Archeologia dell’ universo
Paolo de Bernardis
Dipartimento di Fisica, Università La Sapienza, Roma
Oggi vi parlerò di come si studia il passato più remoto dell' universo con
metodi scientifici: cosa si capisce in questo modo e quali enigmi rimangono oggi
ancora aperti.
Il meraviglioso spettacolo del cielo stellato nasconde informazioni importanti
sull’ universo più remoto. Queste risiedono nel buio presente tra una stella e l’ altra.
Perché, di notte, il cielo è buio ?
La domanda è solo apparentemente banale, e fu formulata già da Keplero. Sappiamo
che le stelle, sfere di gas incandescente, popolano l’ universo, e che sono raggruppate
in grandi sistemi, le galassie, che ne contengono centinaia di miliardi. Sappiamo
anche che, fin dove è possibile osservare, l’ universo visibile è popolato di galassie, a
loro volta organizzate in una struttura a grande scala formata da ammassi e filamenti
di galassie e grandi spazi vuoti.
Tutto lascia pensare che l’ universo sia ovunque popolato di galassie,
organizzate in una struttura con precise proprietà statistiche, senza limite. E’ una
convinzione che viene da lontano, e che è confermata anche dalle misure più recenti.
Secondo Giordano Bruno (“De l’ infinito universo et mondi”) il cosmo dovrebbe
essere infinitamente esteso e riempito ovunque in modo uniforme di stelle (oggi
diremmo di galassie). Questa concezione del mondo e’ sviluppata su basi puramente
filosofiche. Ben diverso il metodo di Isaac Newton.
Anche secondo Newton il cosmo dovrebbe essere immutabile, infinitamente
esteso e riempito ovunque in modo uniforme di stelle (oggi diremmo di galassie). Ma
qui il ragionamento e’ di tipo fisico. Newton ha scoperto la legge di gravitazione
universale e la applica anche alle stelle, divenute, grazie a Galilei, oggetti fisici, non
piu’ metafisici. Tutti i corpi dotati di massa si attraggono tra loro. Basandosi sui moti
dei pianeti Newton ha stabilito che l’ attrazione e’ proporzionale alle masse e
inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Ma allora anche le stelle
devono tutte attrarsi tra loro. Se la distribuzione di stelle non fosse infinita, l’
attrazione di una parte dell’ universo piu’ densa attirerebbe tutte le altre, portando al
collasso gravitazionale, concentrando alla fine tutta la massa in un unico punto di
enorme densita’. Invece, se ci sono stelle ovunque, su ciascuna stella l’ attrazione di
una meta’ dell’ universo e’ esattamente bilanciata dall’ attrazione dell’ altra meta’ di
Universo. Quindi l’ universo deve essere infinitamente esteso e uniformemente
riempito di stelle. Questo il ragionamento contenuto in una lettera di Newton a
Benteley del 1693. Ci sono tre difetti in questa teoria:
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1) Non e’ stabile. Basta che in una zona di universo la densità sia leggermente
più alta per attirare le stelle circostanti, innescando nuovamente un collasso di tutto l’
universo verso un punto solo.
2) Una attrazione infinita non e’ detto che sia compensata da un’ altra
attrazione infinita nell’ altra direzione.
3) Il cielo la notte non sarebbe buio. Immaginiamo infatti di essere in un
universo infinitamente esteso e statico, come vuole Newton. Quando guardiamo il
cielo in una direzione qualunque, siccome le galassie si estendono all’ infinito, la
linea di vista dovra’ prima o poi incontrarne una. Quindi il cielo dovrebbe essere
sempre uniformemente brillante come il Sole, anche di notte. Da qui il paradosso, che
e’ una conseguenza necessaria della struttura rigida, infinita e immutabile dello
spazio Newtoniano.
La domanda “Perche’ di notte il cielo e’ buio”, fu riportata all’ attenzione del
mondo scientifico all’ inizio dell’ 800, dall’ astrofilo Tedesco Heinrich Olbers, e
viene detta “Paradosso di Olbers”
Le distanze cosmiche sono enormi: la luce impiega giorni, anni, migliaia di
anni, miliardi di anni per arrivare fino a noi partendo da una sorgente, da una stella,
da una galassia. Quindi le sorgenti più lontane ci appaiono come erano molto tempo
fa, quando la luce è partita. Riteniamo quindi di poter studiare il passato remoto
dell'universo semplicemente guardando le sorgenti più lontane che sono a nostra
disposizione. In sostanza, guardando lontano, si guarda indietro nel tempo. In questo
senso, i nostri telescopi sono delle meravigliose macchine del tempo che permettono
di studiare il passato dell'universo.
Per rispondere a questa domanda, bisogna capire meglio come funziona l’
universo alle scale più grandi, nella sua globalità. Bisogna studiare la cosmologia. E’
una scienza, basata su teoria e osservazioni, ed in particolare sulla straordinaria
possibilità che abbiamo di studiare il passato dell’ universo e l’ universo più lontano.
Facendo questo lavoro, gli astrofisici hanno capito che l' universo evolve, che
ha attraversato fasi molto diverse da quella odierna, ma di questo vi parlerò in
seguito. Per partire dall' inizio dell’astronomia, dell'astrofisica e della cosmologia,
devo parlare di Galileo Galilei.
Galileo fu l'iniziatore dell'archeologia dell' universo, per due motivi.
