RTF - Appalti e Contratti

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L’affidamento dei servizi pubblici locali. Le società partecipate
Verso l’ASSOCIAZIONE NAZIONALE DEI RESPONSABILI
DEGLI UFFICI DI PROVVEDITORATO GARE E CONTRATTI
DELLE AMMINISTRAZIONI AGGIUDICATRICI
Legalità, tutela della concorrenza, qualificazione della spesa pubblica
Manifestazioni d’interesse di massima all’indirizzo di posta elettronica [email protected]
Indice
1.1. L’affidamento dei servizi a rilevanza economica …………pag. 2
1.2. Le ordinanze di rimessione alla Corte di Giustizia …….….pag. 10
1.3. Orientamenti conformi della prassi e della giurisprudenza…pag. 13
1.4. Pronunce favorevoli alla ri-municipalizzazione …………….pag. 18
1.5. Attività extraterritoriale delle spa locali……………………..pag. 22
2.1. L’affidamento dei servizi privi di rilevanza economica …….pag. 27
2.2.L’affidamento dei servizi alla persona. La normativa………..pag. 30
2.3. Le forme di gestione degli istituti e luoghi della cultura…….pag. 33
2.4. L’affidamento dei servizi alla persona. La giurisprudenza ….pag. 35
3. Gli acquisti di beni e servizi delle spa miste degli enti locali …pag. 37
1.1. L’affidamento dei servizi a rilevanza economica.
Al fine di una accelerazione del processo di liberalizzazione dei servizi pubblici, l’art. 35 della L.
448/2001 in tema di obbligo di gara per l’affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza
industriale ha novellato l’art. 113 del T.U. sugli enti locali (D.Lgs. 267/2000 ss.mm.ii.) e ha segnato
una svolta nella disciplina in materia, facendo venir meno tra i compiti dell’ente locale la titolarità del
servizio (comma 5 dell’art. 113 cit.).
L’ente locale ha nel nuovo disegno normativo una funzione autorizzatoria nonché di regolazione del
mercato (cui è funzionale la conservazione della titolarità degli impianti, delle reti e delle dotazioni).
Sulla gestione dei servizi pubblici locali si apre un mercato nel quale competono soggetti pubblici e
privati che concorrono in procedure ad evidenza pubblica per l’assegnazione dei servizi.
La norma in questione ha profili spinosi che riguardano la definizione di servizio a rilevanza
industriale nonché la previsione di un regime transitorio volto a legittimare la procrastinazione degli
affidamenti diretti esistenti.
Sia l’una che l’altra questione hanno esposto l’Italia a rilievi da parte delle istituzioni comunitarie che
contestano la natura dilatoria degli aspetti attuativi della riforma rispetto all’esigenza di un pieno ed
immediato esplicarsi della concorrenza in tale settore, in attuazione dei principi fondamentali del
Trattato.
Tuttavia il criterio discretivo è pienamente applicabile e si impernia non tanto sull’industrialità
(successivamente sostituita dall’economicità, con ritorno alla formula della L. 142/1990) quanto sulla
natura sociale o meno del servizio.
Infatti soltanto nel primo caso si giustifica l’esistenza di una disciplina derogatoria che consente
l’affidamento diretto, tenuto conto delle ancor valide ragioni che possono sorreggere l’intervento
della mano pubblica in un settore la cui redditività può essere insufficiente (fermo restando che se
l’ente si avvale del concorso di privati dovrà presceglierli con procedure di evidenza pubblica).
Negli altri casi, invece, l’ente deve esperire la gara per l’affidamento del (rectius, per l’autorizzazione
al) servizio.
Tribunale Amministrativo Regionale Campania, Napoli, 30/4/2003 n. 4203:
SERVIZI PUBBLICI - SERVIZI A RILEVANZA INDUSTRIALE - DISCIPLINA EX ART.113 DLGS.
267/2000 MOD. EX ART.35 L.448/2001 - CONFERIMENTO DELLA TITOLARITA' DEL SERVIZIO
A SOCIETA' DI CAPITALI - OBBLIGO DI PROCEDURE AD EVIDENZA PUBBLICA - SUSSISTE POSSIBILITA' DI ASSICURARE IL RISPETTO DELL'EVIDENZA PUBBLICA MEDIANTE GARA
PER LA SCELTA DEL SOCIO DI UNA SOCIETA' MISTA - VA ESCLUSA - RAPPORTO CON I
PRINCIPI COMUNITARI - NOZIONE DI INDUSTRIALITA' - INTERPRETAZIONE AFFIDAMENTO DIRETTO A SOCIETA' MISTA COMUNALE DEL SERVIZIO DI GESTIONE DEI
PARCHEGGI E DELLA SOSTA - ILLEGITTIMITA'
L’art. 35 della legge 448 del 2001, che ha modificato l’art. 113 del TUEL, prescrive che la
erogazione del servizio pubblico di rilevanza industriale avviene con conferimento della titolarità del
servizio a società di capitali (non necessariamente miste) da individuarsi attraverso l’espletamento
di gare con procedure ad evidenza pubblica (comma 5 nuovo art. 113).
L’art. 35 suddetto, al comma 15, introduce la disciplina per i servizi pubblici privi di rilevanza
industriale, prevedendo che la gestione avvenga mediante affidamento diretto anche a (v. lett. c)
società di capitali costituite o partecipate dagli enti locali, regolate dal codice civile.
La nuova disciplina prevede infatti la necessità delle procedure per la scelta dell’altro contraente, in
generale, per i servizi industriali, già al momento dell’affidamento del servizio, per la individuazione
del soggetto gestore, non accontentandosi della concorrenzialità, eventualmente, soltanto al
momento della scelta del socio privato, in caso di affidamento a società mista.
Pertanto, ai fini della individuazione della disciplina applicabile, è preliminare distinguere i servizi
di rilevanza industriale da quelli privi di rilevanza industriale. Si deve rilevare al riguardo che se è
vero che il medesimo art. 35, al comma 16, prevede che il Governo debba adottare le disposizioni
necessarie per la individuazione dei servizi di rilevanza industriale, non sembra che l’emanazione di
regolamenti esecutivi ed attuativi statali, secondo un riparto di competenza regolamentare della cui
costituzionalità peraltro si dubita alla luce del nuovo Titolo V parte seconda della Costituzione,
condizioni la efficacia della nuova disciplina, e ciò sia in relazione alla sostanziale completezza della
normativa primaria sia in considerazione dell’origine di tale normativa.
Infatti la nuova disciplina dell’art. 35 L.448/2001 deriva dalla procedura d’infrazione 1999/2184
della Commissione Europea nei confronti dell’Italia, che ha ritenuto che le modalità di affidamento
dei servizi pubblici locali previste dall’art. 22 L.142/1990, e in particolare dalla lettera e), fossero in
contrasto con i principi di parità di trattamento, di trasparenza, di non discriminazione e di
concorrenza.
Le contestazioni comunitarie in verità non hanno risparmiato neanche la nuova disciplina, visto che
la Commissione in data 26.06.2002 ha inviato al Governo italiano, una nuova lettera di costituzione
in mora per incompatibilità anche dell’articolo 35 con le direttive comunitarie in materia. In
sostanza la Commissione ha ritenuto che l’affidamento diretto sia la eccezione e non la regola, e
possa avvenire solo nelle ipotesi derogatorie previste dal Trattato, e sono messi in dubbio gli
affidamenti diretti della gestione delle reti, così come la estensione della categoria dei servizi privi di
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rilevanza industriale, la cui disciplina prevederebbe una minore tutela dei principi della
concorrenza.
Poiché la regola generale, prevista dall’art. 86 del Trattato UE è che le imprese incaricate della
gestione dei servizi di interesse economico generale sono sottoposte alle regole della concorrenza
nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento in diritto o in fatto della
missione o funzione loro affidata, una deroga nel senso di consentire agli stati membri liberamente
il tipo di politica e organizzazione da seguire, può consentirsi soltanto in casi ristretti che si pongono
come eccezione al principio generale dell’affidamento su gara.
In questo quadro non appare determinante la definizione della nozione di "industrialità" e in
particolare non può, secondo la interpretazione imposta dalla supremazia del diritto comunitario,
ritenersi che il requisito della industrialità, (tale è invece il suo senso per lo studioso del diritto
commerciale), vada riferito alla trasformazione fisica della materia (art. 2195 c.c.).
Va invece incentrata l’analisi sulla definizione dell’area dei servizi di natura sociale. Ebbene tale
area coincide con i servizi di interesse generale le cui funzioni sono principalmente solidaristiche
(mense, asili nido, biblioteche, beneficenza pubblica, assistenza sanitaria volontaria, ecc.),
consistenti, secondo la definizione datane dall’articolo 128 comma 2 del D.Lgs.112/1998, in quelle
<<attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di
prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la
persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema
previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della
giustizia>>.
Tali servizi, di solito, non realizzano profitti e non si prefiggono di svolgere attività per scopo di lucro
(rectius, economica o industriale).
Pertanto, non rientrano, secondo la interpretazione che deriva dal contesto in cui è sorta la nuova
disciplina, in questa categoria, i servizi pubblici di parcheggio e in genere quelli (sosta, impianti
semaforici, transennamenti, segnaletica, rimozione), che appartengono piuttosto alla tipologia di
quelli economico-produttivi o industriali, tra i quali vanno ricompresi per esempio il servizio postale,
telefonico, ferroviario, elettrico, radiotelevisivo.
Alla stregua di tali considerazioni, è illegittimo l’affidamento diretto del servizio della gestione dei
parcheggi e della sosta ad una società di capitali, seppure mista a partecipazione anche comunale, in
quanto in tal modo sono violate le regole della concorrenza nella scelta dell’affidatario, prima che
nella scelta del partner privato.
Resta ininfluente che tra i concorrenti vi sia una società partecipata dall’ente locale, la quale non potrà
che essere uno degli operatori tenuti ad assoggettarsi al confronto concorrenziale sul mercato,
essendo venuto meno, correlativamente, il divieto di svolgimento di attività extraterritoriale (ultimo
periodo del comma 2 dell’art. 35).
La formula gestoria della società partecipata, peraltro, non è più prevista per i servizi di rilevanza
industriale.
Né rileva, a tal fine, la sussistenza di un periodo transitorio che è finalizzato soltanto alla proroga
delle gestioni esistenti.
Mentre ha effetto immediato la soppressione della modalità organizzativa della società a
partecipazione pubblica locale: l’ente non può più assumere il servizio né direttamente né a mezzo
della società partecipata.
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Tribunale Amministrativo Regionale Marche, 30/4/2003 n. 246:
SERVIZI PUBBLICI - NUOVO ASSETTO DELLA DISCIPLINA EX ART.113 DLGS.
267/2000 MOD. EX ART. 35 L.488/2000 - SERVIZI A RILEVANZA INDUSTRIALE - PERIODO
TRANSITORIO - POSSIBILITA' PER L'ENTE LOCALE DI COSTITUIRE SOCIETA' MISTE PER
L'AFFIDAMENTO DIRETTO DI SERVIZI PUBBLICI A RILEVANZA INDUSTRIALE - VA
ESCLUSA - ANCHE NEL PERIODO TRANSITORIO - RAGIONI - POSSIBILITA' DI COSTITUIRE
SOCIETA' INTERAMENTE PARTECIPATA DALL'ENTE LOCALE - VA ESCLUSA - RAGIONI
1. L´art.35 della legge n.448/2000 ha introdotto delle sostanziali innovazioni all' art.113 TUEL,
limitando, innanzi tutto, la sua applicazione ai servizi pubblici locali "di rilevanza industriale",
mentre il precedente testo si riferiva, più in generale, ai "servizi pubblici locali": di contro, per la
disciplina dell´affidamento dei servizi che non hanno rilevanza industriale (recte: che saranno
definiti dall´apposito regolamento di rilevanza non industriale) è stato aggiunto l´art.113/bis.
Per i servizi di rilevanza industriale è stata eliminata la possibilità della gestione in economia o
tramite azienda speciale, mentre la possibilità dell´affidamento diretto a società di capitali con
partecipazione maggioritaria degli enti locali è consentita unicamente nell´ipotesi della gestione
delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali a condizione che "la loro gestione sia
separata dall´attività di erogazione dei servizi".
Viceversa, l´erogazione dei servizi deve essere effettuata "in regime di concorrenza" e "con
conferimento di titolarità a società di capitali individuate attraverso l´espletamento di gare con
procedure ad evidenza pubblica" (art.35,V comma, L. n.448/2001).
2. Di conseguenza, se si ammette, come sembra del tutto evidente, che i servizi di gestione delle reti e
degli impianti di gas, acqua e depurazione e della loro erogazione siano di "rilevanza industriale", il
soggetto cui affidarli deve essere individuato mediante gara pubblica: si tratta tuttavia di stabilire se
l´obbligo della gara sia o meno già operante.
Al riguardo, deve rilevarsi che:
- ai sensi del XVI comma del ripetuto art.35 L. n.448/2001, deve ancora essere emanato il previsto
regolamento governativo con la dichiarata finalità di stabilire, appunto, "le disposizioni necessarie
per l´esecuzione e l´attuazione del presente articolo", cioè dell´art.35, nonché "l´individuazione dei
servizi di cui all´art.113, I comma" del D.Lgs. n.267/2000, cioè dei servizi con "rilevanza industriale"
e la de-finizione delle "condizioni per l´ammissione alla gare di imprese estere o di imprese italiane
che abbiano avuto all´estero la gestione del servizio senza ricorrere a procedure ad evidenza
pubblica" (art.35, II comma);
- le prevista gara dovrà essere "indetta nel rispetto degli standard qualitativi, ambientali, di equa
distribuzione sul territorio e di sicurezza definititi dalla competente Autorità di settore o, in
mancanza di essa, dagli enti locali" (art.113, VII comma) e questo adempimento neppure risulta
intervenuto.
3.Tuttavia, l´impossibilità di ottemperare all´obbligo della gara non comporta che, nelle more
dell´emanazione previste disposizioni attuative, il Comune abbia ancora la facoltà di costituire una
società di capitali o a responsabilità limitata per l´affidamento "diretto" dei servizi di che trattasi.
Infatti, l´art.113 del D.Lgs. n.267/2000, che tanto consentiva, comunque non è più in vigore, essendo
stato, appunto, sostituito dall´art.35 della legge n.448/2001, né la sua permanente validità, almeno
sino all´emanazione del suindicato regolamento governativo, può essere ugualmente ritenuta
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perché una siffatta deduzione è indirettamente esclusa proprio dal regime transitorio all´uopo
stabilito e consistente, sostanzialmente, nella conferma delle gestioni esistenti affidate senza gara,
sia pure entro i limiti temporali indicati nel secondo comma del citato art.35 e da integrare, appunto,
dall´emanando regolamento e con l´obbligo di effettuare entro il 30.6.2003 la trasformazione delle
aziende speciali e dei consorzi gestori in società di capitali.
4. Nella specie, la legge 17 maggio 1999 n.114, recante norme comuni per il mercato interno del gas
naturale, oltre ad aver già previsto, nell´art. 14, I comma, che "il servizio è affidato esclusivamente
mediante gara", allorché, nel successivo art.15, disciplina il regime transitorio nelle more
dell´adeguamento alle disposizioni della citata legge n.114/ 1999, consente unicamente o la gara
pubblica per il suo affidamento, oppure la trasformazione delle aziende o delle "aziende consortili"
"che gestiscono il servizio di distribuzione" - con ciò inequivocabilmente intendendo quelle che li
gestivano all´epoca della sua emanazione - fissando, per questa seconda ipotesi, i limiti temporali
alla cui scadenza si dovrà comunque procedere ai sensi del precedente art.14, cioè mediante gara.
Per il servizio idrico integrato, nelle more della riorganizzazione prevista dalla legge 5 gennaio
1994, n.36, si provvede alla gestione:
- mediante l´affidamento diretto (stabilito, proprio in alternativa alla gara pubblica, dal successivo
quinto comma dell´art.35 della legge n.448/2001) "a società di capitali partecipate unicamente da
enti locali che fanno parte dello stesso ambio territoriale ottimale (...)" da parte, però, dei "soggetti
competenti, individuati dalle Regioni" ai sensi dell´art.9 della citata legge n.36/1994;
- oppure, mediante la conferma delle "gestioni esistenti" alla data della legge, come stabilito dal
successivo art.10 della legge n.36/1994.
5. A seguito dunque della generale disciplina posta dall´art.35 della legge n. 448/2001, nonché di
quelle specifiche di settore, neppure può essere condivisa l´argomentazione sulla equiparazione
della "gestione diretta" alla gestione tramite società interamente partecipata (diversa da quella in
capo alla quale è la gestione esistente), che, quindi, sarebbe solo un "organo" interamente
controllato dal Comune: a parte che la possibilità della gestione diretta è prevista dall´art.113/bis
solo per le attività che non sono di rilevanza industriale e non più per quelle a rilevanza industriale,
la costituzione di una società interamente partecipata non è un principio generale insito
nell´ordinamento degli Enti locali anche in mancanza di un esplicito presupposto normativo, dal
momento che si tratta pur sempre di una forma di gestione introdotta solo da alcuni anni ed a seguito
di specifica disposizione di legge, ribadita, appunto, dal precedente testo dell´art.113 del D.Lgs.
n.267/2000, però abrogato dall´1.1.2002 e come sopra sostituito; né, ovviamente, può ritenersi che il
nuovo assetto legislativo per la gestione dei servizi di rilevanza industriale, anche nel periodo
transitorio alla sua completa attuazione, possa essere discrezionalmente disapplicato dai Comuni
avvalendosi di assetti organizzativi non più consentiti.
Il d.l. 269/2003 (“decretone” di accompagnamento alla finanziaria 2004) reintroduce tuttavia tra le
forme gestionali la società partecipata.
