4°PACCHETTO TURISTICO
fine settimana
5 - 6 giugno 2010
1° giorno - 5 GIUGNO 2010
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
09.00 - Partenza bus da luoghi prestabiliti;
10.00 – Arrivo nella cittadina di MONTEFALICIONE, dove il comitato accoglienza garantira' le visite guidate;
11.30 - Arrivo a TAURASI con visita al castello;
13.00 - Pranzo presso ristorante del luogo;
15.00 – Partenza alla volta di MONTEMARANO, visita al centro storico e al museo dell'arte contadina con
partecipazione di gruppi che eseguiranno la tarantella montemaranese;
Ore 18.00 - Arrivo a NUSCO con sistemazione in hotel e visita al centro del paese;
Ore 21.00 - Cena in hotel con evento serale.
2° giorno - 6 GIUGNO 2010
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
Ore
08.30 – Colazione in hotel;
09.30 - Partenza alla volta di CAIRANO con visita al centro storico e ai sentieri naturalistici;
11.00 - Partenza alla volta di CALITRI con visita guidata a cura dell'associazione pro loco;
13.00 – Pranzo presso ristorante del luogo;
15.00 – Partenza alla volta di LACEDONIA con visita al paese, al centro storico e ai monumenti.
18.00 - Aperitivo a cura dell'amministrazione comunale e della pro loco;
20.00 - Ritorno ai luoghi di partenza.
Montefalcione, comune della regione Campania in
provincia di Avellino, dista circa Km 15 dal capoluogo
di Provincia e circa Km 70 da Napoli (Capoluogo di
regione) e Km 11 dal casello autostradale Av-Est
della Napoli Bari.
Distanze in km per raggiungere Montefalcione
(AV)
Avellino -15 Km
Napoli - 70 Km
Casello Autostradale AV-EST (NA-BA) 11 Km
STRADE DI ACCESSO AL COMUNE - S.P. 61
L'antica frequentazione del territorio di
Montefalcione è confermata dal ritrovamento di resti
archeologici (iscrizioni romane, vasi e tombe) nelle
Contrade Croce e S. Fele.
Non vi è concordanza in merito alla nascita del borgo
medioevale, visto che sebbene risalga all'epoca delle
lotte tra Longobardi e Normanni, l'edificazione
del castello viene attribuita da alcuni ai primi e da
altri ai secondi.
Ad ogni modo, la struttura difensiva venne edificata
nel punto più elevato della collina, offrendo sicuro
riparo agli abitanti che vi si andarono aggregando. Si
formò così il nucleo originario del paese, che taluno
(forse ottimisticamente) ritiene risalga al VI secolo,
attorno a cui vennero edificati i primi edifici religiosi
e civili.
Le attività mercantili, per evitare il disagio della salita
in collina, si svilupparono più in basso rispetto al paese,
dove sorse un agglomerato urbano noto come
"Taverna" o "Borgo", dove, nel 1680, venne costruita la
Chiesa Madre di S. Giovanni Battista l'Eremita,
affiancata dal Monastero-Ospedale. Fuori dal centro
abitato, venne costruito il convento dei Frati
Benedettini di Montevergine.
Tra i Signori che si sono avvicendati nella gestione delle rendite feudali spiccano i
Montefalcione, feudatari per cinque secoli. Altri feudatari furono i Poderico, i de Tocco di
Montemiletto ed, infine, Francesco Tocco-Cantelmo-Stuard.
Ovviamente, col decorso del tempo, la crescita del paese ha finito per congiungere i vari nuclei
antichi di aggregazione, originando l'attuale struttura urbana.
La notte del 7 luglio del 1861, 2000 reazionari borbonici misero a ferro e fuoco il palazzo del
sindaco di Montemiletto, in cui soccorso giunsero dei liberali di
Torre Le Nocelle. I reazionari commissero nefandezze indicibili,
quali fucilazioni di massa, ferimenti cruenti, incendi.
Successivamente, i rivoltosi si spostarono nel paese dei soccorritori,
che devastarono. I soccorsi giunti da Avellino affrontarono a
Montefalcione, per diverse ore, i rivoltosi.
Questi ultimi vennero dispersi solo successivamente,
con il sopraggiungere di uno squadrone di cavalleria ungherese,
dotato di quattro cannoni leggeri.
