L*Uomo nelle grandi Religioni

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Le Antropologie filosofiche nella Relazione
con il Sacro, il Religioso e il Teologale.
Dal “Frammento divino” alla “Persona”:
Induismo, Buddhismo, Giudaismo,
Cristianesimo, Islam, Confucianesimo, Taoismo
(A cura del Prof. Renato Pilutti)
La Metodologia
 Il tema che qui si propone è vastissimo, e perciò stesso
di difficile sintesi. Occorre pertanto limitare il quadro di
riferimento ad alcune coordinate essenziali, chiarendone il
senso e gli obiettivi.
 Si tratta infatti di fornire ai partecipanti una carrellata di
nozioni che consentano alcune riflessioni non superficiali
sul grande tema dell’uomo in relazione con la
dimensione religiosa.
 Metodologicamente, prima di entrare in ognuno dei sette
grandi plessi teorico-religiosi e teologali, ho ritenuto di
proporre una riflessione sintetica sul tema generalissimo
della categoria del “sacro”.
Le Antropologie e il “sacro”
 L’uomo ha avuto da sempre “a che fare” con il sacro, il
religioso e il teologale, cioè con le tre dimensioni che
si possono dire di “oltrepassamento” della condizione
umana, in ogni antropologia.
 Ognuna di queste dimensioni, si può dire, è
concettualmente “contenuta” nella successiva, proprio
nell’ordine sopra proposto: il sacro come estensione
che comprende il religioso, il religioso come
estensione che comprende il teologale.
 Ogni tempo e cultura si è affacciata in modi diversi al
timore e tremore … del sacro.
Del “sacro”
 Innanzitutto, entrando nel merito, si tratta di chiarire
brevemente l’etimologia e i campi semantici del termine
“Sacro”, soprattutto delle aree linguistiche greco-latine e
italiana. Lo ι̉ερός [forte, potente, vigoroso, sacro] e il sacer;
l’α̉γιος e il sanctum, il sacro e il santo [come sancito,
separato, etc.], il sacro e l’esecrando, il sacro e il pro-fano,
ciò che sta di fronte al fanum, al tempio, Das Heilige, etc..
 Il sacro è aggettivo e sostantivo nel contempo, è una
amplissima polisemia.
 Il senso comune della realtà prevede/contempla
l’esperienza del sacro, che è, contrariamente all’opacità
delle esperienze quotidiane, un’esperienza assoluta di
realtà.
Bibliografia essenziale sul “sacro”
 All’interno della questione del Sacro, proporrei un’ipotesi
di lettura della fenomenologia del Sacro, nel senso del
“come il Sacro appare” e si configura, in particolare nelle
riflessioni e ricerche di Rudolf Otto.
 Mi riferirò appunto al volume di R. Otto Il sacro.
L’irrazionale nell’idea del divino, e la sua relazione al
razionale, [Das Heilige. Über das Irrazionale in der Idee des
Gottlichen und sein Verhaltnis zum Razionalem, Breslau
1917, II ed. rivista dall’autore nel 1936], trad. it. di Ernesto
Bonaiuti, ed. Zanichelli, Bologna 1926, Feltrinelli, Milano
1966 e 1984.
 Per concentrare l’attenzione sulla fenomenologia, saranno
presi in considerazione, in particolare i capp. I – VII e XX.
Il Sacro come Esperienza assoluta
dell’Essere
 R. Otto indaga l’essenza autonoma del fatto religioso sia
sulla base dell’osservazione della coscienza religiosa
individuale, sia circa l’imporsi oggettivo e irresistibile del
suo manifestarsi come Esperienza assoluta dell’Essere.
 Per lui il manifestarsi del sacro è un “ritorno alle cose
stesse” nella loro datità originaria, secondo i principi
fenomenologici espressi da Husserl, cui il nostro faceva in
parte riferimento.
 Per Otto la religione comincia con se stessa, cosicché
bisogna indagare su ciò che ne costituisce l’intima essenza,
cioè la Categoria del Sacro.
La nozione di Separazione
 Senza il Sacro, dunque, non vi sarebbe religione: sacro e
re-ligione, entrambi, infatti, hanno qualche attinenza
semantica con la nozione di Separazione. Sacro come
“recinto” che sta-di-fronte-al-tempio; religioso come un
qualcosa che lega [Agostino] o che re-lega, separando.
 Religione, inoltre, è termine ampiamente polisemico. [Cf.
dimensioni ed elementi teologico-metafisico-razionali ivi
presenti, ed elementi e dimensioni a-razionali, ineffabili,
incomprensibili, altrettanto presenti, anche se non spesso
contemporaneamente, sempre per rapporto alla coscienza
individuale].
Il Mysterium
Tremendum et Fascinans
 Ciò è chiamato da Otto Numinosum, il quale è extra-
razionale ed extra-etico, e suscita un Sentimento
creaturale, di dipendenza, un senso di debolezza di
fronte ad una realtà indicibile e superiore: cf. Gn 18, 27
dove Abramo dice a JHWH: “[…] mi sono fatto forza di
parlare con te, io, che sono terra e cenere”.
 Il Numinosum per Otto è composto da suoi peculiari
momenti e dimensioni, come vedremo.
 Otto, comunque, completa la definizione così: il sacro
è Mysterium tremendum et fascinans.
Mysterium Tremendum …
 Vi è innanzitutto un rapporto fra Mysterium e
Tremendum: senza il Tremendum il Mysterium è solo
Mirum, non ancora Admirandum,
 Mysterium [cfr. etimologia dal verbo greco μύω,
ειν,“nascondo, nascondere”, e del sanscrito muš,
“nascosto, occulto, segreto”], perché genera meraviglia,
stupore, incertezza, sbigottimento, …
Cfr. Agostino, Confessiones, XI, 9, 1 “Quid est illud, quod interlucet mihi et
percutit cor meum sine lesione! Et inhorresco, et inardesco. Inhorresco in
quantum dissimilis ei sum. Inardesco, in quantum similis ei sum”.
… et Mirum
 spavento a causa di ciò che è Mirum, cioè
completamente ALTRO [das Ganz anderes], ciò che
stupisce, che desta meraviglia, che fa restare senza
parole, che sconcerta, che è stupefacente. Ancora: è il
greco θάτερον, l’hindu anyad, il latino alienum, o
aliud valde. È tipico della mistica e delle teologie
“negative” o apofatiche nelle quali il numinoso non si
può dire con un discorso descrittivo-concettuale
(sufismo, mistica renana del XIV secolo, buddismo,
etc.).
… et Tremendum
 TREMENDUM, che fa tremare, [ma non è la paura
naturale], che genera timore reverenziale, e può partire
dal demoniaco, ma anche dalle potenze della natura
[ad es. cratofanie litiche], o da un mix fantasticoletterario [il gorgo del Maelstrœm in E.A. Poe, le saghe
mitologiche di H.P. Lovecraft, J.R.R. Tolkien, etc.], e
infine portare ad un senso di estrema debolezza
soggettiva di fronte al Sacro, che è tremendum, che si
manifesta …
Cfr. nel Dies irae, IX – XIII sec. vari e Tommaso da Celano, il “Rex tremendae
majestatis .
La Maiestas
 … come MAIESTAS, energia super-umana. Il
TREMENDUM si trova nella Bibbia come emat
Jahwè, cioè “terrore di Dio”, nel δείμα πανικόν, “la
paura del divino” e nell’ ο̉ργή Θεού, cioè l’”ira del dio”
dei greci. Provoca la sensazione dell’annichilimento e
della debolezza di fronte al mistero assoluto.
Cfr. il nihil dei mistici cristiani medievali, il sūniam, cioè “il vuoto”, e il
sūniata, cioè “la vacuità” dei mistici buddisti. Cfr. R. Otto, Il Sacro, cit., pp.
