Una teoria obiettivistica: la teoria del contorno di Peter Kivy Peter Kivy Una filosofia della musica Perché la musica è importante per il nostro discorso? Una ragione semplice: perché la musica è priva di un contenuto semantico e descrittivo. Certo, la musica può legarsi al canto o alla danza o alla narrazione cinematografica e quindi può legarsi ad un contenuto semantico. Non solo: ci sono esempi di musica descrittiva – quella musica che riproduce con strumenti e nel linguaggio delle note – i suoni e i rumori della natura: il canto del cuculo, la pioggia autunnale, il temporale estivo o la locomotiva che fischia e corre sui binari. Ma si tratta di fenomeni isolati che non cancellano la sostanza del problema: la musica non dice nulla e in un senso relativamente ovvio non è simbolo di nulla. Del resto, Kivy si tiene apertamente lontano da ogni interpretazione del fatto musicale che voglia travalicare la natura del fatto musicale in una chiave biografica, sociologica, filosoficogenerale o psicoanalitica. In questo senso, analisi come quelle di Adorno che legge la struttura dello sviluppo e della ripetizione all’interno della forma sonata alla luce di categorie filosofico-sociologiche debbono apparire semplicemente prive di senso. In modo particolare, in Filosofia della musica, Kivy ironizza sulle tesi della McClary: «Nell'esempio che desidero esaminare il suo bersaglio è la Quarta Sinfonia di Ciakovskij. McClary comincia sostenendo che anteriormente alla Quarta di Ciakovskij, «forma sinfonica era dominata da quello che ella chiama il paradigma dell'avventura e della conquista. Ma, ella afferma, la Quarta Sinfonia di Ciakovskij si discosta da tale paradigma. Si tratta piuttosto di una narrazione incentrata su un uomo che è vittima di suo padre, che ha per lui grandi aspettative, e di una donna che l'ha preso in «trappola». Questa combinazione di circostanze sfortunate gli impedisce lo sviluppo del suo vero io. Come chiarisce l'interpretazione, tra le aspettative del padre c'è il desiderio che il figlio abbia una relazione eterosessuale. La relazione con la donna si trasforma in una «trappola» e impedisce alla vera natura del figlio, che è omosessuale, di realizzarsi (è certamente un racconto adatto ai nostri tempi)». In questo senso il richiamo a Hanslick e al suo formalismo è esemplare: la musica basta – e deve bastare – a se stessa. «La migliore definizione di formalismo, inizialmente, è negativa: cioè spiega ciò che la musica non è. Secondo il credo formalista, la musica assoluta non possiede contenuto semantico o rappresentazionale. Non si riferisce a nulla; non rappresenta oggetti, non racconta storie, non fornisce argomentazioni, non espone alcuna filosofia. Secondo il formalista, la musica è «pura» struttura sonora; e per questa ragione tale dottrina è a volte chiamata «purismo» musicale (P. Kivy, Filosofia della musica. Un’introduzione, Torino, Einaudi, 2004, p. 82). La musica basta a se stessa: non rappresenta nulla e non ha un contenuto semantico. I suoni non sono parole e la musica non è un linguaggio: comprenderla, non significa capire che cosa vogliano dire i suoni e per che cosa stiano le loro sintassi Un’analisi di una sonata di Beethoven – la Patetica: «La codetta in realtà è un ponte di collegamento che partendo dalla sottodominante (fa minore) modula alla mediante (mi bemolle maggiore) attraverso una rapidissima scaletta discendente di semibiscrome (e oltre). Inizia così un breve sviluppo del tema ”Grave” dove la cellula del tema viene presentata alternativamente in piano e fortissimo. L'ambiente tonale di questo sviluppo (mi bemolle) preannuncia quello analogo dell'Esposizione (il secondo tema è costruito su questa tonalità)[3] Anche questa fase è costruita sulla costante ascesa del materiale musicale fino alle ultime battute (8-10) che risolvono tramite una modulazione e una rapidissima scaletta cromatica discendente nel tema principale del movimento preparato dall'ultima nota dopo la corona: si bequadro (sensibile della tonica). Questa nota può essere intesa come nota iniziale del tema seguente (in posizione di anacrusi), oppure come nota di trapasso fra i due andamenti». Eppure dopo poche righe, l’autore del passo che abbiamo appena citato si concede una serie di osservazioni che vanno al di là dei tecnicismi che ho citato. Ed è necessario farlo – almeno per Kivy: «Il secondo tema è in mi bemolle minore. Anche questo ha uno sviluppo ascendente, quindi è imparentato con il Grave iniziale. Ma l’analogia non si ferma qui: questa seconda idea, che parte dal profondo, pur librandosi gioiosamente in modo lirico, conserva la sua origine affannosa. Più che una seconda idea è una conseguenza, una trasfigurazione lirica del motivo generatore dell’introduzione.