L’ASCESA DI POMPEO
• Quando Silla si ritirò volontariamente dalla vita politica, il
senato non fu più in grado di governare Roma. I problemi erano
molti: tra i più gravi vi erano l’insurrezione popolare scoppiata
nei territori spagnoli, le ostilità riaperte da Mitridate in
Oriente, una rivolta servile scoppiata in Italia che, a differenza
di quelle minori del secolo precedente, rapidamente domate, era
destinata a rivelarsi la più grave della storia romana.
• Era necessario un nuovo capo militare che spingesse l’esercito a
sostenere le sorti del senato: quest’uomo fu Gneo Pompeo.
Dopo aver combattuto giovanissimo a fianco di Silla, egli
aveva affrontato una difficile situazione in Spagna. Lì il
generale Quinto Sertorio capeggiava la rivolta di coloro che
sostenevano l’indipendenza della Lusitania (attuale
Portogallo), a fianco dei quali si erano schierati anche esuli
romani. La lotta era cominciata nell’80 a.C. e, nonostante
l’arrivo di Pompeo, si concluse solo nel 72 a.C., quando
Sertorio venne ucciso a tradimento da un suo soldato.
• Sulla strada del ritorno dalla penisola iberica Pompeo riuscì a
riportare un’ulteriore vittoria. Nel 73 a.C. era scoppiata una
rivolta servile capeggiata da Spartaco, uno schiavo
proveniente dalla Tracia, che la sorte aveva condotto a Capua,
dove aveva sede la più celebre scuola di gladiatori. Egli aveva
concepito un piano per rendere la libertà ai suoi compagni, che
al suo seguito avrebbero risalito l’Italia per poter tornare nei
propri paesi d’origine, la Gallia o la Tracia. Spartaco, però, si
trovò a guidare un esercito di circa 150000 rivoltosi, che,
contrariamente al piano, non si diresse a nord, bensì a sud, a
ciò istigato da alcuni delinquenti infiltratisi nel gruppo, con
l’intenzione di saccheggiare le ricche città del Meridione.
• Roma, per fermare questa rivolta, fu costretta a mobilitare un
esercito al comando di Marco Licinio Crasso. Nel 71 a.C. i
ribelli vennero sconfitti e 6000 schiavi superstiti furono messi a
morte su altrettante croci, issate lungo la via Appia, tra Capua
e Roma. Quelli che erano riusciti a mettersi in salvo
dirigendosi verso nord furono sbaragliati da Pompeo.
• Le vittorie militari avevano fatto acquistare a Pompeo una
popolarità ed un prestigio che incominciarono a preoccupare
persino l’aristocrazia senatoria, che fino a quel momento aveva
riposto in lui tutte le sue speranze ed i cui interessi egli aveva fino
ad allora sostenuto.
• Tornato a Roma, Pompeo aveva iniziato ad ambire al consolato,
anche se non aveva ricoperto le cariche inferiori, come volevano le
riforme sillane. Per forzare il senato, egli strinse alleanza con
Crasso, l’uomo più ricco di Roma. Per ottenere il consenso anche
dei populares, Pompeo promise che, da console, avrebbe modificato
in senso democratico la costituzione sillana. Con Pompeo e Crasso
accampati con le loro legioni alle porte di Roma e con i populares
che li sostenevano, il senato fu costretto a cedere: contro le regole
costituzionali, nel 70 a.C. Pompeo e Crasso divennero consoli.
• Fedele alle promesse fatte, Pompeo propose e fece votare una serie
di leggi che smantellavano la costituzione sillana (reinserì i
cavalieri nelle giurie dei tribunali speciali per il reato di
malgoverno nelle province; restituì ai tribuni della plebe le
prerogative loro sottratte; espulse dal senato ben 84 senatori
indegni.)
• Sarebbe sbagliato pensare che Pompeo avesse abbracciato
completamente la causa dei populares; semplicemente egli aveva
capito che la politica del senato era perdente e che la corruzione al
suo interno aveva raggiunto un livello inaccettabile, come
dimostrato dal famoso scandalo di Verre, un pretore che, nel 70
a.C., venne processato per gli abusi commessi in Sicilia.