40 – 41: gli Inni del Numinoso.
Il Fascinans
 FASCINANS, affascinante, ma che attira spaventando,
o spaventa attirando, intrecciandosi con il
tremendum, e può portare anche
all’estasi/beatitudine [sia nelle concezioni misticoreligiose occidentali sia in quelle orientali]. Un altro
aspetto riferito alla dimensione del fascinans è la sua
funzione apotropaica [α̉ποτρέπειν], cioè
dell’ammansimento del divino.
Cfr. Ibidem, pp. 46 – 47: Inno di Bernard di Cluny, Dante, Canto XXXIII Paradiso,
Divina Commedia, G. Leopardi, I canti, idillio “L’infinito”, 1819, etc..
Il Portentosum e il Sanctum
 Vi è, infine, il PORTENTOSUM, cioè ciò che è
superiore per potenza inimmaginabile.
 Otto introduce poi anche la categoria del SANCTUM,
che si oppone al contaminato, e concerne
essenzialmente il divino cristiano.
 Le espressioni di questo SACRO-SANTO sono: il
culto, la preghiera comunitaria, la celebrazione
del rito, ma anche il terrificante, il sublime, il
misterioso, le espressioni artistiche,
specialmente musicali, etc..
La categoria del “sacro”
 Per Otto l’esperienza del sacro si manifesta alla
coscienza, anch’esso termine plurivoco e polisemico, cui
vanno attribuiti vari significati: a) quello comune come
consapevolezza di sé, autocoscienza, etc., b) quello
filosofico ed etico come un conoscersi e un giudicarsi, e più
estesamente come “centro etico” della persona.
 Ma nell’autore tedesco la nozione resta non chiarita fino in
fondo, poiché egli propone una specie di “schema del
religioso” che inquadra l’incontro fra ragione e
irrazionalità, senza approfondire molto oltre.
 A Otto va riconosciuto, comunque, il grande merito di
avere approfondito la complessità e l’interdisciplinarietà
della categoria del Sacro.
Sacro, Religioso, Teologale
 … se abbiamo lavorato insieme sul concetto di “sacro”,
prima di procedere oltre, occorre definire in estrema
sintesi i termini di…
- “religioso”, inteso come appartenente a un sistema
storicamente dato di dottrina religiosa e,
- “teologale”, come concetto di riferimento a una fede
individuale in una credenza religiosa.
- Si può dire dunque che i tre termini, senz’altro
contigui, non possono in alcun modo essere utilizzati
come sinonimi.
Perché l’antropologia filosofica?
 È solitamente ascritto a Kant l’inizio dell’uso di questo
sintagma per parlare dell’uomo in termini sistematici [cfr.
Anthtropologie in pragmatischer Hinsicht, 1798], anche se il
termine fu utilizzato anche prima: da O. Casmann,
“Psychologia anthropologica”, 1596; dall’enciclopedista G.
Durand, “Encyclopedia universalis”, alla voce
“Anthropologia”, suddivise i temi in biologica e mentale,
sec. XVIII; da C. Wolff, “Psychologia empirica”, 1734.
 Dal secolo XIX l’antropologia è diventato termine
polisemico, poiché è utilizzato anche nei sintagmi “etnicoculturale” e “fisica”.
Una comparazione fra
antropologie
 Dopo la carrellata rapida sulla categoria del “sacro”, ed
esserci dati ragione di un’antropologia filosofica, proviamo
a considerare la possibilità di studiare in sequenza, sia pure
in estrema sintesi, operando anche delle comparazioni, le
principali antropologie religiose.
 Necessariamente dobbiamo fare una scelta, non potendo
trattare tutte le prospettive religiose presenti nel mondo:
esamineremo dunque la prospettiva induista, quella
buddhista, la prospettiva cristiana, la prospettiva
giudaica e quella musulmana. E infine quella
confuciana e taoista.
L’Induismo
 La domanda che ci si può fare è la seguente: si dà
un’antropologia induista? Domanda retorica, perché
ogni corrente di pensiero ha un pensiero sull’uomo, ma noi
occidentali siamo condizionati esplicitamente e
implicitamente dalla nostra concezione della persona
umana, così come l’abbiamo ereditata dalla grande
tradizione filosofica greco-latina e dal retaggio biblicoevangelico.
 Anche nella tradizione induista, dunque, si può individuare
un’antropologia sulla “struttura dell’umano”, caratterizzata
da aspetti per noi certamente sorprendenti e inusuali.
Esiste il “soggetto uomo”?
 Infatti, noi che siamo abituati a concepire noi stessi e
ogni uomo come soggetto, nell’induismo troviamo
tutt’altro:
 Per l’induismo l’uomo è “tat tvam asi, cioè “io sono
quello”, sono parte del tutto, indifferenziato, … e quindi
non corrisponde all’idea greco-latina e anche biblica di
una soggettività irriducibile, che dice unicità e
personalità individua …: ad exemplum citiamo la
classica dizione di Severino Boezio [VI sec.]: “Persona
est rationalis naturae individua substantia”.
 Nulla di tutto ciò nell’induismo!
L’ ātman
 L’uomo è dunque essenzialmente ātman, semplice
soffio vitale del brahman, l’assoluto trascendente
totale che è “ignoto per coloro che lo conoscono e noto
per quelli che non lo conoscono” [kena upanişad, 2,3] in
una forma teologica che potremmo dire apofatica.
 Questo brahman non si adora, né si implora: si prende
semplicemente atto che esiste, ed informa di sé ogni
creatura con il suo soffio divino.
 Il brahman è l’unico esistente, mentre tutto il resto è
“māyā”, cioè magia, gioco, illusione.
Il brahman
 L’uomo deve dunque accorgersi di essere solo parte di questo
brahman, cioè di “essere parte di quello”, e allora non ha molta
importanza tutto il resto: la condizione umana, le caste, noi
diremmo … le classi, le categorie sociali, la ricchezza, la povertà.
 L’uomo è come una goccia d’acqua che si fonde nell’oceano …
 … e deve dire “io sono Brahman [aham Brahmasmi]. Aham, cioè
“io”, consta di due lettere importanti dell’alfabeto sanscrito; la
prima lettera, la “a”, l’ultima, la “ha”, mentre la nasalizzazione
finale “mmm” percorre tutte le lettere nel mezzo. Nell’io c’è
dunque tutto l’alfabeto, e cioè tutto l’umanamente conoscibile e
dicibile.
 Si tratta del suono primordiale?
Il karman e il sámsāra
 Dal periodo delle Upanişad [1300-200 a. C. circa] emerge un altro
elemento fondamentale, la legge del karmaņ, cioè la legge morale a
base “retributiva”: ogni essere umano che agisce [dall’etimo sanscrito
kŗ, agire, fare] provoca un debito, che può essere positivo o negativo: in
qualche modo questo debito deve essere pagato attraverso il karmaņ,
una sorta di peso che incombe sull’intelletto agente [direbbe un
aristotelico], o sull’anima umana …
 … alla morte dell’essere umano resta … il debito “registrato” dal
karmaņ, che deve essere onorato nel prosieguo, in una vita o in più vite
ulteriori, costituenti il sámsāra, cioè il ciclo delle reincarnazioni, vite
caratterizzate da duhkha, il dolore.
 La dottrina religiosa delle Upanişad più antiche suggerisce allora di
agire senza agire, ovvero di agire con distacco, potremmo dire, usando
un paradigma teologico agostiniano “agere sine concupiscentia”, tema
ricorrente e trasversale, come vedremo anche nel buddhismo!
Il dharma
 … ma per raggiungere la liberazione [mokşa], la sapienza
induista suggerisce di seguire il dharma, cioè la legge
morale, la religione della verità.
