditore nei confronti dell'amministrazione pubblica ai fini del funzionamento interno della propria macchina operativa e non allo scopo diretto di fornire utilità ai cittadini. Tribunale Amministrativo Regionale Liguria, sez.I, 18/3/2004 n. 277: GARA D'APPALTO - PARTECIPAZIONE SOCIETA' MISTE INDETTE DA TERZI AMMISSIBILITA' - LIMITI - VINCOLO FUNZIONALE - INTERPRETAZIONE Non è preclusa alle cc.dd. società miste la partecipazione a gare ad evidenza pubblica indette da soggetti terzi (cfr. ad es. T.A.R. Lazio, sez. III, 30 giugno 2003, n. 5714). Più in particolare, si è avuto modo di precisare che, essendo la società mista per la gestione di servizi pubblici locali pur sempre un soggetto imprenditoriale di diritto privato - operante sul mercato e sensibile, specie se quotato in borsa, anche alle esigenze dei privati investitori -, il vincolo funzionale, che la lega alla collettività locale di riferimento, va inteso anzitutto in senso residuale e, quindi, non già come mero vincolo territoriale, in vario modo operante invece per le aziende speciali, bensì quale parametro per valutare di volta in volta se, ed in qual misura, l'impegno extraterritoriale della società distolga in misura rilevante risorse e mezzi dall'impegno verso la collettività locale di riferimento, senza che ciò comporti un apprezzabile ritorno d'utilità (anch'esso da accertare in relazione all'impegno profuso ed agli eventuali rischi finanziari corsi) a favore di quest'ultima (cfr. ad es. Consiglio Stato, sez. V, 3 settembre 2001, n. 4586). A quest'ultimo riguardo, si è ritenuto che l'unico limite per queste società sia costituito dal giusto equilibrio tra l'inerenza funzionale dell'attività alla cura degli interessi della collettività di riferimento. E' in quest'ottica pertanto che va inteso il principio già espresso , peraltro 22 con riferimento ad un'azienda speciale comunale, a tenore del quale nell'ambito della capacità imprenditoriale che gli competono tali soggetti comunali ben possono partecipare, in concorrenza con i privati, a gare indette da altri enti per l'affidamento di un servizio pubblico, atteso che essa si configura come lo strumento mediante cui l'ente locale di riferimento svolge un'attività di natura imprenditoriale (cfr. ad es. T.A.R. Liguria, sez. II, 17 gennaio 2002, n. 30). Tribunale Amministrativo Regionale Piemonte, sez.II, 6/3/2004 n. 382: SERVIZI PUBBLICI LOCALI - DISCIPLINA EX ART.35, C.2, L.448/2001 - AFFIDAMENTI DIRETTI - REGIME TRANSITORIO - POSSIBILITA' PER LE IMPRESE AFFIDATARIE DIRETTE DI SERVIZI DI PARTECIPARE ALLE GARE - SUSSISTE 1. L’art. 35, comma 2, l. n. 448/2001 è stata adottato allo scopo di consentire alle imprese affidatarie dirette che si erano date una struttura per porsi anche in concorrenza sul libero mercato di non dissipare i notevoli investimenti cui avevano dato luogo. E’ chiaro che, "a regime", tali imprese non potrebbero godere del doppio privilegio di ottenere sia affidamenti diretti sia di partecipare a gare in libero mercato, se non entrando in contrasto con i principi generali , ma è altrettanto chiaro che l’immediata esclusione delle stesse dalle gare in questione, secondo il disposto dell’art. 35, comma 6 cit., avrebbe creato a sua volta una disparità di trattamento e una improvvisa posizione di favore per le altre imprese che si sarebbero viste cancellare immediatamente potenziali concorrenti in grado di competere sul libero mercato. E’ ragionevole, quindi, nell’ambito di discrezionalità che gli compete che il legislatore abbia previsto il termine in questione, che consentirà alle imprese interessate, sia quelle già affidatarie sia quelle operanti senza precedenti affidamenti diretti, di riorganizzarsi per competere nei rispettivi ambiti di interesse. Consiglio di Stato, sez.V, 9/5/2003 n. 2467: 1. SERVIZI PUBBLICI - SOCIETA' MISTE COSTITUITE DAGLI EE.LL. - LIMITE TERRITORIALE DELL'ATTIVITA' - NON SUSSISTE - CONDIZIONI E LIMITI - DISCIPLINA EX ART.35 L.448/2001 - PERIODO TRANSITORIO 2. SERVIZI PUBBLICI - PRINCIPI DI LIBERA CONCORRENZA E PARITA' DI TRATTAMENTO TRA SOGGETTI PUBBLICI E SOGGETTI PRIVATI PRESTATORI DI SERVIZI - POSSIBILITA' PER IMPRESE PUBBLICHE DI PARTECIPARE A GARE - SUSSISTE 1. Le Società miste costituite dagli enti locali anche in trasformazione di aziende speciali, per avere personalità giuridica propria di diritto privato, non soffrono in via di principio del limite territoriale alla loro attività potendo estenderla, a certe condizioni, anche al di fuori dell'ambito territoriale degli enti di riferimento (cfr. n. 4856/2001, n. 2012/2002 e 3448/2002). Il legislatore con l'art. 35 della legge 448 del 28 dicembre 2001 ha previsto l'obbligo della trasformazione delle aziende speciali in Società per azioni ancorando al termine del periodo provvisorio il divieto di partecipare a gare per l'affidamento di servizi per i soggetti che gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici locali in forza di un affidamento diretto, confermando così che fino a quel momento tale partecipazione è ammessa. 2. Il Trattato di Roma (art. 86) e la direttiva CEE 92/50 art. 1, lett. C), prevedono che le Società pubbliche possano agire in regime di parità di trattamento con le imprese private e che tra i prestatori di servizi sono inclusi i soggetti pubblici che forniscono servizi con il che è esclusa ogni limitazione alla facoltà dei soggetti pubblici fornitori di servizi di partecipare alle gare pubbliche. Una recente pronuncia della Corte di Giustizia n. 94/99 del 7 dicembre 2000 ha stabilito al riguardo 23 che gli organismi che beneficiano di sovvenzioni (per quel che qui può interessare sotto forma di sottoscrizione del capitale) sono ammessi al confronto concorrenziale secondo le regole comunitarie senza che vi sia alterazione della regola della parità di trattamento. Consiglio di Stato, sez.VI, 7/9/2004 n. 5845: 1. APPALTI DI LL.PP. - QUALIFICAZIONE - POSSIBILITA' PER LE SOCIETA' MISTE DI ESEGUIRE LL.PP. PER CONTO DI ALTRE AMMINISTRAZIONI - SUSSISTE - RIFERIMENTO ALLA DISCIPLINA PER I CONCESSIONARI DI LL.PP. - DIVIETO DI IN HOUSE CONTRUCTION - INTERPRETAZIONE 2. APPALTI DI LL.PP. - SOCIETA' MISTE EE.LL. - ATTIVITA' EXTRATERRITORIALE - LIMITI INDIVIDUAZIONE - DISCIPLINA APPLICABILE 1. Anche nel sistema normativo anteriore alla l. n. 166/2002 (c.d. Merloni quater) (che ha abrogato l’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994), si doveva ritenere che né il t.u. enti locali (d.lgs. n. 267/2000), né l’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994, nel testo introdotto dalla l. n. 415/1998 (cd. Merloni ter), precludessero agli enti aggiudicatori, e, segnatamente, alle società miste costituite dagli enti locali, di operare sul mercato in veste di esecutori di lavori pubblici per conto di stazioni appaltanti terze. Conseguentemente, non era precluso a detti soggetti il conseguimento dell’attestazione di qualità di cui all’art. 8, l. n. 109/1994. Tra i soggetti di cui all’art. 2, co. 2, per i concessionari già la stessa l. n. 415/1998 consentiva una deroga al divieto assoluto di in – house construction. Infatti i concessionari possono eseguire in via diretta una percentuale dei lavori, e dunque non hanno un obbligo assoluto di esternalizzazione. Quando i concessionari eseguono i lavori direttamente, devono possedere i requisiti di qualificazione, e dunque hanno titolo a conseguire l’attestazione di qualità.La coesistenza, nell’articolo 2, del comma 4 e del comma 5 bis, induce a ritenere che il comma 5 bis non sancisca affatto un divieto assoluto, per i soggetti aggiudicatori, di assumere anche la veste di soggetti esecutori di lavori