Istituto MEME: Una ninna nanna per... Educazione musicale all`asilo

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Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
“UNA NINNA NANNA PER…”
EDUCAZIONE MUSICALE ALL’ASILO NIDIO E ALLA SCUOLA D’INFANZIA
Scuola di Specializzazione: Musicoterapia
Relatore: Dott.ssa Roberta Frison
Contesto di Project Work: Asilo Nido e Scuola d’Infanzia
Tesista specializzando: Dott.ssa Laura Spinazzè
Anno di corso: Secondo
Modena, 31 maggio 2008
Anno accademico 2007-2008
ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES
LAURA SPINAZZÈ - SST IN MUSICOTERAPIA – SECONDO ANNO A.A 2007/2008
Indice dei contenuti
1. Introduzione ……………………………………………………………………….….. 3
2. Il bambino e la musica ………………………………...……………………................ 5
2.1 Lo sviluppo della musicalità nei bambini da 0 a 3 anni ………………...……. 5
2.2 L’impatto della musica fino a 3 anni ………………..................................…. 10
3. Gli studi sullo sviluppo musicale del bambino da 0 a 3 anni …………...…..……. 14
3.1 L’inizio della comunicazione ………………................................................... 17
3.2 L’uso degli strumenti e del movimento corporeo ……………...……………. 24
4. Propedeutica musicale ……………………................................................................. 31
4.1 Metodi di educazione musicale per l’asilo nido ………..…………..……….. 32
4.1.1 Il metodo Delalande ……………………………...….…………….. 32
4.1.2 Il metodo Gordon ……………………………...…. ...…………….. 43
4.1.3 L’apprendimento musicale del bambino secondo la Music Learning
Theory ……………………............................................................... 45
5. La ninna nanna e il valore della voce ……………………...……...………………... 48
5.1 Origine e trasmissione delle ninne nanne: le circostanze della
produzione e il legame con la musica ………………………...….…….…… 49
5.2 Una melodia particolarmente adatta alla formazione …………………….…. 52
6. Materiali e metodi ……………………………...…………….………………..……. 54
6.1 Scuola materna di Lutrano (TV) ……………………..…………………........ 54
6.2 Scuola d’Infanzia “Il Giardino” …………………………………...………… 62
6.2.1 Gruppo Elefantini e Leoncini (2 e 3 anni) …………………….…... 65
6.2.2 Gruppo Tigrotti (5 anni) ……………………………………….….. 71
6.2.3 Giochi musicali proposti ……………………………………........... 90
7. Risultati e discussione …………………………...…………………………….......... 93
8. Conclusioni ………………………………………………………………..…………. 96
9. Bibliografia …………………………………………....………………………..……. 98
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1 Introduzione
Se qualcuno mi chiedesse “che titolo daresti a quest’anno scolastico?” sicuramente
la mia risposta sarebbe “L’anno della ninna nanna”!
Qualche settimana fa sono rimasta incantata ad ascoltare, ben nascosta dietro la
porta, mio figlio Alberto di 3 anni cantare la ninna nanna al fratellino Enrico di 10 mesi
“Fai la ninna, fai la nanna, Ico Ico della mamma”: un motivetto che ha imparato da un
cartone animato “A nanna con l’orso Bear” e che lui ha personalizzato sostituendo alla
parola “frugoletto” della canzone originale il nome del fratellino.
Questo è solo uno, il più intimo, dei piccoli fatti che quest’anno mi hanno portata a
riflettere sul valore della ninna nanna.
Da alcuni anni tengo il corso di psicologia presso le Università degli Adulti e degli
Anziani di Conegliano e comuni limitrofi nella provincia di Treviso. Alcuni mesi fa mi è
stato chiesto di presentare, in qualità di psicologa dell’età evolutiva, un libro di
filastrocche e ninne nanne popolari scritto da un corsista, argomentando l’importanza del
canto della ninna nanna per lo sviluppo psicologico del bambino. Dalla lettura di questo
libro “Fa la nanna bambin” è nata la mia riflessione e approfondimento sul significato
della voce e il canto materni e sul ruolo del canto nella relazione madre-bambino durante
il periodo della gravidanza e nei primi anni di vita.
L’interesse per la “ninna nanna” si è concretizzato inoltre nella realizzazione di
una recita natalizia dal titolo “Una ninna nanna per Gesù Bambino” con i bambini della
scuola materna di Lutrano.
Ma la “ninna nanna” mi ha portato ancora oltre…
Nella città di Conegliano e dintorni non esiste un “pensiero musicale” rivolto ai
bambini di età prescolare. Il percorso di formazione musicale inizia alla scuola elementare,
dove è previsto il corso di Educazione Musicale. Esistono dei corsi di preparazione al
parto gestiti dal Consultorio Familiare in cui si fa accenno all’utilizzo della musicoterapia
in gravidanza, ma niente di più. Partendo da queste considerazioni, mi sono proposta di
iniziare un percorso di sensibilizzazione di educatori, personale sanitario, genitori,
insegnanti, della popolazione in generale sull’importanza della musica per lo sviluppo
psicologico del bambino.
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L’anno scorso ho iniziato uno studio e un percorso di formazione specifica in ambito
musicale per la fascia d’età 0-3 anni. In questa tesi presenterò la mia esperienza di
insegnante di educazione musicale nella scuola materna di Lutrano e nel Centro Infanzia
“Il Giardino” di Conegliano.
Già lo scorso anno per i bambini di età prescolare mi sono avvicinata al Metodo
Gordon e alla Music Learning Theory, che è ancora oggetto di studio e approfondimento
personale (non l’ho finora utilizzato), che presenterò nei suoi aspetti principali nei
prossimi capitoli, assieme a una breve rassegna delle ricerche e degli studi sullo sviluppo
musicale del bambino da 0 a 3 anni. Seguirà un capitolo di approfondimento sulla ninna
nanna e poi presenterò il lavoro svolto con i bambini quest’anno da novembre 2007 a
maggio 2008.
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2. Il bambino e la musica
“Immaginate come sarebbe meraviglioso se noi fossimo capaci di mantenere la
prodigiosa abilità del bambino il quale, mentre è intento a vivere gioiosamente, saltando e
giocando, è capace di imparare una lingua con tutte le sue complicazioni grammaticali.
Che meraviglia sarebbe se tutto il sapere entrasse nella nostra mente semplicemente
vivendo, senza richiedere sforzo maggiore di quello che ci costi respirare o nutrirci”.1
[Maria Montessori]
2.1 Lo sviluppo della musicalità nei bambini da 0 a 36 mesi
«Educare i bambini non significa farli uscire dallo stato di vuoto musicale in cui si
suppone essi si trovino, per portarli a un determinato livello di competenza, al
contrario significa sviluppare una attività ludica già presente in loro… riscoprendo il
senso di una reale “non direttività” … esiste in ogni bambino una tendenza e noi in
definitiva la rispettiamo, la rispettiamo e la incoraggiamo.»
Francois Delalande così scriveva nel 1984, e nel suo scritto possiamo
riconoscere il nodo centrale di questa nuova pedagogia della musica dedicata alla
primissima infanzia, che getta le sue radici nella Music Learning Theory di Edwin E.
Gordon, ricercatore statunitense. Abbandonata definitivamente la teoria della “tabula
rasa”, che vedeva il bambino come una scatola vuota da riempire, peraltro con
grande ingerenza delle aspettative degli adulti che si occupavano della sua
educazione, la nuova pedagogia riconosce il neonato come un individuo ricco e
«straordinariamente sofisticato», che possiede in sè fin dalla nascita, tra le altre, una
forte attitudine musicale: se opportunamente sollecitata e stimolata può guidare il
bambino, ogni bambino, verso l’apprendimento del linguaggio musicale; se ignorata
o mal sollecitata tenderà a calare rapidamente. D’altronde è un dato di fatto ormai
consolidato che la finestra di apprendimento più importante è proprio quella che va
1
M. Montessori, La mente del bambino, Milano, Garzanti Elefanti, 2002, 26.
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dalla nascita ai tre anni, finestra a lungo trascurata nella educazione musicale
tradizionale.
Le ricerche condotte nell’ambito dell’apprendimento musicale confluite nella
Music Learning Theory e in nuove correnti della pedagogia musicale per la
primissima infanzia, la cui principale esponente si può riconoscere in Beth M.
Bolton, hanno così evidenziato l’importanza di iniziare il processo di educazione alla
musica fin dai primi mesi di vita, con modalità che rispecchiano il processo di
apprendimento del linguaggio verbale e che vanno a strutturarsi in un vero e proprio
metodo didattico.
L’apprendimento del linguaggio verbale rappresenta a tutt’oggi uno dei
processi più naturali e spontanei per ogni bambino: esposto sin dai primi giorni di
vita a sollecitazioni verbali, immerso in ambienti densi di linguaggio verbale, il
bambino comincia a costruire il proprio vocabolario personale. Un vocabolario tanto
più ampio, quanto più saranno state ampie, varie e corrette le sollecitazioni offerte;
tanto più facile l’apprendimento se alle sollecitazioni sono seguiti forti spazi di
silenzio, che danno la possibilità al bambino di elaborare tutte le informazioni
raccolte. I maggiori artefici di questi stimoli sono nella prima fase della vita, i
genitori e le persone più affettivamente legate al bambino: egli riconosce in mezzo a
molti altri suoni e rumori il suono della lingua madre, così come riconosce la voce
della mamma in mezzo a molte altre voci.
Come in qualsiasi processo di apprendimento risulta fondamentale quanto
naturale una lunga fase iniziale di ascolto: il bambino sta assorbendo le
informazioni, le sta elaborando con l’obiettivo di “uscire allo scoperto” quando si
sentirà pronto a farlo: nessuno quando parla con lui o accanto a lui in maniera anche
sintatticamente complessa o utilizzando vocaboli difficili si aspetta che il bambino
“comprenda concettualmente” o risponda immediatamente allo stimolo, ma piuttosto
si rimane sempre incredibilmente affascinati e sorpresi nel seguire il cammino di
apprendimento linguistico di ogni bambino, cammino che attraversa più fasi: da un
lungo periodo di assorbimento alla lallazione spontanea, dalla scelta di interagire con
semplici parole o contrazioni di esse che focalizzano una intera frase (che spesso
solo le mamme capiscono) alla costruzione di frasi vere e proprie, fino alla capacità
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di esprimere attraverso il linguaggio concetti, idee, bisogni, emozioni, forti
dell’ampiezza del vocabolario che ogni bambino ha costruito dentro di sé.
A questo proposito è bene sottolineare come frequentemente nella consueta
didattica per bambini, laddove i bambini “fanno musica” in gruppi, la tendenza è
sempre stata quella di chiedere a tutto il gruppo di fare qualcosa nello stesso
momento; stiamo ignorando due aspetti fondamentali: la forte differenza di risposta
ad una stessa proposta o sollecitazione da parte di ciascun bambino e le tendenze
personali di ciascun bambino. Se io ti chiedo di fare mi aspetto che tu faccia, ho
creato una aspettativa; se voglio guidare il bambino, che significa accompagnarlo per
mano a scoprire e esprimere le sue tendenze personali musicali, non posso creare
nessuna “mia“ aspettativa, ma semplicemente offrire delle proposte; la risposta di
ciascun bambino mi “insegnerà ad insegnargli”, a capire quale la strada migliore per
facilitare l’apprendimento di un linguaggio.
Nello stesso modo in cui ogni bambino viene linguisticamente esposto a
stimoli differenti, varietà, ripetizione e complessità delle proposte daranno al piccolo
individuo la possibilità di costruire un proprio vocabolario musicale che gli
permetterà di apprendere il linguaggio e utilizzarlo come straordinaria opportunità di
espressione e comunicazione.
Purtroppo nella tradizione culturale del nostro paese il panorama degli stimoli
musicali per bambini risulta assai povero. I repertori a loro dedicati (canzoncine,
filastrocche, ninne nanne…) contengono quasi esclusivamente melodie in modo
maggiore (raramente in minore) e in metro binario: come se agli enormi passi della
ricerca in campo psico-pedagogico non fosse seguito un opportuno aggiornamento
del repertorio musicale dedicato alla prima infanzia. Tutto è ancora basato sull’idea
che le musiche per bambini devono essere semplici. Inoltre la quasi nulla
differenziazione ritmica e tonale fa si che il bambino non riesca a vivere uno dei
passi fondamentali dell’apprendimento: imparare dalle differenze. Tanti più stimoli
diversi avrà l’opportunità di ascoltare e sperimentare tanto più affinerà la sua
capacità discriminatoria, avendo a disposizione la possibilità di mettere in relazione
parametri diversi e così distinguerli con precisione.
La sollecitazione dei bambini con ampia varietà di modi e metri viene
applicata in queste nuove teorie, come accennato prima, attraverso la presentazione
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di “modelli”. Gli insegnanti agiscono come dei “genitori musicali” all’interno delle
classi, cantando, recitando ritmi e muovendosi in modo fluente in un atmosfera di
grande comunicazione. Ai bambini non viene chiesto di fare nulla, ma
semplicemente di “essere” e di “sentire”. Durante gli incontri vengono utilizzate
melodie in vari modi e vari metri regolari e irregolari.
In una prima fase di acculturamento le proposte tonali sono melodie senza
parole, così come le proposte ritmiche sono sequenze recitate con sillabe neutre.
Inizialmente infatti la presenza delle parole distoglie il bambino dall’evento
melodico o ritmico, concentrandolo su quello che è il suo linguaggio più familiare,
quello verbale. Per questo l’applicazione del testo avviene quando il bambino ha già
guadagnato in consapevolezza e in familiarità con le melodie e i ritmi proposti. Di
fondamentale importanza anche la varietà degli stili e la varietà dei timbri vocali;
tutto eseguito con grande espressione: i bambini molto piccoli, non ancora in grado
di comprendere concettualmente il significato di ciò che gli viene detto,
comprendono invece l’intonazione della voce che gli parla, e da quella intonazione
avvertono se il messaggio che gli è rivolto è positivo o negativo.
Alla varietà e complessità delle proposte si affianca “prepotentemente” l’uso
del movimento. La prima vera risposta del bambino alla musica è attraverso il
movimento: è molto frequente nei bambini molto piccoli che per lungo periodo la
loro interazione musicale con gli adulti sia quasi esclusivamente vissuta attraverso il
corpo.
I neonati tendono a fermare completamente l’attività fisica durante le
proposte per poi riprendere vita negli spazi di silenzio che seguono alle attività e
tendono a rispondere al ritmo molto più con movimenti del corpo che con vocalizzi o
lallazioni.
A proposito di movimento Gordon ha reinterpretato e compreso nella M.L.T
la teoria sul movimento messa a punto negli anni ’70 da Rudolf Laban, coreografo e
danzatore, che comprende quattro elementi fondamentali del movimento legati alle
fasi di crescita del bambino: il movimento fluente (caratteristico dei neonati), il peso
(quando il bambino comincia a sedersi o rotolare, quando acquisisce abbastanza
autonomia corporea da cambiare posizione da solo), lo spazio (la capacità di
spostarsi nello spazio che lo circonda), il tempo (raggiunta una sicura autonomia di
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spostamento la capacità di decidere “l’andamento”); la fase finale di acquisizione di
questi 4 elementi porta alla consapevolezza del movimento fluente con pulsazioni:
significa aver compreso cosa divide una pulsazione dall’altra, lo spazio che
intercorre tra le pulsazioni, il vero fluire del tempo.
Ho già accennato precedentemente all’importanza del silenzio come
momento focale di elaborazione e quindi di apprendimento: Gordon sostiene che
proprio in quello spazio di silenzio si attua il processo che va verso la
consapevolezza musicale, definita in lingua originale «audiation». Potremmo
tradurla in italiano come “pensiero musicale” ovvero la capacità del bambino di
sentire dentro di sé il suono anche se non fisicamente presente nell’ambiente. Di
fatto, sempre mantenendosi collegati al linguaggio verbale «il pensiero sta alla
parola come l’audiation sta alla musica» e i bambini devono essere guidati a pensare
musicalmente e ad esprimersi secondo un proprio vocabolario così come vengono
guidati fin dalla nascita a pensare per poi esprimersi verbalmente.
Questo significa dare l’opportunità a ciascun bambino di approdare ad una
istruzione formale musicale (dallo studio di uno strumento a qualunque altra
esperienza che implichi una formalizzazione) già consapevole del significato di
eventi fondamentali melodici e ritmici. D’altronde quando un bambino approda alla
Scuola elementare (quindi all’istruzione scolastica “formale”) già ben conosce il
significato di parole, frasi, periodi che imparerà a leggere e a scrivere.
Durante il percorso che viene definito di «audiation preparatoria», ogni
bambino attraversa più fasi: dall’assorbimento all’interazione casuale e intenzionale;
gli insegnanti si relazionano al bambino prendendo e imitando le sue risposte e
riportandole nel modo e nel metro in cui era stata proposta l’attività (come dare al
bambino che storpia la parola il termine corretto). Questo rinforza molto anche la
sicurezza di ogni bambino che si sente a suo agio nello spazio che gli è riservato in
quella classe, in armonica convivenza con lo spazio di tutti gli altri.
A poco a poco i bambini cominciano a dare risposte corrette musicalmente o
a proporre piccole frasi improvvisate fino al raggiungimento di una buona
coordinazione tra respiro, movimento intonazione e ritmo e danno vita a vere e
proprie conversazioni musicali con gli insegnanti.
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Siamo all’ultima fase dell’audiation preparatoria: Assimilazione. Il bambino
esprime consapevolmente; non sta imitando l’insegnante ma sta esprimendo in
maniera corretta competenze che gli appartengono.
Il raggiungimento di uno stadio di consapevolezza prescinde dall’età
anagrafica del bambino: si parla di età musicale e non di età anagrafica; tanto prima
un neonato sarà stato esposto al fenomeno musicale, tanto prima raggiungerà un
buon grado di consapevolezza musicale.
Di fondamentale importanza risulta in tutto questo la presenza degli adulti
nelle classi (genitori o educatrici negli asili nido), che potenziano e rafforzano i
modelli degli insegnanti, aiutando i bambini a fidarsi di loro.