 Il dharma è l’ordine, cioè il giusto rapporto con Dio e
con la società: il dharma non è altro che l’imperativo
morale assoluto, che non dipende da alcuno, ma che sta lì
come una legge universale [sanātana dharma], legge
eterna che non recede e non passa mai, dando la regola a
tutte le cose, e agli uomini, secondo la propria natura.
 Accanto al dharma eterno e assoluto esiste però anche un
dharma relativo, personale e “castale” [Brāhman,
Kşatryia, Vaiśya, Sūdra, intoccabili] che tiene conto di una
differenza soggettiva e gruppale tra gli esseri umani.
Le differenze con le antropologie
religiose mediterranee
 … ecco che qui cogliamo in pieno la differenza
fondamentale tra la tradizione antropologica induista
e quella “mediterranea” [cioè greco-latina e biblica], che
pone la nozione di persona come struttura univoca e
portatrice di pari dignità, distinguendo dalla nozione di
struttura di personalità [fondamenti irriducibili della
differenza soggettiva] come vedremo più avanti.
 … che poi storicamente le differenze di casta, classe,
categorie sociali siano stati presenti, e lo siano ancora
anche in Occidente, questo è un altro tema, di grande
complessità.
L’Induismo e il resto …
 Questa grande cultura religiosa, pur se caratterizzata da
specificità e chiusure notevoli, negli ultimi due secoli ha
dialogato con grande fervore e profondità con il resto … con
il cristianesimo in particolare, e soprattutto con due figure
grandi:
 Ramakŗşņa Paramahamsa [1836-1886], che affermò un
massimo di comprensione e di “ecumenismo”
interreligioso, e il
 Mahātman Gandhi [1869-1948], che elaborò e praticò i
tre grandi princípi: a) dell’aderenza alla verità, b) della nonviolenza, c) dell’universale elevazione di tutti.
Il Buddhismo
 Il Buddhismo si distacca dalla tradizione induista verso il
VII-VI secolo a. C., e si diffonde nelle “terre del riso, del
drago e del serpente”. Non attecchisce, invece, nelle “terre
del frumento”.
 Si adatta alle più varie culture, declinandosi in diversi
modi: il Theravāda [detto anche Hînayāna], o “degli
anziani” [Sri Lanka e Indocina], il Mahāyāna, o del “grande
veicolo” [Giappone, Cina, Laos e Vietnam], e il Tantrismo
[Tibet e Mongolia].
 Ne fu il fondatore, come è noto, il nobile principe
Siddharta, detto anche Gautama, o Sākyamuni, o
Tathāgata, e infine il Buddha, cioè l’Illuminato, che
visse tra il 560 e il 480 a. C..
Il Dharma
 Il Dharma è la via mediana [il Tathāgata, uno dei nomi del
Buddha, come di ”colui che ha trovato la Verità”] insegnata
dal Buddha stesso: dottrina improntata a una filosofia
religiosa di stampo laico.
 Il Buddha è consapevole dei limiti umani e pone come
prospettiva una via che rifugga dalle posizioni
estreme, a) di una ricerca spasmodica del piacere e del
successo e, al contrario, b) di un’ascesi insopportabile… e
sembrano quasi qui risuonare le esortazioni aristoteliche,
ma anche epicuree e stoiche, e più tardi cristiane, alla
moderazione e al governo delle passioni…
Il dolore
 Tutto è dolore, afferma il Buddha, e pertanto bisogna
scoprire la fonte del dolore, che nell’uomo è
rappresentata dal desiderio.
 L’uomo è dunque formato dagli elementi
dell’attaccamento all’esistenza [i khanda o skanda]:
- rūpa, cioè la corporeità, costituita dagli elementi della
materia minerale e biologica;
- vedanā, cioè le sensazioni, vale a dire quanto
percepiscono i cinque sensi esterni e l’intelletto;
- saňňā, la consapevolezza che nasce dalle sensazioni;
L’impermanenza e la finitudine
- samskāra, cioè le forze interiori, la volontà individuale,
le reazioni emotive, …;
- vijňāna, le conoscenze delle cose e del mondo.
Tutto ciò, per il buddhismo è destinato a finire, e
perciò l’uomo deve avere la consapevolezza delle
finitudine, del limite, dell’inconsistenza,
dell’impermanenza, e infine … della futilità e
irrazionalità di ogni superba e vanitosa ambizione di
possesso, e di potere fine a se stesso.
Le cause del dolore
 Le cause del dolore sono la sete di tutte le cose:
piacere [kāma], di esistere [bhava], di non-essere
[vibhava]. Stupisce forse la “terza sete”, ma non più di
tanto, perché vi può essere anche la brama superba
dello scomparire, non accettando la condizione
umana. In altre parole il buddhismo insegna
l’accettazione dell’esistenza, contro ogni superbia
individuale, e il dominio delle passioni.
 Per il Buddha, lo stesso ātman, l’io empirico che
tendiamo tanto ad esaltare, non-esiste, è an-attā.
La “persona”
 La nozione di “persona” per il buddhismo, dunque, anche
se declinata come ātman, è soltanto una parola che dice sulle prime- inconsistenza ontologica, perché esiste
soltanto il dolore che nasce dalla “sete”.
 Possiamo notare, intanto, un sostanziale rovesciamento
della nozione “mediterranea” di persona, la cui consistenza
ontologica, da Platone-Aristotele e dagli antichi Padri della
chiesa, è fuori discussione. Ecco però il passaggio
successivo, decisivo …
 … il buddhismo non nega la persona sotto il profilo
metafisico-ontologico, perché si pone su un piano diverso,
facendo un’affermazione semplicemente spirituale!
L’impermanenza …
 … la persona umana esiste, eccome!, ma è impermanente,
limitata, alla fine inconsistente. Certamente anche nella
cultura occidentale troviamo analogie, soprattutto in certe
scuole filosofiche, come nella tradizione scettica o cinica, e
anche in alcuni autori moderni e contemporanei di
sensibilità empirista, presente soprattutto nell’area
anglosassone.
 Se la “persona” è impermanente, non lo è comunque il suo
karma, nozione induista presente anche nel buddhismo. Il
karma persiste e opera nella onnipotenza che ogni atto
esprime. Si può dire che per il buddhismo l’atto prevale sul
soggetto, al contrario di quanto presente stabilmente da
millenni nella nostra forma mentis di occidentali.
Il karma
 Ogni volizione che determina un atto umano libero lascia
nel mondo, potremmo dire nell’essere delle cose, una
traccia indelebile [con il linguaggio teologico della
tradizione cristiana si direbbe: sub specie aeternitatis
oppure in mente Dei].
 Il karma, dunque, condiziona la catena causale, anche se
segreta [da cui forse deriva la nostra esigenza
argomentativa di introdurre il concetto di “caso”]; questa
catena causale è in parte personale, determinata da atti
liberi, e in molta parte impersonale, perché agiti da atti
liberi o determinati dalla natura, che restano sconosciuti
all’osservatore.
La causa e l’effetto
 La causa del dolore è alla fine un “circolo vizioso”, un circolo
prodotto da una catena di cause/effetti, dove però non
avviene quello che noi occidentali pensiamo, almeno da
prima di Hume, l’hoc propter hoc: secondo il buddhismo
causa ed effetto fanno parte di un unico atto dell’accadere
delle cose, per cui se l’effetto rinvia alla causa, la causa
stessa sarà stata effetto di una causa precedente, e così via …
 … arduo, e non poco per noi questo modo di procedere
della filosofia religiosa del buddhismo, per il quale tutto il
cosmo e le vite di tutti sono concatenati in una infinita
relazione che agisce nel tempo e nello spazio [R. Panikkar,
Il silenzio di Dio. La risposta del Buddha, Borla, Roma 1985,
pp. 48-60].