pubblici. Invero, l’obbligo di eseguire i lavori di propria competenza mediante appalto, concessione, ovvero lavori in economia, non è un obbligo inderogabile, perché, si è visto, i concessionari potevano, già prima della Merloni quater, eseguire in parte, i lavori, in via diretta. In secondo luogo, l’obbligo di esternalizzazione sancito dal citato art. 2, co. 5 bis, assume il significato di impedire il cumulo in uno stesso soggetto, del ruolo di stazione appaltante e di soggetto esecutore dei lavori, ma tale divieto di cumulo non può che riferirsi ai lavori di pertinenza del soggetto di cui si tratta. Solo per specifici lavori di competenza di un dato soggetto (rientrante nel novero di quelli di cui all’art. 2, co. 2, l. n. 109/1994) ha un significato logico l’obbligo di esternalizzazione e il divieto di in house construction. La norma di cui all’art. 2, co. 5 bis, non impediva, invece, che un soggetto fosse ente aggiudicatore per un dato appalto e soggetto affidatario in un altro appalto. E, invero, nel caso in cui un soggetto di cui all’art. 2, co. 2, operi, non già in veste di stazione appaltante, bensì in veste di esecutore dei lavori pubblici appaltati da altro soggetto (sempre rientrante nell’art. 2, co. 2), non si ricade nel divieto di in house construction. La opposta lettura conduce all’illogico risultato che un soggetto che rientra nel novero dei soggetti aggiudicatori non potrebbe mai essere esecutore di un appalto indetto da altri soggetti aggiudicatori.Il che si traduce in una incapacità giuridica a contrarre, in contrasto con la generale capacità di diritto privato, che va riconosciuta sia ai soggetti privati, sia ai soggetti solo formalmente privati (società a capitale pubblico), sia alle pubbliche amministrazioni. 2. Per quanto riguarda la questione della possibilità, per le società miste costituite da enti locali, di svolgere attività imprenditoriali c.d. extraterritoriali, assumendo il ruolo di esecutori di appalti pubblici indetti da altre stazioni appaltanti pubbliche (diverse dagli enti locali che hanno dato vita alle società miste), tale questione era stata risolta in senso affermativo dalla giurisprudenza, sia pure 24 con paletti e limitazioni volti a non snaturare il ruolo istituzionale delle società miste. Questo Consesso ha infatti ritenuto, già nel vigore dell’art. 113, d.lgs. n. 267/2000, nel testo anteriore alle innovazioni introdotte con la l. n. 448/2001, con il d.l. n. 269/2003, e con la l. n. 350/2003, che <> (C. Stato, V, 3 settembre 2001, n. 4586). Partendo dal principio basilare secondo cui la società mista costituita da enti locali è strumentale al perseguimento degli interessi della collettività locale, non si può a priori escludere la possibilità di svolgimento di attività c.d. extraterritoriali, ma occorre, caso per caso, verificare, con specifiche indagini e studi, che l’espletamento di tali attività, da un lato contribuisca al migliore perseguimento dell’interesse della collettività locale, e, dall’altro lato, non si traduca in un aumento di costi per tale collettività, in termini di aumento di tasse o tariffe, o peggioramento del servizio. Solo a tali condizioni, infatti, si soddisfa la duplice esigenza che, da un lato, le attività extraterritoriali della società mista non si traducano in pregiudizio e aumento di costi della collettività territoriale, in contrasto con i principi di efficienza e di equa misura di tasse e tariffe, e che, dall’altro lato, la società mista, una volta immessa sul mercato, vi operi in condizioni di effettiva concorrenza e parità con gli imprenditori privati, senza costituzione di una posizione di privilegio derivante dalla possibilità di usufruire, in violazione delle norme comunitarie e nazionali sugli aiuti pubblici alle imprese, di una dote economico – finanziaria costituita da denaro pubblico e, dunque, in definitiva, a carico della collettività. Le innovazioni introdotte con l’art. 35, l. n. 448/2001 e con il d.l. n. 269/2003, militano, del pari, nel senso della possibilità, entro certi limiti, che la società mista assuma appalti pubblici anche affidati da soggetti terzi rispetto a quelli che le hanno dato vita.In particolare: - l’art. 35, l. n. 448/2001, aveva vietato la c.d. extraterritorialità, ma solo al termine di un periodo transitorio (così statuendo: <>); - tale divieto è stato abrogato dall’art. 14, l. n. 326/2003 (recante conversione del d.l. n. 269/2003); - la l. n. 350/2003 ha introdotto il divieto di extraterritorialità solo alla fine di un periodo transitorio (art. 113, commi 6 e 15 quater, d.lgs. n. 267/2000). 2.1. L’affidamento dei servizi privi di rilevanza economica. In materia è intervenuta la pronuncia del giudice delle leggi n. 272/2004 che, in estrema sintesi, stabilisce che per i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica non v’è questione di tutela della concorrenza – proprio perché non si tratta di un mercato concorrenziale – e quindi è illegittima l’intromissione statale costituita dall’art. 113-bis del TUEL che definisce, su un piano generale, le modalità di affidamento di tali servizi. La sentenza lascia tuttavia intatte sia le altre norme del D.Lgs. 267/2000 che disciplinano, ad es., l’istituzione come forma di gestione dei servizi sociali, sia la considerazione che le trattasi di forme generali di gestione (amministrazione diretta, concessione, appalto) comunque sussistenti nell’ordinamento giuridico al di là di espresse previsioni, anche perché restano ferme le discipline statali di settore valevoli almeno sino alla sopravvenienza della legislazione regionale. La pronuncia in realtà era stata anticipata, per molti versi, dalla giurisprudenza amministrativa. Tribunale Amministrativo Regionale Liguria, sez.II, 22/4/2004 n. 514: 25 <<Il favor per i soggetti afferenti al "terzo settore" cioè al volontariato senza scopo di lucro non costituisce scelta extravagante ed isolata dell'Amministrazione comunale ma si inserisce coerentemente con il quadro normativo delineato dalla legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, di cui alla l. 8 novembre 2000 n. 328. <<In particolare l'art.1 della l. 328/2000 prescrive agli enti pubblici territoriali di riconoscere ed agevolare il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, mentre il successivo art. 5 impone il ricorso a forme di aggiudicazione e negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità. <<Ne consegue che in presenza di disposizione normative così esplicite la scelta di avvalersi esclusivamente di simili tipologie di soggetti non fa altro che inserirsi nelle linee guida formulate dallo stesso legislatore. <<Ai sensi dell'art. 3 dl.lgs. 157/1995, gli appalti di cui all'allegato n.2 al predetto d.lgs. 157/1995, tra i quali figurano gli appalti relativi a servizi sanitari e sociali, sono soggetti esclusivamente alle norme di cui all'art. 8 comma 3, relativo alla comunicazione dell'esito dell'appalto, ed agli artt. 20 e 21, relativi alle specifiche tecniche dei capitolati d'oneri e dei documenti contrattuali. Analogamente a livello comunitario la direttiva CEE 92/50 all'art. 9 con riferimento all'allegato n. 1B alla stessa prevede analoga esenzione relativamente agli appalti relativi ai servizi sanitari e sociali. Ne consegue che non sussiste alcuna illegittimità in ordine alla limitazione della partecipazione agli appalti de quo ai soli soggetti senza scopo di lucro.