Storia del teatro:
dai modelli greci e latini
alla sperimentazione contemporanea
Introduzione
Il teatro ha origini antichissime: è una delle prime
manifestazioni culturali dell’uomo
Nelle prime civiltà, infatti, il teatro è legato a questi
due termini: rito e mito
Tutti i popoli dell’antichità celebravano feste e riti
accompagnandoli spesso con canti, danze e parti
recitate.
Le origini del teatro greco classico
In Occidente la storia del teatro parte dalla
Grecia, la culla della nostra civiltà, e in
particolar modo nella città di Atene.
L’origine probabilmente è legata ad alcune
cerimonie che si svolgevano, fin dal VII
secolo a.C., in onore di Dioniso, dio della
natura e della fertilità della terra.
Durante
questi
riti
i
partecipanti
danzavano, cantavano e recitavano in coro
ricoperti con pelli di capra ed erano detti,
perciò, “tragoi”, che significa “capri”.
Maschera di Dioniso
conservata al museo del
Louvre a Parigi
Dal rito alla rappresentazione
Il termine tragedia (“canto del capro”) deriva, quindi, dai
canti rituali (chiamati ditirambi) che venivano intonati durante
le processioni in onore del dio Dioniso.
In principio i partecipanti al rito erano riuniti in un gruppo, o
meglio in un coro, che agiva contemporaneamente.
Poi i ruoli hanno cominciato ad essere ben definiti, per cui il rito
è diventato gradualmente una rappresentazione, cioè non
più qualcosa cui si partecipa agendo in prima persona, ma
qualcosa cui si partecipava osservando.
Alcuni individui si sono distaccati dal gruppo per assumere dei
ruoli più precisi e diventare attori, altri hanno continuato a
partecipare da spettatori.
La funzione del Coro
Dioniso attorniato dai satiri
La funzione del gruppo era così importante che in seguito il
coro è rimasto quasi come fosse un solo personaggio. Esso era
costituito da un gruppo di attori, spesso guidati da un capo, il
corifeo.
Il coro rappresentava un vero e proprio personaggio a più voci
che dialogava con i protagonisti, esprimeva commenti e
riflessioni, raccontava al pubblico alcuni fatti.
Il coro, insomma, era la voce dell’autore.
I primi autori
La tradizione attribuisce la rappresentazione teatrale più antica
al poeta greco Tespi, il quale avrebbe composto nel 534 a.C. il
primo dialogo tra un attore e un coro.
Secondo il poeta latino Orazio, Tespi si spostava da una città
all’altra dell’Attica con un carro sul quale innalzava un palco;
due attori con i visi dipinti cantavano dei cori di argomento
storico.
Dopo qualche tempo vi aggiunse un terzo attore, il quale
separatamente dai cori recitava dei versi.
Dopo Tespi, seguirono altri autori come Frinico, Cherilo e
Pratina.
Le forme del teatro greco:
tragedia e commedia
Il teatro di Epidauro
Nel teatro greco si rappresentavano due forme di spettacolo: la
tragedia, considerata la forma artistica più elevata, e la
commedia, che presentava fatti della vita quotidiana con
personaggi popolari e si concludeva quasi sempre con un lieto
fine.
Il teatro ad Atene/1
Il teatro di Doniso ad Atene
(illustrazione del 1891).
Gli spettacoli erano organizzati dallo Stato
come veri riti religiosi e si svolgevano
durante le feste Dionisie (dedicate al dio
Dioniso) all’inizio della primavera.
Lo Stato affidava la messinscena delle
tragedie a cittadini ricchi che provvedevano
a pagare gli autori, gli attori, i musicisti e i
danzatori.
La tragedia antica non era solo uno
spettacolo, come lo intendiamo oggi, ma
piuttosto un rito collettivo della pòlis.
Si svolgeva durante un periodo sacro, in
uno spazio consacrato (al centro del teatro
sorgeva l’altare del dio).
Il teatro ad Atene/2
Le
feste durante le quali avvenivano
rappresentazioni teatrali, dunque, erano:
ad
Atene
le
1. Le Lenee, feste popolari che si tenevano in inverno,
caratterizzate dalla rappresentazione di commedie e a
volte di tragedie.
2. Le Dionisie, che si dividevano in Grandi Dionisie e
Dionisie rurali. Le prime erano le feste più importanti,
celebrate all’inizio della primavera, in cui venivano messe
in scena sia tragedie sia commedie, e a cui potevano
assistere i
cittadini di tutte le città della Grecia (ad
eccezione, si può supporre, delle città nemiche di
Atene). Le Dionisie rurali erano invece feste di minore
importanza, organizzate durante l’inverno nei paesi
attorno ad Atene, aperte solo ai cittadini ateniesi e nelle
quali venivano rappresentate solo commedie.
La funzione e le forme del teatro ad Atene/ 1
Il teatro assunse la funzione di cassa di risonanza per le idee, i
problemi e la vita politica e culturale dell’Atene democratica: la
tragedia parla di un passato mitico, ma il mito diventa
immediatamente metafora dei problemi profondi della società
ateniese.
Durante le Dionisie si svolgeva un agone tragico, cioè una
gara tra tre poeti, scelti dall’arconte eponimo (uno dei
magistrati più importanti ad Atene), ognuno dei quali doveva
presentare una tetralogia composta di tre tragedie e un
dramma satiresco.
Spesso l’autore era anche attore, componeva le musiche e
dirigeva le danze.
La funzione e le forme del teatro ad Atene/ 2
Le rappresentazioni tragiche duravano tre giorni, mentre il
quarto giorno era dedicato alla messa in scena di tre
commedie.
Alla fine dei tre giorni di gara si attribuiva un premio al miglior
coro, al miglior attore e al miglior poeta.
Tutti erano invitati a partecipare: l’ingresso era gratuito e ai
cittadini più poveri era offerto un contributo, in sostituzione
della paga giornaliera persa per assistere alla rappresentazione.
Il pubblico, che assisteva per tutto il giorno alle
rappresentazioni, si portava da casa cibo e bevande e
manifestava vivacemente il suo giudizio fischiando o battendo
mani e piedi.
La tragedia
La tragedia metteva in scena eventi importanti e drammatici, i
cui protagonisti erano figure di altro rango: eroi, principi, re.
Le vicende rappresentate spesso si concludevano in modo
violento, con la morte del protagonista e di altri personaggi, e
avevano lo scopo di suscitare sentimenti di pietà e terrore negli
spettatori.
Assistendo alle conseguenze dei comportamenti negativi dei
personaggi, gli spettatori riflettevano sui misteri dell’esistenza e
cercavano di sfogare le passioni umane per raggiungere una
più alta serenità.
La tragedia si diffuse col diffondersi delle grandi feste in onore
del dio Dioniso e inizialmente si svolgevano in uno spazio nei
pressi del tempio a lui dedicato.
L’etimologia di “tragedia”
Per quanto riguarda l’etimologia della parola trago(i)día si
distinguono in essa le radici di “capro” (trágos) e “cantare”
(á(i)dô), sarebbe quindi il “canto del capro”, forse in riferimento
al premio che in origine era consegnato al vincitore dell’agone
tragico (per l’appunto, un capretto), o al sacrificio di questo
animale, sacro a Dioniso, che spesso accompagnava le feste
in onore del dio.
Una teoria più recente fa derivare “tragedia” dal vocabolo raro
traghìzein, che significa “cambiare voce, assumere una voce
belante come i capretti”, in riferimento agli attori.
Una terza ipotesi
suggerisce che tragoidía significhi più
semplicemente “canto dei capri”, dai personaggi satireschi che
componevano il coro delle prime azioni sacre dionisiache.
La tragedia greca classica
La tragedia fiorì in Grecia tra il VI e il V secolo a.C.
I più importanti e riconosciuti autori di tragedie furono
Eschilo, Sofocle ed Euripide, che in diversi momenti storici,
affrontarono i temi più sentiti della loro epoca.
La tragedia greca inizia generalmente con un prologo (da prò e
logos, discorso preliminare), che ha la funzione di introdurre il
dramma; segue la parodo (pàrodos) che consiste nell’entrata in
scena del coro attraverso dei corridoi laterali, le pàrodoi;
l’azione scenica vera e propria si dispiega quindi attraverso tre
o più episodi (epeisòdia), intervallati dagli stasimi, degli
intermezzi in cui il coro commenta, illustra o analizza la
situazione che si sta sviluppando sulla scena; la tragedia si
conclude con l’esodo (èxodos).
Gli autori tragici
Molte opere sono andate perdute o sono
giunte fino a noi solo in frammenti.
Eschilo
I tre più grandi autori greci di tragedie
appartengono al V secolo a.C., quando la
città di Atene visse il suo momento di
maggiore splendore: l’età di Pericle.
Eschilo (545 – 456 a.C.), Sofocle (496 –
406 a.C.) ed Euripide (485 – 406 a.C.)
rappresentano nella storia del teatro antico
modelli difficilmente
ripetibili e le loro
tragedie ancora oggi vengono messe in
scena nei teatri di tutto il mondo.
Euripide
Eschilo
Eschilo (525 a.C. –456 a.C.) viene unanimemente considerato
l’iniziatore della tragedia greca nella sua forma matura ed è il
primo dei poeti tragici dell’antica Grecia di cui ci siano
pervenute opere per intero.
Regista, oltre che poeta, a lui viene attribuita l’introduzione di
maschera e coturni, inoltre è con lui che prende l’avvio la
trilogia, o “trilogia legata”.
Introducendo un secondo attore, rese possibile la
drammatizzazione di un conflitto. Da questo momento fu infatti
possibile esprimere la narrazione tramite dialoghi, oltre che
monologhi.
Nonostante i personaggi di Eschilo non siano sempre
unicamente eroi, quasi tutti hanno caratteristiche superiori
all’umano e sono assolutamente fedeli alla divinità.
Le tragedie di Eschilo
Eschilo scrisse probabilmente una novantina di opere, ma di
queste ne sono giunte ai giorni nostri solo sette:
•
•
•
•
I Persiani (rappresentata nel 472 a.C.)
Sette contro Tebe (rappresentata nel 467 a.C.)
Supplici (rappresentata nel 463 a.C.)