Innanzitutto, Galileo era convinto che la luce impiegasse del tempo a propagarsi, cioè
avesse una velocità finita, non infinita; proprio da qui deriva la possibilità di guardare
le cose nel loro passato, se sono abbastanza lontane. In secondo luogo, Galileo fu il
primo a puntare il telescopio verso il cielo e ad analizzare ciò che vide con metodi
matematici scientifici moderni, traendone le conseguenze, nonostante fossero
contrarie al senso comune e alla comune filosofia dell'epoca.
In “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”,
Galileo raccontò di una prova effettuata per misurare la velocità della luce, e ammise
che il tentativo era fallito, poiché non era riuscito a misurare il ritardo dalla partenza
della luce al suo arrivo. Ciò non vuol dire che la luce si propaga istantaneamente, ma
semplicemente che i suoi mezzi non erano adeguati a misurarla. Egli comunque
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concluse, utilizzando il risultato di questo tentativo, che la velocità della luce è
almeno 10 volte superiore a quella del suono.
L'esperimento di Galileo era molto semplice. Lui e un suo collaboratore si
recarono su due colline distanti tra loro circa un miglio; Galileo scoprì la sua lanterna
e fece partire il suo cronometro; il collaboratore, quando vide la luce proveniente
dalla lanterna di Galileo, scoprì la propria lanterna. Quando Galileo vide la luce
tornare dalla lanterna del collaboratore, fermò il cronometro. Questo non era altro che
un recipiente riempito d’ acqua con un rubinetto: Galileo, quando scoprì la lanterna,
aprì anche il rubinetto dell'acqua; quando vide la luce tornare, chiuse il rubinetto dell'
acqua. Dalla quantità di acqua uscita dal recipiente, si poteva stimare quanto tempo
era trascorso. È chiaro che, data l’ altissima velocità della luce e quindi i tempi
brevissimi in gioco, con questo cronometro l’ esperienza era destinata a fallire.
Galileo rimase però convinto che la luce impieghi del tempo a propagarsi.
Oggi gli studenti di fisica ripetono questa esperienza in laboratorio con mezzi
moderni e riescono a misurare che la luce impiega circa 200 miliardesimi di secondo
per propagarsi fino ad uno specchio a 30 metri di distanza e tornare indietro.
Galileo non ha fallito, invece, nello sviluppo del telescopio. Egli mise insieme
dei componenti comuni, delle lenti per correggere i difetti visivi, già diffuse 200-300
anni prima della sua nascita. Il merito principale di Galileo, però, è quello di avere
applicato ai corpi celesti – che egli vide per la prima volta molto bene con il
telescopio – le stesse leggi fisiche che aveva sperimentato in laboratorio.
Il telescopio di Galileo era un oggetto molto semplice, secondo standard
moderni, ma le sue misure ebbero un significato concettuale enorme. Si trattava di
una lente biconvessa (che serve per curare la miopia) e una lente biconcava (per
curare la presbiopia) poste ad una certa distanza. Si trattava di lenti piccole, quindi
era uno strumento estremamente poco luminoso, però avevano la capacità di
ingrandire l'immagine osservata. Queste lenti erano già note da tempo, ma Galileo,
che studiava la natura con metodi matematici, scoprì come combinare le due lenti per
ottenere il migliore ingrandimento e riuscì ad avere ben 20 ingrandimenti. Il nome
“telescopio” è dovuto a Federico Cesi, amico di Galileo e fondatore dell’Accademia
dei Lincei, il quale nel 1611 denominò in questo modo lo strumento capace di vedere
lontano.
Grazie al suo telescopio, Galileo riusciva ad ingrandire ciò che si vedeva in
lontananza, quindi lo strumento aveva un’applicazione terrestre molto importante per
il commercio e per la guerra. Lo mostrò al Doge a Venezia, ed ottenne un aumento di
stipendio; ebbe così più tempo da dedicare alle sue ricerche e puntò finalmente il
telescopio verso il cielo.
Osservò, prima di tutto, la Luna, e vide che non è un oggetto metafisico: in
realtà, sulla Luna ci sono valli e montagne, e queste fanno ombra. Era impossibile
fare queste osservazioni ad occhio nudo. Con il telescopio, invece, le immagini erano
chiarissime e Galileo non ebbe paura di dire qualcosa di nuovo, perché era sicuro del
suo strumento e delle sue osservazioni, le aveva ripetute e sapeva che chiunque
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avesse effettuato le stesse osservazioni con uno strumento simile avrebbe visto le
stesse cose.
Egli volse poi il telescopio alla Via Lattea, che ad occhio nudo e nei cieli bui di
quell’ epoca appariva come una macchia chiara e diffusa. Finalmente, grazie al suo
telescopio, Galileo scoprì che in realtà quella luce diffusa era composta da un’
infinità di piccole sorgenti luminose, un’ infinità di stelle.
Puntò poi il telescopio verso Venere, e scoprì che la stella del mattino ha le
fasi, come la Luna: ciò vuol dire che Venere gira intorno al Sole !. Galileo osservò
anche Giove, e scoprì delle piccole macchie luminose (i satelliti che denominò poi
Medicei) che ruotavano intorno a Giove. Egli si accorse quindi che non tutto gira
intorno alla Terra, perché qualcosa girava intorno a Giove e Venere girava intorno al
Sole. Da ciò si convinse che anche la Terra girava intorno al Sole: la Terra non era
più al centro dell'universo.
Il fatto che i satelliti di Giove girino intorno a Giove implica che qualunque
oggetto dotato di grande massa attira le masse circostanti e le fa orbitare intorno a sé.
Questa considerazione è preliminare alla grande scoperta della gravitazione
universale di Newton, che avverrà nel secolo successivo.
