Max Planck
LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA ED
IL SORGERE DELLA
MECCANICA QUANTISTICA
LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA
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La scienza di fine ‘800 si basava su due pilastri
della fisica classica:
La meccanica
 L’elettromagnetismo

In cui si identificavano due tipi di fenomeni, quelli
corpuscolari e quelli ondulatori, che avevano forme
di evoluzione diverse e inconciliabili tra loro.
 Alcuni lavori sperimentali, realizzati, verso la fine
dell’800, mostrarono in modo indiscutibile delle
caratteristiche in netto contrasto con quanto
previsto dalla fisica classica.
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LA CRISI DELLA FISICA CLASSICA
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Uno dei problemi sollevati dagli esiti dei suddetti
lavori fu il cosiddetto problema del corpo nero
destinato andare vita a una delle più grandi
rivoluzioni concettuali della storia del pensiero
scientifico e a gettare le basi della teoria dei quanti.
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LA NASCITA DELLA MECCANICA DEI QUANTI
La nascita della meccanica dei quanti può
essere fatta risalire al 1900, quando Max Planck
(1858-1947) risolse il problema del corpo nero
grazie all’idea che l’energia non è emessa ed
assorbita in quantità continue, ma in quantità
discrete dette appunto quanti.
 Un po’ meno precisi si può essere quando si cerca
di identificare il passaggio dalla meccanica dei
quanti alla cosiddetta “meccanica quantistica”,
ossia alla teoria fisica che prenderà il posto della
meccanica classica nel dominio dei fenomeni
microscopici.
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LA NASCITA DELLA MECCANICA DEI QUANTI
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Si può pensare che questo passaggio avvenga
attorno al 1925-1926, ossia nel periodo in cui si
inizia a lavorare alla sistematizzazione della
nuova teoria, processo che si compirà nel 1932,
quando
verrà
pubblicato
i
fondamenti
matematici della meccanica quantistica di John
von Neumann (1903-1957).
Questo volume non deve essere considerato solo
come contenente la versione più matura della
meccanica quantistica, ma anche come il
suggello della vittoria di una particolare
interpretazione.
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LE DUE SCUOLE DI PENSIERO
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Due sono infatti le interpretazioni della meccanica quantistica.
La prima che risulterà poi vincente, si era formata ad opera dei
fisici che operavano nella città di Copenhagen, fra cui Niels
Bohr (1855-1962), e di Gottinga, dove sotto lo scudo di David
HIlbert (1862-1943) lavoravano Max Born (1882-1970),
Wolfang Pauli (1900-1958), Werner Heisenberg (1901-1980)
e, appunto von Neumann.
La descrizione fisica dei fenomeni subatomici è indeterministica
perché anche il mondo è così.
La formulazione della teoria è completa e non serve completarla
con altre variabili non ancora note (“variabili nascoste”).
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LE DUE SCUOLE DI PENSIERO
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Contro questa scuola, e contro l’interpretazione della
meccanica quantistica da essa sostenuta, si raccolse invece
un nucleo di fisici che annoverava fra i suoi maggiori
esponenti Albert Einstein (1879-1955), Louis De Broglie
ed Erwin Schrödinger (1887-1961).
La formulazione della meccanica quantistica (pur essendo
questa una buona teoria), deve essere completata per farne
una teoria deterministica in quanto il mondo è
metafisicamente deterministico.
Concludendo,per Einstein la meccanica quantistica è una
descrizione incompleta del mondo.
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DIO NON GIOCA A DADI
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In questa lettera del 4/12/1926 a Born, Einstein
esprime il suo disappunto verso la meccanica
quantistica esprimendo il suo famoso parere
secondo cui Dio “non gioca a dadi col mondo”.
Caro Born
[…] la meccanica quantistica è degna di ogni rispetto,
ma una voce interiore mi dice che non è ancora la
soluzione giusta. E’ una teoria che ci dice molte
cose, ma non ci fa penetrare più a fondo il segreto
del gran Vecchio. In ogni caso, sono convinto che
questi non gioca a dadi col mondo.
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DAL CERTO AL PROBABILE
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La meccanica quantistica, introdusse nello studio dei
fenomeni naturali un atteggiamento opposto a quello
tradizionale sostituendo alle previsioni univoche sul moto
dei corpi, tipiche della meccanica classica, previsioni regolate
dal concetto di probabilità.
La meccanica quantistica concerne la descrizione dei
fenomeni che avvengono su scala microscopica (atomica,
subatomica, nucleare, subnucleare)
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ONDA O CORPUSCOLO?
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Una delle innovazioni fondamentali introdotte dalla
meccanica quantistica fu una particolare simbiosi fra due
concetti originariamente antitetici nella descrizione dei
fenomeni naturali: quello di onda e quello di corpuscolo, sui
quali grandi scienziati come Newton e Huygens si erano
fondati per fornire interpretazioni opposte sulla natura delle
radiazioni luminose.
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IL CORPO NERO
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Ogni corpo emette radiazione elettromagnetica, la cui energia
è correlata con la sua temperatura.
Tuttavia, non sempre la temperatura di un corpo è sufficiente
per rendere visibile la radiazione emessa.
Per esempio, per avere della radiazione visibile emessa da
