Consiglio dell’Ordine degli
Avvocati di Roma
Scuola Forense V.E. Orlando
Lezione del 22.5.2013
Avv. Margherita Saccà
“La Colpevolezza e La
Punibilità”
alla luce delle recenti prese di
posizione della Suprema Corte di
Cassazione
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Collocazione della colpevolezza e
della punibilità nel reato.
1. Teoria bipartita;
2. Teoria tripartita;
3. Teoria quadripartita.
3
1. Teoria bipartita
• Elemento oggettivo:
- condotta;
- nesso causale;
- evento
- assenza di cause di cause di giustificazione
• Elemento soggettivo:
- dolo
- colpa
- preterintenzione.
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2. Teoria tripartita
• Elemento oggettivo:
- condotta;
- nesso causale;
- evento.
• Antigiuridicità: assenza di cause di giustificazione
• Elemento soggettivo:
- dolo
- colpa
- preterintenzione.
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3.Teoria quadripartita
• Elemento oggettivo:
- condotta;
- nesso causale;
- evento.
• Antigiuridicità: assenza di cause di giustificazione.
• Elemento soggettivo:
- dolo; - colpa; - preterintenzione.
• Meritevolezza o necessità di pena. (Critiche: concreto
rischio di arbitri dell’interprete chiamato a valutare se
una determinata condotta abbia raggiunto la soglia
dell’offesa.
6
Reato:
Fatto materiale (artt. 25 Cost., 1 e 2
c.p.)
1. umano;
2. proprio;
3. imputabile;
4. colpevole;
5. punibile.
7
Art. 27 Cost.
•
•
•
•
La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino
alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità e
devono tendere alla rieducazione del
condannato.
Non è ammessa la pena di morte.
8
Fondamento costituzionale
del principio di colpevolezza:
art. 27 della Costituzione:
• Divieto di responsabilità penale per
fatto altrui;
• Divieto di responsabilità oggettiva;
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La responsabilità personale per fatto proprio colpevole:
il divieto di responsabilità oggettiva.
• Un fatto costituente reato può essere
addebitato all’agente, non solo se lo stesso lo
abbia commesso e, quindi, se sia a lui
riconducibile sulla base del mero nesso
causale materiale intercorrente tra la
condotta da lui tenuta e l’evento (art. 40 c.
p.) poiché occorre anche un effettivo legame
psicologico (art. 43 c. p.).
10
•
•
•
•
Colpevolezza:
Imputabilità;
Conoscenza o conoscibilità del
precetto penale;
Dolo, colpa, preterintenzione;
assenza di cause che escludono la
colpevolezza.
11
Imputabilità
• Status soggettivo che inerisce alla persona.
Capacità di intendere e di volere.
art. 85 c.p.
“Nessuno può essere punito per un fatto preveduto
dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha
commesso, non era imputabile.
E’ imputabile chi ha la capacità di intendere e di
volere.
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Condizioni che escludono o diminuiscono la
capacità di intendere o di volere
• Art. 88 c.p.: vizio totale di mente;
• Art. 89 c. p: vizio parziale di mente;
• Art. 91 c.p.: ubriachezza derivata da caso
fortuito o da forza maggiore;
• Art. 95 c.p.: cronica intossicazione da alcool o
da sostanze stupefacenti;
• Art. 96 c.p.: sordomutismo;
• Art. 97 c.p.: minore degli anni quattordici;
• Art. 98 c.p.: minore degli anni diciotto.
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Deroga al principio della necessaria imputabilità al
momento della commissione del fatto.
• Art. 87 c.p.: stato preordinato d’incapacità di
intendere e di volere;
• Art. 92 c.p.: ubriachezza necessaria, colposa oppure
preordinata;
• Art. 93 c.p.: fatto commesso sotto l’azione di sostanze
stupefacenti;
• Art. 94 c.p.: ubriachezza abituale. (Seri dubbi di
costituzionalità poiché la norma prevede un aumento
di pena nel caso in cui il fatto sia commesso da colui
il quale sia dedito all’uso di sostanze alcooliche.
Critica poiché si è detto cosi procedendo si
sanzionerebbe più gravemente uno stile di vita di per
sé inidoneo a connotare di maggiore offensività un
14
fatto di reato.
• Secondo alcuni l’imputabilità è un presupposto
della colpevolezza: è da escludere la
configurabilità del reato doloso e colposo nei
confronti dei non imputabili.
• Secondo altri requisito della colpevolezza.
In tal caso, si ritiene configurabile il reato
doloso e colposo anche nei confronti
dell’agente non imputabile.
15
Art. 90 c.p.
• Irrilevanza degli stati emotivi e passionali.
“Gli stati emotivi e passionali non escludono né
diminuiscono l’imputabilità”.
16
Caso pratico
• Verso le ore 4 del 27 dicembre 2001 G. R., dinanzi
alla porta della propria abitazione, sul pianerottolo
condominiale, esplodeva due colpi di pistola
all'indirizzo di V. A., che attingevano la vittima
all'altezza del collo e della testa, provocandone la
morte. Agenti della Polizia di Stato, prontamente
intervenuti a seguito di segnalazioni, trovavano R.
ancora con la pistola in pugno, e questi esclamava al
loro indirizzo: "Sono stato io, così ha finito di
rompere"; alla intimazione di gettare l'arma ed alzare
le mani, egli non ottemperava all'invito, continuando
a brandire la pistola e rivolgendo minacce agli
astanti, sicché gli operanti erano costretti ad
intervenire con la forza, disarmandolo e
immobilizzandolo.
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• Al rumore degli spari, si era destata anche C.
P., moglie di A., la quale, accortasi che il
marito non si trovava a letto, s'era recata pur
ella sul pianerottolo condominiale, al piano
inferiore, ed ivi aveva notato il coniuge
riverso per terra ed aveva cercato di
soccorrerlo; R., puntatale contro la pistola, le
aveva detto: "ora ammazzo puro te..." e, in un
secondo momento, le aveva puntato l'arma
contro la tempia.