Ciò determina un corto circuito tra funzioni di regolazione e gestione del servizio: l’ente locale
stabilisce la politica tariffaria, gli obiettivi di qualità e di efficienza ma al contempo è controparte di se
stesso conservando la titolarità del servizio a mezzo di un soggetto in relazione interorganica con i
propri organi decisionali.
Sovvertendo le finalità di fondo della riforma - intesa a sottrarre all’ente locale la stessa titolarità dei
servizi e a determinare la privatizzazione in senso sostanziale delle spa locali (cioè la cessione di
almeno il 40% e poi del 51% del capitale a privati) -, sono fatte salve le gestioni esistenti affidate a
società a capitale interamente pubblico.
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L’unica condizione è che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un
controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante
della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
Con ciò la norma si vuole collocare, dichiaratamente, in un quadro di compatibilità con i principi
espressi dalla giurisprudenza comunitaria, che ammettono eccezionalmente l’espletamento di servizi
"in house".
Infatti, come a suo tempo ricordato dalla circolare 19 ottobre 2001, n.12727 del Dipartimento
Politiche Comunitarie, la normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non
trova applicazione, secondo l'orientamento espresso dalla Corte di giustizia dell'Unione europea,
quando manchi un vero e proprio rapporto contrattuale tra due soggetti, come nel caso, secondo la
terminologia della Corte, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale "in
house" (cfr.: Corte di giustizia, sentenza Teckal del 18 novembre 1999, causa C-107/98).
In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta,
l'applicazione delle direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l'ente locale eserciti sulla
persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona
(giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti locali che la
controllano.
Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie, per controllo analogo si intende un rapporto
equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica.
In ogni altro caso, l'aggiudicazione del servizio deve avvenire nel rispetto dei principi di trasparenza e
di parità di trattamento: infatti la necessità di seguire procedure ad evidenza pubblica discende in
linea retta dalle norme e dai principi stabiliti dal Trattato (articoli 49 e seguenti, come indicato dalla
stessa Commissione nella sua comunicazione interpretativa sulle concessioni nel diritto comunitario,
v. GUCE C 121 del 29 aprile 2000) [tali orientamenti sono stati recepiti dall’emananda direttiva unica
in tema di disciplina della concessione di servizi, n.d.r.].
Il caso esaminato nella sentenza Teckal è emblematico.
Si trattava di un appalto di forniture (di combustibile) affidato direttamente ad un’azienda consortile a
partecipazione comunale.
Nella specie la Corte di Giustizia ha osservato che nella materia delle forniture manca l’eccezione
prevista nella direttiva servizi in merito agli appalti affidati a soggetti che siano essi stessi
amministrazioni aggiudicatici che beneficiano di diritti di esclusiva compatibili con il Trattato.
La Corte ha dunque enunciato il principio richiamato, per cui nelle forniture la sola fattispecie di
legittimo affidamento diretto è quella che concreta una forma di fornitura "in house" o di
autoproduzione in senso proprio.
Ciò riepilogato, non pare dunque congruo affidare alla formula della sentenza Teckal il tentativo di
procrastinare l’introduzione di forme di concorrenza nell’affidamento della gestione dei servizi
pubblici locali.
Infatti la Corte di Giustizia non ha inteso altro che ritenere possibili, in casi eccezionali, le produzioni
di beni e servizi in economia ("in house").
E’ - invero - quanto da sempre previsto anche nella legislazione nazionale, nel caso di forniture o
anche di servizi di limitato importo che si prestano, per loro natura, ad essere espletati in economia.
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Dunque tale principio non si presta ad essere esteso alla materia dei servizi pubblici locali, in
relazione ai quali l’esigenza dell’apertura alla concorrenza è ormai piena per la loro rilevanza
economica e imprenditoriale, che esclude una loro gestione diretta.
Detto altrimenti, è evidente la contraddizione contenuta in una disposizione che, da un lato, esclude la
gestione diretta in economia quale possibile forma di gestione dei servizi pubblici (ad eccezione di
casi limitati di minore dimensione), dall’altro consente una loro gestione a mezzo di società
interamente partecipata, fondata sul presupposto dell’assimilazione del controllo esercitato dall’ente
su quest’ultima ad un controllo diretto sui servizi dell’ente.
Gli orientamenti comunitari nel settore delle public utilities sono riassunti nel Libro verde della
Commissione europea sui servizi di interesse generale.
Viene ricordato che, in un contesto di liberalizzazione, al fine di un progressivo miglioramento della
qualità dei servizi e della concorrenza sulle tariffe, l’ordinamento comunitario di norma esclude
l’affidamento dei servizi pubblici ad un unico gestore in regime di esclusiva.
Laddove ciò è inevitabile per la natura del servizio, la regola è la scelta del gestore a mezzo di
pubbliche gare.
L’intervento della mano pubblica è residuale e si giustifica soltanto se il ricorso al mercato non
garantisce la fornitura di standard minimi di servizio, in quanto solo in tal caso è legittima la deroga ai
principi di concorrenza tutelati dal Trattato UE.
Se in passato lo strumento è stato quello della municipalizzazione dei servizi salva la concessione
all’industria privata, oggi il principio di sussidiarietà orizzontale impone un rovesciamento della
logica.
Una lettura del d.l. 269/2003 orientata alla conformità con il diritto comunitario deve quindi imporre
che l’utilizzo della formula organizzativa della società pubblica non costituisce un’alternativa libera
ma viceversa condizionata al ricorrere di tali circostanze.
Inoltre, se l’ordinamento comunitario consente sia il modello dell’esternalizzazione sia quello dell'"in
house providing", ossia del mantenimento all’interno della sfera pubblica della gestione, tuttavia
l’utilizzo della forma societaria per la produzione "in house" dei servizi è condizionato al
conseguimento di economie di gestione (art. 29, 1° comma, lett. b, L. 448/2001).
Ma anche sotto un altro profilo, se la disposizione intende richiamarsi testualmente alla
giurisprudenza comunitaria ed in particolare alla citata sentenza Teckal, non pare che la stessa sia
utilmente applicabile per raggiungere gli scopi perseguiti dal legislatore nazionale.
Presumibilmente - nell’intento dei compilatori della disposizione - è implicita in qualunque società in
mano pubblica la ricordata condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla
società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
Tuttavia le cose paiono stare diversamente.
Infatti la ridetta definizione - di per sé - sembra attagliarsi soltanto alle vecchie aziende in economia
degli enti locali, che erano organi non dotati di personalità giuridica distinta rispetto a quella dell’ente
locale di appartenenza ma solo di autonomia tecnica e contabile (es. aziende bagni, ecc.).
Solo in un tal caso, dunque, si poteva correttamente discorrere di una relazione interorganica tra
organi decisionali dell’ente e azienda.
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Già l’azienda speciale ex art. 114 TUEL (ex art. 23 L. 142/1990) si pone fuori da tale definizione:
essa è dotata di personalità giuridica e di autonomia imprenditoriale, segno della reiezione
dell’ingerenza dell’ente nella gestione aziendale.
A maggior ragione ciò vale se si guarda alle società a partecipazione pubblica locale.
Invero, la disciplina applicabile alle medesime non si differenzia da quella prevista per le società il
cui capitale sia di proprietà di privati, se non per quanto previsto dagli artt. 2458 ss. c.c..
Ne consegue che il controllo esercitato dall’ente sulla società ai sensi del diritto societario (derivante
dalla partecipazione totalitaria dell’ente al capitale sociale) non è per sé sufficiente ad escludere
l’applicazione delle norme in materia di affidamento degli appalti pubblici e delle concessioni.
Non può cioè, verificarsi realmente la condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale
esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi.
Infatti, anche per gli amministratori nominati direttamente dall’ente, le direttive impartite dall’ente
locale non possono che contenere linee di politica imprenditoriale e non hanno alcun valore
obbligatorio sul piano societario: nell’esercizio del proprio mandato gli amministratori debbono
perseguire unicamente gli interessi della società.
Dunque, da questi sia pur brevi cenni emerge che non può trattarsi in nessun caso di rapporto
equivalente ad una relazione di sovraordinazione gerarchica, né nei confronti della società (in
relazione alla quale l’ente locale non ha da esercitare null’altro che i normali diritti dell’azionista) né
nei confronti degli amministratori.
Il punto è che sussiste contratto d’appalto se questo sia stipulato fra un’amministrazione
aggiudicatrice e una <<persona giuridicamente distinta (...) da essa sul piano formale e autonoma
rispetto ad essa sul piano decisionale>> [sentenza Teckal cit. ].
La Corte conclude che il giudice nazionale <<deve verificare se [nel caso specifico] ci sia stato un
incontro di volontà tra due persone distinte>> (punto 49).
Affinché non sussista il rapporto di terzietà rilevante ai fini della applicazione delle regole
comunitarie, <<non è sufficiente il semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di
maggioranza secondo le regole proprie del diritto societario>>.
Infatti, è necessario un <<assoluto potere di direzione, coordinamento e supervisione dell’attività del
soggetto partecipato>> da parte dell’amministrazione controllante (punti 32-33 dell’atto di
reiterazione di messa in mora [c(2002) 2329 del 26/06/2002] della Commissione europea, citato da
G.Sciullo, "La procedura di affidamento dei servizi pubblici locali tra disciplina interna e principi
comunitari", in "lexitalia.it", 12/2003).
1.2. Le ordinanze di rimessione alla Corte di Giustizia.
Il punto è colto da Consiglio di Stato sez.V 22/4/2004 n. 2316.
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Preventivabile che si ponesse quanto prima – ai livelli più autorevoli – questione circa la
compatibilità comunitaria della normativa nazionale (statale e regionale) relativa all’affidamento "in
house" dei servizi pubblici locali.
La pronuncia rimette gli atti alla Corte di giustizia della Comunità Europea, a sensi dell'art. 234 del
Trattato istitutivo, ai fini della pronuncia pregiudiziale sul seguente quesito:

se è compatibile col diritto comunitario, in particolare con la libertà della prestazione di servizi, il
divieto di discriminazione e l'obbligo di parità di trattamento, trasparenza e libera concorrenza, di
cui agli artt. 12, 45, 46, 49 e 86 del Trattato, l'affidamento diretto, ossia in deroga ai sistemi di
scelta del contraente di cui alla Direttiva 92/50 CEE, della gestione di servizi pubblici (nella
specie, parcheggi pubblici a pagamento), ad una società per azioni, a capitale interamente
pubblico.
Secondo Palazzo Spada, il controllo contemplato nella sentenza Teckal fa infatti riferimento ad un
rapporto che determina, da parte dell'amministrazione controllante, un assoluto potere di direzione,
coordinamento e supervisione dell'attività del soggetto partecipato, e che riguarda l'insieme dei più
importanti atti di gestione del medesimo.
Sembra alludersi, quindi, ad un fenomeno giuridico assimilabile a quello delle aziende
municipalizzate di cui al r.d. 15 ottobre 1925 n.2578, nel quale si istituiva un soggetto sottoposto
peraltro a penetranti poteri di vigilanza da parte dell'Amministrazione (art. 16 e ss. R.D. n.
2578/1925).
L'affidamento diretto a società per azioni, del tutto autonome, salvo l'esercizio dei poteri propri del
possessore della maggioranza delle azioni, secondo le norme del diritto commerciale comune, sembra
esporre la gestione delle pubbliche risorse a procedure diverse da quelle destinate a garantire una
crescita del mercato interno, l'economia nelle spese e il vantaggio per l'utenza.
Si riscontra – concludono i supremi giudici amministrativi – un impiego sempre più frequente della
detta deroga, e ciò comporta la sottrazione di aree assai ampie di attività economiche all'iniziativa
imprenditoriale privata, in contrasto con la stessa ragion d'essere dell'Unione Europea.
Va ricordata anche l’ordinanza del Tar barese che censura l’utilizzo generalizzato dell’affidamento
“in house” che il regime di cui al d.l. 269/03 legittima, in contrasto con la natura eccezionale dello
stesso che le fonti comunitarie, che pure il decretone collegato alla finanziaria 2004 pretenderebbe
recepire, delineano.
Parole severe dai giudici pugliesi anche sul modello della società mista, vista anch’essa come forma
di creazione di mercati riservati.
Tribunale Amministrativo Regionale Puglia, Bari, sez.III 8/9/2004 n. 885:
SERVIZI PUBBLICI LOCALI - AFFIDAMENTO IN HOUSE - DISCIPLINA EX ART.113, C.5,
LETT.C) DLGS.267/2000 - QUESTIONE CIRCA COMPATIBILITA' COL DIRITTO
COMUNITARIO - RIMESSIONE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA CE
Va rimessa alla Corte di Giustizia Europea, ai sensi dell'art. 234 del Trattato istitutivo, la pronuncia
pregiudiziale sul seguente quesito:
Se sia compatibile con il diritto comunitario, ed in particolare con gli obblighi di trasparenza e libera
concorrenza di cui agli artt. 46, 49 e 86 del Trattato, l'art. 113 co. V D. Lgs. nr. 267/00, come
modificato dall'art. 14 D.L. nr. 269/03, nella parte in cui non pone alcun limite alla libertà di scelta
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dell'Amministrazione pubblica tra le diverse forme di affidamento del servizio pubblico, ed in
particolare tra l'affidamento mediante procedura di gara ad evidenza pubblica e l'affidamento
diretto a società da essa interamente controllata.
“Venendo ora all’esame della normativa interna di cui all’art. 113 D. Lgs. nr. 267/00, quale
risultante dalle modifiche introdotte con l’art. 14 del D.L. nr. 269/03, non v’è dubbio che le stesse –
così come dedotto dalla ricorrente – siano suscettibili di incentivare un ricorso sempre più massiccio
da parte delle Amministrazioni locali alla deroga costituita dall’affidamento in house.
Per queste ragioni, la Corte europea è stata già investita della questione di compatibilità della
disposizione con la normativa comunitaria, ritenendosi la norma sostanzialmente non conforme allo
spirito della disciplina in materia di concorrenza nel settore dei servizi pubblici (cfr. Cons. Stato,
Sez. V, Ord. 22.4.2004, nr. 2316, nella quale, peraltro, viene in gioco anche una disciplina locale
ancor
più
ampliativa
delle
possibilità
di
ricorso
all’affidamento
diretto).
Tuttavia, non può sottacersi l’esattezza delle osservazioni sviluppate dalle parti resistenti, secondo
cui neppure astrattamente potrebbe porsi una siffatta questione di compatibilità, in quanto la
disposizione di cui alla lettera c) del comma V dell’art. 113, nello “scolpire” le caratteristiche
dell’affidamento in house, riproduce quasi letteralmente i parametri individuati dalla c.d. sentenza
Teckal (controllo dell’Ente pubblico sulla società equivalente a quello che il primo esercita sui
propri servizi, svolgimento da parte della società di attività prevalente per l’Ente pubblico
controllante etc.).
“Per tali ragioni, si afferma la piena compatibilità della previsione ai principi comunitari: sulla base
di tale ordine di considerazioni, in altra occasione è stata disattesa la medesima questione di
compatibilità della norma con la disciplina CE (cfr. Cons. Stato, sez. V. 26.6.2004, nr. 4771).
Il Collegio, pur dando atto della perfetta aderenza del disposto della citata lettera c) ai principi
sopra ricostruiti, ritiene che non sia questo il punto centrale della questione.
Ed invero, dalle considerazioni che si sono sin qui svolte emerge con chiarezza che il vero profilo
nevralgico della materia – sul quale non risulta che la Corte di Giustizia sia stata finora chiamata a
pronunciarsi – è costituito non già dal modo con cui nella norma de qua è costruita la figura
dell’affidamento in house, ma nel fatto che in essa l’istituto viene di fatto generalizzato, lasciando
apparentemente alle Amministrazioni locali piena discrezionalità in ordine alla scelta tra esso e
l’affidamento mediante gara ad evidenza pubblica (o, ancora, attraverso il sistema “misto”
dell’affidamento diretto a società pubblico-privata in cui il socio privato sia scelto con procedura di
evidenza pubblica).
“Una tale previsione, nella sua pratica attuazione, è suscettibile di stravolgere quello che si è visto
essere, alla stregua dei principi comunitari, il rapporto tra i diversi modelli di affidamento dei servizi
pubblici, in forza del quale il ricorso a procedure di evidenza pubblica dovrebbe configurarsi come
la
regola
e
l’affidamento
in
house
come
eccezione.
In altri termini, manca nella disciplina all’esame ogni riferimento alle modalità con cui le
Amministrazioni dovranno esternare le proprie valutazioni in ordine alle “esigenze” del servizio che
giustificano la deroga al principio della gara pubblica: tale non può certamente considerarsi il
successivo comma Vbis dell’art. 113 (introdotto dalla L. nr. 350/03), secondo cui “le normative di
settore, al fine di superare assetti monopolistici, possono introdurre regole che assicurino
concorrenzialità nella gestione dei servizi da esse disciplinati prevedendo, nel rispetto delle
disposizioni di cui al comma V, criteri di gradualità nella scelta delle modalità di conferimento del
servizio”.
Infatti, anzi tutto tale norma è espressamente limitata ai casi in cui sussista l’esigenza di “superare
assetti monopolistici”; in secondo luogo – ed in questo il Collegio concorda con l’opinione delle
parti resistenti – essa, lungi dal porre un principio di gradualità tra i vari modelli di affidamento, si
limita a rinviare al legislatore futuro l’individuazione eventuale di tale gradualità, con riguardo ai
singoli settori d’intervento.E anzi, il comma Vbis a ben vedere, disegnando in termini di mera facoltà
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la possibile previsione futura di criteri di gradualità in specifici settori, mostra e contrario di
considerare del tutto equipollenti, in linea generale, i tre modelli individuati dal precedente comma
V.
