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Istituto Tecnico Commerciale Statale
“P. Calamandrei”
Bari
CaCO3 + H2O + CO2
Ca (HCO3)2
Una reazione chimica… all’ordine del giorno!
Classe IIA IGEA
a.s.2010/2011
Docente: Prof.ssa Maria Concetta Losorelli
CaCO3 + H2O + CO2
Ca (HCO3)2
una reazione chimica… all’ordine del giorno!
Le reazioni chimiche non sono altro che trasformazioni della materia nel
corso delle quali a partire da alcune sostanze dette reagenti se ne
formano altre dette prodotti. Sono tante le reazioni chimiche collegate
alla nostra quotidianità: basti pensare a tutte le reazioni del metabolismo
cellulare che permettono la vita degli organismi sulla Terra.
Tra le varie reazioni chimiche studiate nell’ambito dell’insegnamento di
Scienze della Materia e Scienze della Natura, noi ragazzi della classe 2A
IGEA dell’ITC “P. Calamandrei” di Bari, abbiamo approfondito, con l’aiuto
della nostra insegnante, Prof.ssa Maria Concetta Losorelli, in particolare
la seguente reazione
CaCO3 +
Carbonato di
calcio
H2O
acqua
+
CO2
Ca (HCO3)2
anidride
carbonica
Bicarbonato di calcio
in quanto tale reazione appartiene alla nostra quotidianità, sia dal punto
di vista “geologico” che dal punto di vista “domestico”: essa è infatti alla
base del carsismo tipico della nostra regione, le cui rocce sono costituite
prevalentemente da carbonato di calcio.
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CaCO3 + H2O + CO2
Ca (HCO3)2
una reazione chimica… all’ordine del giorno!
Come in ogni reazione chimica, nel corso della trasformazione, si
rompono i legami dei reagenti e si formano i nuovi legami dei prodotti,
per cui il numero e il tipo di atomi presenti tra i reagenti deve essere
sempre uguale a quello tra i prodotti ( Legge della conservazione della
massa di Lavoiser ) : ogni reazione va quindi sempre bilanciata con dei
coefficienti stechiometrici messi dinanzi alla formula di ciascun
partecipante alla reazione.
Nel caso di questa reazione i coefficienti stechiometrici sono tutti
uguali ad uno, per cui si sottintendono.
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La spontaneità di una reazione chimica dipende dalla variazione di energia
libera di Gibbs ( G = Gp – G r) associata alla reazione che è in funzione di
due fattori: il fattore energetico H e il fattore entropico S secondo la
seguente relazione:
G =
H
-
T
S
Il fattore energetico corrisponde alla variazione di entalpia della reazione
dove l’entalpia, H, è una funzione termodinamica che esprime l’energia
chimica dei reagenti e dei prodotti ( H = Hp – H r).
In particolare se l’energia dei reagenti è minore di quella dei prodotti la
reazione per avvenire ha bisogno di energia ed il suo H è > 0 : si tratta di
una reazione endoergonica
reagenti
+ E
prodotti
Se invece l’energia dei reagenti è maggiore di quella dei prodotti, nel
corso della reazione si libera energia, la reazione viene detta esoergonica
ed ha un
H < 0:
reagenti
prodotti + E
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Il fattore entropico, invece, corrisponde alla variazione di entropia
associata alla reazione ( S = Sp – S r ), dove l’entropia S è la funzione
termodinamica associata al grado di disordine del sistema: il secondo
principio della termodinamica afferma che sono spontanei tutti quei
processi che avvengono con un aumento del grado del disordine( S > 0).
Sono spontanee e irreversibili solo le reazioni che hanno un
G < 0.
Avverranno quindi sicuramente sia le reazioni con entrambi i fattori
favorevoli (reazioni esoergoniche che avvengono con un aumento del
disordine) sia le reazioni sfavorite da uno dei due fattori, in determinate
condizioni di temperatura: in particolare le reazioni esoergoniche,
sfavorite dal fattore entropico, avverranno a basse temperature mentre
quelle endoergoniche, favorite solo dal fattore entropico, avverranno solo
ad alte temperature.