• Al termine dell’anno in carica come console, Pompeo rifiutò di
andare a comandare una provincia e ricevette invece poteri
straordinari per combattere contro i pirati. Quest’ultimi avevano
stabilito le loro basi sulle coste meridionali dell’Asia Minore, della
Cilicia e di Creta e rappresentavano ormai una minaccia che
doveva essere affrontata. Nel 67 a.C., Pompeo, dopo 3 mesi di
combattimenti, riuscì ad avere la meglio sui pirati ed a rendere più
sicura la navigazione nel Mediterraneo.
• L’anno successivo a Pompeo vennero nuovamente affidati i pieni
poteri, questa volta al fine di chiudere per sempre la partita con
Mitridate, re del Ponto, che nel 75 a.C. aveva invaso la Cappadocia
e la Bitinia, territori sotto il protettorato di Roma. Pompeo ebbe
facilmente ragione di Mitridate, che, nel 63 a.C., tradito dal suo
stesso figlio Farnace, si uccise.
• Nel 62 a.C., quando tornò in patria, Pompeo non diede alcun
segno di voler abusare del proprio potere, come i suoi
concittadini temevano. Dopo aver congedato l’esercito, si
limitò a chiedere al senato la ratifica dei provvedimenti presi
in Asia e la distribuzione di terre ai suoi veterani.
• Un passo indietro: alla fine del 63 a.C., mentre Pompeo era in
Oriente, a Roma venne scoperto e sventato un tentativo di
colpo di stato. Il piano prevedeva l’eliminazione dei consoli in
carica, una strage di senatori e, almeno sulla carta,
l’attuazione di un progetto rivoluzionario, che aveva al centro
la cancellazione dei debiti, una delle antiche e mai soddisfatte
aspirazioni della plebe e al tempo stesso uno dei provvedimenti
più invisi ai nobili, che dal prestito ad usura traevano una
percentuale significativa dei loro redditi. A progettare ed
animare la congiura fu Lucio Sergio Catilina, un nobile di
famiglia prestigiosa, ma dalle condizioni economiche
gravemente dissestate. La congiura fu scoperta grazie ad una
spiata e repressa con provvedimenti ai limiti della legalità da
Cicerone, che quell’anno era salito al consolato proprio
imponendosi sulla candidatura di Catilina.
L’ASCESA DI CESARE
• Caio Giulio Cesare, nato nel 100 a.C., apparteneva
all’antica, nobile famiglia degli Iulii, che si vantava di
discendere da Enea, figlio di Venere. Durante la guerra
civile, aveva sostenuto i populares, salvandosi dalle
proscrizioni solo grazie alle numerose amicizie
aristocratiche. Pur essendo nobile, tuttavia, la sua
famiglia si trovava in disastrose condizioni economiche,
per risollevare le quali, con grande abilità, Cesare si alleò
con Crasso, che non solo finanziava le sue campagne
politiche, ma pagava i debitori che lo perseguitavano.
• Crasso, a sua volta, era un uomo di scarsa abilità politica
e di ancor più scarsa popolarità, il quale doveva il suo
potere unicamente alle ingenti ricchezze personali, che gli
permettevano di controllare le elezioni.
• Pompeo, una volta rientrato dalla guerra contro
Mitridate, era rimasto profondamente deluso dal
comportamento del senato che aveva respinto le sue
richieste (terre ai veterani; ratifica dei provvedimenti da
lui presi in Asia Minore), limitandosi a tributargli il
trionfo.
• Nel 60 a.C., Cesare (che aspirava al consolato), Crasso e
Pompeo si resero conto che, alleandosi tra di loro,
avrebbero potuto raggiungere i loro obiettivi, superando
l’ostilità del senato. In quell’anno, dunque, i tre strinsero
a Lucca un accordo noto come primo triumvirato. In
realtà, si trattava di un puro e semplice accordo
personale, secondo cui Pompeo avrebbe appoggiato la
candidatura di Cesare al consolato per l’anno 59 a.C.,
Cesare avrebbe fatto approvare i provvedimenti di
Pompeo, Crasso avrebbe sostenuto presso gli esponenti
della classe finanziaria la distribuzione delle terre ai
veterani di Pompeo.
• Eletto console nel 59 a.C., Cesare onorò gli impegni presi
con Pompeo e con Crasso. Oltre alla distribuzione di
terre ai veterani di Pompeo, Cesare ottenne che si
distribuissero terreni anche alla plebe. Cesare inoltre
stabilì che i verbali delle sedute delle assemblee e del
senato venissero resi pubblici ed abolì la pratica di
prendere gli auspici prima delle assemblee legislative.