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Le risultanze investigative
• Già dai primi atti di indagine, e dalla stessa
confessione di R., si appurava che l'omicidio era
maturato in un clima di ripetuti diverbi condominiali,
originati da presunti rumori dell'autoclave provenienti
dall'appartamento della vittima, posto al piano
superiore rispetto a quello dell'omicida, che più volte
avevano indotto R. a disattivare, recandosi in cantina,
l'impianto della energia elettrica: tanto era avvenuto
anche quella mattina e, risalendo l'omicida al quinto
piano, ove era ubicata la sua abitazione, aveva
incontrato A.: ne era scaturita l'ennesima lite, che si
era conclusa come sopra riportato.
19
Il Processo
• Procedutosi con rito abbreviato, condizionato
ad un poi espletato accertamento peritale sulla
capacità di intendere e di volere dell'imputato
e sulla sua pericolosità, quel giudice, con
sentenza del 4 marzo 2003, dichiarava
l'imputato medesimo colpevole dei reati
ascrittigli, unificati sotto il vincolo della
continuazione, riconosciutagli la diminuente
del vizio parziale di mente prevalente sulla
contestata aggravante, esclusa la
premeditazione e le aggravanti di cui all'art.
61, n. 1 e 4, c.p..
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Lo condannava alla pena di anni quindici e
mesi quattro di reclusione ed alla pena
accessoria della interdizione perpetua dai
pubblici uffici; disponeva la misura di
sicurezza della assegnazione ad una casa di
cura e di custodia per la durata minima di tre
anni, e la confisca dell'arma e delle munizioni
in sequestro; lo condannava, infine, al
risarcimento del danno, da liquidarsi in
separata sede, in favore delle costituite parti
civili, cui assegnava delle provvisionali.
• Nel caso di specie il perito nominato dal
giudice "concludeva nel senso di una parziale
capacità di intendere e di volere del detenuto e
di una sua attuale pericolosità sociale". In
particolare, egli escludeva "un disturbo
borderline, individuando invece... un disturbo
paranoideo... frammisto ad elementi
appartenenti al disturbo narcisistico di
personalità"; ricostruiva il percorso
psicopatologico della personalità del soggetto
individuato in un nucleo depressivo profondo,
legato ad avvenimenti personali ed in grado di
determinare radicati sentimenti di inabilità,
insufficienza, inadeguatezza' ...",
22
che avrebbero "portato l’omicida, per anni ad
alimentare 'vissuti fortemente persecutori e
tematiche di natura aggressiva, come risposta
alla incapacità di assumersi la responsabilità
dei propri fallimenti esistenziali', fino a
polarizzare la propria esistenza intorno a
'contenuti ideici che non possono essere
definiti deliranti, ma che possono essere
compresi attraverso la definizione psichiatrica
di 'idee dominanti'...",
• ritenendo, quindi, sotto il profilo della
capacità di volere e di
autodeterminazione, "che il R. 'abbia
sperimentato, mediante la totale
invasività del pensiero persecutorio con
le caratteristiche delle idee dominanti,
uno scardinamento delle proprie labili
capacità di controllo delle scariche
impulsive e della propria aggressività...,
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• si tratta di un passaggio all'atto in cui il libero
dispiegarsi dei meccanismi della volontà viene
impedito dal massiccio vissuto persecutorio,
..."; e che "l'imputato abbia posseduto nelle fasi
immediatamente prima del delitto, come
attualmente, 'una compromissione della
capacità di intendere, che, se non giunge alla
grave destrutturazione tipica delle autentiche
esperienze psicotiche, si caratterizza per una
profonda anomalia del pensiero'... tale ausiliario
del giudice concludeva, quindi, per la
sussistenza di "una condizione psicopatologica
in cui entrambe le capacità di intendere e di
volere erano significativamente danneggiate,
ma senza giungere al loro totale azzeramento" 25
• ulteriormente chiariva che, "quanto alla patologia
organica accusata dall'imputato e consistente in
una malformazione artero - venosa cerebrale", era
da escludere "che essa abbia avuto un ruolo
esclusivo nell'infermità psichiatrica anche se
certamente contribuisce a determinare la particolare
condizione del predetto, incidendo negativamente
sulle sue capacità di volizione": "in sostanza - annota
la sentenza di prime cure - "il perito ritiene che "il
periziato soffra di un disturbo paranoideo per effetto
del quale la capacità di intendere e di volere è
compromessa, ma non del tutto esclusa".
26
Il Giudizio di appello
• Quanto al punto concernente il vizio parziale di mente,
rilevavano i giudici del gravame che " il perito nominato dal
giudice ed i c.t. del P.M. hanno... riscontrato nell'imputato, in
sostanza, altro che disturbi della personalità, sulla cui esatta
definizione non si sono neppure trovati concordi", giungendo,
comunque, alla comune conclusione che le anomalie
comportamentali dell'imputato non hanno causa in una
'alterazione patologica clinicamente accertabile,
corrispondente al quadro clinico di una determinata
malattia'... né in una 'infermità o malattia mentale o ....
alterazione anatomico - funzionale della sfera psichica'....
bensì in anomalie del carattere, in una personalità
psicopatica o psicotica, in disturbi della personalità che
non integrano quella infermità di mente presa in
considerazione dall'art. 89 del c.p.".
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Quesito giuridico
sottoposto alle Sez. Un. Della Corte
di Cassazione
• I disturbi della personalità, non sempre
inquadrabili nel ristretto novero delle
malattie mentali, possono rientrare nel
concetto di infermità ai fini del
riconoscimento del vizio parziale o totale
di mente. Dunque, possono gli stessi
rilevare ai fini dell’esclusione o della
diminuzione della capacità di intendere o
di volere?
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• 1. Orientamento della giurisprudenza
In tema di imputabilità, la Casszione ha
ritenuto che le anomalie che influiscono sulla
capacità di intendere e di volere sono solo le
malattie mentali in senso stretto, cioè le
insufficienze cerebrali originarie e quelle
derivanti da conseguenze stabilizzate di
danni cerebrali di varia natura, nonché le
psicosi acute o croniche.
29
• 2. Orientamento della giurisprudenza
In tema di imputabilità, ritiene che il concetto
di infermità mentale recepito dal codice
penale è più ampio rispetto a quello di
malattia mentale, di guisa che non essendo
tutte le malattie di mente inquadrate nella
classificazione scientifica delle infermità, nella
categoria dei malati di mente potrebbero
rientrare anche dei soggetti affetti da
nevrosi e psicopatie, nel caso si manifestino
con elevato grado di intensità.