Ormai da 2 anni ho cominciato a lavorare negli Asili nido, dove questa
esperienza entrata in punta di piedi ha incontrato a poco a poco la fiducia e
l’entusiasmo delle Istituzioni oltre che dei gruppi educativi; proprio nelle classi degli
Asili nido si vivono le esperienze più ricche e si trova la conferma di quanto il
coinvolgimento delle educatrici determini la crescita musicale e globale di tutti i
bambini: spesso attraverso questa esperienza si riescono a trovare le chiavi di
accesso anche ai bambini più problematici.
2.2 L'impatto della musica fino ai 3 anni
Neonati e bambini piccoli rispondono alla musica vocale eseguita dal vivo in
maniere che sono evolutivamente appropriate. Le loro reazioni non sono state ancora
pienamente identificate nella letteratura di ricerca come risposte musicali. Le loro risposte
sono talvolta correlate alla sintassi musicale e dimostrano come i bambini comprendano le
regole della comunicazione interattiva.
Non è insolito che un neonato produca dei vocalizzi dopo aver ascoltato una
melodia. Succede frequentemente che l'altezza di una vocalizzazione sia correlata con la
funzione tonale della melodia. Molti neonati rispondono inizialmente vocalizzando
un'altezza che approssimativamente corrisponde alla dominante, ossia il quinto grado della
scala su cui è basata la melodia. Un numero minore di neonati vocalizza la tonica della
scala come prima risposta musicale.
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Il significato di queste risposte sulla dominante o sulla tonica rimane sconosciuto.
Poiché nella musica occidentale il quinto grado è comune sia alla funzione di tonica che di
dominante, è possibile che il neonato possa percepirlo come l'altezza più importante o più
ripetuta. È possibile che la tonica, spesso il primo e ultimo suono di una melodia, sia il
suono percepito dal neonato come più importante. È anche possibile che i neonati abbiano
la capacità di elaborare, eseguire e comprendere la musica in una modalità simile alla loro
precoce capacità di elaborare il linguaggio. Il cervello di un neonato potrebbe essere
predisposto per la musica (configurato per l'apprendimento musicale), in attesa di
esperienza e interazione per mettere in moto la elaborazione dei dati musicali.
Un neonato ai primi mesi di vita sembra essere inconsapevole dei suoi vocalizzi di
risposta ed è sicuramente inconsapevole dell'altezza dei suoni che produce. La risposta
potrebbe essere determinata dalla capacità della mente del neonato di processare e
analizzare le relazioni fra altezze in una melodia. Non sembra che la risposta venga
pianificata o attentamente eseguita, ma semplicemente rilasciata. Forse questa è la prova
migliore dell'esistenza di una mente musicale attiva nel neonato. È possibile che le
risposte su di un'altezza determinata indichino il potenziale musicale.
Neonati fra i quattro e i sette mesi d'età hanno una buona consapevolezza del fatto
che stanno interagendo musicalmente. Danno l'impressione che stiano conversando, come
se la melodia che hanno appena sentito presentasse il punto di vista di chi canta e loro
volessero ora esprimere le proprie idee. Questo prendere e dare nella conversazione
musicale tra un adulto che canta e un neonato sembra indicare la crescente capacità del
bambino di comprendere la natura della conversazione. Ci sono implicazioni importanti
per l'apprendimento del linguaggio e della musica.
Le risposte intonate dei neonati alle melodie non vengono prodotte in quello che è
generalmente accettato come un bel suono cantato. In realtà le risposte non vengono
cantate affatto, ma hanno più il carattere di commento o dichiarazione. Sembra che il
neonato voglia interagire con chi canta e quindi produce suoni vocali. È l'altezza del suono
ad essere la cosa pi interessante, non la qualità vocale. Le risposte musicali dei neonati
dovrebbero essere esaminate nella stessa maniera delle risposte linguistiche. È questa
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risposta prodotta verosimilmente in relazione alla musica ascoltata che può svelare il
segreto di come i bambini imparino la musica.
Diverse ricerche hanno dimostrato che:
- non c'è alcun modo, tonalità o metro cui i neonati rispondono più che ad altri;
- i neonati rispondono prevalentemente durante i silenzi dopo o durante una
melodia;
- ci sono prove per cui anche i neonati molto piccoli rispondono alla musica
vocale;
- alcuni neonati sembrano capire la natura dell'interazione; questi aspettano che
l'adulto finisca di cantare la melodia e poi cominciano a vocalizzare; sembrano
godere dell'interazione, impegnandosi per periodi estesi in uno scambio dialogico
con l'adulto che canta;
- molti neonati rispondono vocalmente sul quinto o primo grado della scala della
melodia che hanno appena udito;
- alcuni neonati cambiano la propria risposta intonata coordinandola con una
cambio di
altezza assoluta della melodia;
- in molti neonati esposti a musica cantata dal vivo c'è uno sguardo di assorbimento
prolungato e intenso.
Le intuizioni dei grandi pedagoghi, confermate dai risultati della ricerca e
dall’osservazione scientifica, hanno portato ad una nuova visione del bambino in età
neonatale. Non più trattato come creatura avente bisogni esclusivamente fisiologici o
visto come una “tabula rasa”, è oggi finalmente considerato un individuo capace di entrare
in relazione con gli altri fin dalla nascita e di apprendere in autonomia, senza bisogno di
insegnamenti finalizzati al risultato o alla prestazione.
Eppure, questa nuova visione del bambino non può non condurre ad una riflessione
sul modo in cui il mondo degli adulti lo accoglie nella propria cultura e nel proprio
ambiente, fin dai suoi primi giorni di vita.
I luoghi dell’infanzia, infatti, sono spesso caratterizzati da un “tutto pieno” di
suoni, forme e colori che poco spazio lascia all’assorbimento dei linguaggi secondo i
tempi e i bisogni del bambino. Allo stesso tempo, molti, fra gli adulti che si prendono cura
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di lui, tendono ad intrattenerlo senza sosta, dirigendo di continuo la sua attenzione e le sue
azioni, riducendo in tal modo le opportunità di ascolto e di relazione, tanto importanti per
interagire con lui nei suoi “cento linguaggi”2.
D’altronde l’attenzione intensissima che il bambino è in grado di prestare ai diversi
linguaggi che costituiranno il suo patrimonio espressivo, dovrebbe indurci a riflettere su
quanto sia importante per lui ascoltare a lungo, prima di essere spinto a dimostrare “cosa
sa fare”.
L’obiettivo di un’educazione musicale al Nido non deve essere dunque quello di
aggiungere altri stimoli ai tanti già presenti nella vita del bambino di oggi, o di riempire
ulteriormente il suo tempo per distrarlo o intrattenerlo, ma quello, semmai, di promuovere
una relazione adulto-bambino, all’interno della quale l’uno possa rivolgersi all’altro per
comunicare non più solo attraverso le parole e il racconto, ma anche con il canto e
l’ascolto musicale.
2
C. Edwards – L. Gandini – G. Forman, I cento linguaggi dei bambini, Bergamo, Edizioni Junior, 1995, 9.
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3. Gli studi sullo sviluppo musicale del bambino da 0 a 3 anni.
Il problema delle origini dello sviluppo musicale ha sempre esercitato un certo
fascino non solo tra i musicisti, ma soprattutto tra i genitori e gli educatori, i primi ansiosi
(e talvolta speranzosi) circa il futuro dei propri figli, i secondi preoccupati di dover
promuovere qualcosa di misterioso e poco controllabile.
Quando la scienza, e più precisamente la psicologia della musica, cominciò a
occuparsi delle capacità musicali (tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento) e
tentò di "misurarle", anche con l'intenzione di riuscire a "predire" lo sviluppo della
musicalità, si rivolse a bambini in età scolare, anche perché sarebbe stato difficile
sottoporre a test "con carta e penna" bambini d'età inferiore.
Nelle ricerche successive, con l'aiuto di prove di tipo diverso, ci si rivolse a
bambini sempre più piccoli, finché, dopo aver scoperto che l'orecchio comincia a
funzionare nel feto intorno alla ventiquattresima settimana, si passò a studiare gli effetti
dell'ascolto prenatale sullo sviluppo della musicalità, e le prime reazioni del neonato.
Oggi la letteratura sui vari aspetti dello sviluppo musicale è abbondante, ma se
volessimo fornire una rassegna ampia e dettagliata delle ricerche realizzate, non
basterebbe certamente un solo capitolo (rassegne interessanti, anche se non recentissime,
si possono trovare in Hargreaves 1986; Lucchetti 1992). Mi limiterò quindi a una
presentazione sintetica degli studi considerati più importanti, soprattutto in relazione a
quegli aspetti che sono stati particolarmente studiati nella ricerca.
Quando, più di mezzo secolo fa, l'otorinolaringoiatra Alfred Tomatis cominciò a
dire, sulla base dei suoi esperimenti, che l'orecchio iniziava a funzionare già nella vita
prenatale, e quindi che il bambino sentiva ancor prima di nascere, fu preso per ciarlatano e
minacciato di espulsione dall'ordine dei medici (Tomatis 1977). Oggi questa è una
conoscenza ormai acquisita, e le capacità uditive del feto, nonché le sue reazioni motorie
nei confronti sia di stimoli uditivi in generale sia più propriamente di stimoli musicali,
sono convalidate da numerose ricerche scientifiche di cui è possibile trovare interessanti
rassegne (Porzionato 1980; Dumaurier 1982; Shetler 1989; Woodward 1992; Lecanuet
1995).
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Alla luce dei numerosi contributi, è possibile sintetizzare alcuni punti essenziali:
- l'apparato uditivo comincia a funzionare intorno alla 24a settimana in alcuni feti e dopo
la 30a in tutti (v. in particolare Lecanuet 1995);
- il feto reagisce ai suoni dell'ambiente interno (suoni intrauterini di diverso tipo, dal
battito cardiaco della mamma ai fruscii prodotti dai suoi stessi movimenti) e dell'ambiente
esterno (voci, suoni, musica) con variazioni del battito cardiaco (accelerazione /
decelerazione) e con movimenti più o meno bruschi o tranquilli delle palpebre, del capo,
degli arti, del tronco;
- la qualità e quantità delle reazioni dipende dalle qualità sonore dello stimolo, dallo stato
comportamentale del feto (sonno profondo, sonno attivo, veglia tranquilla, veglia attiva) e
forse, nel caso di stimoli musicali, anche dagli effetti della musica sulla madre (ma non è
stato ancora verificato);
- già in epoca fetale è possibile indurre il fenomeno dell'abituazione a determinati stimoli
(per esempio bambini che hanno trascorso il periodo prenatale nei pressi di un aeroporto
non si svegliano né sussultano se decolla un aereo nelle vicinanze), fenomeno che
permette di rilevare le capacità discriminative del feto ed eventuali effetti d'apprendimento
verificabili poi nella fase postnatale. Anche riguardo al comportamento neonatale, le
ricerche sono state più numerose in questi ultimi anni (cfr. Aucher 1987; Woodward 1992;
Papousek H. 1995; Papousek M. 1995; Fassbender 1995; Trehub 2001, 2003) e i risultati
possono essere così sintetizzati:
- il neonato è sensibile agli stimoli sonori e musicali, e lo dimostra con gesti diversi (sbatte
le palpebre, spalanca gli occhi e fissa lo sguardo, gira la testa verso la fonte sonora, smette
di piangere, ecc.);
- manifesta capacità discriminative reagendo in modi diversi al cambiamento di alcune
qualità dello stimolo (intensità, velocità, qualità timbriche, aspetti melodici, ecc.) e
manifesta presto delle preferenze;
- alcuni comportamenti del neonato sembrano evidenziare forme di memoria e
apprendimento nei confronti di esperienze uditive prenatali (preferisce la voce materna, si
calma con il battito cardiaco della madre e con le musiche ascoltate nella fase prenatale,
mostra fenomeni di abituazione a suoni violenti già ascoltati, ecc.).
Riguardo a quest'ultimo punto, cioè la presenza di possibili forme di memoria
prenatale, cito in particolare due ricerche.
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Wilkin (1996) ha invitato un gruppo di gestanti ad ascoltare tutti i giorni, a partire
dalla trentaduesima settimana, quattro frammenti musicali. Sei settimane dopo il parto, ha
osservato le reazioni dei neonati all'ascolto dei suddetti brani e le ha confrontate con
quelle di un ugual numero di neonati che non avevano ascoltato tali musiche. I primi
hanno mostrato più attenzione, ricettività e risposte motorie di quelli del gruppo di
controllo.
Nella ricerca di Woodward (1992), che ha cercato di verificare la me:noria
prenatale controllandone le conseguenze sul ritmo della suzione non nutritiva, un gruppo
di gestanti ha ascoltato due volte al giorno, a partire dalla trentaquattresima settimana, un
brano musicale a scelta tra due proposti dalla ricercatrice.
Tra il 3° e il 5° giorno dopo la nascita, ai bambini sono stati fatti ascoltare il brano
già ascoltato in utero e un brano nuovo, dopo aver dato loro un succhiello in grado di
registrare l'attività di suzione non nutritiva. Dall' analisi dei tracciati è risultato che
l'attività di suzione veniva interrotta per un tempo più lungo durante l'ascolto del brano
conosciuto rispetto al brano nuovo, e questo cambiamento di comportamento, considerato
come una forma di attenzione, è stato interpretato, pur con cautela, come la possibile
manifestazione di un condizionamento dovuto all' ascolto prenatale.
Rifacendoci agli studi di una delle più famose e competenti ricercatrici sul
funzionamento della percezione uditiva nei primi mesi di vita, Sandra Trehub, ne
ricaviamo una serie di interessanti risultati: i bambini nascono con la predisposizione per
la musica e i principi basilari dell' organizzazione percettiva sono già operativi nella
primissima infanzia (Trehub-TrainorUnyk 1993). Sono sensibili, come dimostrato anche
da altri ricercatori, agli elementi propri della musica e in particolare ai cambiamenti di
altezza, tempo, metro, durata, timbro (Trehub 2003); classificano le sequenze musicali
sulla base di proprietà globali e relazionali, anche se la melodia gioca un ruolo
determinante (Trehub-Thorpe-Morrongiello 1987; Trehub-Bull-Thorpe 1984).
Anche Stern trova che i bambini tra gli 8 e gli 11 mesi siano capaci di discriminare
la trasformazione di una melodia se ne viene modificato il profilo melodico o vengono
cambiati alcuni suoni (Stern-Spieker-Mackain 1982).
Similmente, altri ricercatori hanno trovato che la capacità di raggruppare i suoni
compare già verso i 2 mesi (Fassbender 1993), che verso i 4-6 mesi i bambini segmentano
delle unità sia nel parlato che nel canto (Fassbender 1995) e si mostrano sensibili alla
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struttura della frase musicale basata su moduli melodico-ritmici (Krumhansl-]usczyk
1990; ]usczyk-KrumhansI 1993).
3.1 L’inizio della comunicazione
Nei primi mesi di vita i neonati non parlano ancora, ma hanno bisogno, per la
propria salute affettiva e mentale, di ricevere informazioni da e sul mondo, e di
comunicare i propri bisogni e desideri. Dalla nascita in poi, i bambini manifestano il
proprio malessere (più tardi anche il benessere) attraverso reazioni sonore: dopo il pianto e
il grido (nelle loro tre funzioni fondamentali, cioè come segnali di dolore, piacere e fame),
scoprono presto l'esistenza di diversi tipi di suoni (urletti, piagnucolii, gemiti, gorgoglii,
ecc.) e li producono in modo più ricco e più vario (usando anche suoni con vocali e
consonanti) man mano che progrediscono nel padroneggiare la fonazione (anche a causa
della trasformazione della laringe) e nella relazione con il mondo esterno.
Molto presto le manifestazioni sonore del neonato sono sensibili alle conseguenze
che provocano: già verso la fine del primo mese il neonato si aspetta la soddisfazione del
bisogno che ha provocato il suo grido. A volte comincia con un lungo gemito non molto
forte, che sale d'intensità fino a sfociare nel grido, secondo la premura manifestata
abitualmente dalla madre e dagli adulti che si occupano di lui (Wolff 1969).
È vero che i neonati comunicano anche con gli occhi, con un aumento dell'attività
motoria e ben presto anche con le smorfie del viso e il sorriso, ma la comunicazione
sonora è quella più importante e più varia. Sollecitati dal comportamento materno, imitano
le intonazioni vocali in modo sempre più attivo. Attraverso questa interazione con la
madre imparano a riconoscere e a condividere le emozioni e la conoscenza del mondo.
Un posto speciale, secondo la studiosa della nascita del linguaggio, Bénédicte de
Boysson-Bardies, è occupato dallo scambio di vocalizzazioni che avviene intorno ai 3
mesi, e solo per un breve periodo, chiamato turn-talking dove «la madre e il bambino si
rispondono l'un l'altro producendo a turno suoni vocalici. [...] Il bambino comincia quando
l'adulto si ferma e ciò avviene più volte, dando l'impressione di una conversazione»
Boysson-Bardies 1999, p. 76).
Tendenzialmente, il modo di parlare degli adulti con i bambini piccoli è
caratterizzato dal registro alto (suoni acuti e fini), da un profilo melodico accentuato, da
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un'intensità media con sonorità morbide, dalla ripetizione di sillabe e parole, da un
andamento lento, ecc. Questo modo di parlare (chiamato motherese in inglese) suscita uno
speciale interesse nei bambini, con effetti positivi sulla comunicazione interattiva.
Queste caratteristiche prosodiche (frequenza, intensità, ritmo, ecc.), designate
spesso da molti ricercatori come qualità "musicali" o "melodia del linguaggio materno",
sono dunque importanti per i neonati, che le percepiscono molto presto mostrando una
chiara preferenza per il modo di parlare usato dalla madre, in registro alto e con una curva
intonativa accentuata (Fernald 1989, 1992; Papousek M. 1995). Come Fernald stessa
aggiunge, «la prosodia tipica del parlato materno favorisce le funzioni centrali
psicobiologiche che presiedono lo sviluppo della comunicazione nel primo anno di vita»
(1992, p. 270).