[Anche la scelta del modo minore è significativa in tal senso: secondo la norma della forma-sonata la tonalità del secondo tema sarebbe dovuto essere il mi bemolle maggiore. Sia il primo tema che il secondo tema è in minore; la monotonia viene superata da un equilibro superiore derivato da una intuizione inscrutabile». E tuttavia: per descrivere un brano musicale è necessario avvalersi di termini espressivi. Parliamo di attese inquiete, di risoluzioni della tensione, e la parola «armonia» ha assunto un significato espressivo del tutto evidente. Di qui la proposta di Kivy: il formalismo arricchito. La musica come una narrazione senza racconto: il gioco delle attese e delle delusioni, delle risposte e dei richiami, della ripetizione e della variazione come struttura formale di un narrare senza contenuto. La forma di un racconto ha una sua sensatezza e una sua espressività. «Il punto a cui voglio arrivare è il seguente. Così come durante la lettura di un romanzo noi pensiamo a ciò che stiamo leggendo, formuliamo ipotesi su ciò che accadrà in seguito, abbiamo aspettative – alcune delle quali verranno frustrate, mentre altre invece si avvereranno – e così via, allo stesso modo ci comportiamo anche nell’ascoltare seriamente, con concentrazione, la musica assoluta. Le opere musicali hanno “trame”: ovviamente non trame con personaggi in azione; ma piuttosto trame puramente musicali; eventi sonori che accadono, come aveva sostenuto Hanslick, con una “logica” o un “senso” musicale che producono una connessione. Quando seguiamo queste trame, facciamo quasi la stessa cosa di quando seguiamo la narrativa Situazione iniziale È la parte descrittiva di presentazione dei personaggi, dei luoghi, ecc; in essa è spesso presente una situazione di equilibrio; la vicenda non è ancora cominciata. Rottura dell’equilibrio (o ’esordio’, nella fiaba ’complicazione’) Sequenza narrativa che racconta l’evento che modifica la situazione di equilibrio iniziale e dà il via alla storia. Evoluzione della vicenda (nella fiaba ’peripezie dell’eroe’) Una o più sequenze di diverso tipo narrano fatti che modificano di volta in volta la situazione dei personaggi principali; tali fatti possono tradursi in un miglioramento o in un aggravamento della situazione del protagonista. All’apice dell’evoluzione della vicenda si arriva alla Spannung, che in tedesco significa ’momento di massima tensione’. Il termine viene usato in narratologia per indicare una fase della vicenda in cui il protagonista vive un momento drammatico, che può condurlo alla vittoria o alla sconfitta; spesso l’azione culmina o precipita - ma non necessariamente - in un colpo di scena risolutivo. Scioglimento (o ’ristabilimento dell’equilibrio’) Si tratta della fine della storia. È una sequenza narrativa in cui tutto si risolve in bene oppure in male e si ristabilisce un equilibrio, uguale o diverso rispetto a quello iniziale. Se manca lo scioglimento il testo narrativo ha un finale aperto. Situazione finale (o coda) È il "vissero felici e contenti" delle fiabe: descrive/racconta il futuro dei personaggi rispetto alla storia narrata nel racconto. La prospettiva obiettivistica di Kivy: Un formalismo arricchito è una filosofia che ritiene che la dimensione espressiva nei fatti musicali debba essere cercata nella musica stessa, e non in qualche stato psichico cui la musica alluda o che la musica produca come effetto nell’ascoltatore. «Le possibilità a disposizione erano che la musica fosse triste […] in un senso disposizionale, per il fatto di avere la proprietà di rendere tristi gli ascoltatori; o che la musica fosse triste in maniera rappresentazionale, per il fatto di rappresentare la tristezza nel modo in cui un dipinto rappresenta i fiori o i frutti. A non essere contemplata era la possibilità che la musica sia triste in virtù del fatto di possedere la tristezza come una proprietà acustica, allo stesso modo in cui una palla da bigliardo possiede la rotondità e l’essere-rossa come una proprietà visiva. Ma, una volta concepita la possibilità delle proprietà emotive come proprietà acustiche