30
Cass. Sez. Un. 2005 n. 9163.
• “All'epoca in cui venne emanato l'attuale codice
penale era ancora imperante il paradigma medico organicistico, ancorché già messo in crisi, quanto
meno in termini di certezza, dalle altre proposte del
modello psicologico, poi successivamente diffusosi.
Il legislatore dell'epoca, mosso da un "intento
generalpreventivo, mirante a bloccare alla radice
dispute avanzate su basi malsicure e pretestuose,
(come si rileva in dottrina) poteva fare affidamento
su concetti ai quali si riconosceva una
corrispondente base empirica: quello di infermità
mentale identificava la malattia mentale in senso
medico – nosografico” .
31
• … I tempi sono cambiati. La Costituzione,
l'affermarsi di un'ermeneutica giuridico penale orientata ai suoi principi informatori
ed il proporsi di paradigmi alternativi a quello
medico hanno comportato un adeguamento
delle soluzioni, sul tema della imputabilità,
alle nuove prospettive ed esigenze del diritto
penale moderno.
32
• Ai fini del riconoscimento del vizio totale o
parziale di mente, rientrano nel concetto
di "infermità" anche i "gravi disturbi
della personalità", a condizione che il
giudice ne accerti la gravità e l’intensità,
tali da escludere o scemare grandemente
la capacità di intendere o di volere, e il
nesso eziologico con la specifica azione
criminosa.
33
Alla stregua di tanto, sussistente si appalesa l’error
iudicis nel quale è incorsa la sentenza impugnata; la
quale è erroneamente pervenuta alla esclusione del
vizio parziale di mente evocando il criterio della
"alterazione patologica clinicamente accertabile" e
della "alterazione anatomico-funzionale della sfera
psichica", ritenendo che in ogni caso i "disturbi della
personalità … non integrano quella infermità di
mente presa in considerazione dall’art. 89 c.p.".
34
Cass. pen. Sez. III, sentenza del 2013 n.
17608
• La Suprema Corte, recentemente, torna a
parlare di disturbi della personalità e
imputabilità e lo fa in una sentenza, che
vede coinvolto un bambino, vittima di
abusi sessuali da parte dei suoi genitori,
in presenza della madre, ritenuta –
secondo la difesa- parzialmente incapace.
35
Massima della sentenza in oggetto
• Non può affermarsi in termini assolutistici che
il disturbo di personalità ex sé sia inidoneo ad
integrare l'ipotesi della incapacità di intendere
e di volere: l'esclusione di tale status, se non
accompagnata da una vera e propria patologia
o infermità, abbisogna di una specificazione in
merito alla portata di quella infermità che non
necessariamente deve consistere in una
patologia di tipo mentale o intellettivocognitivo, potendo discendere anche da altre
forme morbose che possono incidere sul piano
della capacità di intendere e di volere.
36
• Ne deriva la necessità, per il giudice di merito,
laddove investito di una questione che involge
comunque un disturbo caratteriale o
relazionale di una determinata persona
imputata (o imputabile), di accertare se tale
anomalia abbia un qualche collegamento con
una situazione di malattia tale da
compromettere la capacità intellettiva e
volitiva del soggetto, esigenza tanto più
insopprimibile, se riscontrata da dati clinici
ricavabili ex actis o, comunque, da elementi
tali da determinare una necessità di
37
approfondimento specifico.
2. Conoscenza o conoscibilità
del precetto penale
• La colpevolezza presuppone la consapevolezza
del disvalore normativo del fatto.
• Quaestio: rileva la conoscenza potenziale vale
a dire la conoscibilità del precetto o la
conoscenza effettiva: rapporti con l’ignorantia
legis.
• 1. tesi dogma della inescusabilità assoluta sulla
base dell’art. 5 c.p. (presunzione di conoscenza
della legge);
• 2. tesi della scusabilità assoluta.
38
Tesi intermedia
Scusabilità relativa.
• Non rileva la conoscenza ma la
mera conoscibilità della legge:
• Dunque, scusabilità esclusivamente
dell’ignoranza inevitabile.
39
Sentenza Corte Cost. del 1988 n. 364
Dichiarazione di illegittimità costituzionale
dell’art. 5 c.p., per violazione degli art. 27,
comma 1 e 3 Cost. nella parte in cui non
escludeva dalla regola dell’ inescusabilità
della mancata conoscenza della legge
penale, l’ignoranza inevitabile:
“L’ignoranza della legge non scusa tranne
che si tratti di ignoranza inevitabile”.
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Ignoranza inevitabile e, dunque,
incolpevole si ha nei casi di:
• A) caso fortuito o forza maggiore es.
impossibilità oggettiva, generale ed
invincibile, di conoscenza del precetto
(mancata diffusione Gazzetta Ufficiale per
scioperi, obiettiva oscurità del testo di legge)
• B) errore scusabile poiché generato
dall’inganno di fonti qualificate (es. parere di
un esperto giurista).
41
3. La “suitas” della condotta
Secondo quanto dispone l’art. 42, comma 1, c.p.
“Nessuno può essere punito per un’azione o
omissione preveduta dalla legge come reato se
non l’ha commessa con coscienza e volontà”.
Da tale norma, si evince che la condotta,
prima che dolosa o colposa, deve essere
umana ed è tale solo la condotta dell’uomo
rientrante nella signoria della volontà.
Si distingue dalle inerzie meramente
meccaniche e dagli accadimenti naturali. 42
Quando la condotta può dirsi sorretta da suitas?
• 1. tesi. Reale impulso cosciente della volontà
diretto alla produzione del movimento
muscolare (azione) o a conservare lo stato di
inerzia (omissione).
• 2. tesi. Non solo la coscienza e volontà reali
ma anche quelle potenziali.
E’da considerare attribuibile alla volontà del
soggetto anche quella condotta che si sarebbe
potuta impedire con uno sforzo del volere.
43
• La volontarietà della condotta sostanzialmente
coincide con la dominabilità della sua sfera di
azione.
Problematica rispetto agli ATTI AUTOMATICI:
• Riflessi (tosse, starnuto..)
• Istintivi (distendere le braccia mentre si è in
fase di caduta);
• Abituali.
Verifica dell’impedibilità o meno in concreto,
Gli atti abituali sono sempre evitabili!