Prometeo incatenato (rappresentata tra il 470 e il 460
•
Orestea - trilogia (rappresentata nel 458 a.C.), costituita
a.C.).
da:
1. Agamennone
2. Coefore
3. Eumenidi
Sofocle
Sofocle (496 a.C. –406 a.C.) introdusse alcune innovazioni che
riguardarono molti aspetti della rappresentazione tragica:
•fece utilizzare i calzari bianchi e i bastoni ricurvi,
•abolì l’obbligo della “trilogia legata”,
•introdusse un terzo attore, che permetteva alla tragedia di
moltiplicare il numero dei personaggi possibili,
•aumentò a quindici il numero dei coreuti,
•ruppe l’obbligo della trilogia, rendendo possibile la
rappresentazione di drammi autonomi,
•introdusse l’uso di scenografie,
•ridusse il ruolo del coro, che si defila dall’azione, partecipa
sempre meno attivamente e diventa piuttosto spettatore e
commentatore dei fatti,
•introdusse il monologo, che permetteva all’attore di mostrare
la sua abilità e al personaggio di esprimere compiutamente i
propri pensieri.
Le tragedie di Sofocle
Sofocle scrisse, secondo la tradizione, ben
centoventitré tragedie, di cui ne restano
solo sette:
• Antigone (442 a.C.);
• Aiace (intorno al 445 a.C.);
• Trachinie (data incerta);
• Edipo Re (circa 430 a.C.);
• Elettra (data incerta);
• Filotette (409 a.C.);
• Edipo a Colono
(406 a.C., ma
rappresentata postuma nel 401 a.C.).
Infine possediamo circa la metà di un
dramma satiresco:
• I cercatori di tracce (data incerta).
Sofocle
Euripide
Le caratteristiche delle tragedie di Euripide (480 a.C. – 406
a.C.) sono la ricerca di sperimentazione tecnica e la maggiore
attenzione che egli pone nella descrizione dei sentimenti, di cui
analizza l’evoluzione che segue il mutare degli eventi narrati.
La novità assoluta del teatro euripideo è rappresentata dal
realismo con il quale il drammaturgo tratteggia le dinamiche
psicologiche dei suoi personaggi.
L’eroe descritto nelle sue tragedie non è più il risoluto
protagonista dei drammi di Eschilo e Sofocle, ma una
persona problematica ed insicura, non priva di conflitti interiori.
Le protagoniste femminili dei drammi sono le nuove figure
tragiche di Euripide, il quale ne tratteggia sapientemente la
tormentata sensibilità e le pulsioni irrazionali che si scontrano
con il mondo della ragione.
Le tragedie di Euripide
Di Euripide si conoscono novantadue drammi; sopravvivono
diciotto tragedie e un dramma satiresco.
Alcesti (438 a.C.);
Medea (431 a.C.);
Gli Eraclidi (forse 430
a.C. circa);
Ippolito ( 428 a.C.);
Troiane ( 415 a.C.);
Andromaca (forse 423
a.C. circa);
Ecuba ( 423 a.C.);
Supplici ( 414 a.C.);
Ifigenia in Tauride (forse
414 a.C. o 411 a.C. o
409 a.C.);
Elettra (forse 413 a.C.);
Elena ( 412 a.C.);
Eracle (data incerta);
Fenicie (410 a.C. circa);
Ifigenia in Aulide (410 a.C.);
Ione (forse 410 a.C.);
Oreste (408 a.C.);
Le Baccanti (406 a.C.);
Ciclope (data incerta, dramma
satiresco);
Reso
(data
incerta,
probabilmente apocrifo).
Il dramma satiresco
Il dramma satiresco era una delle forme, insieme alla
tragedia e alla commedia, in cui si articolava il teatro greco
classico e si caratterizzava per una struttura abbastanza
semplice in cui il coro era costituto da elementi travestiti da
satiri caprini che si muovevano sulla scena alternando momenti
di recitazione teatrale a momenti di vivace danza chiamata
sìkinnis.
Le storie erano di tipo comico, a volte addirittura parodie di
episodi mitologici, che presentavano i satiri nelle situazioni più
disparate.
A noi è pervenuto un solo dramma satiresco integro, ossia il
Ciclope di Euripide, ma anche parte di due drammi satireschi
di Eschilo (i Pescatori con la rete e gli Spettatori o atleti ai
giochi istmici) e di uno di Sofocle (I cercatori di tracce), oltre a
vari frammenti.
La commedia
Una commedia è un componimento teatrale dalle tematiche
leggere o atto a suscitare il riso, perlopiù a lieto fine.
La commedia, nella sua forma scritta, ha origine in Grecia nel
VI secolo a.C. e assunse una struttura autonoma durante le
feste dionisiache.
La prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel
486 a.C.
In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo burlesche
come le farse di Megara, composte di danze e scherzi, e simili
spettacoli si svolgevano alla corte del tiranno Gerone in Sicilia,
di cui non ci sono pervenuti i testi.
Secondo Aristotele, che nella Poetica attribuisce ai siciliani
Formide ed Epicarmo i primi testi teatrali comici, la
commedia siracusana precedette quella attica.
Di Epicarmo ci restano pochi frammenti di un’opera comica
(mimo).
L’etimologia di “commedia”
La parola greca “comodìa”, composta di “kòmos”
(corteo festivo) e “odè” (canto), indica come
questa forma di drammaturgia sia lo sviluppo in
una forma compiuta delle antiche feste
propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con
probabile riferimento ai culti dionisiaci.
Aristofane,
il più grande
commediografo
antico greco
A differenza della tragedia greca, che iniziò il suo
declino negli anni immediatamente successivi alla
morte di Euripide, il genere comico continuò
successivamente a mantenere per molto tempo la
propria vitalità, sopravvivendo fino alla metà del
III secolo a.C., adattandosi ai cambiamenti
politici, culturali e sociali.
Periodi della commedia greca
I commentatori antichi distinsero tre fasi della commedia
greca:
1. commedia antica (archàia), nel periodo che va dalle
origini fino al IV secolo a.C.;
2. commedia di mezzo, fino all’inizio dell’Ellenismo (323
a.C.);
3. commedia nuova, che coincide con l’età ellenistica.
Dopo quest’ultima fase il genere comico non scomparve, ma si
trasferì a Roma, all’interno della cultura latina, con i
commediografi latini di palliatae, cioè commedie latine
di argomento greco.
La commedia antica
Con l’espressione commedia antica s’intende la prima fase
della commedia attica che va dalle origini fino al IV sec.
a.C. e ha come massimo esponente Aristofane.
La commedia nasce cinquant’anni dopo la tragedia, ma si
afferma solo quando essa è già decaduta. Si divide in 5
parti:
• Prologo, recitato da una divinità che spiegava agli
spettatori quale era l’azione scenica
• Parodos, cioè l’ingresso nel coro
• Agone, cioè l’introduzione del fulcro della narrazione
• Parabasi, cioè quando l’attore andava verso le prime file
del teatro, dove solitamente sedevano i personaggi politici e
illustri, e incominciava a scherzare su di loro e a fargli delle
domande calde
• Esodo, cioè l’uscita del coro e la conclusione
Aristofane
Aristofane (450 a.C. circa – 388 a.C. circa) è l’unico
commediografo di cui ci siano pervenute alcune opere
complete.
Di straordinaria fantasia creativa, mescolò abilmente tutte le
forme del comico (allusioni scurrili, insulti, travestimenti,
disquisizioni accademiche ecc.) dandoci così uno dei
massimi esempi di quell’ampia libertà di parola (in greco
parresía), che fu l’essenza stessa della commedia
antica, comprensibile solo all’interno del clima culturale
della democrazia ateniese.
Le sue due prime commedie sono state rappresentate nel
427. In quegli anni Atene combatteva Sparta nella
Guerra del Peloponneso per mantenere l’egemonia
sulla Grecia.
Le commedie di Aristofane
Delle oltre quaranta commedie da lui scritte, solo undici sono
giunte intere sino a noi.
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Acarnesi (425 a.C.)
I cavalieri (424 a.C.)
Le nuvole (423 a.C.)
Vespe (422 a.C.)
Pace (421 a.C.)
Uccelli (414 a.C.)
Lisistrata (411 a.C.)
Tesmoforiazuse (411 a.C., titolo che significa “Le
donne alla festa di Dèmetra”)
Ecclesiazuse (393 a.C., “Le donne a parlamento”)
Rane (405 a.C.)
Pluto (388 a.C.)
I temi di alcune commedie di Aristofane
Tra le commedie più note citiamo:
•
Gli Acarnesi, in cui un cittadino, stanco della guerra del
Peloponneso che sembra non finire mai, riesce a stipulare
una pace personale con Sparta;
•
Le nuvole (423 a.C.), l’opera più significativa del grande
commediografo, offre, attraverso la grottesca satira del
filosofo Socrate, una spassosa caricatura degli eccessi della
scuola socratica, chiamata in modo irriverente il “Pensatoio”
e volutamente confusa con quella dei sofisti;
•
Uccelli in cui due ateniesi stanchi delle liti in Atene
fondano una città tra la terra e il cielo, disturbando perfino
la tranquilla esistenza degli dei;
•
Lisistrata, in cui le donne proclamano lo sciopero del
sesso per far terminare la guerra del Peloponneso.
Gli altri autori della commedia antica
Tra gli autori della commedia antica annoveriamo:
Epicarmo (524 a.C. circa – 435 a.C. circa), al quale erano
attribuite più di quaranta commedie, di cui ci restano solo
alcuni titoli.
Cratino (dopo il 520 a.C. – dopo il 423 a.C.), cui sono
attribuite
trentuno commedie, non pervenuteci: viene
considerato il fondatore della commedia politica
Eupoli (446 a.C. circa – 411 a.C. circa), che scrisse quattordici
commedie, di cui restano soltanto brevi frammenti: in esse
l’autore levava la sua voce di critica nei confronti della
corruzione del presente.
Cratete (450 a.C. circa – ... ), di cui restano dieci titoli e vari
frammenti.
Ferecrate (seconda metà V secolo a.C.), di cui sono rimasti 18
titoli e 250 frammenti.
La commedia di mezzo
I grammatici alessandrini raggrupparono nella commedia di
mezzo tutte quelle opere che, pur conservando elementi
della commedia antica, anticipavano anche motivi della
commedia nuova.