Al pari di tanti altri Comuni irpini, Montefalcione ha subito numerosi terremoti; limitandoci ai
più recenti, ricordiamo quelli del 5 giugno 1688, dell'8 settembre 1684 (drammatico), del 14
marzo 1702, del 29 novembre 1732 (tremendo), ed, infine, quello che ancora ricordiamo del 23
novembre 1980.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Montefalcione fu teatro di scontri bellici.
In merito alla questione etimologica, diverse sono le spiegazioni date all'origine del nome del
paese. Secondo alcuni, Montefalcione prese il nome dai feudatari Montefalcione avanti citati,
anche se vi è chi sostiene che fu piuttosto il paese a dare il nome ai feudatari. Altri,
ricordando che il paese, venne chiamato "Montefalzone" e "Montefaudone" (e "Montefaucione
in dialetto), in riferimento al falco, un rapace che svolazzava numeroso, o alla falce
(volgarmente detta "faucione").
In auto
Per chi viene da Nord, uscire al casello di Benevento (a km. 13), sul
raccordo autostradale di Benevento con la A16 "Napoli-Canosa di
Puglia", immettersi sulla S.S. 90 "delle Puglie" e seguire la S.P. 52
"Ponte Calore-Taurasi" (per km. 6); oppure uscire al casello di
Grottaminarda (a km. 15) sulla A16, immettersi sulla S.S. 90 e
successivamente seguire la S.P. 57 "Mirabella Eclano-TaurasiTaurasi Scalo" (per km. 7).
Per chi viene da Sud, uscire ad Atripalda (a km. 27), sul raccordo
autostradale Salerno-Avellino della A3 "Napoli-Reggio di Calabria",
immettersi sulla S.S. 7 "Appia" e proseguire per S.P. 52.
Da Avellino (a km. 31), si può seguire la S.S. 400 "Ofantina" e
successivamente immettersi sulla S.S. 400 bis, raggiungere il
nucleo industriale di s. Mango sul Calore e proseguire per la S.P.
57.
In Contrada S. Martino, sulla sommità
della dorsale della collina su cui sorge
Taurasi, insiste un sito preistorico con
strutture relative al periodo Eneolitico,
cioè al principio della diffusione dell'uso
dei metalli (prima metà del IV millennio
A.C).
La carenza di difese naturali e la
vicinanza del sito in oggetto al fiume
Calore fa supporre che non si trattasse
di una struttura difensiva, ma bensì di
un piccolo insediamento agricolo.
Le strutture rinvenute, alle quali sono
collegate diverse sepolture ad
incinerazione, rivestono particolare
importanza nella preistoria di Taurasi e
dell'Irpinia, grazie all'abbondanza ed
all'originalità dei ritrovamenti.
Il rinvenimento all'interno di tali strutture di numerosi reperti ceramici e litici non
collegati direttamente alle sepolture, come ad esempio, un bellissimo pugnale di rame, fanno
supporre che in tali luoghi si svolgessero anche attività legate al culto dei morti
(cerimonie, riti, ecc.). Seppur presenti nel
Neolitico in altre zone d'Italia, quelle scoperte a
Taurasi sono senz'altro le più antiche
incinerazioni da sepolture distinte scoperte.
Il cadavere veniva cremato, unitamente al
vestiario ed ad oggetti personali (quali punte di
frecce, vasi pugnali, fusaiola). Quanto residuava
d
alla cremazione veniva raccolto e collocato nelle
s
strutture in discorso, talvolta direttamente
in fosse, la maggior parte delle volte, invece, in
vasi che fungevano da cinerario.
Molti ascrivono le origini della odierna Taurasi, all'antica Taurasia, antica città hirpina. II
nome della città è contenuto nell'iscrizione sulla tomba di L. Scipione Barbato, che ricorda
Taurasia tra i centri da lui conquistati durante la terza Guerra Sannitica (ORELLI, Inscr.,
550). Dura sorte toccò al sito (ed ai suoi abitanti), distrutto nel 268 A.C., confiscato e fatto
rientrare nell'ager publicus populi Romani, in cui vennero insediati, successivamente, nel 180
A.C., per ordine del Senato, gli Apuani Liguri che erano stati rimossi dalle loro sedi a seguito
della loro ribellione a Roma (Liv., XL, 38).
Il problema, però, è che se si è certi dell'esistenza di Taurasia, assai dibattuta è la sua esatta
ubicazione.