Il nirvāņa
 Vi è però una soluzione al dolore: il karma non può
condizionare indefinitamente … l’uomo può liberarsene …
cercando di raggiungere uno stato di imperturbabilità, una
specie di atarassía, direbbe un filosofo stoico occidentale …
 Questo stato è detto nirvāņa, e può essere conseguito
anche durante la vita terrena. Significa letteralmente
“spegnimento delle passioni, superamento dell’ansia e
dell’angoscia, raggiungimento di uno stato indicibile”
[Suttanipāta].
 L’uomo, quando raggiunge il nirvāņa, raggiunge la realtà
vera, nel superamento dell’io individuale.
Lo specchio del “reale”
 Negli Udāna, 8, 1, 3, vi è un testo che riportiamo: “[…]
vi è, o monaci, il non-nato, il non-fatto, il noncomposto. Monaci, se questo non-nato, non-divenuto,
non-fatto, non-composto non fossero, non si
conoscerebbe modo di sfuggire a questo nato, divenuto,
fatto, composto. Perciò, o monaci -dato che vi è un nonnato[…]- si conosce rifugio da questo nato, divenuto,
fatto, composto”.
 Che dire di queste misteriose parole?
 E allora, vediamo come il Buddhismo guida i suoi
fedeli …
L’ottuplice sentiero
 Vi è un ottuplice sentiero per chi vuole progredire
verso la saggezza: 1. la retta fede o visione, che è un
rendersi-conto; 2. il retto proposito di entrare nel
distacco dai beni materiali; 3. la retta parola
nell’evitare la menzogna perseguendo la verità; 4. la
retta azione, evitando di fare danno alle altre creature;
5. il retto sistema di vita, evitando l’inganno agli altri;
6. il retto sforzo, teso come ascesi spirituale del
pensiero; 7. la retta attenzione, che è la meditazione; 8.
la retta concentrazione per il distacco dalle meschinità,
dalla superbia del proprio “io”, dalla ricerca del piacere
… e dei vantaggi individuali.
Il Giudaismo
 La domanda che ci si deve immediatamente fare è
questa: il Giudaismo, radice e tronco da cui è sorto il
Cristianesimo e successivamente, anche se in parte
l’Islam, è una religione o una cultura etnica, o
addirittura un popolo?
 Si può dire che è l’una e l’altro, in una commistione
unica e sorprendente!
 Nel Giudaismo il Popolo è legato a Dio da
un’Alleanza, e quindi il popolo è un “soggetto sacerdotale”.
La Storia e la Legge
 Per il Giudaismo il futuro è carico di tutto il passato e del
presente, perché l’umanità sta dentro una storia lineare e
progressiva (quanta differenza con le grandi religioni
orientali!) … e il popolo ebraico è primariamente all’interno
di un’Alleanza con il Dio-Signore [JHWH-Jahwe], fin dai
tempi di Noè e poi dell’Esodo, quando Mosè ricevette da
Dio stesso le Tavole della Legge.
 Vi è dunque una Legge da osservare, così come è
sintetizzata nei 10 Comandamenti e nel Libro, la Torah o
Pentateuco, e poi la Bibbia.
I vari giudaismi e la fede storica
 La tradizione ebraica si esprime in varie “declinazioni”, che
vanno dall’ortodossia più estrema, a posizioni più liberali e
progressiste.
 Se andiamo a bene vedere, lo stesso Israele odierno è l’unica
nazione e paese del Vicino oriente governato
democraticamente , con una presenza laburista molto forte
e l’esperienza dei Kibbutzim, indubbiamente di tipo
socialista partecipativo e umanitario.
 E speriamo che la “Primavera araba” si inserisca, anche se
con le difficoltà a tutti note, in un contesto di dialogo
evolutivo con Israele, e venga meno la nefasta dizione di
“entità sionista”. Ma i tempi attuali sono difficili…
La centralità di Dio
 Dio il Signore è al centro della tradizione giudaica. Il
tetragramma JHWH accompagna questo popolo da tremila
anni, un Dio che non si può nemmeno nominare, lasciando
alla filosofia e alla teologia dogmatica il compito di
“studiarLo” … nella sua unicità e centralità.
 Dio cerca la compagnia e l’amicizia dell’uomo, in ciò
marcando una enorme differenza con l’Islam e una
vicinanza notevole con il Cristianesimo, che pone come
dogma centrale la mediazione dell’umano-divino in Gesù
Cristo.
 Dio fa il più grande regalo all’uomo con la Torah, il libro
che è parola di Dio.
L’uomo
 Il giudaismo concepisce l’uomo in modo
fondamentalmente positivo: lo stesso peccato originale
ha causato solo la sua limitatezza e mortalità, non gli ha
tolto la capacità di discernere il bene e il male.
 L’uomo è dunque creatura di Dio, fatto a immagine e …
somiglianza [Genesi 1, 27].
 Il giudaismo, a differenza del cristianesimo, non ha subito
influenze significative dalla filosofia greca, per cui l’uomo è
concepito in modo fortemente “unitario”, laddove corpo,
anima e spirito sono solo tre “nomi” diversi per dire
“persona”.
La Tradizione
 I due maggiori gruppi religiosi del giudaismo dei tempi di
Gesù erano i Farisei, molto presenti tra il popolo,
osservanti ligi della Legge di Dio: costoro credono nella
resurrezione dei morti e nell’immortalità dell’anima, e i
Sadducei , più legati alle classi superiori, che invece la
escludono.
 Nel corso dei secoli la Tradizione giudaica, soprattutto
dopo la diaspora, cioè dopo il 70 e il 135 d. C., si è espressa
in grandi testi, come il Talmud, cioè la “Via da seguire” e i
suoi commenti, declinati nella Mishnah, cioè
l’insegnamento da ripetere sempre.
 Dal XII/XIII sec. d. C. si sviluppò anche la Kabbala,
tradizione esegetica di tipo esoterico e aritmologico, cioè
numerologico.
La preghiera e il Sabato
 La preghiera è un momento fondamentale della
religione giudaica: essa è quotidiana, settimanale con il
grande giorno del Sabato, e annuale, nelle festività che
la Bibbia stessa comanda.
 La preghiera è innanzitutto “memoriale dell’Esodo”,
e poi invocazione a Dio, lode, istanza dell’uomo che,
fidente, si rivolge al Signore Altissimo.
 Il Sabato è una vera imitazione del “riposo di Dio” nel
settimo giorno della creazione, mentre le feste annuali
sono legate, come in altre culture, al ciclo delle
stagioni.
Il Cristianesimo
 Si tratta del credo religioso più diffuso al mondo, presente in tutti i
continenti, ma specialmente a partire dal plesso Mediterraneo e
settentrionale del pianeta, dove paradossalmente da qualche decennio,
o secolo, è entrato in una grave crisi. Un grande sviluppo, invece si
registra in Asia e nel sud del mondo, sia nella confessione cattolica, ma
forse ancora di più in quelle riformate.
 Come si sa, l’origine è ascritta all’Evangelo di Gesù di Nazaret, detto il
Cristo, così come è narrato in varie versioni, canoniche e apocrife, e
come è presentato nelle Lettere cattoliche, tra le quali spiccano quelle
di Paolo.
 Il Cristianesimo accoglie poi, fin dalle sue origini, almeno dal II-III
secolo anche le scritture dell’Antico Testamento, mutuate quasi
concordemente dal Giudaismo, che insieme con gli scritti sopra citati
costituiscono la Bibbia cristiana.
 Vi sono alcune differenze nei Canoni biblici accettati dalle Chiese
Cattolica e Ortodossa e dalle Chiese riformate.