>>. Tribunale Amministrativo Regionale Calabria Catanzaro 15/3/2004 n. 637: <<Riguardo all´affidamento di un servizio sociale, va ravvisata un´attenuazione della cogenza del principio di concorrenzialità, destinato ad operare in modo pieno rispetto all´attività di imprese che agiscono in regime di concorrenza ed a fine di lucro (TAR Toscana, 2 agosto 2002 n.1708). <<Tale orientamento pare raccordarsi al quadro normativo di riferimento ed, in particolare, alle previsioni della legge 8 novembre 2000 n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), che, all´art. 5, comma 3, prevede che le regioni, sulla base di un atto di indirizzo e coordinamento del Governo, adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona. <<Orbene, l´art. 5 del D.P.C.M. 30 marzo 2001, emanato in attuazione di tale norma, ha previsto, in relazione alle modalità di affidamento, la possibilità di acquisto da parte dell´ente pubblico di servizi e interventi organizzati dai soggetti del terzo settore (organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, organismi della cooperazione, cooperative sociali, fondazioni, enti di patronato, altri soggetti privati non a scopo di lucro).>>. Tribunale Amministrativo Regionale Basilicata 29/11/2003 n. 1022: <<Se, al fine di promuovere ed agevolare l´attività delle cooperative sociali, anche se solo di quelle della "lettera b)", si giunge a consentire alle pp.aa. di derogare, per la scelta del soggetto cui affidare i servizi pubblici, allo strumento della gara pubblica, a maggior ragione si deve ritenere possibile limitare la partecipazione a dette gare alle sole cooperative, essendo queste costituite allo scopo di 26 perseguire l´interesse collettivo alla predisposizione di interventi di sostegno in favore dei soggetti più bisognosi. <<In questo senso è dunque possibile, anche in deroga alla normativa comunitaria ed interna in tema di parità tra i prestatori di servizi, che, al fine di agevolare le cooperative sociali aventi lo scopo di tutelare l´interesse dei cittadini in situazioni di bisogno, l´amministrazione appaltante, nell´esercizio del proprio potere discrezionale, determini preventivamente una limitazione delle categorie di soggetti da invitare ad una procedura concorsuale. <<L´ordinamento riserva alle organizzazioni di volontariato una particolare posizione, favorendone l´apporto ausiliario nei confronti della p.a., ma senza alcuna loro assimilazione alla logica di mercato, non potendo esse presentare in dipendenza del loro peculiare modello organizzativo e gestionale offerte indicanti un corrispettivo per i servizi da prestare, posto che le risorse economiche di cui possono beneficiare si alimentano in via esclusiva con i rimborsi delle spese sostenute, ivi compresi gli oneri di copertura assicurativa dei volontari impiegati (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, III, 12/1/99 n.108 e 9/3/00 n.1869).>>. In senso parzialmente diverso, Tribunale Amministrativo Regionale Abruzzo Pescara 20/11/2003 n. 1032: <<I servizi pubblici locali non di rilevanza industriale, ove ricorrano particolari condizioni, possono essere dati in concessione a terzi sempre, però, "in base a procedure ad evidenza pubblica" (art. 113-bis del decreto leg.vo 18 agosto 2000, n. 267). Le circostanze speciali che, ai sensi dell'art. 267 del r.d. 14 settembre 1931 n. 1175, consentono di dare in concessione pubblici servizi a trattativa privata non possono essere quelle connesse alla mera presunta maggiore convenienza tecnico-economica dell'intervento, ma devono ritenersi circoscritte ai casi in cui sussiste l'impossibilità per la p.a. di fare ricorso a pubbliche gare in ragione dell'estrema urgenza nel provvedere, ovvero in relazione alla sussistenza di presupposti d'ordine tecnico tali da impedire, se non al prezzo di costi sproporzionati, la ricerca di altre soluzioni basate sul previo confronto concorrenziale (Cons. St., V, 18 giugno 2001, n. 3213, e 15 marzo 2001, n.1514).>>. In materia è poi intervenuta la riforma di cui al d.l. 269/2003. E’ noto che la recente riforma dei servizi pubblici locali aveva inciso anche sui servizi privi di rilevanza economica; proprio l’art. 113-bis del Tuel, come risultante dalla formulazione introdotta dal "decretone" di accompagnamento dell’ultima legge finanziaria, è oggetto dell’intervento della Consulta. Al riguardo, vi era un ritorno alla precedente distinzione tra servizi di rilevanza economica e imprenditoriale e servizi non aventi tale rilevanza, distinzione che era venuta meno con l’art. 35 della L. 448/2001. Mentre la disciplina scaturente dalla legge finanziaria 2002 faceva confluire nella categoria dei servizi privi di rilevanza industriale i servizi imprenditoriali diversi dalle utilities (acqua, elettricità, ecc.), che dunque restavano attratti nell’orbita pubblica, il D.L. 269/2003 riproponeva l’impostazione della L. 142/1990 riferendosi principalmente ai servizi (in senso lato) sociali. In giurisprudenza, tuttavia, smentiva il carattere innovativo della riforma Consiglio di Stato, sez.V, 15/4/2004 n. 2155: <<la "rilevanza industriale" si riduce al carattere imprenditoriale, ossia economico, definito dall’articolo 2082 del codice civile, secondo cui "È imprenditore chi esercita 27 professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi".>>. In sostanza, i servizi privi di rilevanza economica andavano ad identificarsi per il concorso della mano pubblica a prestazioni la cui offerta sul mercato è deficitaria, mentre i servizi economici (e imprenditoriali), connotati dalla remuneratività, formavano appannaggio dell’iniziativa privata (pure se in realtà proprio con il d.l. 269/2003 si era assistito ad una pubblicizzazione "di ritorno" anche di questo settore). I servizi non economici, a seguito della novella, non potevano essere concessi a privati. Vi era da chiedersi se l’abrogazione del comma 4 fosse motivata dall’intento di rimuovere il vincolo che derivava dalla preesistente condizione per cui l’affidamento a terzi era possibile soltanto quando sussistessero ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale. In ogni modo, erano salve le discipline di settore. In effetti, la formulazione della disposizione in commento appariva di difficile conciliabilità con il principio di "sussidiarietà orizzontale" di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost., per cui è favorita l’iniziativa privata per lo svolgimento di attività di interesse generale. Il ruolo del terzo settore nell’attuazione del principio di sussidiarietà nel campo sociale è in particolare esaltato dall’art. 5 della l. 328/2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali). Così come restavano ferme le disposizioni di cui alle leggi 266/1991 e 381/1991 in materia, rispettivamente, di convenzionamento con le associazioni di volontariato e le cooperative sociali per l’erogazione di servizi di carattere sociale e culturale. La riforma lasciava immutate anche le altre forme di gestione già previste; anche se la sopravvivenza dell’istituzione sembrava contrastare con il parallelo riordino del sistema dell’assistenza e beneficenza che vede i due approdi o dell’azienda pubblica di servizi o della fondazione di diritto privato (D.Lgs. n. 207/2001). Anche la forma della società di capitali, peraltro, destava perplessità, in quanto si tratta di attività per definizione prive di rilevanza economica, mal conciliabili quindi con l’utilizzo di una società commerciale. Per altro verso, si introduceva - come per i servizi economici - la triplice condizione di cui alla sentenza "Teckal" (che cioè si trattasse di società a capitale interamente pubblico, che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitassero sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzasse la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano). Ciò faceva sì che la fattispecie corrispondesse, nella sostanza, ad una gestione in economia, però separatamente disciplinata dal comma 2 (che la ammetteva in relazione alle modeste dimensioni o alle caratteristiche del servizio). 