una barra di ferro, bisogna riscaldare a qualche centinaio di
gradi centigradi.
Comunque, un corpo non solo emette radiazione, ma anche
assorbe tutta la radiazione.
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IL CORPO NERO
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Se un corpo assorbe tutta la radiazione che gli arriva,
indipendentemente dalla sua temperatura e dalla
frequenza della radiazione incidente, si dice che si è in
presenza di un corpo nero.
Verso la fine dell’Ottocento ci si chiedeva quale fosse
l’equazione che descriveva lo spettro della radiazione
emessa da un corpo nero.
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IL CORPO NERO
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Questo problema fu risolto nel 1900 da Max Planck grazie alla
sua ipotesi della quantizzazione dell’energia, secondo cui ogni
processo di assorbimento e di emissione di radiazione di
frequenza ν avviene non in modo continuo ma in una
successione discreta di eventi elementari, ognuno dei quali
comporta l’assorbimento o l’emissione di radiazione avente un
quantità di energia pari a:
E = hν
dove h è una costante universale
(da allora nota come costante di Planck), che vale 6,6310-34
Joule-secondo.
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L’ATOMO DI BOHR
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L’idea della quantizzazione dell’energia fu poi usata nel 1913 da
Bohr per proporre il suo modello di sistema atomico, secondo
cui gli elettroni che circondano il nucleo non possono stare in
orbite ben precise, ognuna caratterizzata da un particolare
valore dell’energia E.
In tale modello l’elettrone può passare in un’orbita superiore
caratterizzata da un’energia E’ e quindi l’atomo passa a uno
stato di eccitazione solo quando assorbe esattamente energia
pari a E’ – E, cioè quando assorbe energia avente frequenza ν
tale che:
hν = E’ – E
Analogamente, nel processo di diseccitazione atomica, l’elettrone
passa da una orbita di energia superiore E’’ a un’orbita a
energia inferiore E, emettendo energia con una frequenza ν tale
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che:
hν = E’’ – E
L’EFFETTO FOTOELETTRICO
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Il fisico tedesco Lenard nel 1902 aveva
scoperto che quando la luce colpisce alcuni
metalli, questi espellono degli elettroni.
L’effetto fotoelettrico consiste appunto in tale
fenomeno.
Andando ad indagare più a fondo i fisici
avevano scoperto, con grande sorpresa, che
gli elettroni espulsi avevano velocità e,
quindi, energia che non dipendeva affatto
dall’intensità della luce incidente.
La velocità dipendeva, invece, dalla
frequenza della radiazione incidente.
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L’EFFETTO FOTOELETTRICO:
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L’EFFETTO FOTOELETTRICO
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L’ipotesi di Einstein della quantizzazione dell’energia
estesa alle radiazioni spiegava invece perfettamente logico
il fenomeno.
Quando i fotoni, quanti di energia, urtano la superficie del
metallo, una parte della loro energia hν serve a vincere il
potenziale attrattivo che tiene legato l’elettrone all’atomo;
la rimanente si trasforma in energia cinetica dell’elettrone
espulso, secondo l’equazione:
1 2
mv  h  W
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L’ASPETTO CORPUSCOLARE DELLA RADIAZIONE
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Nel 1905 Einstein, per rendere conto dell’emissione di elettroni
da una superficie metallica su cui incideva della radiazione
elettromagnetica (effetto fotoelettrico), introduce l’idea che
tale radiazione non solo fosse quantizzata nel momento
dell’assorbimento o dell’emissione, come aveva proposto Planck,
ma che viaggiasse in pacchetti, o quanti di energia, detti fotoni,
ognuno con una energia pari a E = hν dove ν era la frequenza
della radiazione stessa.
Questo significa che alla radiazione si devono attribuire anche
delle caratteristiche che fino ad allora si erano attribuite solo
alla materia e cioè che essa viaggiasse in corpuscoli, anche se
privi di massa, aventi una quantità di moto pari a:
ph
υ
c
dove c è la velocità della radiazione.
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L’EFFETTO COMPTON
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Se il fotone, il quanto di radiazione
elettromagnetica, è pensato come un corpuscolo
dotato di quantità di moto, allora per esso deve
valere tutta la teoria degli urti usuali dotati di
quantità di moto.
E, in effetti, così è, come mise in luce
sperimentalmente nel 1923 il fisico americano
Compton.
Egli realizzò un’esperienza che consentiva di
deviare una radiazione per mezzo di elettroni. Il
fenomeno è noto come effetto Compton.
La conclusione di tale esperimento fu che un
elettrone si comporta proprio come una
particella.
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L’EFFETTO COMPTON
Compton ottenne la seguente
espressione per la variazione della
lunghezza d'onda dei raggi X:
λ f  λi 
h
(1  cos)
mc
dove h è la costante di Planck, m
la massa dell'elettrone, e c la
velocità della luce.
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L’ASPETTO ONDULATORIO DELLA MATERIA
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In modo puramente teorico, nel 1915 De Broglie
pensò che se la radiazione presentava il duplice
aspetto di onda e corpuscolo, così doveva essere
anche per la materia. Questa intuizione non era
però accompagnata da una precisa formulazione
teorica.
Fu Erwin Schrödinger a dare una sistemazione
completa a tutta la materia. Ne scaturì la
meccanica ondulatoria.
Ossia, a un corpuscolo materiale di energia E e
quantità di moto p doveva corrispondere una
lunghezza d’onda:
h