Nei primi dialoghi madre-bambino, o protoconversazioni, entrambi cercano di
sincronizzarsi su una pulsazione sottintesa. Questo comportamento è stato studiato da
Malloch (1999-2000), che ha analizzato le caratteristiche temporali e d'altezza nelle
risposte di alcuni neonati a partire dalle 6 settimane di vita) durante attività dialogiche con
la madre. Nei suoi studi sulla comunicazione madre-bambino, Malloch ha evidenziato
l'alto livello d'intesa raggiunto da entrambi come segno di una interazione comunicativa
che è co-operativa eco-dipendente.
I
n questa interazione, secondo Trehub e Nakata (2001-2002), i profili melodici usati
dalle mamme sono diversi per ciascuna di loro e sembrano avere benefici effetti sul
neonato sia come aiuto a riconoscere la propria mamma, sia come rinforzo dei legami
emozionali.
Accanto alle vocalizzazioni di tipo relazionale o "sociale" per Dumaurier le
vocalizzazioni private sono costituite da suoni vocali prodotti dal neonato quando è solo,
sveglio e molto attivo, una forma di esplorazione della propria fonazione, quasi un
esercizio, un piacere sensoriale interno (propriocettivo) causato dal "massaggio" effettuato
dalle onde sonore da lui prodotte; vocalizzazioni che si interrompono se compare un
adulto.
I neonati mostrano dunque abbastanza presto la capacità di produrre suoni, anche
per imitazione, prima di riuscire a produrre delle vere sillabe (confuse a volte con suoni
simili o pseudosillabe), cosa che avviene verso i 6-7 mesi. Contrariamente a quanto
affermato nelle pubblicazioni tradizionali, la vera lallazione compare, secondo studi più
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recenti, verso i 6 mesi (Thurman 1997; Trevarthen 1999-2000) o verso i 7 (BoyssonBardies 1999), quando il tratto vocale è capace di produrre quelle sillabe che sono proprie
della lingua materna, mentre prima, cioè verso i 4 mesi, i bambini cominciano a produrre
con le vocali suoni quasi-consonantici, simili alle sillabe della lingua parlata e perciò
chiamati comunemente lallazione.
La comunicazione interattiva tra mamma e bambino promuove quindi sia le
capacità linguistiche sia la condivisione delle emozioni e dei comportamenti sociali.
Dopo le esperienze con la figlia (Papousek M. - Papousek H. 1981), Mechtild Papousek
(1995) ha studiato le produzioni vocali dei bambini dai 2 ai 15 mesi durante l'interazione
con la madre. Sulla base dei risultati di questa e di altre ricerche, ha successivamente
evidenziato alcuni stadi nella produzione vocale dei bambini dalla semplice produzione di
suoni che avviene nel primo mese di vita i neonati passano a produrre, dal secondo mese
in poi, suoni più articolati e modulati; nello stadio successivo (dai 4 ai 6 mesi circa)
giocano a esplorare la propria voce producendo una serie di suoni prima più ripetitivi, poi
più variati, che portano, verso il primo anno d'età, alle prime parole. In questo percorso si
differenziano presto le tracce della comparsa di due capacità diverse: quella che porta al
linguaggio e al pensiero e quella che porta al canto e alle attività creative, ma anche
imitative, della musica vocale. Entrambe sono fortemente legate alle funzioni affettive
della voce e della comunicazione.
Chiediamoci ora: potrebbe la musica avere delle potenzialità, in ambito musicale,
simili a quelle del linguaggio verbale? Se per imparare bene una lingua è necessario che il
modello linguistico venga presentato nella prima infanzia e in un contesto di
comunicazione interattiva (Boysson-Bardies 1999, p. 94), vale anche per la musica? Che
cosa succede se la mamma canta? Se cerca di avviare un dialogo interattivo cantando,
quando il neonato comincia a "rispondere"? Come sono queste risposte?
La capacità dei bambini di distinguere il linguaggio verbale dal canto e da altri tipi
di suoni compare abbastanza presto, tra il primo o e il quarto mese (Eimas et al., 1971).
L'udito infatti sta funzionando da circa 3-4 mesi prima della nascita.
Si può quindi ipotizzare che il canto materno abbia, ai fini della stimolazione musicale, lo
stesso effetto del loro parlato, e che il bisogno di comunicazione dei bambini sia
ugualmente "saziato" con questo linguaggio, sempre che, attraverso il canto, mamme e
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papà siano interessati a interagire con loro, risvegliarne l'attenzione, calmarli,
condividerne diversi tipi di emozioni, ecc.
Guardando le ricerche svolte in quest'ambito, si può osservare che ben pochi
studiosi si sono chiesti che cosa succeda nel primo anno di vita se la madre canta. Uno dei
primi a occuparsi in modo approfondito della comparsa di manifestazioni "cantate" nei
neonati è stato Moog (1976) che, studiando le produzioni vocali che avvengono fin dai
primi mesi, ha messo in rilievo la presenza progressiva di una certa varietà di suoni
d'altezza diversa. Tali produzioni, verso i 6-7 mesi, sono simili al canto, e compaiono
soprattutto quando l'adulto canta al bambino o gli fa ascoltare della musica; Moog le
chiama " musical babbling" (p. 60) ovvero "lallazioni musicali".
Alcuni studiosi hanno dimostrato la preferenza dei neonati per il canto della madre
diretto a loro rispetto al canto in genere, in quanto più espressivo ed emotivamente più
intenso, e hanno rilevato nei piccoli un'attenzione maggiore (sguardo fisso e riduzione dei
movimenti) se la mamma canta invece di parlare. Sembra dunque che la relazione che la
madre riesce a stabilire con il neonato attraverso il canto sia più intensa e solleciti
maggiormente il livello emozionale e rispetto al parlato (Trehub-Nakata 2001-2002).
Generalmente l'importanza di questa relazione viene colta per intuito dalle madri,
le quali, anche se pensano di non saper cantare bene o di non avere una bella voce, di fatto
cantano alloro bambino per calmarlo, intrattenerlo, farlo ridere e giocare, consapevoli del
peso emozionale che possiede la loro voce nell'esperienza del piccolo (Street 2003).
Le prime vocalizzazioni dei neonati aumentano in varietà e durata se i genitori
continuano a sollecitarli. In uno studio condotto negli Stati Uniti, alla Harvard University,
9 bambini sono stati seguiti dall'età di 1 anno all'età di 7. I ricercatori andavano a casa dei
bambini settimanalmente nei primi due anni, poi ogni due mesi, per osservare e registrare
sia momenti di canto libero, sia la riproduzione di canti memorizzati. I risultati ottenuti
con questi bambini sono stati poi confrontati dai ricercatori con quelli ottenuti con altri 70,
raggruppati per fasce d'età (Davidson 1985; 1994).
Un altro ricercatore statunitense, Tay Dowling, ha studiato le canzoni prodotte da
due bambini nel periodo da l a 6 anni (1984). Un ulteriore contributo in materia, sempre
proveniente dagli Stati Uniti, è quello di Edwin Gordon, che ha formulato una sua teoria
(1990) sulle modalità di apprendimento musicale del bambino a partire dalla nascita.
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Mettendo insieme i risultati di questi studi e ricerche, emerge un quadro molto
interessante e abbastanza convergente sulle prime manifestazioni musicali dei bambini.
Nel periodo da l a 2 anni le produzioni vocali possono cominciare a essere simili a
piccoli canti, poiché le altezze sono chiaramente individuabili (anche se ancora non
appartenenti alla nostra scala) a causa del prolungamento delle vocali, e inoltre compare
una certa regolarità ritmica.
Queste produzioni potrebbero assumere progressivamente. dopo l'età di un anno, la
forma di frasi, poi (verso i 2 anni) di canti di una certa durata: tali canti a volte sono senza
parole e a volte contengono sillabe ripetute che, con il passare dei mesi, lasciano il posto a
vere e proprie parole. Qualche volta nei canti che i bambini producono è possibile
riconoscere qualche frammento di canti a loro familiari, altre volte no: sono questi ultimi i
cosiddetti canti spontanei.
In questo percorso le parole giocano il ruolo fondamentale di supporto alla
struttura ritmico-melodica, e di fatto i bambini riescono a imitare prima le parole, poi il
ritmo e infine le altezze (Moog 1976). Dopo i 2 anni compaiono canti basati sulla
ripetizione di una stessa frase melodica, poi le frasi aumentano progressivamente sia in
varietà sia in numero sia in consistenza (Dowling 1988; 1994).
A conclusione di questi risultati si può dire che già all'età di 2 anni tutti i bambini
che hanno avuto uno sviluppo normale possono cantare.
Secondo i ricercatori prima citati, la produzione dei bambini aumenta in quantità e
in qualità, nel senso che le strutture del nostro sistema musicale cominciano a comparire in
modo più evidente, anche se non sono ancora stabili. Tale comparsa ha permesso ai
ricercatori di studiare in modo più approfondito l'assimilazione del nostro sistema
musicale e lo sviluppo della capacità di "intonare", cioè di riprodurre correttamente la
melodia delle canzoni apprese. È lo studio del canto imitativo.
Osservando nel corso dei mesi e degli anni la riproduzione melodica dei canti
familiari (appresi per imitazione), viene notato che i bambini riproducono correttamente
prima il profilo della melodia (cioè il salire e scendere dei suoni), poi gli intervalli
(cominciando da quello di 3a) tra le note più importanti della melodia e infine i suoni che
stanno alloro interno, avvicinandosi così gradualmente al modello originale (Davidson
1985).
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Dopo i 3 anni le ricerche sono più numerose non solo perché è più facile
raccogliere la necessaria documentazione, ma anche perché molti studiosi ritengono che
solo da quest'età in poi cominci a manifestarsi la capacità di cantare intonato. Dall'analisi
del livello d'intonazione nelle sequenze cantate da bambini dai 3 anni in su, Moog ricava
che il 44% dei bambini di 3 anni produce canti che "somigliano" all' originale, mentre a 4
anni il 38% dei bambini imita correttamente i canti a parte qualche piccolo errore.
Man mano che i bambini si avvicinano ai 5 anni la stabilità tonale delle loro
canzoni aumenta (Dowling 1994), così come l'ampiezza dei intervalli eseguiti
correttamente e la precisione delle singole altezze (Davidson 1985).
Riprendendo i risultati di queste e altre ricerche, Welch (1997) traccia n modello di
sviluppo della capacità di cantare intonato articolato in quattro fasi:
• Prima fase: il centro d'interesse per i bambini è costituito più dalle parole che dalla
melodia e il canto è soprattutto un'esplorazione dell'altezza con intervalli
prevalentemente discendenti;
• Seconda fase: vi è una maggiore consapevolezza della possibilità di controllare
l'altezza, per cui lo schema melodico delle canzoni prodotte dai bambini comincia
ad avere un profilo abbastanza vicino al canto originale;
• Terza fase: il profilo melodico e gli intervalli sono abbastanza corretti anche se
possono esserci degli errori, dovuti a volte al registro (troppo acuto o troppo
grave);
• Quarta fase: non vi sono errori d'altezza significativi purché le canzoni siano
semplici e appartengano alla cultura musicale dei bambini.
Come si può notare Welch non propone delle età di riferimento, perché questo
modello scaturisce da numerosi studi i cui risultati sono stati raggiunti dai bambini a età
diverse, sia perché questo schema vuole suggerire un percorso indipendentemente dall'età
dei bambini, ognuno dei quali ha diritto a crescere secondo i propri ritmi di sviluppo.
ambito di ricerca diversi autori si sono soffermati sullo studio del canto spontaneo,
intendendo con quest'espressione i canti prodotti dai bambini nei momenti liberi,
individuali o collettivi, trascorsi al nido, alla scuola dell'infanzia o in famiglia.
Nella produzione spontanea i ricercatori hanno trovato una grande varietà di esempi,
dalle vocalizzazioni senza parole a frasi inventate per commentare giochi individuali o
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collettivi, dalla riproduzione o rielaborazione di canti familiari all'invenzione di veri e
propri canti.
Lucchetti, nella sua classificazione (1987), definisce queste produzioni "originali",
cioè inventate dai bambini. Tutti gli autori sono concordi nell'affermare che nel canto
spontaneo vi siano almeno due tipi di produzioni cantate: quelle più socializzanti, che i
bambini inventano in situazioni collettive (per giocare, prendersi in giro, chiamarsi) e
quelle più personali, che i bambini inventano quando sono da soli o si isolano e non
cantano per gli altri ma per sé stessi. Ciò non significa necessariamente che i bambini
debbano essere da soli in una stanza, ma che nessuno li sta sollecitando a una qualche
forma di comunicazione e quindi possono essere assorti in sé stessi.
I canti del primo tipo sono di carattere dialogico e sono costituiti da frasi melodiche
con parole ("la macchina della mia mamma è più bella di quella della tua", "no-o, è più
bella quella della mia"; "voglio la spugna rossa", "e io ti do quella verde"), si sviluppano
intorno a pochi suoni diversi e terminano con inflessioni cadenzali alla fine della frase
(simili a un recitativo). Hanno una struttura ritmica abbastanza regolare, legata alle sillabe
delle parole (note tendenzialmente della stessa durata, con qualche intensificazione dovuta
al testo e suoni lunghi alla fine).
È interessante evidenziare la varietà di funzioni che può avere questo tipo di canto:
prendere in giro, protestare, chiamare, chiedere, comandare, ecc. (Bjorkvold 1985).
I canti del secondo tipo, quelli individuali, sono molto più vari e si prestano a un'ulteriore
classificazione interna (Lucchetti 1987; Young 2003): espressioni vocali, senza parole
legate al movimento, all'uso di oggetti o a un proprio stato d'animo; monologhi, quando i
bambini assorti in sé stessi ripetono vocali o sillabe su pochi suoni, spesso mentre fanno
qualcosa (una bimba si dondola sull'altalena, un bimbo fa le costruzioni); canti, quando i
bambini si raccontano cantando una storia, una loro esperienza o descrivono ciò che
stanno vedendo, ecc.
Mentre i monologhi presentano spesso una cellula ritmica che si ripete in modo
abbastanza regolare, i canti sono caratterizzati prevalentemente da un ritmo libero o
comunque flessibile, da un uso libero degli intervalli, che però non esclude talvolta la
presenza di moduli melodici tipici dei canti infantili, e dall'uso di parole fantasiose, anche
nonsense.
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Osservando il livello di precisione intonativa è possibile notare che i bambini
manifestano un controllo dell'intonazione minore rispetto a quello raggiunto nei canti
imitativi, probabilmente perché l'imitazione è basata su esempi concreti memorizzati,
mentre l'invenzione è improvvisata, e quindi guidata da un'idea estemporanea. Inoltre la
capacità d'intonare durante l'invenzione di nuove melodie richiede una notevole
esperienza, nel senso che l'apprendimento di molti canti favorisce la stabilizzazione del
modello di scala tipico della propria cultura. Se l'intonazione è ancora carente, ciò
significa che la produzione di altezze precise non è ancora ben controllata da un modello
di scala stabile (Dowling 1984).
Il canto originale tende poi a diminuire e sparire con l'aumento dell' età, perché i
bambini, acquisendo una maggiore sensibilità estetica, apprezzano di più i modelli di
canzoni offerti dalla televisione o dal mondo degli adulti (ritenute "belle") e quindi
trascurano o addirittura si vergognano delle proprie invenzioni, considerate brutte al
confronto (Lucchetti 1987).
3.2. L’uso di strumenti e del movimento corporeo
È frequente vedere bambini che già a partire dai 5-6 mesi di vita scuotono sonagli
o battono su un tamburello, se viene data loro questa opportunità. Lo fanno
spontaneamente, per conoscere ed esplorare l'oggetto, e lo fanno ancor di più se qualcuno
sta cantando o se stanno ascoltando della musica. Certamente i piccoli sono affascinati dal
suono e, più in generale, da una situazione globale in cui l'oggetto, con le sue forme e i
suoi colori, il gesto stesso di scuotere o battere e il suono che ne deriva sono un tutt'uno.
C'è anche un altro comportamento che i bambini mettono in atto verso un anno
d'età: battere le mani. Numerose sono le canzoni, nel repertorio popolare, che invitano a
questo gesto e talvolta sono gli stessi genitori a prendere e battere le mani dei bambini,
anche se in realtà è il bambino che dovrebbe avere la libertà di farlo quando ha maturato
questa capacità e ne sente il desiderio. Si tratta dei primi giochi di coordinamento motorio
presenti nell' educazione infantile, sia in famiglia sia al nido, proprio con l'obiettivo di
favorire tale maturazione.
Un ulteriore comportamento usuale è quello di far saltellare i bimbi sulle
ginocchia, generalmente cantando una canzone.
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Suonare, battere le mani, saltellare: tre comportamenti che intrattengono e
divertono i bambini e insieme favoriscono il coordinamento motorio, il coinvolgimento
emotivo e la maturazione della capacità di strutturare il tempo (Imberty 2002). Per
l'attivazione di questi comportamenti si ricorre di norma a canti e brani musicali che
possiedano una struttura ritmico-metrica molto chiara, e più precisamente: una pulsazione
regolare evidente, cioè un'alternanza regolare di tempi forti = tempi deboli, come nella
marcia (1:2, metro binario) o nel valzer (1:3, metro ternario), e che possiedano anche
combinazioni ritmiche (cioè i suoni di diversa durata) regolari, che favoriscono la
percezione della pulsazione.
Questa presenza di pulsazioni regolari in un canto o un brano strumentale a cui i
bambini possono unirsi con il battito delle mani, suonando strumenti a percussione o
saltellando sulle ginocchia degli adulti, consente di imparare a organizzare il tempo e
maturare una capacità fondamentale in musica: il cosiddetto "andare a tempo", o
sincronizzazione ritmico-motoria, una capacità da collocare nel più ampio contesto del
"'senso ritmico" in generale.
Se apparentemente tutti pensiamo di capirci quando parliamo di "senso ritmico", in
realtà non tutti siamo consapevoli delle implicazioni di quest'espressione. Innanzitutto il
ritmo non è una qualità del suono.