I satelliti di Giove servirono anche a misurare la velocità della luce. Molti anni
dopo Galileo, utilizzando il ritardo con cui i satelliti entrano nell'ombra di Giove
quando sono più lontani dalla Terra, Roemer riuscì a stabilire che la velocità della
luce è circa 200.000 chilometri al secondo: una velocità enorme, sbagliata, ma non di
troppo: l' ordine di grandezza era quello giusto già nel 1675.
L' anno della morte di Galileo nacque Newton, un altro grande della fisica: sue
sono le leggi della dinamica e della gravitazione universale. Newton aveva anche una
concezione cosmologica: egli pensava, da fisico, che se la gravitazione è veramente
universale, allora anche le stelle devono attirarsi tra loro. Ma se le stelle formassero
un sistema limitato, attirandosi cadrebbero tutte nel centro del sistema. Ciò significa
che le stelle debbono essere disposte senza limiti in un universo infinito. Questo il
ragionamento di Newton alla fine del 1600.
Nel frattempo si era capito che per guardare più lontano si dovevano utilizzare
lenti e telescopi sempre più grandi. Newton stesso diede un contributo inventando il
telescopio a specchi (il telescopio newtoniano) che permise di realizzare telescopi
ancora più grandi. Cassegrain e Gregory inventarono schemi con telescopi a due
specchi ancora più compatti. Herschel, nel 1700, riuscì a costruire un telescopio
addirittura di 1,20 metri di diametro, grazie al quale stabilì che la galassia è un
sistema di stelle limitato, ma che esistono altri sistemi di stelle più lontani della nostra
galassia. Nel frattempo, tra il 1700 e il 1800, la velocità della luce venne misurata con
precisione sempre maggiore, arrivando alla conclusione che essa è di circa 300.000
chilometri al secondo, circa 1 miliardo di chilometri all'ora.
Camille Flammarion, nel 1887, scrisse un libro intitolato “L'universo
anteriore”, in cui descrisse esplicitamente la possibilità straordinaria che hanno gli
astronomi di guardare il passato dell' universo sfruttando il fatto che la luce impiega
tanto tempo per percorrere le enormi distanze cosmiche.
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Oggi sappiamo che la luce proveniente dal Sole impiega 8 minuti per giungere
fino a noi, cioè è stata emessa 8 minuti prima: in sostanza, noi vediamo il Sole come
era 8 minuti prima dell'attimo in cui lo osserviamo. Ma per le stelle questi tempi sono
molto più lunghi. La luce della stella più vicina impiega 4 anni per arrivare fino a noi,
mentre quella di una galassia relativamente vicina, Andromeda, è partita 2 milioni di
anni fa prima del momento in cui noi la osserviamo. Le galassie più lontane che
conosciamo emisero la luce che riceviamo oggi alcuni miliardi di anni fa: si dice che
sono distanti miliardi di anni luce.
Sorge spontanea allora una domanda: se guardando sempre più lontano
osserviamo più indietro nel tempo, possiamo allora guardare abbastanza lontano da
vedere l'inizio dell'universo (ammesso che ci sia stato un inizio) ?
Oggi possiamo rispondere che è possibile, ma non è facile.
Occorre considerare innanzitutto che l'universo non è fermo (Newton riteneva
invece che lo spazio fosse rigido, bloccato), ma si sta espandendo, e che non è sempre
rimasto uguale a se stesso. Ciò significa che guardando epoche precedenti
osserveremo un universo molto diverso da quello che vediamo intorno a noi. Per fare
questo lavoro, quindi, servono mezzi tecnici particolari: non bastano i telescopi ottici,
ma servono telescopi per radiazione infrarossa o millimetrica, che sono stati
sviluppati solo molto recentemente.
In questo modo arriviamo agli esperimenti come BOOMERanG, grazie al
quale per la prima volta è stato possibile realizzare una mappa dell'universo nella fase
più antica in cui è osservabile. Non è una mappa del Big Bang, nessuno può farla,
perché prima dell’epoca a cui siamo arrivati con BOOMERanG l' universo era opaco,
non era trasparente. Possiamo però realizzare una mappa dell'universo come era circa
300.000 anni dopo il Big Bang, cioè circa 13,7 miliardi di anni fa. L'esperimento
BOOMERanG è stato confermato dal satellite WMAP della NASA e da altri
esperimenti indipendenti. Si tratta quindi di misure di tipo fisico, confermate
indipendentemente da più osservatori: per questo vengono accolte dalla comunità
scientifica come realtà fisica.
Per osservare lontanissimo, dobbiamo studiare cosa c'è intorno a noi nell'
universo. Ci sono innanzitutto stelle, relativamente vicine e simili al Sole. La nostra
galassia è formata da qualche centinaio di miliardi di queste stelle, ma non è tutto
l'universo. Una galassia è un enorme ammasso di stelle, grande circa 100.000 anni
luce; le galassie sono poi raggruppate in ammassi di galassie ancora più grandi (ad
esempio, COMA e Virgo), che formano una struttura complessa, spugnosa, che
riempie l' universo fino alle distanze maggiori che possiamo osservare.
Nella mappa 2dF delle posizioni delle galassie nello spazio, ogni puntino blu
indica una galassia. Nella mappa ci sono circa 200.000 galassie, delle quali
conosciamo esattamente la posizione, ma in essa non è rappresentato tutto l' universo.
Nelle regioni più lontane non si vede più niente: ciò non significa che in quel punto
non vi sono più galassie, ma queste sono talmente lontane che i nostri telescopi non
riescono ad osservarle abbastanza bene da misurarne la distanza.
