L`ORIGINE DELL`UNIVERSO: TEORIE E FATTI

CAPITOLO 5
L’ORIGINE
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TEORIE E FATTI
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L
a cosmologia studia le origini e l’evoluzione dell’Universo e cerca di elaborare modelli sempre più
coerenti in grado di spiegarne il passato, il presente e il futuro.
Il cielo ha da sempre suscitato la curiosità degli
uomini: credo che già i nostri lontani progenitori cavernicoli si interrogassero su quei puntini luminosi che vedevano in cielo, e sul perché il Sole e la Luna si alternassero fra il giorno
e la notte. Testimonianza di questo interesse per la natura sono i
bellissimi graffiti trovati sulle pareti delle caverne, che dimostrano
come gli uomini di quei tempi fossero osservatori molto attenti.
In epoche successive lo studio del cielo diventa più sistematico:
tutti i popoli antichi – in occidente (greci, romani…), in oriente (babilonesi, fenici, cinesi…), in America (maya, atzechi, toltechi…)
– avevano una propria cosmogonia, cioè una teoria sulla nascita
e sulla struttura dell’Universo. Queste teorie si basavano su dati
osservativi (anche sorprendentemente accurati, dati i rudimentali
strumenti dell’epoca), ma naturalmente inglobavano anche religione, mitologia e filosofia. Per fare un esempio, basta ricordare
che gli antichi greci e i romani ponevano nel cielo i loro dèi. Giove,
Saturno, Venere, Mercurio erano dèi e le costellazioni rappresentavano le gesta degli eroi: il cielo e la Terra erano strettamente
connessi, e il cielo interferiva con le vicende degli umani.
ANTICHE E NUOVE INTUIZIONI
Eppure già nel V secolo a.C. Leucippo e Democrito ebbero un’intuizione dell’Universo che potremmo definire sorprendentemente
moderna. Affermarono che l’Universo era costituito di innumerevoli
atomi (in greco «indivisibile») distribuiti in un vuoto di estensione
infinita. Gli atomi erano costituiti di una sostanza «primaria» universale e differivano l’uno dall’altro solo per forma e dimensione.
Le sensazioni di colore, suono, sapore, tatto, odore non erano una
proprietà delle cose, ma qualità di natura secondaria originatesi
negli organi di senso. Democrito affermava che il colore, il dolce,
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l’amaro sono tutte convenzioni, in realtà esistono solo gli atomi e
il vuoto. Tutto il resto è illusione. Queste idee, pur così simili alle
nostre conoscenze attuali, erano comunque concezioni filosofiche,
costruzioni della mente. La conoscenza scientifica oggi si basa
sull’osservazione e sull’esperimento; le ipotesi più astratte e fantasiose, prima di poter essere chiamate teorie, sono sottoposte a
riprove sperimentali.
Nel corso della storia, il legame tra studio scientifico del cielo,
religione e filosofia si consolida: il modo di vedere e interpretare l’Universo (o quello che si sapeva sull’Universo) diventa l’espressione
della cultura del tempo e da questa viene influenzato. Questo legame verrà spezzato soltanto agli inizi del Novecento, con la scoperta
dell’espansione dell’Universo e quindi la nascita di una cosmologia
basata sull’osservazione. È da allora che i dati osservativi ci hanno
consentito di dare un’interpretazione fisica dell’Universo e quindi
di elaborare una cosmologia moderna.
La cosmologia è dunque, contemporaneamente, una scienza antichissima e recente. Facciamo quindi una breve carrellata storica.
Quello che sappiamo della nostra Galassia, delle galassie esterne e dell’Universo nel suo insieme presenta ancora molti interrogativi, sebbene appaia incredibile il cammino percorso sulla via
della conoscenza e come i moderni strumenti a Terra e dallo spazio l’abbiano accelerato. Infatti, è indubbio che abbiamo costruito
fondamenta ben più solide delle spalle di Atlante, e della tartaruga
su cui i cosmologi indiani poggiavano il mondo. ••1
Come è noto, tra coloro che stabilirono queste basi fu Galileo,
il quale nel Seicento fu il vero iniziatore della scienza moderna,
basata sulla deduzione delle leggi generali dell’Universo a partire
da osservazioni ed esperimenti, anziché da idee preconcette di
natura filosofica o religiosa. Prima di allora le idee di Aristotele avevano fortemente influenzato il mondo antico fino al Rinascimento e
oltre. Per il filosofo greco i corpi celesti erano addirittura di materia
diversa da quella terrestre, quelli più lontani della Luna erano immutabili ed eterni, e le orbite dei pianeti dovevano assolutamente
essere circolari, essendo il cerchio e la sfera figure geometriche
perfette. Questi e altri dogmi aristotelici furono smentiti da Galileo e da Keplero. Quando, nel 1610, Galileo rivolse al cielo il suo
modesto cannocchiale, scoprì sulla superficie lunare montagne,
pianure e crateri come quelli che osserviamo sulla Terra; dimostrò che la nova apparsa nel 1604 non era un oggetto sublunare,
ma, pur essendo variabile, apparteneva alla cosiddetta «sfera delle
stelle fisse», e risolse una volta per sempre la natura della Via Lattea, scoprendo che era fatta da innumerevoli stelle.
In seguito, si cominciò a studiare come queste stelle si muovessero e quante fossero, anche se nessuno ancora pensava fosse
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CAPITOLO 5
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••1 La Via Lattea
all’infrarosso. Poiché
ci troviamo all’interno
del disco galattico in
posizione periferica,
se guardiamo la parte
centrale della nostra
Galassia essa ci appare
vista di taglio. Il suo
aspetto è identico a una
qualsiasi altra galassia
a spirale, vista di taglio.
(2MASS, CARPENTER-SKRUTSKIEHURT)
possibile conoscerne struttura e composizione chimica. Quando
Galileo scoprì i quattro maggiori satelliti di Giove, pensò di aver
trovato un Sistema solare in miniatura e con esso la prova evidente
che era la Terra, insieme alla Luna, a orbitare attorno al Sole e non
viceversa. Circa negli stessi anni, Keplero, basandosi sulle accurate osservazioni dei pianeti fatte dal suo maestro Ticho Brahe,
enunciò le leggi che mettono in relazione il periodo di rivoluzione
dei pianeti con le loro orbite di forma ellittica, e non circolare come
voleva il dogma aristotelico.
Il filosofo francese Auguste Comte, che verso il 1850 sognava
di trasformare la Terra «in un giardino dell’Eden disseminato di
templi a Newton», è anche famoso per aver sostenuto che la separazione fra la Terra e le stelle non sarebbe mai stata colmata,
e che sarebbe stato impossibile conoscere la loro temperatura e
composizione chimica. «Lasciate perdere – diceva – le teorie cosmologiche. Il Sistema solare è l’unico soggetto di conoscenza.
Studiare le stelle è soltanto un lusso da curiosi, e gli astronomi che
ormai le osservano da quasi un secolo (si riferiva a Fraunhofer,
Bessel e Herschel) cominciano a essere giustamente sospettati di
fare cose frivole e irrazionali».
Invece, numerosi progressi sono stati fatti nei quasi due secoli che ci separano da queste affermazioni di Comte. Grazie alla
spettroscopia, cioè la scomposizione della luce bianca nelle sue
componenti monocromatiche, siamo riusciti a conoscere la loro
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composizione chimica, a sapere come e perché le stelle brillano
ed evolvono. Abbiamo imparato i segreti del «fuoco nucleare» che
le alimenta, forse né più né meno tremendi dei segreti del fuoco
di legna che migliaia di anni fa imparammo ad accendere e conservare nei templi e nelle capanne. È da meno di un secolo che
abbiamo capito che la Via Lattea non è tutto l’Universo, ma che
al di là della nostra esistono miliardi di altre galassie, che ruotano,
hanno forme e dimensioni differenti, si raggruppano in enormi ammassi all’interno di uno spazio che sta continuamente dilatandosi.
Tutte insieme formano un Universo che sembra insondabile, e che
tuttavia misuriamo e pesiamo proprio in base ai moti e all’attrazione reciproca che le galassie e gli ammassi galattici esercitano l’uno
sull’altro. In realtà, fra materia visibile e non visibile, si ritiene che
l’Universo abbia una massa di circa 1055 grammi; e una densità
stimata fra 10-29 e 10-31 g/cm3. ••2
Ma all’inizio che accadde? All’inizio esplose una «palla di fuoco».