• Durante il consolato, Cesare si era assicurato il comando
proconsolare nella Gallia Cisalpina e nell’Illirico. In
seguito, ottenne il governo della Gallia Narbonense
(l’attuale Provenza), una regione assai turbolenta, ma
proprio per questo interessante agli occhi di Cesare. Egli
sognava di portare i confini di Roma sempre più a nord e
ad ovest nella Gallia libera, oltre i confini della
Narbonense. Prima di lasciare Roma, però, pensò di
allontanare dalla città i suoi nemici optimates, Cicerone
e Marco Porcio Catone (il pronipote del celebre Catone il
Censore).
• L’occasione che Cesare aspettava per muovere guerra
contro le popolazioni galliche giunse quando gli Elvezi,
che occupavano l’attuale Svizzera occidentale, incalzati
dalle popolazioni germaniche degli Svevi e dei Sequani,
iniziarono a premere sui confini degli Edui, una tribù
gallica libera, stanziata ad occidente del territorio
elvetico.
• Di fronte al pericolo, gli Edui, alleati dei Romani, chiesero
aiuto a Cesare e la risposta di questi fu immediata: nel 58
a.C., ancora prima che il senato lo autorizzasse, affrontò
gli Elvezi a Bibracte (oggi Autun) e li sconfisse. Assunta la
veste di difensore dei Galli liberi, egli sconfisse poi
Ariovisto, re dei Germani, giungendo ai confini della
Gallia del Nord. Le popolazioni locali si unirono in una
coalizione antiromana, che, però, fu rapidamente
sgominata da Cesare, il quale, nel 57 a.C., raggiunse le
coste della Manica.
LA GALLIA
PREROMANA
LE SPEDIZIONI DI CESARE IN GALLIA
• A Roma, durante l’assenza di Cesare, i populares erano
impegnati in continui scontri con le bande armate di un
certo Milone, di cui gli aristocratici si servivano per
contrastare la loro politica. Inoltre, Pompeo, allarmato dal
potere crescente di Cesare, aveva ripreso i contatti con
l’oligarchia senatoria, incoraggiandola a richiamare
Cicerone dall’esilio (come poi avvenne).
• Deciso ad impedire che queste manovre cambiassero gli
equilibri di potere, nel 56 a.C., Cesare tornò in Italia e a
Lucca strinse con Pompeo e Crasso un nuovo accordo, in
cui, di nuovo, le cariche pubbliche venivano “lottizzate” a
fini di potere personale: Cesare sarebbe stato di nuovo
proconsole in Gallia, Pompeo e Crasso sarebbero divenuti
consoli nel 55 a.C. e quindi avrebbero avuto a loro volta un
proconsolato.
• Tuttavia l’accordo non durò a lungo; Pompeo si schierò ben
presto dalla parte dell’aristocrazia senatoria, presentandosi
come il difensore delle istituzioni repubblicane e come il più
feroce avversario di chi a queste attentava (vale a dire
Cesare). Nel 53 a.C. Crasso morì combattendo contro i Parti
e nel 52 a.C. Pompeo, per volere del senato, fu nominato
console senza collega, con potere assoluto di guerra e
incaricato di reclutare un esercito per controllare la città.
Del tutto al di fuori delle regole istituzionali che il senato
sosteneva di difendere, per volere di questo stesso organo,
egli aveva in mano il potere assoluto di governo ed era
giunto a disporre di una forza militare notevole.
• Tornato in Gallia, Cesare aveva continuato la sua
irresistibile marcia di conquista, raggiungendo la
Britannia, ancora sconosciuta, dove, nel 54 a.C., aveva
stretto alleanza con alcune tribù locali, giungendo fino
al Tamigi.
• Ma nel 53 a.C. fu di nuovo impegnato in Gallia, per
combattere Vercingetorìge, giovane capo degli Arverni,
al comando di numerose tribù decise a riconquistare la
libertà perduta. Dopo aver tenuto eroicamente fronte per
2 anni alle legioni romane, nel 52 a.C., asserragliato
nella città di Alesia, Vercingetorìge fu costretto ad
arrendersi al nemico nettamente più forte.
• Ridotta a provincia, la Gallia venne definitivamente
incorporata nel mondo romano.