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Possiamo pensare che la struttura spugnosa fatta di galassie riempia tutto
l'universo, perché – almeno fin dove riusciamo a osservarla con telescopi molto
grandi – non la vediamo cambiare. Il futuro di queste ricerche, quindi, è nei grandi
telescopi. Recentemente è stato inaugurato in Arizona il telescopio binoculare
italiano, composto da due specchi da 8 metri, che consentirà certamente di osservare
galassie ancora più lontane. Il prossimo telescopio spaziale JWST avrà un grande
specchio da circa 10 metri di diametro.
Ma se vogliamo realmente guardare il passato remoto dell'universo non è questa la
strada, perché l'universo si sta espandendo. Negli anni Venti, Carl Wirtz e Edwin
Hubble scoprirono che tutte le galassie lontane che osservavano con i loro telescopi
apparivano più rosse di quelle vicine. La spiegazione che Hubble dette è abbastanza
semplice: tale fenomeno dipende dal fatto che il colore della luce che osserviamo, a
cui i nostri occhi sono sensibili, è in realtà una manifestazione della lunghezza d'onda
della luce. La luce blu è data da onde di circa 0,4 milionesimi di metro, la luce rossa
da onde di 0,7 milionesimi di metro di lunghezza d'onda. Tutti i fenomeni ondulatori
dipendono dalla velocità con cui la sorgente di queste onde si sposta, il cosiddetto
effetto Doppler. Nell'esperienza quotidiana, quando un’ ambulanza viene verso di
noi, sentiamo un suono abbastanza acuto, che diventa più grave quando l’ambulanza
ci sorpassa. In realtà, il suono della sirena ha sempre la stessa frequenza e lunghezza
d'onda, ma la sorgente si sposta; quindi, le onde sonore si comprimono quando
l'ambulanza viene verso di noi e si estendono quando l'ambulanza si allontana.
Pertanto, la lunghezza delle onde sonore dipende dallo stato di movimento. Si può
quindi pensare che tutte le galassie le galassie che Hubble e Wirtz vedevano nel cielo
si stessero allontanando da noi, rendendo quindi più rossa la radiazione percepita
dall’ osservatore. Inoltre Hubble e Wirtz notarono che più erano lontane le galassie,
più erano rosse.
L’interpretazione semplicistica di questa constatazione non è che noi siamo il
centro dell'universo e tutte le galassie si allontanano da noi. C'è un’interpretazione
molto più democratica: supponiamo che tutte le galassie si stiano allontanando tra
loro (non solo dalla nostra galassia, ma in tutte le distanze), si stiano espandendo cioè
nello stesso modo. L'esempio più semplice per immaginare questo processo è quello
del panettone che lievita. Immaginiamo di mettere in forno 20 centimetri di pasta di
panettone e uvette. In 2 ore il panettone raddoppia di dimensioni; ciò vuol dire che
un'uvetta che all'inizio stava a 5 centimetri dalla nostra uvetta di riferimento, dopo 2
ore è distante 10 centimetri, quindi si è spostata di 5 centimetri in 2 ore (2 centimetri
e mezzo all'ora). L’uvetta si sta allontanando da quella di riferimento ad una velocità
di 2 centimetri e mezzo all'ora. Ma un’ altra uvetta, che inizialmente si trova a 10
centimetri di distanza dalla nostra uvetta di riferimento, alla fine della cottura si
troverà a 20 centimetri di distanza, quindi nelle stesse due 2 ore si è spostata di 10
centimetri (5 centimetri all'ora): a distanza doppia, corrisponde velocità di
allontanamento doppia. Se sostituite alle uvette le galassie, e alla pasta del panettone
lo spazio stesso, avete una idea di cosa vuol dire uno spazio che si espande
uniformemente, in cui tutte le distanze si espandono dello stesso fattore. In quello
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spazio vale la legge di Hubble, per cui a distanza doppia corrisponde velocità di
allontanamento doppia. Le galassie più lontane, che ci interessano perché
osservandole sondiamo il passato remoto dell'universo, si allontanano molto
velocemente, per cui le loro lunghezze d' onda saranno molto allungate. Cominciamo
con lunghezze d'onda normali, visibili, quindi gialle, verdi o blu, che poi diventano
rosse; se guardiamo galassie ancora più lontane, le lunghezze d’onda saranno sempre
più lunghe e andranno a finire nell'infrarosso e poi nel millimetrico, per cui non
saranno più visibili ai nostri occhi e dovremo ricorrere a strumenti particolari,
sensibili a lunghezze d'onda infrarosse.
In realtà, grazie alla relatività generale di Einstein oggi sappiamo che ciò che
allunga le lunghezze d’ onda non è un vero effetto Doppler, ma il cosiddetto redshift
cosmologico: le equazioni di Einstein prevedono che un mezzo infinitamente esteso
ed omogeneo si espanda o si contragga, e che tutte le lunghezze al suo interno
(comprese le lunghezze d’ onda dei fotoni) si espandano o contraggano dello stesso
fattore: il fattore di scala.
Recentemente è stata osservata una galassia la cui luce ultravioletta viene
spostata nell'infrarosso di circa 10 volte, quindi la lunghezza d'onda viene allungata
di circa 10 volte. Secondo Einstein, questo vuol dire che quando la luce è partita tutte
le distanze nell’ universo erano circa 10 volte più piccole di oggi.
Questa galassia, che appare minuscola nell' immagine astronomica, è
estremamente importante, perché la sua lunghezza d'onda è molto lunga ed è la
galassia più lontana che conosciamo, rappresenta un record.
