I – 01 IO, INTERNET E IL COMPUTER, Una persona adulta che si avvicini per la prima volta al computer, deve vincere delle resistenze psicologiche personali: questo fatto è dimostrato dal fatto che bambini di pochi anni, che si confrontano ogni giorno con cose nuove da imparare, apprendono ad usarlo in un attimo (almeno nelle sue applicazioni più semplici), mentre ho visto alcune signore di mezza età, magari con un titolo di studio elevato, avere difficoltà anche nel compiere azioni semplici come l’accensione del PC, o il salvataggio di files o il “copia e incolla”. Ancora, ricordo che, anni fa, uno dei maggiori esperti, nell’uso pratico del Pc in una scuola media di Varese, città dove io abito, era un bidello provvisto di un titolo di studio modesto: evidentemente egli aveva visto, in questo strumento, un mezzo di emancipazione culturale e di riscatto, abbattendo così ogni difesa psicologica verso “il nuovo” e soprattutto accettando il principio che bisogna capire come si fa una certa operazione, senza chiedersi come funziona internamente il PC, ma cercando invece di capire la sua “psicologia”, senza pretendere che esso si adegui alla psicologia degli “umani”. Ricordo il rammarico che provavo agli inizi quando scrivendo una parola non conosciuta al correttore ortografico del PC, esso (ma mi viene voglia di scrivere “lui” attribuendogli, in tal modo, caratteristiche umane), se andava bene mi segnalava errore, proponendomi una serie di alternative a lui note, ma talvolta, (mi verrebbe di dire in modo “perfido” attribuendogli ancora sentimenti umani), zitto, zitto, mentre io scrivevo le parole successive, modificava di sua iniziativa la parola: in tal modo, ad esempio, la scuola media A. Vidoletti, diventava Violetti (per la cronaca lo ha fatto anche in questo momento) e bisognava ripetere la scrittura affinché si decidesse a sottolinearla in rosso, a propormi “aggiungi” e “digerisse“ infine la nuova parola. Altra difficoltà con cui si confronta un principiante è il rischio, sempre presente, di cancellare qualche file importante per errore. Questo può essere accettato se si sta scrivendo sulla memoria del PC, in quanto di norma si può ripescare il file dal provvidenziale “Cestino”, ma se si sta trattando il file direttamente su una chiave USB, si può avere la sorpresa di non trovare più il file e questo fatto dà al principiante la sensazione di muoversi costantemente in un “campo minato” in cui il PC se la ride bellamente dei suoi sforzi (ancora umanizzazione del PC) ed è pronto a non perdonare il minimo errore, magari vanificando, in un attimo, il lavoro di ore. Quando ho iniziato ad imparare l’uso del PC, per vincere l’iniziale “timore reverenziale” mi sono detta che bisognava considerarlo come un’automobile, ossia come un mezzo per conseguire certi obiettivi, che va esattamente dove noi, con la nostra competenza, lo conduciamo. Tuttavia dopo le sue prime “intemperanze”, ho cominciato a considerarlo invece come un cavallo. Ciò mi è venuto in mente perché da piccola ho fatto equitazione per anni ed ho notato che il cavallo, appena capisce di avere a che fare con un fantino inesperto, se ne infischia dei desideri del fantino e delle esigenze dei suoi spostamenti, per dedicarsi alla sua attività preferita: brucare l’erba. Infine ho capito che il modo migliore per rapportarsi a questa indispensabile macchina è di apprendere i vari procedimenti che ne consentono l’uso, evitando di considerarlo un essere animato (uomo o cavallo che sia); in definitiva si tratta di apprendere degli “algoritmi”. La parola “algoritmo” è stata coniata partendo dal nome del matematico arabo Al Kuwaritzmi, vissuto nell’ottavo secolo alla corte dei califfi Abbassidi, al quale si deve la definizione esatta dei procedimenti che ci consentono di effettuare le quattro operazioni matematiche basilari con numeri espressi nella notazione decimale. Ritratto su di un francobollo dell'Unione Sovietica, del matematico Al Kuwaritzmi Un algoritmo è dunque un procedimento esatto, espresso sotto forma di un numero preciso e finito di “passi”, che deve avere un inizio preciso ed una fine altrettanto precisa. Già alle scuole elementari siamo venuti a contatto con vari algoritmi matematici; nelle medie poi abbiamo avuto a che fare, tra l’altro con il complesso algoritmo necessario per estrarre la radice quadrata di un numero. Dato che però noi non siamo dei computer, se non ci esercitiamo spesso nell’uso di un certo algoritmo, tendiamo a dimenticarlo: si