della musica, diviene allora immediatamente evidente che le descrizioni emotive della musica sono compatibili con il «formalismo», inteso ampiamente come la dottrina secondo cui la musica è una struttura di eventi sonori senza contenuto semantico o rappresentazionale. Infatti, se le proprietà emotive come la tristezza sono proprietà acustiche della musica, sono semplicemente proprietà della struttura musicale; pertanto dire che un passaggio musicale è triste o allegro non significa descriverlo in termini semantici o rappresentazionali più che descriverlo come turbolento o tranquillo. Un passaggio musicale tranquillo non rappresenta la tranquillità né significa «tranquillo». Esso è semplicemente tranquillo». (ivi, pp. 108-109) Dunque la musica può essere intesa come una narrazione musicale in cui i predicati espressivi sono descrizioni dell’andamento musicale, come una narrazione senza racconto (come una Zweckmässigkeit ohne Zweck) – ma come è possibile che ciò accada? La risposta è relativamente ovvia: deve essere possibile individuare un fondamento che ci consenta di cogliere nelle forme musicali un’espressività intransitiva. Che cosa si debba intendere con espressività intransitiva lo sappiamo già: • Parliamo di espressione transitiva se, data una forma A, il dire che è espressione di F ci consente di inferire che vi è uno stato f di cui A è appunto espressione; • Parliamo di espressione intransitiva se, data una forma A, il dire che è espressione di F non ci consente di inferire che vi è uno stato f di cui A è espressione, ma ci consente invece di determinare A come un predicato che lo qualifica – come qualcosa che è del tipo «espressione-di-F». Cerchiamo di dare conto di questa distinzione con alcuni esempi. Due forme di espressione transitiva. Il volto del vecchio e il volto del bambino esprimono una rassegnata tristezza ed una inquietudine dolorosa. E consentono, evidentemente, questa inferenza: sono espressioni che esprimono effettivamente qualcosa – un vissuto, uno stato d’animo, una serie di pensieri… Il muso del San Bernardo è espressivo-di-tristezza in senso intransitivo perché il San Bernardo non è affatto triste e quando diciamo che sembra triste vogliamo asserire che il suo muso è triste – che la tristezza è un modo del manifestarsi del suo muso. In questo, il muso del San Bernardo assomiglia per Kivy alla musica: anche un adagio è triste non perché esprima i vissuti del compositore o dell’esecutore, ma perché appare triste – perché la tristezza è un predicato che esprime bene il modo del suo essere-così. La musica è espressiva, ma non esprime qualcosa – il punto per Peter Kivy è questo. L’analogia con il muso triste del San Bernardo: anche qui abbiamo un caso di espressività intransitiva: vediamo la tristezza nel muso del san Bernardo, anche se questa tristezza non c’è. Di qui una nuova domanda: perché vediamo triste il muso del San Bernardo? La risposta sembra ovvia: lo vediamo così perché abbiamo imparato a vedere in un viso fatto così l’espressione transitiva della tristezza. E nel caso della musica? Possiamo generalizzare anche alla musica l’ipotesi che abbiamo appena formulato per il muso del San Bernardo? Possiamo dire che un adagio è triste perché ricorda qualcosa che esprime transitivamente la tristezza? Possiamo cioè generalizzare la relazione di dipendenza dell’espressività intransitiva dalla espressività transitiva? A questa domanda si deve rispondere affermativamente. Impariamo a cogliere l’espressività là dove vi è una vita emotiva e affettiva. Il comportamento che si lega all’affettività è un comportamento che ha una forma che può ripetersi anche là dove una vita affettiva non vi è. Nella musica accade così: la musica è espressiva intransitivamente perché può fare appello analogicamente ad una qualche forma di espressione transitiva. “Let us determine, then, to begin with, just what we are recognizing when we recognize sadness in the Saint Bernard’s face. We are not, it must be remembered, recognizing that the Saint Bernard is sad; for the Saint Bernard’s face being expressive of sadness is invariant with the emotional state of the Saint Bernard: it does not express the Saint Bernard’s sadness. Nevertheless, it does have something to do with the way we normally express sadness. That we normally frown, let our mouths droop, and assume a "hang dog" expression when we are sad of course makes the face of the