Seguendo gli studi dello psicologo francese Paul Fraisse (1974), scopriamo che
siamo noi a cogliere le relazioni tra le durate dei suoni ascoltando una sequenza (con o
senza melodia), e per fare ciò è necessario che le durate siano percepibili e raggruppabili,
quindi né troppo lunghe, né troppo brevi). In altri termini, da un lato la fisica ci dice che ci
sono dei suoni consecutivi con determinate durate (uguali o diverse), dall'altro sono le
nostre capacità percettivo-cognitive a operare dei raggruppamenti e a far ci dire, in base a
criteri propri della nostra cultura, che "lì" c'è o non c'è un ritmo. Sintetizzando, il ritmo è
un'organizzazione dei rapporti di durata compiuta da chi ascolta secondo la propria
maturazione percettivo-cognitiva e la propria cultura, non dimenticando che i primi
ascoltatori sono proprio coloro che eseguono (inventando o riproducendo) sequenze
ritmiche.
Questa importanza attribuita alla persona che ascolta permette subito di cogliere il
ruolo determinante dell' età nello sviluppo del senso ritmico. A ciò aggiungiamo che si
tratta di un ambito complesso, in quanto esistono capacità diverse: quelle percettive (a che
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età riusciamo a percepire e organizzare le durate?) e quelle produttive (a che età riusciamo
a produrre e riprodurre strutture ritmiche?). Queste ultime poi si manifestano mediante la
voce nel parlato, nel canto e mediante il movimento, da quello più contenuto, necessario
per suonare uno strumento, a quello più ampio che coinvolge tutto il corpo, sia nei
movimenti liberi in risposta alla musica, sia nella danza.
Questa complessità ci predispone ad accogliere una grande varietà nei risultati di
ricerca, in quanto gli studiosi che si sono accostati a quest'area lo hanno fatto da punti di
vista diversi, da quello percettivo a quello produttivo e, in questo secondo caso,
dall'ambito vocale a quello strumentale, a quello motorio.
Se le precisazioni teoriche sulla natura della percezione ritmica possono averci
spaventato, guardando le ricerche compiute dal punto di vista percettivo ci
tranquillizziamo subito, in quanto i bambini riescono a organizzare percettivamente i
suoni in moduli ritmici già a 2 mesi di vita (Demany-McKenzie- Vurpillot 1977).
Sandra Trehub, ha trovato, insieme ad alcuni suoi collaboratori, che verso i 7-9
mesi i bambini sono in grado di percepire dei cambiamenti nella struttura ritmica (TrehubThorpe 1989; ThorpeTrehub-Morrongiello-Bull1988). Più precisamente, la ricerca del
1988 conferma che i bambini sono già capaci, tra i 7 e i 9 mesi, di operare dei
raggruppamenti e di distinguere sequenze ritmiche diverse, purché siano costituite da
pochi suoni.
Osservando ciò che avviene nelle età successive, Arlette Zenatti (1981) ha notato
che la discriminazione. tra due sequenze ritmiche senza melodia è già discreta a 4 anni, e
migliora notevolmente a 5 anni e mezzo.
Spostandoci sul versante della produzione ritmica, guardiamo prima quella
presente nel parlato e nel canto. A questo proposito Moog dice che (1976) le prime
lallazioni musicali sono ritmicamente amorfe, mentre verso i 18-24 mesi i bambini
cominciano a usare nei primi frammenti di canti spontanei due durate: quella più lunga è
meno frequente, tendenzialmente il doppio dell'altra, e può trovarsi in posizioni diverse
(all'inizio o a metà della frase). Moog non prende in considerazione il suono lungo alla
fine della frase, in quanto non gli attribuisce un valore espressivo ma solo la funzione di
"riposo", legata in genere alla necessità di prendere fiato: in pratica, il respiro prima della
frase successiva. Nel canto imitativo Moog osserva che i bambini prima ripetono qualche
parola senza un ritmo preciso, e successivamente ripetono alcune parole (ancora senza la
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melodia) pronunciandole con il ritmo del canto. Dopo i 3 anni aumenta il numero dei
bambini capaci di riprodurre correttamente un canto nei suoi aspetti ritmico e melodico.
Passando al rapporto tra percezione e movimento, Moog (1976) mette in evidenza
il passaggio, verso i 6 mesi, da una reazione di calma a una reazione di movimento
all'ascolto di musica. Le risposte motorie esplicite, ma non ancora sincronizzate,
aumentano considerevolmente verso i 15-18 mesi, per poi diminuire quanto al numero, ma
non quanto alla varietà che invece continua ad aumentare, favorita anche dalla progressiva
conquista dello spazio. Questa osservazione è di grande importanza, perché il bambino
comincia a usare il movimento, anch' esso temporale, come interpretante privilegiato nei
confronti della musica.
Osservando il grado di coordinamento, cioè la sincronia dei movimenti ratti dai
bambini in rapporto alla musica, Moog dice che pochissimi, tra i 3 e i 4 anni (il 10%),
erano capaci di sincronizzarsi con la musica. Questa capacità diventa invece abbastanza
buona tra i 4 e i 5 anni (71-74%), soprattutto quando ai bambini veniva chiesto di battere
le mani o di batterle sopra un tavolo.
Accompagnare un brano musicale battendo le mani, suonando uno strumento a
percussione (tamburello, legnetti, ecc.) o marciando: ecco tre modalità di sincronizzazione
ritmico-motoria, ovvero tre tipi di risposta motoria sincronizzata con la pulsazione del
brano. Un'esperienza in cui musica e movimento si uniscono in una stessa dimensione
temporale.
Queste tre attività presentano differenti livelli di difficoltà legati alla padronanza
motoria: è più facile sincronizzarsi usando movimenti piccoli piuttosto che movimenti che
coinvolgono grandi masse muscolari, come viene confermato dalle ricerche.
Secondo Rainbow (1981) la capacità di sincronizzarsi sia battendo le mani sia
suonando i legnetti è molto bassa a 3 anni (10-14%) mentre migliora a 4 anni (40-60%).
Risulta invece più difficile marciare a tempo con la musica, come vediamo nelle
percentuali che sono bassissime a 3 anni (4-10%) e leggermente superiori a 4 (1820%);
infine, è quasi impossibile marciare e insieme battere le mani a 3 anni (meno del 4%) e
molto difficile a 4 (meno del 15%).
Il miglioramento dai 3 ai 4 anni è comunque confermato in diverse ricerche e da
punti di vista diversi, come per esempio quello di Gilbert (1981), che studia il
coordinamento motorio nel suonare uno strumento a percussione unitamente al
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coordinamento occhio-mano, nonché la velocità e l'ampiezza del movimento. Questo
conferma l'influenza determinante dell'età nello sviluppò motorio e percettivo-cognitivo.
Un contributo particolarmente importante alla comprensione della capacità di
sincronizzazione ritmico-motoria è stato dato dalla studiosa argentina Silvia Malbràn che
ne ha individuato e verificato le diverse componenti.
Basandosi su alcuni studi teorici che mettevano in luce i principali processi
cognitivi coinvolti in quest'attività, quali avere la rappresentazione mentale di una
successione di intervalli di tempo regolari, trasformare la percezione in immagine mentale,
depositare l'informazione nella memoria a breve termine e trasformarla in gesto (Shaffer
1982; Parncutt 1994), Malbràn ha messo in luce la presenza di quattro componenti che
concorrono a determinare la capacità di sincronizzazione:
- la capacità di cogliere la presenza delle pulsazioni e accompagnarle con il proprio
strumento (corrispondenza);
- la capacità di non fermarsi (continuità);
- la capacità di avvicinarsi il più possibile all'istante preciso di ogni pulsazione
(precisione);
- la capacità di mantenere uno stesso livello di sincronia (regolarità).
Da un primo studio, condotto con 30 bambini di 3 anni (Malbràn 2000-2001), è
risultato che a quell'età la capacità di sincronizzarsi con le pulsazioni di un brano musicale
è ancora abbastanza ridotta. La ricerca successiva (Malbràn 2002) è stata longitudinale,
nel senso che 9 bambini sono stati seguiti dai 3 ai 5 anni. Qui si è notato un certo
miglioramento generale con delle differenze interne, e precisamente il miglioramento più
significativo'nella "corrispondenza" è avvenuto dai 4 ai 5 anni, mentre per la "continuità" è
avvenuto dai 3 ai 4 anni.
Sulla base dei numerosi studi esistenti, possiamo concludere, con Malbràn, dicendo
che le capacità ritmiche:
- occupano un posto preminente nei processi di sviluppo;
- compaiono presto;
- richiedono un doppio coinvolgimento, percettivo e motorio;
- dipendono dall'inculturazione;
- richiedono l'attivazione di relazioni interattive con l'ambiente.
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Un accenno infine all'uso degli strumenti per la loro importanza nello sviluppo
delle capacità ritmiche, ma anche per la funzione che possono svolgere nella crescita
musicale dei bambini.
Le ricerche non sono numerose e soprattutto sono funzionali ad altre capacità.
Come abbiamo appena visto, si parla spesso di legnetti e di tamburi negli studi sulle
capacità ritmiche.
Se ne parla molto nelle ricerche sulla creatività, che non può essere studiata solo
nel canto spontaneo, per cui è necessario dare ai bambini la possibilità di inventare con
strumenti di vario tipo, dalle piccole percussioni alle tastiere (v. Swanwick-Tillman 1986;
Barrett 1998; Baldi-Tafuri-Caterina 2003; Tafuri-Baldi-Caterina 2003/2004; Young
2002).
Se pensiamo all'uso degli strumenti considerati in sé stessi come oggetto di
attenzione ed esplorazione, il panorama delle ricerche si restringe molto, anche se ci sono
studi di notevole rilievo. Innanzitutto quello di Mario Baroni (1978), che assegna agli
strumenti un posto fondamentale nell' esperienza dei bambini della scuola dell'infanzia ed
elementare per l'esplorazione del suono e la realizzazione di attività espressive. Una
ricerca che mira principalmente all'interazione tra lo strumento e i bambini è quella
condotta a Bologna da Anna Rita Addessi e François Pachet (2005), nella quale si dà a
bambini dai 3 ai 5 anni la possibilità di suonare una tastiera elettronica programmata, in
modo tale da poter "rispondere" producendo una musica nello stesso "stile" usato da chi
suona. Questa esperienza ha suscitato nei bambini molto interesse e una grande varietà di
comportamenti, dall'entusiasmo nel suonare alla straordinaria attenzione e partecipazione
estetica nell'ascoltare la tastiera, dall'attivazione di comportamenti in coppia con altri
bambini all'esplorazione di molti modi di suonare (usando dita, gomito, testa,
avambraccio, ecc.).
Già anni prima un esperto di pedagogia musicale francese, Jean-Pierre Mialaret
(1997), aveva condotto una ricerca sull'esplorazione degli strumenti nei bambini. Lo
studio aveva preso in considerazione le esplorazioni compiute individualmente da 61
bambini d'età compresa tra i 2 anni e l0 mesi e i 9 anni e 6 mesi con un metallofono
cromatico. L'obiettivo era quello di studiare come i bambini esplorassero gli strumenti
esprimendosi e allo stesso tempo manifestando l'appropriazione della cultura musicale
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dell'ambiente, e ha dato luogo a conseguenze interessanti soprattutto sul piano
dell'espressività del comportamento esplorativo.
Una ricerca simile, ma dedicata solo a bambini di nido da 1 a 3 anni, è quella
condotta a Lecco dallo psicologo francese François Delalande (2004). La ricerca
prende l'avvio dai suoi precedenti studi (1993) sul piacere senso-motorio che
scaturisce dal "toccare" uno strumento, un piacere tattile, gestuale e uditivo che
costituisce una delle sue tre condotte musicali, considerate come gli "universali" in
musica. L'obiettivo di quest'ultima ricerca è quello di studiare come si sviluppa il
comportamento di esplorazione da 1 a 3 anni e quali sono i fattori di rinforzo. I
risultati emersi sono davvero straordinari. Oltre a confermare il fascino che gli
strumenti esercitano sui bambini, hanno permesso di individuare una diversità di
comportamenti che, secondo l'età, possono essere accolti e potenziati dalle educatrici
e dai genitori.
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4. Propedeutica musicale
Una parola difficile per un’idea pedagogica semplice: la musica si impara facendola
e non astraendola. Imparare a scrivere le note sul pentagramma non significa “imparare la
musica” ma imparare a codificarla: cominciare a valle invece che a monte.
La musica si “impara” invece, in primo luogo, traducendo in concreto il proprio
bisogno di viverla fisicamente ed emotivamente, così che essa contribuisca alla nostra
formazione e crescita globale come individui.
Si “impara” attraverso una esperienza creativa e collettiva che coinvolga tutto ciò
che alla musica è o può essere inerente: gesto, movimento, danza, scansione verbale,
vocalità, strumentario musicale, drammatizzazione e performance. Attraverso tutto ciò
potremo “imparare”, cioè “capire” la musica: capire come e perché essa nasce,
individuarne le componenti espressive e strutturali e, infine, razionalizzarla, anche
attraverso la notazione come indispensabile forma di memorizzazione e di comunicazione.
La musica è un mondo che riesce a entrare nella sfera delle emozioni, facendo
sbiadire quelle tristi, negative creandone di nuove, intense che fanno vibrare l’anima ed
elevare il pensiero.
I bambini hanno il diritto di essere avvicinati il più presto possibile a questa
bellezza. Perchè costringerli a strazianti e interminabili lezioni di teoria musicale prima di
aver maturato l’amore, prima di essere stati catturati da ritmi e melodie ? Perchè privare di
questo aspetto positivo, armonioso la crescita della personalità di ogni bambino?
TUTTI I BAMBINI HANNO BISOGNO DELLA MUSICA, pochi di essi sono veramente
portati per acquisire le competenze tecniche per lo studio dello strumento. In ogni caso
quei pochi hanno la possibilità di far emergere il loro talento e orientati nella giusta
direzione.
Contrariamente alle proposte didattiche italiane, elaborate sperimentalmente da
insegnanti o studiosi del problema educativo ma anche direttamente impegnati
nell’educazione (Maria Montessori), i metodi stranieri di maggiore rilievo sono stati tutti
ideati da musicisti assai noti, come ad esempio Orff e Kodály, che hanno sviluppato
percorsi per un apprendimento facile e immediato della musica, tenendo conto di alcuni
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noti comportamenti infantili e favorendo al massimo diverse componenti della persona,
come la creatività, la spontaneità, l’interesse, il bisogno motorio.
4.1 Metodi di educazione musicale per l’asilo nido
Nei prossimi paragrafi presenterò brevemente i due metodi che sto studiando e
approfondendo per l’educazione musicale nei bambini piccolissimi dei centri infanzia.
4.1.1 Il metodo Delalande
Tutti i genitori, tutti gli educatori sanno che i bambini producono suoni, con
evidente piacere, prima con la voce, poi con tutti gli oggetti che capitano loro tra le mani.
È così che verso il primo anno amano i cigolii, gli sfregamenti e possono trascorrere
parecchi minuti a sfregare con un cucchiaio su un calorifero o a trascinare una sedia sul
pavimento ottenendo delle modulazioni sonore che i genitori non apprezzano sempre nel
loro giusto valore. Non tutti i genitori sanno che questi comportamenti sono già una forma
di invenzione musicale.
In genere si è studiato l’attività senso-motoria del bambino dal punto di vista dello
sviluppo psicomotorio o dell’intelligenza pratica, o nell’ottica della comunicazione se si
tratta delle prime vocalizzazioni, ma molto poco come una forma di attività musicale.
Tuttavia queste esplorazioni che osserviamo possono essere considerate come
l’avvio di comportamenti musicali per almeno tre ragioni. Anzitutto perché padroneggiare
un gesto per ottenere una certa qualità di suono è il lavoro quotidiano di uno strumentista.
La musica, di solito, nasce dal gesto, da un gesto finemente controllato, regolato
per “accomodamento”, adeguando l’articolazione della mano, il peso del braccio, la
pressione dell’aria alla risposta meccanica dello strumento per ottenere quella particolare
sonorità prescelta. È proprio questo controllo senso-motorio che esercita il bambino
quando trascina la sedia sul pavimento. Ma su questa esperienza senso-motoria si
costruisce, per il bambino come per il violinista, un simbolismo del gesto e del
movimento.
Un suono è vigoroso o leggero, delicato o aggressivo, perché il gesto che l’ha
prodotto possiede lo stesso carattere espressivo. Proprio per questo, il bambino acquisisce,
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nei primi anni di vita, un vocabolario di equivalenze tra la gestualità e la vita affettiva. È
sulla base di questa esperienza che per lui una frase musicale sarà leggera, delicata o
vigorosa. Infine, l’esplorazione è uno fondamenti dell’invenzione.
Dal primo anno di vita, l’attività senso-motoria dà luogo a delle “reazioni
circolari”: se il bambino produce per caso un suono che lo sorprende o lo interessa, ha la
tendenza a ripetere il gesto che lo produce dieci o venti volte. All’età di otto mesi è anche
capace di modificare leggermente il gesto per ottenere un ventaglio di suoni leggermente
differenti. Non esplora più l’oggetto materiale che produce rumore, ma piuttosto questa
varietà di espressioni sonore. La sua attenzione si è spostata dall’oggetto al risultato
sonoro e alle sue variazioni.
Per noi musicisti, questo passaggio è fondamentale. Se spogliamo degli aspetti
tecnici e culturali le strategie della creazione musicale troviamo che il cuore
dell’invenzione è proprio questo stessa condotta psicologica: una trovata sonora è uscita,
un po’ per caso, dalla fantasia o è nata sotto le dita, e coglie l’interesse del musicista tanto
che egli ha piacere a ripeterla facendone delle variazioni. È quello che chiamiamo una
“idea musicale” – può trattarsi di un tema, di un motivo ritmico, uno slancio dinamico,
una miscela di suoni…- e l’arte di scoprirne tutte le sfaccettature si chiama sviluppo.
Scegliere, nel corso dell’esplorazione, una trovata sonora e svilupparla attraverso
variazioni è una condotta che appare nel bambino prima di un anno.
Il gioco senso-motorio, le reazioni circolari e l’esplorazione sonora che ne
risultano sono dei comportamenti spontanei, nel senso che non c’è bisogno dell’intervento
di genitori o di educatori perché si manifestino.