Sembra un’espressione inventata da un artificiere, ma riassume le
conclusioni dei cosmologi contemporanei sull’origine dell’Universo e giustifica perché questo Universo sia stato chiamato violento
e lo si continui a vedere popolato di astronomici mostri. La si potrebbe considerare la versione scientifica di quello stupendo terzo
versetto della Genesi: «Disse Dio: “Si faccia la luce”. E la luce fu».
Lo comprese alla perfezione il pacifico canonico di Lovanio, George Lemaître, ingegnere e matematico, che prima di diventare
sacerdote aveva servito come artigliere nella guerra del 1915-18.
Forse è proprio da attribuirsi a quest’ultima attività bellica, oltre
che alla scoperta di Edwin Powell Hubble della «fuga delle galassie», che a lui per primo nel 1931 venne l’idea dell’Universo
nato da una specie di superbomba, battezzata «atomo primitivo e
quasi un isotopo di un neutrone». Come accordare meglio di così
scienza e ortodossia, ragione e fede?
Ma cosa c’era prima? In uno dei suoi libri, George Gamow scrive
che non si può dire niente al riguardo di un’epoca «che si dovrebbe
giustamente chiamare “era agostiniana” perché fu Sant’Agostino
d’Ippona a chiedersi che cosa facesse Dio avanti di creare il cielo
e la Terra». Evitando di ribattere come quel tale di cui si racconta
che, eludendo scherzosamente la difficoltà della domanda, rispose: «Preparava l’inferno per coloro che voglion scrutare gli arcani»,
Agostino afferma che «Dio prima di creare il cielo e la Terra, non
faceva nulla. E invero se faceva qualche cosa, poteva fare altro che
una creatura?» Oggi i filosofi sosterrebbero che questo è un «falso
problema» e gli scienziati aggiungerebbero che non ha significato
chiedersi che cosa ci sia stato prima della «grande esplosione»:
sarebbe come arzigogolare che cosa c’è a Nord del Polo Nord.
Analogamente, non ha senso chiedersi dove questa grande
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CAPITOLO 5
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••2 L’ammasso di galassie
nella costellazione della
Vergine. Questa è la parte
centrale di un enorme
superammasso, attorno
a cui orbita in estrema
periferia anche la nostra Via
Lattea. Nella parte superiore
dell’immagine si nota un
allineamento di galassie
quasi a contatto, detto
Catena Markarian, mentre
tutta la zona è dominata da
tre galassie ellittiche giganti,
da sinistra a destra: M87,
M86 e M84. (BIG PIC, PALOMAR
QUEST TEAM, CALTECH)
esplosione sia avvenuta, perché non era un oggetto isolato nello
spazio, ma era l’Universo intero, anche se puntiforme, e perciò la
sola risposta possibile è che era dappertutto. Quindi, non si deve
pensare che la «palla di fuoco» esplosa con il Big Bang fosse paragonabile a una supernova, perché non c’erano confini e un centro
dell’Universo non esisteva allora come non esiste oggi.
Una delle cose più importanti da ritenere è piuttosto che la sua
densità doveva essere altissima e la temperatura raggiungere e superare di gran lunga i 10 miliardi di gradi K: valori deducibili dall’attuale densità, temperatura ed età dell’Universo e dall’energia con
cui si espande. A tale proposito, si deve aggiungere che la «grande
esplosione» è sempre in atto, come la materia originale e la radiazione che seguitano a far espandere l’Universo in cui viviamo.
Una delle prove più consistenti che l’Universo ebbe un’origine
esplosiva e che allora la sua temperatura eccedeva i 10 miliardi di
gradi K – a parte la grande scoperta di Hubble del 1929, sulla qua-
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le ci soffermeremo, sul crescere della velocità di allontanamento
delle galassie in proporzione alla loro distanza – si è avuta dalla
constatazione di un Universo tuttora pervaso da un certo calore,
che non è quello diffuso dalle galassie. Si tratta, come vedremo,
della cosiddetta «radiazione fossile», ipotizzata fin dal 1946 da
Gamow e misurata poi effettivamente da Arno Penzias e Robert
Wilson nel 1965.
Questa notizia mise tutti gli astronomi in subbuglio e concluse,
almeno per il momento, un dibattito annoso fra la cosiddetta teoria
dell’Universo stazionario, e quella evolutiva dell’espansione dell’Universo, prospettata precedentemente da Lemaître.
L’idea di un Universo in espansione originato da un punto a
densità e temperatura infinite – idea che va sotto il nome di teoria
del Big Bang – è sconcertante, tanto è vero che non tutti gli scienziati l’accettarono inizialmente. Una parte consistente e autorevole dell’ambiente scientifico – capeggiata da tre famosi astrofici,
Fred Hoyle, Hermann Bondi e Tommy Gold – rifiutò quest’idea
e propose l’ipotesi alternativa dello stato stazionario, che postula
un Universo immutabile nel tempo e nello spazio. Hoyle, Bondi e
Gold sostenevano che un osservatore, posto in un punto qualsiasi
e in un qualsiasi momento del tempo, avrebbe sempre la stessa
visione dell’Universo. Quindi ipotizzarono un Universo uniforme
nello spazio e nel tempo, diversamente dal modello del Big Bang
che si evolve.
Secondo questa ipotesi, l’Universo non ha principio né fine, e
supplisce alla rarefazione causata dall’espansione con la continua
creazione di nuova materia (una specie di vuoto creativo). Facendo i conti, risultava che sarebbe bastata una minima quantità di
materia all’anno per compensare l’espansione: circa dieci atomi
di idrogeno ogni metro cubo ogni miliardo di anni. Una quantità
tanto piccola da sfuggire a ogni possibilità di osservazione. Anche
l’idea della creazione continua della materia non era facilmente
accettabile, però i difensori dell’Universo stazionario sostenevano
che è comunque più ammissibile che si crei un atomo di idrogeno
all’anno in un volume molto grande, che ammettere la creazione
dell’Universo da un punto a temperatura e densità infinite.
La teoria evolutiva, invece, risalendo indietro nel tempo come un
film proiettato a rovescio, otteneva la contrazione di un Universo,
che, dopo miliardi d’anni, finiva per raggiungere le altissime densità
dell’atomo primitivo. Quell’atomo, in considerazione non solo della
densità, ma anche della temperatura, divenne per i cosmologi che
approfondirono i suggerimenti di Lemaître, come Gamow, la «palla
di fuoco» che produsse il Big-Bang oltre 10 miliardi di anni fa.
Le due teorie, quella del Big Bang e quella dell’Universo stazionario, rimasero ugualmente possibili, almeno in base ai dati di
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cui si disponeva all’inizio degli anni Sessanta. Circa la metà degli
scienziati credeva (e il verbo «credere» è stato scelto proprio per
indicare che si trattava di un vero atto di fede) all’idea dell’Universo
stazionario e altrettanti credevano all’idea del Big Bang. Questa
situazione si risolse grazie ad alcune scoperte, che, come vedremo nei prossimi paragrafi, fornirono graduali conferme alla teoria
dell’Universo in espansione.
L’UNIVERSO IN ESPANSIONE
••3 L’Universo come
un panettone che lievita.
L’espansione cosmica
avviene in 3 dimensioni:
lo spazio intergalattico si
dilata, mentre le galassie
(che sono governate dalla
gravità) restano inalterate.
Esattamente come in un
panettone che lievita, la
pasta (spazio) si gonfia
fra le uvette (galassie)
che rimangono inalterate.
Notiamo che ciascuna
uvetta resta ferma nella
sua posizione dentro la
pasta, ma si allontana
contemporaneamente da
tutte le altre. Così le galassie
nell’espansione cosmica
restano ferme nello spazio,
pur allontanandosi l’una
dall’altra. Si vede anche
come la densità delle
uvette si riduce mentre il
panettone si gonfia: nello
stesso modo la densità
dell’Universo diminuisce con
l’espansione. Nell’esempio
considerato del dolce che
lievita, quest’ultimo ha
un’estensione limitata e noi
lo guardiamo dall’esterno.
L’Universo invece è illimitato
e non ha un centro, ma noi
lo osserviamo dall’interno
come se stessimo su
un’uvetta entro un
panettone sconfinato.
Negli anni Venti, l’astrofisico americano Edwin Hubble, che si
dedicò allo studio sistematico delle galassie, scoprì che tutte le
galassie si stanno allontanando da noi con una velocità che è proporzionale alla loro distanza. Questo fatto viene spesso interpretato
in maniera sbagliata; si parla di «fuga delle galassie» come se noi
fossimo al centro dell’Universo e tutte le galassie s’allontanassero
da noi. In realtà le cose non stanno così; l’interpretazione giusta
è che le galassie sono immerse in uno spazio che si espande.
