“La poesia nascosta” anno scolastico 2009/2010 I.S. “Alfonso Maria de’Liguori” Acerra Sulla funzione poetica tratto da Roman Jakobson, “Che cos’è la poesia?” (1933-34), in Poetica e poesia, Torino, Einaudi, 1985 [...] Il contenuto del concetto di poesia è mutevole e condizionato dal tempo, ma la funzione poetica, la poeticità, come rilevavano i «formalisti», è un elemento sui generis, che non si può meccanicamente ridurre ad altri elementi. In generale la poeticità è solo una componente di una struttura complessa, una componente che però trasforma gli altri elementi e determina con essi il carattere dell'insieme. Allo stesso modo, l'olio [ole] non costituisce un piatto a sé, ma neppure un'aggiunta accidentale o un elemento meccanico: cambia il gusto di tutto il cibo, e a volte il suo ruolo è cosí importante che un pesciolino perde la sua iniziale denominazione genetica e viene ribattezzato olejovka (sardina sott'olio). Quando in un'opera letteraria la poeticità, la funzione poetica acquistano un'importanza decisiva, allora parliamo di poesia. Ma in che cosa si manifesta la poeticità? - Nel fatto che la parola è sentita come parola e non come semplice sostituto dell'oggetto nominato, né come scoppio d’emozione. E ancora nel fatto che le parole e la loro sintassi, il loro significato, la loro forma esterna ed interna, non sono un indifferente rimando alla realtà, ma acquistano peso e valore propri. Perché questo è necessario? Perché è necessario sottolineare che il segno non si fonde con l'oggetto?Perché accanto alla coscienza immediata dell'identità tra segno e oggetto (A è A’) è necessaria la coscienza immediata dell'assenza di identità (A non è A’); questa antinomia è indispensabile, poiché senza paradosso non c'è dinamica di concetti, né dinamica di segni, il rapporto fra concetto e segno si automatizza, si arresta il corso degli avvenimenti, la coscienza della realtà si atrofizza. Che cos’è la poesia? “Si può dire che nel linguaggio umano c’è una funzione che tende a mettere in evidenza soprattutto, o almeno in modo particolare, il linguaggio stesso, ad attirare l’attenzione sulla forma della comunicazione. Ebbene questa è la funzione poetica.” (Franco Fortini) Nel parlare comune, "poesia" significa due cose: per un verso è un discorso, o ragionamento, o una comunicazione dove prevalgono elementi di ritmo e cadenze, di ripetizioni, di immagini che alterano i significati immediati e che gli conferiscono, oltre ai primi, anche significati interiori. Per un altro verso, quando noi diciamo "questa è poesia" intendiamo in genere qualcosa di elevato e di nobile, di rassicurante o di commovente o di rasserenante, di vivace, pungente ecc. ESEMPI: 1. 2. "Madre dei santi, immagine della città superna, del sangue incorruttibile conservatrice eterna" Trenta dì conta novembre con april, giugno e settembre, di ventotto ce ne è uno, tutti gli altri ne han trentuno" Nel primo caso c’è un oggetto sublime; si tratta niente di meno che della discesa dello Spirito Santo; mentre nella seconda è una canzoncina puerile con dei fini di sostegno alla memoria. Ci occupiamo della poesia come oggetto di bellezza, di commozione o di espressione o ci occupiamo piuttosto della poesia come oggetto verbale, ossia come un tipo particolare di comunicazione? Poesia come "oggetto" verbale. Quando noi diciamo " poesia" intendiamo una composizione, un testo non lungo dove sia possibile identificare un certo sistema che è indicato graficamente dagli "a capo" e poi anche da un congegno di pause maggiori, quelle che separano una unità ritmica da un’altra. se a questo punto alle ricorrenze degli accenti si aggiungono le ricorrenze sonore, certi nessi vocalici o consonantici che vengono chiamati nel linguaggio della retorica le allitterazioni, le omofonie, o le rime, l’attesa dell’ascoltatore e del lettore si farà sempre più forte, sia che essa sia adempiuta, sia che essa resti delusa. La mia infanzia è piena di canneti. Ho speso molto vento per diventare adulto. Ma solo così ho imparato a distinguere i fruscii più impercettibili, a parlare con precisione nei misteri. Odysseas Elytis La poesia parla di qualcosa e nello stesso tempo