Ma l’esplorazione sonora può essere scoraggiata, o al contrario, arricchita se le
condizioni, i materiali, l’atteggiamento degli adulti la favorisce. Come fare? Quali sono i
fattori di rinforzo? Come si sviluppano i comportamenti di esplorazione? Queste sono le
domande che ci poniamo, questo è l’oggetto della ricerca di Delalande. Non ci si
avventura su un terreno completamente sconosciuto. Come capita spesso nel campo della
ricerca, si tratta di conoscere meglio qualcosa che si conosce già, ma male. Oltre ai
genitori che vedono e ascoltano quotidianamente i loro bambini, il gruppo di Delalande ha
in due riprese sviluppato delle campagne d’osservazione sistematica del comportamento di
esplorazione sonora nell’asilo nido. Una volta a Parigi, con Jean-Luc Jéréquel, dal 1983 al
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1985 (se ne possono trovare delle tracce su Bambini anno IV, n.1, gennaio 1998) e poi a
Firenze, con Marco Geronimi, nel 1991 e nel 1992.
Queste due campagne hanno fornito un corpus di osservazioni estremamente ricco,
da cui si potrebbe già concludere (non rilevando che i punti essenziali):
- che effettivamente, a partire dai sei mesi, un bambino messo davanti a uno
strumento musicale e lasciato solo si dedica, in un rilevante numero di situazioni, a
esplorazioni di parecchi minuti, - che effettivamente, come si poteva immaginare, il suono
è un fattore di rinforzo essenziale (un tamburello dai suoni sordi non interessa per molto
tempo i bambini);
- che la presenza o assenza di un adulto è una variabile importante di cui bisogna
conoscere meglio gli effetti.
François Delalande è uno degli autori più apprezzati a livello internazionale nel
dibattito sull'educazione musicale; è psicologo, pedagogista musicale e direttore delle
ricerche teoriche del Gruppo Ricerche Musicali dell'Istitut National del l'Audiovisuel
(INA) di Parigi. Sin dagli anni settanta ha rivolto i suoi studi alle condotte d'ascolto e di
produzione della musica, con particolare attenzione ai bambini. Attualmente insegna,
presso la Scuola di Animazione musicale promossa dal Centro Studi "Maurizio Di
Benedetto" di Lecco. Le sue opere sono state tradotte in diversi paesi europei, in America
latina, in Cina e Giappone. Nel nostro paese ha pubblicato diversi articoli e la raccolta di
saggi Le condotte musicali. “La Musique est un jeu d’enfant” (La musica è un gioco da
bambini) fu pubblicato per la prima volta nel 1984, anche se delle successive edizioni
sono apparse nell’84, 90,94 e 97.
L'ipotesi fondamentale di Delalande è dimostrare come il bambino, nel suo gioco
spontaneo con i suoni, faccia della musica già dai primi mesi e come l'approccio del
neonato non sia dissimile rispetto a quello del musicista adulto.
Il libro mette a disposizione degli educatori musicali uno strumento utile ed
innovativo; l'educatore non viene più visto come colui che "insegna" la musica e introduce
l'allievo in un mondo di regole sempre più complesse, ma come una figura che affianca il
bambino nella sua progressiva scoperta del suono offrendogli nuove occasioni di
sperimentazione.
L'autore illustra in forma di dialogo in modo schematico e preciso le principali
caratteristiche dell'educazione musicale ed i metodi per educare all'ascolto ed offre anche
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molti suggerimenti pratici per il lavoro educativo, dall'asilo nido in poi. Egli pone la
pedagogia della musica al centro di una riflessione che guarda alla psicologia,
all'antropologia musicale e alle esperienze della musica contemporanea.
L’ipotesi centrale di questo libro è molto chiara: il bambino, nel suo gioco spontaneo con i
suoni, fa, già dai primi mesi di vita, della musica; quest’attività deve quindi essere
considerata, valorizzata e sottratta alla banale sfera del “rumore”. Quest’affermazione è
sostenuta dal nostro autore con molti diversi dati e osservazioni, sulla cui origine
torneremo in seguito, ma soprattutto con la considerazione che le principali condotte e
motivazioni musicali del bambino sono largamente sovrapponibili a quelle del musicista
adulto, sia nella nostra sia in altre culture. Il concetto di condotta è diventato, da diversi
anni, fondamentale per comprendere il pensiero di Delalande ed è già ben presente in
quest’opera, anche se il termine specifico vi è impiegato raramente. Il termine condotta fu
introdotto in psicologia dal francese Pierre Janet e si distingue da quello di comportamento
in quanto designa una serie di azioni coordinate tra loro in una strategia con un fine. Due
sono quindi gli elementi che caratterizzano una condotta: il coordinamento di più azioni e
l’avere una finalità. Quando usiamo il termine di condotta dobbiamo quindi porre la
massima attenzione sul coordinamento tra gli atti compiuti e l’intenzionalità del fare
musica, avendo delle attese e delle motivazioni relative alle proprie azioni. Come
vedremo, le condotte alla base dell’attività musicale del bambino, come dell’adulto, sono
tre: l’esplorazione, l’espressione e l’organizzazione.
Mi sembra necessario, tuttavia, per contestualizzare, le ipotesi e le proposte di François
Delalande contenute in questo libro, compiere un passo indietro per chiarire a quali diversi
contributi, ricerche e suggestioni egli abbia fatto riferimento per giungere alle conclusioni
de La Musica è un gioco da bambini.
I grandi punti di riferimento di Delalande sono, in questo caso, soprattutto tre,
provenienti da altrettante diverse discipline o campi d’esperienza e ricerca: la musica
contemporanea, in particolare nella sua corrente concreta, l’antropologia della musica e
l’epistemologia genetica di Jean Piaget.
Iniziamo con l’esaminare il contributo proveniente dalle esperienze della musica
concreta. La musica concreta ha avuto, in Francia, negli anni sessanta e settanta, un
notevole sviluppo, senz’altro superiore a quanto sia accaduto in Italia.
I musicisti
concreti si propongono di fare musica attraverso l’esplorazione e la manipolazione di
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oggetti e di sonorità che fanno parte della vita quotidiana, eventualmente proponendone
una rielaborazione elettroacustica. È il caso, per esempio, di Pierre Henry, che compone
Ventisette variazioni per una porta e un sospiro in cui il materiale sonoro è costituito dai
cigolii della porta di un vecchio granaio e dall’emissione del respiro del compositore,
appena rielaborati elettronicamente e montati su nastro magnetico. Un lavoro, quello di
Henry e di altri compositori, che si è avvalso in modo imprescindibile delle ricerche e
delle sperimentazioni elettroacustiche di Pierre Schaeffer, autore tra l’altro del Traité des
Objets Musicaux, pubblicato a Parigi nel 1966. Se è vero che gli anni cinquanta e sessanta
furono caratterizzati in tutto il mondo dalla sperimentazione elettroacustica, va segnalata
una particolarità francese, che è proprio il contatto con la musica concreta. Anche l’Italia
fu coinvolta, per esempio dalle ricerche dell’Istituto di fonologia musicale della Rai di
Milano, che tuttavia erano centrate principalmente sulla produzione di nuove sonorità; al
contrario in Francia la ricerca fu maggiormente rivolta all’elaborazione e al trattamento di
suoni già presenti in natura.
Il pensiero di Delalande è maturato, così, in un clima musicale in cui la
tradizionale distinzione tra “suono” e “rumore” era messa totalmente in discussione; se
ammettiamo, con Henry (ma anche con molti altri, come John Cage o in Italia Giuseppe
Chiari), che si possa fare musica facendo cigolare la porta di un granaio, o trascinando un
aspirapolvere su un palco o infine rompendo oggetti di vario materiale davanti a un
microfono, la nostra attenzione si sposta sulla qualità di tutti i suoni prodotti e producibili
e sulle concrete azioni e condotte che si possono impiegare per esplorare i suoni e usarli
per esprimersi. Un punto di vista, quest’ultimo, che avvicina sempre di più il gioco
musicale del bambino all’attività del musicista adulto.
Lo sviluppo della musica concreta pose inoltre, sempre nel contesto francese, un
altro tema di ricerca. Fu infatti proprio il già citato Pierre Schaeffer che all’inizio degli
anni sessanta iniziò a porre, combinando le esperienze della musica concreta con quelle
della musicologia comparata, il tema della necessità di un “ritorno alle origini” nella
definizione dell’attività musicale. Si trattava, secondo Schaeffer, di indagare il problema a
un livello più profondo dello studio delle singole “lingue” musicali, centrando piuttosto
l’attenzione sui comportamenti e le motivazioni di chi fa musica. Quindi, secondo
Schaeffer, si affermava la necessità di un “ritorno alle origini” del fatto musicale, che
affrontasse il problema al di là delle specifiche e particolari espressioni culturali.
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È noto che una delle questioni che hanno affascinato gli studiosi di musicologia comparata
e in seguito di etnomusicologia è stata la ricerca degli universali musicali, vale a dire di
formule ritmiche, di disegni melodici, di intervalli, di scale, che fossero comuni a tutte le
culture musicali. Questa ricerca si è rivelata infruttuosa; non esistono infatti, a livello delle
strutture udibili, degli universali musicali. Le intuizioni e le proposte di Schaeffer
correvano in parallelo, peraltro, con ricerche e posizioni che emergevano in altri paesi.
Alam Merriam, nel suo Anthropology of Music, aveva posto sin dall’inizio degli
anni sessanta la questione dell’universalità dell’attività musicale in termini innovativi,
definendo la musica un universale come comportamento, ma non come lingua. Merriam
osserva che tutti i popoli fanno musica, con motivazioni, funzioni sociali, significati
simbolici a volte anche molto simili tra loro; le scale, i ritmi, le melodie, gli stili vocali e
strumentali sono tuttavia assolutamente irriducibili a dei tratti comuni. Le osservazioni di
Merriam tracciarono la via in cui si inserì, qualche anno più tardi, un altro antropologo
della musica, John Blacking, che all’inizio degli anni settanta pubblicò un’opera dal
significativo titolo How musical is the man? (Come è musicale l’uomo?). Sin dal titolo, il
lavoro di Blacking chiarisce il suo progetto di ricerca, volto a svelare le basi profonde
della musicalità umana. Secondo Blacking, la musica è articolata in due strati o livelli: uno
profondo, costituito dai processi cognitivi e biopsicologici che stanno alla base del fare
musica e che egli suppone simili presso popoli e culture anche molto lontane tra loro e uno
di superficie, costituito invece dalle concrete forme udibili assunte dalla musica, che sono
al contrario peculiari di ciascun contesto culturale. La teoria di Blacking può in qualche
misura essere apparentata a quanto Noam Chomsky sostiene a proposito del linguaggio
verbale, quando postula l’esistenza di una capacità innata nell’uomo a pensare e comporre
migliaia di frasi, vale a dire della predisposizione a usare il linguaggio, che si esplica in
seguito attraverso una lingua specifica determinata dal contesto ambientale e culturale in
cui si trova il parlante3.
Il contributo di John Blacking è decisivo per riequilibrare l’attenzione tra il
prodotto musicale e il processo intenzionale che porta alla sua realizzazione; peraltro, se è
vero che da molti anni gli etnomusicologi si sono occupati di raccogliere e analizzare
musiche dei popoli più diversi, solo in tempi più recenti gli antropologi hanno iniziato a
3
J. Blacking, Come è musicale l’uomo?, Milano, Ricordi, 1986.
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indagare comportamenti, condotte e motivazioni di ciò che Blacking definisce “l’uomo
come music-maker”.
Alla ricerca del modello interpretativo utile per leggere la musicalità umana, del
bambino come dell’adulto, Delalande offre, come vedremo, una sua risposta originale
applicando all’attività musicale lo schema proposto da Piaget a proposito dello sviluppo
del gioco infantile.
Infine, il terzo contributo che confluisce nell’elaborazione di François Delalande
è la teoria del gioco infantile di Jean Piaget. Come è noto, Piaget distingue tre grandi fasi
nello sviluppo del gioco infantile: senso motoria o d’esercizio, simbolica e di regole.
Delalande, anche attraverso la collaborazione di vari insegnanti,
analizza in modo
rigoroso il gioco sonoro del bambino alla luce dello schema piagetiano; ciò che è più
significativo, tuttavia, é che secondo il nostro autore, anche le pratiche e le motivazioni del
musicista adulto possono essere interpretate seguendo lo stesso modello.
In particolare, Delalande fa corrispondere al gioco senso motorio o d’esercizio la
condotta esplorativa, basata sul lavoro di scoperta e di sperimentazione sonora. È la
condotta del bambino che già qualche mese dopo la nascita esplora le potenzialità sonore
degli oggetti che gli stanno intorno, applicandovi schemi sensomotori diversi (graffiare,
picchiettare, battere, strofinare) che danno luogo alla produzione di suoni differenti tra
loro. Anche l’attività di esplorazione della propria voce è coinvolta in questa condotta. Il
musicista adulto continua a impiegare la condotta esplorativa tutte le volte che cerca di
ottenere dal suo strumento o dalla sua voce una particolare sonorità: è l’esplorazione
vocale del cantante ma anche la ricerca del suono “giusto” da parte del flautista o del
saxofonista fondata proprio su un rapporto di tipo senso-motorio con lo strumento, la voce
o il suono. La ricerca delle sonorità che si possono ottenere da uno strumento o dalla voce
ha dato luogo anche a diversi progetti di composizione musicale: basti per tutti ricordare le
Sequenze di Berio.
La fase piagetiana del gioco simbolico si realizza, a livello musicale, nella
condotta espressiva. È la fase in cui il bambino attribuisce al suono la capacità di
rappresentare qualcosa, di avere un senso in un certo contesto, di evocare personaggi,
movimenti, situazioni. La musica del bambino non è più, in questa fase, soltanto l’esito
della sperimentazione di uno schema sensomotorio applicato a diversi oggetti, ma il
risultato intenzionale della volontà di esprimersi con i suoni. A proposito del gioco
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simbolico, Piaget ha messo in luce come esso sia il fondamento delle attività espressive,
sia nel bambino che nell’adulto; il contributo di Delalande si pone quindi come un
approfondimento specifico sul tema dell’espressione musicale. Anche per quanto riguarda
la condotta espressiva, Delalande indica diverse corrispondenze tra l’attività del bambino e
quella del musicista adulto.
Queste corrispondenze si trovano sia nella ricerca della comunicazione attraverso il
suono sia, per esempio, nella gestualità che viene usata per accompagnare il suono (un
tema, quello del rapporto tra il suono e il gesto, a cui Delalande presta particolare
attenzione).
La terza condotta che sorge nello sviluppo del gioco musicale del bambino è quella
organizzativa, corrispondente alla fase piagetiana del gioco con regole (o di regole). Il
bambino scopre, tra i cinque e i sette anni, il piacere della regola, vale a dire di applicare
delle regole ai propri giochi, ma soprattutto, di crearne di nuove. Se si riflette attentamente
su certi giochi infantili praticati dai bambini e dalle bambine che frequentano i primi anni
della scuola elementare, non può sfuggire il fatto che alcuni di essi, come i giochi con le
figurine o il gioco “dell’elastico” abbiano la ragione del loro successo proprio nella
possibilità di essere aperti alla creazione di regole sempre nuove e diverse. Anche nel
gioco musicale possiamo parlare di gioco di regole, o meglio di condotta organizzativa
ogni volta che il bambino trova piacere nell’organizzare i suoni secondo regole che egli
stesso può stabilire. Una condotta che si prolunga, nella vita adulta, a diversi livelli, che
possono condurre sino all’attività compositiva (l’organizzazione dei suoni) ma anche in
quella analitica (saper apprezzare l’organizzazione dei suoni).
È chiaro così che, dal punto di vista delle condotte, il gioco sonoro del bambino e
la pratica musicale adulta trovano, secondo Delalande, rilevanti corrispondenze; ecco
quindi chiarito il doppio significato che si può attribuire al titolo di questo libro: la musica
è un gioco da bambini perché il bambino, giocando, fa musica, ma anche perché l’attività
musicale degli adulti può essere interpretata pensando al gioco infantile. Peraltro, se
vogliamo restare all’interno dell’orizzonte piagetiano, dobbiamo ricordare come lo
psicologo ginevrino sostenga che, nello sviluppo del gioco infantile, il sorgere di un nuovo
tipo di gioco non sostituisca i precedenti, che continuano a coesistere con i successivi.
Fatto ancor più importante per i nostri fini è che Piaget sostiene che i diversi tipi di gioco
infantile sopravvivono anche nella vita adulta, dando luogo ad attività anche importanti e
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significative dal punto di vista sociale (per esempio il gioco simbolico sarebbe alla base
dell’attività drammatica, il gioco di regole sosterrebbe diverse pratiche civili e sociali).
La prospettiva che si apre di fronte agli educatori musicali che accettino i postulati
di Delalande è assolutamente nuova e affascinante. Se infatti ammettiamo che il bambino,
giocando con i suoni, fa musica, e la fa praticando le stesse condotte del musicista adulto,
il ruolo dell’educatore va completamente rivisto. L’educatore, in questo quadro, deve
essere una figura che affianca il bambino nella sua progressiva scoperta del suono, che gli
offre nuove occasioni di sperimentazione, che gli propone esperienze significative per
esplorare i suoni, esprimersi con essi e attraverso la loro organizzazione; non è più colui
che “insegna” la musica e che faticosamente, attraverso un tirocinio tecnico prestabilito
introduce l’allievo a un sistema musicale dato.