“Inoltre, è lo stesso contrasto di opinioni esistente fra le parti, con riguardo al caso che occupa, in
ordine all’applicabilità o meno dei principi a suo tempo elaborati dalla normativa di settore in
materia di trasporti (D. Lgs. nr. 422/97) a dimostrare come un generico rinvio alla disciplina di
settore non sia per nulla idoneo a garantire il rispetto dei principi comunitari più volte richiamati.
“8. Non può dubitarsi della rilevanza della questione, con riguardo al caso di specie.
Infatti, è proprio a seguito dell’entrata in vigore del D.L. nr. 269/03 che il Comune di Bari ha deciso
di abbandonare la gara ad evidenza pubblica già avviata per l’affidamento del servizio di trasporto
pubblico locale, optando per l’affidamento diretto alla A.M.T.A.B. Servizio S.p.A.
Siffatta decisione non appare assistita da adeguata motivazione in ordine alle esigenze del servizio,
tale non potendosi considerare la richiamata esigenza – su cui insiste la difesa dell’Amministrazione
resistente – di “valorizzare” la società affidataria (che sembra corrispondere ad esigenze di
quest’ultima, e non del servizio); peraltro, tale carenza motivazionale non appare allo stato
configurare un contrasto del provvedimento impugnato con la normativa, che come detto nulla
prevede in ordine alle valutazioni sottostanti alla scelta della modalità di affidamento del servizio.
Né il problema può dirsi superato, come argomentato dalle parti resistenti, in virtù del fatto che
l’Amministrazione, con provvedimenti successivi, sta ponendo in atto un’opera di “privatizzazione
sostanziale” del servizio, avviando una gara ad evidenza pubblica per l’individuazione del socio
privato cui cedere una cospicua parte del capitale sociale dell’A.M.T.A.B. Servizio S.p.A. (cfr.
delibera di G.M. nr. 413 del 21.5.2004).Tale evenienza, al contrario, segnala l’insorgenza di una
prassi anch’essa presumibilmente destinata a generalizzarsi, in forza della quale le Amministrazioni
provvederanno dapprima ad affidamento diretto dei servizi a società da esse interamente controllate
(secondo lo schema di cui alla lettera c) dell’art. 113 co. V), e quindi provvederanno a cedere una
parte del capitale a socio privato (attuando in concreto il modello di cui alla precedente lettera b).
“Tuttavia, è vero che anche l’affidamento del servizio a società “mista”, come rilevato da parte
ricorrente, pone delicati problemi di compatibilità col diritto comunitario, atteso che l’esperimento
della gara avviene non per la scelta della migliore modalità tecnica di erogazione del servizio, ma
per la sola scelta del socio privato, che sarà destinato ad inserirsi in uno schema già approvato a
priori
dall’Amministrazione,
con
modalità
non
concorrenziali.
La prassi suindicata, realizzando una sorta di privatizzazione indiretta di rilevanti settori
d’intervento pubblico, sembra configurare un sostanziale aggiramento della normativa comunitaria
in materia di concorrenza.S’impone, pertanto, il ricorso alla Corte europea perché valuti la
conformità della predetta disciplina alla normativa comunitaria sotto i profili innanzi evidenziati.”
1.3. Orientamenti conformi della prassi e della giurisprudenza.
Mentre non sono intervenute le attese indicazioni del Dipartimento delle Politiche Comunitarie, sul
decretone si è espressa la Circolare Ministero dell'ambiente e tutela del territorio 6/12/2004
“Affidamento in house del servizio idrico integrato” (G.U. 13/12/2004 n. 291).
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La società di gestione a capitale interamente pubblico, introdotta con l'art. 14 del decreto-legge n.
269 del 30 settembre 2003, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326, e contemplata alla
lettera c) del comma 5 del novato art. 113 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali approvato
con decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267, rappresenta una forma gestionale innovativa le
cui modalità di costituzione, operatività e funzionalità, in adeguamento alla cornice normativa
esistente in materia societaria, sono disciplinate dalla presente circolare, nella quale sono definite le
condizioni essenziali e non eludibili per ricorrere all'affidamento con le suddette modalità e per
rispettare i principi di diritto comunitario.
La principale peculiarità che caratterizza la suddetta società e che la distingue rispetto alle altre
società di diritto privato regolate dal codice civile, risiede nella legittimazione a diventare soggetto
affidatario del servizio idrico integrato senza propedeutica gara europea ad evidenza pubblica
idonea all'individuazione del concessionario ai sensi dell'art. 20 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, e
del decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 22 novembre 2001.
La società di cui all'oggetto, rappresentando un contenitore atipico sotto diversi aspetti che nel
prosieguo si evidenzieranno, determina il concretizzarsi di un rapporto, tra l'amministrazione
concedente e la società stessa, non riconducibile ad un rapporto contrattuale tra due soggetti
autonomi e distinti, bensì ad una ipotesi di delegazione interoganica. Infatti, come esplicitato nella
norma sopra richiamata, “l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitano sulla
società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi”. In tal caso, dunque, non si
configura un contratto tra l'amministrazione che conferisce la titolarità del servizio ed un soggetto
sostanzialmente distinto da essa e autonomo sul piano decisionale; si realizza, invece, un rapporto
riconducibile nella forma e nella sostanza a quello che l'amministrazione ha nei confronti dei propri
servizi, seppur nella peculiarità del modello societario in cui tali servizi sono organizzati.
Tale modalità gestionale (peraltro menzionata anche dalla circolare della Presidenza del Consiglio
dei Ministri, Dipartimento delle politiche comunitarie del 19 ottobre 2001, n. 12727), notoriamente
definita in house, a seguito della sentenza Teckal del 18 novembre 1999, nella quale la Corte di
giustizia configurò questa ipotesi di delegazione interorganica, sancendone l'esclusione
dall'applicabilità della normativa europea in materia di appalti pubblici, ovverosia della necessaria
messa in concorrenza, rappresenta un'ulteriore opportunità, per la gestione dei servizi pubblici
locali, che si aggiunge ai modelli tradizionali.
Ad essa tuttavia si dovrà ricorrere soltanto in casi eccezionali e residuali, venendosi contrariamente
ad eludere i principi derivanti dai trattati, in particolare le norme sulla libera circolazione dei beni e
dei servizi, nonché i principi fondamentali di non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza
e mutuo riconoscimento, che disciplinano il mercato dei servizi. Si ricordi a tale riguardo che la
stessa Commissione europea ritiene che l'inosservanza dei menzionati principi del trattato
costituisca un impedimento al corretto funzionamento del mercato interno ed alla liberalizzazione
degli appalti e dei servizi in cui sono in gioco importanti interessi economici.
I medesimi concetti sono ribaditi ed esplicitati nella comunicazione interpretativa della Commissione
europea sulle concessioni nel diritto comunitario, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Comunità
europea del 29 aprile 2000, laddove si afferma che, mentre le concessioni di lavori sono disciplinate
specificatamente dalla direttiva comunitaria n. 93/37, art. 1, lettera d), le altre forme di concessioni,
nella misura in cui risultino essere atti dello Stato (da intendersi come atti adottati dalle autorità
pubbliche che fanno parte dell'organizzazione dello Stato, nonché quelli adottati da qualsiasi altro
organismo che, se pur dotato di personalità giuridica autonoma, sia collegato allo Stato da vincoli
così stretti da poter essere considerato come facente parte dell'organizzazione di questo ...), sebbene
non siano coperti dalle direttive sugli appalti pubblici, sono ugualmente soggette alle disposizioni
generali del trattato ed ai principi che la corte ha elaborato in materia di appalti (principio di parità
di trattamento, trasparenza, proporzionalità, e mutuo riconoscimento.
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Quanto sopra conferma il carattere strettamente residuale del modello societario in house, il quale
deve configurarsi come un'opportunità residuale per gli enti locali: malgrado la configurazione
societaria che tale modello possiede, infatti, esso non rappresenta una reale esternalizzazione della
gestione rispetto alla originaria competenza degli enti locali, bensì costituisce un modello
organizzativo per migliorare l'efficienza e l'economicità dell'attività di gestione che gli stessi enti
locali sono chiamati a svolgere.
L'affidamento diretto del servizio a tale società e la contestuale esclusione dell'obbligo di gara, trova
la propria giustificazione nel fatto che il conferimento del servizio, a causa di una motivata e
comprovata ragione di interesse pubblico che obiettivamente escluda la possibilità di ricorrere alla
gara, non avviene nei confronti di un soggetto giuridico sostanzialmente autonomo, bensì nei
confronti di un soggetto gerarchicamente subordinato, assoggettato obbligatoriamente ad un
controllo funzionale, gestionale e finanziario stringente.
La durata della società in house, precisata nell'atto di affidamento, dovrà essere motivata e
obbligatoriamente limitata al tempo necessario per il superamento degli impedimenti all'effettiva
messa in concorrenza del servizio, da attuarsi mediante la concessione a terzi, ovvero all'affidamento
diretto a società a capitale misto pubblico-privato previa individuazione del socio privato mediante
procedimento di gara europea.
In virtù di ciò, è obbligatorio che l'atto costitutivo e lo statuto prevedano che la società sia dotata di
un'autonomia finanziaria e decisionale limitata e preventivamente circoscritta. In particolare, le
deliberazioni concernenti l'amministrazione straordinaria e quelle di determinante rilievo per
l'attività sociale, quali il bilancio, la relazione programmatica, l'organigramma, il piano degli
investimenti, il piano di sviluppo ed equivalenti, dovranno essere approvati dagli enti locali
partecipanti alla società. Gli amministratori ed il direttore della S.p.a. saranno nominati
direttamente dagli enti locali proprietari, conformemente, del resto, alle previsioni in materia dettate
dagli articoli del codice civile.
Alla società in house dovranno partecipare esclusivamente enti locali, trattandosi di una società di
scopo con peculiari caratteristiche. Essa non potrà essere partecipata da società a partecipazione
pubblica, neppure totale, così come da consorzi intercomunali o, qualora ancora esistenti, da
aziende speciali. Non risulta, infatti, che la partecipazione indiretta degli enti locali sia ammissibile
in base ai principi comunitari, né che sia funzionale allo scopo della gestione in house. Come
affermato nel dettato normativo, dovendo la società realizzare la parte più importante della propria
attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano, la società dovrà essere partecipata da tutti gli
enti locali facenti parte dell'ambito territoriale ottimale.
La società a totale capitale pubblico che riceve l'affidamento del servizio in house è una società di
scopo strettamente interdipendente dall'ambito territoriale nel quale svolge il proprio servizio. La
società non potrà quindi operare al di fuori del proprio ambito territoriale ottimale, perché
finalizzata unicamente alla gestione del servizio idrico integrato in quel determinato territorio. Ciò
dovrà essere espressamente previsto dallo statuto.
Nelle ipotesi in cui sia stata scelta la modalità di affidamento prevista dal comma 5 dell'art. 35 della
legge n. 448 del 2001, essa - in luogo della cessazione entro e non oltre la data del 31 dicembre 2006,
senza necessità di apposita deliberazione dell'ente d'ambito, stabilita nel comma 15-bis del novato
art. 113 del testo unico n. 267/2000 - può considerarsi assimilata all'ipotesi di gestione in house solo
nel caso in cui tale società presenti rigorosamente i requisiti e le caratteristiche formali e sostanziali
sopra elencati.
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Parallela la Circolare Ministero dell'ambiente e tutela del territorio 6/12/2004 “Affidamento del
servizio idrico integrato a società a capitale misto pubblico-privato” (G.U. 13/12/2004 n. 291).
L'affidamento del servizio idrico integrato a società mista a capitale pubblico-privato è disciplinato
dal comma 5, lettera b), dell'art. 113 del testo unico sull'ordinamento degli enti locali approvato con
decreto legislativo del 18 agosto 2000, n. 267, così come modificato dall'art. 14 del decreto-legge del
30 settembre 2003, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326.
Come già affermato anche nella precedente circolare del Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio n. 11559 del 17 ottobre 2001, la particolare configurazione di questa società comporta fin
dal momento della sua costituzione la necessaria presenza di un partner privato all'interno della
compagine societaria.
La presenza del socio privato è dunque requisito indispensabile per l'inquadramento della società
nella fattispecie delle società a capitale pubblico-privato, secondo quanto previsto dal novato art.
113 del testo unico n. 267/2000.
Le questioni centrali in merito alla scelta del socio privato sono essenzialmente tre: le modalità con
cui selezionare il partner privato (scelta intuitus personae o selezione concorrenziale; criteri per la
scelta del socio);in quale fase del procedimento di costituzione debba avvenire la selezione; il
quantum di capitale sociale da attribuire.
Per quanto concerne la prima questione, attinente alle modalità di selezione del partner privato,
appare pacifico ai sensi della normativa vigente in Italia - decreto del Presidente della Repubblica
16 settembre 1996, n. 533 - il necessario ricorso ad una gara ad evidenza pubblica.
Qualora l'ente d'ambito non opti per una procedura ad evidenza pubblica finalizzata alla
concessione del servizio idrico integrato e scelga invece l'affidamento diretto ad una società mista, il
momento di confronto concorrenziale deve essere comunque riservato alla fase antecedente
all'affidamento stesso, ovverosia al momento della selezione del socio o dei soci privati che faranno
parte del capitale sociale.
Queste disposizioni, confermate dalla prevalente dottrina e dalla giurisprudenza ormai consolidata,
si fondano sull'ineludibile necessità di un previo confronto con altri soggetti operanti sul mercato.
Nessun margine di interpretazione è lasciato in relazione a questo aspetto: risulterebbe quindi
elusivo della normativa non ricorrere alla preventiva procedura concorsuale per la scelta del socio
privato nella costituenda società affidataria del servizio. La scelta non può dunque basarsi sul mero
intuitus personae pena l'elusione di principi di buon andamento ed imparzialità.
Per quanto poi attiene alla natura del soggetto privato da selezionare, si ritiene che nella suddetta
tipologia di società mista, il privato debba avere determinati requisiti di capacità tecnico-gestionale
oltrechè finanziaria.Contrariamente, verrebbe meno il rispetto dell'intendimento del legislatore e
non risulterebbero perseguiti gli obiettivi che il medesimo si era prefisso quando ha configurato
l'utilizzo del modello societario anche per la gestione dei servizi pubblici locali. La finalità era e
resta la configurazione di un contenitore all'interno del quale gli enti locali, titolari del servizio,
possano operare in termini più strettamente imprenditoriali, avvalendosi dell'apporto fattivo di
know-how proveniente da soggetti imprenditoriali esterni. Gli obiettivi erano e restano quelli del
perseguimento di una gestione efficiente, efficace ed economica.
Per quanto concerne i criteri di ammissione alla gara e di valutazione delle offerte, pertanto, stante,
per le ragioni sopra evidenziate, l'evidente ed assoluta assimilabilità della procedura di selezione del
socio privato nelle società miste con quella di individuazione del concessionario nella procedura ex
art. 20 della legge n. 36/1994, gli enti locali dovranno fare riferimento, anche in via analogica, al
decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio del 22 novembre 2001 e successive
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modifiche ed integrazioni.Diversamente però da quanto stabilito nel predetto decreto per la
concessione a terzi, la gara per la individuazione del socio privato nella società mista sarà efficace
anche in presenza di un'unica offerta valida.
In stretta aderenza con quanto sopra, in riferimento all'aspetto che attiene al momento in cui
scegliere il partner, occorre chiarire in via definitiva che la scelta del socio privato deve avvenire
prima, o comunque contestualmente alla costituzione della società cui affidare il servizio. Come già
affermato in precedenza, la configurazione della società cosiddetta mista, nonché il beneficio di
ricevere l'affidamento diretto del servizio, trova il suo presupposto ed il suo fondamento di legittimità
nel fatto che il confronto concorrenziale e la procedura ad evidenza pubblica sia comunque
avvenuta, ancorché non nella fase di affidamento del servizio ma in quella antecedente di selezione
del partner privato.
In altri termini, poiché la società risulterà costituita con il soggetto che sarà selezionato, è
necessario che la relativa procedura di selezione avvenga antecedentemente alla costituzione della
società ed al conseguente affidamento del servizio. Nel caso contrario, risulterebbe esserci una
violazione dei principi comunitari derivanti dai trattati in tema di parità di trattamento e di tutela
della concorrenza.
Qualora tale procedura non sia stata rispettata in passato o non lo sia in futuro, la società non può
considerarsi avente i requisiti della fattispecie di cui all'oggetto, ed è pertanto soggetta alla
decadenza prevista alla data del 31 dicembre 2006, come disposto dal comma 15-bis dell'art. 113 del
testo n.267/2000, così come modificato dall'art. 14 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269,
convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326.
Infine, sulla questione relativa al quantum di partecipazione del socio privato al capitale della
società, la scelta è a totale discrezione degli enti locali, fermo restando che una partecipazione
minimale andrebbe ad eludere il dettato normativo - come statuito anche dalla giurisprudenza - e
sarebbe in palese contraddizione con la ratio legis volta a garantire che il privato rappresenti un
valore aggiunto a vantaggio della funzionalità della società di gestione e quindi, auspicabilmente,
degli utenti destinatari finali del servizio.
Ne deriva che la presenza del privato deve avere un rilievo “sostanziale” anche in termini
quantitativi e non solo qualitativi, per evitare che vi sia il formale rispetto della norma, senza che se
ne perseguano, realmente, le finalità.
Di particolare interesse, sul quantum di partecipazione, la decisione in rassegna del Tribunale
Amministrativo Regionale Toscana, sez.II, 28/7/2004 n. 2833.