Per quanto ci sforziamo, e anche utilizzando rivelatori sensibili a lunghezze
d'onda sempre più lunghe, ad un certo punto non si vedono galassie più lontane. In
effetti, le galassie più lontane che riusciamo a vedere sono diverse da quelle vicine:
sono più piccole, irregolari, non hanno quelle belle forme ellittiche o a spirale, ma
assumono forme strane.
Questo ci fa pensare che le galassie non siano sempre esistite nell'universo; in
sostanza, c’è stata un’epoca in cui ancora non esistevano, e si sono formate solo
successivamente. Possiamo dire quindi che non vediamo galassie più lontane rispetto
a quella galassia “record” semplicemente perché prima di allora le galassie ancora
non esistevano. Doveva esistere comunque la materia che poi le ha formate, quindi ci
aspettiamo di vedere non l’universo primordiale fatto di galassie come quelle che
vediamo oggi, ma un universo primordiale molto più semplice, fatto di materia
omogenea.
A questo punto entra in gioco l’idea che all’espansione si accompagna sempre
un processo di raffreddamento. Se aprite una bombola di gas compresso, il gas
uscendo si espande e si raffredda, tant’è vero che nello stesso tempo potete avvertire
che il rubinetto della bombola si ghiaccia.
Un fenomeno analogo deve succedere per l'universo. Abbiamo visto che l'
universo si sta espandendo, quindi doveva essere più caldo nel passato. In un passato
abbastanza remoto, ci aspettiamo di vedere un' epoca in cui l' universo era caldo
come il Sole: quello è il limite della nostra conoscenza. Quando guardiamo il Sole,
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vediamo una sfera di gas incandescente, con zone un po' più calde e un po' più fredde,
però non possiamo vedere dentro il Sole, perché il gas incandescente è opaco, non
consente alla luce di propagarsi al suo interno perché le cariche libere la diffondono
continuamente.
Ci aspettiamo che l' universo primordiale si presenti appunto come un gas
incandescente, con zone leggermente più calde e leggermente più fredde. La luce
parte da questo gas incandescente, come parte dalla superficie del Sole. Il Sole è
vicino, per cui la sua luce impiega 8 minuti per arrivare fino a noi, mentre questo gas
incandescente è lontanissimo, per cui la luce impiega circa 14 miliardi di anni per
giungere a noi, e nel frattempo la sua lunghezza d' onda viene allungata fino a
diventare radiazione a microonde. Questa è l'idea di George Gamow, fisico Russo
emigrato negli Stati Uniti, che negli anni Cinquanta propose la teoria del Big Bang
caldo: l' universo primordiale doveva essere caldissimo; in esso dovevano avvenire
reazioni di fusione termonucleare, e da esso deve provenire luce, radiazione
elettromagnetica.
Questa luce, che è la luce più antica che possiamo osservare, viene allungata
dall’ espansione fino a diventare un fondo di microonde. Nel 1965, Arno Penzias e
Robert Wilson constatarono che, ovunque puntavano la loro antenna a microonde,
osservavano una radiazione a microonde proveniente dal cielo. In realtà essi non
furono capaci di interpretare le loro osservazioni (cercarono addirittura di pulire
l'antenna!), ma ovunque puntassero l'antenna questa radiazione continuava ad essere
presente.
I fisici del gruppo di Princeton, che invece stavano proprio cercando quella
radiazione perché avevano capito il messaggio di George Gamow, venuti a
conoscenza dei risultati delle osservazioni di Penzias e Wilson, ne diedero finalmente
la giusta interpretazione: quelle percepite dall’antenna erano microonde diffuse dalla
materia presente nell' universo primordiale. Si risolveva così uno dei paradossi che
avevano sfidato gli astrofisici fin dai tempi di Keplero. Allora si pensava ad un
universo riempito uniformemente di stelle, per cui ovunque si guardi, prima o poi si
dovrà vedere una stella e quindi il cielo dovrà essere luminoso anche di notte. Così
non è: da qui il paradosso, detto paradosso di Olbers. In realta’, ovunque si guardi
nel cielo, si osserva la radiazione a microonde proveniente dall'universo primordiale,
perché ovunque si volge lo sguardo, se si guarda abbastanza lontano, si vede una fase
in cui l'universo era un gas incandescente. Il paradosso e’ risolto.
Per 25 anni, dopo la sua scoperta nel 1965, si è continuato a misurare il fondo
cosmico a microonde, fino a giungere nel 1992 ad una misura definitiva – quella del
satellite COBE della NASA, per la quale J. Mather ha ottenuto il premio Nobel nel
2006. Si rileva così che questa energia dipende dalla lunghezza d’ onda in un modo
molto preciso: si tratta della curva di corpo nero (la curva di Planck), che riguarda
tutte le emissioni di materia in equilibrio termico, come il gas incandescente doveva
essere nell'universo primordiale. Questa misura ha margini di errore piccolissimi (una
parte su 10.000): è una delle misure più precise di tutta l' astrofisica.
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Si tratta della conferma definitiva della teoria di Gamow: effettivamente
l'universo primordiale era incandescente e produceva proprio la radiazione che ci si
aspetta venga emessa da un gas incandescente.
La sfida successiva consiste nel capire quale immagine deve avere questa
radiazione proveniente dall' universo primordiale. È difficilissimo rispondere a tale
quesito, innanzitutto perché queste microonde sono già di per sé molto deboli: è un
corpo nero a 3 gradi kelvin, pari ad un centesimo dell' emissione della Terra e degli
oggetti a temperatura ambiente (300 gradi Kelvin).