Espandendosi porta con sé le galassie, per cui, quanto più lontana
è una galassia, tanto maggiore sembra la sua velocità.
Un esempio gastronomico dell’Universo è dato dalla pasta di
un dolce che si gonfia sotto l’azione del lievito: se nella pasta sono
immerse delle noccioline, via via che la pasta si gonfia uniformemente in tutte le direzioni tutte le noccioline si allontanano le une
dalle altre. Se dopo un tempo t le distanze nello spazio sono raddoppiate, un osservatore posto su una qualsiasi galassia vedrà la
galassia A, che era posta a distanza d da lui, portarsi a distanza
2d e la galassia B, che era a distanza 2d, portarsi a distanza 4d.
Quindi, gli sembrerà che A si sia allontanata a velocità v= d/t e B a
velocità 2d/t, cioè proprio il risultato trovato da Hubble: la velocità
di allontanamento cresce proporzionalmente alla distanza. ••3
(WWW.FERLUGA.NET)
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Hubble arrivò a questa scoperta studiando gli spettri delle galassie. Scoprì che le righe spettrali caratteristiche dei vari elementi
chimici erano sempre spostate verso il rosso rispetto alla posizione
tipica misurata in laboratorio (cioè a lunghezza d’onda maggiore e
quindi a frequenza minore). Applicò allora ai dati rilevati la legge
dell’effetto Doppler, secondo la quale i suoni o le onde luminose
emessi da una sorgente sonora o luminosa ci arrivano con frequenza maggiore (quindi lunghezza d’onda minore) quando la sorgente s’avvicina, e con frequenza minore (quindi lunghezza d’onda
maggiore) quando la sorgente s’allontana. Si tratta di un effetto
che si sperimenta spesso in ambito acustico. A tutti è sicuramente
capitato di ascoltare il clacson di un’automobile che ci incrocia
sull’autostrada o la sirena di un’ambulanza: quando la sorgente
(automobile o ambulanza) si avvicina, il suono è più acuto, quando la sorgente ci ha incrociato e s’allontana, il suono diventa più
grave. Così, partendo dalla differenza tra la lunghezza d’onda di
laboratorio e quella osservata, e sapendo grazie all’effetto Doppler
che la lunghezza d’onda varia in funzione della velocità, Hubble
riuscì a calcolare la velocità di allontanamento delle galassie. ••4
Scoprì poi, confrontando lo spostamento delle righe spettrali di
galassie di cui era nota approssimativamente la distanza, non solo
che tutte le galassie si allontanano da noi, ma che la velocità di
allontanamento cresce regolarmente al crescere della distanza.
Per definire più esattamente la legge con cui le galassie si allontanano, però, Hubble aveva bisogno di conoscere più esattamente
la loro distanza.
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••4 L’effetto Doppler.
Si chiama così la
variazione della lunghezza
d’onda osservata in
funzione del movimento
della sorgente, che può
avvenire per effetto
della velocità (Doppler
classico), oppure a causa
dell’espansione cosmica
(Doppler cosmologico).
Quando la sorgente si
avvicina, la lunghezza
d’onda si accorcia e quindi
il suo colore si sposta
verso il blu; quando invece
si allontana, la lunghezza
d’onda aumenta e il suo
colore si sposta verso il
rosso. Un effetto Doppler
dipendente dalla velocità
si può percepire anche nel
caso delle onde sonore.
Infatti, quando la sorgente
è in avvicinamento, il
tono del suono appare
più acuto, mentre è più
grave quando la sorgente
si allontana (come ad
esempio per la sirena di
un treno).
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Misurare la distanza dei corpi celesti, in generale, e delle galassie, in particolare, non è facile. Misure dirette, usando metodi in
tutto analoghi alle triangolazioni fatte dai geometri, sono possibili
solo per i corpi del Sistema solare e per le stelle più vicine, poste
a una distanza inferiore a un migliaio di anni luce. Ma poiché
a determinate caratteristiche fisiche delle stelle – quali possono
derivare dallo studio del loro spettro – corrisponde anche una
ben definita luminosità assoluta, è possibile stimare il valore di
quest’ultima. Sappiamo inoltre che la luminosità diminuisce secondo una legge nota man mano che ci si allontana dalla sorgente; allora, misurando con gli strumenti a Terra la luminosità
apparente dell’oggetto e confrontandola con il valore stimato della
luminosità assoluta, è possibile calcolare la distanza, almeno approssimativamente. Così per le galassie più vicine, in cui è possibile scorgere le singole stelle, si può assumere che quest’ultime,
a parità di caratteristiche spettrali, abbiano anche la stessa luminosità assoluta di quelle della nostra Galassia, e di conseguenza
si ricava la distanza della galassia di cui fanno parte. Un altro
prezioso metodo di misura delle distanze è fornito dalle cosiddette variabili cefeidi, che abbiamo già descritto nel quarto capitolo. È stato infatti scoperto che la loro luminosità assoluta cresce
regolarmente al crescere del periodo di variabilità (intervallo di
tempo fra due successivi massimi o minimi di luce). Cosicché
basta misurarne le variazioni luminose e determinare il periodo
per conoscerne la luminosità assoluta.
Però, dato che la maggioranza delle galassie è tanto lontana
che appare come una macchiolina, e nessuna stella è distinguibile, bisogna ricorrere a metodi di tipo statistico, simile a quelli che
utilizziamo anche intuitivamente in alcune occasioni quotidiane.
Facciamo un esempio di valutazione della distanza basata su un
metodo statistico. Gli esseri umani hanno un’altezza media che si
aggira intorno al metro e settanta; sapendo questo, posso valutare
la distanza di una persona a seconda dell’angolo sotto cui la vedo.
In questo modo, riusciamo a stimare la distanza proprio perché ne
conosciamo più o meno l’altezza. Lo stesso succede per qualunque
altro oggetto di cui conosciamo approssimativamente le dimensioni, il nostro cervello lo colloca immediatamente alla giusta distanza.
Tornando al calcolo delle distanze delle galassie, esse vengono
raggruppate in categorie con caratteristiche morfologiche simili: a
seconda della forma avremo galassie a spirale, a spirale barrata,
ellittiche, irregolari…
Supponiamo che tutte le galassie appartenenti a una certa categoria abbiano anche caratteristiche fisiche simili (ad esempio si
può immaginare che abbiano tutte la stessa luminosità assoluta o
le stesse dimensioni). A questo punto, se sono veri questi criteri
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di base, potremo dedurre che quanto più debole ci appare una
galassia appartenente a una certa popolazione tanto più lontana
sarà rispetto alle altre sue compagne dello stesso tipo morfologico.
Viceversa, quanto più lontana è una galassia tanto più ci sembrerà
debole e più piccole ci sembreranno le sue dimensioni.
Un altro metodo di misura delle distanze si basa su una classe
di supernovae dette «--l a» che avrebbero tutte le stesse caratteristiche fisiche e quindi anche la stessa luminosità assoluta all’epoca
del massimo splendore. Data la loro grande luminosità assoluta,
esse sono ancora visibili nelle galassie più lontane, permettendoci
così di misurare l’espansione dell’Universo fino a distanze di 13
miliardi di anni luce e scoprire la misteriosa energia oscura che
accelererebbe l’espansione.
Dunque, Hubble scoprì grazie all’allontanamento delle galassie che l’Universo è in espansione. Conoscendo poi la velocità di
espansione è possibile ricavare l’età dell’Universo, come vedremmo nelle prossime pagine. Percorrendo l’evoluzione dell’Universo a ritroso, si arriva a un fatto che può sembrare sconvolgente:
all’inizio, tutta la materia doveva essere compressa in un volume
estremamente piccolo. Quando si comprime la materia, questa si
riscalda e diventa prima completamente gassosa, poi, via via si
riduce a particelle elementari in un volume il cui raggio tende a
zero e la cui densità e temperatura tendono all’infinito.
Pensare che tutto l’Universo che conosciamo possa essere ridotto a un punto, a temperatura e densità infinite, non è facilmente
accettabile per la nostra immaginazione. Un simile stato in matematica viene chiamato «una singolarità», ma in fisica non ha molto
senso e la nostra difficoltà di immaginazione riflette solo la nostra
ignoranza su come si comporta la gravità quando si ha a che fare
con materia in uno stato così estremo. Secondo la fisica quantistica, le dimensioni più piccole possibili sono centinaia di miliardi di
volte più piccole di un nucleo dell’atomo di idrogeno che è 10-13
cm, e pari alla cosiddetta lunghezza di Planck che è 10-33 cm.