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Una reazione invece risulta reversibile, se il suo
G = 0: in questo
caso, lo stato iniziale e lo stato finale posseggono la stessa energia
libera e pertanto il sistema si trova in equilibrio.
All’ inizio avviene solo la reazione diretta ( con una velocità che diminuisce nel
tempo): man mano che si forma il prodotto esso incomincia a trasformarsi nel
reagente iniziale ( con una velocità via via maggiore) finché la velocità della
reazione diretta non diventa uguale a quella della reazione inversa e si
raggiunge l’equilibrio, indicato dalla doppia freccia, situazione in cui le
concentrazioni molari delle specie interessate alla reazione non variano più.
Questo equilibrio però è mobile, secondo il principio di Le Chatelier, nel senso
che se c’è qualcosa che lo altera, la reazione si sposta verso sinistra o verso
destra per compensare la perturbazione e raggiungere così nuovamente un
equilibrio.
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CaCO3 + H2O + CO2
Ca (HCO3)2
una reazione chimica… all’ordine del giorno!
La reazione oggetto del nostro studio, in particolare, è una reazione
reversibile e si verifica quando l’acqua piovana incontra una roccia calcarea,
come quella presente nel nostro territorio.
Affinché la gocciolina sia in grado di sciogliere il materiale roccioso è
necessario che diventi acida per reazione con l’anidride carbonica; nel
terreno, infatti, si arricchisce di anidride carbonica, un gas già presente
nell’aria, che si produce spontaneamente all’interno del terreno a causa dei
processi di decomposizione del materiale organico di natura sia vegetale
che animale, diventando acido carbonico:
H2O
+
CO2
acqua
+ anidride
carbonica
H2CO3
acido carbonico
L’acido carbonico, a sua volta si dissocia debolmente secondo la reazione:
H2CO3
H+
+ HCO3-
con la formazione di uno ione H+ e di uno ione bicarbonato.
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Sebbene l’acido carbonico sia un acido debole, con il passare del tempo
modella le rocce in quanto reagisce con il carbonato di calcio, in esse
presenti, trasformandolo in bicarbonato di calcio secondo la seguente
reazione:
CaCO3 + H+ + HCO3-
Ca(HCO3)2
Man mano che si forma il bicarbonato, essendo solubile , si allontana con
l’acqua: viene sottratto il prodotto della reazione e l’equilibrio quindi si
sposta verso i prodotti con la formazione di altro bicarbonato e una
continua erosione della roccia.
Laddove la roccia non è sufficientemente porosa non permette all’acqua di
entrare e il carbonato di calcio viene eroso superficialmente
determinando la formazione di forme carsiche superficiali o epigee
come lame, gravine e doline mentre laddove è permeabile, l’acqua acida
scioglie in profondità il carbonato di calcio, allargando le fratture che
incontra, formando forme carsiche profonde o ipogee come grotte,
gallerie sotterranee e pozzi, per confluire infine, nelle falde acquifere
sotterranee.
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Quindi le condizioni fondamentali perché su un territorio si formino le
forme carsiche sono le seguenti:
•L’acqua deve essere ricca di anidride
carbonica, capace cioè di erodere
chimicamente la roccia
•La roccia deve essere costituita da una
gran quantità di carbonato di calcio,
l’unico minerale che viene sciolto
dall’acqua:
•La roccia deve essere fratturata.
Quando però la concentrazione dell’anidride carbonica nell’acqua, e quindi la
sua pressione diminuisce, l’equilibrio si sposta verso i reagenti con la
conseguente precipitazione del carbonato di calcio e la formazione di
stalattiti e stalagmiti (nelle grotte) o di incrostazioni nei condotti idraulici o
vicino alle rubinetterie.