LA SECONDA GUERRA CIVILE
• Forte delle vittorie militari, Cesare intendeva proporre la
propria candidatura al consolato, ma il senato, temendo che
egli intendesse conquistare il potere con la forza, decise di
contrastare le sue aspirazioni. Per essere eletto, Cesare
avrebbe dovuto lasciare le sue legioni e presentarsi a Roma
come privato cittadino.
• Egli chiese allora che anche Pompeo sciogliesse il suo
esercito, ma il senato respinse la richiesta. Pertanto, la notte
del 10 gennaio del 49 a.C., Cesare attraversò con le legioni il
fiume Rubicone, presso Rimini (che segnava i confini fra la
Gallia Cisalpina e l’Italia centro-meridionale), pronunciando
la storica frase “Alea iacta est”. Secondo la legge, chiunque
avesse condotto un esercito oltre il Rubicone sarebbe
divenuto nemico di Roma.
• Cesare avanzò verso la capitale senza incontrare
pressoché alcuna resistenza. Incapace di organizzare una
difesa, Pompeo fuggì allora in Macedonia. Cesare,
conquistata la penisola italica e sgominate in Spagna le
legioni fedeli a Pompeo, nel 48 a.C. sconfisse lo stesso
Pompeo in Grecia, nella battaglia di Farsàlo, in Tessaglia.
• Pompeo si spostò a quel punto in Egitto, dove regnavano
Tolomeo XIII e la sorella e sposa Cleopatra. Tolomeo
ordinò che Pompeo venisse ucciso, senza ottenere alcuna
ricompensa da Cesare per il suo gesto. Quest'ultimo,
infatti, nel contrasto che opponeva Cleopatra al fratello,
sostenne con decisione le parti della ventiduenne regina,
della quale, ormai cinquantaduenne, si era perdutamente
innamorato.
• Nel frattempo, in Asia Minore si era ribellato il re del
Ponto Farnace ( figlio di Mitridate). Cesare, costretto a
lasciare l’Egitto, nel 47 a.C. lo sconfisse a Zela con tale
rapidità che la notizia venne comunicata al senato con
un’altra delle sue frasi diventate storiche: “Veni, vidi,
vici”.
• Recatosi quindi in Africa, nel 46 a.C. sconfisse a Tapso i
seguaci di Pompeo superstiti (tra cui Catone il Giovane),
che avevano trovato rifugio alla corte di Giuba, re di
Numidia. Ad Utica Catone il Giovane preferì uccidersi
piuttosto che assistere alla fine della libertà repubblicana
(per questo verrà soprannominato Catone l’Uticense). Gli
ultimi seguaci di Pompeo furono definitivamente battuti
nel 45 a.C. a Munda, nel sud della Spagna.
• Cesare era ormai padrone di Roma.
CAIO GIULIO CESARE
• Di Cesare fu scritto:
"Così egli operò e creò,
come mai nessun
altro mortale prima e
dopo di lui, e come
operatore e creatore
Cesare vive ancora,
dopo tanti secoli, nel
pensiero delle nazioni;
il primo e veramente
unico imperatore" (Th.
Mommsen, Storia di
Roma antica - Libro V Cap. XI)
IL GOVERNO DI CESARE
•
Assunto il titolo di imperator (generale vittorioso) e di
padre della patria, Cesare si fece nominare dittatore a vita.
Le istituzioni repubblicane erano formalmente ancora in
vigore, ma nella sostanza tutti i poteri erano concentrati
nelle mani di Cesare. Questi non ne abusò e con
magnanimità e senso dello stato diede inizio ad
un’organica politica riformatrice, i cui atti principali
furono i seguenti:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Fece rientrare a Roma gli esiliati.
Concesse la cittadinanza romana agli abitanti della Gallia
Cisalpina.
Emanò nuove leggi per lo sviluppo dell’agricoltura, dell’artigianato
e del commercio.
Migliorò il governo delle province.
Razionalizzò il sistema delle distribuzioni gratuite di grano.
Diede inizio ad una campagna di grandi opere pubbliche per
diminuire la disoccupazione (sistemazione del Foro, arginamento
del Tevere, prosciugamento delle Paludi Pontine).
Fondò colonie per garantire una decorosa sistemazione ai proletari.
• All’aristocrazia senatoria nulla importava di tutte queste
iniziative. Essa voleva riconquistare il potere perduto e
dava credito alle voci secondo le quali Cesare avrebbe
voluto instaurare una monarchia di tipo orientale, in
questo influenzato da Cleopatra, dalla quale, tra l’altro,
aveva avuto un figlio, Cesarione. Inoltre, Cesare era odiato
anche da alcuni repubblicani, convinti che egli avesse
privato Roma della libertà.