È in questo approccio all’educazione musicale che si trova il senso del termine
éveil (risveglio) e si definisce il ruolo dell’educatore come guida e come facilitatore della
crescita musicale del bambino. Non è facile tradurre in italiano il termine éveil; si può
accettare il termine italiano di “risveglio” a condizione che si tenga conto che la pedagogie
d’éveil ha avuto sviluppo in Francia non solo a proposito della musica, ma anche di altri
campi d’esperienza e di studio, intendendo un lavoro pedagogico basato sull’attivazione e
lo
sviluppo
progressivo
delle
attitudini,
motivazioni,
capacità
del
bambino.4
Nel percorso che viene suggerito da Delalande il bambino conquista progressivamente e in
modo personale la capacità di organizzare i suoni e di usarne i codici di comunicazione;
nella musica d’oggi, peraltro assistiamo a una grande varietà di generi e stili musicali e di
metodi di composizione. La grande varietà di espressione musicale che caratterizza il
nostro mondo è arricchita dalla conoscenza della produzione musicale di popoli anche
lontani da noi; non siamo più ai tempi di Debussy, che dovette attendere l’Esposizione
Universale di Parigi per incontrare la musica balinese.
È anche a partire da questi dati che Delalande critica i metodi “storici” di didattica
della musica, come quelli di Orff o Kodàly. Secondo Delalande questi metodi, pur validi
nel loro contesto d’origine, hanno una visione troppo restrittiva della musica, tendono a
proporre ai bambini un sistema musicale dato come assoluto; non è un caso, sostiene il
nostro autore, che chi è alfabetizzato con questi metodi tenda a negare valore a tutto ciò
4
M. Disoteo, introduzione a “La musica è un gioco da bambini”, Milano, FrancoAngeli, 2001.
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che non è riconducibile all’immagine di musica che si è formato con essi, rifiutando per
esempio la musica contemporanea.
Abbiamo così già affrontato due questioni che si pongono nel vivo del dibattito
sull’educazione musicale: la distinzione tra la sfera del “suono” e quella del “rumore”, che
purtroppo trova ancora spazio in diverse programmazioni della scuola dell’infanzia ed
elementare e la necessità di collocare nel loro contesto storico e culturale i “metodi” di
Didattica della Musica. In parte collegata a quest’ultima problematica è una terza che è
particolarmente significativa per chiarire alcuni malintesi assai diffusi in tema di
educazione musicale: quella dell’educazione al ritmo, in particolare attraverso il
movimento.
È noto infatti che molti testi e metodi per l’insegnamento della musica propongono
un primo approccio alla musica attraverso attività di carattere ritmico-motorio, nella
convinzione che il ritmo sia l’elemento primario e primordiale, antropologicamente
fondato della musica. Sarebbe meraviglioso, dice Delalande, se tutte le musiche avessero
come tratto unificante il ritmo ma purtroppo sostenere ciò è falso.
Esiste una grande difformità, tra le diverse culture, su ciò che si intende con la
parola ritmo: il ritmo è per un musicista africano un concetto completamente diverso da
ciò che intende un esecutore di raga indiani.
Gli elementi che concorrono a definire un ritmo sono diversi nelle varie culture e
specifici di ciascuna di esse; in ogni caso è superficiale pensare che il ritmo sia
concepibile soltanto come un’alternanza di impulsi misurati forti e deboli: non è così in
molte culture, ma nemmeno nella musica contemporanea europea o, per andare a ritroso
nel tempo, nel canto gregoriano. Si tratta allora, più proficuamente, di accettare
l’affermazione, assolutamente fondata, che la prima esperienza musicale è corporea, ma di
evitare di ridurre questa esperienza alla metrica ritmica occidentale.
Per Delalande la musica d’oggi sta ritornando a essere una musica del suono e del
gesto, e proprio su quest’ultimo punto si incentrano alcune affermazioni e intuizioni di
grande rilievo. La musica si fa con le mani e con il soffio e il suono è la traccia del gesto
che lo produce, ci dice Delalande; ma sarebbe sbagliato ridurre la significatività del
rapporto tra musica e gesto solo a questo. Si tratta invece di costruire, dal versante
musicologico, una vera e propria “semiologia del gesto musicale” e da quello pedagogico
invece aiutare il bambino a sviluppare il controllo della sua gestualità attraverso
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l’osservazione del suono. I bambini “entrano nella musica attraverso il gesto” e produrre
suoni significa soprattutto concatenare gesti; l’educatore deve abituarli a spostare
l’attenzione dal gesto al suo risultato sonoro, ma senza mai separarlo dalla sua radice
corporea.
Una visione, e quindi una proposta pedagogica, che va ben oltre le tante attività di
sincronizzazione ritmico-motoria piuttosto direttive e superficiali che supportano ancora
molte programmazioni didattiche. Anche in questo caso, la proposta metodologica è chiara
e va nella direzione di costruire un progetto pedagogico in cui l’educatore non impone al
bambino un determinato sistema musicale, ma lo aiuta e lo sostiene nella sua crescita
musicale, offrendogli occasioni per “risvegliare” le sue attitudini, capacità, desideri di
comunicare in forma sonora. Un progetto pedagogico, quindi, che rispetta e valorizza il
bambino e non cancella quanto di significativo e importante si realizza, a livello musicale,
già nel suo gioco con i suoni.
Su questa linea di ricerca, non sono mancati, negli ultimi anni, in Italia, diversi
contributi ed esperienze che hanno dialogato con la prospettiva
musicologica e
pedagogica tracciata da François Delalande. Questi contributi hanno trovato uno spazio
particolare nella non dimenticata esperienza della rivista Progetto Uomo Musica, ma
anche altrove, grazie in particolare ai lavori e alle ricerche di Franca Ferrari, Giovanna
Guardabasso, Luca Marconi, Mario Piatti, Maurizio Spaccazocchi, Gino Stefani e di altri
colleghi, a cui vanno aggiunti diversi progetti didattici in sede locale quali il progetto
coordinato da Giovanni Curti per le scuole elementari del Comune di Reggio Emilia.
Proprio grazie a questo contesto, ricco di proposte, contributi e fermenti innovativi,
crediamo che pubblicare oggi in lingua italiana “La musica è un gioco da bambini” possa
costituire un contributo importante in un panorama, quale quello della pedagogia musicale
italiana, in rapida e positiva trasformazione. Questa pubblicazione consente infatti di
arricchire ulteriormente il lettore italiano con la proposta di un testo che raccoglie in modo
ampio posizioni e proposte con cui il mondo degli educatori musicali italiani ha già
stabilito un dialogo e che ha tentato di rielaborare attraverso diverse esperienze.
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4.1.2 La Music Learning Theory di Edwin Gordon
La Music Learning Theory (MLT) è una teoria che studia le modalità di
apprendimento musicale del bambino a partire dall’età neonatale fondata sul presupposto
che la musica si possa apprendere secondo gli stessi processi del linguaggio parlato.
Sviluppata attraverso anni di ricerca e di osservazione scientifica5, pone in primo piano il
bambino e i suoi processi di apprendimento musicale, prima ancora di delinearsi come una
vera e propria metodologia di educazione musicale.
Parallelamente agli studi sull’attitudine musicale e sulle capacità di “audition”, che
costituiscono la base teorica della MLT, si è sviluppata, da alcuni anni anche nel nostro
paese, una metodologia che ne applica i principi, portando diverse e sostanziali novità nel
campo dell’educazione musicale.
Innanzitutto ha contribuito a spostare i tempi della formazione musicale
nell’infanzia: è infatti sempre più diffusa l’opinione che l’età migliore per iniziare un
percorso di avvicinamento alla musica sia quella neonatale.
In secondo luogo, ha messo in luce quanto sia fondamentale, anche in musica,
offrire al bambino la possibilità di attuare spontanei tentativi di interazione attraverso
vocalizzazioni di suoni e accenni ritmici, esattamente come fa nel linguaggio parlato con i
balbettii e la lallazione.
Infine, distinguendo l’attitudine dal rendimento musicale, permette di rispettare
ogni bambino nei suoi tempi e nelle sue modalità di apprendimento, ponendo l’accento
sull’importanza dell’ascolto e dell’assorbimento di stimoli musicali di qualità prima che
sulla produzione immediata di piccoli saggi di competenza.
5
Le prime pubblicazioni riguardanti la Music Learning Theory risalgono agli anni ’70 (E.E. Gordon , The
psychology of music teaching, Enlgewood Cliffs, Prentice Hall, 1971). Attraverso continui approfondimenti
e nuove applicazioni si è arrivati alle pubblicazioni degli ultimi anni fra le quali si può citare di E. E.
Gordon: Learning sequences in
music, Chicago, GIA pubblication 1997, A music learning theoryfor
newborn and young children, Chicago, GIA pubblication, 1997, tradotto in italiano e pubblicato con il titolo:
L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età prescolare, Milano, Edizioni Curci, 2003;
Introduction to research and the psychology of music, Improvising in the music classroom, Chicago, GIA
pubblication 2003; Am I musical? Chicago, GIA pubblication 2003, tradotto in italiano con il titolo Ascolta
tu. Scopri il tuo potenziale musicale, Milano Edizioni Curci, 2005 e, in Italia oltre al presente testo, E.E.
Gordon, A. Apostoli, Canti melodici e ritmici senza parole, Milano, Edizioni Curci, 2004.
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La Music Learning Theory di Edwin E. Gordon rappresenta un contributo
fondamentale in grado di cambiare molte cose nel campo della didattica musicale. Frutto
di più di quaranta anni di ricerca svolti in diverse università americane, la Music Learning
Theory si inserisce nel quadro delle più moderne teorie dell’apprendimento.
Il presupposto fondamentale di questa teoria sta nell’assunto che la musica può
essere appresa secondo gli stessi meccanismi di apprendimento della lingua materna. Il
bambino, pertanto, dovrebbe essere avvicinato alla musica fin dai primi giorni di vita per
sviluppare il senso della sintassi musicale, premessa indispensabile per trarre i massimi
benefici dalla successiva istruzione formale.
Pensiamo per un attimo a come impariamo a parlare e a pensare nella nostra
lingua. Tutti noi abbiamo vissuto cinque anni pieni di apprendimento informale del
linguaggio passando dall’assorbimento e dall’emissione dei primi fonemi, fino ad arrivare
alle parole intorno al primo anno di vita. Nessuno dà lezioni di lingua ai bambini, nessuno
pretende risultati immediati. Soltanto quando il bambino si esprime nella sua lingua in
modo chiaro e con una grande abbondanza di parole (a 6 anni, infatti, ha già un
vocabolario attivo di circa 13.000 parole e uno passivo molto più ampio) si inizia
l’istruzione formale: la lettura e la scrittura.
Quanti bambini, invece, vengono avvicinati alla musica secondo un percorso
completamente inverso, partendo dal pentagramma, dalla notazione delle altezze e dalle
durate, senza un periodo precedente di apprendimento informale? Non c’è da meravigliarsi
che, anche dopo anni di studio, pochi siano in grado di comunicare musicalmente in modo
spontaneo, attraverso l’improvvisazione, non totalmente dipendenti dalla musica scritta.
Le ricerche di Gordon, dimostrano infatti che l’attitudine musicale, innata in ogni
individuo, si sviluppa nei primi anni di vita a contatto con l’ambiente musicale in cui si
vive. Ed è la qualità di questo ambiente ad influenzare il potenziale di apprendimento
musicale del bambino in modo evidente nei primi tre anni di vita e via via in modo minore
fino ai nove anni di età circa, momento in cui il potenziale si stabilizza6.
È dunque importantissimo iniziare il percorso di educazione musicale in età
neonatale. Ma molte altre sono le novità per chi si avvicina per la prima volta alla Music
Learning Theory.
6
E. E. Gordon, Developmental and Stabilized Music Aptitudes, further evidence of the duality, Chicago,
2002, GIA publications
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Il materiale didattico proposto, per prima cosa, è costituito da canzoni e canti
ritmici senza testi che rispondono a tre criteri fondamentali: varietà, complessità e
ripetizione. Non soltanto canzoncine in modo maggiore e metro binario, dunque, ma
canzoni e canti ritmici in tutti i modi e i metri possibili e fin dall’inizio del percorso
didattico. L’uso della voce e del corpo in movimento, più che di strumenti e strumentini da
far suonare ai piccoli allievi, arricchisce il quadro di una metodologia che si focalizza nei
concetti di guida informale ed educazione più che di insegnamento.
4.1.3 L’apprendimento musicale del bambino secondo la Music Learning Theory
Le prime ricerche di Gordon vertevano intorno al tema dell’Attitudine Musicale,
ossia il potenziale di apprendimento in musica, innato in ciascuno di noi, che tanto deve il
suo sviluppo all’ambiente in cui viviamo nei primi anni di vita. Passaggio decisivo fu la
creazione del termine audiation, per esprimere un concetto fondamentale per tutto il lavoro
sulla didattica musicale degli anni successivi.
L’audiation è infatti la capacità di sentire internamente e comprendere suoni non
fisicamente presenti. Lo sviluppo di questa capacità, vera e propria forma di pensiero
musicale, divenne il tema centrale del lavoro di Gordon. E proprio sulla base del concetto
di audiation, Gordon arriva a concludere che un percorso di apprendimento appropriato, è
quello che vede il pensiero e il linguaggio musicale svilupparsi parallelamente a come
avviene per il linguaggio parlato.
Ma cosa prevede in pratica la metodologia didattica che scaturisce dalla Music
Learning Theory? Apriamo simbolicamente la porta di una classe di Musicainfasce, i corsi
per bambini da 0 a 6 anni riconosciuti dalla Associazione Italiana Gordon per
l’Apprendimento Musicale (AIGAM) e osserviamo.
I piccoli di due o tre mesi sono sdraiati su un tappeto in mezzo all’aula che appare vuota di
qualsiasi oggetto… fisico, perché di “oggetti sonori”, cioè di musica cantata in gruppo
dagli insegnanti e dai genitori, l’aula è piena.
I bambini in grado di mantenere la posizione seduta o di gattonare si trovano in
punti diversi della stanza, liberi di girare a loro piacimento. Una cosa li accomuna tutti:
grandi occhioni e attenzione intensa per l’evento musicale che si svolge fra gli adulti
presenti.
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Momenti di musica si alternano a momenti di profondo silenzio da parte degli
adulti. L’assorbimento degli stimoli musicali continua nel silenzio e l’audiation muove i
primi passi nei bambini presenti. Tantissime le risposte dei piccoli agli stimoli musicali.
Un orecchio attento coglie piccoli suoni e vocalizzi spontanei, intonati sulla tonica o sulla
dominante, che costituiscono una vera e propria forma di lallazione tonale e ritmica. Gli
insegnanti immediatamente rispondono intonati ai bambini in un vero e proprio dialogo
fatto di prime “parole” musicali. Un occhio attento coglie innumerevoli risposte motorie.
Ondeggiamenti, manine che sbattono sul pavimento, “gattonamenti” a ritmo,
sospiri e respiri eccitati. Tutto viene valorizzato e diventa parte della lezione stessa. Le
mamme - in maggioranza - e i papà, seduti a terra insieme ai bambini, cantano, sorridono,
e arricchiscono, guidati dagli insegnanti, i brani della lezione con ostinati armonici, pedali
di tonica e interventi ritmici. Qualche bambino guarda l’insegnante ed emette
intenzionalmente suoni per richiamare la sua attenzione e per tentare di comunicare con
lui nel nuovo linguaggio.
Il linguaggio parlato è completamente assente per tutti i quarantacinque minuti di
lezione. Non ci sono commenti e men che meno battiti di manine ispirati dai genitori alla
fine dei brani, non ci sono parole e testi nelle canzoni e nei canti ritmici. Soltanto musica
cantata e movimenti liberi e fluenti, spontaneamente ispirati dalla musica7.
Nel testo A music learning theory for newborn and young children , che negli Stati
Uniti ha ispirato molteplici corsi di musica rivolti alla prima infanzia, Gordon spiega le
fasi e gli stadi di sviluppo dell’audiation da parte del bambino fin dai primi giorni di vita.
L’importanza della sua teoria è tanto più evidente se la si confronta con i risultati e
le conseguenze di un’educazione musicale che non tiene conto delle acquisizioni della
ricerca scientifica e dei processi di apprendimento. I bambini che non sviluppano un
vocabolario di suoni ascoltati (vocabolario musicale passivo) giungono alla scuola
materna o elementare dove cominciano ad imparare canzoncine per imitazione. Chi di loro
ha una buona attitudine musicale riesce comunque a sviluppare un senso di sintassi
musicale ma, per la media delle persone questo non avviene. E così, guardando cosa
succede nella nostra società, ci si rende facilmente conto che se tutti sono in grado di
7
E. E. Gordon, A music learning theory for newborn and young children, GIA pub.inc. Chicago 1997,
pubblicato nel 2003 in Italia con il titolo: L’apprendimento musicale del bambino dalla nascita all’età
prescolare ,EDIZIONI CURCI – Milano.
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cantare “Tanti auguri a te” al ristorante, benché in modo molto poco accurato dal punto di
vista ritmico e tonale; pochi sono in grado di intonare canzoni da soli e pochissimi (anche
fra i musicisti) di improvvisare musicalmente con la propria voce o con il proprio
strumento.
La Music Learning Theory può rappresentare, per quanti fra insegnanti di musica,
educatori, genitori rilevino la relativa efficacia degli approcci tradizionali un’opportunità
di diventare quello che con termine rogersiano si può definire un “facilitatore di
apprendimento” musicale.
Il lavoro di Gordon va a colmare un vuoto nel campo dell’apprendimento musicale,
allineandosi a quegli studi condotti in altri campi dello sviluppo del bambino, nei quali
pensatori come Montessori, Pikler, Goldschmied, Stern ed altri hanno promosso da tempo
una visione del bambino capace di apprendere in autonomia la realtà, in un contesto di
rispetto dei suoi tempi e di comunicazione affettiva.
Passare anche in musica dall’atteggiamento intrattenitorio e dall’idea del saggio di
abilità acquisite alla promozione dello sviluppo musicale del bambino nel rispetto dei suoi
naturali processi di apprendimento, rappresenta senz’altro un fondamentale passo in
avanti.
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5. LA NINNA NANNA E IL VALORE DELLA VOCE
La voce umana, vale a dire il suono emesso-prodotto sfruttando il passaggio
dell’aria attraverso la gola e la bocca per parlare e cantare, è un importante strumento di
comunicazione caratterizzato da alcune qualità naturali: il tono, il timbro e l'altezza. Gli
esseri umani fin dalla nascita sono sensibili alla modificazione di queste particolari qualità
al punto che la variazione del tono usato per parlare con i bambini molto piccoli può
trasformare lo stato d’animo e provocare benessere, eccitazione, risveglio dell'attenzione,
rilassamento.