La cosmologia moderna, basandosi anche su molti dati osservativi, è in grado di ripercorrere la storia dell’Universo fino a quando
aveva l’età di un centomillesimo di un miliardesimo di miliardesimo
di miliardesimo di secondo (10-32 secondi). Più oltre, le nostre osservazioni sperimentali non vanno; siamo ai limiti della speculazione.
LA RADIAZIONE FOSSILE
Verso la fine degli anni Quaranta, l’astrofisico russo-americano
George Gamow, come abbiamo già ricordato all’inizio di questo
capitolo, dedusse che se l’Universo avesse davvero avuto origine
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dal Big Bang iniziale e se la sua età fosse superiore a 10 miliardi
di anni – come indicava l’età degli oggetti celesti più vecchi che
si conoscevano – con l’espansione si sarebbe dovuto raffreddare fino a una temperatura calcolabile teoricamente. Supponendo
che l’Universo dell’età di pochi secondi avesse una temperatura
di molti miliardi di gradi, Gamow calcolò che la temperatura attuale dovrebbe essere di qualche grado assoluto. La radiazione
corrispondente a questa temperatura, chiamata radiazione fossile,
dovrebbe permeare uniformemente tutto l’Universo.
La previsione teorica di Gamow ha trovato una conferma nel
1965. Due tecnici della Bell Telephone Company, Robert Wilson e
Arno Penzias, cercavano le cause di un disturbo nelle trasmissioni
a microonde, verso e dai satelliti artificiali, rivolgendo la loro antenna a corno, una specie di grande cornetta acustica, in tutte le direzioni. Scoprirono un rumore di fondo, costante, uguale in tutte le
direzioni del cielo. Si resero immediatamente conto che non poteva
essere un disturbo terrestre, ma doveva avere origine nel cosmo.
La storia si ripeteva: nel 1933, dopo anni di esperimenti cominciati nel 1929, Karl Jansky, radioingegnere della Bell Telephone
Company, aveva scoperto che i disturbi alle trasmissioni transoceaniche erano di chiara origine cosmica e che provenivano, più
precisamente, proprio dalla nostra Galassia.
La causa di questo rumore costante rimase però avvolta nel
mistero, fino a che la notizia fu pubblicata sulla rivista «Nature»
e colpì l’attenzione di Robert Dicke e James Peebles, astrofisici
teorici che lavoravano a Princeton; conoscevano la teoria di Gamow e non fu loro difficile collegarla con questo rumore di fondo.
Capirono che effettivamente si era scoperta la radiazione cosmica,
residuo dell’esplosione primeva da cui ha avuto origine l’Universo.
Questa era la più bella riprova che l’Universo è stato effettivamente
originato dal Big Bang e, per quanto i sostenitori della teoria alternativa abbiano tentato d’aggirarla, non è stato possibile spiegare la
radiazione cosmica – o radiazione fossile, come è stata chiamata
– con l’ipotesi dell’Universo stazionario.
Dunque nel 1965 erano due i fatti fondamentali che sostenevano saldamente la teoria del Big Bang, che ormai godeva di molto
credito e vantava moltissimi sostenitori: l’espansione dell’Universo
e la radiazione fossile.
Ricorriamo a una metafora per spiegare il modello di Universo
che si presentava dopo queste scoperte. Possiamo immaginare di
trovarci all’interno di un grande contenitore, un forno per esempio;
all’inizio la temperatura è altissima. Supponiamo poi che le pareti
del forno si dilatino, allora il gas contenuto nel forno va raffreddandosi. Noi siamo immersi in questo forno – l’Universo – che, dopo
un’espansione durata quasi 14 miliardi di anni, ha raggiunto una
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temperatura estremamente bassa, di circa 3 gradi assoluti, che
corrispondono alla radiazione fossile.
Oggi lo studio della radiazione fossile, detta anche radiazione
cosmica di fondo, rappresenta il principale strumento per la conoscenza delle prime fasi evolutive dell’Universo.
Questa radiazione ha le caratteristiche spettrali tipiche dell’emissione termica, che accomuna tutti i corpi caldi, con un andamento dipendente dalla temperatura detto curva planckiana.
Da quest’andamento, che la radiazione di fondo riproduce con
grande precisione, si può ricavare per l’Universo attuale una temperatura di circa 3 kelvin (ovvero -270°C). ••5
TRE SOLIDI PILASTRI
Abbiamo visto fino a questo punto come si sia arrivati a formulare una teoria sulle origini dell’Universo, ma per descriverne in
modo più completo le caratteristiche attuali, avremmo bisogno di
conoscerne anche la densità media, che invece è nota con un
errore notevole. Sappiamo, infatti, che la densità media attuale
è compresa tra 10-29 e 10-31 grammi per centimetro cubo. Sono
valori estremamente bassi, quasi inimmaginabili: 10-29 grammi per
centimetro cubo – cioè il valore estremo più alto – corrispondono a
un centesimo di miliardesimo, di miliardesimo, di miliardesimo di
volte la densità dell’acqua (pari a 1 grammo per centimetro cubo);
nell’altro caso, 10-31 grammi per centimetro cubo, la densità è cento volte più bassa. Il valore intermedio, 10-30 grammi per centimetro cubo, corrisponde a 1 atomo di idrogeno per metro cubo.
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••5 La radiazione di corpo
nero e il fondo cosmico a
microonde.
La temperatura
corrispondente alla
radiazione fossile si calcola
in base alla legge del corpo
nero. Si dice corpo nero un
corpo che ha la proprietà di
assorbire completamente
tutte le radiazioni che
riceve. Un tale corpo emette
a sua volta radiazione,
secondo una legge trovata
da Planck: precisamente
emette radiazione con
lunghezze d’onda comprese
fra zero e infinito, distribuite
su una curva a campana
rovesciata. Il grafico spazia
dalle radioonde ai raggi X,
evidenziando a colori la
luce visibile. Si nota che
le «gobbe» delle curve si
spostano a destra quando
le temperature aumentano,
cioè il massimo è a una
lunghezza d’onda tanto più
breve quanto maggiore è la
temperatura (legge di Wien).
Questo è il motivo per cui
il fuoco è rosso, mentre il
fulmine (molto più caldo)
è violetto. In altre parole, il
prodotto della temperatura T
per la lunghezza d’onda L è
costante (LT = costante).
Si vede ancora nel grafico
che le curve sono più alte,
quando si riferiscono alle
temperature maggiori.
Ciò significa che a ogni
lunghezza d’onda, l’intensità
della radiazione è tanto
maggiore quanto maggiore è
la temperatura.
La radiazione fossile (fondo
cosmico a microonde),
entro i limiti degli errori
delle nostre osservazioni
più raffinate, coincide
esattamente con la curva
di un corpo nero alla
temperatura di 2,735 K.
(curva rossa).
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Conosciamo, dunque, la temperatura e solo approssimativamente la densità dell’Universo. Le relazioni tra densità, volume e
temperatura nei gas ci dicono che sia densità sia temperatura crescono con il diminuire del volume. Se approssimiamo l’Universo a
una grande sfera di raggio R, la densità cresce in modo inversamente proporzionale al cubo del raggio (dato che il volume della
sfera è 4/3πR3). La temperatura, invece, cresce semplicemente in
modo inversamente proporzionale al raggio.
Questo si può capire tenendo presente che la temperatura della
radiazione corrisponde alla sua energia e che l’energia dei fotoni,
cioè delle unità elementari di radiazione, è tanto maggiore quanto
più piccola è la lunghezza d’onda. Una radiazione con una lunghezza d’onda corta (ad esempio i raggi X) è più energetica di
una radiazione con lunghezza d’onda maggiore (ad esempio luce
visibile). Poiché la lunghezza d’onda, come tutte le lunghezze, aumenta con l’espansione, l’energia dei fotoni e quindi la temperatura T diminuiscono al crescere del raggio R.
Da queste due relazioni, tra densità e volume e fra temperatura e volume, si può calcolare (dai valori attuali di temperatura e
densità) quelli che dovevano essere i valori della temperatura e
della densità dell’Universo in qualsiasi epoca passata. Si possono
allora ripercorrere le tappe fondamentali della storia dell’Universo
e confrontare i dati osservativi con le previsioni del modello del Big
Bang per avere così una conferma della teoria.