Saint Bernard seem peculiarly appropriate to the expression of sadness. […] Thus, what we see as, and say is, expressive of φ is parasitic on what we see as, and say is, expressing φ; and to see X as expressive of φ, or to say X is expressive of φ, is to see X as appropriate to expressing φ, or to say that it is appropriate to such expression. It is in this way that the expressiveness of music is like the expressiveness of the Saint Bernard’s face” (The corded Shell, p. 50) La risposta che Kivy dà a questo problema ci riconduce a ciò che egli chiama la teoria del contorno. Un contorno è una forma – un certo andamento melodico, una certa strutturazione dei suoni che è tale da avere la stessa struttura della nostra vita affettiva o delle manifestazioni della nostra vita affettiva. In questa luce diviene centrale il rapporto tra la musica e la voce umana. Un brano può avere un carattere lamentoso o un tono sussurrato, può innalzarsi come un grido o fermarsi in una pausa d’attesa – questo lo sappiamo, ed è sufficiente rifletterci per sostenere che se sappiamo leggere immediatamente il carattere lamentoso di un movimento musicale è perché abbiamo imparato a leggere il dolore espresso dalle lamentazioni umane. Ma proprio questo rapporto ci fa vedere che l’espressività musicale chiede qualcosa di più di un isomorfismo strutturale – chiede una concezione intransitiva dell’espressione. ARIANNA Lasciatemi morire, lasciatemi morire, e che volete voi, che mi conforte in così dura sorte, in così gran martire? Lasciatemi morire. CORO In van lingua mortale in van porge conforto, dove infinito è il male. ARIANNA O Teseo, o Teseo mio, sì che mio ti vo dir, che mio pur sei, benché t'involi, ahi crudo, a gl'occhi miei. Volgiti Teseo mio, volgiti Teseo, o dio, volgiti indietro a rimirar colei, che lasciato ha per te la patria, e il regno, e in queste arene ancora cibo di fiere dispietate, e crude lascerà l'ossa ignude. O Teseo, o Teseo mio se tu sapessi, o dio, se tu sapessi, ohimè, come s'affanna la povera Arianna, forse forse pentito rivolgeresti ancor la prora al lito; ma con l'aure serene tu te ne vai felice, ed io qui piango. A te prepara Atene liete pompe superbe, ed io rimango cibo di fere in solitarie arene. Te l'uno, e l'altro tuo vecchio parente stringerà lieto, ed io più non vedrovvi, o madre, o padre mio. https://www.youtube.com/watch?v=sKs_jIGJugE Il carattere delle proprietà espressive in ambito musicale: 1. Sono proprietà che esibiscono un contorno isomorfo a strutture affettive e 2. Sono proprietà che hanno un’espressività intransitiva Questo si lega bene con il loro essere proprietà formali, strutture che si manifestano nella forma del materiale sonoro. Le proprietà dell’andamento musicale sono dunque in un senso forte le forme di una narrazione senza racconto. Si tratta di una tesi che è necessariamente connessa con la natura dei fatti musicali? Non credo. È possibile mostrare che una simile teoria può applicarsi ad ambiti artisticoespressivi molto differenti. All’ambito poetico: … ed alla tarda notte Un canto che s’udia per li sentieri Lontanando morire a poco a poco, Già similmente mi stringeva il core Ma anche all’ambito pittorico: Alcune conseguenze della teoria: 1. La teoria del contorno è una teoria obiettivistica e sa veicolare la distinzione tra cogliere una struttura espressiva e provarla. Cogliamo il valore espressivo della musica perché riconosciamo nella musica una struttura – un profilo – che corrisponde al profilo e alla struttura del comportamento umano del dolore. La musica non suscita in noi malinconia, ma cogliamo la malinconia nella musica perché ne cogliamo la forma e la cogliamo nel suo essere il sostrato di una espressività intransitiva. È per questo che Kivy in The corded Shell (1980) ci parla di un’iconografia dell’espressione musicale: in fondo, cogliere la dimensione affettiva ed emotiva di un brano musicale significa a suo parere riuscire a scorgere il profilo che l’accomuna ad un qualche tratto della manifestazione delle emozioni umane. Una musica è espressiva perché ha gli stessi tratti iconologici delle emozioni umane. 