CaCO3 (s) + H2O (l) + CO2 (g)
Ca(HCO3)2 (aq)
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Le stalattiti, cioè le concrezioni che pendono
dal soffitto della grotta, e le stalagmiti, che
invece crescono sul pavimento, sono il
risultato più visibile di questo lento lavorio
dell’acqua che nell’arco di millenni porta
all’interno della grotta grandissime quantità
di minerali, prevalentemente carbonato di
calcio: spesso le concrezioni hanno un
caratteristico colore rosa per la presenza
nell’acqua ancora dei minerali di ferro
strappati al terreno, mentre in altre grotte,
che si formano a maggiore profondità, le
concrezioni appaiono bianche per la presenza
solo del carbonato di calcio.
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Stabilire quanto cresca una concrezione è davvero difficile poiché
intervengono così tanti fattori che basta che se ne modifichi uno solo che
questa misura può cambiare: dipende dalla natura chimica della roccia, dalla
quantità di precipitato, dalla temperatura, dalla copertura del manto
vegetale e così via. In ogni caso è possibile stabilire che la crescita può
variare tra i 3 e i 400 millesimi di millimetro ogni anno.
Si tratta quindi di un fenomeno lentissimo che richiede moltissimi anni per
cui diventa importante salvaguardare tali formazioni: per esempio è
sconsigliabile toccarle con le mani in quanto la nostra pelle, anche quando è
pulita, deposita un sottile strato di grasso che accumulandosi può
compromettere l’equilibrio ed impedire ad una successiva goccia di
continuare a depositare altre sostanze minerali.
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Un altro fattore ancora che fa spostare l’equilibrio della reazione
verso destra o verso sinistra è la temperatura : essendo la reazione
diretta esoergonica, essa viene favorita da basse temperature
CaCO3 (s) + H2O (l) + CO2 (g)
Ca(HCO3)2 (aq) + E
mentre la reazione inversa è endoergonica e quindi è favorita in
presenza di temperature più alte.
In Puglia sono state censite dagli speleologi circa 2100 grotte anche se
le uniche grotte turistiche rimangono quelle di Castellana Grotte e la
grotta di Putignano, la prima ad essere stata scoperta nel 1935: le
temperature più miti rendono le nostre grotte particolarmente
concrezionate, con un aspetto fiabesco, rispetto ad altre regioni del
nord Italia dove le grotte sono molto grandi ma povere di concrezioni.
Infine, più elevata è la concentrazione del carbonato di calcio, maggiore
è l’azione erosiva dell’acqua acida e questo ci spiega come mai nelle
Gravine, dove le rocce contengono una minore quantità di carbonato di
calcio, non ci sono grotte carsiche e l’acqua si limita a scorrere in
superficie accentuando le spaccature naturali già presenti.
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Come già detto, oltre che nel sottosuolo, anche in superficie l’acqua piovana
ha modificato l’aspetto della roccia e scavato ampie depressioni e cavità,
che prendono nomi diversi a seconda della forma:
• le doline, si presentano come vaste cavità dal contorno circolare;
• le gravine, invece, hanno l’aspetto di fratture profonde e talvolta di veri e
propri burroni che si aprono nella roccia, e sono tipiche della zona ionica;
• le lame,infine sono antichi fiumi ormai estinti che hanno scavato solchi
erosivi, seguendo la pendenza dall’interno verso il mare: sono forme tipiche
del nostro paesaggio, nella zona compresa tra Monopoli e Trani, ma
rappresentano anche dei corridoi biologici naturali che mettono in
comunicazione le zone più interne con quelle costiere.
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Tra le tante lame presenti nel nostro territorio abbiamo visitato la lama
Picone, una delle nove lame della conca di Bari, che corre alle spalle del
nostro Istituto.
Essa nasce dalla confluenza di 2 rami:
il primo proviene da Adelfia e passa
per Loseto, Valenzano e Ceglie, dove
confluisce il secondo ramo che
proviene da Sannicandro e che passa
per Bitritto e Loseto. Da qui la lama
prosegue in un unico tronco che
attraversa Carbonara ed entra in
città nel quartiere Poggiofranco.