Dopo Penzias e Wilson, gli scienziati provarono ad eseguire misure sempre più
precise, ma l’immagine rimaneva uniforme come una fotografia non contrastata,
grigia, uguale dappertutto. Si cominciò a stabilire che era uguale dappertutto entro il
10 per cento, poi entro l'1 per cento e infine entro l'1 per mille; alla fine degli anni
Ottanta, si era arrivati a stabilire una uniformità dell'ordine di una parte su 10.000.
Con un altro esperimento a bordo del satellite COBE, DMR, si è riusciti a
visualizzare delle piccole variazioni di intensità del fondo cosmico, chiamate
anisotropie, a livello di circa 10 parti per milione. Un’ immagine del genere è
estremamente poco contrastata, ma con risoluzione e sensibilità sufficienti per
riuscire a vedere grandi macchie leggermente più chiare e leggermente più scure nell'
immagine dell’ universo primordiale.
Si vorrebbe fare di più, si vorrebbe ottenere un maggiore dettaglio dell'
immagine. Infatti, ragionando con Gamow, si ottiene che il tempo che passa dal Big
Bang (uno stato a densità e temperature infinite) al momento in cui l’ universo si
raffredda fino a qualche migliaio di gradi, e quindi diventa trasparente, è di circa
400000 anni. Allora regioni che a quell’ epoca sono più distanti di 400000 anni non
hanno avuto abbastanza tempo per interagire tra loro, e quindi non hanno nemmeno
avuto tempo di uniformare la loro temperatura. Ci si aspetta quindi che la loro
emissione di microonde sia un po’ diversa. Ma una regione ampia 400000 anni luce,
vista da una distanza di 14 miliardi di anni luce, e tenendo conto dell’ espansione
dell’ universo, sottende un angolo di circa un grado. Per vedere queste disuniformità,
quindi, si dovrebbe realizzare un telescopio più grande, in modo da avere una
risoluzione migliore di un grado.
Van Gogh, nel suo quadro “Notte stellata”, ha dipinto le stelle come globi di un
grado di diametro; queste stelle, viste con la risoluzione di COBE, che è di circa 7
gradi, spariscono, sono completamente. Quindi l'immagine di quel piccolo satellite
della NASA, sebbene sia stata così importante, non era sufficientemente nitida per
vedere le strutture più interessanti. Per ottenere un’immagine più nitida, è necessario
un vero telescopio per microonde, che abbiamo cercato di costruire con l' esperimento
Boomerang. Realizzando un vero telescopio per il fondo cosmico, si sarebbe ottenuta
una risoluzione migliore di un grado, e quindi sarebbe stato possibile osservare tutti i
dettagli dell'universo primordiale: questa è la sfida che ci si è posti alla fine degli anni
Novanta.
Per realizzare questa misura, grazie ad una collaborazione internazionale
guidata dall’università di Roma La Sapienza, con gli importantissimi contributi di
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colleghi americani, inglesi e canadesi, è stato costruito BOOMERanG, un vero
telescopio per microonde. Ci sono tante parti che formano questo telescopio: uno
specchio da 1,20 metri, costruito in Italia, rivelatori sensibilissimi di microonde,
costruiti a Caltech, che vengono raffreddati a temperature bassissime per renderli
estremamente sensibili. Lo strumento per raffreddare i rivelatori a soli 3 decimi di
grado sopra lo zero assoluto è stato costruito a Roma e Frascati: con questo sistema
l'agitazione termica che impedisce ai rivelatori di essere sensibili viene congelata e
così i fotoni del fondo cosmico possono essere misurati.
È poi necessario spostare l'esperimento al di sopra dell' atmosfera terrestre,
perché questa non è trasparente alle microonde. Quindi si è deciso di lanciare l'
esperimento dall'Antartide, con un grosso pallone di circa 1 milione di metri cubi,
riempito di elio, portandolo a 40 chilometri di quota. A quell’altitudine si possono
raccogliere tutte le misure necessarie, senza disturbi. Ovviamente è un esperimento
automatico: a bordo ci sono alcuni computer che programmano le misure, le
eseguono e trasmettono i dati a terra. È stato scelto l'Antartide perché disabitato
(quindi l’ esperimento può sorvolarlo senza rappresentare un pericolo) e perché da lì
è possibile osservare la zona del cielo meno contaminata dalla nostra galassia: in
quella zona la nostra galassia è trasparente e non disturba le misure; inoltre
osservando tale regione durante l’ estate antartica il Sole si trova sempre alle nostre
spalle, quindi possiamo fare queste misure indisturbati dalla fortissima emissione a
microonde del sole.
Lo strumento era alimentato da grandi pannelli solari e protetto dalla
radiazione della terra e del sole da grandi pannelli riflettenti. E’ stato portato a 40
chilometri di quota, dove ha effettuato le scansioni del cielo per 11 giorni,
realizzando infine la mappa dell'universo primordiale. Sull' isola di Ross, in
Antartide, vi è un laboratorio di legno, nel quale abbiamo assemblato lo strumento
precedentemente “impacchettato” in Italia: in 2-3 mesi di lavoro siamo riusciti a
montarlo, a calibrarlo e finalmente a lanciarlo.
E’ da sottolineare la collaborazione internazionale, perché non avremmo mai
potuto condurre a termine questo esperimento con le nostre sole forze. Un gruppo di
circa 40 persone, sparse in quattro nazioni diverse, ha deciso di lavorare insieme e,
con fondi relativamente scarsi, è riuscito a costruire un esperimento che ha dato
risultati importanti.