Tra i 3 e i 5 minuti circa dopo il Big Bang, si calcola che la temperatura doveva essere dell’ordine di 1 miliardo di gradi e la densità
compresa fra un decimo e dieci volte la densità dell’acqua. In queste condizioni, i nuclei di idrogeno (protoni) potevano combinarsi
per dar luogo alla formazione di deuterio, cioè di idrogeno pesante,
e di elio. Si può calcolare che in quell’epoca iniziale si sia formato
un nucleo di deuterio ogni 100.000 nuclei d’idrogeno e una certa
quantità di elio corrispondente a circa il 25% della materia contenuta nell’Universo; il rimanente 75% sarebbe stato idrogeno (protoni). Questi sono valori calcolati teoricamente in base al modello
del Big Bang. Prima dei tre minuti, nessun nucleo più pesante
del singolo protone era stabile; dopo cinque minuti dal Big Bang,
l’Universo, espandendo, era diventato troppo freddo e troppo poco
denso perché potessero aver luogo queste e altre reazioni nucleari
più complesse, in grado cioè di formare elementi più pesanti.
Dall’analisi degli spettri delle stelle e delle nebulose interstellari
si può risalire alla loro composizione chimica e, dato che stelle e
nebulose sono le unità di base dove si concentra la materia dell’Universo, calcolare in definitiva quanto idrogeno, elio, deuterio ci
sono nell’Universo. I risultati dicono che c’è un atomo di deuterio
ogni 100.000 atomi di idrogeno e che l’elio rappresenta circa il
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28% della massa dell’Universo. Questi valori vanno perfettamente
d’accordo con le previsioni teoriche. Per quanto riguarda l’elio,
quel 3% di elio in più rispetto al 25% che si sarebbe formato fra 3
e 5 minuti dopo il Big Bang corrisponde, infatti, all’elio sintetizzato, come abbiamo visto nel capitolo quarto, all’interno delle stelle
durante la loro evoluzione. È stato calcolato che in tutta la vita della
Galassia la quantità di elio che può essersi formata all’interno delle
stelle ammonta proprio al 2 o 3% della massa della Galassia. Così
i conti tornano perfettamente.
Il modello del Big Bang, inoltre, rende conto anche della formazione del deuterio, altrimenti inspiegabile. Il deuterio, infatti, non
può essersi formato nell’interno delle stelle, perché è abbastanza
instabile e viene distrutto a temperature di appena mezzo milione
di gradi, cioè a temperature molto inferiori a quelle tipiche dell’interno delle stelle (decine o centinaia di milioni di gradi). In natura,
però, il deuterio esiste; si tratta allora di capire da dove trae origine.
La soluzione la fornisce il Big Bang: il deuterio si è formato proprio
in quei primi minuti di vita dell’Universo.
Le abbondanze cosmiche di deuterio e di elio sono dunque una
terza prova, fortissima, in favore dell’ipotesi del Big Bang. Perciò,
allo stato attuale dell’arte, questa teoria poggia su almeno tre solidi pilastri: l’espansione dell’Universo, la scoperta della radiazione
fossile e l’abbondanza cosmica di deuterio e di elio.
L’ETÀ DELL’UNIVERSO
A queste tre prove se ne aggiunge un’altra: l’età dell’Universo.
Calcolare l’età dell’Universo è un problema di non facile soluzione.
Si parte dalla legge di espansione scoperta da Hubble, in cui si
afferma che la velocità di allontanamento delle galassie, v, è proporzionale alla loro distanza, d, secondo una costante, chiamata
appunto costante di Hubble e che si indica con H:
v =Hd
La costante di proporzionalità H è misurata in km/s per megaparsec (ricordiamo che un megaparsec equivale a 3,26 milioni di
anni luce). Consideriamo due galassie qualsiasi separate da una
certa distanza. Le due galassie si allontanano l’una dall’altra a una
certa velocità; è ovvio che nel passato erano più vicine e che nel
futuro la loro distanza aumenterà ancora. Se supponiamo che l’espansione sia sempre stata uguale, conoscendo la velocità e la distanza attuale delle due galassie, è possibile risalire al momento in
cui è iniziata l’espansione. In particolare, svolgendo qualche calcolo, dato che H è una velocità divisa per una lunghezza (H =v/d )
e la velocità è a sua volta una lunghezza divisa per un tempo, ne
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••6 L’Universo osservabile è
una sfera attorno all’osservatore
(sfera di Hubble), circondata
dalla radiazione cosmica
di fondo. Infatti la luce che
raggiunge un osservatore da
grandi distanze arriva dopo un
viaggio che richiede miliardi
di anni; tale viaggio però può
durare al massimo 13,7 miliardi
di anni, pari all’età dell’Universo.
Pertanto la massima distanza
da cui ci arrivano informazioni
risulta pari a 13,7 miliardi di
anni luce in ogni direzione:
questo è il raggio di una
superficie sferica cava, chiamata
orizzonte cosmico perché
limita l’Universo accessibile
attorno all’osservatore, posto
nel centro. La radiazione di
fondo è una luce che proviene
dalle vicinanze dell’orizzonte
cosmico e che si è sprigionata
13,7 miliardi di anni fa,
quando si formavano i primi
atomi e l’Universo era ancora
incandescente. Questa luce
si chiama anche radiazione
fossile poiché ci fa vedere, su
tutta la volta celeste, il cielo
primordiale rovente (fotosfera
primordiale) che circondava
il luogo in cui ora viviamo. La
temperatura era di 3000 K, ma
poi l’Universo si è espanso e
raffreddato di 1000 volte, fino
agli attuali 3 K. La figura mostra
l’Universo osservabile (visto
dall’esterno), pieno di ammassi
di galassie (macchioline
bianche), delimitato dalla
radiazione fossile (in verde), con
la Terra – o meglio l’osservatore
– nel centro. Le macchioline
colorate sono le condensazioni
primordiali (mappate dal satellite
WMAP) che evolveranno in
ammassi, mentre i puntini nella
piccola zona centrale sono le
galassie vicine alla Terra (dal
catalogo CfA). La distribuzione
degli ammassi di galassie è un
disegno, perché non è ancora
nota per intero. (WWW.FERLUGA.NET)
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segue che H è il reciproco di un tempo. L’età dell’Universo è data,
quindi, dall’inverso della costante H.
Per determinare la costante H, bisogna conoscere la velocità
d’espansione e la distanza di molte galassie. La velocità si misura
abbastanza facilmente dai dati spettroscopici, mentre la distanza
è un dato molto più incerto perché basato su dati statistici, come
già ricordato. Così il valore della costante ha subito molti ritocchi.
Attualmente si ritiene che la costante di Hubble sia compresa
tra 50 e 80 km/s per megaparsec. Le prime misure di Hubble
erano però molto diverse. Egli aveva infatti trovato H = 520 km/s
per megaparsec: cioè via via che la distanza aumentava di 1 megaparsec, la velocità cresceva di 520 chilometri al secondo. Facendo l’inverso di questo valore, si trovava che l’età dell’Universo
era di appena 2 miliardi d’anni. Un valore impossibile, dato che la
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geologia ci dice che l’età della Terra è di 4,6 miliardi d’anni e che
il nostro Sistema solare ha circa 5 miliardi d’anni. Quindi com’era
possibile che l’Universo fosse cominciato dopo che si era formato
il Sistema solare?
Le correzioni successive portarono a 200 km/s per megaparsec il
valore della costante di Hubble, di conseguenza l’età dell’Universo
saliva a 5 miliardi di anni, sempre troppo pochi, perché permettono
di spiegare soltanto l’età del Sole e del Sistema solare, mentre la
teoria dell’evoluzione stellare ci mostra con certezza che ci sono
stelle di 10 o addirittura 13 miliardi di anni. Quindi le cose ancora
non quadravano.
Col migliorare dei sistemi di misura delle distanze, oggi siamo
arrivati a stimare il valore della costante di Hubble in circa 70 km/s
per megaparsec: un valore quasi sette volte più piccolo di quello che
aveva stimato Hubble, corrispondente a un’età dell’Universo quasi
sette volte più grande.
La stima attuale dell’età dell’Universo è compresa fra circa 13,6
e 13,7 miliardi di anni, con un margine di incertezza di soli 100
milioni di anni.