Da questo punto in poi non è possibile seguire la lama poiché, con la creazione dei
quartieri Murat, Libertà durante l’800 e Picone nel secondo dopoguerra, il tratto
della lama è stato completamente occupato. Prima della costruzione di questi
quartieri sfociava a mare in una zona paludosa (lago Marisabella) in corrispondenza
della zona compresa tra via Brigata Bari e via Fieramosca.
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Ci siamo resi conto di come questi ambienti, oltre a costituire un
singolare e spettacolare fenomeno carsico, costituiscono anche un
importante habitat per molte specie floro-faunistiche altrove
scomparse o fortemente ridotte, in particolare di quelle rupicole,
garantite dalla presenza della roccia calcarea che, con sua fessurazione,
permette a piante pioniere, come muschi e licheni, di crescere in questi
ambienti, creando i presupposti per la crescita delle altre associazioni
vegetali.
Abbiamo inoltre compreso che ancora oggi le lame costituiscono vie
naturali di deflusso al mare delle acque in eccesso : l’acqua le ha scavate
e quindi naturalmente esse raccolgono l’acqua e la “accompagnano” fino al
mare, evitando problemi di allagamento. O forse dovremmo dire
“consentivano”, dal momento che molte di loro sono state coperte dalle
abitazioni ed è stato necessario costruire due “canaloni”, uno a nord e
l’altro a sud di Bari, per impedire che la città si allagasse durante i
temporali più abbondanti. Malgrado ciò, quando una pioggia è un po’ più
abbondante, in molte lame si creano ancora problemi di allagamento,
perché l’acqua non riesce a defluire anche perché oltre ad essere state
letteralmente “tappate”, sono state usate come imponente scarico di
detriti, o magari perché è stata asportata la vegetazione che avrebbe
potuto trattenere il terreno.
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Tra le tante gravine del Tarantino la
nostra classe ha visitato in particolare la
gravina di Massafra. Essa presenta una
formazione di tipo sedimentario, cioè si è
venuta a formare dall’ accumulo di
sedimenti provenienti da organismi
viventi marini dotati di guscio o di
scheletro carbonatico.
Le rocce sedimentarie sono facilmente
riconoscibili perché, a causa
dell’instabilità climatica e della diversa
pressione presente, i sedimenti si sono
sovrapposti e suddivisi in strati ben
delimitati e visibili.
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Le pareti delle gravine sono interamente traforate di grotte caratteristiche,
testimonianza di antiche civiltà che con la loro presenza hanno contribuito a
modellare l’aspetto della gravina, scavando facilmente il tenero tufo presente,
per costruire delle vere e proprie abitazioni.
Questo è stato il primo esempio di insediamento
rupestre, dal termine “rupe” che si riferisce ad
ambienti ricavati in grotte, nei quali si sono
sviluppate forme di vita civile e religiosa:
in particolare nella Gravina di Massafra è presente
la grotta del mago Greguro, caratterizzata dalle
presenza, sulle pareti interne, di tantissime
nicchiette scavate nella roccia e perfettamente
allineate, come i cassetti di una farmacia.
Probabilmente, tale grotta, denominata anche
“farmacia del mago Greguro”, veniva utilizzata per
riporre, in tali nicchiette le diverse erbe medicinali
di cui il mago del villaggio era esperto.
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La Gravina di Massafra è stata abitata sin dai tempi
remoti ed è stata progressivamente abbandonata a
partire dal Basso Medioevo, con lo sviluppo organico
del centro urbano. Parte notevole di questi
insediamenti sono i santuari, anch’essi rupestri,
espressione devozionale ed artistica di quella civiltà
contadina economicamente povera ed isolata
culturalmente.