2. Le emozioni che la musica sa veicolare sono emozioni indistinte. E sono relativamente poche. Questo è coerente con la tesi secondo la quale abbiamo a che fare con il riconoscimento di una struttura tipica emergente. Un comportamento si legge in un contesto. L’espressività delle forme musicali è un’espressività che non si spiega in un contesto semanticamente definito, a meno che non vi sia un titolo o un testo che l’accompagna, come accade nelle opere o nelle cantate. «Wozu dienet dieser Unrat» nella Passione secondo Matteo è espresso da una scrittura contrappuntistica – ma sarebbe sbagliato sostenere che ogni scrittura contrappuntistica veicola lo sdegno https://www.youtube.com/watch?v=Qx_TyqhhKf4 Paul Klee, Fuoco nella sera, 1929 3. La teoria di Kivy è in aperta opposizione con la «arousal theory». Parlare della musica come di un’«icona emotiva» piuttosto che come di uno stimolo vuol dire evidentemente riaprire lo spazio per una considerazione del fatto musicale, aperta alla dimensione e al linguaggio cognitivo. Una musica non fa semplicemente effetto, ma si rende riconoscibile nei tratti che la rendono emotivamente ed affettivamente ricca. «(1) Music is not primarily a stimulus; and its emotive expressiviness is not manifested in an emotional response. (2) Music, in its structure, bears a resemblance to the ‘emotive life’; and the primary aesthetic response is a cognitive response: a recognition of the emotive content present in it» (The corded Shell, p. 39). Difficoltà nella posizione di Kivy. 1. La riduzione alla forma: espressiva è la forma musicale. Ma le cose stanno davvero così? È una tesi che ha un sapore kantiano: «Nella pittura, nella scultura, anzi in tutte le arti figurative, nell’architettura, nell’arte dei giardini, in quanto sono belle arti, l’essenziale è il disegno, nel quale non ciò che diletta nella sensazione, ma soltanto ciò che piace mediante la sua forma costituisce il fondamento di ogni attitudine al gusto. I colori che danno luce all’abbozzo appartengono all’attrattiva; possono, sì, rendere vivace l’oggetto stesso per la sensazione, ma non degno d’intuizione e bello: piuttosto sono limitati fortemente nella maggior parte dei casi da ciò che richiede la bella forma e, perfino dove è ammessa l’attrattiva, questa è nobilitata solo da quella. Ogni forma degli oggetti dei sensi (dei sensi esterni, così come mediatamente anche dei sensi interni) è o figura o gioco: nell’ultimo caso o gioco di figure (nello spazio: la mimica e la danza) o semplice gioco di sensazioni (nel tempo). L’attrattiva dei colori o dei suoni piacevoli di uno strumento può aggiungervisi, ma il disegno nel primo caso e la composizione nel secondo costituiscono l’oggetto vero e proprio del giudizio puro di gusto; e che la purezza, sia dei colori, sia dei suoni, o anche la loro molteplicità e il loro risaltare, sembri contribuire alla bellezza, vuol dire non tanto che essi rappresentano, per così dire, un’aggiunta omogenea al compiacimento della forma perché sono di per sé piacevoli, ma piuttosto perché rendono la forma intuibile in modo più preciso, più determinato e più completo, e inoltre ravvivano la rappresentazione con la loro attrattiva, destando e mantenendo l’attenzione sull’oggetto stesso». (Kant, Critica della facoltà del giudizio). triade di do maggiore (do mi sol) Triade di do minore (do miƅ sol) Triade diminuita di do (do miƅ solƅ) Accordo di do di settima diminuita (do miƅ solƅ sibb) Risoluzione di settima diminuita Quando Ulisse giunge all’isola dei Cimmeri e scende nell’Erebo, nel regno dei travolti da morte, vede infiniti guerrieri con i corpi straziati dalle lance e vecchi che avevano molto sofferto e fanciulle tenere «dal cuore nuovo al dolore» – vede tutto questo e sente le grida raccapriccianti dei corpi esangui che gli si accalcano intorno e non può proprio per questo restare indifferenti ad uno spettacolo così spaventoso: «verde orrore mi prese» – è così che dice Omero. L’orrore, per Omero, ha proprio il colore di questo rettangolo. Se mai avesse un colore, l’orrore dovrebbe proprio apparirci così: verde cloro. Non capiremmo invece se qualcuno ci dicesse che l’orrore è color verde mare o che è azzurro carta da zucchero. Il problema è qui. Posso riconoscere nell’andamento del secondo movimento del primo concerto brandeburghese un’analogia di struttura con il comportamento che è caratteristico della malinconia, ma non posso trovare un elemento che accomuni il verde giallastro al terrore. Un simile elemento non c’è, e questo rende difficilmente comprensibile non soltanto come si possa venire a capo di una simile forma di espressività a partire dalla teoria del profilo, ma anche che cosa ci consenta di parlare di espressività intransitiva per il materiale sonoro o cromatico. Un discorso analogo vale per Kivy: che peso può avere ciò che non ha una struttura complessa? C’è un’espressività degli accordi, dei timbri, proprio come vi è un’espressività dei colori – e non è possibile venirne a capo semplicemente riconducendola alle pratiche compositive. Dall’estetica musicale di Kivy è dunque possibile ricavare una poetica che privilegia implicitamente il momento strutturale rispetto alla dimensione dei materiali sonori – ed è forse per questo che Kivy è così povero di esempi tratti dalla musica contemporanea. 