Lo studio della cosmologia ci porta inevitabilmente indietro nel
tempo. Le informazioni che ci giungono dagli oggetti celesti sono
trasmesse dalla radiazione elettromagnetica (luce, raggi ultravioletti, onde radio…), che, come abbiamo già avuto modo di vedere,
viaggia nel vuoto con una velocità finita di circa 300.000 chilometri
al secondo, la massima velocità consentita in natura. Questo ci
permette di studiare l’Universo non solo a diverse distanze nello spazio, ma anche a diverse distanze nel tempo. La radiazione
che osservo oggi sulla Terra proveniente da un oggetto posto a
10 miliardi di anni luce si riferisce, infatti, all’oggetto com’era nel
passato, 10 miliardi di anni fa, quando l’Universo era molto più
giovane di oggi. ••6
Quando osservo una galassia a 2 milioni di anni luce, la vedo
com’era 2 milioni di anni fa; la vedo, quindi, in scala astronomica, com’era ieri e non com’è oggi. Per questo, confrontando le
caratteristiche delle galassie vicine e di quelle lontane, possiamo
avere un’idea dell’evoluzione dell’Universo. Si constata che tutte
le galassie a distanze superiori ai 5 miliardi di anni luce hanno un
nocciolo centrale estremamente luminoso rispetto alla parte circostante, una caratteristica che le differenzia da quelle più vicine a
noi, che si trovano entro un raggio di un miliardo di anni luce. La
nostra Galassia, ad esempio, è costituita da una parte centrale più
brillante, circondata da bracci a spirale. La luminosità della parte
centrale corrisponde a meno di un decimo della luminosità di tutta
la Galassia; più o meno questi stessi valori valgono per le galassie
vicine. Le galassie più distanti, oltre i 5 miliardi di anni luce, emet176
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tono anche raggi X, raggi g, onde radio ecc., che testimoniano
un’intensa attività nel loro nucleo, attività che è evidentemente
molto diminuita nelle fasi successive.
LE FORZE DELL’UNIVERSO
Man mano che ci allontaniamo nello spazio e nel tempo e ci avviciniamo quindi alle origini dell’Universo, ci troviamo di fronte al
coinvolgimento di forze che rivelano il nesso tra cosmologia e fisica
delle particelle, cioè tra la fisica dell’estremamente grande e la fisica dell’estremamente piccolo: scopriamo che, forse, sono proprio
le leggi e le forze che governano i fenomeni subatomici ad aver
delineato la struttura dell’Universo come oggi lo conosciamo e la
strada della sua evoluzione.
Secondo il modello standard della fisica delle particelle, la materia dovrebbe essere costituita da due tipi di particelle, leptoni e
quark, e quattro sono le forze, o interazioni, fondamentali: l’interazione gravitazionale, l’interazione elettromagnetica, l’interazione
debole e l’interazione forte. Ognuna di queste ha delle caratteristiche proprie e un suo campo di azione. Abbiamo già citato l’azione
di queste forze nelle pagine passate, ora cercheremo di approfondirne brevemente le caratteristiche più importanti.
• La gravità fa sì che i corpi si attraggano a vicenda con un’intensità tanto maggiore quanto più grande è la loro massa e quanto
più piccola è la distanza che li separa. Costante caratteristica è la
costante di gravitazione universale (G=6,6720 10-11 Nm2kg-2): tra
le quattro interazioni fondamentali è la più debole, ma è quella con
il raggio di azione più grande e quindi domina a grandi distanze.
Sistemi solari, ammassi di stelle, galassie, ammassi di galassie…
sono tenuti insieme dalla gravità. La prima teoria della gravitazione
è stata formulata da Isaac Newton nel XVII secolo. Albert Einstein
nel 1916 interpretò la gravità come una curvatura dello spaziotempo, che sarebbe deformato dalla materia: più una massa è
grande maggiore è la deformazione, analogamente a quanto farebbe una pallina su un telo di gomma.
• La forza elettromagnetica agisce tra corpi elettricamente carichi
e può essere attrattiva (tra cariche di segno opposto) o repulsiva
(tra cariche dello stesso segno). L’unità fondamentale è la carica
elettrica corrispondente alla carica dell’elettrone (e=1,602218892
10-19 coulomb), mentre non esiste una carica magnetica. La particella portatrice della forza elettromagnetica è il fotone. L’interazione elettromagnetica tiene insieme atomi e molecole (formati da
cariche positive e negative) ed è molto più intensa della gravità,
pur avendo una portata d’azione molto minore, entro un raggio
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dell’ordine delle dimensioni delle molecole. James Clerk Maxwell
nel XIX secolo ordinò le conoscenze sui fenomeni elettrici e magnetici in un sistema di equazioni differenziali che li unificava
nell’elettromagnetismo e concluse che anche la luce è un fenomeno elettromagnetico prodotto dalle oscillazioni trasversali dello
stesso mezzo che causa i fenomeni elettrici e magnetici. All’interno di questo sistema, tutte le onde elettromagnetiche, compresa
la luce, differiscono fra loro unicamente per la frequenza delle
oscillazioni.
• La forza nucleare forte tiene insieme nei nuclei atomici i protoni, che la forza elettromagnetica tenderebbe a separare dato che
sono elettricamente positivi. Questa interazione forte è molto più
intensa di quella elettromagnetica, ma ha un raggio d’azione minore, che non supera le dimensioni del nucleo atomico (circa un
centomillesimo del raggio atomico) e quindi è dominante all’interno del nucleo. Il problema di capire quale forza tenesse insieme i
protoni nei nuclei degli atomi più pesanti dell’idrogeno (che ne ha
solo uno), fu risolto grazie alla scoperta della forza nucleare forte,
che viene «guidata» dai gluoni che assolvono il compito di collante
fra queste particelle atomiche dello stesso segno (in inglese glue
vuol dire «colla»).
• La forza debole è responsabile del cosiddetto decadimento
beta, quel processo per cui un nucleo emette spontaneamente
un elettrone o un positrone (elettrone positivo). In pratica regola
la trasmutazione di un elemento in un altro, che avviene quando
un nucleo emette un elettrone o un positrone, e si trasforma in un
elemento con un valore di carica successivo o precedente nella
scala atomica.
Una domanda che si pongono i cosmologi è come mai nell’Universo ci siano quattro forze. Perché questa complicazione quando,
per esempio, già nel secolo scorso, Maxwell si accorse che elettricità e magnetismo erano due aspetti della stessa forza, l’elettromagnetismo? Non può darsi che nell’Universo primordiale, che
si suppone estremamente più semplice (non c’erano stelle, né
galassie, né particelle di vari tipi), ci fossero semplicemente fotoni, elettroni e quark, cioè la forma più elementare delle particelle
che si conosca oggi? Perché allora quattro forze, se nell’Universo
primordiale c’era una semplicità tale per cui sarebbe bastata una
sola forza unificata?
È un dato sperimentale che l’elettromagnetismo aumenta con
la temperatura, mentre l’interazione debole diminuisce. È possibile dunque che a una certa temperatura le due forze vengano
a coincidere. Partendo da questa idea, Abdus Salam e Steven
Weinberg hanno dimostrato teoricamente che quando l’Universo
era abbastanza giovane e caldo da avere una temperatura di un
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CAPITOLO 5
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••7 Le quattro forze
fondamentali della
Natura sono la forza
elettromagnetica, la
forza nucleare debole, la
forza nucleare forte e la
forza gravitazionale. Alle
energie (temperature)
molto elevate, ovvero
nelle prime fasi di vita
dell’Universo, le forze
si unificano. Si sa che
l’elettromagnetismo e la
forza debole si combinano
nella forza unificata
elettrodebole. Si suppone
poi che quest’ultima forza
possa unificarsi alla forza
nucleare forte nella Teoria
Grande Unificata (GUT),
che prevede l’inflazione
cosmica. Infine con la
teoria della Super Gravità
(SG) si dovrebbe unificare
anche la gravitazione, nelle
prime fasi del Big Bang.
milione di miliardi (1015) di gradi, l’elettromagnetismo e l’interazione debole dovevano essere due aspetti di un’unica forza. Questa
previsione teorica fatta negli anni Sessanta è stata verificata sperimentalmente da Carlo Rubbia, al CERN, nel 1983. Quindi l’idea
che effettivamente, andando a temperature sempre più alte, si
debba avere un’unificazione delle forze fondamentali, trovava un
sostegno molto forte. ••7
La temperatura necessaria per unificare l’elettromagnetismo
e l’interazione debole di un milione di miliardi (1015) di gradi si
raggiunge quando l’età dell’Universo è appunto un millesimo di
miliardesimo (10-12) di secondo. Ecco perché siamo in grado di
risalire alle condizioni fisiche dell’Universo fino all’età di un millesimo di miliardesimo di secondo. Oltre questo limite possiamo
solo immaginare che a temperature ancora più alte anche l’interazione debole, l’elettromagnetismo e l’interazione forte siano diventate un’unica forza. Si suppone cioè che queste siano tre diversi
aspetti d’una stessa forza, che si unifichino a una temperatura che
si stima di 10 miliardi di miliardi di miliardi (1028) di gradi, quando l’età dell’Universo era di un centomillesimo di miliardesimo di
miliardesimo di miliardesimo (10-32) di secondo. La verifica di tali
supposizioni non è certo alla portata degli strumenti attuali, e forse
non lo sarà mai.