La Dottrina cristiana I
 Trattare del Cristianesimo in ambiente storicamente
cristiano-cattolico potrebbe sembrare molto facile, tanto da
suggerire di “saltare” letteralmente molti passaggi teorici,
che si riterrebbe di dare per scontati.
 Grave errore! Infatti la conoscenza media attuale della
dottrina cristiana e della sua antropologia, al di fuori di
quel circa 36% di credenti-praticanti [dati Italia] è molto
bassa, perlopiù “orecchiata” dai mezzi di comunicazione o
memorizzata da lontani catechismi infantili.
 Perciò, se pure nei limiti di questi incontri, qualcosa qui
ricorderemo …
La Dottrina cristiana II
 … è basata su un “monoteismo dinamico”, e comporta
due dogmi essenziali e imprescindibili:
a) la Trinitarietà di Dio, che, pur rimanendo unico si
dinamizza nelle relazioni tra il Padre, il Figlio generato,
non-creato, e lo Spirito, che è Dio stesso, procedendo dal
Padre e dal Figlio [Credo Niceno-Costantinopolitano, 325381 d. C.];
b) la doppia Natura, umano-divina nell’unica Persona di
Cristo-Gesù. Il dibattito in merito occupò almeno i primi
cinque secoli dell’era cristiana, fino al Concilio di
Calcedonia del 451 d. C., e lasciò strascichi robusti fino ai
nostri tempi, soprattutto sul dogma relativo alla figura di
Gesù Cristo.
L’essere umano
 Creato da Dio nell’anima spirituale, l’uomo è libero di
comportarsi come gli consente la sua struttura autoconsapevole e provvista di senso morale.
 L’antropologia cristiana è un’antropologia mediterranea,
greco-latina e biblica, mutuata essenzialmente dal Nuovo
Testamento, dalle Lettere di Paolo, dal platonismo, per il
tramite di s. Agostino e di s. Anselmo, e dall’aristotelismo,
soprattutto con s. Tommaso d’Aquino.
 Soprattutto Agostino e Tommaso sono considerati i
fondatori dell’antropologia cristiana, che si caratterizza
come sintesi delle due grandi tradizioni.
La fenomenologia e il trascendentalismo
 Per comprendere l’antropologia cristiana, a parer mio,
occorrono due approcci: a) quello fenomenologico e b)
quello trascendentale.
 Ambedue le visuali sono richieste, perché la prima cerca di
raccogliere i dati del comportamento e dell’agire umano, la
seconda cerca di fornire delle spiegazioni che hanno a che
fare con una visione essenzialmente teleologica del
cristianesimo stesso, e quindi della vita delle persone.
 Occorre, però, prima partire da due nozioni sinottiche: a) la
struttura della persona e, b) la struttura della personalità.
La struttura della persona
 Fisicità (interfecondità)
 Psichismo (organismo psichico, passioni, emozioni,
etc.)
 Spiritualità (senso del sacro, religiosità, fedi, etc.)
Questa suddivisione permette di dare ragione del
principio di uguaglianza tra tutti gli uomini, poiché
a ogni latitudine, tempo e in ogni cultura l’uomo “è
fatto così”.
… e dunque
 Questa tabella dimostra con evidenza
l’uguaglianza strutturale, che la Scrittura dice fatta a
“tzelèm - demùt”, cioè a immagine e somiglianza di Dio
[Gen 1, 27], dice dunque pari dignità tra tutti gli
uomini, e pari valore ontologico, cioè relativo
all’Essere …
 … e come peraltro confermano le epistemologie
scientifiche contemporanee.
La struttura della personalità
 Genetica (cromosomica e mitocondriale)
 Ambiente (familiare, sociale, culturale)
 Educazione (formazione, crescita della dimensione
psicologico - affettiva, etc.).
Quest’altra struttura, dimensione, punto di approccio,
dice l’irriducibile differenza di ciascuno rispetto a
ciascun altro, perfino nei gemelli monozigoti,
spiegando così la plausibilità razionale e morale di
ruoli, funzioni, carriere, vite diverse, ma tutte
improntate dalla medesima dignità del valore.
Due stati d’animo
 … entrambi da evitare per capire l’antropologia cristiana: a)
di quello di chi non vuole ammettere che l’uomo sia
sostanzialmente diverso dagli [altri?] animali e che, perciò,
rifiuta di riconoscere che l’uomo costituisca un problema
metafisico autentico; b) di chi troppo facilmente accetta
l’esistenza di un elemento metafisico nell’uomo, come se la
sua esistenza fosse immediatamente evidente …
 Occorre dunque un atteggiamento equilibrato, sola
condizione per una corretta ricerca di carattere filosofico.
 Il modo migliore di approcciare questo argomento è forse
applicare una specie di epoché di stampo husserliano.
La dimensione corporea e psichica
 È indubbio che l’uomo possiede delle caratteristiche
fisiche e psichiche date, e aggiungiamo pure, dopo il
nostro preludio sul tema del sacro, anche spirituali.
 Con il corpo e la psiche l’uomo si nutre, si riproduce,
apprende, comunica, si diverte, diventa … socievole, e
perciò il corpo ha una funzione che potremmo dire
mondanizzante, ma ha anche una funzione
epistemologica, conoscitiva; sviluppa una funzione
economica, di possesso; perfino una funzione ascetica
 … il corpo/psiche diventa quindi una sorta di epifania
dello spirito …
La vita umana
 La vita non è una macchina progettata e costruita secondo
schemi complicati, ma alla fine spiegabili e comprensibili
nella loro totalità; la vita possiede le caratteristiche della
complessità, e quindi di una possibilità di comprensione
sempre limitata e sempre in divenire: basti pensare ai
progressi della ricerca biologica e medica, che non
conoscono soste e rinviano sempre ad ulteriori traguardi di
conoscenza …
 La vita è dunque qualcosa di diverso dalla concezione
meccanicistica, è flusso, è impeto, è tendenza, è eros … è
movimento immanente … è finalità. E qui siamo in uno dei
punti caratterizzanti dell’antropologia cristiana.
La conoscenza
 Sia la conoscenza sensitiva, sia quella intellettiva
compongono il flusso della conoscenza che l’uomo
sviluppa verso se stesso [autoconoscenza] e il mondo.
 L’uomo, inoltre, possiede una conoscenza
immaginativa e un’attività estetica.
 La conoscenza possiede alcune caratteristiche
fondamentali: a) il suo rapporto con il mondo
[Weltlichkeit]; b) la prospetticità individuale e
personale [soggettività]; l’intenzionalità; la storicità.
La volontà e la libertà
 Nella tradizione antropologica cristiana, la volontà è
considerata, insieme con l’intelletto una delle due facoltà
spirituali dell’uomo.
 Essa è costitutiva dell’essere umano, e lo rende capace di
scelte libere, sempre nella misura della relatività
esistenziale.
 È declinata in modo diverso in ambito cattolico/ortodosso e
in ambito riformato, dove viene considerata maggiormente
condizionata da Dio stesso: nel luteranesimo, in
particolare, vige la credenza in elementi molto forti di predestinazione delle anime [derivante dal “primo” Agostino].
I limiti della libertà
 Le passioni umane costituiscono i limiti della libertà.
 Variamente declinate nella tradizione, è accettata una
classificazione classica, che le vede elencate a sei
coppie contrapposte, più una, l’ira. Esse sono:
amore/odio;
piacere/dolore;
desiderio/fuga;
coraggio/paura;
speranza/disperazione;
gioia/tristezza.
Il linguaggio, la società, la cultura
 Infine, per la tradizione antropologica cristiana, il
linguaggio è il fondamento che caratterizza l’essere
umano, e lo eleva al di sopra di tutti gli altri esseri
viventi, essendo autocoscientemente libero, e
moralmente sensibile: cosicché egli possiede una
specie di mandato sul mondo, che egli deve difendere e
rispettare.