p
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L’ASPETTO ONDULATORIO DELLA MATERIA
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Esempio: calcoliamo la lunghezza d’onda associata ad una
pallina avente massa di 50 g e che abbia una velocità di 10
m/s.
Essa sarà:
h

mv
= 6,626 × 10-34 / 5 ×10-2 × 10 = 6,626/5 × 10-33

Si tratta come si vede, di una distanza infinitesima.
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L’ASPETTO ONDULATORIO DELLA MATERIA
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Ebbene, nel 1927 Davisson e Germer e poi
Thomson corroborarono empiricamente questa
ipotesi teorica, mostrando che agli elettroni, in
certe occasioni, erano attribuibili caratteristiche
tipicamente ondulatorie.
In conclusione, si era arrivati a mostrare che la
materia presenta degli aspetti ondulatori.
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IL PRINCIPIO DI COMPLEMENTARIETÀ
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Si era così mostrato sia per via teorica sia per via
sperimentale, che gli oggetti subnucleari, cioè gli oggetti
quantistici, erano caratterizzati da una complementarietà
onda corpuscolo, la quale comportava che essi potessero
essere osservati come corpuscoli nelle situazioni
sperimentali atte a rilevare gli aspetti corpuscolari e come
onde nelle situazioni sperimentali atte a rilevare aspetti
ondulatori.
Tuttavia,
l’aspetto
corpuscolare
e
l’aspetto
ondulatorio
non
potevano
essere
rilevati
simultaneamente.
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IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE
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Nella
meccanica
classica
è
possibile
determinare
simultaneamente la posizione x e la velocità v (cioè la quantità
di moto p=mv, dove m è la massa della particella) con la
precisione che si vuole, naturalmente in funzione della bontà
degli strumenti di misura che si usano.
Questo non vale più per gli oggetti quantistici, come ha messo
in evidenza Heisenberg. Supponiamo di voler misurare la
posizione di un elettrone. Per fare questo gli mandiamo contro
un fotone; l’urto rivelerà dove si trova l’elettrone.
L’interazione fra l’elettrone ed il fotone comporterà che
quest’ultimo uscirà dall’interazione con una velocità (quantità
di moto) diversa da quella che aveva prima.
Bisogna infatti tener conto che ora anche al fotone è associata
una quantità di moto.
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IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE
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Insomma,
per
misurare
la
posizione
dell’elettrone dobbiamo perturbare il suo stato,
rendendo impossibile misurare con la stessa
precisione la sua velocità.
Questa idea che, a livello quantistico, una
qualunque misura perturbi l’oggetto che si
vuole misurare, è sintetizzata nel principio di
indeterminazione proposto da Heisenberg,
secondo cui è impossibile misurare con
precisione assoluta contemporaneamente la
posizione e la quantità di moto di un oggetto
quantistico.
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IL PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE
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Se indichiamo con Δ l’indeterminazione della misura, si ha
che:
x p 
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

2
Ossia che il prodotto dell’indeterminazione nella misura della
posizione e dell’indeterminazione nella misura della quantità
di moto deve sempre essere maggiore o uguale a / 2
Questo comporta che vi è un limite alla precisione
raggiungibile
nella
conoscenza
dei
valori
assunti
simultaneamente da certe grandezze fisiche, come per esempio
la posizione e la quantità di moto di una particella.
Insomma, l’operazione di misura fatta per conoscere il valore
della prima grandezza perturba la conoscenza del valore della
seconda grandezza.
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ACCORDO TRA TEORIE CLASSICHE E QUANTISTICHE
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Dividendo per m la relazione x p 
e ricordando che
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Δp = mΔv, abbiamo :
x v 
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


2m
Questa espressione ci dice che il valore dell’indeterminazione,
espresso dal secondo membro, diventa praticamente
trascurabile non appena m acquista valori che siano anche
solo di qualche microgrammo.
In altri termini, per corpi di dimensioni non subatomiche, la
meccanica quantistica dà risultati in perfetto accordo con la
meccanica classica.
Le teorie quantistiche, quindi, non vanno intese in
contraddizione con le teorie classiche.
Esse si rendono necessarie nello studio di corpuscoli di
dimensioni atomiche e subatomiche.
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