44
Esclusione della suitas della condotta
situazioni caratterizzate dalla
involontarietà, imprevedibilità,
impedibilità.
• Incoscienza indipendente dalla volontà (es. delirio
febbrile, sonnambulismo, situazioni di grave
perturbamento psichico);
• Forza maggiore. Forza esterna della natura che
determina in modo irresistibile ed inevitabile, il
soggetto ad agire in un determinato modo.
• Costringimento fisico. Ipotesi di forza maggiore
proveniente non dal cause naturali ma dall’uomo.
Anche in tali ipotesi si dice il soggetto “non agit sed
agitur”.
45
5. Dolo
forma più grave di colpevolezza
criterio normale di imputazione soggettiva
sintesi di rappresentazione e volontà
• art. 42, comma 2, c.p.“Nessuno può essere punito per un
fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha
commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale
o colposo espressamente preveduti dalla legge”.
• art. 43 c.p. “Il delitto è doloso o secondo l’intenzione,
quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato
dell’azione o omissione e da cui la legge fa dipendere
l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come
conseguenza della propria azione o omissione”.
46
Oggetto del dolo:
evento dannoso o pericoloso
• Interpretazione eccessivamente riduttiva.
• Interpretazione sistematica dell’art. 43 c.p. alla luce
degli artt. 44, 47, 59 e 5 c.p. dalle quali si ricava che:
• Nel fuoco del dolo rientra l’intero fatto tipico in tutti
i suoi elementi costitutivi positivi e negativi (assenza
di cause di giustificazione).
• Esulano dall’oggetto di rappresentazione e volizione,
essendone esclusa la rilevanza gli elementi indicati
dall’art. 5 c.p. errore sul precetto; 44 c.p. condizioni
obiettive di punibilità e 59 limitatamente alle
circostanze attenuanti;
47
Al contrario, rileva l’ ERRORE DI FATTO
dell’agente sul fatto che costituisce reato.
Al riguardo, l’art. 47 c.p. dispone che: L’errore sul
fatto che costituisce il reato esclude la punibilità
dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore
determinato da colpa, la punibilità non è esclusa,
quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto
colposo. (Es. cacciatore che sparando durante una
battuta di caccia ferisce un uomo credendolo un
animale).
L’errore sul fatto che costituisce un determinato
reato non esclude la punibilità per un reato diverso.
L’errore su una legge diversa da quella penale
esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore
sul fatto che costituisce reato.
Caso pratico
“M., in qualità di dirigente scolastica della Direzione didattica
statale, violando il disposto del D.P.R. n. 1199 del 1971, art. 2,
comma 3, aveva omesso di inoltrare al competente Ministero il
ricorso gerarchico, avverso una sanzione disciplinare da lei
irrogata all'insegnante R.M. I., alla quale era così derivato
l'ingiusto danno della mancata presentazione dell'opposizione
all'atto amministrativo,che aveva appunto disposto la sanzione
disciplinare della censura nei suoi confronti. Fatto del 17 agosto
2000” .
Dagli atti del processo risultava effettivamente verificatosi l'evento
di danno, quale conseguenza del mancato esercizio del potere di
trasmissione da parte della dirigente scolastica M.
Ancora, la persona offesa ed il coniuge avevano ampiamente
rappresentato durante il corso del dibattimento un clima di
disturbate relazioni tra la dirigente scolastica e l’insegnante. 49
Fattispecie contestata alla dirigente scolastica:
art. 323 c.p.: Abuso d’ufficio
1.Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il
pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che,
nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione
di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di
astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo
congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente
procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale
ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la
reclusione da sei mesi a tre anni.
2. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno
hanno un carattere di rilevante gravità.
Tripartizione del dolo
• Intenzionale ricorre allorché la volontà è rivolta direttamente
al perseguimento dell’evento o della condotta criminosa che
costituisce il fine ultimo dell’azione o omissione posta in
essere dall’agente;
• Diretto ricorre allorché l’evento, pur non essendo direttamente
preso di mira, è dall’agente previsto come conseguenza certa o
altamente probabile della sua condotta e, dunque, voluto quale
vento accessorio e collaterale del risultato perseguito;
• Eventuale si ha nel caso in cui l’evento ulteriore, non
perseguito direttamente, è dall’agente previsto come
conseguenza eventuale, possibile o probabile della propria
condotta; malgrado ciò l’autore perseverando nella propria
condotta accetta il rischio di cagionarlo.
51
Discrimen
INTENZIONALE, DIRETTO, EVENTUALE
“Ai
fini della sussistenza dell’elemento soggettivo nel delitto di
abuso di ufficio, non è sufficiente né il dolo eventuale - e cioè
l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento - né quello
diretto - e cioè la rappresentazione dell’evento come
realizzabile con elevato grado di probabilità o addirittura con
certezza, senza essere un obiettivo perseguito - ma è richiesto
il dolo intenzionale, e cioè la rappresentazione e la volizione
dell’evento di danno altrui o di vantaggio patrimoniale,
proprio o altrui, come conseguenza diretta e immediata della
condotta dell’agente e obiettivo primario da costui
perseguito.
52
“Ne consegue che se l’evento tipico è una semplice
conseguenza accessoria dell’operato dell’agente,
diretto a perseguire, in via primaria, l’obiettivo di un
interesse pubblico di preminente rilievo,
riconosciuto dall’ordinamento e idoneo a oscurare il
concomitante favoritismo o danno per il privato,
non è configurabile il dolo intenzionale e pertanto il
reato non sussiste”.
(cfr. Cass. Pen. Sez. VI, sentenza del 2008, n. 10390, in
senso conforme Cass. Pen. Sez. II, sentenza del 2012,
n. 26625).