 A tale scopo l’uomo si è organizzato nel tempo, in
società, fondando città e istituendo la politica,
sviluppando cultura e lavorando per trasformare il
mondo in cui vive.
L’Islam
 Islam significa “abbandono/abbandonarsi a Dio”.
 Conosciamo le origini storico-teologiche di questa grande
dottrina religiosa che interessa forse un miliardo e mezzo
di persone.
 Essa sorge in un ambiente molto duro e ostile, il deserto, e
tiene conto della concretezza necessaria per una vita capace
di svolgersi in quelle condizioni estreme.
 L’Islam non possiede -nel suo estrinsecarsi teoretico- le
sottigliezze del rabbinismo talmudico o della teologia
cristiana. Praticità e rifiuto delle astrazioni ne sono
caratteristiche fondanti.
Mohamed
 Il mondo nel quale nasce l’Islam è un mondo fatto di
silenzi e di grandi distanze, nel quale è importante ciò
che si ode, l’ascolto, il “detto”.
 Gli adepti dell’Islam sono persone concrete e amanti
dei fatti, mentre si spostano con le loro carovane lungo
i sentieri del deserto.
 La vicenda ha origine nell’ambiente aspro della
penisola arabica attorno ai primi del VII secolo d. C..
Mohamed è un carovaniere come tanti, ma è anche
un uomo molto religioso e mistico…
Allah-Dio
 Il credo musulmano si forma in pochi decenni, costola robusta della
tradizione monoteista già presente e operante tutto intorno: gli ebrei
sono presenti a Mecca e a Yathrib, o Medina; cristiane sono popolazioni
che vivono a nord e a sud dell’Arabia: lo sono gli etiopici e gli abitanti
dei regni bizantini; sono cristiani i monaci itineranti del deserto, sono
monofisiti, nestoriani, ebioniti…
 Certamente Mohamed incontra alcuni di questi, certamente discute
con loro dell’unico “Dio”, che egli chiama Allah, ma che “assomiglia” in
modo vigoroso al Dio dell’Antico Testamento e al Signore Padre del
Cristo.
 Mohamed discute forse anche di “cristologia” dissentendo sulla natura
divina di Gesù, già evidenziata e sancita dal “credo di Calcedonia” del
451. Per Mohamed la natura di Gesù non è α̕τρέπτος, α̕διαι̃ρητος,
α̕χορίστος, α̕συγγχύτος , cioè non è duplice, ma indivisa, indistinta e di
due generi, l’umano e il divino, perché Gesù è “solo” il più grande dei
profeti, nabijm, prima della venuta e dell’annuncio di Gabriele a
Mohamed. La rivelazione della Parola è in corso.
Il Qur’an
 Il “Qur’an” ora parla.
 Il Corano, che è la “proclamazione” della Volontà e
della Verità di Dio, parla dicendo quello che i fedeli
devono fare per essere tali.
 La fede nel Corano è il rispetto della Shahada,
professione del monoteismo di Dio, unica possibilità
di salvazione dell’anima. Essa non è basata sui desideri
dell’uomo, ma solo sulla Parola di Dio stesso. La
Sharia ne costituisce l’applicazione politico-legale.
 Ma l’uomo, per l’Islam che cos’è?
L’azione divina
 Intanto l’uomo deve sapere che …
 “Nella creazione dei cieli e della terra, nell’alternarsi del
giorno e della notte, nella nave che solca i mari carica
di ciò che è utile agli uomini, nell’acqua che Allah fa
scendere dal cielo, rivivificando la terra morta e
disseminandovi animali di ogni tipo, nel mutare dei
venti e delle nuvole costrette a restare tra il cielo e la
terra, in tutto ciò vi sono segni per la gente dotata di
intelletto”. [Cor, Sura 2, 164]
 …un esempio classico di come il Corano pone la
questione della fede… echi biblici di Sapienza 13, 1-9?
L’uomo teomorfico
 E dunque l’uomo è innanzitutto un “essere intelligente
che crede in Dio”, un fedele…
 …anzi, in lui vi è una specie di teomorfismo, una
divinizzazione progressiva… mentre recita: La ilaha
illa Allah, wa Muhamaddam rasul Allah, cioè “non
c’è dio se non il Dio e Mohammed è il suo profeta”. E
poi Allahu akbar, “Dio è il più grande”, e infine, Insha
Allah, “se Dio vuole”, come affidamento totale nelle
mani di Dio stesso di ogni momento della vita umana e
delle sorti del mondo.
La responsabilità dell’agire
 Il muslim, l’abbandonato a Dio, è dunque teo-morfico,
ha forma divina, perché Dio agisce in lui, anche
indipendentemente dalla sua propria volontà.
 Nella “via media” dell’Islam proposta da Al Gazali
[XI/XII secolo d. C.], accettata dal sunnismo e in parte
dalla linea sciita, più dogmatica, ritiene che Dio sia
anche l’autore vero delle azioni umane, che però
ricadono nella responsabilità soggettiva perché
comunque partecipate a livello razionale e del
sentimento religioso.
 Si può dire che nel luteranesimo vi sono echi islamici?
La Parola come Dio stesso
 Si può dire che il Corano, cioè la Parola di Dio, in
qualche modo corrispondente al Verbum cristiano, e
cioè a Cristo stesso, mentre viene recitata dal fedele,
lo trasforma rendendolo simile a Dio-Allah, che pure è
e resta incomparabilmente distante e inaccessibile.
 La recitazione del Corano è quindi un atto sacro, e
anche qui potremmo trovare una se pur lontana
analogia con il sacramento eucaristico cristiano, un
entrare diretto in comunione con Dio.
Il grande miracolo
 “Se anche si riunissero tutti gli uomini e i jinn per
produrre qualcosa di simile a questo Corano non ci
riuscirebbero, quand’anche si aiutassero gli uni con gli
altri” [Cor 17, 88-89].
 Questa è l’enfasi con la quale il musulmano descrive il
“suo” libro, che è il Libro stesso di Dio.
 L’uomo “coranico” è dunque convinto che il Libro sia
come o più della sua sposa, e ivi si immerge e cerca di
somigliargli, recitando le sure e le formule, fino a
subirne l’effetto mistico, e perfino magico-sacrale.
L’uomo
 Se il Corano è la parola stessa di Dio, l’uomo è stato
creato da Dio e ha una consistenza che è fatta di
sperma, di polvere e di terra [Cor 80, 17-22; 15, 28ss e
71,17]. L’embrione fu fatto di queste cose, per diventare
uomo, essere destinato a morire e a essere resuscitato
nel Giorno del Giudizio [Cor 91, 7-10; 21, 35].
 Non vi è nell’anima dell’uomo il peccato, ma in lui Dio
pone sia malizia sia pietà, per metterlo alla prova.
La sottomissione per la salvezza
 Il fedele deve dunque sottomettersi alla legge di Dio
che è nel Corano, dove minuziosamente sono ordinate
le azioni da compiere e quelle da evitare, a partire dai
cinque obblighi fondamentali: a) la professione di
fede, b) la preghiera, c) l’elemosina, d) il
pellegrinaggio a La Mecca, e) il digiuno nel mese di
Ramadan.
 Nel mondo dei sufi, i mistici sottolineano
particolarmente la meditazione e il digiuno, atti ad
un’elevazione più adatta all’incontro con Dio.