Nulla ci impedisce però di andare ancora indietro con la fantasia.
Si può pensare che a temperature ancora più elevate e a densità
ancora più alte, anche la gravitazione si unifichi con le altre tre forze: si arriva allora a un Universo iniziale (10-43 sec) estremamente
semplice costituito da un’unica forza fondamentale, fotoni e quark.
Per ora queste idee rimangono confinate nel regno della speculazione. Non sappiamo nemmeno se le nostre leggi fisiche si possano
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estrapolare ed estendere a condizioni così estreme come quelle
iniziali, a una temperatura e una densità praticamente infinite.
Certamente i fenomeni previsti dalla fisica quantistica dovrebbero essere dominanti. Concetti come le fluttuazioni quantistiche
e l’indeterminazione spazio-temporale si usano in alcune teorie
per descrivere lo stesso Big Bang. In tempi immediatamente successivi, avrebbe poi avuto luogo l’inflazione cosmica, una rapidissima dilatazione iniziale da cui sarebbe poi partita l’espansione
dell’Universo.
TUTTO DISCENDE DA UN CASUALE ECCESSO DI PARTICELLE
Dunque, una volta ammessa come verosimile l’ipotesi della «palla
di fuoco», gli scienziati, anche se non tutti, affermano come la
Bibbia che la creazione fu essenzialmente un’esplosione di luce,
un erompere di fotoni.
Dopo un millesimo di secondo, la temperatura era un milione
di miliardi di gradi Kelvin e i fotoni presero a collidere e a produrre coppie di particelle-antiparticelle. Poi, dopo un centesimo di
secondo, materia e antimateria si annichilirono a vicenda dando
luogo a una nuova generazione di fotoni. Rimaneva solo un piccolo casuale eccesso di particelle rispetto alle antiparticelle, forse
dovuto al fatto che esiste una particella instabile, il kaone, la cui
vita media è un cento milionesimo di secondo, appena più lunga
di quella dell’antikaone. Così tutte le coppie di particelle-antiparticelle si sarebbero annichilite liberando un’enorme quantità di
energia, che si ritiene abbia causato l’espansione dello spazio,
e quindi la nascita di un Universo da quel minimo residuo di
materia.
Dopo 3 minuti, a causa dell’espansione, la temperatura era scesa a un miliardo di gradi consentendo la formazione di protoni e
neutroni, ciascuno composto da tre quark, che prima, con una
temperatura e quindi una velocità d’agitazione termica più alta, si
sarebbero frantumati a causa degli urti. L’Universo era una zuppa
di particelle veramente elementari, come neutrini, quark, elettroni.
Protoni e neutroni danno luogo alle prime reazioni nucleari formando deuterio e i due isotopi dell’elio. Soltanto il 25% di tutta
la massa della materia fece in tempo a trasformarsi in elio, prima
che il progressivo raffreddamento dello spazio ne interrompesse
la produzione. La maggior parte della materia restante era costituita da idrogeno e da un nucleo di deuterio ogni centomila di
idrogeno. Dopo circa 8 minuti la temperatura era scesa troppo per
permettere altre reazioni nucleari. L’Universo era a quel punto un
miscuglio di protoni, nuclei di deuterio, elio 3 (l’isotopo meno ab180
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bondante) ed elio 4, elettroni, neutrini e forse molte altre particelle
sconosciute.
Un altro stadio importante si verificò a circa 400.000 anni dall’istante del Big Bang quando la temperatura era scesa fino a 3000
gradi K e l’Universo era diventato trasparente. In precedenza l’Universo rovente era opaco, pervaso da una incandescenza diffusa,
un po’ come accade al vetro uscito dalla fornace che all’inizio è
luminoso e opaco e poi raffreddandosi diventa trasparente. Infatti,
il moto degli elettroni liberi si era così rallentato che ormai non ne
rimaneva quasi più nessuno. Tutti erano stati catturati dai nuclei,
e in tali condizioni non potevano più diffondere i fotoni e generare
opacità. Poiché il gas, da plasma formato da protoni ed elettroni
liberi, si era trasformato in gas neutro trasparente composto di
normali atomi, i fotoni da quel momento potranno viaggiare liberamente per miliardi di anni fino ad oggi. Questi fotoni formano la
radiazione fossile e ci mostrano l’Universo com’era quando essi
partirono quasi 14 miliardi di anni fa, un’epoca in cui ancora non
c’erano né le stelle né le galassie.
È così che ebbe origine la radiazione cosmica di fondo, che
proviene da enormi distanze e da tutte le direzioni del cielo. Essa
testimonia le condizioni dell’Universo primordiale, «fossilizzate»
per sempre sulla volta celeste. La visione del gas incandescente
a 3000 K, che all’epoca permeava tutto lo spazio intorno, è però
(fortunatamente) sbiadita per effetto dell’espansione dell’Universo
che nel frattempo si è dilatato di ben 1000 volte. La radiazione
si è dunque diluita e raffreddata di 1000 volte, trasformandosi in
un tenue fondo cosmico di microonde a 3 K, che oggi possiamo
cartografare e anche riprodurre in alcune figure di questo libro.
La radiazione cosmica di fondo è altamente omogenea, con
leggerissime oscillazioni di poche parti per milione, che hanno
l’aspetto di macchioline chiare e scure che punteggiano il cielo a microonde. Ma è proprio da queste minime perturbazioni di
densità, che la gravitazione universale inizierà il suo lavoro di condensazione progressiva di tutte le strutture cosmiche: ammassi,
galassie e stelle. ••8
Passati 100 milioni d’anni l’espansione aveva ridotto la densità
di questo Universo gassoso a circa 10 mila volte il valore presente: è l’epoca considerata la più favorevole alla formazione delle galassie. Enormi nuvole di materia contenenti l’equivalente di
quasi un trilione di stelle come il Sole riuscirono a vincere le forze
che tendevano a disperderle. Erano le protogalassie. La nascita
delle galassie, della quale a questo punto dovremo occuparci, è
un problema molto più controverso e difficile che raccontare ciò
che avvenne subito dopo il Big Bang: nacquero da fluttuazioni
di densità nel gas, oppure da moti turbolenti? C’è chi dice che le
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protogalassie erano ancora allo stato gassoso quando presero a
collassare, e c’è invece chi pensa che le stelle nacquero prima di
questo collasso.
Più genericamente, si crede che una protogalassia diventi una
galassia quando un’apprezzabile frazione del suo gas si è trasformato in stelle. Le più distanti galassie, viste come erano 3,5 e più
miliardi di anni fa, non appaiono molto diverse da quelle vicine,
sebbene l’aspetto e l’energia di quella specie di galassie molto
compatte che sono le quasar (chiamate anche QSO, dall’inglese quasi stellar object ) faccia ritenere che possano rappresentare
uno stadio primitivo della formazione di una galassia. In altre parole, e nonostante si parli spesso di galassie giovani o nasciture,
non conosciamo nessuna galassia vicina che senza discussioni si
possa riconoscere come un oggetto giovane. Al contrario, l’opinione comune è che tutte le galassie abbiano all’incirca la stessa età
e siano nate nel primo miliardo d’anni dopo la grande esplosione.