Con la stessa i giudici amministrativi fiorentini ricordano in primo luogo che, in consonanza con i
principi fissati in tema di libera concorrenza dalla Corte di Giustizia C.E., di norma l'affidamento
della gestione dei servizi pubblici locali deve comunque fare seguito all'espletamento di una
procedura di gara pubblica secondo la regola fissata in materia di appalto di servizi dalla direttiva
C.E. 93/38.
In deroga si è ritenuto che l'amministrazione pubblica (soggetto aggiudicatore per definizione) possa
procedere all'affidamento "diretto" del servizio ad una società mista partecipata e/o costituita dall'ente
titolare del servizio (c.d. affidamento "in house" e cioè domestico) in presenza di specifiche e speciali
condizioni (soggette a rigorosa verifica) quali: 1) la dipendenza finanziaria, organizzativa e
gestionale del soggetto gestore rispetto all'amministrazione aggiudicatrice e, quindi, la possibilità di
un effettivo controllo dell'amministrazione sul gestore del servizio equiparabile a quello esercitabile
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sui propri organi; 2) lo svolgimento dell'attività economica oggetto del servizio pubblico ad un livello
dimensionale tale da risultare, in via di fatto, di prevalente e circoscritto beneficio dell'autorità
controllante (Corte di Giustizia C.E. sent. 18.11.1999 su causa 107/1998 Teckal S.r.l. - Comune di
Viano).
Venendo al caso di specie (riguardante l'affidamento del servizio cimiteriale) il Tar ritiene che non
sussistono le illustrate condizioni non essendovi prova in ordine alle procedure ed alla casistica delle
scelte gestionali della società gestore oggetto delle funzioni di controllo ed indirizzo esercitate e/o
esercitabili dal Comune partecipante alla finanziaria capo gruppo (insieme ad altri 40 comuni).
Tali delucidazioni, prosegue il Tar, sono quanto mai essenziali perché l'esiguità della partecipazione
azionaria non lascia dubbi circa la non sussistenza dell'ipotesi di dipendenza finanziaria e gestionale
connessa ad una significativa e diretta partecipazione azionaria dell'amministrazione titolare del
servizio nella società "controllata" - affidataria del medesimo in via diretta. Quindi mancano i
necessari elementi di valutazione che inducano a ritenere presente in capo al Comune un potere di
direzione e supervisione dell'attività del soggetto partecipato (come avverrebbe ove il soggetto
societario prescelto fosse nient'altro che una "longa manus" dello stesso ente locale il cui obiettivo quindi - non può che essere la realizzazione dell'interesse pubblico nel rispetto dei principi di
economicità ed efficienza).
Pertanto, concludono i giudici amministrativi, se la prevalenza del capitale pubblico locale nella
società mista (costituita o partecipata dall'ente titolare del servizio) è presupposto necessario perché
l'ente locale possa affidarle la gestione di un servizio pubblico, tuttavia, affinché si deroghi alla regola
della gara pubblica, è necessaria altresì la sussistenza degli elementi sopraillustrati che - in sostanza danno conto del fatto che il servizio non viene affidato ad un qualunque imprenditore operante sul
mercato, ma, sotto l'abito formale di un soggetto terzo, ad una struttura commerciale che di fatto è
un'emanazione dello stesso soggetto-amministrazione; in tal guisa, infatti, si realizza
quell'affidamento "in house" ritenuto compatibile dalla Corte di giustizia con la tutela del principio
fondamentale della libera concorrenza nel mercato.
Deve peraltro essere ricordato il diverso orientamento giurisprudenziale di cui alla decisione del
Consiglio di Stato - sez. V - sentenza 30 aprile 2002 n. 2297.
In tale sede, Palazzo Spada ha annullato la pronuncia del TAR per la Lombardia, sezione di Brescia,
18 maggio 2001, n. 368 riguardante una deliberazione comunale che aveva affidato il servizio di
raccolta e smaltimento dei rifiuti solidi urbani a società costituita da altro ente, condizionandone
l'efficacia al perfezionamento della partecipazione azionaria dell'ente al capitale della società
affidataria.
Il primo giudice aveva ritenuto fondata la censura con la quale la società ricorrente aveva affermato
che "l'acquisto, da parte del comune, di un limitato numero di azioni di una società per azioni a
capitale pubblico locale già costituita (da altri enti) non può consentire l'affidamento diretto alla
medesima di un pubblico servizio, con conseguente omissione della procedura concorsuale."
I supremi giudici amministrativi ribattono che la tesi secondo cui il sistema normativo in materia di
servizi pubblici locali ruoterebbe intorno ad un principio cardine il quale imporrebbe all'ente locale
partecipante alla società di detenere una quota dal "capitale sociale rilevante nella misura atta ad
assicurare il vincolo di strumentalità della società così costituita" non può essere condivisa laddove se
ne vorrebbe far discendere la conseguenza che ciascun ente pubblico partecipante dovrebbe svolgere
il ruolo guida della società.
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Infatti, il significato della partecipazione dell'ente pubblico a società "a prevalente capitale pubblico
locale costituite o partecipate dall'ente titolare del pubblico servizio, qualora sia opportuna in
relazione alla natura o all'ambito territoriale del servizio la partecipazione di più soggetti pubblici o
privati" sta nell'apprestare una formula organizzativa che consenta non solo la cooperazione tra
l'interesse delle pubbliche amministrazioni con quello dell'impresa privata, ma anche l'esercizio in
comune di servizi da parte di enti pubblici aventi interessi omogenei.
Ciò spiega - conclude Palazzo Spada - perché la norma, oltre a prevedere la partecipazione di più
soggetti pubblici, riferisca la prevalenza del capitale, attraverso la quale si esplica il controllo sulla
società, all'insieme degli enti e non a ciascuno di essi singolarmente considerato.
1.4. Pronunce favorevoli alla ri-municipalizzazione.
Consiglio di Stato, sez.V, 30/8/2004 n. 5643:
SERVIZI PUBBLICI LOCALI - DELIBERAZIONE FORMA DI GESTIONE SOCIETA' MISTA IMPLICA VALUTAZIONI DI MERITO - ASSENZA POSIZIONI SOGGETTIVE TUTELABILI OBBLIGO DI RISERVARE ALLE IMPRESE PRIVATE GESTIONE SERVIZI PUBBLICI - NON
SUSSISTE
1. La deliberazione che stabilisce di scegliere, tra le forme di gestione dei servizi pubblici comunali
indicate dall'art. 22, comma 3, della legge 8.6.1990, n. 142, il modulo organizzativo della società
mista, riguarda una scelta in funzione dell'organizzazione dei servizi pubblici di competenza
comunale, riservata esclusivamente all'autonomia e alla responsabilità del Comune. Il Comune
stabilisce l'assetto e il conseguente regime dei servizi pubblici di propria competenza, scegliendo tra
gli strumenti operativi prefigurati dalla legge, con valutazioni che attengono, alla efficienza, alla
economicità e alla efficacia dei servizi stessi, quello ritenuto più idoneo in relazione alle esigenze
proprie della collettività che solo il Comune, quale ente rappresentativo della comunità locale e
titolare del compito di soddisfare di tali esigenze, può concretamente stimare. Si tratta, quindi, di
valutazioni che agiscono sul piano del merito dell'azione amministrativa, nei cui confronti non sono
configurabili posizioni giuridiche soggettive tutelabili dei privati, anche se titolari di imprese che
esercitano attività potenzialmente idonee a svolgere detti servizi. D'altronde, non vi è una norma che
riservi al mercato e pertanto alle imprese private l'esercizio di servizi pubblici.
Consiglio di Stato, sez.V, 28/6/2004 n. 4771:
1. SERVIZI PUBBLICI LOCALI - MODALITA' DI GESTIONE - AFFIDAMENTO IN HOUSE EX
ART.113, C.5, LETT.C) DLGS. 267/2000 - LEGITTIMITA' - COMPATIBILITA' CON I PRINCIPI
DEL DIRITTO COMUNITARIO - VA AFFERMATA
2. SERVIZI PUBBLICI LOCALI - MODALITA' DI GESTIONE - DISCIPLINA EX ART.113, C.,15BIS
DLGS. 267/2000 - EFFETTO SANANTE CONCESSIONI NON AD EVIDENZA PUBBLICA CONDIZIONI
Il testo attuale dell' art. 113 TUEL, al comma 5, lett. c), consente l'affidamento dell'erogazione del
servizio pubblico "a società a capitale interamente pubblico a condizione che l'ente o gli enti pubblici
titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli
enti pubblici che la controllano.". Tale formulazione, riproducendo alla lettera le espressioni usate
17
dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea nella nota sentenza 18 novembre 1999 adottata in
causa 107/98, Teckal s.r.l. c. Comune di Aviano, deve, allo stato, ritenersi conforme ai principi del
diritto comunitario.
2. L'art. 14 del d.l. 30 settembre 2003 n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003 n. 326, ha
inserito nell'art. 113 del d.lgs. n. 267 del 2000 un comma 15-bis, con il quale si opera un effetto
sanante delle concessioni di servizi pubblici "con procedure diverse dall'evidenza pubblica" in caso
di società a capitale interamente pubblico, ancora una volta "a condizione che l'ente o gli enti
pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato
sui propri servizi, e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o
gli enti pubblici che la controllano.".
Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia, Milano, sez.III, 12/5/2004 n. 1685:
1. SERVIZI PUBBLICI LOCALI – MODALITA’ DI GESTIONE – COSTITUZIONE O
PARTECIPAZIONE DI SOCIETA’ MISTA – ESPRESSIONE DELLA VOLONTA’ IN ORDINE ALLA
MODALITA’ DI GESTIONE DIRETTA – SUCCESSIVO ATTO DI AFFIDAMENTO DEL SERVIZIO
ALLA SOCIETA’ – ATTO MERAMENTE CONSEQUENZIALE E VINCOLATO – LESIONE DEGLI
INTERESSI DELLE IMPRESE CHE ASPIRANO ALLA GESTIONE DEL SERVIZIO – SI VERIFICA
NELLE DELIBERAZIONI DI COSTITUZIONE O ACQUISIZIONE DI QUOTA DELLA SOCIETA’
2. SERVIZI PUBBLICI LOCALI - MODALITA’ DI GESTIONE A SEGUITO DELLA NOVELLA EX
D.L. 269/2003 – REINTRODUZIONE MODELLO DELLA SOCIETA’ MISTA – LEGITTIMITA’
DEGLI AFFIDAMENTI DISPOSTI SOTTO IL PRECEDENTE REGIME – VA AFFERMATA –
RAGIONI
3. SERVIZI PUBBLICI LOCALI – GESTIONE A MEZZO SOCIETA’ MISTA – SOCIETA’ MISTA
PARTECIPATA MAGGIORITARIAMENTE DA PIU’ ENTI LOCALI – AFFIDAMENTI DIRETTI DI
SERVIZI NEGLI AMBITI TERRITORIALI DEGLI ENTI LOCALI SOCI – LEGITTIMITA’ RAGIONI
1. Gli atti di costituzione della società mista o quelli successivi di acquisizione della partecipazione
da parte di un altro ente locale si rivelano i provvedimenti concretamente idonei a sottrarre dal
mercato di riferimento la possibilità di accesso alla contrattazione con l’amministrazione che ha
optato per quella peculiare forma di gestione diretta del servizio, posto che il conferimento della sua
titolarità vale quale atto meramente consequenziale rispetto a quelli di formazione della società e,
per certi versi, automatico e vincolato in relazione alla presupposta scelta del modulo in questione
(CdS V 30 giugno 2003 n.3864). E’ proprio con la prima categoria di provvedimenti, in conclusione,
che l’ente locale manifesta e cristallizza l’opzione del modulo gestorio considerato, mentre con il
successivo atto di affidamento si limita a dare esecuzione (necessitata) alla presupposta scelta
organizzativa, di talché la lesione effettiva ed immediata degli interessi delle imprese che aspirano
alla gestione del servizio risale all’adozione delle delibere di costituzione o di acquisizione della
quota di partecipazione nella società mista, tenuto conto del carattere conclusivo della
determinazione organizzatoria che esse implicano.
2. Con particolare riferimento ai servizi di rilevanza industriale, che assumono la nuova
denominazione di servizi di ‘rilevanza economica’, il nuovo testo dell’art. 113, comma 5, TUEL - a
differenza dalla previgente disposizione, che ammetteva solo procedure ad evidenza pubblica dispone (lett. b) che l’erogazione possa avvenire anche a mezzo di ‘società a capitale misto pubblico
privato nelle quali il socio privato venga scelto attraverso l’espletamento di gare con procedure ad
evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di rispetto delle norme interne e comunitarie in materia
di concorrenza secondo le linee di indirizzo emanate dalle autorità competenti attraverso
provvedimenti o circolari specifiche.’ La fattispecie descritta non è destinata a valere soltanto per il
18
futuro, ma viene presa in considerazione anche con riferimento al passato. La novella introduce
infatti nell’art. 113 del d.lgs n. 267/2000 un comma 15-bis, secondo cui ‘nel caso in cui le
disposizioni previste per i singoli settori non stabiliscano un congruo periodo di transizione, ai fini
dell’attuazione della disposizioni previste dal presente articolo, le concessioni rilasciate con
procedure diverse dall’evidenza pubblica cessano comunque entro e non oltre la data del 31
dicembre 2006, senza necessità di apposita deliberazione dell’ente affidante. Sono escluse dalla
cessazione le concessioni affidate a società a capitale misto pubblico privato nelle quali il socio
privato sia stato scelto mediante procedure ad evidenza pubblica che abbiano dato garanzia di
rispetto delle norme interne e comunitarie in materia di concorrenza." Si tratta, al di la di ogni
ragionevole dubbio, di una norma di salvezza destinata a conferire legittimità a provvedimenti posti
in essere sotto il vigore di una diversa disciplina e a escludere l’applicazione della regola
dell’anticipata cessazione alle concessioni di cui sia titolare la società a capitale misto.
3. La nuova normativa non esclude la possibilità, per la società mista a dominanza pubblica che sia
partecipata da più enti locali e ad essi unita da legame funzionale, di ottenere l'affidamento diretto
del servizio negli ambiti territoriali degli enti di riferimento, con il solo vincolo ostativo alla
partecipazione alle gare indette per l’affidamento al di fuori del territorio degli enti soci. Il termine
plurale utilizzato al comma 15 bis, laddove si ammette che la società mista realizzi la propria attività
con gli enti pubblici che la controllano, evidenzia come non si debba necessariamente trattare di
società istituite allo scopo dal singolo ente locale per l’erogazione del solo servizio di sua esclusiva
pertinenza.
La pronuncia si segnala per aver ritenuto la persistente legittimità del modulo organizzativo dei
servizi pubblici locali a rilevanza economica mediante affidamento diretto a società mista.
Ciò costituisce l’effetto delle previsioni del d.l. 269/2003 che ha reintrodotto la forma gestionale in
questione, sovvertendo l’impostazione della riforma dei ss.pp.ll. come configurata dall’art. 35 della l.
448/01.
In realtà, il modello della società mista, a differenza dell’”in house providing” mediante società
partecipata totalitariamente, sembra privo di esplicita copertura sul piano della compatibilità
comunitaria; sul punto, si veda ad es. la pressoché coeva sentenza:
Tribunale Amministrativo Regionale Abruzzo, L'Aquila, 14/5/2004 n. 619
1. APPALTI DI SERVIZI - AFFIDAMENTI IN HOUSE - PRESUPPOSTI - AFFIDAMENTO DI
SERVIZI A SOCIETA' MISTA - ILLEGITTIMITA' - FATTISPECIE
2. APPALTI DI SERVIZI - AFFIDAMENTI IN HOUSE - PRESUPPOSTI - AFFIDAMENTO DI
SERVIZI A SOCIETA' MISTA - SCELTA DEL SOCIO PRIVATO AD EVIDENZA PUBBLICA - NON
COSTIUISCE ELEMENTO SUFFICIENTE A LEGITTIMARE L'AFFIDAMENTO DIRETTO
1. Se è vero che la direttiva 92/50/CEE non si applica ai soggetti "in house" (v. sent. Corte Giust. Eur.
18-11-99 - caso TeeKal), ossia ai soggetti sottoposti ad un penetrante controllo da parte della P.A.,
non può considersi "in house" la Società che gode di un notevole grado d'autonmia, che si manifesta
sia nella partecipazione dell'Ente con un capitale del solo 51%, sia nella possibilità che il C.d.A. sia
composto a maggioranza privata, sia nella disposizione che riserva ai soci privati la nomina
dell'Amministratiore delegato (fattispecie in materia di affidamento della gestione delle attività
inerenti i servizi all'impiego da parte di amministrazione provinciale).
2. L'aver individuato tramite procedura di gara il socio privato di minoranza (nella costituzione della
società mista) non rappresenta di per sé elemento sufficiente ad esimere necessariamente la P.A.
19
dalla necessità di procedere ad una ulteriore gara per l'affidamento di appalti di servizi alle società
miste.
<<L'operazione consistente nel creare un'impresa a capitale misto, di per sé non è contemplata dal
diritto degli appalti pubblici e delle concessioni >> (“Libro verde relativo ai partenariati
pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni”).
La questione era stata affrontata con una nota circolare sull’affidamento del servizio idrico integrato
che aveva preceduto di pochi mesi la novella di cui all’art. 35 L. 448/2001.
<<È difficile (e tra l'altro in contrasto con la disciplina comunitaria) sostenere la tesi che gli enti
locali possono affidare senza alcuna gara la gestione dei pubblici servizi - e nello specifico quello del
servizio idrico integrato - a società con prevalente capitale pubblico.>>
<<La tesi opposta, quella cioè secondo la quale le società a prevalente capitale pubblico non
dovrebbero essere soggette a partecipare a procedure concorrenziali per l'affidamento della
gestione dei servizi, appare esplicitamente contrastare con il complesso delle norme richiamate>>
(Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, circolare 17 ottobre 2001, “Società a prevalente
capitale pubblico locale per la gestione del servizio idrico integrato”).
