Se questa è una città Qualcuno la chiama la Stonehenge del terzo millennio, ma si chiama Marina Bay Sands e si trova a Singapore. Progettata da Moshe Safdie – archistar internazionale – è un mostro urbanistico ed edilizio che ben rappresenta fisicamente, e non solo, il significato di infrastruttura globale nella città globale (la sociologa ed economista Saskia Sassen ha teorizzato il concetto di città globale nel volume “La città nell’economia globale”). Si tratta di un complesso immenso che contiene 2.500 camere di albergo, sormontato da una tavola a 200 metri d’altezza che contiene un roof-garden e una piscina di 150 metri. E poi ancora: centri convegni, giardino botanico, spa, ventidue ristoranti, uno tra i più grandi casinò al mondo e un museo della scienza e della tecnica navate “gotiche” dove si aprono boutiques, shopping centers, teatri, night clubs, finti canali percorsi da sampan (tipiche barche orientali). Il coso, o il mostro, è collegato al resto del mega agglomerato dell’isola-città-stato di Singapore da autostrade urbane, metropolitana e passerelle pedonali. Immensa infrastruttura a servizio di una delle maggiori ed emergenti città globali mondiali, esempio di un modello di politica e di economia urbana di dubbia democraticità. Un non luogo disumanizzante, dove la persona umana è ridotta a un pezzo di plastica dotata di chip, buona solo per effettuare transazioni monetarie che offrono sensazione di progresso sociale e di appagante benessere materiale. Al resto ci pensa un sistema di controllo sociale e politico strettissimo che non tollera sgarri.