Dopo il lancio, l'esperimento si è mosso lentamente in balia delle correnti a
getto della stratosfera e in 11 giorni è tornato più o meno nella zona di partenza; è
sceso a terra con un paracadute, poi sono stati recuperati i dati e gli strumenti. Mentre
lavoravamo è venuto anche a farci visita un simpatico pinguino: è stato un episodio
insolito, ma ci ha fatto piacere.
Con questo esperimento, abbiamo ottenuto delle mappe dell'universo
primordiale, in cui si riscontrano piccole variazioni di temperatura, regioni un po' più
fredde o un po’ più calde. Parlo comunque di variazioni di circa 100 milionesimi di
grado, quindi sono veramente piccole fluttuazioni, che però hanno una forma molto
particolare, a tal punto che poi i risultati sono stati pubblicati su riviste internazionali
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importanti. La particolarità è data dal fatto che la dimensione della maggior parte di
queste macchie è proprio di circa 1 grado.
Cerchiamo di capire per quale motivo la dimensione è quella riscontrata. Noi
guardiamo il gas incandescente come era circa 300.000 anni dopo il Big Bang: tanto
ci vuole all'universo per raffreddarsi abbastanza da diventare neutro, dopo la fase in
cui era gas incandescente. Ciò vuol dire che due punti che a quell' epoca erano
separati a più di 300.000 anni luce non hanno avuto modo di interagire tra loro; in
sostanza, le forze non hanno avuto il tempo di agire da un punto ad un altro distante
più di 300.000 anni luce. Questo vuol dire che zone di universo che quell'epoca erano
distanti più di 300.000 anni luce devono risultare leggermente diverse. Noi
guardiamo queste zone da una distanza di 14 miliardi di anni luce: se facciamo il
rapporto fra 300.000 e 14 miliardi e moltiplichiamo per un ulteriore fattore 1.000
(perché intanto l'universo si è espanso 1.000 volte), troviamo proprio un angolo
sotteso da queste zone di circa 1 grado.
Abbiamo ipotizzato che dai due estremi di questa regione di 300.000 anni luce,
la luce si sia propagata fino a noi secondo linee rette, ma questo non è sempre vero
nell' universo, dove invece succede spesso che la luce curvi la sua traiettoria. Questa
è una delle previsioni e delle prime verifiche della relatività generale di Einstein: la
luce, in presenza di grandi masse, curva la sua traiettoria.
Questo è stato osservato quando la luce, partendo da una stessa sorgente (ad
esempio un lontanissimo Quasar), percorre due o più strade diverse per arrivare fino a
noi, passando sopra e sotto una massa posta (una galassia o un ammasso di galassie)
tra noi e la sorgente. La massa ha curvato lo spazio circostante, deflettendo la luce
che le passa vicino. In tal caso si osservano immagini multiple della stessa sorgente.
La relatività generale prevede che anche a grandi scale (quelle percorse dal
fondo cosmico, che percorre tutto l’ universo osservabile prima di arrivare ai nostri
telescopi a microonde) la luce possa percorrere traiettorie curve se lo spazio è curvato
dalla densità totale di massa ed energia presenti nell’ Universo.
In sostanza, se emettiamo due raggi di luce paralleli, questi continuano a
rimanere paralleli, oppure convergono o divergono (a seconda se lo spazio è
Euclideo, oppure è curvato positivamente o negativamente). Misurare il grado di
curvatura dell’ universo permetterebbe quindi di misurarne la densità totale di massaenergia. Se consideriamo due raggi di luce provenienti da estremi opposti di una
macchia grande 400000 anni luce, nell’ universo primordiale, viaggiando su linee
rette questi arriveranno all’ osservatore formando un angolo di 1 grado. Ma se lo
spazio è curvo positivamente, i raggi convergeranno verso l’ osservatore, formando
un angolo maggiore di un grado. La macchia risulterà ingrandita. Se lo spazio è
curvato negativamente la macchia risulterà rimpicciolita.
Prima delle misure di Boomerang non si sapeva se l'universo avesse una geometria
euclidea oppure una geometria curva a causa della sua massa-energia. L’analisi di
Fourier (una procedura matematica molto potente) della mappa dell’ universo
primordiale misurata da BOOMERanG permette di stabilire quante sono le macchie
di 1 grado, ma anche quante quelle di mezzo grado o di un terzo di grado. Si conclude
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che la maggior parte delle macchie hanno proprio la dimensione di 1 grado. Quindi la
geometria dell'universo è proprio quella Euclidea, e i raggi di luce del fondo cosmico
a microonde si sono propagati davvero su linee rette per 14 miliardi di anni. Euclide
aveva ragione, anche a livello cosmologico.
Abbiamo trovato un risultato nuovo, ma ora dobbiamo rispondere a due
ulteriori e importanti domande. Innanzitutto, se nell' universo ci vuole tanta massaenergia (quella giusta perché lo spazio sia piatto, euclideo), di cosa è fatta ? Noi
conosciamo le stelle, le galassie, gli ammassi di galassie, il gas che c'è tra le stelle,
ma se contiamo tutta quella massa, la sua densità è pari all’incirca al 4 per cento di
quella che sarebbe necessaria per propagare i raggi di luce su linee rette. In sostanza,
se nell'universo ci fosse solo la massa che misuriamo direttamente, allora i raggi di
luce dovrebbero convergere su linee curve verso l'osservatore.