Dei numerosi poeti che la coltivarono - i più famosi furono
Antifane (388 a.C. circa – 311 a.C. circa), Anassandride
(400 a.C. circa - …), Alessi (IV – III sec. a.C.) e Eubulo
(IV sec. a.C.) - a noi sono giunti solo frammenti, i quali ci
possono consentire solo di cogliere pensieri, riflessioni,
scherzi raffinati e spunti comici, ma data la loro breve
estensione sono scarsamente indicativi per delineare la
struttura drammatica delle singole opere.
Nella commedia di mezzo scomparvero la parabasi e il coro,
a volte presente come semplice ornamento. Gli argomenti e
i personaggi erano tratti dalla vita comune.
La commedia nuova
Storicamente coincide pressappoco con l’età ellenistica, in cui il
cittadino è ridotto al rango di suddito, ininfluente dal punto
di vista politico.
I temi della commedia si adattano alla nuova realtà,
spostandosi dall’analisi dei problemi politici all’universo
dell’individuo.
I personaggi non riproducono che dei “tipi” secondo uno
schema poi divenuto classico e adattato dalla commedia
romana e, più tardi, dalla commedia dell’arte: i giovani
innamorati, il vecchio scorbutico, lo schiavo astuto, il
crapulone.
Il maggior esponente della commedia nuova pervenutoci è
Menandro. Gli altri commediografi della nea sono Difilo
(342 a.C. -291 a.C.) e Filemone (361 a.C. – 263 a.C.).
Menandro
Con Menandro (342 a.C. ca. – 291 a.C. ca.) la commedia
perde del tutto la dimensione fantastica e la natura mordace
e satirica della fase più antica, per assumere, pur nella
finzione teatrale, caratteri di maggiore aderenza alla realtà
quotidiana e di più spiccata attenzione alla psicologia e ai
sentimenti dei personaggi.
Egli fu autore di un centinaio di testi teatrali, dei quali sono
pervenuti soltanto cinque, ma non per intero:
•
Aspis (“Lo Scudo”; pervenuta per circa una metà)
•
Dyskolos (Il Misantropo, l’unica opera pervenuta
nella sua interezza)
•
Epitrepontes (“L’Arbitrato”; pervenuta in gran parte)
•
Perikeiromene (La ragazza tosata)
•
Samia (La donna di Samo)
Gli attori
Solo agli uomini era consentito di recitare e infatti essi
interpretavano anche le parti femminili.
Per dare maggior rilievo ai personaggi e per esser visti bene
anche dagli spettatori più lontani, gli attori indossavano speciali
calzature, i coturni, che li rendevano più alti.
Andavano in scena solo in tre, recitavano più ruoli e, quindi,
indossavano maschere di cuoio e costumi che rendevano
immediatamente riconoscibili i vari personaggi.
Le maschere avevano la funzione di amplificare la voce; infatti
l’apertura per la bocca era ampia e costruita come un piccolo
megafono.
Anche gli attori delle commedie portavano costumi, mai
travestimenti e le maschere dovevano accentuare gli aspetti
ridicoli e grotteschi dei personaggi.
Lo spazio scenico
Inizialmente le rappresentazioni avvenivano in uno spiazzo
circolare, l’orchestra, vicino al tempio del dio Dioniso.
In seguito i pochi sedili di legno, riservati alle persone più
importanti della comunità, furono aumentati e disposti intorno
all’orchestra, sfruttando talvolta la pendenza naturale delle
colline.
Col tempo i sedili vennero sostituiti da gradinate costruite in
muratura lungo i fianchi di una collina, in modo che tutti
potessero vedere e sentire bene (la cavea).
Di fronte alla cavea, oltre l’orchestra, si trovava il
palcoscenico rialzato dove si muovevano gli attori.
La tragedia romana in età repubblicana
Il processo di aemulatio (consapevole imitazione), che la
letteratura latina operò nei confronti della letteratura greca,
portò i romani ad assumere come modelli teatrali la tragedia e
la commedia greche. Pochissimi sono però i frammenti delle
tragedie d’argomento romano (fabulae pratextae) o greco
(fabulae cothurnatae) che ci sono rimasti. Sappiamo tuttavia
che molti tra i maggiori autori dell’età arcaica si cimentarono
nel genere tragico: da Livio Andronico (284 circa a.C. - 204
a.C.) a Gneo Nevio (270 circa a.C. - 201 circa a.C.) a Quinto
Ennio (239 a.C. - 169 a.C. circa) a Pacuvio (220 a.C. - 130
circa a.C.) ad Lucio Accio (170 a.C. - 85 circa a.C.).
Lo stile tragico romano
Maschera romana
La produzione di questi autori
era
caratterizzata
da
un’estrema solennità nella
lingua e nello stile, ed era
sentita come qualcosa di
superiore rispetto ad altre
esperienze
letterarie
contemporanee. Mancavano
però nella Roma repubblicana
arcaica
strutture
teatrali
paragonabili a quelle del
mondo greco, fatto che
costrinse i tragici latini fare a
meno della presenza del coro.
La tragedia romana in età imperiale
Le uniche tragedie romane integralmente pervenuteci sono
quelle molto più tarde di Lucio Anneo Seneca (4 ca. a.C. 65 d.C.). Basate sul mito greco, hanno come nucleo
drammaturgico la presenza di un dilemma morale e spesso
indugiano su situazioni macabre e sanguinarie: l’impressione
che suscitano è di essere state scritte per la pubblica
declamazione o per la lettura privata, più che per essere
messe in scena.
Di Seneca ci sono pervenute nove tragedie, le uniche
conservate integralmente del teatro latino (di sicura
attribuzione sono Hercules furens, Phaedra, Troades,
Phoenissae, Medea, Oedipus, Agamennon, Thyestes,
forse non autentica Hercules Oeteus): si richiamano ai miti
greci e che attingono prevalentemente a Euripide. Una
decima tragedia, l’Octavia non è considerata autentica.
La commedia romana
Assai maggiori sono le documentazioni relative alla commedia
romana. Anch’essa annovera drammi d’argomento romano
(fabulae togatae) e greco (fabulae palliatae), ma è solo di
quest’ultimo genere che abbiamo numerose e importanti
testimonianze.
Alla commedia infatti si dedicarono molti dei “grandi” poeti
latini già menzionati, come Livio Andronico, Gneo Nevio e
Quinto Ennio; senza dubbio, però, i maggiori comici latini
furono Plauto, Cecilio Stazio e Terenzio.
Plauto
Tito Maccio Plauto (254 ca. - 184 a.C.) innestò sul
modello della commedia attica l’esuberanza
espressiva della farsa italica.
Tito
Maccio
Plauto
Dei 130 testi teatrali attribuitigli, gli studiosi hanno
certificato l’autenticità di ventuno commedie, giunte
complete fino a noi, e parte una, la Vidularia, di cui
resta un solo frammento di un centinaio di versi.
Le trame delle commedie di Plauto erano
direttamente ispirate ai modelli greci (Menandro,
Filemone, Difilo e altri) e rielaborate con assoluta
libertà e con un ritmo comico straordinario,
sottolineato dai tempi ben calibrati del dialogo.
Le commedie di Plauto
Gli intrecci presentano di solito storie d'amore complicate da
tranelli, fraintendimenti ed espedienti furbeschi.
I protagonisti delle commedie plautine sono generalmente
personaggi privi di sfumature psicologiche: tra i “tipi” più
ricorrenti, esemplari sono il soldato spaccone, il bugiardo,
l'avaro, lo schiavo astuto, il parassita.
Fra le sue commedie più note ricordiamo:
•
Amphitruo (Anfitrione),
•
Asinaria (La commedia degli asini),
•
Aulularia (La commedia della pentola),
•
Bacchides (Le Bacchidi),
•
Menaechmi,
•
Miles gloriosus (Il soldato spaccone),
•
Pseudolus.
Cecilio Stazio
Cecilio Stazio (230 circa a.C. - 168 a.C.) è un
commediografo latino, nato da una famiglia di galli insubri e
trasferito come schiavo a Roma verosimilmente nel 222 a.C.
Delle sue opere ci restano 42 titoli di palliatae (commedie di
ambientazione greca) e frammenti per circa 300 versi.
Sappiamo che la commedia Plocium (La collana) aveva come
modello il Plokion di Menandro.
L’opera di
commedia
linguistico
commedia
Cecilio Stazio potrebbe essere collocata tra la
più propriamente popolare e amante del gioco
di Plauto e quella più vicina al modello della
nuova ateniese rappresentata da Terenzio.
Terenzio
Publio Terenzio Afro (190 circa a.C. - 159 a.C.) esordì
come autore di teatro nel 166 a.C., e operò con alterne
fortune fino al 160 a.C.
Nel teatro di Terenzio grande rilievo hanno i temi della
comprensione e del rispetto umano, della disponibilità verso
gli altri, quei valori cioè che venivano riassunti dai latini con il
termine humanitas.
Nei suoi testi importanza ha lo scavo psicologico dei
personaggi; le loro vicende, infatti, sono moderatamente
realistiche ed evocano contesti tutt’altro che fantastici,
rendendo le commedie terenziane, sulla scia del modello
menandreo, dei veri e propri “drammi borghesi”.
Le commedie di Terenzio
Il suo primo testo teatrale fu Andria, messo in scena nel 166
a.C.
Seguendo l'artificio retorico della contaminatio (tipico delle
esperienze comiche del teatro classico e già utilizzato da
Plauto) Terenzio attinse per le sue commedie (sei in tutto,
rappresentate fra il 166 e il 160 a.C.) a diversi originali greci
della commedia attica nuova, mescolando spunti narrativi e
personaggi di varie opere.
Andria, Heautontimorúmenos, Eunuchus e Adélphoi
derivano perlopiù da commedie di Menandro, mentre
Phormio ed Hécyra sono modellate su originali di
Apollodoro di Caristo.
Il teatro plautino
Il contributo più originale della commedia romana sta
nell’evidente destrutturazione del modello formale della
commedia menandrea.
Nel teatro di Plauto, infatti, si osserva una rinnovata
importanza della dimensione musicale, ottenuta accostando a
parti recitate (diverbia) altre cantate (cantica), nonché una
rottura della ormai canonica divisione in cinque atti.
Sul teatro plautino ebbero influsso anche forme teatrali
preletterarie tipicamente italiche, come i fescennini e
l’atellana, il che ne spiega la natura assai composita e
difficilmente canonizzabile.
Il teatro terenziano
Al clima fantastico e chiassoso delle commedie plautine
Terenzio sostituì invece drammi assai più realistici e raffinati,
in cui l’introspezione psicologica dei personaggi ricorda da
vicino quella di Menandro.