Molti “Islam”
 L’Islam storico non si suddivide solamente nelle due grandi
tradizioni del sunnismo e dello sciismo, ma comprende molte
altre declinazioni e scuole teologiche: basti qui dire che vi sono
sfumature innumerevoli tra una visione assolutamente
dogmatica e letteralista del rispetto del Corano, e visioni che si
distaccano dall’interpretazione letterale [ad es. nella linea
as’arita], accogliendo molti testi come metafore o allegorie,
diminuendo di molto il tema della predestinazione del destino
delle anime e attribuendo molto valore alle scelte personali e
all’esercizio della volontà individuale, che è relativamente libera
[ad es. nella linea mu’tazilita].
 Il risveglio attuale dell’Islam pone a noi occidentali un’esigenza
di conoscenza per un confronto non banale sotto il profilo
intellettuale, e produttivo sotto quello delle relazioni e della
politica.
L’attuale situazione
 È evidente che le recenti e recentissime vicende del mondo
islamico (primavere arabe, terrorismo) stanno
condizionando molto il giudizio medio dell’opinione
pubblica.
 Si farebbe però un gravissimo errore a confondere i
delinquenti folli di Daesh con l’Islam nella sua complessità
e pluralismo: che cosa c’entra, infatti, Abu Bakr Al Bagdadi
oppure Jihadi John (ora defunto) con un vecchio sapiente
come Ibn-Sina (Avicenna), o un’anziana lavoratrice della
“medina” di Meknes o di Feš, di Bagdad o del Cairo?
 La chiave di volta è dunque sempre la conoscenza, il
dialogo, la paziente ricerca della verità che si
nasconde nelle cose, nelle vite umane e nelle società
umane.
Le origini - Il Confucianesimo
 Notizie certe dell’antichità cinese ci pervengono fin dal XIII
sec. a. C., ma i dati archeologici risalgono al XXI sec..
 Come per le filosofie mediterranee, il tema della Natura è
centrale anche per la riflessione dell’antica Cina. La natura
infatti aiuta l’uomo a capire il “mistero di Dio”, che in
qualche modo si pone anche in quella cultura.
 La grande legge della natura è la “mutazione”, il
cambiamento tra due poli che contrappongono e si
completano: il caldo e il freddo, l’umido e il secco, la luna e
il sole, il giorno e la notte, il maschio e la femmina, i monti
e gli abissi … lo yin e lo yang …
Il “Cielo”
 Dal XXII sec. a. C. il nome del “divino” divenne il
“Cielo” (T’ien), ed è un “dio personale”, rappresentato
in modo antropomorfico.
 Il “Cielo” è un “Dio che premia e punisce”, perciò
l’uomo deve cercare di comprendere quale sia la
“volontà del Cielo”, mediante la “divinazione”, che può
essere praticata solo da esperti nelle cose sacre e
misteriose.
 L’arte divinatoria è presente in molti testi, tra cui il
“Libro delle mutazioni” (i king).
Il ruolo degli antenati
 Oltre alla “divinazione”, per gli antichi Cinesi era
importante soprattutto il “ruolo degli antenati”, che
restavano, secondo le antiche credenze, coinvolti nelle
vicende dei successori, con una partecipazione
spirituale e con “occhi vigilanti”.
 Verso il VI-V a. C., in un periodo molto difficile per la
Cina, cominciano a svilupparsi due scuole religiose che
cercano (e riescono) a superare la tendenza arcaica,
che era molto individualista: si tratta del
Confucianesimo (Confucio) e del Taoismo (LaoTzu).
Confucio e i suoi scritti
 Kung-Fu-Tzu (551-479 a. C.), non è un fondatore o un
rivoluzionario: egli preferisce considerarsi un
riordinatore, un chiarificatore dell’antica tradizione
cinese …
 Egli quindi raccoglie i testi antichi: Il Libro delle
mutazioni, ma anche Il Libro degli annali, e Il Libro
delle odi, Il Libro dei riti …
 Confucio non distingue tra religioso e profano, egli
seleziona i testi e si propone come maestro, non come
personalità divinizzabile, ché per lui l’unico “Dio” è e
resta il “Cielo”.
Le grandi intuizioni religiose I
Il “Cielo”
 Del Cielo Confucio parla con rispetto, sempre per
allusioni, perché si tratta dell’Assoluto, che di per sé è
inconoscibile e immenso, cui si deve una “preghiera
continua”, poiché “Tutto è sotto il Cielo, tutto è
voluto dal Cielo”.
 Ma l’uomo è troppo lontano dal Cielo per poterne
parlare con cognizione, e quindi deve occuparsi della
propria vita, ordinarla secondo la volontà del Cielo che
va chiesta con la preghiera.
Le grandi intuizioni religiose II
L’Ordine della Natura
 Per Confucio la Natura è ordinata e razionale, e l’uomo
deve armonizzarsi ad essa. Come la Natura provvede ai
viventi, così l’uomo deve comportarsi con benevolenza
verso i suoi simili e i viventi tutti.
 Vi è un’armonia universale che deve essere ammirata e
imitata, per cui l’uomo deve adeguarsi sempre di più
con tutto se stesso e con le azioni che compie.
 Perfino la scrittura ideografica riflette questo
sentimento interiore.
Le grandi intuizioni religiose III
 Il cosmo confuciano nasce, oltre che dallo yin e o yang,

-
-
anche dai cinque elementi: legno, fuoco, terra, metallo
e acqua.
Ai cinque elementi si riallacciano i cinque colori, i
cinque sapori e i cinque punti cardinali:
Legno – fuoco – terra – metallo – acqua
Verde – rosso – giallo – bianco – nero
Acido – amaro – dolce – acre – salato
Est – sud – centro – ovest – nord
La rettificazione dei nomi
 Per Confucio ogni parola deve corrispondere al suo
contenuto, senza equivoci (pensiamo all’enorme distante
tra questa visione del mondo e quella mediterranea
dell’ermenèia e della polisemia!).
 Questa finalità si può raggiungere solo mediante la
“rettificazione dei nomi” (cheng-ming).
 Vi è un bisogno concreto di rigorizzare il linguaggio, per
cui Confucio invita sempre a elencare, numerare, precisare;
ad es. vi sono: 5 i visceri dell’uomo, reni, polmoni, bile,
fegato, cuore; 3 le virtù, rettitudine, fermezza, dolcezza; 8
le branche delle attività umane, agricoltura, commercio,
sacrifici, lavori pubblici, istruzione, amministrazione della
giustizia, cura degli ospiti ed esercito.
Le due virtù
Per Confucio occorre un’armonia sociale gerarchica:
 Così come al di là di tutto vi è il Cielo, sotto di esso vi è il
Figlio del Cielo, l’imperatore, e sotto di lui il capofamiglia.
 Pertanto l’armonia sociale si attua mediante le due virtù
della Rettitudine (i) e l’Umanità (jen): i è la virtù della
rettitudine, l’imperativo categorico (“kantiano”), jen è
invece la virtù della sensibilità umana, l’amare il prossimo
(quasi evangelicamente, potremmo dire). La virtù i è la
morale pratica, mentre la virtù jen è un’imitazione del
cielo, per curarsi di chi sta sotto nella scala sociale.
 La famiglia è il modello dei rapporti armoniosi.
Il rito e le cinque relazioni sociali
 Il rito, per Confucio, realizza l’ordine in ogni
situazione, e contribuisce ad armonizzare i cinque
tipi di relazioni sociali: a) tra principe e suddito, b)
tra padre e figlio, c) tra fratello maggiore e fratello
minore, d) tra marito e moglie, e) tra amico e amico. Se
chi sta in alto si comporta armoniosamente con chi sta
in basso realizza “il volere del Cielo”.
 L’azione concreta è atto sacro quando risponde al
“volere del Cielo”, cosicché per Confucio tutta la vita è
organizzabile in modo armonioso e rispettoso del
mondo e degli uomini tutti.