pensi a come si rallenta la nostra velocità di esecuzione di una divisone con la virgola dopo che, per anni, abbiamo usato la calcolatrice. Qualche anno fa, facendo del volontariato per la mia parrocchia, sono venuta a contatto con un bambino la cui famiglia, dopo anni di emigrazione nel continente australiano (esattamente in Tasmania) era rientrata in Italia. Ho scoperto che, nelle scuole elementari, in Tasmania gli consentivano l’uso della calcolatrice. Risultato: aveva totalmente dimenticato le “tabelline” e non aveva idea di come si eseguisse a mano una divisione con la virgola. Questo fatto mi ha indotto a riflettere ancora una volta sul fatto che non bisogna essere schiavi delle macchine di calcolo, altrimenti se le pile si scaricano, siamo perduti! Ne terrò conto nella mia futura esperienza di insegnante: da una parte bisogna avvicinare i bambini all’uso delle tecnologie più moderne, ma d’altra parte non bisogna trascurare, in questo campo, l’esercizio della meravigliosa macchina di calcolo di cui ciascuno di noi è provvisto: il cervello. Gli algoritmi non sono limitati alla matematica: li applichiamo costantemente, spesso in modo automatico. Ad esempio, quando entriamo in auto ed eseguiamo, nella successione giusta, le procedure per mettere in moto, applichiamo un algoritmo. Lo stesso succede durante la guida, quando coordiniamo il movimento di piedi e mani quasi senza accorgercene (diciamo che procediamo “col pilota automatico”). Nell’uso del PC, ci serviamo continuamente di algoritmi e la forma in cui questi algoritmi vengono forniti al computer si chiama programma: ce ne sono alcuni che consentono al PC di interagire con noi. Ad esempio, quando usiamo la Webcam, il PC riceve da questa, un’immagine fatta di tanti punti: esistono algoritmi che consentono al PC di riconoscere, in quella nuvola di punti, un’immagine, permettendoci di vedere e parlare con una persona che si trova magari dall’altra parte del mondo. Quando un medico esegue un intervento chirurgico si attiene ad un algoritmo. Infatti i singoli “passi” devono essere eseguiti nell’ordine giusto senza “saltarne” qualcuno, stando quindi attenti a riprendersi, ad esempio, tutte le pinze usate durante l’intervento ed evitare così di dover rioperare il povero paziente, come qualche volta purtroppo succede. Ogni anno mi capita di preparare la torta Sacher, che era il dolce preferito dall’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe. Egli amava andarne a gustare una fetta presso la vicina pasticceria Demel ogni domenica, dopo aver ascoltato la messa nel palazzo dell’Hoffburg. Durante la sua preparazione, che non è particolarmente veloce, seguo un ben preciso algoritmo che mi consente di ottenere, nel tempo, delle torte di sapore costante e simile (almeno spero!), all’originale gustato da Francesco Giuseppe. Algoritmo per preparare la torta Sacher : • Ingredienti per la pasta 150 g di farina 150 g di cioccolato fondente 150 g di burro 150 g di zucchero 5 uova • Ingredienti per farcitura e glassa marmellata di albicocche 100 g di cioccolato fondente 70 g di zucchero RICETTA CLASSICA IN 10 STEPS: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. Fate sciogliere il cioccolato fondente in un pentolino e nel frattempo lavorate il burro fino a farlo diventare una crema Aggiungete al burro metà dello zucchero, il cioccolato ormai sciolto, ed i tuorli A parte montate a neve gli albumi ed aggiungetevi l’altra metà dello zucchero per poi unire i due composti Aiutandovi con una frusta, ma con delicatezza, incorporate al composto la farina Una volta che il composto è omogeneo sistematelo in una teglia imburrata ed infornatelo, per un’ora a 180° circa Trascorso il tempo necessario lasciate raffreddare la “pasta di cioccolato” per poi tagliarla orizzontalmente in due (come se fosse un panino) e farcirla con la marmellata di albicocche A questo punto è il momento della “ciliegina sulla torta”, o meglio della glassa: in un pentolino fate sciogliere lo zucchero con un bicchiere d’acqua e portate ad ebollizione Lasciate bollire ancora 5 minuti per poi aspettare che raffreddi Aggiungete allo sciroppo che avrete ottenuto il cioccolato spezzettato e merscolate fino ad ottenere una glassa che farete nuovamente cuocere a fuoco basso, finchè non è densa al punto giusto. Con la glassa ricoprite tutta la torta in modo uniforme. OPERAZIONI IN SEQUENZA La catena di Fast food McDonald, si vanta di seguire, nella preparazione dei suoi hamburger degli algoritmi uguali