Con Terenzio il teatro da grande momento di intrattenimento
popolare divenne cassa di risonanza dei nuovi valori espressi
dal circolo degli Scipioni.
Successivamente il teatro comico a Roma decadde, lasciando
maggior spazio al mimo, genere che ebbe notevole successo
in età cesariana - della quale si ricordano i mimografi Decimo
Laberio (106 a.C. - 43 a.C.), Publilio Siro (data incerta, I
secolo d.C.) e Gneo Mazio (fine del II secolo a.C. – inizio del
I secolo a.C.) - e anche in età romana imperiale.
Il teatro nel Medioevo/1
Il martirio di Santa Apollonia
Nel Medioevo, la tragedia e la
commedia, come quasi tutti i
generi
letterari
classici,
scompaiono, travolti in parte dal
crollo del mondo greco-romano,
in parte dalla diffidenza della
Chiesa nei confronti delle opere
di carattere “pagano”.
Non scompare, però, e non
poteva essere diversamente, il
teatro, inteso come azione
scenica,
cioè
come
rappresentazione di eventi, anche
di breve durata.
Il teatro nel Medioevo/2
Il dramma di carattere religioso, quello che farà rinascere il
teatro, nasce in occasione di particolari festività religiose (in
particolare i riti della settimana di Pasqua) al fine di spiegare
meglio il messaggio cristiano al popolo che non comprendeva
il latino.
Gli autori sono spesso anonimi, ma non mancano interessanti
figure di letterati, come la monaca tedesca Rosvita (935 ca. 973 ca.) e Jacopone da Todi (1236 circa –1306).
Gli aspetti fondamentali del teatro medioevale furono la
drammatizzazione, i motivi teatrali religiosi, una componente
liturgica e didattica e uno sviluppo di una forma drammatica in
volgare.
Il teatro nel Rinascimento
Il Rinascimento fu l’età dell’oro del teatro per molti paesi
europei (in particolare in Italia, Spagna, Inghilterra e Francia),
rinascita preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale.
In questo periodo si assiste ad un fenomeno di rinascita del
teatro, preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale
che si era manifestata nelle corti, nelle piazze e nelle
università in molteplici forme, dalla sacra rappresentazione
fino alle commedie colte quattrocentesche.
La commedia rinascimentale in Italia
Autori di commedie in Italia furono:
•
Niccolò Machiavelli (1469 –1527), che scrisse La
Mandragola e Clizia;
•
il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena (1470 –
1520), che scrisse La Calandria;
•
Donato Giannotti (1492 – 1573);
•
Annibal Caro (1507 – 1566), che scrisse Gli
Straccioni;
•
Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca (1503 –
1584;
•
Alessandro Piccolomini (1508 – 1579);
•
Pietro Aretino (1492 – 1556), che scrisse La
Cortigiana;
•
Ludovico Ariosto (1474 – 1533);
•
Angelo Beolco detto Ruzante (1496 – 1542).
La tragedia rinascimentale in Italia
Composero tragedie di carattere epico:
Gian Giorgio Trissino (1478 – 1550), che scrisse la
Sofonisba;
Giambattista Giraldi Cinzio (1504 – 1573), che scrisse
l’Orbecche;
Sperone Speroni (1500 – 1588), che scrisse la Canace;
Torquato Tasso (1544 – 1595), che scrisse l’Aminta e Re
Torrismondo;
Giovan Battista Guarini (1538 - 1612), che scrisse il
Pastor fido.
In questo periodo si assiste ad un fenomeno di rinascita del
teatro, preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale
manifestatasi nelle corti, nelle piazze e nelle università in
molteplici forme, dalla sacra rappresentazione fino alle
commedie colte quattrocentesche.
La svolta cinquecentesca
La commedia cinquecentesca subì una svolta nel
1582, quando a Parigi venne pubblicato Il
Candelaio di Giordano Bruno ricco di
caratteristiche anomale e trasgressive.
Con la ripresa del teatro si cominciarono a
costruire anche degli spazi atti a contenere
scenografie, alle volte anche molto complesse: in
questo periodo vennero costruiti nuovi teatri,
l'esempio più eclatante è il Teatro Olimpico di
Andrea Palladio che si trova a Vicenza dove
ancora oggi viene conservata la scenografia
originale cinquecentesca di Vincenzo Scamozzi
dell'Edipo re di Sofocle, opera con la quale fu
inaugurato il teatro nel 1585.
Giordano Bruno
Il teatro nel XVII secolo: Francia
Molière
Il Seicento fu un secolo molto importante
per il teatro.
In Francia nacque e si consolidò il teatro
classico basato sul rispetto delle tre unità
aristoteliche di tempo, di luogo e d’azione).
La grandiosa opera drammatica di Pierre
Corneille (1606-1684) già delineò un gusto
teatrale francese e aprì le porte al siècle d’or,
ben rappresentato dalla commedia di
Molière (1622-1673), di costume, ma
soprattutto di carattere, frutto di un’acuta
osservazione e rappresentazione della natura
umana e dell’esistenza, e dalla tragedia alta,
umana e tormentata di Jean Racine (1639 1699).
Pierre Corneille
Pierre Corneille (1606 –1684) agli inizi della carriera teatrale
si dedica esclusivamente cosiddetta “commedia eroica”.
Nel 1635 esordisce nel genere tragico con Medea, ma non
tralascia però la commedia, nella quale si prova nuovamente
con L’illusione comica (1636), uno dei suoi capolavori.
Le Cid, rappresentato all’inizio del 1637, ritenuto tuttora il suo
capolavoro assoluto, lo consacra maggior poeta di teatro del
suo tempo.
Una delle sue migliori commedie, Le Menteur (Il bugiardo),
scritta nel 1643, influenzerà Goldoni e Molière. Seguono
molte tragedie, tra cui Rodoguna (1644) e Nicomede
(1650);dopo questo periodo, la sua vena si esaurisce,
lasciando sazio al suo giovane rivale Jean Racine.
Molière
Molière, pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin (1622 1673), ricercò uno stile di scrittura e recitazione meno legato
alle convenzioni dell’epoca e proteso verso una naturalezza
realistica, che descrivesse al meglio le situazioni e la
psicologia dei personaggi.
Queste idee cominciano ad emergere con forza ne La scuola
delle mogli (1662) e ne Il misantropo (1666) .
Un nuovo stile che Molière accompagna con una critica
feroce della morale dell’epoca, cosa che impedì a lungo alla
commedia Il tartufo (1664) di essere rappresentata in
pubblico.
Tra le altre opere famose annoveriamo Le preziose ridicole
(1659), La scuola dei mariti (1662), L’avaro (1668), Il
borghese gentiluomo (1670), Le furberie di Scapino
(1671) e Il malato immaginario (1673).
Jean Racine
Jean Racine
Jean Racine (1639 - 1699) nel 1664 rappresentò
la sua prima tragedia, Tebaide o i fratelli nemici
e l’anno seguente Alessandro il Grande, mentre
due anni dopo rappresentò al Louvre Andromaca.
Nell’arco di dieci anni Racine scrisse opere
immortali: Berenice (1670), Mitridate (1673),
Ifigenia in Aulide (1674), Fedra (1677),
considerato il suo capolavoro.
Dopo anni di silenzio, nel 1689, compose un
dramma sacro, Esther, e nel 1691 la sua ultima
opera, Atalia.
Nel teatro di Racine l’azione si sviluppa secondo la
logica delle passioni; l’amore che si trasforma in
odio e in furore costituisce il tema predominante.
Il teatro nel XVII secolo: Spagna
Non meno significativa fu l’impronta lasciata dal
teatro seicentesco spagnolo, dalla imponente
produzione del maestro Lope de Vega (1562 1635), fondatore di una scuola che ebbe in Tirso
de Molina, pseudonimo di Gabriele Téllez
(1579 - 1648) con il suo L'ingannatore di
Siviglia e il convitato di pietra, e in Pedro
Calderón de la Barca (1600 - 1681) con le sue
vette poetiche immerse nella realtà, nel sogno e
nella finzione, i migliori discepoli.
Monumento
Tirso de Molina
a Calderón de la Barca
a Madrid
Lope de Vega
La Commedia dell’Arte in Italia
In Italia il teatro dei professionisti, i
comici della Commedia dell’Arte,
soppiantò
il
teatro
erudito
rinascimentale.
Le rappresentazioni non erano basate
su testi scritti, erano tenute all’aria
aperta con una scenografia fatta di
pochi oggetti. Gli spettacoli erano
gratuiti e finanziati tramite donazioni.
Le compagnie erano composte di dieci
persone: otto uomini e due donne.
Le
maschere
principali
erano:
Arlecchino, Balanzone, Brighella,
Colombina, Pantalone, Pulcinella
e Stenterello.
Arlecchino
Pulcinella
Sempre
in
Italia
c’erano
anche
tragediografi
come
Federico Della Valle
e Carlo de’ Dottori e
anche commediografi
ancora legati alle corti
come
Jacopo
Cicognini alla corte
fiorentina dei Medici.
Il teatro elisabettiano in Inghilterra
Christopher
Marlowe
Il teatro elisabettiano è stato uno dei periodi
artistici di maggior splendore del teatro
britannico, collocato tradizionalmente fra il
1558 e il 1625, durante i regni dei sovrani
britannici Elisabetta I d’Inghilterra e
Giacomo I d’Inghilterra.
Il teatro di tutto il periodo viene
tradizionalmente associato al drammaturgo
William Shakespeare (1564 – 1616).
Altri esponenti del teatro elisabettiano furono
Christopher Marlowe (1564 - 1593) e
Thomas Kyd (1558 -1594). Il vero rivale di
Shakespeare fu tuttavia Ben Jonson (1572
- 1637), le cui commedie furono influenzate
dalla Commedia dell’Arte.
Marlowe, Kyd e Jonson
Nei drammi di Marlowe i personaggi risentono di
una brama insana di potere (come nel Tamerlano
il grande I e II), una sfrenata sensualità
(Edoardo II), nella sete infinita di potere (Doctor
Faustus).
Della produzione drammaturgica di Kyd rimane un
solo testo, fondamentale per il teatro inglese, La
tragedia spagnola, nel quale Kyd elabora i temi
della tragedia di vendetta.
