Corso di Macroeconomia Lezione 10 : Politica economica internazionale Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Gold Standard (1) • Nella generazione precedente la II guerra mondiale il regime di tassi di cambio vigenti era un sistema a cambi fissi chiamato sistema monetario aureo o gold standard. • Le autorità monetarie fissavano la parità della propria moneta in termini di una certa quantità di oro ed erano pronte ad acquistare e a vendere la propria valuta in cambio di oro alla parità prefissata. • Il tasso di cambio bilaterale tra due paesi era pari al rapporto tra le parità auree delle due monete. • Se per esempio il prezzo dell’oro in $ è fissato dalla FED a 35$ per oncia e dalla Banca d’Inghilterra a 14,58 £ per oncia il tasso di cambio dollaro/sterlina è : 35/14,58= 2,40 $ per sterlina (e 0.41 sterline per 1$). Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Gold Standard (2) • L’arbitraggio internazionale sui cambi faceva sì che l’acquisto o la vendita di valuta a un prezzo diverso dal rapporto tra le due parità avrebbe innescato dei meccanismi che avrebbero riportato il tasso di cambio al suo valore prefissato. • La parità poteva variare entro margini ristretti detti punti dell’oro (pari alle spese di trasporto e assicurazione dell’oro). Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Gold Standard (3) • Esempio Supponiamo che il tasso di cambio fisso dollaro sterlina: £1=$4.86 i.e. la stessa quantità d’oro può essere comprata o con £1 o con $ 5. Il mercato scambia le due valute ad un tasso di cambio diverso £1=$5 • Cosa succede ? Con £ 1 possiamo ora ottenere $ 5 sul mercato dei cambi. Con quei $ 5 , possiamo comprare dal Tesoro statunitense oro sufficiente per recuperare la sterlina di partenza, e avere in più 0.14 $ come resto. Molti così cominciano a vendere sterline, abbassandone così il prezzo (in $) fino al suo valore di partenza. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Gold Standard (4) • Aggiustamento automatico delle bilance dei pagamenti. Se un paese aumentava l’offerta di moneta, r sarebbe diminuito: ciò avrebbe reso le attività estere più redditizie. La valuta interna non può svalutarsi ma i detentori della valuta la scambiano contro oro, spediscono l’oro all’estero e acquistano attività estere: il paese sperimenta un deflusso di oro. L’offerta di moneta diminuisce nel paese in questione e il tasso di interessa aumenta di nuovo. Il contrario avviene nei paesi in cui è affluito l’oro: l’offerta di moneta aumenta e il tasso di interesse diminuisce. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Gold Standard (5) • Simmetrie Nessun paese ha una posizione privilegiata. Vincoli automatici all’aumento dei prezzi (offerta di moneta legata all’afflusso di riserve auree). • Asimmetrie In un regime di gold standard, la somma delle esportazioni nette (NX ) e degli investimenti netti dall’estero (NIA) deve essere uguale al flusso di oro: NX+NIA-FG =0 Se un paese si trova a sperimentare un deficit, il paese perde oro (FG significa Flow of Gold). Per arginare il deflusso di oro è costretto a seguire politiche restrittive di aumento di r per ridurre il deflusso di oro e la contrazione delle riserve. I Paesi in avanzo, d’altra parte, non fronteggiano una crisi simmetrica che richieda una riduzione del tasso di interesse. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Crollo del Gold Standard (1) • Il gold standard fu sospeso durante la I guerra mondiale perché ogni paese fu costretto ad utilizzare politiche monetarie espansive per finanziare le spese di guerra. • Il tentativo di ripristinare il sistema aureo fallì dopo circa 5 anni dal suo ripristino. • Perché il sistema crollò? Il sistema poteva funzionare solo se le autorità possedevano riserve auree consistenti. I paesi detenevano le riserve in valuta anziché in oro. I paesi in deficit per rimanere nel sistema aureo erano costretti a mantenere alti tassi di interesse ed economie in recessione I paesi in avanzo non ridussero i tassi di interesse in risposta all’afflusso di oro: l’onere dell’aggiustamento ricadeva sui paesi in deficit. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Crollo del Gold Standard (2) I paesi che abbandonarono la parità uscirono prima dalla GD Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Gold exchange standard (1) • Poiché i tentativi di ricostruire il sistema aureo creò un regime vulnerabile agli shock, dopo la II guerra mondiale venne costruito un nuovo sistema conosciuto come sistema a cambio aureo o sistema di Bretton Woods. • Lo scopo era di creare un sistema con i vantaggi del gold standard (cambi fissi) ma esente dagli inconvenienti del precedente regime. • Le sue caratteristiche erano: 1. In tempi ordinari, i cambi erano fissi: le parità espresse in termini di $ (il $ era agganciato all’oro e indirettamente si poteva acquistare oro al prezzo di 35$ l’oncia). I cambi fissi avevano il vantaggio di stimolare il commercio internazionale rendendo prevedibili i prezzi dei beni esteri. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Gold exchange standard (2) 2. In termini straordinari, gli squilibri fondamentali di bilancia dei pagamenti potevano essere corretti tramite svalutazione o rivalutazione della propria moneta Se un paese si trovava con una valuta sopravvalutata che scoraggiava le esportazioni i tassi di cambio potevano essere variati. 3. Venne istituita un’autorità, il FMI, che sorvegliava sul corretto funzionamento del sistema. Assicurava che i paesi non abusassero della loro prerogativa di variare il tasso di cambio che richiedeva una preventiva autorizzazione del FMI per svalutazioni o rivalutazioni che superassero il 10% . Il FMI concedeva altresì prestiti nella valuta richiesta per sanare deficit temporanei di BP. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Gold exchange standard (3) • Il sistema creato a BW pensato originariamente come un gold exchange standard in quanto le banche centrali potevano detenere sia oro sia valute di riserve convertibili in oro e quindi permetteva maggiore flessibilità rispetto al gold standard puro. • In realtà, operò dalla metà degli anni ’60 come un regime a valuta di riserva (dollar standard). • Il principale svantaggio di un sistema a valuta di riserva è che esiste una grave asimmetria in questo sistema. • Il paese la cui moneta viene usata come valuta di riserva occupa una posizione speciale e non ha bisogno di intervenire sul mercato dei cambi. • Passaggio a regime a tassi fluttuanti a partire dall’inizio degli anni ‘70. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Sistema a cambi fissi • Distinguiamo due scenari in cui può trovarsi a funzionare un regime di cambi fissi: 1. Sistema di alta mobilità di capitali Una grande massa di moneta fluisce da un paese all’altro in reazione a differenziali positivi o negativi nei tassi di interesse . Gli speculatori giocano in questo scenario un grande ruolo e i governi devono sottostare alle decisioni degli operatori sui cambi. 2. Sistema di bassa mobilità di capitali. I flussi di capitale da un paese all’altro sono limitati. Le autorità che vogliono spostare capitali sono in grado di farlo variando il tasso di cambio utilizzando le loro riserve valutarie. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Alta mobilità di capitali (1) • Quando esiste perfetta mobilità di capitali le riserve valutarie perdono efficacia come strumento per stabilizzare il tasso di cambio. • L’equazione del valore di equilibrio del tasso di cambio reale è: = 0 - r(r-rf) 0 è il tasso di cambio reale di lungo periodo secondo l’opinione degli speculatori sui cambi r è un parametro che indica la reattività degli agenti rispetto al differenziale nei tassi di interesse. • Più alto (basso) è il differenziale dei tassi di interesse più il cambio si apprezza (deprezza). • Se r-rf =0 allora il tasso di cambio è uguale al suo valore di lungo periodo 0. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Alta mobilità di capitali (2) Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Alta mobilità di capitali (3) • Affinché il valore di equilibrio del tasso di cambio sia uguale a quello fisso prefissato *, la banca centrale deve stabilire il tasso di interesse interno: rrf 0 * r • La politica monetaria non può svolgere un ruolo attivo. • In particolare, la politica monetaria non è in grado di abbassare i tassi di interesse perché il tasso di interesse serve a guidare il tasso di cambio. • Per cui il tasso di interesse (di cambio) è fissato dagli speculatori sui cambi. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Alta mobilità di capitali (4) Il tasso di cambio è stabilito dagli speculatori sui cambi Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Alta mobilità di capitali (5) • Effetto degli shock esteri Se il tasso di cambio è fisso e se la mobilità dei capitali è elevata, variazioni esogene delle opinioni degli speculatori sui cambi o dei tassi di interesse esteri hanno effetti diretti e immediati sui tassi di interesse interni e sul livello di produzione interno. Ciò significa che gli shock internazionali si trasmettono all’economia interna. Un aumento di rf si riflette sui tassi di interesse interni e provoca un movimento verso l’alto e verso sinistra lungo la curva IS Un aumento di 0 di lungo