In un’ottica comunitaria, l’affidamento diretto a società partecipata può non essere legittimo,
soprattutto per gli elementi di indeterminatezza che introduce.
<<La scelta del socio privato di minoranza mediante gara non vale a giustificare l’affidamento ad
esso dei lavori, atteso che l’aver anticipato la fase dell’evidenza pubblica non vale ad assicurare la
legittimità nell’affidamento delle opere[…]>>.
<<Ad ulteriore conferma di ciò vi è la circostanza per cui non è dato conoscere l’esatto costo dei
lavori da realizzare>> (Deliberazione Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici 14/1/2004 n. 1,
“Legge regionale Lazio 28 ottobre 2002 n. 37 in materia di "promozione della costituzione di una
società per azioni per la progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione a tariffa o a pedaggio
della rete autostradale e di infrastrutture di viabilità a pedaggio nel Lazio"”).
<<La durata della relazione di partenariato [il c.d. partenariato istituzionalizzato che si attua
attraverso la costituzione della società mista, n.d.r.] deve essere fissata in modo da non restringere o
limitare la libera concorrenza al di là di quanto sia necessario per garantire l'ammortamento degli
investimenti ed una ragionevole rendita dei capitali investiti. Una durata eccessiva sarebbe infatti in
contrasto con i principi che disciplinano il mercato interno o con le disposizioni del Trattato in
materia di concorrenza […].>>
<<La Commissione ha sovente constatato che le missioni affidate alla struttura della partnerhip non
sono chiaramente definite e che in alcuni casi sfuggono anche a qualsiasi quadro contrattuale.
Questo non solo contrasta con i principi di trasparenza e di parità di trattamento, ma rischia anche
di pregiudicare gli obiettivi d'interesse generale perseguiti dalla pubblica autorità.>> (“Libro
verde”, cit.).
Consiglio di Stato, sez.VI, 22/11/2004 n. 7637:
SERVIZI PUBBLICI LOCALI - SERVIZIO TRASPORTO SCOLASTICO - CARATTERE DI
DOVEROSITA' - MODALITA' DI GESTIONE - GESTIONE ATTRAVERSO ORGANISMO
TECNICO SPECIALIZZATO - APPLICAZIONE DIRETTIVE COMUNITARIE APPALTI DI
SERVIZI - VA ESCLUSA
20
1. Lo svolgimento del servizio trasporti alunni delle scuole materne ha carattere di doverosità, e l'art.
22 della legge 8.6.1990 n. 142 prevede, tra l'altro, che l'ente locale possa attribuire la gestione di
servizi finalizzati a soddisfare esigenze di rilievo sociale della comunità locale (quale quello in
specie) ad "aziende speciali" o ad apposito organismo deputato allo scopo. La determinazione del
Comune non integra, quindi, un atto con il quale si costituisce un rapporto contrattuale con un
soggetto "terzo", ma individua, nell'ambito del proprio assetto organizzativo, l'organismo
(tecnicamente specializzato), al quale attribuire la cura, in via strumentale, dello specifico interesse
di rilievo pubblico. Anche la direttiva 50/92/CEE in materia di appalti di pubblici servizi, esclude dal
suo campo di applicazione le prestazioni di servizio non fondate su contratto di appalto "ma rese in
base a leggi e regolamenti".
1.5. Attività extraterritoriale delle spa locali.
Orientamento favorevole della giurisprudenza (che tuttavia muove dal presupposto della fine del
regime degli affidamenti diretti).
Tribunale Amministrativo Regionale Lombardia, Milano, sez.III, 13/4/2004 n. 1453:
1. SERVIZI PUBBLICI LOCALI - DIVIETO EX ART.113, C.6, DLGS. 267/2000 - NON OPERA PER
LE PRIME GARE INDETTE IN CHIUSURA DEL PERIODO TRANSITORIO - FATTISPECIE
ANTERIORE ALL'ENTRATA IN VIGORE DEL D.L. 269/2003
2. SERVIZI PUBBLICI LOCALI - ATTIVITÀ EXTRA MOENIA DELLE SOCIETÀ COSTITUITE
DAGLI ENTI LOCALI - VINCOLO TERRITORIALE - VALENZA PER AZIENDE SPECIALI E
SOCIETÀ DI GESTIONE T.P.L. - INSUSSISTENZA PER LE SOCIETÀ DI GESTIONE T.P.L.
1. Il divieto di cui al sesto comma dell'art.113 TUEL non trova applicazione per le prime gare indette,
per ogni ambito territoriale, in chiusura del periodo transitorio. Ed invero, il sistema operante prima
dell'entrata in vigore del d.l. n.269/03, (che aprendo nuovi scenari per le società a capitale pubblico
ha reso recessive le esigenze che presidiavano la fase transitoria e che avevano giustificato la
temporanea moratoria al divieto di partecipare alle gare per i soggetti che gestivano servizi pubblici
in virtù di affidamenti diretti), garantiva a tali soggetti la possibilità di concorrere per
l'aggiudicazione di ambiti territoriali diversi da quello di riferimento.
2. Né è possibile ritenere che l'attività extra moenia, connessa alla partecipazione degli affidatari
diretti alle prime gare indette in chiusura del periodo transitorio, resti sottoposta ai limiti di ordine
funzionale che sono stati elaborati dalla giurisprudenza in relazione al diverso fenomeno delle
aziende speciali. Le censure risultano non centrate proprio perché dirette a sostenere la persistente
efficacia dei limiti di operatività delle aziende speciali anche nei confronti delle società costituite in
trasformazione delle stesse, laddove, come è stato già affermato, si tratta invece di nuovi soggetti
giuridici con ben distinte caratteristiche non assimilabili sul piano della disciplina applicabile e
della rispettiva capacità operativa (cfr. CdS V 9 Maggio 2003 n.2467). In proposito anche la
Suprema Corte ha evidenziato come la circostanza che il capitale sociale sia di esclusiva
appartenenza di enti pubblici non incida, in sé, sulla natura giuridica della società (Cass., SS.UU.,
27 marzo 1997, n. 2738). La società costituita dall'ente locale in trasformazione dell'azienda
speciale, in quanto dotata di personalità giuridica propria di diritto privato, non soffre in via di
principio del limite territoriale alla propria attività, potendo estenderla anche al di fuori dell'ambito
territoriale dell'ente di riferimento. I vincoli di integrazione funzionale nello svolgimento del servizio
21
extra moenia delle aziende speciali sono stati enucleati in vigenza delle previsioni dettate nella
l.n.142/90 e trovavano, in quel sistema, una specifica ragion d'essere, rinvenibile, oltre che nella
natura dei soggetti considerati, nella necessità di connettere alla sussistenza del collegamento
funzionale il presupposto essenziale per legittimare la deroga alle norme che, nel rispetto della
concorrenza, già imponevano procedure concorsuali per l'affidamento da parte degli enti pubblici
dei servizi fuori dall'ambito comunale dell'attività delle aziende speciali. Siffatte esigenze non sono
ripetibili nel nuovo sistema caratterizzato, oltre che dalla natura societaria dei soggetti, dal
superamento dell'istituto dell'affidamento diretto extra moenia e dalla vigenza della regola della
contendibilità di tutti gli ambiti territoriali (con le sole eccezioni derivanti dall'applicazione della
nota giurisprudenza sugli affidamenti in house).
Tribunale Amministrativo Regionale Liguria, sez.II, 31/3/2004 n. 312:
1. SOCIETA' A CAPITALE MISTO COSTITUITE DAGLI EE.LL. - LIMITE TERRITORIALE - SI
RIFERISCE ALLA PRESTAZIONE DI SERVIZI PUBBLICI - PRESTAZIONE DI APPALTI DI
SERVIZI - ASSENZA DEL VINCOLO TERRITORIALE
1. Al di là della complessa e sofferta legislazione in materia di società locali a capitale misto
pubblico privato, le norme con le relative preclusioni alle attività extraterritoriale per tale tipo di
persone giuridiche riguardano l'assunzione di servizi pubblici. Ora, si intende comunemente per
servizio pubblico un servizio di cui la legge riconosce l'utilità sociale reso da enti pubblici o da
privati concessionari o comunque gestori autorizzati nei confronti della collettività indistinta o
comunque di una certa massa di utenti: quindi nel caso in cui non sia una pubblica amministrazione
la diretta erogatrice, vi deve essere un rapporto trilaterale tra P.A. che pone le regole o che affida il
servizio, soggetto che lo gestisce ed infine gli utenti. Le preclusioni di cui sopra non si applicano
dunque laddove si è in presenza dell'aggiudicazione di un servizio, ovverosia della prestazione che
deve essere resa da un imprenditore nei confronti dell'amministrazione pubblica ai fini del
funzionamento interno della propria macchina operativa e non allo scopo diretto di fornire utilità ai
cittadini.
Tribunale Amministrativo Regionale Liguria, sez.I, 18/3/2004 n. 277:
GARA D'APPALTO - PARTECIPAZIONE SOCIETA' MISTE INDETTE DA TERZI AMMISSIBILITA' - LIMITI - VINCOLO FUNZIONALE - INTERPRETAZIONE
Non è preclusa alle cc.dd. società miste la partecipazione a gare ad evidenza pubblica indette da
soggetti terzi (cfr. ad es. T.A.R. Lazio, sez. III, 30 giugno 2003, n. 5714). Più in particolare, si è avuto
modo di precisare che, essendo la società mista per la gestione di servizi pubblici locali pur sempre
un soggetto imprenditoriale di diritto privato - operante sul mercato e sensibile, specie se quotato in
borsa, anche alle esigenze dei privati investitori -, il vincolo funzionale, che la lega alla collettività
locale di riferimento, va inteso anzitutto in senso residuale e, quindi, non già come mero vincolo
territoriale, in vario modo operante invece per le aziende speciali, bensì quale parametro per
valutare di volta in volta se, ed in qual misura, l'impegno extraterritoriale della società distolga in
misura rilevante risorse e mezzi dall'impegno verso la collettività locale di riferimento, senza che ciò
comporti un apprezzabile ritorno d'utilità (anch'esso da accertare in relazione all'impegno profuso
ed agli eventuali rischi finanziari corsi) a favore di quest'ultima (cfr. ad es. Consiglio Stato, sez. V, 3
settembre 2001, n. 4586). A quest'ultimo riguardo, si è ritenuto che l'unico limite per queste società
sia costituito dal giusto equilibrio tra l'inerenza funzionale dell'attività alla cura degli interessi della
collettività di riferimento. E' in quest'ottica pertanto che va inteso il principio già espresso , peraltro
22
con riferimento ad un'azienda speciale comunale, a tenore del quale nell'ambito della capacità
imprenditoriale che gli competono tali soggetti comunali ben possono partecipare, in concorrenza
con i privati, a gare indette da altri enti per l'affidamento di un servizio pubblico, atteso che essa si
configura come lo strumento mediante cui l'ente locale di riferimento svolge un'attività di natura
imprenditoriale (cfr. ad es. T.A.R. Liguria, sez. II, 17 gennaio 2002, n. 30).
Tribunale Amministrativo Regionale Piemonte, sez.II, 6/3/2004 n. 382:
SERVIZI PUBBLICI LOCALI - DISCIPLINA EX ART.35, C.2, L.448/2001 - AFFIDAMENTI
DIRETTI - REGIME TRANSITORIO - POSSIBILITA' PER LE IMPRESE AFFIDATARIE DIRETTE
DI SERVIZI DI PARTECIPARE ALLE GARE - SUSSISTE
1. L’art. 35, comma 2, l. n. 448/2001 è stata adottato allo scopo di consentire alle imprese affidatarie
dirette che si erano date una struttura per porsi anche in concorrenza sul libero mercato di non
dissipare i notevoli investimenti cui avevano dato luogo. E’ chiaro che, "a regime", tali imprese non
potrebbero godere del doppio privilegio di ottenere sia affidamenti diretti sia di partecipare a gare in
libero mercato, se non entrando in contrasto con i principi generali , ma è altrettanto chiaro che
l’immediata esclusione delle stesse dalle gare in questione, secondo il disposto dell’art. 35, comma 6
cit., avrebbe creato a sua volta una disparità di trattamento e una improvvisa posizione di favore per
le altre imprese che si sarebbero viste cancellare immediatamente potenziali concorrenti in grado di
competere sul libero mercato. E’ ragionevole, quindi, nell’ambito di discrezionalità che gli compete
che il legislatore abbia previsto il termine in questione, che consentirà alle imprese interessate, sia
quelle già affidatarie sia quelle operanti senza precedenti affidamenti diretti, di riorganizzarsi per
competere nei rispettivi ambiti di interesse.
Consiglio di Stato, sez.V, 9/5/2003 n. 2467:
1. SERVIZI PUBBLICI - SOCIETA' MISTE COSTITUITE DAGLI EE.LL. - LIMITE TERRITORIALE
DELL'ATTIVITA' - NON SUSSISTE - CONDIZIONI E LIMITI - DISCIPLINA EX ART.35
L.448/2001 - PERIODO TRANSITORIO
2. SERVIZI PUBBLICI - PRINCIPI DI LIBERA CONCORRENZA E PARITA' DI TRATTAMENTO
TRA SOGGETTI PUBBLICI E SOGGETTI PRIVATI PRESTATORI DI SERVIZI - POSSIBILITA'
PER IMPRESE PUBBLICHE DI PARTECIPARE A GARE - SUSSISTE
1. Le Società miste costituite dagli enti locali anche in trasformazione di aziende speciali, per avere
personalità giuridica propria di diritto privato, non soffrono in via di principio del limite territoriale
alla loro attività potendo estenderla, a certe condizioni, anche al di fuori dell'ambito territoriale
degli enti di riferimento (cfr. n. 4856/2001, n. 2012/2002 e 3448/2002). Il legislatore con l'art. 35
della legge 448 del 28 dicembre 2001 ha previsto l'obbligo della trasformazione delle aziende
speciali in Società per azioni ancorando al termine del periodo provvisorio il divieto di partecipare a
gare per l'affidamento di servizi per i soggetti che gestiscono a qualunque titolo servizi pubblici
locali in forza di un affidamento diretto, confermando così che fino a quel momento tale
partecipazione è ammessa.
2. Il Trattato di Roma (art. 86) e la direttiva CEE 92/50 art. 1, lett. C), prevedono che le Società
pubbliche possano agire in regime di parità di trattamento con le imprese private e che tra i
prestatori di servizi sono inclusi i soggetti pubblici che forniscono servizi con il che è esclusa ogni
limitazione alla facoltà dei soggetti pubblici fornitori di servizi di partecipare alle gare pubbliche.
Una recente pronuncia della Corte di Giustizia n. 94/99 del 7 dicembre 2000 ha stabilito al riguardo
23
che gli organismi che beneficiano di sovvenzioni (per quel che qui può interessare sotto forma di
sottoscrizione del capitale) sono ammessi al confronto concorrenziale secondo le regole comunitarie
senza che vi sia alterazione della regola della parità di trattamento.
Consiglio di Stato, sez.VI, 7/9/2004 n. 5845:
1. APPALTI DI LL.PP. - QUALIFICAZIONE - POSSIBILITA' PER LE SOCIETA' MISTE DI
ESEGUIRE LL.PP. PER CONTO DI ALTRE AMMINISTRAZIONI - SUSSISTE - RIFERIMENTO
ALLA DISCIPLINA PER I CONCESSIONARI DI LL.PP. - DIVIETO DI IN HOUSE
CONTRUCTION - INTERPRETAZIONE
2. APPALTI DI LL.PP. - SOCIETA' MISTE EE.LL. - ATTIVITA' EXTRATERRITORIALE - LIMITI INDIVIDUAZIONE - DISCIPLINA APPLICABILE
1. Anche nel sistema normativo anteriore alla l. n. 166/2002 (c.d. Merloni quater) (che ha abrogato
l’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994), si doveva ritenere che né il t.u. enti locali (d.lgs. n. 267/2000), né
l’art. 2, co. 5 bis, l. n. 109/1994, nel testo introdotto dalla l. n. 415/1998 (cd. Merloni ter),
precludessero agli enti aggiudicatori, e, segnatamente, alle società miste costituite dagli enti locali,
di operare sul mercato in veste di esecutori di lavori pubblici per conto di stazioni appaltanti terze.
Conseguentemente, non era precluso a detti soggetti il conseguimento dell’attestazione di qualità di
cui all’art. 8, l. n. 109/1994. Tra i soggetti di cui all’art. 2, co. 2, per i concessionari già la stessa l. n.