Jonson scrisse la commedia Ognuno nel suo
umore, il suo primo vero successo nel 1598 .
Nel 1616 curò personalmente la pubblicazione delle
sue opere in un unico volume (The Works):
Jonson sarà l'unico drammaturgo elisabettiano ad
intraprendere una simile raccolta.
Ben
Jonson
Frontespizio di
The Spanish
Tragedie, 1615
William Shakespeare
William
Shakespeare
William Shakespeare (1564 - 1616) è il
massimo esponente del teatro elisabettiano
ed è considerato tuttora uno dei maggiori
autori teatrali a livello mondiale.
Si ritiene che sia uno dei pochi scrittori capaci
di eccellere sia nelle tragedie sia nelle
commedie, e in grado di combinare il gusto
popolare con la complessa caratterizzazione dei
personaggi, poetica e profondità filosofica.
Le sue opere sono state tradotte nelle maggiori
lingue e inscenate in tutto il mondo.
È lo scrittore maggiormente citato nella storia
della letteratura inglese e molte delle sue
espressioni linguistiche sono entrate nella
lingua quotidiana inglese.
Le opere shakespeariane: tragedie
•Romeo e Giulietta (1591 - 1596)
•Macbeth (1603 - 1606)
•Re Lear (1603 – 1606)
•Amleto (1599 - 1600)
•Otello (1603)
•Tito Andronico (1593)
•Giulio Cesare (1599)
•Antonio e Cleopatra (1606)
•Coriolano (1607)
•Troilo e Cressida (1602)
•Timone di Atene (1607)
Lady Macbeth in un dipinto di
George Cattermole, 1850
L’ultimo bacio di
Romeo e Giulietta di
Francesco Hayez,
1823
Frontespizio di
Amleto
Le opere shakespeariane: commedie
Frontespizio di
Sogno di una notte
di mezza estate
•La commedia degli errori (1592)
•Tutto è bene quel che finisce bene (1603)
•La dodicesima notte (1602)
•Come vi piace (1599)
•Sogno di una notte di mezza estate (1595)
•Molto rumore per nulla (1599)
•Misura per misura (1603)
•La tempesta (1611)
•La bisbetica domata (1593)
•Il mercante di Venezia (1596)
•Le allegre comari di Windsor (1597 - 1600)
•Pene d'amore perdute (1594)
•I due gentiluomini di Verona (1594)
•Pericle principe di Tiro (1608)
•Cimbelino (1609)
•Il racconto d'inverno (1594-1610)
Le opere shakespeariane: drammi storici
•Riccardo III (1592)
•Riccardo II (1595)
•Enrico VI, parte I (1590)
•Enrico VI, parte II (1590)
•Enrico VI, parte III (1590)
•Enrico V (1599)
•Enrico IV, parte I (1597)
•Enrico IV, parte II (1598)
•Enrico VIII (1612)
•Re Giovanni (1596)
L’attore David
Garrick mentre
interpreta Riccardo
III in un dipinto di
William Hogarth,
1745
Frontespizio di
Enrico VI, parte I
Frontespizio di
Enrico VI, parte II
Frontespizio di
Enrico VI, parte III
Il teatro nel Settecento in Europa
Fu un secolo buio per quanto riguarda la
Spagna, ben lontana dai fasti dei periodi
precedenti, transitorio per la produzione
britannica ad esclusione delle legitimate
comedy, delle commedie giovanili di Henry
Fielding (1707-1754) e delle innovazioni
tecniche di David Garrick (1717-1779),
illuminista nei drammi tedeschi di Gotthold
Ephraim Lessing (1729-1781), che scrisse le
commedie Minna von Barnhelm (1767), Miss
Sara Sampson (1775) e Nathan il saggio
(1779), in cui espone i suoi ideali di solidarietà e
tolleranza, e la tragedia Emilia Galotti (1772).
In Francia, invece, fu un’età ricca di riforme ed
innovazioni.
Gotthold Ephraim
Lessing
David Garrick
Il teatro francese nel Settecento
Pierre-Augustin
Caron de
Beaumarchais
Pierre-Claude
Nivelle de La
Chaussée
Nel frattempo in Francia l’arte drammatica si era
evoluta con la comédie larmoyante di PierreClaude Nivelle de La Chaussée (1692 - 1754),
“inventata” dal drammaturgo elisabettiano inglese
Thomas Heywood (1570 circa - 1641), e il
dramma rivoluzionario di Pierre-Augustin Caron
de Beaumarchais (1732 – 1799), l’inventore del
personaggio di Figaro ripreso da Mozart.
Il Settecento pose le basi anche dello sviluppo
teorico della recitazione e della funzione dell’arte
teatrale per la società.
Il teorico di maggior prestigio fu Denis Diderot
(1713 – 1784), filosofo illuminista, ma anche
autore di tre testi teatrali che s’inseriscono nel
nuovo filone del dramma borghese.
Il teatro italiano nel Settecento: la commedia
La situazione italiana dopo un lungo secolo di Commedia
dell’Arte dedicò l’inizio di questo secolo all’analisi delle forme
teatrali e la riconquista degli spazi scenici di una nuova
drammaturgia che oltrepassasse le buffonerie del teatro
all’improvviso.
All'inizio del XVIII secolo la commedia cortigiana s'avvale della
produzione della scuola toscana della commedia detta
“pregoldoniana” del fiorentino Giovan Battista Fagiuoli
(1660 - 1742) e dei senesi Girolamo Gigli (1660 - 1722) e
Jacopo Nelli (1673-1767).
Il teatro italiano riprese un ruolo di primo piano all'interno del
panorama europeo, nel melodramma con Pietro Metastasio
(1698-1782) e nella commedia con Carlo Goldoni (17071793).
Carlo Goldoni
Il veneziano Carlo Goldoni (1707-1793)
fu un riformatore e uno sperimentatore,
spaziando dalla commedia di carattere a
quella di ambiente, dalla drammaturgia
borghese a quella popolare, dal commedia
dialettale esaustiva alla rappresentazione
della realtà veneziana focalizzata nelle
contraddizioni
sociali,
politiche
e
economiche.
La sua carriera da commediografo vanta,
oltre a 200 opere teatrali scritte nei dialetti
e in italiano, la responsabilità di una gran
riforma del teatro (dalla Commedia
dell’Arte a una commedia basata su testi
interamente scritti).
Monumento a Carlo Goldoni in
Campo S. Bartolomeo a Venezia
Le commedie di Carlo Goldoni
Tra le commedie più note annoveriamo:
•Il servitore di due padroni (1745),
•La bottega del caffè (1750),
•La locandiera (1750),
•Il teatro comico (1750),
•Il campiello (1755),
•I rusteghi (1760),
•Il sior Todero brontolon (1762),
•Le baruffe chiozzotte (1762),
•Il ventaglio (1763).
«Tutto il mio piacere consiste in vedermi servita,
vagheggiata, adorata.
Questa è la mia debolezza, e questa è la debolezza
di quasi tutte le donne»
(Carlo Goldoni, La locandiera, 1750)
Chioggia - Calli e canali di questa città
della laguna veneta meridionale fanno
da scenario alle Baruffe chiozzotte.
Carlo Goldoni
Il teatro italiano nel Settecento: la tragedia
Scipione
Maffei
Pier Iacopo
Martello
In Italia non era mai esistita una tradizione tragica
alla quale ricondursi, anche il Cinquecento aveva
espresso ben poco oltre Trissino, Guarini e un
Tasso decisamente minore rispetto a quello della
Gerusalemme liberata.
Uno dei migliori tragediografi italiani del Settecento
prima di Vittorio Alfieri (1749 - 1803) furono
Antonio Conti (1677 - 1749), autore di quattro
tragedie di argomento romano (Cesare, Giunio
Bruto, Marco Bruto, Druso) e Scipione Maffei
(1675 - 1755), che scrisse La Merope, la tragedia
italiana più rappresentativa di questo inizio secolo,
e aprì le porte alla tragedia di Alfieri.
Va anche ricordato Pier Iacopo Martello (1665 1727), che si rifà al teatro francese del Seicento.
Vittorio Alfieri
Vittorio Alfieri (1749 - 1803), terminata
l’Accademia militare a Torino, e dopo un lungo
giovanile vagabondare in vari stati dell’Europa, nel
1775 rientra nel capoluogo piemontese e si dedica
allo studio della letteratura; completa così la sua
prima tragedia, Antonio e Cleopatra, che registra
un grande successo; seguiranno poi Antigone,
Filippo, Oreste, Saul, Maria Stuarda, Mirra.
La fama delle sue tragedie è legata alla centralità
del rapporto libertà-potere e all’affermazione
dell’individuo sulla tirannia.
Una profonda e sofferta riflessione sulla vita umana
arricchisce la tematica quando il poeta si sofferma
sui sentimenti più intimi e sulla società che lo
circonda.
Vittorio
Alfieri,
ritratto di
FrançoisXavier Fabre
Il romanticismo in Germania
Johann
Wolfgang
Goethe
Friedrich
Schiller
Il teatro europeo all’inizio dell’Ottocento fu dominato
dal dramma romantico: gli ideali romantici vennero
esaltati in modo particolare in Germania.
Nel romanticismo si situano Johann Wolfgang
von Goethe (1749 - 1832) e Friedrich Schiller
(1749 - 1832), che videro nell’arte la via migliore
per ridare dignità all’uomo.
Degli ideali romantici e neoclassici si nutrirono molte
tragedie di soggetto storico o mitologico.
Di Goethe ricordiamo i drammi Götz von
Berlichingen, Ifigenia in Tauride, Faust Parte 1 e Faust - Parte 2.
Schiller è noto per i drammi I Masnadieri, Don
Carlos, la trilogia Wallenstein, Maria Stuart,
Guglielmo Tell.
Il romanticismo in Italia e Inghilterra
Alessandro
Manzoni
Silvio Pellico
Al romanticismo teatrale fecero riferimento
anche gli autori italiani come Alessandro
Manzoni (1785 - 1873) con tragedie come
l’Adelchi e Il Conte di Carmagnola, oltre a
Silvio Pellico (1789 - 1854) con la tragedia
Francesca da Rimini.
Molto importante fu anche il teatro romantico
inglese fra i maggiori rappresentanti ci furono
Percy Bysshe Shelley (1792 - 1822), John
Keats (1795 - 1821) e Lord George Gordon
Byron (1788 -1824).