Come fenomeno naturale di tipo bio-acustico, la voce coinvolge la mente, le
emozioni, il corpo. Come mezzo di trasmissione della parola, è il canale comunicativo
privilegiato del linguaggio orale.
Questo non significa che soltanto l'udito sia coinvolto nell'interazione parlata: la
voce è infatti strettamente legata allo stare insieme, alla presenza corporea, alla mimica
facciale, al movimento.
La comunicazione orale ha bisogno di una profonda interazione tra il parlante e
l'ascoltatore, perché tendenzialmente è una comunicazione che impegna tutto il corpo, è
legata ad intensi momenti di socialità e soprattutto alla sfera dell’affettività.
In un certo senso, la voce trasmette significati solo all'interno di una situazione
comunicativa in cui il contatto tra i partecipanti è determinato da segnali partecipativi
verbali ed extraverbali di vario tipo, ma soprattutto dalla vicinanza corporea. Questa
condizione è talmente importante che la sua mancanza può rendere il parlante molto
incerto sulla riuscita della comunicazione.
In effetti la ricerca psicolinguistica ha dimostrato che la comunicazione, fenomeno
complesso,ricco e articolato, non può essere ridotta alla trasmissione del messaggio,
verbale o non verbale. Il«capire» una comunicazione o una informazione impone infatti
qualcosa di più della semplice attenzione: richiede quasi una identificazione
dell'ascoltatore con il parlante. Si tratta di socializzare, condividere, interagire, ma
soprattutto di entrare in relazione e mettere in comune qualcosa, un progetto al quale gli
interlocutori partecipano in modo attivo.
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Per questi motivi, i «testi» orali possono essere compresi a fondo solo tenendo
conto della loro funzione sociale, del valore che a tale funzione è assegnato in una
determinata comunità, della tradizione a cui si richiamano, delle circostanze particolari in
cui essi vengono eseguiti.
Sarebbe qui necessaria, una digressione sulla funzione della memoria nella
letteratura orale al fine di mettere in rilievo come nelle culture orali le informazioni e i
valori vengano conservati e tramandati di generazione in generazione attraverso gli
espedienti della memoria e della ripetizione e siano affidati principalmente alla
costruzione di formule di conservazione dell'informazione verbale. Mi limiterò soltanto ad
alcuni brevi esempi.
5.1 Origine e trasmissione delle ninne nanne: le circostanze della
produzione orale e il legame con la musica
Uno degli aspetti complessi e allo stesso tempo affascinati del canto popolare in
generale, e della ninna nanna in particolare, si riferisce al fatto che queste canzoni, per la
maggior parte, sono sopravvissute grazie alla tradizione orale, dunque a caratteri peculiari
delle culture a trasmissione orale, come per esempio la predisposizione all’espediente del
passaparola . Benché sia considerata un canto popolare molto elementare, anche la ninna
nanna rappresenta la testimonianza di costumanze e di rituali di un determinato ambiente
storico-sociale. R. Leydi la definisce addirittura uno strumento primario ed essenziale di
inculturazione soprattutto nel contesto sociale rurale, perché, come accade per tutti i testi
dei canti popolari, anche la ninna nanna riflette la cultura di cui è parte, e mette in
evidenza elementi di mitologia, di storia, leggende, ma anche una quantità di problemi di
natura psicologica, relativi sia all’individuo che alla collettività intera.
Conseguentemente questi testi forniscono all’etnomusicologo, al linguista, ma
anche allo studioso del comportamento umano, alcuni tra i più ricchi materiali di analisi.
Legata alla precisa funzione di fare addormentare il bambino, la ninna nanna è
fortemente radicata al contesto sociale della società contadina e della famiglia patriarcale,
dove è gestita quasi per intero dalle donne di varia età (la ninna nanna non è cantata
soltanto dalle mamme, ma da tutte le donne di casa, nonne, sorelle maggiori, zie, che
possono sostituirle in questo compito), per le quali spesso rappresenta il mezzo per
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esprimere i propri sentimenti e i propri problemi, per sfogare le proprie frustrazioni
nell’unica occasione in cui si trova finalmente sola: nessuno la può sentire, infatti, mentre
addormenta il suo piccolo con ninne nanne dolcissime, ma dai contenuti che esprimono
rabbia per la dura vita e per la sottomissione.
Insomma, se da una parte la ninna nanna rappresenta uno dei testi popolari più
arcaici in cui il ritmo molto uniforme e la ripetizione delle parole tendono a produrre un
effetto ipnotico e rappresentano una formula rituale, un elemento quasi magico per fare
addormentare il bambino; contemporaneamente questi testi danno a coloro che li eseguono
un qualche sollievo psicologico e costituiscono anche un meccanismo utile
all’alleggerimento delle tensioni.
In questo caso la musica è stimolo di situazioni in cui il comportamento linguistico
si libera dai condizionamenti che, invece, agiscono nel discorso ordinario e usuale.
Possiamo a giusta ragione affermare che nella ninna nanna musica e linguaggio
sono fortemente interrelati e lo studio di questa interrelazione è un compito
dell’etnomusicologo oltre che del linguista, ma ovviamente anche del pedagogista e dello
studioso di didattica.
Queste riflessioni sulla radice popolare della ninna nanna e soprattutto il
riconoscimento del suo magico legame con il mondo sonoro, inducono a percorrere piste
di indagine che possano fornire una risposta ai seguenti quesiti:
1. quale è il ruolo delle parole delle ninne nanne, e in quale maniera un breve
componimento ritmato e a volte in rima può favorire il contatto e la comunicazione?
2. la musica e il linguaggio musicale possono essere considerati strumenti privilegiati nella
formazione dell'uomo?
A proposito del primo punto G. Rodari in Grammatica della fantasia affermava
che “una parola gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità,
provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni ed
immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa
l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la
stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente ”.
Tuttavia nella ninna nanna la funzione dell’addormentamento si realizza non tanto
attraverso il significato delle parole, quanto attraverso l’andamento dei suoni vocalici
cullanti legati al vissuto materno. La comunicazione, passa dalla mamma al bambino
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soprattutto attraverso il calore e il contatto corporeo, l'abbraccio e il contenimento, il
respiro, il canto, il dondolare-cullare del corpo materno in sintonia con i suoni della voce.
Di qui la magia della ninna nanna che modellandosi sulle variabili corporee, sulla
voce, sulla musica e sul ritmo del cullare, rivela l’importanza della relazione circolare
madre/figlio –figlio/madre come modulatore interno individuale delle relazioni umane del
futuro adulto.
Durante il rituale della ninna nanna il canto si unisce al gesto del cullare e
inizialmente sembra che i suoni facciano da guida al bambino; successivamente, e per
tutto il tempo della ninna nanna, diventa più evidente che è il bambino che fa da guida alla
mamma. Man mano che il bambino si abbandona al suono della voce materna, cambia il
suo modo di pesare sulla madre, e la madre registra in modo automatico, anche se il più
delle volte inconsapevole, questa variazione di modalità di essere del peso del bambino.
Mentre culla il suo bambino, la mamma segue, ovvero mima, il calo delle tensioni
muscolari del bambino che si è addormentato, ed in questo procedimento modifica le
tensioni delle sue braccia, l'emissione dei suoni e della sua voce.
Mentre culla il suo bambino la mamma inizialmente canta bisbigliando appena i
suoni, quasi soffiando. Questa esperienza di soffiare appena, quasi di sussurrare,
presuppone un decremento lento e morbido della tensione, un degradare della voce che
tuttavia non sparisce completamente.
Questa analisi puntuale degli elementi che caratterizzano il rituale della ninna
nanna arricchisce la comprensione della specificità sonora della ninna nanna stessa e aiuta
a ribadire, e a comprendere, che i suoni vocalici sono il risultato dell'atteggiamento di tutto
il corpo nel suo insieme: a seconda dell’atteggiamento del corpo si producono suoni che
assumono non solo una diversa espressività, ma anche un diverso significato
comunicativo-relazionale.
Tenendo conto che la comprensione e la produzione del linguaggio verbale nel
bambino sono correlati positivamente al legame affettivo che si crea prima con gli adulti e
poi con i coetanei, ma soprattutto alla simbiosi circolare madre- figlio/figlio-madre,
possiamo dire che le esperienze corporee primarie (l’accoglienza, il contenimento
affettivo, la fiducia, l’appoggio, la sicurezza e il piacere di esistere) prodotte durante il
canto cullato della ninna nanna, rappresentano per il bambino
degli importanti organizzatori relazionali, mediante i quali impara a stabilire le dimensioni
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emozionali nell’esperienza relazionale.
La ninna nanna accomuna i suoi protagonisti nella stessa struttura ritmico-sonora e
affettiva, diventa quasi un linguaggio nel linguaggio, un codice riservato (a pochi) in
grado di creare i presupposti per la comunicazione.
5.2 Una melodia "particolarmente" adatta alla formazione
Una riflessione sulla ninna nanna non può trascurare le problematiche connesse ai
quesiti educativi,e non può evitare di chiedersi se l'aspetto sonoro di questo canto ha un
effetto positivo per la formazione e la crescita dei bambini, e soprattutto, se queste
semplici melodie basate sul senso ritmico delle parole sono portatrici di un profondo
valore educativo, proprio perché arricchiscono il vocabolario e preparano il bambino ad
una espressione strutturata e complessa.
Sappiamo che dalla ventiquattresima settimana di gestazione il feto è
continuamente in ascolto, che l'intero apparato uditivo è pronto dal punto di vista
morfologico e funzionale per ricevere i suoni. Sappiamo inoltre che l’intelligenza
musicale è la più precoce a svilupparsi e resta per tutta la vita.
Questi temi hanno una natura tecnica e strutturale di cui non è possibile parlare qui,
fatta eccezione per un aspetto che può a giusta ragione essere preso in esame.
Nella maggior parte delle culture il suono e il linguaggio musicale sono considerati
strumenti privilegiati per conoscere e per conoscersi, e a questo proposito basterà citare un
caso esemplare.
Per le tribù indiane d'America la musica è in grado di "farsi portatrice" dell'amore
che lega un genitore al proprio figlio. Ne sono un esempio, soprattutto, le numerose ninne
nanne che le madri e i padri dei popoli nativi americani cantano ai propri bambini
considerati un bene prezioso d'importanza vitale per la sopravvivenza dei genitori e
dell’intera comunità (Cfr., Balbi M., 2003).
È perciò naturale servirsi di suoni elementari e poi articolarli in musica per stabilire
una prima comunicazione con una creatura non ancora del tutto integrata nel mondo
adulto. Tuttavia queste musiche non rappresentano soltanto un segno di affetto e dedizione
dei genitori verso i figli, ma dei veri e propri rituali cantati, che servono per accettare il
nuovo nato e sancire la sua definitiva “umanizzazione” e la sua appartenenza alla tribù. Al
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momento della nascita, infatti, il bambino è considerato una forma di vita ancora
indifferenziata, non è considerato un membro della sua gens o della tribù, ma
semplicemente un essere vivente manifestatosi nell'universo.
La musica e il ritmo costituiscono perciò una sorta di "iniziazione” agli usi tribali
fin dalle prime ore di vita. Sono un mezzo per trasmettere ai nuovi membri della comunità
l'idea di appartenenza non solo al genere umano, ma anche, nella nuova prospettiva
terrena, all'intero cosmo, la cui architettura ritmica e vibrante trova il suo simbolo più
coerente nella musica. Così, in questi contesti accade facilmente che anche un canto
rituale o cerimoniale venga usato al posto di una semplice ninna nanna per indurre il
sonno, per sedare il pianto o semplicemente per intrattenere il bambino.
I gesti ritualizzati nella ninna nanna rappresentano per il bambino i primi
insegnamenti precoci di esperienze corporee sul piacere di vivere le relazioni affettive e
sociali. È, infatti, dalla reciproca percezione delle tensioni muscolari, per esempio delle
braccia della madre e del corpo intero del bambino, che si modificano i gesti, il contatto, il
contenimento accudente, l'appoggio, il canto ed il tipo di dondolamento della coppia
madre-bambino. Da queste esperienze precoci il bambino impara a costruire uno stile di
contatto relazionale e di attaccamento con le persone affettive.
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6. Materiali e metodi
Come già anticipato ho frequentato per il trimestre ottobre- dicembre 2007 la
Scuola Materna di Lutrano (TV), dove ho realizzato un “laboratorio di musica” di 10
incontri di due ore ciascuno. Dal mese di novembre 2007 ho iniziato l’insegnamento di
propedeutica musicale e educazione musicale presso il Centro Infanzia “Il Giardino” di
Conegliano, dove invece ho continuato l’insegnamento fino a fine maggio 2008.
In questo capitolo cercherò di schematizzare i lavori che ho svolto nell’anno e i
vari gruppi di bimbi in modo da rendere il più chiaro possibile il mio percorso e il lavoro
svolto nei due centri infanzia.
6.1 Scuola materna di Lutrano (TV), ottobre-dicembre 2007
In questo centro i bambini erano suddivisi in 4 gruppi a seconda dell’età:
•
Nido dai 18 ai 36 mesi (15 bambini).
•
3 anni: 29 bambini.
•
4 anni: 30 bambini.
•
5 anni: 28 bambini.
Sono stata chiamata da questa scuola materna per realizzare un “laboratorio musicale”
finalizzato alla realizzazione della Recita di Natale.
Dopo un primo incontro di conoscenza e chiarificazioni con le educatrici e un
incontro di conoscenza di tutti e 4 i gruppi classe, ho ritenuto opportuno stendere un piano
di lavoro che permettesse a tutti i gruppi di lavorare insieme per un unico obiettivo in
comune pur avendo compiti diversi. Insieme ai bambini di 5 anni, ho scritto la recita “Una
ninna nanna per Gesù Bambino”.
La cadenza degli incontri era di una volta alla settimana; per i primi 4 incontri ho
incontrato separatamente i 4 gruppi: la durata degli incontri era di 20 minuti per i
piccolissimi (18-36 mesi), di 30 minuti per gli altri due gruppi. Ho potuto realizzare
solamente 10 incontri più la recita di Natale, per motivi di organizzazione del centro e per
la scarsa disponibilità da parte delle educatrici, che vedevano portar via tempo prezioso
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per lo svolgimento delle attività del programma scolastico. Gli incontri si svolgevano nelle
aule (sezioni) sempre con la presenza dell’educatrice di riferimento.
I bambini di questo centro ricevevano pochissime stimolazioni sonore da parte
delle educatrici; i piccoli avevano a disposizione giocattoli sonori per bambini, ma non
venivano stimolati a cantare o ascoltare musica tipo canzoncine per bambini, o altro.
È stato difficile farli cantare e recitare, non tanto perché per loro era una cosa nuova,
quanto secondo me perché, mentre alcune educatrici (nido, 3-4 anni) trasmettevano ai
bimbi l’entusiasmo per la musica, altre educatrici mandava messaggi del tutto negativi.
Oltre alla realizzazione della brevissima recita, ho proposto ai 30 bambini di 4 anni la
canzoncina “BUON NATALE” che riporterò in seguito: ai bambini ho dato delle
campanelline (sonaglini) da suonare nel ritornello. Durante gli incontri i bimbi hanno
raggiunto un buon grado di coordinazione ritmica e di linguaggio, e la loro esecuzione,
nonostante l’emozione e la presenza dei genitori, è stata molto soddisfacente.
UNA NINNA NANNA PER GESU’ BAMBINO
NARRATORE:
È notte. Tutto tace a Betlemme. Sulla collina si vede solo una fioca luce dentro una
capanna. Fuori, dentro il recinto, le pecorelle sonnecchiano con i loro agnellini, vegliate
dal loro buon pastore Peppo e dal cane Ciccio. Quand'ecco che una stella illumina
improvvisamente il cielo e si va a posare sopra la capanna.
1° agnellino: "Bee, guarda, mamma: la stella! È nato! Beee"
2° agnellino: "Bee, è nato il Bambino!"
Pecorelle e ~gneilini: "Oh, che grande gioia per il mondo! "Beee"
[CANZONE: QUANTE PECORELLE]
Quante pecorelle
tutte bianche, tutte belle
presso la capanna fanno
Beee la ninna nanna.
Tutte son sorelle
sotto il cielo con le stelle
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vanno dal bambino:
BEEEnvenuto piccolino!
Quante pecorelle
tutte bianche, tutte belle
stanno col pastore
BEEEnedetto dal Signore.
NARRATORE:
Gesù Bambino è appena nato e la sua mamma Maria lo culla con amore.
Maria: "Dormi pargoletto come un angioletto. Dormi bimbo bello tra il bue e l'asinello"
Gesù Bambino: "Ueee, Ueee" (piange).
NARRATORE:
Ma il bimbo piange e Maria non riesce a calmare e ad addormentare il suo piccino. Allora
le pecorelle, mamme esperte dei loro agnellini si chiedono:
1° pecorella: "Beee, come possiamo aiutare quella giovane mamma a calmare il suo
piccino?”
2° pecorella: "Beee, potremmo cantare sottovoce una dolce ninna nanna.."
3° pecorella: "Beee-lla idea!
[CANZONE: DO COME DORMI]
DO come dormi, bimbo Redentore,
RE come Re, del mondo il Salvatore,
MI il mistero che in terra ti portò
FA fa'la nanna, bambino ninna oh.
SOL come il sole fai luce alla capanna
LA è il latte che avesti dalla mamma
SI come il sì di Maria che t'aspettò
DO ora dormi bambino ninna oh.
Do ora dormì, bambino ninna oh. Ninna oh,
NARRATORE:
Gesù Bambino si è addormentato. Anche gli agnellini dormono tutti... tranne uno!
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3° agnellino: "Mamma, mamma! Beee, che bella ninna nanna!"
4° Pecorella: "Come mai tu non dormi ancora, cucciolo mio? Beee"
3° agnellino: "Non ho sonno, mamma. Beee. E quella luce brilla troppo forte. Mamma,
bee, mi racconteresti una storia?”