415/1998 consentiva una deroga al divieto assoluto di in – house construction. Infatti i concessionari
possono eseguire in via diretta una percentuale dei lavori, e dunque non hanno un obbligo assoluto
di esternalizzazione. Quando i concessionari eseguono i lavori direttamente, devono possedere i
requisiti di qualificazione, e dunque hanno titolo a conseguire l’attestazione di qualità.La
coesistenza, nell’articolo 2, del comma 4 e del comma 5 bis, induce a ritenere che il comma 5 bis non
sancisca affatto un divieto assoluto, per i soggetti aggiudicatori, di assumere anche la veste di
soggetti esecutori di lavori pubblici. Invero, l’obbligo di eseguire i lavori di propria competenza
mediante appalto, concessione, ovvero lavori in economia, non è un obbligo inderogabile, perché, si
è visto, i concessionari potevano, già prima della Merloni quater, eseguire in parte, i lavori, in via
diretta. In secondo luogo, l’obbligo di esternalizzazione sancito dal citato art. 2, co. 5 bis, assume il
significato di impedire il cumulo in uno stesso soggetto, del ruolo di stazione appaltante e di soggetto
esecutore dei lavori, ma tale divieto di cumulo non può che riferirsi ai lavori di pertinenza del
soggetto di cui si tratta. Solo per specifici lavori di competenza di un dato soggetto (rientrante nel
novero di quelli di cui all’art. 2, co. 2, l. n. 109/1994) ha un significato logico l’obbligo di
esternalizzazione e il divieto di in house construction. La norma di cui all’art. 2, co. 5 bis, non
impediva, invece, che un soggetto fosse ente aggiudicatore per un dato appalto e soggetto affidatario
in un altro appalto. E, invero, nel caso in cui un soggetto di cui all’art. 2, co. 2, operi, non già in veste
di stazione appaltante, bensì in veste di esecutore dei lavori pubblici appaltati da altro soggetto
(sempre rientrante nell’art. 2, co. 2), non si ricade nel divieto di in house construction. La opposta
lettura conduce all’illogico risultato che un soggetto che rientra nel novero dei soggetti
aggiudicatori non potrebbe mai essere esecutore di un appalto indetto da altri soggetti
aggiudicatori.Il che si traduce in una incapacità giuridica a contrarre, in contrasto con la generale
capacità di diritto privato, che va riconosciuta sia ai soggetti privati, sia ai soggetti solo formalmente
privati
(società
a
capitale
pubblico),
sia
alle
pubbliche
amministrazioni.
2. Per quanto riguarda la questione della possibilità, per le società miste costituite da enti locali, di
svolgere attività imprenditoriali c.d. extraterritoriali, assumendo il ruolo di esecutori di appalti
pubblici indetti da altre stazioni appaltanti pubbliche (diverse dagli enti locali che hanno dato vita
alle società miste), tale questione era stata risolta in senso affermativo dalla giurisprudenza, sia pure
24
con paletti e limitazioni volti a non snaturare il ruolo istituzionale delle società miste. Questo
Consesso ha infatti ritenuto, già nel vigore dell’art. 113, d.lgs. n. 267/2000, nel testo anteriore alle
innovazioni introdotte con la l. n. 448/2001, con il d.l. n. 269/2003, e con la l. n. 350/2003, che <>
(C. Stato, V, 3 settembre 2001, n. 4586). Partendo dal principio basilare secondo cui la società mista
costituita da enti locali è strumentale al perseguimento degli interessi della collettività locale, non si
può a priori escludere la possibilità di svolgimento di attività c.d. extraterritoriali, ma occorre, caso
per caso, verificare, con specifiche indagini e studi, che l’espletamento di tali attività, da un lato
contribuisca al migliore perseguimento dell’interesse della collettività locale, e, dall’altro lato, non
si traduca in un aumento di costi per tale collettività, in termini di aumento di tasse o tariffe, o
peggioramento del servizio. Solo a tali condizioni, infatti, si soddisfa la duplice esigenza che, da un
lato, le attività extraterritoriali della società mista non si traducano in pregiudizio e aumento di costi
della collettività territoriale, in contrasto con i principi di efficienza e di equa misura di tasse e
tariffe, e che, dall’altro lato, la società mista, una volta immessa sul mercato, vi operi in condizioni di
effettiva concorrenza e parità con gli imprenditori privati, senza costituzione di una posizione di
privilegio derivante dalla possibilità di usufruire, in violazione delle norme comunitarie e nazionali
sugli aiuti pubblici alle imprese, di una dote economico – finanziaria costituita da denaro pubblico e,
dunque, in definitiva, a carico della collettività. Le innovazioni introdotte con l’art. 35, l. n. 448/2001
e con il d.l. n. 269/2003, militano, del pari, nel senso della possibilità, entro certi limiti, che la società
mista assuma appalti pubblici anche affidati da soggetti terzi rispetto a quelli che le hanno dato
vita.In particolare:
- l’art. 35, l. n. 448/2001, aveva vietato la c.d. extraterritorialità, ma solo al termine di un periodo
transitorio (così statuendo: <>);
- tale divieto è stato abrogato dall’art. 14, l. n. 326/2003 (recante conversione del d.l. n. 269/2003);
- la l. n. 350/2003 ha introdotto il divieto di extraterritorialità solo alla fine di un periodo transitorio
(art. 113, commi 6 e 15 quater, d.lgs. n. 267/2000).
2.1. L’affidamento dei servizi privi di rilevanza economica.
In materia è intervenuta la pronuncia del giudice delle leggi n. 272/2004 che, in estrema sintesi,
stabilisce che per i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica non v’è questione di tutela
della concorrenza – proprio perché non si tratta di un mercato concorrenziale – e quindi è illegittima
l’intromissione statale costituita dall’art. 113-bis del TUEL che definisce, su un piano generale, le
modalità di affidamento di tali servizi.
La sentenza lascia tuttavia intatte sia le altre norme del D.Lgs. 267/2000 che disciplinano, ad es.,
l’istituzione come forma di gestione dei servizi sociali, sia la considerazione che le trattasi di forme
generali di gestione (amministrazione diretta, concessione, appalto) comunque sussistenti
nell’ordinamento giuridico al di là di espresse previsioni, anche perché restano ferme le discipline
statali di settore valevoli almeno sino alla sopravvenienza della legislazione regionale.
La pronuncia in realtà era stata anticipata, per molti versi, dalla giurisprudenza amministrativa.
Tribunale Amministrativo Regionale Liguria, sez.II, 22/4/2004 n. 514:
25
<<Il favor per i soggetti afferenti al "terzo settore" cioè al volontariato senza scopo di lucro non
costituisce scelta extravagante ed isolata dell'Amministrazione comunale ma si inserisce
coerentemente con il quadro normativo delineato dalla legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali, di cui alla l. 8 novembre 2000 n. 328.
<<In particolare l'art.1 della l. 328/2000 prescrive agli enti pubblici territoriali di riconoscere ed
agevolare il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, mentre il successivo art. 5 impone il
ricorso a forme di aggiudicazione e negoziali che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la
piena espressione della propria progettualità.
<<Ne consegue che in presenza di disposizione normative così esplicite la scelta di avvalersi
esclusivamente di simili tipologie di soggetti non fa altro che inserirsi nelle linee guida formulate
dallo stesso legislatore.
<<Ai sensi dell'art. 3 dl.lgs. 157/1995, gli appalti di cui all'allegato n.2 al predetto d.lgs. 157/1995,
tra i quali figurano gli appalti relativi a servizi sanitari e sociali, sono soggetti esclusivamente alle
norme di cui all'art. 8 comma 3, relativo alla comunicazione dell'esito dell'appalto, ed agli artt. 20 e
21, relativi alle specifiche tecniche dei capitolati d'oneri e dei documenti contrattuali.
Analogamente a livello comunitario la direttiva CEE 92/50 all'art. 9 con riferimento all'allegato n.
1B alla stessa prevede analoga esenzione relativamente agli appalti relativi ai servizi sanitari e
sociali.
Ne consegue che non sussiste alcuna illegittimità in ordine alla limitazione della partecipazione agli
appalti de quo ai soli soggetti senza scopo di lucro.>>.
Tribunale Amministrativo Regionale Calabria Catanzaro 15/3/2004 n. 637:
<<Riguardo all´affidamento di un servizio sociale, va ravvisata un´attenuazione della cogenza del
principio di concorrenzialità, destinato ad operare in modo pieno rispetto all´attività di imprese che
agiscono in regime di concorrenza ed a fine di lucro (TAR Toscana, 2 agosto 2002 n.1708).
<<Tale orientamento pare raccordarsi al quadro normativo di riferimento ed, in particolare, alle
previsioni della legge 8 novembre 2000 n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali), che, all´art. 5, comma 3, prevede che le regioni, sulla base di
un atto di indirizzo e coordinamento del Governo, adottano specifici indirizzi per regolamentare i
rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi
alla persona.
<<Orbene, l´art. 5 del D.P.C.M. 30 marzo 2001, emanato in attuazione di tale norma, ha previsto, in
relazione alle modalità di affidamento, la possibilità di acquisto da parte dell´ente pubblico di servizi
e interventi organizzati dai soggetti del terzo settore (organizzazioni di volontariato, associazioni ed
enti di promozione sociale, organismi della cooperazione, cooperative sociali, fondazioni, enti di
patronato, altri soggetti privati non a scopo di lucro).>>.
Tribunale Amministrativo Regionale Basilicata 29/11/2003 n. 1022:
<<Se, al fine di promuovere ed agevolare l´attività delle cooperative sociali, anche se solo di quelle
della "lettera b)", si giunge a consentire alle pp.aa. di derogare, per la scelta del soggetto cui affidare
i servizi pubblici, allo strumento della gara pubblica, a maggior ragione si deve ritenere possibile
limitare la partecipazione a dette gare alle sole cooperative, essendo queste costituite allo scopo di
26
perseguire l´interesse collettivo alla predisposizione di interventi di sostegno in favore dei soggetti
più bisognosi.
<<In questo senso è dunque possibile, anche in deroga alla normativa comunitaria ed interna in
tema di parità tra i prestatori di servizi, che, al fine di agevolare le cooperative sociali aventi lo
scopo di tutelare l´interesse dei cittadini in situazioni di bisogno, l´amministrazione appaltante,
nell´esercizio del proprio potere discrezionale, determini preventivamente una limitazione delle
categorie di soggetti da invitare ad una procedura concorsuale.
<<L´ordinamento riserva alle organizzazioni di volontariato una particolare posizione, favorendone
l´apporto ausiliario nei confronti della p.a., ma senza alcuna loro assimilazione alla logica di
mercato, non potendo esse presentare in dipendenza del loro peculiare modello organizzativo e
gestionale offerte indicanti un corrispettivo per i servizi da prestare, posto che le risorse economiche
di cui possono beneficiare si alimentano in via esclusiva con i rimborsi delle spese sostenute, ivi
compresi gli oneri di copertura assicurativa dei volontari impiegati (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano,
III, 12/1/99 n.108 e 9/3/00 n.1869).>>.
In senso parzialmente diverso, Tribunale Amministrativo Regionale Abruzzo Pescara 20/11/2003 n.
1032:
<<I servizi pubblici locali non di rilevanza industriale, ove ricorrano particolari condizioni, possono
essere dati in concessione a terzi sempre, però, "in base a procedure ad evidenza pubblica" (art.
113-bis del decreto leg.vo 18 agosto 2000, n. 267).
Le circostanze speciali che, ai sensi dell'art. 267 del r.d. 14 settembre 1931 n. 1175, consentono di
dare in concessione pubblici servizi a trattativa privata non possono essere quelle connesse alla
mera presunta maggiore convenienza tecnico-economica dell'intervento, ma devono ritenersi
circoscritte ai casi in cui sussiste l'impossibilità per la p.a. di fare ricorso a pubbliche gare in ragione
dell'estrema urgenza nel provvedere, ovvero in relazione alla sussistenza di presupposti d'ordine
tecnico tali da impedire, se non al prezzo di costi sproporzionati, la ricerca di altre soluzioni basate
sul previo confronto concorrenziale (Cons. St., V, 18 giugno 2001, n. 3213, e 15 marzo 2001,
n.1514).>>.
In materia è poi intervenuta la riforma di cui al d.l. 269/2003.
E’ noto che la recente riforma dei servizi pubblici locali aveva inciso anche sui servizi privi di
rilevanza economica; proprio l’art. 113-bis del Tuel, come risultante dalla formulazione introdotta dal
"decretone" di accompagnamento dell’ultima legge finanziaria, è oggetto dell’intervento della
Consulta.
Al riguardo, vi era un ritorno alla precedente distinzione tra servizi di rilevanza economica e
imprenditoriale e servizi non aventi tale rilevanza, distinzione che era venuta meno con l’art. 35 della
L. 448/2001.
Mentre la disciplina scaturente dalla legge finanziaria 2002 faceva confluire nella categoria dei
servizi privi di rilevanza industriale i servizi imprenditoriali diversi dalle utilities (acqua, elettricità,
ecc.), che dunque restavano attratti nell’orbita pubblica, il D.L. 269/2003 riproponeva l’impostazione
della L. 142/1990 riferendosi principalmente ai servizi (in senso lato) sociali.
In giurisprudenza, tuttavia, smentiva il carattere innovativo della riforma Consiglio di Stato, sez.V,
15/4/2004 n. 2155: <<la "rilevanza industriale" si riduce al carattere imprenditoriale, ossia
economico, definito dall’articolo 2082 del codice civile, secondo cui "È imprenditore chi esercita
27
professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di
beni e servizi".>>.
In sostanza, i servizi privi di rilevanza economica andavano ad identificarsi per il concorso della
mano pubblica a prestazioni la cui offerta sul mercato è deficitaria, mentre i servizi economici (e
imprenditoriali), connotati dalla remuneratività, formavano appannaggio dell’iniziativa privata (pure
se in realtà proprio con il d.l. 269/2003 si era assistito ad una pubblicizzazione "di ritorno" anche di
questo settore).
I servizi non economici, a seguito della novella, non potevano essere concessi a privati.
Vi era da chiedersi se l’abrogazione del comma 4 fosse motivata dall’intento di rimuovere il vincolo
che derivava dalla preesistente condizione per cui l’affidamento a terzi era possibile soltanto quando
sussistessero ragioni tecniche, economiche o di utilità sociale.
In ogni modo, erano salve le discipline di settore.
In effetti, la formulazione della disposizione in commento appariva di difficile conciliabilità con il
principio di "sussidiarietà orizzontale" di cui all’ultimo comma dell’art. 118 Cost., per cui è favorita
l’iniziativa privata per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Il ruolo del terzo settore nell’attuazione del principio di sussidiarietà nel campo sociale è in
particolare esaltato dall’art. 5 della l. 328/2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali).
Così come restavano ferme le disposizioni di cui alle leggi 266/1991 e 381/1991 in materia,
rispettivamente, di convenzionamento con le associazioni di volontariato e le cooperative sociali per
l’erogazione di servizi di carattere sociale e culturale.
La riforma lasciava immutate anche le altre forme di gestione già previste; anche se la sopravvivenza
dell’istituzione sembrava contrastare con il parallelo riordino del sistema dell’assistenza e
beneficenza che vede i due approdi o dell’azienda pubblica di servizi o della fondazione di diritto
privato (D.Lgs. n. 207/2001).
Anche la forma della società di capitali, peraltro, destava perplessità, in quanto si tratta di attività per
definizione prive di rilevanza economica, mal conciliabili quindi con l’utilizzo di una società
commerciale.
Per altro verso, si introduceva - come per i servizi economici - la triplice condizione di cui alla
sentenza "Teckal" (che cioè si trattasse di società a capitale interamente pubblico, che gli enti pubblici
titolari del capitale sociale esercitassero sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui
propri servizi e che la società realizzasse la parte più importante della propria attività con l'ente o gli
enti pubblici che la controllano).
Ciò faceva sì che la fattispecie corrispondesse, nella sostanza, ad una gestione in economia, però
separatamente disciplinata dal comma 2 (che la ammetteva in relazione alle modeste dimensioni o
alle caratteristiche del servizio).
2.2. L’affidamento dei servizi alla persona. La normativa.
28
L’art. 5 della l. 8 novembre 2000, n. 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali" dispone al comma 2 che, ai fini dell'affidamento dei servizi previsti dalla
stessa legge, gli enti pubblici, fermo restando quanto stabilito dall'articolo 11 in tema di
autorizzazione e accreditamento, promuovano azioni per favorire la trasparenza e la semplificazione
amministrativa nonché il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che consentano ai soggetti
operanti nel terzo settore la piena espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di
verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della
qualificazione del personale.
Soggiunge il comma 3 che le regioni, sulla base di un atto di indirizzo e coordinamento del Governo,
adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare
riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.
In attuazione di quanto previsto da tale ultimo comma, è stato emanato il D.P.C.M. 30 marzo 2001
"Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell'art.
5 della l. 8 novembre 2000, n. 328".
Secondo l’art. 1 del provvedimento, lo stesso fornisce indirizzi per la regolazione dei rapporti tra
comuni e loro forme associative con i soggetti del terzo settore ai fini dell'affidamento dei servizi
previsti dalla legge n. 328 del 2000, nonché per la valorizzazione del loro ruolo nella attività di
programmazione e progettazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali.
Come stabilito dall’art. 2, si considerano soggetti del terzo settore le organizzazioni di volontariato, le
associazioni e gli enti di promozione sociale, gli organismi della cooperazione, le cooperative sociali,
le fondazioni, gli enti di patronato, altri soggetti privati non a scopo di lucro.
Per quanto riguarda specificamente le organizzazioni di volontariato, dispone l’art. 3 che le regioni e
i comuni valorizzino l'apporto del volontariato nel sistema di interventi e servizi come espressione
organizzata di solidarietà sociale, di autoaiuto e reciprocità nonché con riferimento ai servizi e alle
prestazioni, anche di carattere promozionale, complementari a servizi che richiedono una
organizzazione complessa ed altre attività compatibili, ai sensi della legge 11 agosto 1991, n. 266,
con la natura e le finalità del volontariato.
Gli enti pubblici stabiliscono forme di collaborazione con le organizzazioni di volontariato
avvalendosi dello strumento della convenzione di cui alla legge n. 266/1991.
Le regioni adottano specifici indirizzi, in particolare, per:
a) promuovere l'offerta, il miglioramento della qualità e l'innovazione dei servizi e degli interventi
anche attraverso la definizione di specifici requisiti di qualità e il ruolo riconosciuto degli utenti e
delle loro associazioni ed enti di tutela;
b) favorire la pluralità di offerta dei servizi e delle prestazioni, nel rispetto dei princìpi di trasparenza
e semplificazione amministrativa;
c) favorire l'utilizzo di forme di aggiudicazione o negoziali che consentano la piena espressione della
capacità progettuale ed organizzativa dei soggetti dei terzo settore;
d) favorire forme di coprogettazione promosse dalle amministrazioni pubbliche interessate, che
coinvolgano attivamente i soggetti del terzo settore per l'individuazione di progetti sperimentali ed
innovativi al fine di affrontare specifiche problematiche sociali;
e) definire adeguati processi di consultazione con i soggetti del terzo settore e con i loro organismi
rappresentativi riconosciuti come parte sociale.