53
Corte Costituzionale ordinanza del 2006 n. 251
Ha chiarito che, rispetto alla condotta tenuta dall’agente, in
concreto possono presentarsi tre ipotesi differenti di eventuale
sovrapposizione dell’interesse pubblicistico con quello
privatistico, in particolare:
• il pubblico ufficiale vuole soltanto adempiere i suoi doveri,
cercando di curare il solo interesse pubblico, pur realizzando
tutti gli elementi materiali del reato, in tal caso si ritiene la
condotta non sia penalmente rilevante;
• oppure, il pubblico ufficiale persegue principalmente
l’interesse pubblico, pur consapevole dell’alta probabilità o
della mera possibilità di commettere l’abuso d’ufficio: in tal
caso, si avrà dolo, ma nelle forme del dolo diretto o eventuale
esulanti dall’ambito di applicazione dell’art. 323 c.p.;
• ancora, il pubblico ufficiale arreca il danno o il vantaggio
ingiusto, ma il suo agire è in parte conforme ai fini istituzionali
del suo ufficio, seppur violando norme di legge: il dolo rimane
intenzionale e il reo punibile.
54
Soluzione del caso
• L'azione dovuta, il cui mancato compimento integra
l'omissione, è nella specie prevista dalla norma di cui al D.P.R.
n. 1199 del 1971, art. 2, comma 3 che stabilisce appunto che i
ricorsi rivolti, nel termine prescritto, a organi diversi da quello
competente, ma appartenenti alla medesima amministrazione,
non sono soggetti a dichiarazione di irricevibilità ma sono
trasmessi d'ufficio all'organo competente.
• Il mancato esercizio del potere di trasmissione, però, non è
sufficiente, da solo, per configurare la fattispecie abusiva
dell'art. 323 c.p. (cfr. in termini: Cass. Penale sez. 6, 21091,
Pres. Ambrosini, est. Milo, 24 febbraio-5 maggio 2004, Rv.
228811) dovendo ad esso accompagnarsi, attraverso la
strumentalizzazione della propria funzione, due ben precise e
qualificanti circostanze:
• a) la volontà (nella esclusiva forma del dolo intenzionale) di
procurare a sè o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o
di arrecare ad altri un danno ingiusto;
• b) l'effettiva verificazione di tali eventi.
55
• Orbene, mentre non vi sono dubbi sull'effettiva
verificazione dell'evento di danno, quale
conseguenza del mancato esercizio del potere di
trasmissione da parte della dirigente scolastica M.,
la stessa certezza non emerge affatto, dalla
motivazione dei giudici di merito, sulla precisa
volontà dell'imputata stessa (nella esclusiva forma
del dolo intenzionale) di arrecare un danno ingiusto
all'insegnante R..
• Invero a ciò non bastano, come indicato in sentenza,
la mera conoscenza della norma - da applicare e non
osservata - e l'omessa comunicazione della lettera di
risposta, del 17 agosto 2000, potendo essere
entrambe dette realtà riconducibili: la prima come
presupposto e la seconda come conseguenza
accessoria dell'atto omissivo.
56
• E neppure basta il rappresentato clima di
disturbate relazioni tra dirigente scolastica ed
insegnante, quale riferito dalla persona offesa
e dal coniuge, e vistosamente usato per
indurre il substrato soggettivo dell'art. 323
c.p., attesa l'alta soggettività e rischiosità di
tale giudizio, e sul quale manca una adeguata
e persuasiva motivazione, tenuto conto che si
tratta di valutazioni espresse da chi, non solo
ha subito un danno, ma un danno che viene
percepito ed attribuito alla voluta e cattiva
intenzionalità della dirigente stessa e come
finalità primaria della sua azione omissiva.
57
Caso pratico:
1. Omicidio stradale
Giovane che si pone alla guida di un veicolo
di grossa cilindrata in stato di ubriachezza
e volendo rimarcare agli occhi degli amici
passeggeri e dei ragazzi che poco prima
avevano contestato la guida pericolosa, la
propria sicurezza, il predominio e la
padronanza dell’auto e della strada,
accelera bruscamente all’interno di un
centro cittadino, perdendo il controllo del
veicolo stesso e investendo un pedone
causandone la morte.
58
Caso pratico n.2. Omicidio stradale
Il G.I.P. del Tribunale di Roma, a seguito di
giudizio abbreviato, condannava L.S., alla
pena di anni dieci di reclusione e alle
relative pene accessorie di legge per
imputazione di cui all'art. 575 c.p.;
Lo condannava, altresì, al risarcimento del
danno, da liquidarsi in separata sede, in
favore delle costituite parti civili.
All'imputato si era contestato il predetto
titolo di reato poiché:
"in assenza di autorizzazione a condurre veicoli, alla guida
dell'autovettura marca Mercedes, procedendo a velocità
particolarmente elevata durante l'attraversamento
dell'incrocio sito in… nonostante il semaforo segnalasse
luce rossa e si trovasse in un centro abitato, accettava il
prevedibile rischio di collisione con altri veicoli
provenienti da altra direzione che avrebbero potuto
interessare, contestualmente, la stessa intersezione, in
ragione della luce verde che appariva alla vista di questi
ultimi, rappresentandosi altresì che a seguito di
incidente la violenza dell'urto originato dalla sua
condotta potesse cagionare gravissime lesioni o
comunque la morte di altri utenti della strada, decideva
comunque di attraversare l'incrocio di cui sopra
venendo in collisione con il motociclo ... condotto da G.A.
con a bordo G. F. procurando lesioni gravissime, dalle quali
deriva(va) la morte”.
Il giudice ricordava che l'incidente si era verificato verso le
ore 22,30; l'area di intersezione tra Via … e via … era
regolato da impianto semaforico a giraffa, l'illuminazione
pubblica era funzionante ed efficiente; il conducente dell'auto
che aveva investito i due motociclisti non si era fermato dopo
l'incidente ed era stato successivamente identificato nel L.,
accertandosi anche che egli si trovava, nella circostanza, alla
guida di un'autovettura Mercedes sulla quale viaggiava anche
G.V., ed i due avevano avuto quella sera una animata
discussione circa il rapporto affettivo che li aveva legati.
Richiamate le acquisite deposizioni testimoniali e gli
esiti di disposte indagini tecniche, rilevava il giudice che
la velocità nella circostanza serbata dall'auto investitrice
era "non inferiore, ma semmai superiore ... a 90 km/h. ...
stimata in termini di 90-96 km/h", mentre, quanto al
ciclomotore, "dagli esiti dell'urto era possibile stimare la
velocità tra i 40 e i 50 km. orari"; doveva ritenersi certo
che al momento in cui il L. aveva impegnato quella
intersezione il semaforo mostrava la luce rossa,
contrariamente a quanto al riguardo sostenuto
dall'imputato, che aveva dichiarato che il semaforo,
invece, aveva luce arancione. Riteneva, quindi, accertata
"una condotta di guida del conducente della vettura
Mercedes assolutamente spericolata, un'andatura
estremamente elevata...".