Diverse categorie di uomini
 Tra gli uomini i saggi sono superiori agli altri, e per
diventare superiori occorre lo studio; ma per
diventare saggi occorre soprattutto il
perfezionamento morale, che si ottiene attraverso la
sincerità del pensiero, l’ampliamento della
conoscenza, osservando e meditando sulle cose e sul
loro senso.
 Gli antenati, tra i morti, sono una specie di sintesi di
tutta la genealogia della specie e in sé portano e
trasmettono la sapienza della vita e del cosmo.
Il Taoismo - due Vie opposte
 Pare che Lao-Tzu si sia incontrato con Confucio,
confrontando due personalità molto diverse,
grandezza morale e acutezza estrema …
 Essi discussero della carità come virtù ma non
condivisero che si trattasse di una specie di “capacità
di rallegrarsi di ogni cosa nell’amore universale tra gli
uomini e tra tutti gli esseri” (Confucio).
 Lao-Tzu invece sostenne che la natura stessa pone un
ordine cosmico, preferendo una visione religiosa
cosmocentrica, piuttosto che sociocentrica, come
Confucio.
Gli Insegnamenti di Lao-Tzu
Tre sono i grandi testi su cui si fonda il taoismo:
 Il Tao-te-king, un libro di poesie sul Tao (la via) e sul Te
(la virtù), il cui autore la tradizione afferma essere lo
steso Lao-Tzu.
 Il Kuang-tszu e il Lien-tzu, raccolte di frammenti di
sapienza. Prendono il nome dal loro presunto autore.
Il Tao è costituito da quattro concetti chiave: il Tao
stesso, Yin e Yang, il Te, il Wu Wei.
Il Tao
 La parola Tao significa via, capo, parola, metodo, e
perfino religione. È la strada e la meta (cioè Dio,
l’Assoluto).
 Il Tao è indicibile, sfuggendo sempre a una definizione
generale, che rischierebbe di allontanare dalla
possibilità umana ogni ipotesi di conoscenza.
 “Il Tao che si può dire non è il vero Tao”, così inizia il
Tao-te-king … varie immagini simboleggiano il Tao,
come la luna, la valle, gli abissi, l’acqua stessa.
 Il Tao è immanente e trascendente, è il non-essere che
genera l’essere …
Yin e Yang I
 Si tratta delle due grandi polarità che concorrono alla
vita, e non sono in opposizione come nel caso delle polarità
“occidentali”, come luce-tenebre, bene-male, polo positivo e
polo negativo nel campo dell’elettricità, etc..
 Polo positivo (Yang) e negativo (Yin) non hanno alcuna
accezione di rilevanza morale all’occidentale, ma
significano le parti che insieme compongono la realtà: essi
sono rappresentati da una linea continua e una linea
spezzata, come una dialettica tra cammino e sosta,
mantenimento e rifiuto, conservazione e rinnovamento.
Yin e Yang II
 Bellissimo l’apologo del contadino, raccontato nella
tradizione taoista, secondo cui, ad ogni fortuna o
rovescio della sorte, era solito dire agli amici che, o lo
commiseravano, o si compiacevano con lui, sempre:
“Può darsi” (sottintendendo, che sia buona sorte o che
sia mala sorte).
 Bene e male si generano a vicenda, felicità e disgrazia si
succedono, sono causa e premessa l’uno dell’altro.
Osserviamo dunque come tale visione del mondo e della
vita umana siano radicalmente diverse dalla
concezione “occidentale”, greco-latina.
Yin e Yang III
 Come nel buddhismo ci troviamo di fronte a a una
causalità che non è lineare, storica, come nella
tradizione mediterranea (forse più biblica che greco-latina)
ma ciclica: lo yin e lo yang, potremmo dire,
dialettizzano, così, come nel confucianesimo fanno
altrettanto i cinque elementi, nel principio della
dipendenza reciproca: il legno genera il fuoco, questo
genera la terra, la terra genera il metallo, che a sua volta
genera l’acqua, la quale genera di nuovo il legno.
 Nessuno dei cinque elementi può “vincere” sugli altri,
perché ciò bloccherebbe il ciclo e causerebbe la fine della
vita.
Yin e Yang IV
 Il Tao, però, si differenzia profondamente dal
Buddhismo, perché, contrariamente a questi, non
ritiene il dipanarsi del ciclo della vita un male da
superare con la tendenza all’annullamento del
desiderio, e infine della vita stessa nel Nirvana, ma è la
vita stessa, intrinseco bene.
 Il Tao pare prospettare una specie di fatalismo, ma
non è così perché il Tao stesso è profonda saggezza,
che va rispettata, in quanto dettata dalla Sapienza
divina che governa e guida il mondo e gli uomini.
Il te
 Il te è la virtù, concetto corrispondente in qualche
modo, sia all’aretè greca, sia alla virtus latina, intese
però nel senso prevalente di un agire efficacemente
positivo.
 Una sorta di fortezza temperante, prudente e giusta,
potremmo dire con linguaggio scolastico, una
connectio virtutum.
 Il te aiuta l’uomo nell’arte di vivere, evitando le
forzature e la presunzione di potere tutto, di
conquistare tutto, moderando l’uso delle forze e
agendo con saggezza.
Il wu wei I
 Il Tao agisce non agendo, lasciando libere le diecimila
(infinite) cose che, come l’acqua trovano il loro bene,
individuando la strada, il percorso, il metodo giusto.
Quanto ciò insegna a noi occidentali, sempre in affanno
per fare, conquistare, avanzare … e talvolta, a causa di
questo, ci ammaliamo, ci fermiamo stanchissimi,
regrediamo!
 Il Tao insegna che è il buco nel mozzo della ruota che
rende funzionale la ruota, così come lo spazio dentro
al vaso, il vaso stesso!
Il wu wei II
 Il saggio agisce facendo il vuoto dentro se stesso, lasciando agire
le cose, non forzandole, cosicché il wu wei lo porterà dalla parte
giusta. (Troviamo qui echi dei misticismi cristiano e islamico?)*
 Il saggio non possiede nulla e non insegna con arroganza, egli
dice “Tralascia la santità e ripudia la sapienza e il popolo si
avvantaggerà, tralascia la carità e ripudia la giustizia ed esso
tornerà alla pietà filiale e alla clemenza paterna, tralascia l’abilità
e ripudia il lucro e più non vi saranno ladri e briganti” …
 È un apparente invito all’inazione, ma in realtà è un invito alla
riflessione, indispensabile per poi lasciarsi trasportare dal Tao,
che è il Sapiente.
* Misticismo renano e sufismo.
Il wu wei III
 Il saggio, dice il Tao, è come lo specchio che riceve tutto
ma non trattiene.
 Anche Lao-Tzu, come Confucio, fu in qualche modo
“divinizzato”, ma il suo insegnamento, così come
quello dei grandi sapienti di ogni tempo e luogo
testimonia di una sola sapienza umana, che in vari
modi, è a disposizione delle anime attente, delle menti
fervide e dei puri di cuore.
E ora un elenco di antropologie “laiche”
per un po’ di … compiti per casa:
 Uomo economico: Marx,
 Uomo istintivo: Freud,
 Uomo angosciato: Kierkegaard
 Uomo utopico: Bloch,
 Uomo ex-sistente: Heidegger,
 Uomo fallibile: Ricoeur,
 Uomo ermeneutico: Gadamer,
 Uomo problematico: Marcel,
 Uomo culturale: Gehlen,
 Uomo religioso: Luckmann
 Uomo meccanico: Anders
Che cos’è dunque l’Uomo?
 … essere culturale, linguistico, persona,
frammento di divino, immagine e somiglianza,
primate intelligente ed evoluto, spirito incarnato,
…
continuiamo insieme, con la curiosità e lo stupore della
ricerca che non finisce mai …
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