29
Più in dettaglio, l’art. 7 prevede che al fine di affrontare specifiche problematiche sociali,
valorizzando e coinvolgendo attivamente i soggetti del terzo settore, i comuni possono indire
istruttorie pubbliche per la coprogettazione di interventi innovativi e sperimentali su cui i soggetti del
terzo settore esprimono disponibilità a collaborare con il comune per la realizzazione degli obiettivi.
Le regioni possono adottare indirizzi per definire le modalità di indizione e funzionamento delle
istruttorie pubbliche nonché per la individuazione delle forme di sostegno.
In base invece all’art. 8, le regioni e i comuni predispongono, di concerto con gli organismi
rappresentativi del terzo settore, azioni di promozione, sostegno e qualificazione dei soggetti del terzo
settore mediante politiche formative, fiscali e interventi per l'accesso agevolato al credito e ai fondi
europei, avvalendosi anche delle realtà e delle competenze da loro espresse.
Stabilisce l’art. 5 che i comuni, al fine di realizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali
garantendone i livelli essenziali, possono acquistare servizi e interventi organizzati dai soggetti del
terzo settore.
Le regioni disciplinano le modalità per l'acquisto da parte dei comuni dei servizi ed interventi
organizzati dai soggetti del terzo settore definendo in particolare:
a) le modalità per garantire una adeguata pubblicità del presumibile fabbisogno di servizi in un
determinato arco temporale;
b) le modalità per l'istituzione dell'elenco dei fornitori di servizi autorizzati ai sensi dell'art. 11 della
legge n. 328 del 2000, che si dichiarano disponibili ad offrire i servizi richiesti secondo tariffe e
caratteristiche qualitative concordate;
c) i criteri per l'eventuale selezione dei soggetti fornitori sulla base dell'offerta economicamente più
vantaggiosa, tenuto conto di quanto previsto dall'art. 4.
Oggetto dell'acquisto o dell'affidamento deve essere l'organizzazione complessiva del servizio o della
prestazione, con assoluta esclusione delle mere prestazioni di manodopera che possono essere
acquisite esclusivamente nelle forme previste dalla normativa sul lavoro temporaneo.
I comuni stipulano convenzioni con i fornitori iscritti nell'elenco, anche acquisendo la disponibilità
del fornitore alla erogazione di servizi e interventi a favore di cittadini in possesso dei titoli di cui
all'art. 17 della legge n. 328 del 2000.
Ai sensi dell’art. 6, le regioni adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra comuni e
soggetti del terzo settore nell'affidamento dei servizi alla persona di cui alla legge n. 328 del 2000
tenuto conto delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano le procedure di affidamento dei
servizi da parte della pubblica amministrazione.
Nel rispetto dei princìpi di pubblicità e trasparenza dell'azione della pubblica amministrazione e di
libera concorrenza tra i privati nel rapportarsi ad essa, sono da privilegiare le procedure di
aggiudicazione ristrette e negoziate.
In tale àmbito le procedure ristrette permettono di valutare e valorizzare diversi elementi di qualità
che il comune intende ottenere dal servizio appaltato.
I comuni, nell'affidamento per la gestione dei servizi, utilizzano il criterio dell'offerta
economicamente più vantaggiosa, tenuto conto anche di quanto previsto all'art. 4.
30
I contratti prevedono forme e modalità per la verifica degli adempimenti oggetto del contratto ivi
compreso il mantenimento dei livelli qualitativi concordati ed i provvedimenti da adottare in caso di
mancato rispetto.
L’art. 4 disciplina al primo comma la selezione dei soggetti del terzo settore, stabilendo che i comuni,
ai fini della preselezione dei soggetti presso cui acquistare o ai quali affidare l'erogazione di servizi di
cui agli articoli 5 e 6, fermo restando quanto stabilito dall'art. 11 della legge n. 328/2000, valutino i
seguenti elementi:
a) la formazione, la qualificazione e l'esperienza professionale degli operatori coinvolti;
b) l'esperienza maturata nei settori e nei servizi di riferimento.
In base al comma 2 i comuni devono procedere all'aggiudicazione dei servizi di cui al comma 1 sulla
base dell'offerta economicamente più vantaggiosa, tenendo conto in particolare dei seguenti elementi
qualitativi:
a) le modalità adottate per il contenimento del turn over degli operatori;
b) gli strumenti di qualificazione organizzativa del lavoro;
c) la conoscenza degli specifici problemi sociali del territorio e delle risorse sociali della comunità;
d) il rispetto dei trattamenti economici previsti dalla contrattazione collettiva e delle norme in materia
di previdenza e assistenza.
Il comma 3, a completamento di quanto sopra, vieta espressamente che i comuni procedano
all'affidamento dei servizi con il metodo del massimo ribasso.
L’art. 9 reca norme finali e transitorie, disponendo che in attesa della adozione delle norme statali e
regionali in materia di autorizzazione e accreditamento, previste dalla legge n. 328 del 2000, le
regioni definiscano, nell'àmbito degli indirizzi di attuazione sopra citati, le condizioni minime e le
modalità per l'instaurazione di rapporti economici tra i comuni e i soggetti del terzo settore.
Le stesse disposizioni si applicano anche ai soggetti ai quali i comuni delegano l'esercizio delle
proprie funzioni, nonché ai soggetti costituiti per l'esercizio delle stesse.
Le regioni adottano indirizzi al fine di rendere applicabili tali norme anche ai servizi ed interventi
socio sanitari.
Le disposizioni di cui agli articoli 4, 5 e 6 del decreto si applicano, in quanto compatibili, ai rapporti
con altri soggetti erogatori.
Le regioni a statuto speciale e le province autonome provvedono alle finalità dell’atto di indirizzo
nell'àmbito delle proprie competenze, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti.
2.3. Le forme di gestione degli istituti e luoghi della cultura nel nuovo codice dei beni culturali.
La materia è disciplinata dal titolo II (artt. 101 ss.) del D.Lgs. 42/2004.
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Si tratta dei musei, delle biblioteche, degli archivi (storici), delle aree archeologiche, dei parchi
archeologici, dei complessi monumentali.
Esplicita la definizione di servizio pubblico se si tratta di istituti o luoghi di appartenenza pubblica (se
di appartenenza privata e aperti al pubblico trattasi di servizio privato di utilità sociale, per
l’individuazione degli stessi si veda l’art. 104).
Per quanto riguarda i proventi, in disparte quelli derivanti dall’uso individuale, ad es. dalla
riproduzione (artt. 106-109), l’art. 103 del codice, regolando materia già disciplinata dalla l. 352/97,
stabilisce che spetta al ministero, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali determinare i casi di
libero accesso e di ingresso gratuito, le categorie di biglietti e i criteri per la determinazione del
relativo prezzo, le modalità di emissione, distribuzione e vendita del biglietto di ingresso e di
riscossione del corrispettivo, anche mediante convenzioni con soggetti pubblici e privati.
Nel caso di gestione diretta i proventi sono versati ai soggetti pubblici cui i luoghi o istituti
appartengono o sono in consegna; si tratta di proventi a destinazione vincolata (comma 3 dell’art.
110).
I principi relativi alla gestione e valorizzazione sono affermati dagli artt. 111 e 112 del codice.
La valorizzazione ad iniziativa pubblica si conforma ai principi di libertà di partecipazione, pluralità
dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione; a
tali attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati.
Spetta alle regioni disciplinare la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e luoghi non
appartenenti allo stato, o dei quali lo stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa
vigente.
Al fine di coordinare, armonizzare ed integrare le attività di valorizzazione del patrimonio culturale di
appartenenza pubblica, sono comunque previsti accordi tra ministero, regioni ed altri enti per definire
gli obiettivi e fissarne i tempi e le modalità di attuazione, individuando altresì le forme di gestione.
Accordi specifici riguardano la promozione di attività di studio e ricerca e la diffusione della
conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole (artt. 118-119).
In ogni caso i soggetti che hanno la gestione delle attività di valorizzazione sono tenuti ad assicurare il
rispetto dei livelli di qualità definiti ai sensi dell’art. 114.
Due le forme di gestione (art. 115).
La gestione diretta è svolta per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate di
adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale
tecnico.
Ordinariamente gli enti territoriali possono gestire il servizio in forma diretta solo se essa risulti
conveniente od opportuna per le modeste dimensioni o per le caratteristiche dell’attività di
valorizzazione.
Lo stato e le regioni ricorrono alla gestione indiretta al fine di assicurare un adeguato livello di
valorizzazione dei beni culturali, previa valutazione comparativa, in termini di efficienza ed efficacia,
degli obiettivi che si intendono perseguire e dei relativi mezzi, metodi e tempi.
La gestione in forma indiretta è attuata tramite:
32
a) affidamento diretto a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri
soggetti, costituiti o partecipati, in misura prevalente, dall’amministrazione pubblica cui i beni
pertengono (modalità preferenziale per gli enti territoriali);
b) concessione a terzi mediante procedure ad evidenza pubblica sulla base di valutazione
comparativa dei progetti presentati.
Il soggetto pubblico titolare può partecipare al patrimonio o al capitale dei soggetti di cui alla lettera
a) anche con il conferimento in uso del bene culturale oggetto di valorizzazione.
Gli effetti del conferimento si esauriscono, senza indennizzo, in tutti i casi di cessazione totale dalla
partecipazione da parte del titolare dell’attività o del servizio, di estinzione del soggetto partecipato
ovvero di cessazione per qualunque causa dell’affidamento dell’attività o del servizio.
All’affidamento o alla concessione può essere comunque collegata la concessione in uso del bene
culturale oggetto di valorizzazione (i beni conferiti o concessi in uso restano peraltro a tutti gli effetti
assoggettati al regime giuridico loro proprio, art. 116).
Il rapporto tra il titolare dell’attività e l’affidatario od il concessionario è regolato con contratto di
servizio, nel quale sono specificati, tra l’altro, i livelli qualitativi di erogazione del servizio e di
professionalità degli addetti nonché i poteri di indirizzo e controllo spettanti al titolare.
L’art. 117, riprendendo materia regolata per la prima volta con l. 4/1993, riguarda i servizi aggiuntivi.
La gestione dei medesimi è attuata nelle stesse forme di cui all’art. 115.
Vi rientrano:
a. il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e
informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali;
b. i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del
prestito bibliotecario;
c. la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali;
d. la gestione dei punti vendita e l’utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni;
e. i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l’infanzia, i servizi
di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro;
f. i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba;
g. l’organizzazione di mostre e manifestazioni culturali nonché di iniziative promozionali.
Tali servizi possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di
biglietteria.
Infine l’art. 120 disciplina la sponsorizzazione di beni culturali.
Essa avviene attraverso l’associazione del nome, del marchio, dell’immagine, dell’attività o del
prodotto dello sponsor all’iniziativa oggetto del contributo (in beni o servizi), in forme compatibili
con il carattere artistico o storico, l’aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, da
stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione (con il quale sono altresì definite le modalità di
erogazione del contributo nonché le forme del controllo, da parte del soggetto erogante, sulla
realizzazione dell’iniziativa cui il contributo si riferisce).
33
L’art. 121 riguarda gli accordi (protocolli di intesa nel testo dell’articolo) con le fondazioni bancarie,
al fine di coordinare gli interenti di valorizzazione sul patrimonio culturale e, in tale contesto,
garantire l’equilibrato impiego delle risorse finanziarie messe a disposizione.
2.4. L’affidamento dei servizi alla persona. La giurisprudenza.
Consiglio di Stato, sez.V, 3/7/2003 n. 4003:
APPALTI DI SERVIZI - SERVIZI SOCIALI - DISCIPLINA EX L.328/2000 E DPCM 21.3.2001 OBBLIGO DELLA GARA MEDIANTE OFFERTA ECONOMICAMENTE PIU' VANTAGGIOSA NON SI APPLICA AL SERVIZIO DI ASILO-NIDO - RAGIONI - NON RIENTRA TRA I SERVIZI
SOCIALI DEFINITI DALL'ART.128 DLGS. 112/1998
Le norme (legge 8 novembre 2000 n. 328 e decreto del presidente del consiglio dei ministri 21 marzo
2001), che impongono il sistema di gara dell’offerta più vantaggiosa e vietano il sistema delle offerte
al massimo ribasso per gli appalti dei servizi sociali definiti dall’articolo 128 del decreto legislativo
31 marzo 1998 n. 112, non si applicano ad un servizio di asilo-nido, il quale, sia esso un servizio
educativo o in qualsiasi altro modo lo si voglia qualificare e classificare, non rientra fra i servizi
sociali definiti dal citato articolo 128 né, pertanto, nel divieto di aggiudicarne l’appalto con il
sistema di offerte al massimo ribasso.
Tribunale Amministrativo Regionale Veneto, sez.I, 11/6/2003 n. 3284:
CONTRATTI DELLA P.A. - CONVENZIONI CON LE COOPERATIVE SOCIALI - ESCLUSIONE DI
COOPERATIVA ISCRITTA ALL'ALBO DI UNA REGIONE DIVERSA DA QUELLA
DELL'AMMINISTRAZIONE - ILLEGITTIMITA' - RAGIONI - ISCRIZIONE DELLA COOPERTIVA
ALL'ALBO REGIONALE - COMPORTA IL RICONOSCIMENTO DI COOPERATIVA SOCIALE
SULL'INTERO TERRITORIO NAZIONALE
In generale l'ordinamento non stabilisce alcun limite alla capacità giuridica e d’agire, e dunque di
essere parte di una procedura contrattuale, delle società cooperative (come di qualsiasi altra
persona giuridica di diritto interno) in relazione al luogo in cui il procedimento per la loro
costituzione si è perfezionato: ciò che, per le cooperative sociali, si determina appunto con la loro
iscrizione nel registro regionale.
Pertanto, in difetto di una norma derogatoria univoca, non vi è ragione di supporre che, istituendo
albi regionali per le cooperative sociali, il legislatore abbia inteso porre, solo per questa categoria di
soggetti, limitazioni di carattere generale alla loro capacità giuridica, fondate su di un elemento
spaziale, escludendole dalle gare che si svolgano fuori dalla Regione nel cui albo sono iscritte.
Una simile previsione confliggerebbe con principi costituzionali: così, con quello di eguaglianza,
giacché non si vede quali peculiarità giustificherebbero per una tale pregiudizievole limitazione,
rispetto alle altre persone giuridiche, e proprio per un soggetto che è espressione di quella attività di
cooperazione favorita dalla stessa Costituzione; ovvero, ancora, con le libertà di stabilimento e
circolazione sul territorio nazionale, che sarebbero gravemente compromesse da una siffatta
restrizione.
L’iscrizione nell’albo di una determinata Regione comporta il riconoscimento della qualità di
cooperativa sociale sull’intero territorio nazionale, con la conseguenza che, se un’Amministrazione
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ha stabilito di contrattare con tali soggetti, non potrà legittimamente richiedere l’iscrizione in un
determinato albo locale, dovendosi ritenere che questi siano tra loro pienamente equipollenti.
Pertanto, la prescrizione della lex specialis che, come nel caso in esame, limiti la partecipazione alle
sole cooperative sociali incluse in un determinato albo regionale, da un canto si pone in contrasto
con la legislazione che regola la materia, e dall’altro realizza un’ingiustificata discriminazione tra le
imprese, richiedendo il possesso di un requisito aggiuntivo che non corrisponde ad alcun particolare
apprezzabile interesse della stazione appaltante.
Tribunale Amministrativo Regionale Sardegna, sez.I, 15/4/2004 n. 500:
1. SERVIZI SOCIALI - GESTIONE DI COMUNITA' ALLOGGIO PER ANZIANI QUALIFICAZIONE - SERVIZIO SOCIALE EX DLGS. 112/1998 - NATURA DI SERVIZIO ALLA
PERSONA
2. SERVIZI SOCIALI - AFFIDAMENTO - DISCIPLINA EX ART. 5 L.328/2000 - VALORIZZAZIONE
SOGGETTI TERZO SETTORE - CRITERIO DI VALUTAZIONE DELLE OFFERTE - DISCIPLINA
EX DPCM 30.3.2001 - DIVIETO UTILIZZO CRITERIO DEL PREZZO PIU' BASSO
3. SERVIZI SOCIALI - AFFIDAMENTO - CRITERIO DEL PREZZO PIU' BASSO EX ART.23
LETT.A) DLGS. 157/1995 - ILLEGITTIMITA'
1. La gestione di una comunità alloggio per anziani va senz’altro qualificato, ai sensi del D.Lgvo 31
marzo 1998 n. 112, come servizio sociale, attesa la sua natura di servizio alla persona.
2. Per l’affidamento di tali servizi l’art. 5 della legge 8 novembre 2000 n. 328 prevede espressamente
il ricorso a forme di aggiudicazione che consentano ai soggetti operanti nel terzo settore la piena
espressione della propria progettualità, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della
qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale.Con
D.P.C.M. 30 marzo 2001, art. 4, comma 3°, si è inoltre espressamente previsto che i comuni, ai fini
delle aggiudicazioni di tali servizi, non devono utilizzare il metodo del massimo ribasso.
3. Nel caso in cui la gara è effettuata in base al criterio di cui all’art. 23, comma 1°, lett. a) del
D.Lgvo n. 157/95, e cioè unicamente in base al prezzo più basso, va disposto l’annullamento
dell’intera procedura concorsuale oggetto di gravame per violazione di legge.