Percy
Bysshe
Shelley
Lord
George
Byron
John
Keats
Anticonformismo e innovazione
Oscar Wilde
Georg Büchner
L’Ottocento è anche il secolo degli
anticonformisti sia a livello artistico sia
nella giustizia sociale, ben rappresentati
dal society drama portato in scena da
Oscar Wilde (1854 - 1900), di cui
ricordiamo le commedie Il ventaglio
di Lady Windermere, Una donna
senza importanza, Un marito
ideale, L’importanza di chiamarsi
Ernesto, e degli innovatori come
Georg Büchner (1813 - 1837), autore
della tragedia La morte di Danton e
della commedia Leonce e Lena, che
precorsero il dramma novecentesco.
Statua di
Oscar
Wilde a
Dublino,
Merrion
Square
Tomba di
Georg
Büchner
a Zurigo
Il teatro naturalista e verista
In Inghilterra, in Francia ed in Italia, in concomitanza con la
nascita del naturalismo e del verismo (perenne ricerca della
realtà in maniera oggettiva), intorno alla metà del secolo le
grandi tragedie cedettero il posto al dramma borghese,
caratterizzato da temi domestici, intreccio ben costruito e
abile uso degli espedienti drammatici.
Il maggiore esponente del teatro naturalista fu Victor Hugo
(1802 - 1885), che scrisse Cromwell, Hernani, Lucrezia
Borgia, Ruy Blas, I Burgravi. Il teatro verista fu
rappresentato da Giovanni Verga (1840 - 1922), che
scrisse I nuovi tartufi, La lupa, Mastro-don Gesualdo,
Cavalleria rusticana, Dal tuo al mio.
In America Latina l’argentino Florencio Sánchez (1875 1910), che scrisse La straniera, In famiglia, Giù per la
china, seguì la loro scuola e si mise in evidenza.
Il primo Novecento
Il Novecento si apre con la rivoluzione copernicana della
centralità dell’attore.
Il teatro della parola si trasforma in teatro dell’azione fisica, del
gesto, dell’emozione interpretativa dell’attore con il lavoro
teorico di Kostantin Sergeevič Stanislavskij (1863 - 1938)
e dei suoi allievi, tra cui Vsevolod Emil’evic Mejerchol’d
(1874 - 1940).
Il Novecento aprì anche una nuova fase che portò al centro
dell’attenzione una nuova figura teatrale, quella del regista che
affiancò le classiche componenti di autore e attore.
Fra i grandi registi di questo periodo vanno citati l’austriaco
Max Reinhardt (1873 - 1943), il francese Jacques Copeau
(1879 - 1949) e l’italiano Anton Giulio Bragaglia (1890 1960).
Panoramica del primo Novecento
Nacquero nuove forme di teatro come il teatro della crudeltà di
Antonin Artaud (1896 - 1948), la drammaturgia epica di
Bertolt Brecht (1898 - 1956) e, nella seconda metà del
secolo, il teatro dell’assurdo di Samuel Beckett (1906 - 1989)
e Eugene Ionesco (1909 - 1994) modificarono radicalmente
l’approccio alla messa in scena e determinano una nuova via al
teatro, una strada che era stata aperta anche con il contributo
di autori del calibro di Jean Cocteau (1889 - 1963), Robert
Musil (1880 - 1942), Hugo von Hofmannsthal (1874 1929), gli scandinavi August Strindberg (1849 - 1912) e
Henrik Ibsen (1828 - 1906); ma coloro che spiccarono tra gli
altri, per la loro originalità furono Frank Wedekind (1864 –
1918) con la sua Lulù e Alfred Jarry (1873 - 1907),
l’inventore del personaggio di Ubu Roi.
Bertolt Brecht
Bertolt Brecht (1898 - 1956) è considerato il
più influente drammaturgo, poeta e regista
teatrale tedesco del XX secolo.
Le sue opinioni politiche lo portarono a
sviluppare la teoria di un “teatro epicodidascalico”, in cui lo spettacolo era messo al
servizio dello spettatore che non doveva
immedesimarsi nella rappresentazione, ma
veniva stimolato a tenere una distanza critica
per riflettere su quello che si vedeva in scena.
Tra le opere più note citiamo Tamburi nella
notte (1922), L’Opera da tre soldi (1928),
Ascesa e caduta della città di Mahagonny
(1929), Madre Coraggio e i suoi figli
(1939), Vita di Galileo (1938-43).
Bertolt Brecht
Samuel Beckett
Samuel
Beckett
L’opera di Samuel Beckett (1906 - 1989) è
caratterizzata da un immagine profondamente
pessimistica
della
condizione
dell’uomo
nell’odierna civiltà e il suo stile è essenziale e
attraversato da lampi di tragico umorismo.
Aspettando Godot (1953) è senza dubbio la più
celebre opera teatrale di Samuel Beckett
nonché uno dei testi più noti del teatro del
Novecento.
Altri suoi testi sono Desideri umani (1937),
Eleutheria (1947), Finale di partita (1957),
L’ultimo nastro di Krapp (1958), Giorni felici
(1961), Commedia (1963), Passi (1975).
Nel 1969 ha vinto il premio Nobel per la
letteratura.
Eugène Ionesco
Eugène
Ionesco
Attraverso il teatro Eugène Ionesco (1909 1994), scrittore e drammaturgo francese di origini
rumene, si interroga sulla vita e sulla morte,
esplora il reale.
Debuttò con La cantatrice calva (1950),
commedia in un atto e 11 scene, definita dallo
stesso autore “anticommedia”.
Nelle sue commedie Ionesco mostra la società
umana come priva di realtà e ne rappresenta gli
aspetti fenomenici solo per far vedere il nulla che
sta sotto di essa.
In Il rinoceronte (1959), la sua commedia forse
di maggior successo, il messaggio si fa esplicito,
ma
intellettualizzandosi
perde
il
fascino
dell'ambiguità e la forza rappresentativa.
Jean Cocteau e Robert Musil
Jean Cocteau (1889 - 1963) è stato un poeta, romanziere e
drammaturgo francese. Fu anche designer, regista,
sceneggiatore e attore.
La sua versatilità, la sua originalità e la sua enorme capacità
espressiva gli portarono il plauso internazionale.
Tra le sue opere teatrali ricordiamo quelle dedicate al teatro
classico: Antigone (1922), 1924 Roméo et Juliette (1924),
Orphée (1926), ma anche I parenti terribili (1938).
Di Robert Musil (1880 1942)
ricordiamo
le
commedie
I
fanatici
(1921) e Vinzenz e
Jean Cocteau
l’amica degli uomini
importanti (1923).
Robert Musil
Hugo von Hofmannstahl
Hugo von Hofmannsthal (1874 - 1929) dal 1901 si volse
al teatro, rielaborando in chiave moderna due tragedie
greche: Elettra (1904) e Edipo e la Sfinge (1906).
In Ognuno, il dramma della morte del ricco (1911) vi è
l’influenza dei misteri medievali e del teatro barocco.
Da segnalare anche Il cavaliere della rosa 1911) e
Arianna a Nasso (1912), drammi musicali in cui il testo
letterario ha una sua autonoma validità poetica.
Del 1921 è L’uomo difficile, in cui un aristocratico vede il
proprio destino legato a quello della monarchia asburgica
ormai alla fine.
Il problema della responsabilità sociale del singolo è
affrontato ne Il gran teatro salisburghese del mondo
(1922) e La torre (1925), ispirati al teatro di Calderón de
la Barca.
August Strindberg
August
Strindberg
Per la vastità e la rilevanza della
produzione
lo
svedese
August
Strindberg (1849 - 1912) è all’apice
della tradizione letteraria scandinava e
raggiunge per riconoscimento unanime
un seggio tra i massimi artisti letterati
del mondo.
Dopo aver esordito come poeta e
romanziere, si dedicò al teatro con la
pièce Il padre (1887) e altri drammi
critici delle realtà sociali come La
signorina Giulia ( 1888), Delitto e
delitto (1899) Danza di morte
(1901), Il sogno (1902) e L’isola dei
morti (1907).
Henrik Ibsen: i primi drammi
Henrik Ibsen (1828 - 1906), scrittore e
drammaturgo norvegese, è considerato il padre
della drammaturgia moderna, per aver portato
nel teatro la dimensione più intima della
borghesia ottocentesca, mettendone a nudo le
contraddizioni e il profondo maschilismo.
Ibsen debutta con drammi storici, Catilina
(1850) e Il Tumulo del guerriero (1854).
Seguono La Signora Inger di Østråat
(1855), La festa a Solhaug (1856), Olaf
Liliekrans (1856), I guerrieri a Helgeland
(1858), drammi
ispirati alle vecchie saghe
nazionali, La commedia dell’amore (1862)
e I pretendenti al trono (1863).
Henrik Ibsen
Henrik Ibsen: il teatro sociale
La fase del teatro sociale di Ibsen iniziò con i drammi
L’unione dei giovani (1869) e I pilastri della società
(1877).
La donna riveste una posizione centrale nel dramma Casa di
bambola (1879) dove la protagonista non esita a lasciare la
famiglia per riacquistare una propria identità.
Gli altri lavori di Ibsen in questo periodo sono: Gli spettri
(1881), Un nemico del popolo (1882), L’anitra selvatica
(1884), Villa Rosmer (1886), La donna del mare (1888),
Hedda Gabler (1890).
In questo periodo si inseriscono anche il dramma Il
costruttore Solness (1892) e Il piccolo Eyolf (1894).
Segnano la fine dell’attività ibseniana i drammi John Gabriel
Borkmann (1896) e Quando noi morti ci destiamo
(1899)
Frank Wedekind
Frank
Wedekind
Il drammaturgo tedesco Frank Wedekind
(1864 - 1918) spesso interpretò e curò la
regia delle proprie opere.
Il suo primo lavoro teatrale fu il dramma
Risveglio di primavera (1891). Seguì poi
il dittico Lo spirito della terra (1895) e Il
vaso di Pandora (1904), chiamata “Lulu”
Opera minore, ma interessante è l’atto
unico Il cantante da camera (1897).
Tra le altre opere si ricordano Il marchese
di Keith (1901), Re Nicolò ovvero Così
è la vita (1902), Danza macabra (1906),
nota anche con il titolo Morte e diavolo
(1909), e Franziska (1912).