Scavati nella roccia, i santuari, rivelano
un’architettura essenziale, sommaria, priva di norme
razionali nella divisione dello spazio. L’interesse che
hanno sempre suscitato è stato alimentato dalle
leggende sorte intorno ad essi e dal fascino
enigmatico delle pitture che ne decoravano le pareti,
spesso scalpellate, asportate, o ricoperte.
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Un momento molto interessante, nel corso di questo
approfondimento, è stato quello laboratoriale.
Infatti nel laboratorio di Chimica del nostro
Istituto, abbiamo condotto alcune verifiche
sperimentali di tipo qualitativo:
•Abbiamo verificato la presenza di carbonato di
calcio nelle rocce del nostro territorio
•Abbiamo verificato la presenza degli ioni calcio
nell’acqua del rubinetto e nell’acqua minerale
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MATERIALE: Granito, una roccia lavica, campione di roccia prelevato dagli scavi
sottostanti l’Istituto, pipetta e acido cloridrico.
PROCEDIMENTO: Con la pipetta abbiamo messo
due gocce di acido cloridrico su ciascun campione di
roccia: abbiamo osservato che solo sul campione di
roccia preso dagli scavi della scuola si è sviluppata
un’effervescenza che è risultata assente invece sul
granito e sulla roccia lavica.
DATI:
HCl
Granito
Roccia lavica
Campione di
tufo
Nessuna
reazione
Nessuna
reazione
Effervescenza
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ELABORAZIONE: Abbiamo osservato che HCl ha reagito solo con il nostro campione
confermando la presenza del carbonato di calcio: infatti questo minerale ha la
prerogativa di reagire chimicamente con gli acidi.
La reazione che è avvenuta è la seguente:
Ca CO3
+
Carbonato
di calcio
2HCl
Ac. Cloridrico
Ca Cl2 +
cloruro
di calcio
H2CO3
Ac. carbonico
L’acido carbonico è un acido debole e, non appena si forma, si decompone in acqua e
anidride carbonica che è la responsabile dell’effervescenza di questa reazione:
H2CO3
CO2 + H2O
CONCLUSIONI: La presenza di carbonato di
calcio nel nostro campione di roccia ci indica
che si tratta di un calcare, una roccia
sedimentaria di origine organogena che si è
formata sul fondo del mare, dall’accumulo di
sedimenti carbonatici provenienti da gusci e
scheletri di organismi marini, come
testimoniano spesso i fossili presenti.
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In laboratorio abbiamo anche fatto un’esperienza per cercare di identificare ioni
Ca2+ in campioni di acqua di rubinetto.
La prova effettuata è detta prova di conferma. Se il test è positivo esso conferma
che lo ione in questione è presente. Un test negativo (nessun cambio di colore o
alcuna presenza di precipitato) non significa necessariamente che lo ione non sia
presente. Lo ione può essere semplicemente presente in una quantità così bassa che
il colore e il precipitato non sono visibili.
MATERIALI: Abbiamo cercato la presenza dei cationi calcio (Ca2+) ed eseguito ogni
prova di conferma su quattro diversi campioni:
• Una soluzione di riferimento contenente gli ioni calcio (400 mL di CaCl2 0,1M);
• Acqua di rubinetto, che può contenere o meno gli ioni;
• Un campione di controllo dato dall’acqua distillata, che certamente non contiene
ioni.
• Un campione di acqua minerale.
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ESECUZIONE
•Abbiamo lavato quattro provette con acqua di rubinetto e risciacquate con
acqua distillata.
•Abbiamo misurato 2 mL di acqua di rubinetto in un cilindro graduato e
versato tale quantità nella provetta. Con un pennarello indelebile abbiamo
segnato il livello dei 2 mL sulla provetta, e tracciato sulle altre tre una linea
allo stesso livello. Abbiamo marcato le quattro provette segnando su ognuna
la soluzione da versare: riferimento (R), acqua di rubinetto (A), acqua
minerale (B) e controllo (C).
•Abbiamo versato 2 mL di soluzione di riferimento di calcio nella provetta di
riferimento pulita.