2.2. L’affidamento dei servizi alla persona. La normativa. 28 L’art. 5 della l. 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" dispone al comma 2 che, ai fini dell'affidamento dei servizi previsti dalla stessa legge, gli enti pubblici, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 11 in tema di autorizzazione e accreditamento, promuovano azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione amministrativa nonché il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale. Soggiunge il comma 3 che le regioni, sulla base di un atto di indirizzo e coordinamento del Governo, adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona. In attuazione di quanto previsto da tale ultimo comma, è stato emanato il D.P.C.M. 30 marzo 2001 "Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell'art. 5 della l. 8 novembre 2000, n. 328". Secondo l’art. 1 del provvedimento, lo stesso fornisce indirizzi per la regolazione dei rapporti tra comuni e loro forme associative con i soggetti del terzo settore ai fini dell'affidamento dei servizi previsti dalla legge n. 328 del 2000, nonché per la valorizzazione del loro ruolo nella attività di programmazione e progettazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Come stabilito dall’art. 2, si considerano soggetti del terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, gli organismi della cooperazione, le cooperative sociali, le fondazioni, gli enti di patronato, altri soggetti privati non a scopo di lucro. Per quanto riguarda specificamente le organizzazioni di volontariato, dispone l’art. 3 che le regioni e i comuni valorizzino l'apporto del volontariato nel sistema di interventi e servizi come espressione organizzata di solidarietà sociale, di autoaiuto e reciprocità nonché con riferimento ai servizi e alle prestazioni, anche di carattere promozionale, complementari a servizi che richiedono una organizzazione complessa ed altre attività compatibili, ai sensi della legge 11 agosto 1991, n. 266, con la natura e le finalità del volontariato. Gli enti pubblici stabiliscono forme di collaborazione con le organizzazioni di volontariato avvalendosi dello strumento della convenzione di cui alla legge n. 266/1991. Le regioni adottano specifici indirizzi, in particolare, per: a) promuovere l'offerta, il miglioramento della qualità e l'innovazione dei servizi e degli interventi anche attraverso la definizione di specifici requisiti di qualità e il ruolo riconosciuto degli utenti e delle loro associazioni ed enti di tutela; b) favorire la pluralità di offerta dei servizi e delle prestazioni, nel rispetto dei princìpi di trasparenza e semplificazione amministrativa; c) favorire l'utilizzo di forme di aggiudicazione o negoziali che consentano la piena espressione della capacità progettuale ed organizzativa dei soggetti dei terzo settore; d) favorire forme di coprogettazione promosse dalle amministrazioni pubbliche interessate, che coinvolgano attivamente i soggetti del terzo settore per l'individuazione di progetti sperimentali ed innovativi al fine di affrontare specifiche problematiche sociali; e) definire adeguati processi di consultazione con i soggetti del terzo settore e con i loro organismi rappresentativi riconosciuti come parte sociale. 29 Più in dettaglio, l’art. 7 prevede che al fine di affrontare specifiche problematiche sociali, valorizzando e coinvolgendo attivamente i soggetti del terzo settore, i comuni possono indire istruttorie pubbliche per la coprogettazione di interventi innovativi e sperimentali su cui i soggetti del terzo settore esprimono disponibilità a collaborare con il comune per la realizzazione degli obiettivi. Le regioni possono adottare indirizzi per definire le modalità di indizione e funzionamento delle istruttorie pubbliche nonché per la individuazione delle forme di sostegno. In base invece all’art. 8, le regioni e i comuni predispongono, di concerto con gli organismi rappresentativi del terzo settore, azioni di promozione, sostegno e qualificazione dei soggetti del terzo settore mediante politiche formative, fiscali e interventi per l'accesso agevolato al credito e ai fondi europei, avvalendosi anche delle realtà e delle competenze da loro espresse. Stabilisce l’art. 5 che i comuni, al fine di realizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali garantendone i livelli essenziali, possono acquistare servizi e interventi organizzati dai soggetti del terzo settore. Le regioni disciplinano le modalità per l'acquisto da parte dei comuni dei servizi ed interventi organizzati dai soggetti del terzo settore definendo in particolare: a) le modalità per garantire una adeguata pubblicità del presumibile fabbisogno di servizi in un determinato arco temporale; b) le modalità per l'istituzione dell'elenco dei fornitori di servizi autorizzati ai sensi dell'art. 11 della legge n. 328 del 2000, che si dichiarano disponibili ad offrire i servizi richiesti secondo tariffe e caratteristiche qualitative concordate; c) i criteri per l'eventuale selezione dei soggetti fornitori sulla base dell'offerta economicamente più vantaggiosa, tenuto conto di quanto previsto dall'art. 4. Oggetto dell'acquisto o dell'affidamento deve essere l'organizzazione complessiva del servizio o della prestazione, con assoluta esclusione delle mere prestazioni di manodopera che possono essere acquisite esclusivamente nelle forme previste dalla normativa sul lavoro temporaneo. I comuni stipulano convenzioni con i fornitori iscritti nell'elenco, anche acquisendo la disponibilità del fornitore alla erogazione di servizi e interventi a favore di cittadini in possesso dei titoli di cui all'art. 17 della legge n. 328 del 2000. Ai sensi dell’art. 6, le regioni adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra comuni e soggetti del terzo settore nell'affidamento dei servizi alla persona di cui alla legge n. 328 del 2000 tenuto conto delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano le procedure di affidamento dei servizi da parte della pubblica amministrazione. Nel rispetto dei princìpi di pubblicità e trasparenza dell'azione della pubblica amministrazione e di libera concorrenza tra i privati nel rapportarsi ad essa, sono da privilegiare le procedure di aggiudicazione ristrette e negoziate. In tale àmbito le procedure ristrette permettono di valutare e valorizzare diversi elementi di qualità che il comune intende ottenere dal servizio appaltato. I comuni, nell'affidamento per la gestione dei servizi, utilizzano il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, tenuto conto anche di quanto previsto all'art. 4. 