Alfred Jarry
Alfred Jarry (1873 – 1907) è stato uno
scrittore e drammaturgo francese, la cui
commedia più famosa è l’Ubu Re (1896),
considerata caposaldo e vera e propria pietra
miliare del Teatro dell’assurdo.
I testi di Jarry sono considerati tra i primi sul
tema dell’assurdità dell’esistenza ed hanno a
che fare con il grottesco e il fraintendimento.
Ricordiamo I minuti di sabbia. Memoriale
(1894), Cesare anticristo (1899), L’amore
assoluto (1899), Messalina
(1901), Il
supermaschio (1902) Gesta e opinioni del
dottor Faustroll patafisico, uscito postumo
nel 1911.
Alfred Jarry
Locandina della prima dell’Ubu re
I drammaturghi russi
I drammaturghi russi occupano
un
osto
articolare
nella
produzione
teatrale
ottocentesca.
Tra tutti occorre ricordare:
Michail Lermontov (1814 1841);
Aleksandr Puškin (1799 1837), che scrisse Boris
Godunov nel (1825);
Anton Čechov (1860 –1904),
autore di drammi quali Il
gabbiano (1895), Zio Vanja
(1897), Tre sorelle (1900) e Il
giardino dei ciliegi (1903).
Anton Čechov
Aleksandr
Puškin
Il primo Novecento in Italia
Contemporaneamente il teatro italiano fu
dominato, per un lungo periodo, dalle
commedie di Luigi Pirandello (1867 - 1936),
dove
l’interpretazione
introspettiva
dei
personaggi dava una nota in più al dramma
borghese che divenne dramma psicologico.
Mentre per Gabriele D’Annunzio (1863 1938) il teatro fu una delle tante forme
espressive del suo decadentismo e il
linguaggio aulico delle sue tragedie va dietro
al gusto liberty imperante.
Una figura fuori dalle righe fu quella di
Achille Campanile (1899 - 1977) il cui teatro
anticipò di molti decenni la nascita del teatro
dell’assurdo.
Gabriele D’Annunzio
Achille Campanile
Luigi Pirandello
Luigi Pirandello(1867 - 1936), insignito del premio Nobel
per la letteratura nel 1934, divenne famoso proprio grazie al
teatro che chiama teatro dello specchio, perché in esso viene
raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera
dell’ipocrisia e delle convenienze sociali, di modo che lo
spettatore si guardi come in uno specchio così come
realmente è e diventi migliore.
Dalla critica viene definito come uno dei grandi drammaturghi
del XX secolo.
Scriverà moltissime opere, divise in base alla fase di
maturazione dell’autore:
•
Prima fase - Il teatro siciliano
•
Seconda fase - Il teatro umoristico
•
Terza fase - Il teatro nel teatro (metateatro)
•
Il teatro dei miti
Pirandello e il teatro siciliano
Luigi Pirandello
Nella fase del Teatro Siciliano Pirandello è
alle prime armi e ha ancora molto da
imparare.
Anch’essa come le altre presenta varie
caratteristiche di rilievo e in questo caso
abbiamo il fatto che esso è scritto tutto,
interamente in dialetto siciliano perché
considerato dall’autore più vivo dell’italiano
ed esprime di più l’aderenza alla realtà.
Appartengono a questo periodo le seguenti
opere:
Lumìe di Sicilia (1910), Il dovere del
medico (1913), Se non è così (1915),
Cecè, (1915), Pensaci, Giacomino
(1916) e Liolà (1916).
Pirandello e il teatro umoristico
In questa seconda fase Pirandello presenta personaggi che
spezzano le certezze del mondo borghese introducendo la
versione relativistica della realtà in cui lui vorrebbe trovare la
dimensione autentica della vita al di là della maschera.
Egli definirà il suo teatro “Teatro dello specchio”, perché
rappresenta la vita nuda con le sue realtà, dove si ci riflette
con una maschera che nasconde l’ipocrisia e tutti gli aspetti
delle persone, maschera che il drammaturgo deve denudare.
Tra le opere di questo periodo sono ricordiamo Così è (se vi
pare) (1916), Il berretto a sonagli (1917), La giara
(1917), Il piacere dell’onestà (1917), La patente (1918),
Ma non è una cosa seria (1918), Il giuoco delle parti
(1918), L’innesto (1919), L’uomo, la bestia e la virtù
(1919), Tutto per bene (1920), Come prima, meglio di
prima (1920) e La signora Morli, una e due (1920).
Pirandello e il teatro nel teatro
Nella fase del teatro nel teatro le cose cambiano
radicalmente, per Pirandello il teatro deve parlare anche
agli occhi e non solo alle orecchie; a tal scopo ripristinerà una
tecnica teatrale di Shakespeare, il palcoscenico multiplo, in
cui vi può per esempio essere una casa divisa in cui si
vedono
varie
scene
fatte
in
varie
stanze
contemporaneamente; inoltre il teatro nel teatro fa sì che si
assista al mondo che si trasforma sul palcoscenico.
Pirandello abolisce anche il concetto della quarta parete,
cioè la parete trasparente che sta tra attori e pubblico: in
questa fase, infatti, Pirandello tende a coinvolgere il
pubblico che non è più passivo ma che rispecchia la propria
vita in quella agita degli attori sulla scena.
Le opere della fase del teatro nel teatro
In questa fase Pirandello scrive le seguenti
opere: Sei personaggi in cerca d’autore
(1920), Enrico IV (1922), All’uscita (1922),
L’imbecille (1922), Vestire gli ignudi (1922),
L’uomo dal fiore in bocca (1923), La vita che
ti diedi (1923), L’altro figlio (1923), Ciascuno
a suo modo (1924), Sagra del signore della
nave (1925), Diana e la tuda (1927), L’amica
delle mogli (1927), Bellavita (1927), O di uno
o di nessuno (1929),Come tu mi vuoi (1930),
Questa sera si recita a soggetto (1930);
Sogno, ma forse no (1931), Trovarsi (1932),
Quando si è qualcuno (1933), La favola del
figlio cambiato (1934), Non si sa come
(1935).
Pirandello e il teatro dei miti
Solo tre opere della produzione pirandelliana
appartengono al teatro dei miti: La nuova
colonia (1928), Lazzaro (1929), I giganti
della montagna (1932).
Busto di
Pirandello in un
arco di Palermo
Casa natale di
Pirandello in
località Caos a
Agrigento
I capolavori di Pirandello/1
Indubbiamente le opere principali di Luigi
Pirandello sono state:
• Pensaci, Giacomino (1916),
• Liolà (1916),
• Così è (se vi pare) (1916),
• Il berretto a sonagli (1917),
• La patente (1918),
• L’uomo, la bestia e la virtù (1919),
• Sei personaggi in cerca d’autore (1920),
• Enrico IV (1922),
• Vestire gli ignudi (1922),
• L’uomo dal fiore in bocca (1923),
• Questa sera si recita a soggetto (1930);
• I giganti della montagna (1932).
I capolavori di Pirandello/2
Scena tratta da Sei personaggi in
cerca d’autore
Tra esse merita una menzione speciale
Sei personaggi in cerca d’autore,
probabilmente il dramma più famoso di
Pirandello, rappresentato per la prima
volta il 9 maggio 1921 al Teatro Valle di
Roma, ma con un esito tempestoso,
perché molti spettatori contestarono la
rappresentazione al grido di “Manicomio!
Manicomio!”; fu importante, per il
successivo successo di questo dramma,
la terza edizione, del 1925, in cui l’autore
aggiunse una prefazione nella quale
chiariva la genesi, gli intenti e le
tematiche fondamentali del dramma.
Gabriele D’Annunzio
Attraverso la tragedia in versi Gabriele D’Annunzio (1863 1938) riuscì a creare un teatro fortemente lirico, costruito su
un lessico ricercato, e in grado di dar vita a suggestioni
sceniche assai vicine allo spirito della tragedia antica.
Nello stile e nello svolgimento dei temi il D’Annunzio
drammaturgo si mosse in un contesto europeo nell’affiancarsi
al simbolismo francese e all’estetismo inglese.
L’accostarsi dell’autore alla materia teatrale si fece intenso
grazie soprattutto alla sua relazione con la grande attrice
Eleonora Duse, la quale gli svelò i segreti del palcoscenico.
Tra le opere più note ricordiamo: La città morta (1899).
Francesca da Rimini (1902), La figlia di Iorio (1904), che
è la più nota tra le opere dannunziane, e La fiaccola sotto il
moggio (1905).
Achille Campanile
Achille Campanile (1899 - 1977) è stato uno scrittore,
giornalista e drammaturgo italiano, celebre per il suo umorismo
surreale e i giochi di parole.
Molti critici hanno elevato lo scrittore a “classico” del
Novecento.
Oltre che all’analogia con alcuni dei percorsi pirandelliani in
tema di convenzioni, Campanile è stato variamente accostato
alle ricerche sull’assurdo di Ionesco (accostamento che
respinse) ed al surrealismo, ma secondo alcune visioni
costituirebbe un unicum, un caso pienamente a sé e di non
vantaggiosa comparazione.
Tra le opere più famose ricordiamo Centocinquanta la
gallina canta (1924), L’inventore del cavallo (1927), Il
Povero Piero (1961), Tragedie in due battute (1978).
Le nuove tendenze in Europa
La Germania della Repubblica di Weimar fu un terreno
di sperimentazione molto proficuo: oltre al già citato
Brecht molti artisti furono conquistati dall’ideale
comunista e seguirono l’influenza del teatro
bolscevico, quello dell’agit-prop di Vladimir
Majakovskij (1893 - 1930), fra questi Erwin
Piscator (1893 - 1966), direttore del Teatro
Proletario di Berlino, e Ernst Toller (1893 –1939), il
drammaturgo dell’espressionismo tedesco.
Nella Spagna del primo dopoguerra spicca la figura di
Federico García Lorca (1898-1936) che scrisse le
tragedie Nozze di sangue (1933), Yerma (1934) e
La casa di Bernarda Alba (1936), ma le sue
ambizioni furono presto represse nel sangue dalla
milizia franchista che lo fucilò vicino Granada.
Vladimir
Majakovskij
Ernst Toller
Il teatro nel secondo dopoguerra
Nel secondo dopoguerra il teatro occidentale si arricchisce di
nuovi stimoli.