3. Gli acquisti di beni e servizi delle spa miste degli enti locali.
La questione posta è se una Società a partecipazione pubblica maggioritaria sia tenuta,
nell’acquisizione di beni e servizi strumentali, nonché in caso di eventuale (è da vedere quanto
legittimo) affidamento a terzi di nuove attività derivanti da possibili futuri ampliamenti dell’oggetto
sociale, all’applicazione della normativa in materia di appalti pubblici.
In caso positivo, quale sia la normativa applicabile sia al di sopra sia al di sotto della c.d. soglia
comunitaria.
In base al più recente orientamento sia del Consiglio di Stato (v. Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 1999,
n.295; Id., sez. VI, 28 ottobre 1998, n.1478), sia delle più recenti pronunzie della stessa Corte di
Cassazione (Cass., sez. un., 5 febbraio 1999, n.24; Id. 13 febbraio 1999, n.64; Id., 12 giugno 1999,
n.332), la normativa comunitaria, al fine di realizzare anche nel settore dei pubblici appalti gli
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obiettivi della libera circolazione dei beni, delle persone, dei servizi, nonché di salvaguardare la libera
concorrenza, impone l’applicazione del modello dell’evidenza pubblica ben oltre il tradizionale
limite soggettivo dei contratti stipulati dagli enti pubblici.
Si è stabilito che la procedura di gara, con tutte le garanzie procedimentali che la contraddistinguono,
debba applicarsi, oltre che nei riguardi degli enti pubblici, anche nei confronti degli "organismi di
diritto pubblico", elaborando una nozione che esorbita quella precedente di "amministrazione
aggiudicatrice" ed abbraccia anche figure soggettive formalmente classificate come privatistiche (v.,
per tutti, gli artt. 1 della direttiva n. 37 del 1993, in materia di appalto di lavori; 1 della direttiva n.50
del 1992, in tema di appalto di servizi).
Tale nozione, oltretutto, è stata recepita anche dal legislatore interno (v. gli artt. 2 della legge n. 109
del 1994 in tema di appalto di lavori, e 2 del d. lgs. n.157 del 1995 in tema di appalto di servizi).
Si è osservato che la vigenza del regime dell’evidenza pubblica, lungi dall’essere neutrale rispetto alla
qualificazione del rapporto, incide profondamente sulla posizione dell’ente aggiudicatore, sugli
obiettivi da questi perseguiti e sulle posizioni soggettive dei partecipanti alla gara.
Le finalità della procedura, in coerenza con gli scopi del legislatore comunitario, sono dunque di
immediato rilievo pubblicistico: per tutte basti richiamare l’esigenza di un utilizzo corretto ed
imparziale del denaro pubblico e la tutela della libera concorrenza negli assetti di mercato.
Per altro verso, la conduzione della gara e la scelta dell’aggiudicatario comportano l’attuazione di un
potere di matrice autoritativa, con l’attitudine ad incidere sulla posizione dei partecipanti. Costoro,
infine, sono garantiti proprio grazie all’applicazione di un modulo procedimentale pubblicistico,
improntato alla tutela della par condicio.
Da questa ricostruzione si è fatto discendere l’ampliamento degli ambiti soggettivi ed oggettivi della
nozione di atto amministrativo, che, riverberandosi anche sulle norme processuali, provoca la
corrispondente estensione della giurisdizione del giudice amministrativo (i richiamati precedenti
ritengono opportunamente rilevanti sul terreno processuale i riferimenti desunti dagli artt. 12 e 13
della legge 19.2.1992, n.142, quest’ultimo abrogato dal d. lgs. n.80 del 1998; 30 del d. lgs. n.157 del
1995; 11, comma 1 della legge 19.12.1992, n.489; 31 bis della legge n.109 del 1994; nonché il dato,
comunque particolarmente significativo, desunto dall’ art.33 del d. lgs. n.80 del 1998).
Può richiamarsi, in particolare, una decisione, che ha posto in rilievo proprio la recente evoluzione
della nozione classica di atto amministrativo, che ha conosciuto nel più recente periodo un
significativo processo di "erosione", a favore di sistemi di gestione dell’attività amministrativa che,
per un verso, si avvalgono di modelli convenzionali e/o di assetti normativi di spiccata origine
privatistica e che, per altro verso, affidano vasti settori di azione a figure soggettive di indubbia
matrice privatistica (v. Cons. Stato, sez. V, 6 dicembre 1999, n.2046).
Di interesse in tal senso è una più recente decisione del Consiglio di Stato (Sez. IV, 15.2.2002, n.
934).
La controversia concerneva l’impugnazione degli atti relativi all’aggiudicazione di un pubblico
appalto di servizi, avente ad oggetto l’esecuzione di analisi chimiche sull’olio di raffreddamento di
trasformatori elettrici, espletato con le regole sull’evidenza pubblica e, segnatamente, con il modello
della licitazione privata.
L’appalto era stato bandito ed aggiudicato da una società per azioni a partecipazione comunale
costituita ai sensi dell’art.17, comma 51 e ss., della legge n.127 del 1997.
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La stazione appaltante dunque aveva la veste di società per azioni "mista", affidataria della gestione
di un pubblico servizio.
L’appalto - la circostanza è di rilievo - era di importo inferiore a quello previsto dalla disciplina
comunitaria come condizione per la sua obbligatoria applicazione nei confronti degli Stati membri
(direttiva CEE 92/50, recepita dal d. lgs. n.157 del 1995).
Il giudice amministrativo di primo grado aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione
uniformandosi alla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione del tempo, secondo la quale
le procedure di gara espletate dagli enti pubblici economici operanti con strumenti e con "capacità" di
diritto privato sono rimesse alla cognizione del giudice ordinario.
Si riteneva decisiva la qualificazione privatistica degli atti compiuti dall’ente, allo scopo di negare
che le posizioni soggettive dei partecipanti alla gara e di quanti avessero interesse a contestarne lo
svolgimento o gli esiti appartenessero alla categoria dell’interesse legittimo.
Si sarebbe trattato, dunque, di diritti soggettivi puri, non potendo l’attività di diritto privato assumere
l’effetto degradatorio, che consegue solo all’esercizio di potestà pubblicistiche. E ciò nonostante il
modello dell’azione, attuata con l’evidenza pubblica, fosse identico a quello che, in altri settori,
contraddistingue l’attività amministrativa, confrontandosi con posizioni di interesse legittimo.
Nel riformare la pronuncia di primo grado, il Consiglio di Stato premette che il dato più importante,
nell’indagine dell’interprete, concerne proprio il fatto che l’appalto de quo è "sottosoglia" e, dunque,
non rientra tra quelli per i quali la procedura ad evidenza pubblica è imposta dalla normativa
comunitaria di settore.
Sarebbe, questo, un ostacolo all’applicazione delle predette disposizioni (d.lgs. 80/1998), che si
riferiscono a gare indette da soggetti "comunque tenuti all’applicazione della normativa
comunitaria".
Tuttavia, in una recente decisione Palazzo Spada ha esteso la giurisdizione del giudice
amministrativo alle controversie pertinenti a gare ad evidenza pubblica di importo inferiore alla
soglia comunitaria espletate da una società avente i caratteri sostanziali dell’organismo di diritto
pubblico (è la decisione della Sezione VI, 2 marzo 2001, n.1206, relativa a Poste Italiane s.p.a.).
In breve, quando la procedura di gara è indetta con le regole dell’evidenza pubblica da un soggetto
che opera nell’erogazione di servizi pubblici e che è tenuto, in generale, al rispetto di siffatte regole, la
giurisdizione del giudice amministrativo sussiste anche se non vi era, in concreto, il vincolo
comunitario ad utilizzare l’evidenza pubblica in quello specifico caso.
Questa lettura è coerente con l’esigenza di offrire un quadro razionale del nuovo sistema di riparto
della giurisdizione, che, altrimenti, dovrebbe tollerare che due controversie, identiche per soggetti ed
oggetto e distinte solo per una minima differenza di valore, vadano l’una (quella di maggiore
importo) al giudice amministrativo e l’altra (quella di minore importo) al giudice ordinario.
Infine, non deve sottacersi - conclude la ricordata pronuncia del Consiglio di Stato - che, secondo la
Commissione UE, anche nei casi in cui non trova applicazione la direttiva sugli appalti di servizi (in
particolare, nel caso delle concessioni di pubblici servizi) la scelta del contraente incontra i limiti
indicati dalle norme del Trattato in materia di libera prestazione di servizi e dai principi generali del
diritto comunitario, tra cui la non discriminazione, la parità di trattamento, la trasparenza.
Si impone così una scelta fatta con criteri obiettivi e trasparenti, tali da assicurare in ogni caso la
concorrenza tra i soggetti interessati (v. i progetti di comunicazione interpretativa della Commissione
del 24.2.1999 e del 12.4.2000; v. anche, per l’affermazione dei medesimi principi e per la rilevanza
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generale degli obblighi di trasparenza nella scelta dei contraenti, specie quando si tratta di servizi
pubblici, Corte di Giustizia CE, 7 dicembre 2000, C-324/98).
E’ pur vero che queste affermazioni sono state rese con riferimento alla concessione di servizi
pubblici, che è figura ben diversa dall’appalto di servizi, anche se commesso da un soggetto che
utilizzerà la prestazione per erogare, a sua volta, un servizio pubblico.
Ma esse hanno una portata generale e possono adattarsi ad ogni fattispecie che sia estranea
all’immediato ambito applicativo delle direttive sugli appalti. Del resto, conclude la decisione di
Palazzo Spada, è utile ricordare che la tradizione dell’ordinamento interno è sempre stata quella di
favorire la libera scelta del concessionario, introducendo ampie deroghe al regime dell’evidenza
pubblica, e di considerare con maggior rigore, all’opposto, proprio la scelta del contraente
appaltatore.
La giurisprudenza più recente conferma gli orientamenti richiamati. In primo luogo può essere citata
la sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 23/7/2004 n. 9, in relazione ad un appalto
indetto dalla società Grandi Stazioni, posseduta al 60% dalle Ferrovie dello Stato.
Tale decisione ha affermato, tra l’altro, che l'obbligo di indire la gara - nella specie relativa ad un
appalto comunitario - continua a sussistere anche quando il soggetto che vi è tenuto non svolge
direttamente le relative attività organizzative e di gestione, ma - sulla base di un contratto o di un
titolo equivalente - ne affida lo svolgimento ad un altro soggetto (Cons. Stato, Sez. VI, 24 settembre
2001, n. 5007; Sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1577; Sez. V, 4 novembre 1994, n. 1257; Sez. II, 11
dicembre 1991, n. 1221/91; Sez. II, 11 dicembre 1991, n. 1208/91; Sez. II, 19 giugno 1991, n.
570/91).
Circa la nozione di organismo di diritto pubblico, ed in particolare in merito al requisito del
soddisfacimento di finalità di interesse generale non aventi carattere industriale e commerciale, su cui
è vasto il dibattito giurisprudenziale e dottrinario (tanto da non poter essere ripercorso nemmeno per
sommi capi), può richiamarsi, per tutte, la decisione del Consiglio di Stato, sez.V, 22/4/2004 n. 2292
la quale afferma che ai fini della definizione della nozione di organismo di diritto pubblico va accolta
la nozione funzionale ricavabile dalla giurisprudenza comunitaria.
Pertanto, se un'attività industriale o commerciale viene svolta in stretta correlazione con un interesse
pubblico, essa perde la sua tradizionale connotazione giuridica ed economica, per acquistare quella
specifica dell'ordinamento comunitario.
Il requisito che caratterizza l'organismo di diritto pubblico, perché acquisti carattere non industriale,
deve ricollegarsi ad un interesse che il legislatore ha inteso sottrarre dai mercati improntati
esclusivamente da un'ordinaria attività imprenditoriale, industriale o commerciale (Cons. Stato, II, 25
settembre 2002, n. 2020; Sez. VI, 17 settembre 2002, n. 4711).
Nel caso sopra esaminato il Consiglio di Stato ha ritenuto che la gestione diretta o a mezzo terzi della
discarica per rifiuti solidi urbani di nonché ogni tipo di intervento di carattere ambientale nel bacino
della discarica o comunque nel territorio del comune riveste senz’altro valenza pubblicistica dato il
particolare rilevo dell’attività di discarica, espressamente qualificata di pubblico interesse dall’art. 1
del D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915 e sottoposta a regime autorizzatorio.
Proseguendo nella rassegna, può essere ricordata anche la decisione del Consiglio di Stato, sez.VI,
17/2/2003 n. 843: l'attività di scelta del terzo contraente negli appalti pubblici in virtù dei limiti
procedurali e dei vincoli funzionali cui è soggetta (cd. evidenza pubblica), anche quando è posta in
essere da soggetti formalmente privati, non è espressione di attività negoziale, ma di attività
amministrativa pubblica, a fronte della quale vi sono posizioni di interesse legittimo, dovendosi
considerare in tali ipotesi le stazioni appaltanti (limitatamente agli atti di gara) Pubbliche
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Amministrazioni in senso soggettivo (cfr. in tal senso Cons. St. VI, 27 ottobre 1998, n. 1478; 9
maggio 2000, n. 2681; 22 gennaio 2001, n. 192).
Tra la giurisprudenza di primo grado si segnala T.A.R. Toscana, sez.II, 7/11/2003 n. 5713 nella quale
si legge che l’attività di una società mista pubblica partecipata in misura maggioritaria da Ente Locale
che gestisce in regime di privativa un servizio pubblico è soggetta al regime di trasparenza ed
imparzialità in quanto detti organismi esercitano attività di servizio pubblico per il soddisfacimento
dei bisogni essenziali delle collettività.
A sua volta T.A.R. Veneto, sez. I, 3/11/2003 n. 5439 afferma che l’organizzazione a società per
azioni (nella specie, peraltro, a totale partecipazione pubblica) non esclude che la stessa costituisca un
organismo di diritto pubblico e quindi un' "amministrazione aggiudicatrice" ai sensi e per gli effetti
del d. lgs. n. 358/1992, per quanto concerne l'obbligo di applicare la normativa comunitaria nella
scelta del contraente per i contratti sopra soglia (cfr. T.A.R. Veneto sez. 1^ 1007/2001).
La medesima pronuncia risulta d’interesse soggiungendo che la soggezione alla giurisdizione del
giudice amministrativo anche delle controversie concernenti gli appalti sotto soglia discende, oltre
che dall'esigenza comunitaria di assicurare comunque il principio della trasparenza e della parità di
trattamento, per il solo fatto che la procedura di gara è indetta con le regole dell'evidenza pubblica da
un soggetto che opera nell'erogazione di servizi pubblici e che è tenuto, in generale, al rispetto di
siffatte regole, anche se, nello specifico caso, non sussista in concreto il vincolo comunitario che
imponga l'utilizzo dell'evidenza pubblica.
T.A.R. Veneto, sez. III, 26/5/2003 n. 3014 afferma che una società a prevalente capitale pubblico
(peraltro nella specie operante nei settori esclusi di cui al D.L.vo 17 marzo 1995 n. 158 di "Attuazione
delle direttive 90/531/CEE e 93/38/CEE relative alle procedure di appalti nei settori esclusi"), è
impresa pubblica e come tale soggetto aggiudicatore, destinato a seguire le procedure di evidenza
pubblica ai fini della stipulazione di contratti con terzi.
Cfr. anche T.A.R. Campania, Napoli, sez.I, 20/5/2003 n. 5868: i soggetti formalmente privati, in
quanto società di capitali, ma sostanzialmente a rilevanza pubblicistica, perché il capitale è in
maggioranza in possesso di enti pubblici, sono tenuti a rispettate le regole della concorrenza, anche in
caso di appalti di servizi al di sotto della soglia comunitaria.
Volendo pertanto trarre le fila dell’esame della giurisprudenza sopra condotto, si può dire che lo
stesso consente di concludere nel senso dell’assoggettamento delle Società in discorso alla normativa
comunitaria e nazionale di recepimento in materia di pubblici appalti.
Per quanto riguarda specificamente gli appalti “sotto soglia” deve essere dato per acquisito, come
sopra ricordato, che anche nei casi in cui non trovano applicazione le direttive sugli appalti la scelta
del contraente incontra i limiti indicati dai principi generali del diritto comunitario (non
discriminazione, parità di trattamento, trasparenza) e dalle esigenze di corretto e imparziale impiego
delle risorse pubbliche.
Nel caso di specie si può ritenere, fermi i surrichiamati principi, che la disciplina positiva cui
richiamarsi non sia individuabile strettamente nelle norme di contabilità di Stato (R.D. n. 827/1924)
aventi un ambito soggettivo di applicazione che di per sé non si estende agli appalti di soggetti
diversi; analogamente può dirsi in relazione al d.P.R. 573/1994 in materia di forniture sotto soglia che
è riferito alle vere e proprie pubbliche amministrazioni, nonché, per le medesime ragioni, riguardo ad
altre norme (es. d.P.R. 384/2001, d.P.R. 101/2002).
Pertanto può ipotizzarsi che la Società, anche ai fini di mantenere una congrua snellezza operativa,
provveda ad adottare allo scopo una autonoma regolamentazione delle procedure di acquisto di beni e
servizi, pubblicizzata adeguatamente (da valere anche come modello di organizzazione ai sensi
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dell’art. 6 del D.Lgs. 231/2001 in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche), la
quale, restando imperniata su canoni di trasparenza e concorrenzialità, possa non soggiacere
totalmente ai limiti e alle forme della normativa contabile surrichiamata, ricorrendo a modalità più
semplificate e disciplinando anche eventuali aspetti come l’istituzione di propri sistemi di
qualificazione, le spese in economia, ecc..
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