• In questo clima maturò la congiura che portò alla sua
morte. Il 15 marzo del 44 a.C. (le Idi di marzo) Cesare si
recò in senato, nonostante fosse stato avvertito
dell’esistenza del complotto. Qui si trovò il passo sbarrato
dai congiurati, capeggiati da Cassio e da Marco Giunio
Bruto, suo figlio adottivo. Dopo aver pronunciato una delle
frasi più celebri che la storia romana ricordi (Tu quoque,
Brute, fili mi!), Cesare si tirò la toga sul capo, offrendo
simbolicamente la vita agli dei, e cadde sotto 23 colpi di
pugnale.
L’EREDITA’ DI CESARE: ANTONIO E OTTAVIANO
• Nei giorni successivi alle Idi di marzo, si scatenò la rivalità
tra Antonio, uno dei luogotenenti più vicini a Cesare, che
voleva presentarsi come suo successore, ed il diciannovenne
Caio Ottaviano, nato nel 63 a.C. da una figlia di Giulia,
sorella del dittatore scomparso, da quest’ultimo adottato e
citato nel suo testamento come suo erede ufficiale.
• Inoltre, sempre per testamento, Cesare aveva lasciato 300
sesterzi ad ogni membro del proletariato urbano e ad ogni
legionario. Il 20 marzo, durante i suoi funerali, il popolo,
che lo aveva sempre amato, si abbandonò a manifestazioni
di dolore e di protesta così violente che Bruto e Cassio, le
cui case nel frattempo erano state incendiate, furono
costretti a fuggire in Oriente.
• Verso la fine di aprile, Ottaviano, che alle Idi di marzo si
trovava in Epiro, tornò a Roma fermamente deciso a far
rispettare le ultime volontà di Cesare.
• Poiché Antonio si rifiutò di consegnargli il lascito di
Cesare, Ottaviano vendette i propri beni personali e, con il
ricavato, distribuì alla plebe ed ai soldati le somme loro
destinate da Cesare. In questo modo la sua popolarità
crebbe enormemente.
• Antonio, nel frattempo, pretendeva il governo della Gallia
Cisalpina, già regolarmente assegnato a Decimo Bruto.
Contro le sue pretese, Cicerone si era scagliato con le
celebri orazioni note come Filippiche, perché la loro
veemenza ricordava le orazioni pronunciate dall’oratore
greco Demostene contro Filippo il Macedone. Ma Antonio
non aveva ceduto ed era partito con l’esercito verso la
Gallia, intendendo occuparla con la forza. In aiuto di
Decimo Bruto il senato inviò allora l’esercito consolare, al
quale si affiancarono le truppe raccolte da Ottaviano. Nel
43 a.C., a Modena, Antonio fu sconfitto e da lì si recò nella
Gallia Narbonense, raggiungendo il generale Marco Emilio
Lepido, proconsole in quella provincia e suo fedelissimo. I
due vennero dichiarati nemici della repubblica.
• Ottaviano, nonostante avesse appena raggiunto i 20 anni e non
avesse ancora percorso il cursus honorum, chiese di ricoprire il
consolato. Quando il senato respinse la sua richiesta,
accusandolo, tra l’altro, di aver combattuto contro Antonio
con truppe irregolari, Ottaviano cominciò a pensare
all’opportunità di un accordo con il suo rivale. Dopo essersi
assicurato quest’alleanza, nel 43 a.C. egli fece accampare le sue
truppe in armi alle porte di Roma e, entrato in città, si fece
eleggere console. Il suo primo provvedimento fu la revoca
dell’amnistia concessa ai cesaricidi e dell’editto con cui
Antonio e Lepido erano stati dichiarati nemici della patria.
• Sempre nel 43 a.C., Ottaviano incontrò a Bologna Antonio e
Lepido, con i quali strinse un accordo noto come “secondo
triumvirato”. Esso aveva una durata di 5 anni, si prefiggeva di
punire gli uccisori di Cesare, di combattere i loro alleati e di
dare allo stato una nuova costituzione. A differenza del primo
triumvirato, che era stato solamente un accordo privato,
l’intesa tra Ottaviano, Antonio e Lepido fu considerata una
magistratura straordinaria e venne resa pubblica.