•Abbiamo aggiunto 3 gocce di acido acetico diluito (CH3COOH).
•Abbiamo aggiunto nella provetta 3 gocce di soluzione di sodio ossalato
(Na2C2O4).
•Abbiamo agitato con forza il contenuto delle provette.
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I dati raccolti sono stati inseriti nella seguente tabella:
Soluzione di
riferimento
Ca2+
Colore
Precipitato o prodotto
bianco
acqua di rubinetto
bianco
acqua minerale
bianco
acqua distillata
trasparente
CaC2O4, precipitato di ossalato di
calcio
CaC2O4, precipitato di ossalato di
calcio
CaC2O4, precipitato di ossalato di
calcio
nessun precipitato
ELABORAZIONE:
La reazione su cui si basa questo test di conferma del Ca2+ può essere
rappresentata come segue:
Ca2+
Ioni calcio
+
C2O42Ioni
ossalato
CaC2O4
Ossalato di calcio
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CONCLUSIONI
Come è possibile osservare dalla tabella, sia il campione di acqua minerale sia il
campione di acqua di rubinetto contengono ioni calcio dovuti alla presenza di
bicarbonato di calcio proveniente dall’erosione delle rocce. La quantità di tali ioni
calcio determina la durezza dell’acqua.
La durezza dell’acqua è dovuta principalmente ai sali di calcio e di magnesio in essa
disciolti. L’appellativo di “dura”, riferito all’acqua, deriva dal fatto che le acque
ricche di questi sali danno difficilmente luogo a schiume con saponi.
La durezza totale si distingue in:
• durezza temporanea, dovuta alla presenza di bicarbonato di calcio e magnesio, così
chiamata in quanto viene eliminata per semplice riscaldamento, ( l’ebollizione sottrae
l’anidride carbonica all’equilibrio che quindi si sposta verso i prodotti, secondo il
principio dell’equilibrio mobile di Le Chatelier) e trasforma quindi i bicarbonati nei
rispettivi carbonati insolubili:
Ca(HCO3)2 → CaCO3 + H2O + CO2
• durezza permanente, dovuta alla presenza di tutti gli altri sali, come ad esempio i
solfati e cloruri, di calcio e magnesio, che restano nell’acqua anche dopo l’ebollizione.
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La durezza dell’acqua può essere misurata attraverso due metodi:
• composizione percentuale massa/volume (mg/L) o parti per milione (ppm) del carbonato
di calcio in un determinato volume di acqua;
• in gradi francesi (°F) ovvero i grammi di carbonato di calcio in 100 litri di acqua
(g/100 L).
La nostra acqua ha una durezza media, dovuta essenzialmente agli ioni Ca++, di circa 10 –
12 °F.
La durezza dell’acqua reca a conseguenze ben
più gravi di quella di un maggior consumo di
sapone (oggi peraltro sostituito in larga
misura dai detersivi sintetici, che lavano bene
anche in acque dure), soprattutto nelle
industrie: in genere i sali disciolti nell’acqua,
in particolare, quelli di calcio e di magnesio,
possono dar luogo a precipitati che si
depositano sottoforma di incrostazioni molto
dure e aderenti alle pareti delle condutture,
della caldaie, dei rubinetti, ecc.
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Il processo di eliminazione della durezza dell’acqua viene detto addolcimento e può
essere conseguito per mezzo di tre tecniche principali di rimozione degli ioni calcio:
• l’addolcimento per precipitazione (processo calcio-soda).
I sali di calcio e di magnesio vengono eliminati trattando l’acqua con quantità
calcolate di idrossido di calcio (detto comunemente calce) e di carbonato sodico.
In entrambi i casi si formano i carbonati che precipitano secondo le seguenti
reazioni
Ca(HCO3)2 + Ca(OH)2 → 2CaCO3 + 2H2O
Ca(HCO3)2 + Na2CO3 → CaCO3 + NaHCO3
e si possono allontanare per filtrazione, più frequentemente con l’utilizzo di sabbie.