Vi è chi, infatti, ritiene che i Romani l'abbiano fatta riedificare esattamente dove oggi sorge
Taurasi. Secondo altri, Taurasia era ubicata sulla riva destra del
fiume Calore, ad una trentina di chilometri sopra la sua congiunzione
col Tamaro. Pertanto, l'odierno Taurasi, avrebbe solo mantenuto il
nome dell'antica Taurasia. Un'altra tesi, invece, fa derivare il nome
dal latino "Taurus" (toro) e non dall'originario sito hirpino.
Di certo i Romani a Taurasi misero piede, come risulta dai tipici
mattoni formato 3 x 21 cm che si trovano alla base della
Porta Maggiore. Il borgo attuale, di presumibile fondazione
Longobarda verso l'VIII secolo, si sviluppò in epoca medioevale,
durante la quale Taurasi crebbe attorno al Castello.
Certa è la sua distruzione successiva ad opera dei Saraceni, incerta,
però, ne è la data (910 o 925 o 995).
Il castello vide accrescere notevolmente la sua importanza a seguito
dell'ampliamento e fortificazione durante la dominazione Normanna,
intorno al 1100.
Conquistato da Ferrante d'Aragona nel 1461, e distrutto da bombardamenti nel 1496, il borgo
fu feudo dei Gesualdo, che nel 1582 fecero edificare la Chiesa del SS Rosario e Convento di
S. Domenico, dei Filangieri e dei Latilla (col titolo di Marchesi).
Tra i drammatici eventi passati, oltre alle guerre, particolarmente drammatica fu la peste del
1656, che dimezzò la popolazione.
In auto
il paese è raggiungibile percorrendo la S.S. Ofantina o la S.S.
Ofantina bis, oppure l'antica S.S. Appia n.7, provenendo dai
diversi centri della Campania, quali la vicina Avellino, Napoli e
Salerno. Inoltre, provenendo dalla Puglia, è possibile
raggiungere il Comune percorrendo la Bari-Napoli, uscendo ad
Avellino est e proseguendo poi lungo le due Ofantine. Infine
sia dalla Puglia, dalla Basilicata, che dalla Calabria, il Comune è
raggiungibile attraverso l'Appia n.7, l'Ofantina o la
Fondovalle Sele.
Montemarano, comune della provincia
di Avellino, dista 24 chilometri dal
capoluogo e si trova a 820 metri di altezza
sulla Valle del Calore, in una felice
posizione naturalistica e ambientale.
Nel territorio, ricco di acque che sgorgano
anche dalla sorgente Baiardo e alimentano
l'acquedotto dell'Alto Calore, l'attività
preponderante è l'agricoltura di cereali e
di uve da pregiati vitigni come l'aglianico,
da cui viene ricavato il Taurasi d.o.c.
All'attività agricola si accompagna quella
dell'allevamento del bestiame che
consente una buona produzione di latticini.
Nelle zone boschive, più lussureggianti
intorno al villaggio medioevale di Bolofano,
si raccolgono funghi e fragole.
La Storia di Montemarano
La tradizione tramandatasi fino ad oggi vuole che a fondare la città sia stato un certo Mario
Egnazio, ribelle e valoroso condottiero irpino, che si fermò su questi monti, dove riuscì perfino
a sconfiggere le schiere romane.
Il periodo più fiorente Montemarano lo visse intorno all'anno Mille sotto l'episcopato di
Giovanni, cittadino, vescovo, e poi Santo protettore
che, seppe difendere la città dagli avventurieri e
dalle prime invasioni normanne Giovanni, con la forza
della fede e della ragione fermò le spade, facendo di
Montemarano un'oasi di pace e di benessere.
Nel 1138 la città fu occupata, saccheggiata e
incendiata da Ruggero il Normanno perché Landolfo
Signore di Montemarano insieme ad altri feudatari si
era schierato contro la città di Benevento che
appoggiava i Normanni contro il pontefice.
Il periodo tra il 1400 ed il 1500 fu il più importante,
si caratterizzò per il fiorire delle leggi che disciplinavano l'igiene, la macellazione, il
seppellimento dei morti ed altri servizi essenziali.
La decadenza investì la città di Montemarano tra il 1600 ed il 1700 per le pestilenze che si
susseguirono in tale periodo.