La Corte di appello
• Sul gravame dell'imputato, la Corte di Assise di
Appello di Roma, con sentenza del 18 giugno
2009, riteneva il fatto sussumibile nella diversa
ipotesi di reato di cui all'art. 589 c.p., comma 2, e
art. 61 c.p., n. 3, e, con le già riconosciute
attenuanti generiche ritenute equivalenti alla
contestata aggravante, riduceva,
conseguentemente la pena ad anni cinque di
reclusione…
• Propone ricorso per Cassazione il Procuratore
Generale della Repubblica presso la Corte di
63
Appello di Roma
Caso pratico n. 3: Contagio HIV
• D.C. veniva accusata del tentato omicidio di D. L.
perché, pur essendo consapevole di essere affetta da
sindrome di HIV , aveva avuto con la parte lesa
rapporti sessuali non protetti trasmettendogli il virus.
• In particolare, dal dibattimento risultò che la donna
fosse perfettamente a conoscenza del male del quale
era affetta, come testimoniato dai numerosi
documenti clinici in atti, che fosse altresì consapevole
della concreta possibilità di trasmettere il male al
proprio compagno con il protrarsi della relazione
sessuale e che non potesse avere dubbi in ordine al
possibile, ed anzi, probabile, esito letale della
infezione da HIV .
• Risultava, anche che la stessa si sottopose negli anni
ad ulteriori controlli, anche se poi rifiutò di sottoporsi
64
alle cure del caso.
Dolo eventuale e colpa cosciente
Teorie intellettualistiche
1. Teoria della probabilità. Il dolo eventuale
sussiste per il solo fatto che l’agente si
rappresenta l’evento come conseguenza
probabile della propria condotta, senza che sia
necessario il riscontro di alcun coefficiente
volontaristico.
Si ravvisa la colpa cosciente se il soggetto
consideri l’evento solo possibile.
Critica: obliterazione dell’elemento volitivo
e conseguente incompatibilita con la
65
struttura del dolo.
2. Teoria della possibilità. Si ravvisa il dolo eventuale,
ogniqualvolta, l’agente si raffiguri la possibile verificazione
dell’evento. Si distingue, in particolare, tra prevedibilità
astratta e concreta. Il tratto distintivo tra dolo e colpa cosciente
andrebbe rinvenuto nella previsione dell’evento che nei casi di
dolo eventuale è concretamente possibile mentre in quelli di
colpa cosciente la verificabilità dell’evento è un’ipotesi solo
astratta.
Critica: eccessivo ampliamento del
perimetro del dolo eventuale in danno di
una serie di altri titoli di imputazione meno
gravosi per il reo come la preterintenzione.
66
Teorie volontaristiche
3. Teoria della operosa volontà di evitare. Il dolo eventuale
sarebbe da escludere qualora l’agente abbia approntato misure
in astratto idonee ad evitare il prodursi dell’evento lesivo.
Critica: l’adozione di contromisure non esclude il
dolo eventuale es. terrorista che piazzando la
bomba si preoccupi invano di scongiurare la
morte dei passanti, né la mancata adozione di
contromisure è idoneo a configurare la colpa
cosciente es. pilota che percorre ad elevata velocità
le strade cittadine confidando di poter scongiurare
la morte dei passanti.
67
Altre teorie elaborate dalla Dottrina
• 4. Teoria dell’indifferenza o
dell’approvazione;;
• 6. Teorie miste;
• 7. Teorie oggettivistiche;
• 8. Teoria dell’accettazione del
rischio.
68
Soluzione del caso n.1 Cass. 2009 n. 13083
• In merito alla questione ha ritenuto che: “La
differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente
risiede nella considerazione che il dolo
eventuale è rappresentazione della (concreta)
possibilità della realizzazione del fatto e
accettazione del rischio (quindi volizione) di
esso; la colpa cosciente è invece
rappresentazione della (astratta o meglio
semplice) possibilità della realizzazione del
fatto, ma accompagnata dalla sicura fiducia
che in concreto non si realizzerà (quindi,
non-volizione).
69
• La linea di demarcazione tra dolo eventuale e
colpa con previsione è individuata nel diverso
atteggiamento psicologico del’agente che, nel
primo caso, accetta il rischio che si realizzi un
evento diverso non direttamente voluto, mentre
nella seconda ipotesi, nonostante l’entità di
prospettazione, respinge il rischio, confidando
nella propria capacità di controllare l’azione.
• Quindi il dato differenziale tra dolo eventuale
e colpa cosciente va rinvenuto nella previsione
dell’evento. Questa nel dolo eventuale si
propone non come incerta ma concretamente
possibile e l’agente nella volizione dell’azione
ne accetta il rischio, così come la volontà
investe anche l’evento rappresentato.
70
• Con riferimento al caso di specie la Corte ha
ritenuto, condividendo le argomentazioni dei
giudici di merito che lo stato di ubriachezza
aveva contribuito ad ingenerare nell’agente il
senso di onnipotenza che in uno alla giovane
età aveva consentito di agire convinto di non
correre rischi di sorta, confidando nelle
proprie capacità di guida. Una colpevole non
curanza o avventatezza compatibile con la
sussistenza di una colpa con previsione e non
con il dolo eventuale”.
71
Soluzione del caso n.2
Sussiste il dolo eventuale quando "chi agisce non ha il
proposito di cagionare l'evento delittuoso, ma si
rappresenta la probabilità - od anche la semplice
possibilità - che esso si verifichi e ne accetta il rischio"
(Cass., Sez. Un., 6 dicembre 1991, n. 3428/1992); quando
"l'agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri
scopi, si rappresenti la concreta possibilità del verificarsi
di ulteriori conseguenze della propria condotta, e
ciononostante agisca accettando il rischio di cagionarle"
(Cass., Sez. Un., 14 febbraio 1996, n. 3571); quando l'agente ha
"la consapevolezza che l'evento, non direttamente voluto,
ha la probabilità di verificarsi in conseguenza della propria
azione nonchè dell'accettazione volontaristica del rischio"
(Cass., Sez. Un., 12 ottobre 2003, n. 748/1994).