30 I contratti prevedono forme e modalità per la verifica degli adempimenti oggetto del contratto ivi compreso il mantenimento dei livelli qualitativi concordati ed i provvedimenti da adottare in caso di mancato rispetto. L’art. 4 disciplina al primo comma la selezione dei soggetti del terzo settore, stabilendo che i comuni, ai fini della preselezione dei soggetti presso cui acquistare o ai quali affidare l'erogazione di servizi di cui agli articoli 5 e 6, fermo restando quanto stabilito dall'art. 11 della legge n. 328/2000, valutino i seguenti elementi: a) la formazione, la qualificazione e l'esperienza professionale degli operatori coinvolti; b) l'esperienza maturata nei settori e nei servizi di riferimento. In base al comma 2 i comuni devono procedere all'aggiudicazione dei servizi di cui al comma 1 sulla base dell'offerta economicamente più vantaggiosa, tenendo conto in particolare dei seguenti elementi qualitativi: a) le modalità adottate per il contenimento del turn over degli operatori; b) gli strumenti di qualificazione organizzativa del lavoro; c) la conoscenza degli specifici problemi sociali del territorio e delle risorse sociali della comunità; d) il rispetto dei trattamenti economici previsti dalla contrattazione collettiva e delle norme in materia di previdenza e assistenza. Il comma 3, a completamento di quanto sopra, vieta espressamente che i comuni procedano all'affidamento dei servizi con il metodo del massimo ribasso. L’art. 9 reca norme finali e transitorie, disponendo che in attesa della adozione delle norme statali e regionali in materia di autorizzazione e accreditamento, previste dalla legge n. 328 del 2000, le regioni definiscano, nell'àmbito degli indirizzi di attuazione sopra citati, le condizioni minime e le modalità per l'instaurazione di rapporti economici tra i comuni e i soggetti del terzo settore. Le stesse disposizioni si applicano anche ai soggetti ai quali i comuni delegano l'esercizio delle proprie funzioni, nonché ai soggetti costituiti per l'esercizio delle stesse. Le regioni adottano indirizzi al fine di rendere applicabili tali norme anche ai servizi ed interventi socio sanitari. Le disposizioni di cui agli articoli 4, 5 e 6 del decreto si applicano, in quanto compatibili, ai rapporti con altri soggetti erogatori. Le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono alle finalità dell’atto di indirizzo nell'àmbito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti. 2.3. Le forme di gestione degli istituti e luoghi della cultura nel nuovo codice dei beni culturali. La materia è disciplinata dal titolo II (artt. 101 ss.) del D.Lgs. 42/2004. 31 Si tratta dei musei, delle biblioteche, degli archivi (storici), delle aree archeologiche, dei parchi archeologici, dei complessi monumentali. Esplicita la definizione di servizio pubblico se si tratta di istituti o luoghi di appartenenza pubblica (se di appartenenza privata e aperti al pubblico trattasi di servizio privato di utilità sociale, per l’individuazione degli stessi si veda l’art. 104). Per quanto riguarda i proventi, in disparte quelli derivanti dall’uso individuale, ad es. dalla riproduzione (artt. 106-109), l’art. 103 del codice, regolando materia già disciplinata dalla l. 352/97, stabilisce che spetta al ministero, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali determinare i casi di libero accesso e di ingresso gratuito, le categorie di biglietti e i criteri per la determinazione del relativo prezzo, le modalità di emissione, distribuzione e vendita del biglietto di ingresso e di riscossione del corrispettivo, anche mediante convenzioni con soggetti pubblici e privati. Nel caso di gestione diretta i proventi sono versati ai soggetti pubblici cui i luoghi o istituti appartengono o sono in consegna; si tratta di proventi a destinazione vincolata (comma 3 dell’art. 110). I principi relativi alla gestione e valorizzazione sono affermati dagli artt. 111 e 112 del codice. La valorizzazione ad iniziativa pubblica si conforma ai principi di libertà di partecipazione, pluralità dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione; a tali attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati. Spetta alle regioni disciplinare la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e luoghi non appartenenti allo stato, o dei quali lo stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa vigente. Al fine di coordinare, armonizzare ed integrare le attività di valorizzazione del patrimonio culturale di appartenenza pubblica, sono comunque previsti accordi tra ministero, regioni ed altri enti per definire gli obiettivi e fissarne i tempi e le modalità di attuazione, individuando altresì le forme di gestione. Accordi specifici riguardano la promozione di attività di studio e ricerca e la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole (artt. 118-119). In ogni caso i soggetti che hanno la gestione delle attività di valorizzazione sono tenuti ad assicurare il rispetto dei livelli di qualità definiti ai sensi dell’art. 114. Due le forme di gestione (art. 115). La gestione diretta è svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico. Ordinariamente gli enti territoriali possono gestire il servizio in forma diretta solo se essa risulti conveniente od opportuna per le modeste dimensioni o per le caratteristiche dell’attività di valorizzazione. Lo stato e le regioni ricorrono alla gestione indiretta al fine di assicurare un adeguato livello di valorizzazione dei beni culturali, previa valutazione comparativa, in termini di efficienza ed efficacia, degli obiettivi che si intendono perseguire e dei relativi mezzi, metodi e tempi. La gestione in forma indiretta è attuata tramite: 32 a) affidamento diretto a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri soggetti, costituiti o partecipati, in misura prevalente, dall’amministrazione pubblica cui i beni pertengono (modalità preferenziale per gli enti territoriali); b) concessione a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica sulla base di valutazione comparativa dei progetti presentati. Il soggetto pubblico titolare può partecipare al patrimonio o al capitale dei soggetti di cui alla lettera a) anche con il conferimento in uso del bene culturale oggetto di valorizzazione. Gli effetti del conferimento si esauriscono, senza indennizzo, in tutti i casi di cessazione totale dalla partecipazione da parte del titolare dell’attività o del servizio, di estinzione del soggetto partecipato ovvero di cessazione per qualunque causa dell’affidamento dell’attività o del servizio. All’affidamento o alla concessione può essere comunque collegata la concessione in uso del bene culturale oggetto di valorizzazione (i beni conferiti o concessi in uso restano peraltro a tutti gli effetti assoggettati al regime giuridico loro proprio, art. 116). Il rapporto tra il titolare dell’attività e l’affidatario od il concessionario è regolato con contratto di servizio, nel quale sono specificati, tra l’altro, i livelli qualitativi di erogazione del servizio e di professionalità degli addetti nonché i poteri di indirizzo e controllo spettanti al titolare. L’art. 117, riprendendo materia regolata per la prima volta con l. 4/1993, riguarda i servizi aggiuntivi. La gestione dei medesimi è attuata nelle stesse forme di cui all’art. 115. Vi rientrano: a. il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali; b. i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario; c. la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali; d. la gestione dei punti vendita e l’utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni; e. i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l’infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro; f. i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba; g. l’organizzazione di mostre e manifestazioni culturali nonché di iniziative promozionali. Tali servizi possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria. Infine l’art. 120 disciplina la sponsorizzazione di beni culturali. Essa avviene attraverso l’associazione del nome, del marchio, dell’immagine, dell’attività o del prodotto dello sponsor all’iniziativa oggetto del contributo (in beni o servizi), in forme compatibili con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione (con il quale sono altresì definite le modalità di erogazione del contributo nonché le forme del controllo, da parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dell’iniziativa cui il contributo si riferisce). 