La feudalità di Montemarano durò fino l'anno 1806. Nel 1818 la diocesi fu soppressa e
aggregata a quella di Nusco.
Nusco con i suoi 914 m.s.m., è tra i comuni
dotati della più elevata altitudine della
provincia di Avellino, da cui dista 39 Km.
È adagiata su un colle che fa da
spartiacque tra l'alta valle del Calore e
quella dell'Ofanto.
È stata definito "Balcone dell'Irpinia" per
il vasto panorama osservabile, infatti lo
sguardo del visitatore può spaziare dal
Massiccio del Vulture, al Terminio, ai
monti del Matese, all'Appennino Dauno.
Conosciutissimo ed apprezzato per
l'ospitalità della popolazione, la salubrità
dell'aria e le sue specialità gastronomiche,
In auto
Nusco è meta di quanti amano la pace, la
Il Comune dista circa 35 km dalla Autostrada
tranquillità e la buona cucina.
Napoli-Bari, con uscita al casello di Avellino Est. In
alternativa il centro è raggiungibile in auto mediante Il comune di Nusco ha dato i natali all'ex
la Strada Statale n.7, che dista 3 km dal bivio di
presidente del consiglio dei ministri
Passo Manteca. Distanza da Napoli 81 km. Tempo
Ciriaco De Mita.
stimato di percorrenza 55 min.
La Storia di Nusco
Il nome del paese deriverebbe dalla
voce popolare "nusco" con la quale si
designa il muschio, caratteristico
del sottobosco.
Sorto in una zona abitata in epoca
antica, come dimostrano numerosi
ritrovamenti archeologici, Nusco si
sviluppò, durante il dominio
longobardo, intorno al Castello dove
S. Amato raccolse gli abitanti del
villaggi della zona (XI secolo).
Il borgo, ben difeso dal Castello e dalle mura, diede rifugio a Guglielmo di Puglia nel 1122 e a
Manfredi di Svevia nel 1254. Più volte soggetto a terremoti, ebbe la popolazione decimata
dalla peste nel 1656. Ebbe un ruolo da protagonista nei moti risorgimentali.
A Nusco, patria di S. Amato, primo vescovo del paese e oggi suo Patrono, nacque nel 1802 lo
storico Pasquale Astrominica.
Tra i più celebri concittadini, Nusco annovera l'ex presidente del Consiglio dei Ministri del
Governo italiano Ciriaco De Mita.
In auto
Per raggiungere Calitri è necessario percorrere l'A3
Salerno-Reggio Calabria ed uscire allo svincolo di
Contursi. La distanza da Napoli è di 133 km.
In treno
Calitri è servita dalla stazione ferroviaria IscaFicocchia che dista circa 5 km.
In aereo
L'aeroporto più vicino è Napoli Capodichino.
Le prime tracce della presenza umana nel territorio di
Calitri risalgono al Neolitico, cui appartengono alcuni
utensili in selce levigata conservati presso il Museo
Irpino di Avellino. Il nome di Calitri risale al toponimo
greco "Alètrion" derivante dall'originario "Alètriom"
etrusco, che in epoca romana sarà "Aletrium" poi
"Caletrum" ed, infine, "Calitri".
Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), elencando le popolazioni
irpine, parla della colonia degli Aletrini, dando
conferma della presenza di una comunità nella zona dove
sorge Calitri.
Nel periodo medioevale, Calitri è uno dei tanti centri
sottoposti all'amministrazione Longobarda prima e
Normanna e Sveva poi. Proprio sotto queste due dinastie
l'insediamento calitrano conosce un periodo di
crescita e prosperità.
Al tramonto dell'Impero romano, la storia di Calitri è
strettamente legata alle diverse sorti che nei
secoli vivrà l'ampio feudo di Conza, importante punto
strategico del meridione.
Durante la dominazione normanna, il feudo di Calitri
venne affidato ai Balvano, mentre sotto il regno di
Federico II di Svevia appartenne al regio demanio. Nel
1304 Calitri passò ai Gesualdo, principi di Venosa
che ne ebbero il possesso per tre secoli. Con i Gesualdo,
Calitri conobbe la sua epoca d'oro e l'antico
castello venne trasformato in una sontuosa dimora
signorile.