2. Percepire l’espressività di un brano musicale sembra altra cosa dal riconoscere nella sua forma la forma di un comportamento espressivo di natura transitiva. se nelle sconnessure dell’intonaco di un vecchio muro vedo un volto sono anche consapevole di avere riconosciuto in quel gioco di linee un volto. Così dovrebbe accadere anche sul terreno musicale: se avverto la malinconia di una successione di accordi dovrei avere riconosciuto anche la forma di quel comportamento umano in virtù del quale mi appare malinconico ciò che sento come malinconico – ma le cose stanno davvero così? Nel secondo movimento del primo concerto brandeburghese riconosco davvero la struttura che caratterizza i gesti e il comportamento di una persona profondamente malinconica? Non credo che nessuno possa dire così: nella norma ascoltiamo quell’adagio e lo troviamo malinconico senza che ci sia alcun bisogno di scorgere l’analogia in virtù della quale soltanto dovremmo sostenere che ha proprio quel carattere emotivo. In altri termini: se la teoria del profilo fosse vera, dovrebbe essere banalmente vera, ma non lo è – e questa è una buona ragione per supporre che sia falsa 3. La piega intellettualistica del discorso di Kivy. Kivy intende prendere le distanze da ogni concezione causalistica della musica e ritiene che sia della massima importanza sottolineare quanto l’ascolto musicale sia guidato dalla nostra capacità di cogliere strutture e forme e non sia il risultato di un nesso causale che vanifica ogni dimensione cognitiva. Ciò non toglie, tuttavia, che la soluzione che Kivy ci propone resti insoddisfacente. Per cogliere il carattere espressivo di una successione di accordi devo, per Kivy, poter scorgere la somiglianza che lega quella forma sonora ad una forma determinata del comportamento umano: devo afferrare ciò che Kivy chiama l’icona emotiva che la musica in sé racchiude. L’icona emotiva – tutto questo è molto ben detto, ma proprio per questo ci costringe a comprendere che qui ha luogo un fraintendimento descrittivo che deve essere messo in luce. Quando ascolto una musica e ne avverto la malinconia è questo quello che sento: il suo essere malinconica, e non la sua somiglianza con un lamento. La somiglianza con un lamento è un fatto tra gli altri: implica un afferramento puramente cognitivo e ci restituisce un dato affettivamente neutro, perché la somiglianza di per sé non è né malinconica, né felice. Ci si può compiacere di avere scoperto una somiglianza o si può dolersene, ma la somiglianza di per sé è un fatto che non ha valenza espressiva. se deve sussistere una somiglianza tra la struttura di una melodia e un qualche aspetto del comportamento umano perché si possa parlare di espressività, sia pure intransitiva, è indubbio che piccole variazioni sul piano strettamente sonoro potranno determinare variazioni del carattere espressivo che è loro proprio. E tuttavia il criterio che dovrebbe decidere se questo adagio resta malinconico quando ne altero la forma sonora è il permanere di una qualche analogia con la struttura del nostro comportamento della malinconia, e non credo che sia difficile riconoscere che non è affatto detto che i limiti di alterazione entro cui una somiglianza permane coincidano con i limiti di alterazione del materiale sonoro entro cui avvertiamo ancora la stessa valenza espressiva. 4. La posizione di Kivy spiega bene perché posso ascoltare una musica malinconica senza essere malinconico, ma non spiega perché posso esserlo – come è possibile il contagio emotivo che pure fa parte della nostra esperienza della musica? 5. La posizione di Kivy non ci consente di mettere da canto la tesi del narcisismo espressivo La musica non può che ripetere il mondo umano – il mondo delle nostre emozioni e passioni. Ma è vero? Ancora una volta: possiamo solo ritrovarci nel mondo?