parla di se stessa. La voce della poesia dice questo o quello, ma lo dice in modo che un effetto d’eco ci ricorda sempre che non la si può prendere in parola. Naturalmente questo irrita coloro che vogliono opinioni, vogliono scelte, sentimenti immediati. Ebbene questa sua ambiguità fondamentale è la sua lezione, una lezione insostituibile. Qualcuno alla fine del Settecento, scrisse che la poesia era un sogno fatto in presenza della ragione; forse sarebbe più esatto dire invece che la poesia è un ragionamento fatto in presenza di un sogno, cioè un discorso che in apparenza è un discorso come un altro cioè un discorso di amore, di dolore, di descrizione, di esortazione, di sapere, di sapienza che è fatto sotto lo sguardo di un fantasma sotto uno sguardo che tutto tramuta, tutto apparentemente lasciando intatto come accade appunto nei sogni. La poesia non ha nessuna intenzione di agire sulla realtà? Adorno ha scritto che la specificazione formale di una poesia lirica si pone di per sé come antagonista al mondo storico-sociale che le sta intorno. BRODSKIJ: "POESIA È TRADUZIONE. TRADUZIONE DI VERITÀ METAFISICHE IN LINGUAGGIO TERRESTRE". Nessuna interpretazione esaurisce la poesia, ma nessuna poesia può fare a meno dell’interpretazione. Leggere una poesia, anche fra sé e sé o ad alta voce, è eseguirla, interpretarla e quindi anche modificarla, ricrearla. In una certa misura criticarla. Quando si dice che un testo poetico non è interpretabile solo a partire da se stesso si allude alla sua situazione nella cultura e nella storia. Chiunque legga una poesia, indipendentemente dal suo grado di coscienza o di conoscenza culturale rapporta le parole a una sfera di competenza e di risonanza che non è soltanto linguistica ma che è di tutta la sua mente, di tutta la sua coscienza, di tutto il suo inconscio. Goethe afferma: "quando si hanno delle cose da dire si dicono in prosa, è quando non si ha nulla da dire che si scrivono poesie“. Quando non si ha nulla da dire nel senso di comunicazione, quale può essere la comunicazione prosastica, allora si adopera quel mezzo di comunicazione che dice altro da quello che direbbe la prosa. La poesia non vuole comandare, non vuole persuadere, non vuole indurre, non vuole dimostrare. http://www.youtube.com/watch?v=GLTWRWdUOU Ma perché dobbiamo leggere i poeti? "Per trovare un senso al vivere che non sia l'ingombro delle cose che produciamo, consumiamo, e che ci consumano. Eugenio Montale l'ha dichiarato fermamente: "Quel che avviene nel mondo cosiddetto civile a partire dalla fine dell'Illuminismo è il totale disinteresse per il senso della vita. Ciò non contrasta con il darsi da fare, anzi. Si riempie il vuoto con l'inutile. La poesia è parola essenziale, condensa e offre l'irrinunciabile". Qual è oggi il pubblico della poesia? "È chi decide di avere orecchio per intendere, e voce per conversare con chi l'ha preceduto o gli sta accanto; è il cittadino che "non scende in campo", ma va in cerca di sé". “Confidare” di Antonia Pozzi Ho tanta fede in te. Mi sembra che saprei aspettare la tua voce in silenzio, per secoli di oscurità. Tu sai tutti i segreti, come il sole: potresti far fiorire i gerani e la zagara selvaggia sul fondo delle cave di pietra, delle prigioni leggendarie. Ho tanta fede in te. Son quieta come l'arabo avvolto nel barracano bianco, che ascolta Dio maturargli l'orzo intorno alla casa. 8 dicembre 1934 LABORATORIO La provocazione di Tristan Tzara Per fare una poesia dadaista Prendete un giornale. Prendete un paio di forbici. Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che voi desiderate dare alla vostra poesia. Ritagliate l’articolo. Tagliare ancora con cura ogni parola che forma tale articolo e mettere tutte le parole in un sacchetto. Agitate dolcemente. Tirate fuori le parole una dopo l’altra, disponendole nell’ordine con cui le estrarrete. Copiatele coscienziosamente. La poesia vi rassomiglierà. Ed eccovi diventato uno scrittore infinitamente originale e fornito di una sensibilità incantevole, benché, s’intende, incompresa dalla gente volgare. tratto da Mario De Micheli, Le Avanguardie artistiche del Novecento, Universale Economica Feltrinelli