33 L’art. 121 riguarda gli accordi (protocolli di intesa nel testo dell’articolo) con le fondazioni bancarie, al fine di coordinare gli interenti di valorizzazione sul patrimonio culturale e, in tale contesto, garantire l’equilibrato impiego delle risorse finanziarie messe a disposizione. 2.4. L’affidamento dei servizi alla persona. La giurisprudenza. Consiglio di Stato, sez.V, 3/7/2003 n. 4003: APPALTI DI SERVIZI - SERVIZI SOCIALI - DISCIPLINA EX L.328/2000 E DPCM 21.3.2001 OBBLIGO DELLA GARA MEDIANTE OFFERTA ECONOMICAMENTE PIU' VANTAGGIOSA NON SI APPLICA AL SERVIZIO DI ASILO-NIDO - RAGIONI - NON RIENTRA TRA I SERVIZI SOCIALI DEFINITI DALL'ART.128 DLGS. 112/1998 Le norme (legge 8 novembre 2000 n. 328 e decreto del presidente del consiglio dei ministri 21 marzo 2001), che impongono il sistema di gara dell’offerta più vantaggiosa e vietano il sistema delle offerte al massimo ribasso per gli appalti dei servizi sociali definiti dall’articolo 128 del decreto legislativo 31 marzo 1998 n. 112, non si applicano ad un servizio di asilo-nido, il quale, sia esso un servizio educativo o in qualsiasi altro modo lo si voglia qualificare e classificare, non rientra fra i servizi sociali definiti dal citato articolo 128 né, pertanto, nel divieto di aggiudicarne l’appalto con il sistema di offerte al massimo ribasso. Tribunale Amministrativo Regionale Veneto, sez.I, 11/6/2003 n. 3284: CONTRATTI DELLA P.A. - CONVENZIONI CON LE COOPERATIVE SOCIALI - ESCLUSIONE DI COOPERATIVA ISCRITTA ALL'ALBO DI UNA REGIONE DIVERSA DA QUELLA DELL'AMMINISTRAZIONE - ILLEGITTIMITA' - RAGIONI - ISCRIZIONE DELLA COOPERTIVA ALL'ALBO REGIONALE - COMPORTA IL RICONOSCIMENTO DI COOPERATIVA SOCIALE SULL'INTERO TERRITORIO NAZIONALE In generale l'ordinamento non stabilisce alcun limite alla capacità giuridica e d’agire, e dunque di essere parte di una procedura contrattuale, delle società cooperative (come di qualsiasi altra persona giuridica di diritto interno) in relazione al luogo in cui il procedimento per la loro costituzione si è perfezionato: ciò che, per le cooperative sociali, si determina appunto con la loro iscrizione nel registro regionale. Pertanto, in difetto di una norma derogatoria univoca, non vi è ragione di supporre che, istituendo albi regionali per le cooperative sociali, il legislatore abbia inteso porre, solo per questa categoria di soggetti, limitazioni di carattere generale alla loro capacità giuridica, fondate su di un elemento spaziale, escludendole dalle gare che si svolgano fuori dalla Regione nel cui albo sono iscritte. Una simile previsione confliggerebbe con principi costituzionali: così, con quello di eguaglianza, giacché non si vede quali peculiarità giustificherebbero per una tale pregiudizievole limitazione, rispetto alle altre persone giuridiche, e proprio per un soggetto che è espressione di quella attività di cooperazione favorita dalla stessa Costituzione; ovvero, ancora, con le libertà di stabilimento e circolazione sul territorio nazionale, che sarebbero gravemente compromesse da una siffatta restrizione. L’iscrizione nell’albo di una determinata Regione comporta il riconoscimento della qualità di cooperativa sociale sull’intero territorio nazionale, con la conseguenza che, se un’Amministrazione 34 ha stabilito di contrattare con tali soggetti, non potrà legittimamente richiedere l’iscrizione in un determinato albo locale, dovendosi ritenere che questi siano tra loro pienamente equipollenti. Pertanto, la prescrizione della lex specialis che, come nel caso in esame, limiti la partecipazione alle sole cooperative sociali incluse in un determinato albo regionale, da un canto si pone in contrasto con la legislazione che regola la materia, e dall’altro realizza un’ingiustificata discriminazione tra le imprese, richiedendo il possesso di un requisito aggiuntivo che non corrisponde ad alcun particolare apprezzabile interesse della stazione appaltante. Tribunale Amministrativo Regionale Sardegna, sez.I, 15/4/2004 n. 500: 1. SERVIZI SOCIALI - GESTIONE DI COMUNITA' ALLOGGIO PER ANZIANI QUALIFICAZIONE - SERVIZIO SOCIALE EX DLGS. 112/1998 - NATURA DI SERVIZIO ALLA PERSONA 2. SERVIZI SOCIALI - AFFIDAMENTO - DISCIPLINA EX ART. 5 L.328/2000 - VALORIZZAZIONE SOGGETTI TERZO SETTORE - CRITERIO DI VALUTAZIONE DELLE OFFERTE - DISCIPLINA EX DPCM 30.3.2001 - DIVIETO UTILIZZO CRITERIO DEL PREZZO PIU' BASSO 3. SERVIZI SOCIALI - AFFIDAMENTO - CRITERIO DEL PREZZO PIU' BASSO EX ART.23 LETT.A) DLGS. 157/1995 - ILLEGITTIMITA' 1. La gestione di una comunità alloggio per anziani va senz’altro qualificato, ai sensi del D.Lgvo 31 marzo 1998 n. 112, come servizio sociale, attesa la sua natura di servizio alla persona. 2. Per l’affidamento di tali servizi l’art. 5 della legge 8 novembre 2000 n. 328 prevede espressamente il ricorso a forme di aggiudicazione che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale.Con D.P.C.M. 30 marzo 2001, art. 4, comma 3°, si è inoltre espressamente previsto che i comuni, ai fini delle aggiudicazioni di tali servizi, non devono utilizzare il metodo del massimo ribasso. 3. Nel caso in cui la gara è effettuata in base al criterio di cui all’art. 23, comma 1°, lett. a) del D.Lgvo n. 157/95, e cioè unicamente in base al prezzo più basso, va disposto l’annullamento dell’intera procedura concorsuale oggetto di gravame per violazione di legge. 3. Gli acquisti di beni e servizi delle spa miste degli enti locali. La questione posta è se una Società a partecipazione pubblica maggioritaria sia tenuta, nell’acquisizione di beni e servizi strumentali, nonché in caso di eventuale (è da vedere quanto legittimo) affidamento a terzi di nuove attività derivanti da possibili futuri ampliamenti dell’oggetto sociale, all’applicazione della normativa in materia di appalti pubblici. In caso positivo, quale sia la normativa applicabile sia al di sopra sia al di sotto della c.d. soglia comunitaria. In base al più recente orientamento sia del Consiglio di Stato (v. Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 1999, n.295; Id., sez. VI, 28 ottobre 1998, n.1478), sia delle più recenti pronunzie della stessa Corte di Cassazione (Cass., sez. un., 5 febbraio 1999, n.24; Id. 13 febbraio 1999, n.64; Id., 12 giugno 1999, n.332), la normativa comunitaria, al fine di realizzare anche nel settore dei pubblici appalti gli 35 obiettivi della libera circolazione dei beni, delle persone, dei servizi, nonché di salvaguardare la libera concorrenza, impone l’applicazione del modello dell’evidenza pubblica ben oltre il tradizionale limite soggettivo dei contratti stipulati dagli enti pubblici. Si è stabilito che la procedura di gara, con tutte le garanzie procedimentali che la contraddistinguono, debba applicarsi, oltre che nei riguardi degli enti pubblici, anche nei confronti degli "organismi di diritto pubblico", elaborando una nozione che esorbita quella precedente di "amministrazione aggiudicatrice" ed abbraccia anche figure soggettive formalmente classificate come privatistiche (v., per tutti, gli artt. 1 della direttiva n. 37 del 1993, in materia di appalto di lavori; 1 della direttiva n.50 del 1992, in tema di appalto di servizi). Tale nozione, oltretutto, è stata recepita anche dal legislatore interno (v. gli artt. 2 della legge n. 109 del 1994 in tema di appalto di lavori, e 2 del d. lgs. n.157 del 1995 in tema di appalto di servizi). Si è osservato che la vigenza del regime dell’evidenza pubblica, lungi dall’essere neutrale rispetto alla qualificazione del rapporto, incide profondamente sulla posizione dell’ente aggiudicatore, sugli obiettivi