Ne consegue che nell'universo c'è altra massa o altra energia, che però non
abbiamo mai sperimentato in laboratorio. Abbiamo una conferma indiretta della loro
presenza, perché mancano massa ed energia nell' universo anche per rendere conto
dei movimenti delle stelle nelle galassie e delle galassie negli ammassi di galassie.
Sappiamo quindi che deve esistere una “materia oscura” che ha massa e quindi agisce
gravitazionalmente, ma non interagisce con la luce, perché non la vediamo. Particelle
di questo genere non sono mai state osservate in laboratorio. Una delle grandi
speranze dell’ esperimento LHC al CERN di Ginevra, che dovrebbe essere operativo
nel 2008, è proprio quella di riuscire a misurare queste elusive particelle, previste
nelle estensioni supersimmetriche del modello standard delle particelle elementari.
Quindi, quando sentite parlare di materia oscura e di energia oscura (e ormai se ne
parla spesso nei mensili scientifici o anche in trasmissioni scientifiche), tenete
presente che queste non sono mai state misurate in laboratorio, ci sono evidenze solo
indirette della loro presenza.
La nuova frontiera della ricerca in fisica e cosmologia è appunto capire cosa
possono essere questa energia oscura e questa materia oscura. Il nostro modello
standard della fisica delle particelle elementari non riesce a fornire una spiegazione
in questo senso, quindi è necessario compiere un salto di qualità, elaborare una nuova
teoria fisica, per spiegare ad esempio come si siano formate le fluttuazioni di densità
che osserviamo nella mappa di Boomerang, a partire da un campo di energia
primordiale, che poi si è espanso dal microscopico al macroscopico, fino a formare
l'universo incandescente che noi osserviamo.
Nel frattempo, sono stati fatti nuovi esperimenti. Il satellite WMAP ha
realizzato una mappa di tutto il cielo nelle microonde e ha confermato pienamente i
risultati che avevamo ottenuto con Boomerang. Nel 2008 verrà lanciato un nuovo
satellite, Planck, che andrà a finire ad 1 milione e mezzo di chilometri da Terra, per
consentire osservazioni ancora più precise della radiazione cosmica di fondo.
Si sta cercando inoltre di studiare non solo quanta energia arriva dal fondo
cosmico, ma anche quali sono le direzioni di polarizzazione delle onde
elettromagnetiche, perché queste possono aiutarci a penetrare il gas incandescente e
ad arrivare ai primi attimi dopo il Big Bang. Ci si aspetta infatti che le onde
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elettromagnetiche diffuse nell’ universo primordiale siano polarizzate, un po’ come
polarizzata è la luce blu del sole diffusa dall’ atmosfera terrestre.
Per compiere questi studi, abbiamo lanciato nuovamente Boomerang, dopo
averlo dotato di nuovi rivelatori sensibili alla polarizzazione. Così, è stata realizzata
una mappa non solo dell' energia, ma anche delle direzioni di polarizzazione delle
onde elettromagnetiche. In questo complesso disegno di direzioni di polarizzazione è
nascosta la risposta ad uno degli enigmi della cosmologia odierna. Esiste infatti una
affascinante teoria, quella dell’ inflazione cosmica, che collega il mondo
microscopico a quello cosmologico. Si suppone infatti che pochi attimi dopo il Big
Bang l’ universo è passato attraverso una fase di espansione accelerata velocissima,
che ha portato un volume microscopico di dimensioni subnucleari a diventare più
grande di tutto l’ universo osservabile oggi. Questo evento, avvenuto ad energie che
mai potremo realizzare in laboratori terrestri, permette di spiegare la geometria
euclidea dell’ Universo (qualunque curvatura preesistente verrebbe “stirata” ed
appiattita dall’ enorme espansione), e la natura delle fluttuazioni di densità
primordiali che vediamo come anisotropie del fondo cosmico a microonde (che
sarebbero prodotte dalle fluttuazioni quantistiche presenti prima dell’ infazione). In
effetti, tutti i dat raccolti finora confermano questa teoria. Una ulteriore previsione
della teoria inflazionaria è la produzione di onde gravitazionali durante la velocissima
espansione. Queste produrrebbero particolari simmetrie nelle direzioni di
polarizzazione del fondo cosmico a microonde, osservabili con esperimenti
estremamente precisi. Il nuovo volo di BOOMERanG è solo una tappa di un lungo
cammino dedicato a queste misure, che probabilmente si completerà con un
esperimento su satellite: una proposta internazionale, chiamata B-Pol, è stata
presentata all’ Agenzia Spaziale Europea ed all’ Agenzia Spaziale Italiana, e contiene
una successione di esperimenti che debbono valicare via via tutte le tecnologie
necessarie a questa difficilissima misura. A questo studio contribuiscono anche
osservazioni da terra, eseguite nei luoghi più freddi e secchi del globo, come l’
esperimento BRAIN, dall’ Antartide, o l’ esperimento ClOVER, dal deserto di
Atacama.
Il nostro gruppo prepara anche altre misure per studiare in modo fisico l'
universo primordiale: l’ esperimento OLIMPO, sempre su pallone, osservando
particolari ammassi di galassie e l’ “ombra” che essi producono sul fondo cosmico a
microonde, permetterà di studiare le prime fasi della formazione delle più grandi
strutture cosmiche, ed anche di gettare luce sulla natura della materia oscura,
osservandone i prodotti di decadimento.
Concludendo, tanto abbiamo scoperto, utilizzando metodi fisici per lo studio
della cosmologia. Ma ancora di più rimane da capire, utilizzando sinergicamente
esperimenti in laboratorio e osservazioni cosmologiche, sulla natura ultima del nostro
Universo.
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