• Per sgominare i nemici, i triumviri ricorsero, come ai
tempi di Silla, alle liste di proscrizione e le liste furono,
ancora, il pretesto per massacrare centinaia di innocenti.
Tra le vittime politiche vi fu anche Cicerone, che con le
Filippiche si era attirato l’odio di Antonio.
• I cesaricidi Bruto e Cassio, nel frattempo, avevano
raccolto in Macedonia un esercito. Ottaviano ed
Antonio, mentre Lepido restava a controllare la
situazione a Roma, partirono per costringerli alla
battaglia e, nel 42 a.C., li sconfissero definitivamente
nella pianura di Filippi, fra la Tracia e la Macedonia.
Bruto e Cassio si suicidarono. La partita con gli
anticesariani era chiusa e Roma era nelle mani dei
triumviri.
LA FINE DELLA REPUBBLICA
• Dopo la battaglia di Filippi, la rivalità tra i 2 antichi nemici,
Antonio ed Ottaviano, si riaccese, provocando una situazione di
estrema instabilità politica, vicina alla guerra civile. Per evitare lo
scontro armato, nel 40 a.C. Antonio, Ottaviano e Lepido si
incontrarono a Brindisi e strinsero un nuovo patto: Antonio avrebbe
avuto le province orientali, Ottaviano quelle occidentali e Lepido
l’Africa, assai meno importante. Tale accordo fu rafforzato da 2
importanti matrimoni: Ottaviano sposò Scribonia, parente di Sesto
Pompeo; Antonio prese in moglie Ottavia, sorella di Ottaviano.
• Ma il matrimonio non fu sufficiente a tenere Antonio lontano
dall’Egitto, dove, nel frattempo, era caduto a sua volta vittima del
fascino di Cleopatra. Tornato dunque in Egitto, Antonio si stabilì
alla corte di Alessandria, iniziando una convivenza con l’ambiziosa
regina e comportandosi come se le province d’Oriente fossero sua
proprietà privata. Tra l’altro, si disinteressò per lungo tempo del
fatto che i Parti continuassero a minacciare i confini orientali del
territorio romano, fino a quando, nel 36 a.C., si decise finalmente a
prendere le armi, ma fu costretto ad una drammatica ritirata.
• Mentre Antonio veniva presentato dalla propaganda di
Ottaviano come un traditore che non rispettava né i doveri
pubblici né gli impegni matrimoniali, Ottaviano si impegnava
con grande abilità e successo a costruirsi l’immagine del
difensore dello stato e dei valori familiari. Dopo aver sconfitto
in Sicilia nel 36 a.C. Sesto Pompeo (ripudiando al tempo stesso
la moglie Scribonia per sposare la diciannovenne Livia), nello
stesso anno eliminò Lepido dalla scena politica: Ottaviano
rimase così padrone assoluto dell’Occidente.
• In Oriente, invece, Antonio progettava di instaurare una
monarchia orientale di tipo ellenistico, con capitale
Alessandria.
• In considerazione di questo fatto, Ottaviano cercò di suscitare
l’ostilità di tutti i suoi concittadini nei confronti di Antonio:
essendo venuto in possesso del suo testamento, ne diede
pubblica lettura in senato. Antonio aveva disposto che le
province romane d’Oriente, quasi fossero sue proprietà
personali, andassero in eredità ai due figli avuti da Cleopatra.
• Il senato, con il consenso del popolo, dichiarò allora
Antonio nemico della patria e nel 32 a.C. Ottaviano fu
incaricato di muovergli guerra.
• Ottaviano dichiarò guerra all’Egitto di Cleopatra,
ignorando formalmente l’esistenza di Antonio, che, nel
frattempo, alla guida dell’esercito egizio, si era trasferito
sulle coste occidentali della Grecia per poter da qui passare
in Italia.
• Nella primavera del 31 .C. Ottaviano, con la sua flotta,
bloccò l’uscita del golfo di Ambracia, in Epiro, presso il
promontorio di Azio: qui Antonio subì una durissima
sconfitta. Cleopatra riuscì a fuggire con una sessantina di
navi e Antonio la seguì.
• L’anno seguente, il loro esercito di terra venne sconfitto
dalle truppe di Ottaviano, che aveva posto l’assedio ad
Alessandria d’Egitto. Antonio e Cleopatra si tolsero la vita.
• Ottaviano era il padrone incontrastato di Roma e la
repubblica era giunta alla sua fine.