da questi perseguiti e sulle posizioni soggettive dei partecipanti alla gara. Le finalità della procedura, in coerenza con gli scopi del legislatore comunitario, sono dunque di immediato rilievo pubblicistico: per tutte basti richiamare l’esigenza di un utilizzo corretto ed imparziale del denaro pubblico e la tutela della libera concorrenza negli assetti di mercato. Per altro verso, la conduzione della gara e la scelta dell’aggiudicatario comportano l’attuazione di un potere di matrice autoritativa, con l’attitudine ad incidere sulla posizione dei partecipanti. Costoro, infine, sono garantiti proprio grazie all’applicazione di un modulo procedimentale pubblicistico, improntato alla tutela della par condicio. Da questa ricostruzione si è fatto discendere l’ampliamento degli ambiti soggettivi ed oggettivi della nozione di atto amministrativo, che, riverberandosi anche sulle norme processuali, provoca la corrispondente estensione della giurisdizione del giudice amministrativo (i richiamati precedenti ritengono opportunamente rilevanti sul terreno processuale i riferimenti desunti dagli artt. 12 e 13 della legge 19.2.1992, n.142, quest’ultimo abrogato dal d. lgs. n.80 del 1998; 30 del d. lgs. n.157 del 1995; 11, comma 1 della legge 19.12.1992, n.489; 31 bis della legge n.109 del 1994; nonché il dato, comunque particolarmente significativo, desunto dall’ art.33 del d. lgs. n.80 del 1998). Può richiamarsi, in particolare, una decisione, che ha posto in rilievo proprio la recente evoluzione della nozione classica di atto amministrativo, che ha conosciuto nel più recente periodo un significativo processo di "erosione", a favore di sistemi di gestione dell’attività amministrativa che, per un verso, si avvalgono di modelli convenzionali e/o di assetti normativi di spiccata origine privatistica e che, per altro verso, affidano vasti settori di azione a figure soggettive di indubbia matrice privatistica (v. Cons. Stato, sez. V, 6 dicembre 1999, n.2046). Di interesse in tal senso è una più recente decisione del Consiglio di Stato (Sez. IV, 15.2.2002, n. 934). La controversia concerneva l’impugnazione degli atti relativi all’aggiudicazione di un pubblico appalto di servizi, avente ad oggetto l’esecuzione di analisi chimiche sull’olio di raffreddamento di trasformatori elettrici, espletato con le regole sull’evidenza pubblica e, segnatamente, con il modello della licitazione privata. L’appalto era stato bandito ed aggiudicato da una società per azioni a partecipazione comunale costituita ai sensi dell’art.17, comma 51 e ss., della legge n.127 del 1997. 36 La stazione appaltante dunque aveva la veste di società per azioni "mista", affidataria della gestione di un pubblico servizio. L’appalto - la circostanza è di rilievo - era di importo inferiore a quello previsto dalla disciplina comunitaria come condizione per la sua obbligatoria applicazione nei confronti degli Stati membri (direttiva CEE 92/50, recepita dal d. lgs. n.157 del 1995). Il giudice amministrativo di primo grado aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione uniformandosi alla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione del tempo, secondo la quale le procedure di gara espletate dagli enti pubblici economici operanti con strumenti e con "capacità" di diritto privato sono rimesse alla cognizione del giudice ordinario. Si riteneva decisiva la qualificazione privatistica degli atti compiuti dall’ente, allo scopo di negare che le posizioni soggettive dei partecipanti alla gara e di quanti avessero interesse a contestarne lo svolgimento o gli esiti appartenessero alla categoria dell’interesse legittimo. Si sarebbe trattato, dunque, di diritti soggettivi puri, non potendo l’attività di diritto privato assumere l’effetto degradatorio, che consegue solo all’esercizio di potestà pubblicistiche. E ciò nonostante il modello dell’azione, attuata con l’evidenza pubblica, fosse identico a quello che, in altri settori, contraddistingue l’attività amministrativa, confrontandosi con posizioni di interesse legittimo. Nel riformare la pronuncia di primo grado, il Consiglio di Stato premette che il dato più importante, nell’indagine dell’interprete, concerne proprio il fatto che l’appalto de quo è "sottosoglia" e, dunque, non rientra tra quelli per i quali la procedura ad evidenza pubblica è imposta dalla normativa comunitaria di settore. Sarebbe, questo, un ostacolo all’applicazione delle predette disposizioni (d.lgs. 80/1998), che si riferiscono a gare indette da soggetti "comunque tenuti all’applicazione della normativa comunitaria". Tuttavia, in una recente decisione Palazzo Spada ha esteso la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie pertinenti a gare ad evidenza pubblica di importo inferiore alla soglia comunitaria espletate da una società avente i caratteri sostanziali dell’organismo di diritto pubblico (è la decisione della Sezione VI, 2 marzo 2001, n.1206, relativa a Poste Italiane s.p.a.). In breve, quando la procedura di gara è indetta con le regole dell’evidenza pubblica da un soggetto che opera nell’erogazione di servizi pubblici e che è tenuto, in generale, al rispetto di siffatte regole, la giurisdizione del giudice amministrativo sussiste anche se non vi era, in concreto, il vincolo comunitario ad utilizzare l’evidenza pubblica in quello specifico caso. Questa lettura è coerente con l’esigenza di offrire un quadro razionale del nuovo sistema di riparto della giurisdizione, che, altrimenti, dovrebbe tollerare che due controversie, identiche per soggetti ed oggetto e distinte solo per una minima differenza di valore, vadano l’una (quella di maggiore importo) al giudice amministrativo e l’altra (quella di minore importo) al giudice ordinario. Infine, non deve sottacersi - conclude la ricordata pronuncia del Consiglio di Stato - che, secondo la Commissione UE, anche nei casi in cui non trova applicazione la direttiva sugli appalti di servizi (in particolare, nel caso delle concessioni di pubblici servizi) la scelta del contraente incontra i limiti indicati dalle norme del Trattato in materia di libera prestazione di servizi e dai principi generali del diritto comunitario, tra cui la non discriminazione, la parità di trattamento, la trasparenza. Si impone così una scelta fatta con criteri obiettivi e trasparenti, tali da assicurare in ogni caso la concorrenza tra i soggetti interessati (v. i progetti di comunicazione interpretativa della Commissione del 24.2.1999 e del 12.4.2000; v. anche, per l’affermazione dei medesimi principi e per la rilevanza 37 generale degli obblighi di trasparenza nella scelta dei contraenti, specie quando si tratta di servizi pubblici, Corte di Giustizia CE, 7 dicembre 2000, C-324/98). E’ pur vero che queste affermazioni sono state rese con riferimento alla concessione di servizi pubblici, che è figura ben diversa dall’appalto di servizi, anche se commesso da un soggetto che utilizzerà la prestazione per erogare, a sua volta, un servizio pubblico. Ma esse hanno una portata generale e possono adattarsi ad ogni fattispecie che sia estranea all’immediato ambito applicativo delle direttive sugli appalti. Del resto, conclude la decisione di Palazzo Spada, è utile ricordare che la tradizione dell’ordinamento interno è sempre stata quella di favorire la libera scelta del concessionario, introducendo ampie deroghe al regime dell’evidenza pubblica, e di considerare con maggior rigore, all’opposto, proprio la scelta del contraente appaltatore. La giurisprudenza più recente conferma gli orientamenti richiamati. In primo luogo può essere citata la sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 