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• il processo di scambio ionico prevede invece l’uso della zeolite che è un minerale
costituito da silicato di alluminio e ossigeno, fra loro legati con legami covalenti in modo
da formare un reticolo rigido; nelle cavità di tale reticolo vi sono ioni sodio in numero
uguale a quello delle cariche negative delocalizzate sul reticolo: quando la zeolite viene
posta a contatto con un’acqua dura, gli ioni calcio e magnesio spostano gli ioni di sodio dal
reticolo in quanto, a causa della loro carica elettrica più elevata, formano un legame
elettrostatico più forte con le cariche negative del reticolo.
Tali zeoliti sono oggigiorno gli additivi più usati dopo la messa a bando dei fosfati: sono
infatti contenute in prodotti commerciali tipo CALFORT o equivalenti.
Su questo stesso principio l’acqua dura viene fatta fluire attraverso una resina a scambio
ionico come quelle che si trovano nelle lavastoviglie : la resina è costituita da milioni di
minuscole palline porose in grado di attirare i cationi responsabili della durezza dell’acqua
(calcio e magnesio) che sono trattenuti sulla resina a scambio ionico mentre altri cationi
(solitamente Na+), che non conferiscono durezza all’acqua, e che formano sali solubili in
essa, sono rilasciati in soluzione dalla resina.
La zeolite, o la resina in generale che ha subito lo scambio, viene facilmente rigenerata
facendo fluire una soluzione concentrata di cloruro di sodio (è questo il motivo per cui è
necessario ogni tanto aggiungere il cloruro di sodio alla lavastoviglie!): per effetto
dell’attrazione delle cariche negative più forti lo ione sodio sposta completamente gli ioni
calcio dalla zeolite o dalla resina.
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• Il trattamento con anticalcare.
L’anticalcare al fosforo (esametafosfato di sodio Na6P6O18) e prodotti commerciali
simili “rimuovono” i cationi responsabili della durezza facendoli diventare parte di anioni
solubili, che sciogliendosi in acqua vengono così allontanati:
2Ca2+(aq)
+
ione calcio
dell’acqua dura
P6O186-(aq)
ione esametafosfato
dell’anticalcare
Ca2(P6O18)2-(aq)
ione esametafosfato
di calcio
I prodotti anticalcare possono contenere anche carbonato di sodio Na2CO3, che ancora una
volta addolcisce l’acqua rimuovendo i cationi responsabili della durezza.
Quando nelle nostre case si usa il sapone di Marsiglia esso reagisce con gli ioni della durezza e
forma un precipitato che, quando l’acqua viene scaricata, aderisce alle pareti del lavabo,
formando il tipico anello. Gli addolcitori commerciali contenuti negli anticalcari contengono
composti che rimuovono gli ioni responsabili della durezza e questo è evidente dal momento che
si forma la schiuma: l’esametafosfato e le zeoliti intrappolano e bloccano infatti gli ioni che non
possono più reagire con il sapone a formare il precipitato e questo favorisce l’azione pulente
del sapone.
Se malgrado tutto le incrostazioni si formano, per esempio intorno alle rubinetterie delle
nostre case, per eliminarle possiamo trarre insegnamento da “Madre Natura” e utilizzare dei
prodotti che contengano acidi che allo stesso modo dell’acido carbonico siano in grado di
reagire con il carbonato di calcio; oppure seguire l’insegnamento delle nostre nonne che hanno
sempre usato l’aceto per sciogliere tali incrostazioni: esso infatti contiene l’acido acetico, un
acido debole come l’acido carbonico.
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Istituto Tecnico Commerciale. Statale “P. Calamandrei” - Bari
Il lavoro è stato realizzato dai seguenti alunni della classe 2 A Igea:
1. Cippone Palma
2. Lopez Nicola
3. Sanseverino Francesco
Insegnante referente: prof.ssa Losorelli Maria Concetta
Dirigente scolastico: prof.ssa Piacente Giovanna
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