Dopo i Gesualdo, Calitri passò ai Ludovisi che, nel 1676, lo cedettero
alla famiglia Mirelli. Durante il terremoto dell'8 settembre 1694
il famoso castello di Calitri fu completamente distrutto e morì il
principe Mirelli. I superstiti della famiglia Mirelli optarono per
l'abbandono dei ruderi in cima alla collina ricostruendo il palazzo
baronale più a valle. L'area del castello divenne, dal XVIII secolo in
poi, oggetto di grosse modifiche fino ad essere completamente
abbandonata a sé stessa.
Dopo l'unità d'Italia la storia di Calitri si confonde con quella di
tanti altri centri dell'Italia meridionale: brigantaggio, emigrazione,
latifondismo baronale, lotte per la spartizione della terra.
Nel 1861 fu conquistata dagli uomini del brigante lucano Carmine
Crocco, assieme ad Aquilonia e Sant'Andrea di Conza.
Nel 1910 e nel 1930 dei sismi di notevole magnitudo colpirono Calitri; nella Prima Guerra Mondiale
Calitri diede un notevole contributo alla causa nel 1915 e nel 1918,nel 1924 eressero una Vittoria Alata
che ricorda le 120 vittime del conflitto. Nel ventennio fascista vennero realizzate molte opere pubbliche.
Nel 1943 arrivarono le truppe tedesche che distrussero molti ponti tra cui quello sull'Ofanto. L'8
settembre, giorno in cui si celebra la natività della Beata Vergine Maria (giorno di festa per i calitrani),
una radio annunciò che l'Italia aveva chiesto l'armistizio: i calitrani pensarono alla fine della guerra, ma
a Calitri si combatterà, comunque, una battaglia contro i Tedeschi in ritirata. La mattina del 29
settembre dello stesso anno, dei facinorosi si rivoltarono e malmenarono l'allora sindaco conte Salvatore
Zampaglione e l'ex podestà, saccheggiarono lo stesso palazzo e uccisero alcuni componenti della famiglia
Ricciardi.
Nel Secondo dopoguerra ai vertici nazionali c'era la Democrazia Cristiana, tra cui si distinse il
concittadino Salvatore Scoca che fu più volte ministro; Calitri risentì con lieve ritardo anche del boom
economico: in quegli anni Calitri divenne il più importante centro dell'Alta Irpinia grazie al potere
attirante dei suoi istituti scolastici (Scuola Media, ITC, Istituto d'Arte, Liceo Scientifico, Istituto
Professionale). Negli anni 1960 la SALCA, fabbrica locale produttrice di laterizi, conobbe uno sviluppo
crescente, tuttavia ciò non evitò l'emigrazione verso il Settentrione e l'Europa.
Il terremoto catastrofico del 23 novembre 1980 fermò improvvisamente la vita del paese.
In auto
Per raggiungere Cairano è necessario
percorrere l'A16 Napoli-Bari, uscire
allo svincolo di Avellino Est e
proseguire, seguendo le indicazioni per
il paese, per le SS7 e SS400. La
distanza da Napoli è di 117 km.
In aereo
L'aeroporto più vicino è Napoli
Capodichino.
Il territorio di Cairano venne frequentato ed abitato sin
dall'Età del ferro, come confermarono i ritrovamenti
archeologici, frutto di diverse campagne di scavo, che
individuarono un insediamento ed una necropoli con
tombe a fossa.
I reperti archeologici sono custoditi presso il Museo
Irpino di Avellino.
Si tratta di reperti unici, tanto che gli studiosi
coniarono la denominazione di "Cultura di Cairano ed
Oliveto Citra". Tali reperti archeologici, dalla raffinata
lavorazione, dimostrano che in Irpinia, tra il IX ed il VII
secolo A.C., vivevano popolazioni che avevano raggiunto
un elevato livello di sviluppo, tanto da lavorare
abilmente i metalli.
Nelle tombe a fossa vennero rinvenute delle spille
(fibulae) ad occhiali o munite di arco a staffa, elmi di
bronzo, vasi di terracotta, coltelli ricurvi, rasoi.
All'età romana risalgono dei reperti rinvenuti nelle
località Rasale, Ischia della
Corte ed a valle del paese.
La prima citazione del borgo medioevale risale al 1096,
quando era definito "Castellum Carissanum".