Torna ad assumere grande importanza, dopo un periodo di
supremazia della parola, l’azione fisica, il gesto. Si sviluppano
metodi che mettono l’accento sull’emozione interpretativa
dell’attore (con l’utilizzo del metodo Stanislavskij rielaborato
in seguito da Lee Strasberg) e sull’ allenamento fisico (il
training dell’attore).
La ricerca degli anni ‘60 e ‘70 tenta di liberare l’attore dalle
tante regole della cultura in cui vive (seconda natura), per
mettersi in contatto con la natura istintiva, quella natura
capace di rispondere in modo efficiente e immediato.
L’obiettivo di perfezionamento dell’arte dell’attore diventa
insieme momento di crescita personale.
Il secondo Novecento in Italia
Molti anche in Italia parteciparono a questa maturazione sia fra
i drammaturghi come Eduardo De Filippo (1900 - 1984) che
con lo sperimentale teatro di Carmelo Bene (1937 - 2002),
sia con l’apporto fondamentale di grandi registi come Giorgio
Strehler (1921 - 1997) e Luchino Visconti (1906 - 1976).
Giorgio
Strehler
Luchino
Visconti
Eduardo De Filippo
La spontaneità del teatro di Eduardo De Filippo (1900 1984) è alimentata dalla tradizione ottocentesca su cui si
innestano istanze della poetica neorealista, dando vita ad una
rappresentazione popolare vivace, in cui l’uso del dialetto
colora ambienti dominati da una dolorosa miseria e dai
problemi di sopravvivenza precaria.
Altro grande merito di De Filippo è quello di aver saputo
rivitalizzare l’eterna maschera di Pulcinella, donandole un volto
realistico: l’uomo comune alle prese con le sofferenze e con le
difficoltà della vita, che riesce ad aggirare attraverso sotterfugi.
In questa dimensione si colloca la sua produzione più valida,
mentre meno convincente è nei testi in cui prevalgono
intenzioni di denuncia sociale o l’astratta ricerca di soluzioni
pirandelliane più legate ai motivi dell’illusione e della follia.
Le opere di Eduardo De Filippo
La sensibilità acutissima di De Filippo seppe in
ogni modo dosare finemente ciascuna di queste
componenti riuscendo ad elaborare l’equilibrio tra
tutte queste diverse istanze.
Tra i titoli più importanti troviamo: Natale in
Eduardo De
Filippo
casa Cupiello (1931), Napoli milionaria
(1945), Filumena Marturano e Questi
fantasmi (1946), Le voci di dentro (1948),
Mia famiglia e Bene mio e core mio (1955),
De Pretore Vincenzo (1957), Sabato
domenica lunedì (1959), Il sindaco del rione
Sanità (1960), Il figlio di Pucinella (1962),
L’arte della commedia (1965), Il contratto
(1967), Il monumento (1970) e Gli esami non
finiscono mai (1973).
Natale in casa Cupiello
Natale in casa Cupiello, la più famosa opera di De Filippo,
nasce nel 1931 come atto unico in cui si racconta di un pranzo
natalizio turbato dal dramma della gelosia.
Nel giro di appena un anno è già un dramma famoso, ma
Eduardo De Filippo vuole far conoscere meglio i suoi
personaggi, per cui la fa cominciare due giorni prima
aggiungendo un atto, che diventerà il primo, nel quale si
racconta, in forma di riuscitissima farsa familiare, il risveglio di
Luca nella fredda mattina del ventitré dicembre.
Dopo due anni De Filippo aggiunge la terza parte conclusiva
scrivendo il terzo ed ultimo atto.
Scene da
Natale
in casa
Cupiello
Carmelo Bene
Carmelo Bene (1937 - 2002), attore, regista e
autore teatrale, reinventando il linguaggio teatrale,
con uno stile ricercato e barocco, manifesta il suo
genio di attore, perché non si limita a recitare (citare
una cosa) e comincia così il suo “massacro dei
classici”.
È considerato un affabulatore e un presuntuoso
“massacratore” dalla critica, gli intellettuali italiani
degli anni ‘60 e ‘70 lo ritengono un genio.
Un genio che si scaglia contro il teatro di testo, per
un teatro da lui definito “scrittura di scena”; un
teatro del dire e non del detto, perché per Bene il
teatro del già detto non dice, appunto, niente di
nuovo, è solo un citare a memoria parole scritte
altrove.
Carmelo
Bene
Il secondo Novecento in Europa
In Germania fu fondamentale l’apporto di Botho Strauss
(1944) e Rainer Werner Fassbinder (1945 - 1982); in
Francia Louis Jouvet (1887 - 1951) e i testi estremi di Jean
Genet (1910 - 1986).
Anche la Svizzera ha contribuito nel corso del ‘900
all’evoluzione del teatro europeo con autori come Friedrich
Dürrenmatt (1921 - 1990), di cui citiamo La visita della
vecchia signora (1956) e I fisici (1962), e Max Frisch
(1911 - 1991).
Dalla Polonia arrivano grandi innovazioni nella concezione di
una messinscena grazie a Tadeusz Kantor (1915 - 1990),
pittore, scenografo e regista teatrale tra i maggiori teorici del
teatro del Novecento.
Il suo spettacolo La classe morta (1977) è tra le opere
fondamentali della storia del teatro.
Il secondo Novecento in Europa
In Germania fu fondamentale l’apporto di Botho Strauss
(1944) e Rainer Werner Fassbinder (1945 - 1982); in
Francia Louis Jouvet (1887 - 1951) e i testi estremi di Jean
Genet (1910 - 1986).
Anche la Svizzera ha contribuito nel corso del ‘900
all’evoluzione del teatro europeo con autori come Friedrich
Dürrenmatt (1921 - 1990), di cui citiamo La visita della
vecchia signora (1956) e I fisici (1962), e Max Frisch
(1911 - 1991).
Dalla Polonia arrivano grandi innovazioni nella concezione di
una messinscena grazie a Tadeusz Kantor (1915 - 1990),
pittore, scenografo e regista teatrale tra i maggiori teorici del
teatro del Novecento.
Il suo spettacolo La classe morta (1977) è tra le opere
fondamentali della storia del teatro.
Le sperimentazioni novecentesche
L’influenza di questi maestri sul movimento teatrale del
dopoguerra è immenso, basti pensare all’Odin Teatret di
Eugenio Barba (1936), al teatro povero di Jerzy Grotowski
(1933 - 1999), al teatro fisico del Living Theatre di Julian
Beck (1925 - 1985) e Judith Malina (1926), fino alle
applicazioni “commerciali” dell’Actor’s Studio di Stella Adler
(1901 - 1992) e Lee Strasberg (1901 - 1982).
Julian Beck
Jerzy Grotowski
Lee Strasberg
Eugenio Barba
Il Novecento americano
Tra gli autori novecenteschi negli USA annoveriamo
Eugene O’Neill (1888 - 1953), autore di opere
straordinarie quali In viaggio per Cardiff (1916),
Oltre l’orizzonte (1920), Imperatore Jones
(1920), Desiderio sotto gli olmi (1924), Strano
interludio (1928), Il lutto si addice ad Elettra
(1931) e Lungo viaggio verso la notte (1940).
Da ricordare anche Tennessee Williams (1911 1983), che scrisse Lo zoo di vetro (1944), Un tram
che si chiama desiderio (1947), La gatta sul
tetto che scotta (1956), Improvvisamente
l’estate scorsa (1958), e Arthur Miller, autore di
Erano tutti miei figli (1947) e Morte di un
commesso viaggiatore (1949).
Arthur
Miller
Tennessee
Williams
Eugene
O’Neill
Il Novecento americano
Tra gli autori novecenteschi negli USA annoveriamo
Eugene O’Neill (1888 - 1953), autore di opere
straordinarie quali In viaggio per Cardiff (1916),
Oltre l’orizzonte (1920), Imperatore Jones
(1920), Desiderio sotto gli olmi (1924), Strano
interludio (1928), Il lutto si addice ad Elettra
(1931) e Lungo viaggio verso la notte (1940).
Da ricordare anche Tennessee Williams (1911 1983), che scrisse Lo zoo di vetro (1944), Un tram
che si chiama desiderio (1947), La gatta sul
tetto che scotta (1956), Improvvisamente
l’estate scorsa (1958), e Arthur Miller, autore di
Erano tutti miei figli (1947) e Morte di un
commesso viaggiatore (1949).
Arthur
Miller
Tennessee
Williams
Eugene
O’Neill
I drammaturghi contemporanei
La drammaturgia contemporanea
continua a vivere una florida vita
culturale grazie ad autori come
Harold Pinter (1930 - 2008), di cui
ricordiamo Il compleanno (1957),
Il calapranzi (1957), Vecchi
tempi (1970), Terra di nessuno
(1974), Victoria Station (1982),
Party Time (1991) e Anniversario
(1999), Edward Albee (1928),
autore di Chi ha paura di Virginia
Woolf (1962), e Tony Kushner
(1956), che ha scritto Angels in
America: a Gay Fantasia on
National Themes (1995).
Tony
Kushner
Edward
Albee
Harold
Pinter
L’ultimo grande autore italiano: Dario Fo
Dario Fo (1926) è un regista, drammaturgo,
attore e scenografo italiano, vincitore del Premio
Nobel per la letteratura nel 1997.
I suoi lavori teatrali fanno uso degli stilemi
comici dell’antica commedia dell’arte italiana e
sono rappresentati con successo in tutto il
mondo.
Tra le sue opere principali ricordiamo Isabella,
tre caravelle e un cacciaballe (1963),
Settimo: ruba un po' meno (1964), La colpa
è sempre del diavolo (1965), Mistero Buffo
(1969), Morte accidentale di un anarchico
(1970), Johan Padan a la descoverta de le
Americhe (1991), Il diavolo con le zinne
(1997.
Dario Fo
Il teatro postcoloniale africano
L’indipendenza
ottenuta
alla
metà
del
Novecento ha provocato una nuova svolta nel
corso del teatro africano.
Tra gli autori più apprezzati vi è il nigeriano
Wole Soyinka (1934), insignito del Premio
Nobel per la letteratura nel 1986, l’ugandese
Robert Serumaga (1939-1980) e la ghanese
Efua Sutherland (1924 - 1996).
In questa fase storica rilevanti sono state le
collaborazioni in Sudafrica di artisti bianchi e
neri, sfidanti l’ancora vigente apartheid, e la
nascita di temi e contenuti legati ai problemi
sociali e quotidiani.
Wole
Soyinka