• Deve ritenersi che sussiste il dolo eventuale quando
l'agente accetta il rischio che quell'evento si
verifichi come risultato della sua condotta,
comportandosi, di conseguenza, anche a costo di
determinarlo;
• Sussiste, la colpa cosciente, aggravata dalla
previsione dell'evento, quando l'agente, pur
rappresentandosi l'evento come possibile risultato
della sua condotta, agisca, tuttavia, nella
previsione e prospettazione che esso non si
verifichi; nel primo caso egli accetta quel possibile
evento prospettatosi (volizione), nel secondo caso,
viceversa, egli non consente alla verificazione
dell'evento medesimo (non-volizione).
73
Secondo il Collegio:
l'accettazione non deve riguardare solo la situazione di
pericolo posta in essere, ma deve estendersi anche alla
possibilità che si realizzi l'evento non direttamente voluto,
pur coscientemente prospettasi....che
altrimenti si avrebbe la (inaccettabile) trasformazione di
un reato di evento in reato di pericolo (con la estrema ed
improponibile conclusione, per rimanere nel panorama
tematico che la fattispecie dischiude, che ogni qualvolta il
conducente di un autoveicolo attraversi col rosso una
intersezione regolata da segnalazione semaforica, o non si
fermi ad un segnale di stop, in una zona trafficata,
risponderebbe, solo per questo, degli eventi lesivi
eventualmente cagionati sempre a titolo di dolo eventuale,
soltanto in virtù della violazione della regola cautelare e
della conseguente situazione di pericolo scientemente
posta in essere)
… Pertinentemente e condivisibilmente si chiarisce in
dottrina che "perchè sussista il dolo eventuale, ciò che
l'agente deve accettare è proprio l'evento - proprio la
morte -; è il verificarsi della morte che deve essere stato
accettato e messo in conto dall'agente, pur di non
rinunciare all'azione che, anche ai suoi occhi, aveva la
seria possibilità di provocarlo".
Occorre, quindi, accertare, per ritenere la sussistenza del dolo
eventuale, che l'agente abbia accettato come possibile la
verificazione dell'evento (nella fattispecie che occupa, la
morte o la lesione di altri soggetti), non soltanto che abbia
accettato una situazione di pericolo genericamente
sussistente: ed è, altresì, necessario un quid pluris rispetto alla
sola previsione dell'evento (che pure caratterizza la colpa
cosciente),
cioè l'accettazione, hic et nunc, della concreta probabilità che
questo, ancorchè non direttamente voluto, abbia a realizzarsi,
non desistendo l'agente dalla sua condotta, che continua ad
essere dispiegata anche a costo di determinare l'evento
medesimo. In sostanza, "accettazione del rischio" non
significa accettare solo quella situazione di pericolo nella
quale si inserisce la condotta del soggetto e prospettarsi solo
che l'evento possa verificarsi, che tanto costituisce anche il
presupposto della colpa cosciente; significa accettare anche la
concreta probabilità che si realizzi quell'evento, direttamente
non voluto. Il dolo eventuale presuppone che il "superamento
del dubbio" si risolva positivamente ("volizione"), serbando
l'agente quella condotta anche a costo di cagionare l'evento,
volitivamente accettandolo, quindi, nella sua prospettata
verificazione; la colpa cosciente si radica quando l'agente, pur
prospettandosi la possibilità o probabilità dell'evento, tuttavia
confida che esso non si realizzi ("superamento del dubbio" in
senso negativo; "non volizione").
I giudici del gravame prosegue la Corte hanno altrettanto
correttamente ritenuto che "occorre distinguere la volontà
dell'evento dannoso da cui dipende l'esistenza del reato ...
dalla volontà di non osservare leggi, regolamenti, ordini o
discipline che quell'evento sono intesi ad evitare ... Il dolo
eventuale ... ricorre quando si dimostri che nell'agente sia
maturata non una astratta previsione dell'evento
potenzialmente derivante dalle violazioni, ma si dimostri che
l'agente abbia, in concreto, previsto quello specifico evento
poi verificatosi", e - giova aggiungere - lo abbia accettato
nella sua possibile verificazione:
"una tale dimostrazione ... non può
risolversi nella mera constatazione della
condotta integrante la violazione, per
quanto grave, dei precetti cautelari ...; la
constatazione di un grado quanto si
voglia elevato di colpa non può porsi
come di per sè dirimente al fine di
discernere se l'agente abbia agito in
colpa ovvero abbia agito dolosamente"
(ovviamente sub specie di dolo
eventuale).
Rilevato, poi che, per ritenere la sussistenza del dolo
eventuale, "è necessario provare che l'agente abbia "in
concreto" previsto quel determinato evento poi verificatosi", i
giudici del merito si sono interrogati, "in fatto, su quale sia
stato il momento in cui l'imputato percepì il sopraggiungere
del veicolo a bordo del quale viaggiavano le vittime"; hanno
richiamato "le indicazioni tecniche del prof. M.G."
(consulente del P.M.) e le dichiarazioni rese da G.V.; ne
hanno inferito, appunto "in fatto", che quando la situazione di
pericolo astratta assunse le connotazioni di concretezza
l'imputato "percepì a fulmine la presenza del ciclomotore
quando null'altro poteva fare ...", determinandosi, a tal punto di concretizzata sussistenza della effettiva, tangibile e
percepibile possibilità di verificazione dell'evento - "un tempo
incompatibile con quel quid di cosciente, con quella decisione
di "rischiare" che è necessario intestare all'imputato per poter,
poi, a lui riferire l'omicidio a titolo di dolo eventuale".
Cass. pen. Sez I sentenza del 4 giugno 2012, n.23588
Nel caso al vaglio della Corte Suprema, l’indagato guidava per
diciassette chilometri in autostrada contromano ad una velocità di
circa 255 Km/h, viaggiando nella corsia d'emergenza o in quella
centrale e obbligando le auto, che procedevano nel senso opposto, a
cambiare direzione per evitare l'urto. Un’autovettura con cinque
ragazzi di nazionalità francese, non riuscendo ad evitare l’impatto,
urtava frontalmente. Tre ragazzi decedevano nell’immediatezza e
un quarto appena giunto in ospedale.