Tale Castello, eretto al tempo dei Longobardi nel punto
più alto della collina, venne totalmente ricostruito in
epoca normanna, quando feudatari erano i Balvano
(o Balbano).
Durante il Medioevo, funse da fortificazione di Conza,
per la sua strategica posizione panoramica.
Successivi feudatari furono i Del Balzo, i Gesualdo, i
Ludovisi, i Cimadoro (verso la metà del XVII secolo,
con presumibile trasformazione della struttura
difensiva distrutta nel Medioevo in residenza
gentilizia) ed i Garofalo.
Cairano diede i natali al musicista Carlo Di Marzio,
al giurista Michele De Stefano, allo storico
sacerdote Sabino Amato ed a Eugenio Malossi, inventore del "Regolo
Malossi", utilizzato per l'educazione di ciechi e sordi.
Per quanto attiene alla questione etimologica, è possibile che il nome del paese
derivi dalla scoperta di un altare dedicato nell'antichità al Dio Ciano.
In auto
Immettersi sulla Napoli-Bari ed uscire al casello di
Lacedonia.
Distanza da Napoli 114 km. Tempo stimato di
percorrenza 1h e 10 min.
In treno
La stazione ferroviaria più vicina è quella di
Rocchetta S.A. sulla linea Avellino-Rocchetta con
collegamenti giornalieri per Rocchetta S.A. (3 corse
giornaliere).
In autobus
Sono garnatiti collegamenti anche mediante autobus
di autolinee private con collegamenti per Calitri (1
corsa giornaliera nel periodo invernale), per
Monteverde (3 corse giornaliere sia nel periodo
estivo che nel periodo invernale) o anche mediante
autobus di autolinee pubbliche con collegamenti per
Grottaminarda (5 corse giornaliere nel periodo estivo
e 6 corse nel periodo invernale) e per Bisaccia (6
corse giornaliere).
Centro montano di antica origine, forse identificabile
con la città irpina di Aquilonia, da cui deriva il suo
attuale toponimo, si trova a nord-est della Provincia
di Avellino lungo l’altopiano del Formicoso e, quindi, a
diretto contatto con il territorio pugliese.
Le origini della presenza dell’uomo nel territorio di
Lacedonia risalgono a tempi remoti, spingendosi,
forse, come sembrano testimoniare le ricerche
archeologiche, fino all’età Eneolitica.
Sembra che il feudo sia stato donato ai Benedettini
intorno al VI secolo e che, sotto i Longobardi, sia
passato sotto il dominio dei Conti di Conza.
Simeone, vescovo di Lacedonia, è citato in una
cronaca del 1059 redatta da Leone Ostiense.
Tra il 1485 ed il 1487, mentre era feudo degli Orsini,
fu luogo di incontro dei nobili meridionali ribellatisi a
Ferdinando I d’Aragona, durante la cosiddetta
“Congiura dei Baroni”.
Gli ultimi feudatari furono i Principi di Melfi che ne tennero il possesso fino al 1806.
L’impianto medievale del centro si riflette
ancora sia nel tessuto urbano, caratterizzato
da vicoli estremamente angusti,
tradizionalmente chiamati “trasonne”,
che nel sistema di ingresso alla città tramite
porte che, a seconda dell’orientamento e
della direzione, prendevano nomi differenti,
nomi ancora adesso presenti nella
toponomastica locale, anche laddove la porta
sia scomparsa.
Lacedonia era la città che più aveva tenuto
De Sanctis sulle spine durante lo sfoglio dei
voti, divisa per beghe personali è la città dove
nella sua prima giovinezza, in visita ad alcuni
suoi parenti era nato il suo primo amore,
anch‘esso non coronato per meschini interessi di parte: da egoismi e puntigli paesani. E
ricordando questo primo amore, raccontato dallo storico Landolfi, De Sanctis scelse, come
sede per la Scuola Normale rurale maschile Lacedonia e non altri centri
come Andretta oppure il suo paese natio Morra.
De Sanctis si sentiva "Maestro nato" Ministro della Pubblica Istruzione, del primo
parlamento italiano, quel bel giorno del 13 aprile 1861, ebbe a dire: "noi saremo contenti
quando in Italia l‘ultimo degli Italiani saprà leggere e scrivere". Voleva che ogni creatura
fosse un uomo libero e per lui l‘uomo libero era solo l‘uomo istruito.
Comitato Regionale UNPLI Campania
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