23/7/2004 n. 9, in relazione ad un appalto indetto dalla società Grandi Stazioni, posseduta al 60% dalle Ferrovie dello Stato. Tale decisione ha affermato, tra l’altro, che l'obbligo di indire la gara - nella specie relativa ad un appalto comunitario - continua a sussistere anche quando il soggetto che vi è tenuto non svolge direttamente le relative attività organizzative e di gestione, ma - sulla base di un contratto o di un titolo equivalente - ne affida lo svolgimento ad un altro soggetto (Cons. Stato, Sez. VI, 24 settembre 2001, n. 5007; Sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1577; Sez. V, 4 novembre 1994, n. 1257; Sez. II, 11 dicembre 1991, n. 1221/91; Sez. II, 11 dicembre 1991, n. 1208/91; Sez. II, 19 giugno 1991, n. 570/91). Circa la nozione di organismo di diritto pubblico, ed in particolare in merito al requisito del soddisfacimento di finalità di interesse generale non aventi carattere industriale e commerciale, su cui è vasto il dibattito giurisprudenziale e dottrinario (tanto da non poter essere ripercorso nemmeno per sommi capi), può richiamarsi, per tutte, la decisione del Consiglio di Stato, sez.V, 22/4/2004 n. 2292 la quale afferma che ai fini della definizione della nozione di organismo di diritto pubblico va accolta la nozione funzionale ricavabile dalla giurisprudenza comunitaria. Pertanto, se un'attività industriale o commerciale viene svolta in stretta correlazione con un interesse pubblico, essa perde la sua tradizionale connotazione giuridica ed economica, per acquistare quella specifica dell'ordinamento comunitario. Il requisito che caratterizza l'organismo di diritto pubblico, perché acquisti carattere non industriale, deve ricollegarsi ad un interesse che il legislatore ha inteso sottrarre dai mercati improntati esclusivamente da un'ordinaria attività imprenditoriale, industriale o commerciale (Cons. Stato, II, 25 settembre 2002, n. 2020; Sez. VI, 17 settembre 2002, n. 4711). Nel caso sopra esaminato il Consiglio di Stato ha ritenuto che la gestione diretta o a mezzo terzi della discarica per rifiuti solidi urbani di nonché ogni tipo di intervento di carattere ambientale nel bacino della discarica o comunque nel territorio del comune riveste senz’altro valenza pubblicistica dato il particolare rilevo dell’attività di discarica, espressamente qualificata di pubblico interesse dall’art. 1 del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e sottoposta a regime autorizzatorio. Proseguendo nella rassegna, può essere ricordata anche la decisione del Consiglio di Stato, sez.VI, 17/2/2003 n. 843: l'attività di scelta del terzo contraente negli appalti pubblici in virtù dei limiti procedurali e dei vincoli funzionali cui è soggetta (cd. evidenza pubblica), anche quando è posta in essere da soggetti formalmente privati, non è espressione di attività negoziale, ma di attività amministrativa pubblica, a fronte della quale vi sono posizioni di interesse legittimo, dovendosi considerare in tali ipotesi le stazioni appaltanti (limitatamente agli atti di gara) Pubbliche 38 Amministrazioni in senso soggettivo (cfr. in tal senso Cons. St. VI, 27 ottobre 1998, n. 1478; 9 maggio 2000, n. 2681; 22 gennaio 2001, n. 192). Tra la giurisprudenza di primo grado si segnala T.A.R. Toscana, sez.II, 7/11/2003 n. 5713 nella quale si legge che l’attività di una società mista pubblica partecipata in misura maggioritaria da Ente Locale che gestisce in regime di privativa un servizio pubblico è soggetta al regime di trasparenza ed imparzialità in quanto detti organismi esercitano attività di servizio pubblico per il soddisfacimento dei bisogni essenziali delle collettività. A sua volta T.A.R. Veneto, sez. I, 3/11/2003 n. 5439 afferma che l’organizzazione a società per azioni (nella specie, peraltro, a totale partecipazione pubblica) non esclude che la stessa costituisca un organismo di diritto pubblico e quindi un' "amministrazione aggiudicatrice" ai sensi e per gli effetti del d. lgs. n. 358/1992, per quanto concerne l'obbligo di applicare la normativa comunitaria nella scelta del contraente per i contratti sopra soglia (cfr. T.A.R. Veneto sez. 1^ 1007/2001). La medesima pronuncia risulta d’interesse soggiungendo che la soggezione alla giurisdizione del giudice amministrativo anche delle controversie concernenti gli appalti sotto soglia discende, oltre che dall'esigenza comunitaria di assicurare comunque il principio della trasparenza e della parità di trattamento, per il solo fatto che la procedura di gara è indetta con le regole dell'evidenza pubblica da un soggetto che opera nell'erogazione di servizi pubblici e che è tenuto, in generale, al rispetto di siffatte regole, anche se, nello specifico caso, non sussista in concreto il vincolo comunitario che imponga l'utilizzo dell'evidenza pubblica. T.A.R. Veneto, sez. III, 26/5/2003 n. 3014 afferma che una società a prevalente capitale pubblico (peraltro nella specie operante nei settori esclusi di cui al D.L.vo 17 marzo 1995 n. 158 di "Attuazione delle direttive 90/531/CEE e 93/38/CEE relative alle procedure di appalti nei settori esclusi"), è impresa pubblica e come tale soggetto aggiudicatore, destinato a seguire le procedure di evidenza pubblica ai fini della stipulazione di contratti con terzi. Cfr. anche T.A.R. Campania, Napoli, sez.I, 20/5/2003 n. 5868: i soggetti formalmente privati, in quanto società di capitali, ma sostanzialmente a rilevanza pubblicistica, perché il capitale è in maggioranza in possesso di enti pubblici, sono tenuti a rispettate le regole della concorrenza, anche in caso di appalti di servizi al di sotto della soglia comunitaria. Volendo pertanto trarre le fila dell’esame della giurisprudenza sopra condotto, si può dire che lo stesso consente di concludere nel senso dell’assoggettamento delle Società in discorso alla normativa comunitaria e nazionale di recepimento in materia di pubblici appalti. Per quanto riguarda specificamente gli appalti “sotto soglia” deve essere dato per acquisito, come sopra ricordato, che anche nei casi in cui non trovano applicazione le direttive sugli appalti la scelta del contraente incontra i limiti indicati dai principi generali del diritto comunitario (non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza) e dalle esigenze di corretto e imparziale impiego delle risorse pubbliche. Nel caso di specie si può ritenere, fermi i surrichiamati principi, che la disciplina positiva cui richiamarsi non sia individuabile strettamente nelle norme di contabilità di Stato (R.D. n. 827/1924) aventi un ambito soggettivo di applicazione che di per sé non si estende agli appalti di soggetti diversi; analogamente può dirsi in relazione al d.P.R. 573/1994 in materia di forniture sotto soglia che è riferito alle vere e proprie pubbliche amministrazioni, nonché, per le medesime ragioni, riguardo ad altre norme (es. d.P.R. 384/2001, d.P.R. 101/2002). Pertanto può ipotizzarsi che la Società, anche ai fini di mantenere una congrua snellezza operativa, provveda ad adottare allo scopo una autonoma regolamentazione delle procedure di acquisto di beni e servizi, pubblicizzata adeguatamente (da valere anche come modello di organizzazione ai sensi 39 dell’art. 6 del D.Lgs. 231/2001 in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche), la quale, restando imperniata su canoni di trasparenza e concorrenzialità, possa non soggiacere totalmente ai limiti e alle forme della normativa contabile surrichiamata, ricorrendo a modalità più semplificate e disciplinando anche eventuali aspetti come l’istituzione di propri sistemi di qualificazione, le spese in economia, ecc.. 40