in tutto il mondo, in modo che se mangiamo i loro hamburger, abbiamo il “discutibile” piacere, finché restiamo all’interno del locale, di non sapere se siamo a Milano o a Detroit, o in Alaska. Anche gli animali più “evoluti” seguono degli algoritmi e ciò testimonia che sono provvisti di forme, sia pur primitive, di intelligenza. In un esperimento si rinchiudeva in un laboratorio uno scimpanzé affamato con una banana appesa ad un filopendente dal soffitto. La povera bestia non poteva assolutamente arrivarci da sola, ma disponeva di alcune cassette di legno e di un bastone: azzeccando l’algoritmo giusto, ossia mettendo le cassette nell’ordine giusto (in basso le più grandi ed in alto le più piccole) ed usando il bastone , riusciva infine a far cadere la banana e a mangiarla. La sua “intuizione” si chiama Insight. Il limite dei Computer attuali, nell’uso degli algoritmi, è la loro incapacità di correzione degli errori umani: anni fa era stata mandata verso Marte una sonda automatica il cui computer di bordo, ad un comando dato da terra, doveva dare inizio ad una serie di operazioni in successione (appunto un algoritmo) che consisteva nell’ordine: far aprire un piccolo paracadute per diminuire la velocità di caduta della sonda nella, sia pur rarefatta, atmosfera marziana accendere i retrorazzi per diminuire ulteriormente la velocità sganciare dopo un tempo stabilito il paracadute gonfiare un grosso pallore elastico che doveva circondare completamente la sonda piombare sulla superficie del pianeta che, essendo grande circa metà della terra, ha una bassa forza di gravità e quindi questo pallone avrebbe dovuto rimbalzare fino a fermarsi progressivamente infine doveva sgonfiare il pallone, liberando il “lander” da cui sarebbe uscito un “rover” semovente alimentato a batterie solari far discendere il rover, tramite un piano inclinato fino alla superficie marziana far girovagare il Rover per effettuare vari esperimenti chimici, sia nel rover che nel laboratorio interno al Lander, allo scopo di stabilire la presenza di acqua subito sotto la superficie (usando una specie di trapano per perforare il terreno) e scoprire eventuali indizi che segnalassero la presenza di prodotti del metabolismo di esseri viventi quali, ad esempio batteri inviare i risultati verso la terra via radio Qui sotto uno schema dell’atterraggio delle sonde automatiche su Marte In successione, qui sopra da sinistra a destra: prove del paracadute in una galleria del vento sulla terra. Una ricostruzione dei “rimbalzi” del pallone durante gli atterraggi su Marte. Il lander col piano inclinato dopo la discesa del “rover” sulla superficie marziana. L’ultima foto è un lander con i pannelli solari ben aperti per comunicare con la terra ed il braccio esteso, pronto a perforare la superficie marziana. Nonostante la complessità del procedimento, si tratta di un algoritmo affidabile che ha dato in più di una occasione dei risultati brillanti. Purtroppo quella volta, gli uomini, avendo mal calcolato la distanza della sonda dalla superficie del pianeta, diedero il comando di inizio con 20 secondi di ritardo e quindi la sonda arrivò in prossimità della superficie stessa con una velocità troppo elevata, sfracellandosi al suolo e facendo perdere alla Nasa e ai contribuenti americani alcuni miliardi di dollari. Sempre nel campo delle conquiste spaziali, gli algoritmi inseriti su computer, progettati negli anni 70 e montati sulle sonde Voyager (1 e 2), hanno dato risultati strepitosi. Negli anni 70 si verificò un allineamento, nella posizione dei pianeti esterni alla terra, che si ripete solo ogni 250 anni: allora la Nasa pensò di utilizzare questa opportunità per fare accelerare delle sonde automatiche, utilizzando la forza di attrazione dei pianeti e deviandole, con piccoli motori a getto di gas, pochi minuti prima che si sfracellassero sulla superficie ed incrementando così, dopo ciascun passaggio ravvicinato (in Inglese “fly by”), la velocità delle sonde. In tal modo le sonde Voyager, allontanatesi dalla Terra a poco più di 30.000 km/h, utilizzando la forza di gravità dei pianeti, viaggiano ora a più di 200.000 km/h senza bisogno di un potente motore, all’epoca certamente non disponibile. Il vero problema era di orientare correttamente la sonda allo scopo di fornire le informazioni giuste al computer di bordo, visto che le enormi distanze non consentivano un comando diretto dalla terra. Il computer il bordo si orientava autonomamente sulla posizione della sonda