periodo secondo le aspettative degli speculatori richiede un aumento di r pari a 0 / r Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Alta mobilità di capitali (6) Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Barriere alla mobilità di capitali (1) • Quando vi sono limiti alla mobilità di capitali le riserve delle BC sono considerevoli rispetto al flusso di capitali; il tasso di interesse interno (e quindi la politica monetaria) può essere in parte manovrato per fini di equilibrio interno. • Il tasso di cambio infatti è determinato non solo dalle aspettative degli speculatori sui cambi ma anche dalla velocità con cui la BC accumula riserve valutarie: = 0 - r(r-rf)+ R R Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Barriere alla mobilità di capitali (2) • In presenza di barriere alla mobilità di capitali la BC riacquista libertà di azione nell’impiego della politica monetaria per usi interni. • Gli shock avversi degli speculatori sui cambi o dei tassi di interesse esteri non sono trasmessi immediatamente sull’economia nazionale sotto forma di aumenti di r che innescano recessioni. • La possibilità di più ampie manovre della BC la si desume dal fatto che il tasso di interesse interno ora è: 0 R rr R r r f * Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Barriere alla mobilità di capitali (3) Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Cambi fissi o flessibili ? • Milton Friedman (Nobel nel 1976) della Università di Chicago, asserisce che i prezzi, compresi i tassi di cambio, devono essere stabiliti dalle forze della domanda e dell’offerta e non da decreti del governo. L’impostazione di questa scuola giudica pertanto altamente positiva l’esperienza dei cambi fluttuanti e l’abbandono del regime di cambi fissi. • Robert Mundell (Nobel nel 1999) della Columbia University, ritiene che un tasso di cambio fisso significa che il governo rispetta il contratto che il governo ha stipulato con gli investitori esteri. Lasciar fluttuare il tasso di cambio vuol dire infrangere il contratto stesso. In questa ottica viene valutato negativamente il sistema basato sui cambi flessibili. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Benefici dei cambi fissi • Favoriscono il commercio internazionale riducendo il rischio di fluttuazione dei cambi. • Permette una migliore divisione internazionale del lavoro che altrimenti richiederebbe continui spostamenti di risorse tra i settori dei beni commerciabili e non commerciabili in seguito a fluttuazioni del cambio intorno al suo valore fondamentale. • Questo vantaggio è alla base della decisione presa dai paesi europei di istituire un’unione monetaria (UME) con il potere di fissare irrevocabilmente i tassi di cambio. Il funzionamento e l’esperienza dello SME ha dimostrato che i tassi di cambio rimangono fissi solo con la scomparsa delle valute nazionali . Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Costi dei cambi fissi • La politica monetaria è vincolata a mantenere fisso il tasso di cambio. • La politica monetaria non può essere usata per mantenere l’equilibrio interno. • Se i tassi di interesse restano per troppo tempo bassi, le riserve valutarie si riducono e la parità fissa non potrà essere mantenuta. • Hanno lo svantaggio di trasmettere immediatamente gli shock internazionali. • La banca centrale deve reagire agli shock di fiducia e alle aspettative degli investitori internazionali variando i tassi di interesse a breve termine. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Aree monetarie ottimali (1) • Secondo Robert Mundell i cambi fissi funzionano meglio se i paesi che li utilizzano formano un’area valutaria ottimale. • Il vantaggio dei cambi flessibili, che è quello di permettere ai paesi di reagire agli shock asimmetrici perderebbe di rilevanza se i paesi che utilizzano i cambi fissi formano un’AVO. • Quando gli shock sono di tipo asimmetrico, per eliminare i vantaggi dei cambi flessibili, è necessaria un’alta flessibilità delle risorse produttive (lavoro, capitale etc.). Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Aree monetarie ottimali (2) • Esiste l’opinione condivisa che l’UME non è un’AVO mentre gli stati USA lo siano. • La ragione non sta nell’ esistenza di shock simmetrici in USA e di shock asimmetrici nell’UEM. Anche all’interno degli USA le strutture produttive dei vari stati sono diverse e gli shock che colpiscono la California sono differenti da quelli che colpiscono il Texas o qualsiasi altro stato dell’Unione. Analogamente gli shock che colpiscono il Portogallo sono diversi da quelli che colpiscono la Danimarca. • La differenza fondamentale tra USA e UEM è che all’interno degli USA esiste un’alta mobilità dei fattori produttivi capitale e lavoro che si muovono velocemente verso i luoghi in cui i rendimenti e i salari sono alti. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 CRISI MONETARIE Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 La crisi europea del 1992 (1) • La prima crisi finanziaria che colpì i paesi che utilizzavano cambi fissi (dopo il crollo di Bretton Woods) si verificò in Europa e fu innescata dalla riunificazione tedesca. • Fu intrapreso un programma di investimenti pubblici imponente per cercare di riportare la Germania orientale agli standard dei livelli di reddito della Germania Occidentale. • L’incremento della spesa pubblica spostò verso l’alto la curva IS. • La Bundesbank reagì innalzando i tassi di interesse (politica monetaria restrittiva). Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 La crisi europea del 1992 (2) • Questo avrebbe consentito di mantenere il PIl reale nell’intervallo ritenuto compatibile con gli obiettivi di inflazione della BC; attrarre capitali dall’estero utili a finanziare il processo di riunificazione. • L’aumento del tasso di interesse (e l’apprezzamento del cambio) ridusse le esportazioni nette e fece affluire capitali. • Gli altri paesi che aderivano allo SME avrebbero dovuto aumentare i tassi di interesse affinché il meccanismo dei cambi fissi continuasse ad operare. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 La crisi europea del 1992 (3) Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 La crisi europea del 1992 (4) All’inizio degli anni Novanta, i Governi degli altri Paesi europei stavano alzando i tassi di interesse e contraendo le loro economie, rischiando una recessione, per mantenere le parità dei tassi di cambio nell’ambito del meccanismo europeo dei cambi (ERM= European Exchange Rate Mechanism). • Gran Bretagna, Italia, Francia confermavano il loro impegno a mantenere la parità fissa dei loro tassi di cambio. • Quando la disoccupazione e la recessione in quei paesi cominciarono a farsi sentire gli speculatori sui cambi non credettero alle promesse delle rispettive BC di mantenere fisso il cambio. • Ci furono massicci attacchi speculativi sulla sterlina, sulla lira italiana e sul franco francese. • Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 La crisi europea del 1992 (5) Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 La crisi europea del 1992 (6) • Il tentativo da parte delle autorità monetarie di resistere agli attacchi speculativi non ebbe successo. • La Banca d’Inghilterra perse 7 miliardi di $ di riserve in poche ore durante l’attacco speculativo del settembre 1992 volto verso la sterlina. • Questo non fece altro che rafforzare l’opinione degli speculatori che il costo di mantenere il tasso di cambio fisso era troppo elevato. • Dopo due mesi dall’inizio degli attacchi speculativi il sistema di tassi di cambio fissi in Europa riguardava ormai solo pochi paesi. • La crisi fece comprendere che se si volevano mantenere i cambi fissi all’interno dell’Europa le valute nazionali dovevano essere sostituite da una valuta comune. • Non più tassi di cambio fissi tra diverse valute ma una valuta comune : nascita dell’UME nel gennaio 1999. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Crisi messicana 1994-1995 (1) • La crisi del peso messicano è difficile da spiegare anche per gli economisti. Il tasso di cambio non era sopravvalutato né c’erano grandi disavanzi di bilancio che potessero far temere processi inflazionistici in atto. Non c’erano quindi ragioni per attendersi una svalutazione Il timore di attacchi speculativi era quasi nullo perché non esistevano incompatibilità tra le politiche di governo per mantenere il cambio fisso e i fondamentali dell’economia (bilancio pubblico in pareggio, inflazione sotto controllo, crescita sostenuta). Inoltre il paese era appena entrato nel club dell’OCSE e nel NAFTA (North American Free Trade Agreement) che assicurava mercati ampi privi di dazi doganali che avrebbero favorito le esportazioni delle merci messicane. Ci si aspettava quindi un rafforzamento del peso messicano in termini reali (apprezzamento) Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Crisi messicana 1994-1995 (2) Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Crisi messicana 1994-1995 (3) • L’inversione di tendenza nelle aspettative degli investitori finanziari internazionali ebbe ragioni politiche. All’inizio del 1994 la rivolta zapatista scoppiata nella provincia povera del Ciapas fece temere sulla stabilità politica del paese. • Le autorità messicane spesero 50 miliardi di $ di riserve valutarie per sostenere il peso: esaurite le riserve lasciarono fluttuare il peso nei confronti del $. • La svalutazione ebbe conseguenze disastrose: ogni deprezzamento del peso aumentava il valore del debito pubblico messicano accrescendo la possibilità che il governo ripudiasse il debito. • Gli aiuti e i prestiti del FMI e del governo statunitense aiutarono a ripristinare la fiducia degli investitori nell’economia messicana e la crisi fu meno catastrofica di quella prevista. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Crisi Sud-Est asiatico 1997-1998 (1) • Dopo 2 anni e mezzo dalla crisi messicana si sviluppò una nuova crisi finanziaria che colpì Thailandia, Malaysia, Corea del Sud e Indonesia. • La crisi scoppiò quando gli investitori finanziari cambiarono le loro aspettative sulla sostenibilità di lungo periodo dello sviluppo economico in quei paesi e gli speculatori sui cambi rividero il valore di 0 . • Quando i tassi di cambio si deprezzarono si innescarono ulteriori ragioni per aspettative pessimistiche. • Era chiaro che le banche e le imprese che avevano contratto prestiti denominati in $ o yen si sarebbero trovati in grande difficoltà e la probabilità di una serie di fallimenti generalizzati aumentò. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Crisi Sud-Est asiatico 1997-1998 (2) • Quando si sviluppò la crisi asiatica il FMI intervenne con ingenti prestiti per ricostituire le riserve valutarie di quei paesi. • I prestiti vennero concessi a condizione che i paesi colpiti dalla crisi riformassero i loro sistemi bancari e finanziari (basati su stretti legami tra banche, governo e imprese). • Gli investitori internazionali hanno riacquistato fiducia nelle economie di quei paesi. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Crisi Sud-Est asiatico 1997-1998 (3) Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Crisi Sud-Est asiatico 1997-1998 (4) Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Crisi in Argentina (2001) • La maggior parte degli osservatori ritiene che le crisi fin qui esposte siano state causate dal fatto che i tassi di cambio nei paesi del Sud-est Asiatico e in Messico non fossero abbastanza fissi e che gli investitori internazionali temevano la svalutazione delle monete da parte dei rispettivi governi, • La crisi argentina del 2001 e 2002 confuta questa tesi. Il governo argentino aveva delegato il controllo sul tasso di cambio a un’autorità esterna (currency board o comitato valutario) che aveva il compito di mantenere fisso il tasso di cambio rispetto al dollaro. • In realtà un tasso di cambio sopravvalutato determinò problemi interni, e in particolare una recessione che ampliò i disavanzi di bilancio sia del governo federale sia delle province. • Di fronte a una forte crescita del debito pubblico il comitato valutario non infondeva più alcuna fiducia e il timore della svalutazione innescò la crisi reale e valutaria dell’Argentina. • La fuga di capitali che ha caratterizzato le altre crisi è stata la principale causa anche della crisi argentina. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Come gestire le crisi finanziarie (1) • Ricordiamo l’equazione fondamentale del tasso di cambio: = 0 - r(r-rf) • Se 0 rimane costante: Essa offre un menu di scelte ai policy maker che permette loro di variare il tasso di cambio reale oppure il tasso di interesse reale interno. Quanto più alto è r tanto più il tasso di cambio si apprezza e tanto minore è • Se cambia 0 (la valutazione che del tasso di cambio fanno gli speculatori): il menu di scelte dei governi si riduce drasticamente. Se 0 si deprezza per mantenere costante il tasso di interesse interno deve aumentare: questo implica una probabile recessione interna Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011 Come gestire le crisi finanziarie (2) Pertanto, quando cambiano le opinioni degli investitori la scelta più naturale sarebbe quella di lasciar deprezzare il cambio Di solito questo non accade perché estremamente pericoloso: se i governi, le banche, le imprese hanno contratto massicci prestiti all’estero il deprezzamento del cambio può determinare una catena di fallimenti. • Controllare i movimenti di capitali ? Per ridurre la vulnerabilità dei sistemi si dovrebbero scoraggiare, tassandoli, i mutuatari dal prendere a prestito in valute estere. Tuttavia, se riteniamo (e molti economisti condividono questa visione) che il libero flusso di capitali sia importante per finanziare lo sviluppo e la crescita dei paesi dobbiamo assicurarci che il tasso di cambio possa fluttuare senza provocare danni all’economia interna. Vito Amendolagine, Corso Macroeconomia, Brindisi, 2010-2011