Il Tribunale del riesame di Torino, qualificato il fatto come
omicidio volontario, ha confermato l’ordinanza cautelare con la
quale è stata disposta la custodia in carcere. Ha escluso che il
prevenuto fosse in stato di ebbrezza e ha riconosciuto che fosse
sicuramente consapevole di viaggiare contromano, avendo ricevuto
insistenti segnalazioni acustiche e luminose da altri automobilisti.
Sulla base della ricostruzione fattuale, è evidente che
l’indagato abbia agito non solo rappresentandosi la
possibilità di cagionare con il suo comportamento continuare a viaggiare in autostrada contromano di
notte ad elevatissima velocità - la morte degli
occupanti di uno o più veicoli, ma ha anche accettato
il rischio, non compiendo alcuna manovra per evitare
l'urto con altri veicoli ed aumentando sempre più la
sua velocità per raggiungere il fine che si era
prefissato, identificabile, in mancanza di un qualsiasi
chiarimento in proposito, in quello di raggiungere al
più presto il casello dal quale intendeva uscire
dall'autostrada.
Correttamente –chiosa il Collegio- il Tribunale del
riesame ha inquadrato l’elemento psicologico nel
dolo eventuale, caratterizzato dal fatto che chi agisce
non ha il proposito di cagionare l'evento delittuoso,
ma si rappresenta anche la semplice possibilità che
esso si verifichi e ne accetta il rischio;
quando invece l'ulteriore accadimento si presenta
all'agente come probabile, non si può ritenere che
egli, agendo, si sia limitato ad accettare il rischio
dell'evento, bensì che, accettando l'evento, lo
abbia voluto, sicché in tale ipotesi l'elemento
psicologico si configura nella forma del dolo
diretto e non in quella di dolo eventuale.
Per contro, si versa nella colpa cosciente qualora
l'agente, nel porre in essere la condotta
nonostante la rappresentazione dell'evento, ne
abbia escluso la possibilità di realizzazione, non
volendo né accettando il rischio che quel risultato
si verifichi, nella convinzione, o nella ragionevole
speranza, di poterlo evitare per abilità personale
o per intervento di altri fattori.
Sulla scorta di tale distinzione, il Tribunale del
riesame, ricostruendo la dinamica dell’incidente, ha
correttamente qualificato il fatto come omicidio
volontario.
Soluzione del caso n. 3
• “Sussiste il dolo eventuale e non la colpa cosciente
qualora l'agente non solo si sia rappresentato il
concreto rischio del verificarsi dell'evento ma lo
abbia anche accettato, nel senso che si sia
determinato ad agire anche a costo di cagionarlo. In
applicazione di questo principio, la S.C. (Sez. 5, n.
44712 del 17/09/2008, Rv. 242610) ha ritenuto
immune da censure la decisione con cui il giudice di
merito ha affermato la responsabilità, a titolo di
dolo dal reato di lesioni personali gravissime, di una
donna che, consapevole di essere affetta da
sindrome di HIV, aveva ciò nonostante intrattenuto
per lunghi anni rapporti sessuali con il proprio
partner, senza avvertirlo del pericolo e così finendo 84
per trasmettergli il virus della suddetta malattia.
Cass. 2008, n. 47712.
• La donna Sapeva anche che la sieropositività poteva
avere esito letale dal momento che il marito morì di
AIDS nel..
• E' fuori contestazione, pertanto, che la donna si sia
rappresentata la concreta possibilità di trasmettere il
virus al suo partner e ciò non solo perchè, come ha
osservato la Corte territoriale, i mass media, da
tempo hanno svolto, e continuano a svolgere,
campagne per illustrare i rischi della grave
infezione ed i pericoli di alcuni comportamenti
sessuali, invitando la popolazione a prevenire il
rischio con rapporti sessuali protetti, ma
specialmente perchè la consapevolezza del rischio
derivava dalla concreta e drammatica esperienza di
vita della donna, come sopra descritta.
85
• E' vero che vi possono essere fenomeni di rimozione
psicologica quando si versi in condizioni di difficoltà
e di pericolo, ma francamente non appare credibile
che si rimuovano eventi destinati a restare fortemente
impressi nella mente delle persone quali la morte del
proprio coniuge - circostanza che si desume dallo
stesso ricorso - e la scoperta di essere ammalati della
stessa grave malattia che ha condotto alla scomparsa
del marito.
• In ogni caso siffatta opera di rimozione è puramente
affermata dalla ricorrente, non emergendo nulla sul
punto dalle motivazioni delle due sentenze di merito.
86
In senso conforme, Cass. pen. Sez. V sentenza del 3
ottobre 2012, n.38388
MASSIMA
La condotta di chi contagia il proprio partner tacendogli di essere
affetto da sindrome da Hiv integra il reato di lesioni personali
gravissime con dolo eventuale; sussiste infatti l'elemento
psicologico del dolo eventuale quando l'agente, pur non avendo di
mira il fatto a rischio, ne accetti - nella proiezione della propria
azione verso la realizzazione di un fatto primario - la concreta
possibilità del suo verificarsi, in un necessario rapporto eziologico
con l'azione medesima.
(Nel caso di specie il marito, pur consapevole di essere affetto da
HIV, intratteneva rapporti sessuali con la moglie senza alcuna
precauzione, cagionandole una malattia, probabilmente insanabile,
con pericolo di vita).
• Ebbene nonostante la consapevolezza indicata la D.
ritenne di intrattenere una lunga relazione sessuale
con il Da. - dal (OMISSIS) - senza avvertirlo dei
pericoli ai quali si esponeva e senza adottare le
opportune e necessarie protezioni nei rapporti
sessuali.
• Non vi è alcun dubbio allora che la donna abbia
agito essendo perfettamente consapevole del
concreto rischio di infezione al quale esponeva il
suo compagno - evento non solo concretamente
possibile, ma altamente probabile con il protrarsi dei
rapporti sessuali - ed accettando il rischio del
verificarsi dell'evento, alla fine davvero verificatosi.
88
La punibilità: Cenni
Consiste nella possibilità in concreto di
irrogare la sanzione prevista per la violazione
del precetto penale.
Elementi:
• Commissione di un reato;
• Assenza di cause personali di esclusione della
pena;
• La presenza di eventuali condizioni obiettive
di punibilità art. 44 c.p..
89