rispetto alla stella Canopo, la più luminosa del cielo dell’emisfero australe che, essendo più povero di stelle molto luminose rispetto al nostro emisfero, garantiva che la sonda non avrebbe “fatto confusione” scegliendo la stella di riferimento sbagliata. Il risultato incredibile ottenuto fu che le sonde Voyager passarono nei pressi di Saturno, inviando immagini molto belle. Le sonde Voyager, finita la loro missione, stanno ora procedendo oltre il sistema solare: fra 40.000 anni passeranno accanto ad una delle stelle più vicine, portando con sé dei dischi d’oro contenenti molte informazioni (in codice binario) su di noi e sul nostro pianeta. Sono stati installati degli algoritmi sotto forma di programmi, nei computer delle sonde Voyager: le immagini arrivavano in bianco e nero con un procedimento inventato per l’occasione e poi utilizzato anche per trasformare i vecchi film in bianco e nero in film a colori e poi venivano colorate, facendo ottenere dei risultati fantastici. Questi programmi funzionano confrontando i colori delle foto ottenute col telescopio Hubble in orbita attorno alla terra, con le tonalità di grigio delle foto delle sonde e mettendo quindi i colori giusti. Nel disegno sotto: il telescopio spaziale Hubble in orbita terrestre. Si notino lateralmente i pannelli solari che forniscono energia e il “tappo” (in alto) che impedisce ai piccoli detriti spaziali (spazzatura spaziale lasciata da precedenti missioni) di danneggiare lo specchio e le lenti. I grossi detriti non li ferma nessuno: si può solo sperare nella buona sorte! Il tappo viene aperto solo per il breve tempo necessario per scattare le foto. Oggi i computer sono un indispensabile ausilio in tutte le attività umane: si pensi tra l’altro, alle loro applicazioni in medicina o all’interno delle nostre automobili, dove regolano tutta una serie di attività come la frenata, impedendo ai pneumatici di slittare. E’ sempre positivo tutto ciò?? Lo è nella misura in cui non perdiamo di vista la parte più significativa della nostra esistenza, ossia la nostra capacità di stabilire relazioni affettive interpersonali: in questo campo nessun computer potrà mai aiutarci. Certo è che la creazione di Internet ha permesso oggi una grande rapidità di comunicazione ed ha ridimensionato distanze prima insormontabili. Ora si possono contattare amici che abitano lontano in tempo reale senza spendere i soldi delle tradizionali telefonate internazionali. Questo è stato molto utile alla società e ritengo sia innegabilmente importante. Inoltre Internet consente di effettuare ricerche a livello internazionale, avvalendosi anche di informazioni che provengono da diverse parti del mondo (grazie anche alla conoscenza della lingua inglese). Personalmente mi avvalgo di Internet soprattutto per ricerche poiché fa risparmiare molto tempo rispetto a prima, quando per saperne di più bisognava passare lunghe ore in Biblioteca. In ogni caso, se devo leggere un libro, amo di più sfogliarlo e sentire il contatto con le pagine. La seconda rivoluzione informatica è legata proprio all’utilizzo di Internet. Ci sono state due fasi : quella iniziale in cui le tecnologie sono diventate disponibili e quella di sviluppo, contrassegnata da una crescita esponenziale dell’utilizzo del PC. Il protocollo http consente di leggere qualsiasi pagina publicata e di trasmettere quindi le informazioni da un computer all’altro. Oggi siamo nella cosìddetta fase rivoluzionaria: il web 2.0 caratterizzato dall’uso interattivo e collaborativo delle risorse. Questa è una cosa fenomenale, perché consente di costruire la conoscenza e di condividerla a livello mondiale. Come sottolinea anche il Professor Ornaghi, Rettore dell’ Università Cattolica di Milano “Conoscenza significa comprensione di dati, fatti e informazioni alla luce di criteri in grado di ordinare tali contenuti in un insieme il più possibile coerente. Si parla dunque di società della conoscenza e non di società dell’informazione. Noi riceviamo innumerevoli informazioni. La conoscenza, invece riguarda il rapporto tra il soggetto e l’oggetto del sapere, è il processo legato al soggetto e insieme il suo risultato che ci guida dentro una marea di informazioni. Ritengo che questo sia estremamente vero ed importante, anche per aiutare i nostri futuri alunni ad orientarsi e ad affrontare delle ricerche su Internet senza “perdersi” nel mare del web e senza uscire fuori tempo, mantenendo costante la rotta, come se fossimo tutti su una grande nave !