Infatti, la galassia più lontana che è stata osservata col telescopio
spaziale Hubble (HST) è a 13 miliardi di anni luce, il che significa
che noi la vediamo com’era 13 miliardi di anni fa. D’altra parte
dato che, come abbiamo visto, il tempo trascorso dal Big Bang a
oggi è stimato fra 13,6 e 13,7 miliardi di anni, quella galassia era
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••8 L’evoluzione
dell’Universo. La
radiazione cosmica di
fondo (in verde) è la
radiazione fossile, a
cui segue la cosiddetta
età oscura, che però
terminerà presto con
l’accensione delle prime
stelle. Poi avrà luogo la
formazione e l’evoluzione
delle galassie, fino ai
giorni nostri. A destra
è raffigurata la sonda
WMAP che ha osservato
la radiazione fossile. (NASA)
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••9 La classificazione
a «diapason» delle
galassie. Le galassie
ellittiche vanno da
E0 a E7 secondo un
grado crescente di
schiacciamento. Poi le
spirali si dividono nelle
due classi S normali e
SB barrate, suddivise a
loro volta nei sottotipi a,
b, c secondo importanza
decrescente del nucleo.
Infine ci sono le galassie
irregolari, classificate
come tipo I, che non sono
riportate sul «diapason»
poiché formano una
classe a se stante. (HST)
già formata appena 600 o 700 milioni di anni dopo il Big Bang. In
conclusione, oggi nascono ancora le stelle, dato che il processo di
formazione dal gas interstellare prosegue nella nostra e nella maggioranza delle altre galassie, il cui numero complessivo sarebbe di
almeno 100 miliardi entro un raggio di 13,7 miliardi di anni luce
(Universo osservabile).
Dalle caratteristiche delle galassie, forma, distribuzione e dimensioni, possiamo dedurre alcune informazioni sulla loro probabile evoluzione. In genere, le galassie sono distribuite in ammassi
(ciascuno dei quali può contenerne da poche decine, a decine
di migliaia) sparsi uniformemente nell’Universo visibile, sebbene
qualche astronomo sostenga che esista una certa asimmetria fra
un emisfero del cielo e l’altro: il che significherebbe che l’espansione non è stata uniforme. Lo schema più noto di classificazione
delle galassie secondo la loro forma è quello di Edwin Hubble,
che le distinse in 4 gruppi fondamentali: galassie spirali normali (che posseggono un nucleo centrale da cui si dipartono dei
bracci spirali più o meno aperti), galassie spirali barrate (con un
nucleo attraversato da una larga sbarra di gas e polveri), galassie
ellittiche (senza bracci e più o meno schiacciate in accordo alla
velocità di rotazione) e galassie irregolari (che appaiono come
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un semplice ammasso di stelle, polveri e gas senza una forma
riconoscibile). ••9
Riguardo alle dimensioni si va da galassie molto più grandi
della nostra Via Lattea, a galassie ultranane. Ma le loro differenze
non finiscono qui, perché abbiamo galassie che sono potentissime radiosorgenti ed emettono enormi quantità di raggi X e raggi
cosmici, e galassie relativamente calme. Alcune interagiscono
e perfino inghiottono altre galassie, gettano ponti di materia fra
loro, si suddividono, si deformano. Perciò si potrebbe affermare
che le galassie non sono semplicemente degli immensi assembramenti di stelle, ma dei sistemi dinamici, quasi degli organismi
cosmici dove, per riprendere l’immagine abbastanza azzeccata
di François de Closets, le stelle sono un po’ come le cellule di un
organismo vivente.
Come evolvano le galassie non lo sappiamo. Quasi un secolo
fa si pensava che da una protogalassia nascessero stelle in gran
numero formando una galassia irregolare, che poi schiacciandosi
sul piano equatoriale, forse sotto il controllo dei campi magnetici,
sviluppava bracci spirali aperti. Qui vi si concentravano le polveri e
i gas, e qui seguitavano a nascere le stelle, fino a esaurimento del
materiale. Poi le nascite diminuivano, il numero delle stelle vecchie aumentava, i bracci spirali si serravano sempre più intorno al
nucleo galattico, e infine la galassia diventava ellittica.
Oggi si crede che le cose siano molto più complesse, e che l’evolversi di una galassia in ellittica o spirale dipenda da vari fattori,
quale la massa iniziale, la velocità di rotazione e la turbolenza
dei gas, l’intensità del campo magnetico. Non si ritiene più che
una galassia debba necessariamente attraversare tutte le forme
da irregolare a ellittica, perché le irregolari hanno sempre masse
da 10.000 a 1000 volte più piccole delle ellittiche giganti e delle
spirali. Inoltre, sappiamo che violente esplosioni si verificano nei
nuclei galattici come in M 82 e tante altre galassie compresa la
nostra.
Che relazione c’è, inoltre, fra una galassia normale e una radiogalassia? Si suppone che l’origine di tutte le radiogalassie sia
la medesima: una tremenda esplosione nel nucleo. E che relazione c’è con i quasar ? Saperlo significherebbe anche aver risolto
il problema della natura stessa dei quasar, che sono tuttora un
grosso mistero astronomico, da quando nel 1960 venne scoperto
il primo dagli americani T. Matthews e A. Sandage. Essi identificarono una stella che coincideva con la radiosorgente numero
48 del 3° Catalogo di Cambridge delle radiosorgenti, con uno
spettro incomprensibile. In seguito si trovarono altri oggetti simili,
e fu soltanto nel 1963 che Maartin Schmidt si accorse che la peculiarità di tali spettri era dovuta al fatto che le righe di emissione
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••10 Il Quasar 3C273.
Nella foto a sinistra, è
evidente la presenza di
un sottile getto distaccato,
che fuoriesce da una
luminosissima sorgente di
tipo quasi stellare.
Nel dettaglio a destra, è
stato usato il coronografo
del Telescopio Spaziale
per coprire (macchia
scura) l’accecante punto
centrale, rivelando così
la galassia di cui fa parte.
Il Quasar è infatti un
nucleo galattico attivo,
contenente un buco
nero che emette enormi
quantità di energia. In
basso a destra si scorge
anche una piccola parte
del getto, che emana luce
azzurra di sincrotrone,
irraggiata dalle particelle
energetiche
di cui è composto.
(NASA, ESA, HST, A.MARTEL)
erano spostate enormemente rispetto alla loro posizione usuale,
indicando che si allontanavano da noi come fossero galassie e
non stelle. Fu per questo motivo che l’americano Hong-yee Chiù
nel 1964 ebbe l’idea di battezzarli quasar. Ciò che non si è riusciti a spiegare è come sia possibile che oggetti tanto piccoli emettano tanta energia da diventare visibili fino ai limiti dell’Universo
osservabile. In termini quantitativi, un quasar tipico emette energia come cento galassie; o, più precisamente, da un volume che
è un milione di miliardi di volte più piccolo della nostra Galassia
viene emessa una luminosità cento volte maggiore di quella di
tutta la Via Lattea.
L’ipotesi più probabile, largamente accettata, è che al centro del
quasar si trovi un buco nero. I quasar sono l’esempio più estremo
di tutta una classe di galassie indicata con l’acronimo AGN (Active
Galactic Nuclei) dal cui centro vengono emesse radiazioni elettromagnetiche straordinariamente intense, dai raggi gamma e X alle
onde radio. ••10
Il buco nero con masse pari a milioni e anche a miliardi di masse solari attrae la materia circostante, la quale spiralando attorno
al buco nero a velocità crescente verso l’interno si riscalda fino
a temperature di milioni di gradi e forma un disco detto disco di
accrescimento.
A volte dai dischi di accrescimento vengono emessi dei getti di
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materia che si estendono in direzione perpendicolare al disco per
milioni di anni luce, dimensioni ben superiori a quelle della galassia. Non si sa bene come siano prodotti. Si pensa che le linee del
campo magnetico incanalino particelle cariche del disco e le accelerino fino a velocità prossime a quella della luce. Queste, muovendosi nel campo magnetico producono la cosiddetta radiazione
sincrotrone.
Tutte queste sono ipotesi che attendono conferme sperimentali. Ma del resto, quando si ha a che fare con l’Universo quello
che sappiamo, parafrasando Newton, è una goccia in un oceano
di cose sconosciute. Ai misteri insoluti dedichiamo quindi l’ultimo capitolo, un breve affaccio sull’abisso di quello che resta da
scoprire. ••11
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••11 Il Campo UltraProfondo. Questa visione è
un panorama dell’abisso in
cui ci troviamo. Scrutando in
profondità (qui verso l’Orsa
Maggiore), il Telescopio
Spaziale rivela migliaia
di galassie a distanze di
miliardi di anni luce. Tutti gli
oggetti visibili nell’immagine
sono galassie, eccetto
alcune stelle riconoscibili
dall’aspetto a forma di croce
(effetto ottico causato dalla
luminosità). (HST)
CAPITOLO 5
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