4° Pecorella: "Va bene, tesoro! Tu però ora chiudi gli occhietti e io ti racconterò la storia
di un Bimbo speciale…”
[CANZONE: TI NARRO LA STORIA...]
Ti narro la storia di un bimbo speciale Venuto dal cielo per vincere il male.
Per vincere il male quaggiù sulla terra Per dare la pace senz'armi né guerra.
E mentre a Betlemme la notte scendeva laggiù sulla paglia il bimbo nasceva.
Il bimbo nasceva tra il bue e l'asinello, nell’umile grotta Gesù poverello.
Splendeva una stella che luce faceva
La mamma più bella il bimbo teneva.
Il bimbo teneva, la ninna cantava;
Gesù piccolino ne! mondo arrivava.
Così da quel giorno la storia cambiò:
Natale nel mondo l'amore portò.
Così da quei giorno la storia cambiò:
Natale nel mondo I!amore portò.
Così da quel giorno la storia cambiò:
Natale nel mondo l'amore portò.
Natale nel mondo l'amore portò.
NARRATORE:
Mamma pecora si era accorta che tutti gli agnellini si erano svegliati e avevano ascoltato
incantati la sua storia.
Pecorella: "Questa è la storia di questa notte santa! la notte di Natale!
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NARRATORE:
Sono trascorsi più di 2000 anni da quella meravigliosa notte santa; oggi come allora il
miracolo si ripete ne! cuore di tutte le persone buone. Quelle persone che vogliono ancora
accogliere Gesù Bambino nella gioia, nell’amore e nella felicità. Buon Natale!
BUON NATALE
Testo tradizionale – Musica M. A. Ciurleo
DIN DIN DIN
DON DIN DIN
È ARRIVATO GIÀ NATALE
DIN DIN DIN
DON DIN DIN
SUONERANNO LE CAMPANE
AVREMO DONI E CARAMELLE
ALBERI CON LUCI E STELLE
DIN DIN DIN
DON DIN DIN
A TUTTI BUON NATALE
DIN DIN DIN
DON DIN DIN
A TUTTI BUON NATALE
Finalità:
1. Attività verbale: memorizzazione e riproduzione della canzone
2. Attività musicale riproduzione di suoni onomatopeici, intonazione della canzone,
esercitazione ritmica con l’utilizzo di strumentini.
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6.2 Scuola d’Infanzia “Il Giardino”
Questo è il centro infanzia in cui ho iniziato a insegnare lo scorso anno. Poiché il
centro quest’anno era impegnato in lavori di ristrutturazione e ampliamento della struttura
è stato deciso insieme alle educatrici che per quest’anno avrei dovuto interrompere il
lavoro al Nido (6-24 mesi), mentre avrei lavorato con questi gruppi di bambini:
•
Gli elefantini (2 anni): 20 bambini.
•
I leoncini (3 anni) : 10 bambini.
•
I tigrotti (5 anni): 14 bambini.
Dopo una serata di presentazione delle attività-laboratori previste per l’anno 20072008 (a partire da novembre) ai genitori, i genitori stessi hanno scelto se far partecipare o
meno il proprio bambino/a al corso di “Propedeutica musicale”.
D’accordo con la direttrice della scuola ho avuto la possibilità di far fare a tutti i
bambini 4 incontri tipo lezione aperta nel mese di ottobre, così che a tutti potesse venire
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offerta la possibilità di dire ai genitori se a loro piaceva “giocare con la musica” oppure
preferivano fare un’altra attività.
Nella scuola d’infanzia, tra le finalità dell'educazione musicale, è di fondamentale
e primaria importanza l'educazione al suono e la stimolazione acustica che permettono al
bambino di scoprire suoni e rumori della realtà circostante, di interessarsene, di creare
attività divertenti, di rappresentare fantasie, elaborare giochi immaginativi a partire
dall'evocazione prodotta dall'ascolto naturale.
Ascoltare tutti i rumori che ci circondano, imparare a distinguerli, fare attenzione
alle loro caratteristiche, permette ai bambini un approccio più spontaneo verso il mondo
dei suoni musicali veri e propri. Musica e suoni a questa età sono in stretta relazione con
l'educazione motoria, sensoriale e intellettuale. Ecco perché è importante offrire al
bambino specifiche opportunità sonore sin dal primo anno di scuola materna, per
contribuire al processo di crescita nell'armonico sviluppo della sua personalità
OBIETTIVI MUSICALI PER LA SCUOLA D' INFANZIA
•
Capacità di comprendere il linguaggio sonoro.
•
Capacità di riconoscere, denominare, discriminare suoni e rumori.
•
Capacità di individuare la fonte sonora.
•
Capacità di raggruppare e classificare oggetti che producono suoni e rumori.
•
Capacità di codificare il suono.
•
Capacità di imitare verbalmente suoni e rumori.
•
Coordinare suoni e gesti.
•
Produrre adeguati movimenti secondo determinati eventi sonori.
•
Coordinare le proprie attività a quelle dei compagni.
•
Cogliere la differenza tra suono e silenzio.
METODOLOGIA MUSICALE PER LA SCUOLA D'INFANZIA
•
Far comprendere la differenza tra suoni e rumori.
•
Far comprendere la differenza tra suoni e rumori specifici di vari ambienti esterni
ed interni.
•
Far notare la differenza tra suoni e rumori atmosferici.
•
Far comprendere la differenza tra suoni e rumori di animali.
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•
Lavorare sull'intensità della voce.
•
Lavorare sulla durata e sul ritmo.
•
Lavorare sulle differenze di modulazione della voce.
I "SILENZI"
Insegnare ai bambini la percezione del silenzio è senza dubbio un obiettivo
importante e ambizioso. Per la maggior parte di loro, infatti, fare silenzio significa
semplicemente non parlare, e solo pochi si rendono conto che per non produrre alcun
suono è necessario anche restare immobili.
L’immobilità, tuttavia, è una condizione estranea alla natura dei piccoli, per i quali
il movimento non è soltanto fonte di conoscenza ma anche di piacere.
Abituare i bambini a mantenere brevi attimi di staticità intervallati dalla pratica
motoria è un ottimo metodo per avvicinarli all’ascolto del respiro e alla percezione degli
stati di rilassamento, di concentrazione, e alla ricerca di sensazioni. È altresì facile
verificare che interrompendo all’improvviso il suono che accompagna qualsiasi
movimento, il corpo tende spontaneamente a fermarsi in una posizione che conserva l’eco
dei gesti appena eseguiti.
Di conseguenza, questi attimi di immobilità-silenzio potranno essere usati per enfatizzare
la percezione dei suoni e dei gesti precedenti o successivi all’immobilità.
La cadenza degli incontri era di una volta alla settimana; la durata degli incontri era di
30 minuti per i bambini di 2 e 3 anni con la compresenza dell’educatrice, di un’ora per i
bambini di 5 anni senza la compresenza dell’educatrice.
In questo centro i bambini vengono quotidianamente stimolati dalle educatrici con
canzoncine per bambini fatte ascoltare sia da cd che dalla voce delle maestre, venivano
stimolati con tantissimi giocattoli sonori, anche qualche strumentino per bambini; mi sono
proposta quindi di realizzare un progetto basato sull’avvicinamento agli strumenti
musicali dal vivo.
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6.2.1 Gruppi Elefantini e Leoncini: “Cuccioli della giungla”
Con i bambini di 2 e 3 anni ho impostato un lavoro di tipo più psicomotorio,
proponendo molti momenti di “gioco-musica”, ma anche di conoscenza degli strumentini
(strumentario Orff). A tutti gli incontri partecipavano attivamente le due educatrici.
Il titolo del laboratorio per i bambini di 2 e 3 anni è “Cuccioli della giungla”.
Partendo dal riscontro con i bimbi che uno dei cartoni animati più conosciuti e apprezzati
è “Il libro della giungla” della Disney, ho pensato a degli incontri in cui i bambini si
immedesimavano negli animali della giungla, le scimmie, l’orso, il serpente, la tigre, la
pantera, l’ippopotamo, l’elefante…, e costruivo con tappetini, cerchi, panche e tavolini,
una specie di percorso nella giungla in cui i bambini erano invitati ad imitare il verso e i
movimenti dell’animale a seconda del punto del percorso in cui si trovavano.
La base musicale di sottofondo era la colonna sonora del film d’animazione “Il libro della
giungla”.
Parallelamente ho proposto dei giochi di conoscenza degli strumentini musicali, lasciando
al bambino la possibilità di scegliere ad ogni incontro lo strumento che più lo interessava
in quel momento. Durante questi tipi di incontro facevo sedere i bambini in cerchio e in
mezzo all’interno di un cerchio di plastica ponevo gli strumenti a disposizione: tamburelli,
sonagli, bonghi, maracas, nacchere, flauti dolci, xilofoni, triangolo. Poi di volta in volta
spiegavo la corretta presa dello strumento e il suo corretto utilizzo, ma i bambini più
piccoli tendono sempre a suonare gli strumentini a loro piacere..!
Ho proposto inoltre per la recita di fine anno le due canzoncine che ai bambini
sono piaciute di più: Nei mesi gennaio-aprile 2007 ho proposto ai bambini di 2 e 3 anni
della Scuola d’Infanzia “Il Giardino” queste canzoncine tratte dalla raccolta “Nido di
Note” di N. Cinguetti e M. Padovani, ed. Mela Music.
SOLE VIENI FUORI
Tumba tumba
sole vieni fuori
Tumba Tumba
tuffati sui fiori
Tumba Tumba
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rotola sul prato
Tumba Tumba
sole scatenato
Rit. Giallo limone
Colore del mio sole
Giallo limone calore del mio sole
Tumba Tumba
sali in altalena
Tumba Tumba
bacia luna piena
Tumba Tumba
vola sul giardino
Tumba Tumba
sole palloncino
Rit. (2 volte)
Per la sua regolarità ritmica questo canto, una piccola “danza del sole”, richiede
giochi di coordinazione tra mani, braccia, gambe e piedi, e insieme giochi di adattamento
al ritmo.
Ad ogni “Tumba Tumba” è stato di volta in volta associato un movimento: un salto
sul posto, un salto con uno spostamento, un battito di mani, battere le mani sulle
ginocchia, sul tavolino, ecc., mentre tutto il resto della canzone è stato accompagnato da
gesti che mimavano le parole. Il ritornello è stato a volte accompagnato dall’uso di
strumentini: ovetti, maracas, sonagli, tamburelli.
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LAVALE TU
Mani colore di pongo
lavale lavale tu
Mani colore di fango
lavale lavale tu
Mani colore di lotte
lavale lavale tu
Mani colore di latte
lavale lavale tu
Rit. Acqua scende scioglie la macchia
sciacqua risciacqua qua
Acqua scende scioglie la macchia
sciacqua risciacqua qua
Qua qua qua qua
qua qua qua qua
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Qua qua qua qua
qua qua qua qua
Mani colore di yogurt
lavale lavale tu
Mani colore di gioco
lavale lavale tu
Mani colore brillante
lavale lavale tu
Mani colore di niente
lavale lavale tu
Rit.
Questa canzone, oltre ad essere un allegro invito a lavarsi le mani prima del
pranzo, è stata anche un’ottima occasione per iniziare momenti e proposte di contatto tra i
più piccoli.
I bambini una volta si sono lavati a vicenda (a coppie) le mani, con l’acqua e il
sapone, in seguito si sono limitati a disporsi in fila davanti alla porta del bagno, con le
maniche rialzate, e a mimare il gesto di lavarsi le mani, di risciacquare e asciugare.
La canzoncina è stata realizzata interamente con gesti che mimavano le parole, un balletto
del qua qua al ritornello intervallato dal semplice mimo dell’ochetta.
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MATERIALE IMPIEGATO
Strumentario Orff, riproduttore CD, tastiera, fogli di carta da disegno, pennarelli, pastelli a
cera, matite colorate, nastri colorati e materiale vario a seconda della coreografia delle
canzoni o dei giochi proposti.
STRUTTURA DI UNA LEZIONE-INCONTRO:
1. disposizione in classe, canzone di “benvenuto”;
2. prima attività utilizzando movimento fisico o voce;
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3. seconda attività di gioco o disegno;
4. terza attività canzoni e ascolto;
5. canzone dell’”arrivederci”.
Le canzoni di “benvenuto” e dell’”arrivederci” hanno il compito di favorire
l’apprendimento della corretta intonazione dell’intervallo DO-SOL attraverso un piccolo
rituale ripetuto nel corso dell’anno.
Testo della canzone di benvenuto:
DOREMIFASOL
SOLFAMIREDO
CIAO BAMBINI CIAO
CIAO MAESTRA CIAO
OGGI SONO QUA
OGGI SIAMO QUA
SI COMINCIA GIÀ
SI COMINCIA GIÀ
MUSICA!
Testo della canzone dell’arrivederci:
DOREMIFASOL
SOLFAMIREDO
CIAO BAMBINI CIAO
CIAO MAESTRA CIAO
OGGI SONO QUA
OGGI SIAMO QUA
È FINITA GIÀ
È FINITA GIÀ
MUSICA!
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6.2.2 GRUPPO “I TIGROTTI” (Età 5 anni)
I bambini che hanno scelto di partecipare all’attività musicale sono gli stessi bambini che
ho seguito lo scorso anno nel gruppo “i coniglietti”, ho potuto quindi svolgere con loro un
percorso di “educazione musicale” che l’anno scorso era basato sul ritmo e l’educazione
dell’orecchio e della voce, mentre quest’anno i bambini hanno manifestato da subito il
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desiderio di imparare a conoscere e “scrivere” le note musicali e conoscere gli strumenti
musicali.
Ho suddiviso
quindi il piano di lavoro in 5 aree tematiche su cui ho lavorato
alternativamente per tutto l’anno scolastico:
1. ALLA SCOPERTA DELLE NOTE MUSICALI.
2. GLI STRUMENTI MUSICALI.
3. L’ORCHESTRA, UNA FAMIGLIA.
4. MILLE VOCI, UNA VOCE: IL CORO.
5. CUCCIOLI DELLA GIUNGLA (musica e psicomotricità).
Le finalità specifiche su cui si lavorerà saranno quindi:
• L’Educazione dell’orecchio.
• L’Educazione della voce.
• La Lettura della Notazione Melodica.
• La conoscenza dei principali strumenti musicali.
• Il corpo in movimento con la musica.
OBIETTIVI DEL CORSO
A.
Per l’EDUCAZIONE dell’ORECCHIO E DELLA VOCE:
Coordinazione
SIMBOLO-GESTO-SUONO:
attraverso giochi di movimento e a comando il
bambino impara a sviluppare la sua capacità di attenzione al direttore del gioco, la sua
prontezza di riflessi, la coordinazione motoria.
• Educazione dell’orecchio: il TIMBRO. Conosciamo alcuni strumenti e impariamo
a riconoscerli all’interno di brani semplici.
• Prime simbolizzazioni con disegni e gesti; drammatizzazione di brevi brani
musicali.
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• Sviluppo dell’abilità vocale tramite canti per imitazione gestualizzati e canti
accompagnati da danze.
• Intonazione delle note do-re-mi-fa-sol-la-si-do.
B.
Per la LETTURA della NOTAZIONE MELODICA:
• Conoscenza del Pentagramma e della Chiave di Violino.
• Intonazione melodica e collocazione delle note conosciute nel pentagramma.
Alla scoperta delle note musicali
Ho proposto ai bambini la canzone “La scalata delle note” tratta dal libro “Cori di
bimbi”(Ed. Curci). Questa canzone ha catturato subito il loro interesse ed è stato il punto
di partenza per l’avvio alla conoscenza delle note e della scrittura musicale.
Inizialmente ho proposto ai bambini dei disegni specifici per allenarsi a disegnare dei
cerchi; i bambini di 5 anni infatti non hanno ancora acquisito tale abilità manuale e la loro
difficoltà nello scrivere le note sul pentagramma inizialmente si basa su questo.
Ho quindi proposto loro in più occasioni i seguenti disegni tratti dal testo “Musica
Maestro” di Betty Reggiani (ed. Curci) in modo da favorire gradualmente l’acquisizione
del disegnare cerchi all’inizio grandi poi sempre più piccoli.
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Parallelamente ho iniziato a insegnare ai bambini a scrivere le 7 note sul pentagramma a
grandezza di foglio A4.
Inizialmente le singole note poi a due a due…
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Poiché la canzone “La scalata delle note” sarà l’oggetto della recita di fine anno ogni
bambino ha scelto di essere e rappresentare una nota musicale. Ciascuno ha disegnato su
un foglio A4, in cui ho prima disegnato un pentagramma, la propria nota musicale.
Questi disegni ci sono serviti per realizzare un cartellone delle Note Musicali.
Per quanto riguarda la scrittura ho continuato a proporre ai bambini delle schede in cui i
cerchi vengono un po’ rimpiccioliti e le note scritte gradualmente dal do al sol.
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Infine come verifica ho proposto delle schede in cui si chiede il riconoscimento delle note
scritte:
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Infine abbiamo provato a disegnare la chiave di violino: per 5 bambini è stato facile, per
altri decisamente no. Ho comunque proposto loro questo disegno da colorare per imparare
a riconoscerla.
L’apprendimento della scrittura è stato buono per 12 bambini, scarso per due perché per
motivi di salute o familiari erano quasi sempre assenti da scuola.
Parallelamente alla scrittura ho proposto ai bambini degli esercizi al pianoforte per
l’intonazione melodica e la collocazione delle note conosciute nel pentagramma.
Purtroppo ci sarebbe voluto più tempo a disposizione per ciascun bambino, per educare la
voce, ma il livello di intonazione raggiunto dal gruppo insieme è comunque buono.
GLI STRUMENTI MUSICALI
Ho proposto ai bambini l’ascolto di alcuni brani in cui dovevano riconoscere lo strumento
utilizzato. Poi gradualmente ho proposto dei disegni da colorare a seconda dello strumento
che presentavo. Alcuni strumenti, come il pianoforte, la chitarra, il flauto, il violino, la
batteria, il sassofono, sono stati presentati dal vivo ai bambini durante degli incontri in cui
ho chiesto la collaborazione di musicisti specializzati in uno determinato strumento (alcuni
erano i genitori stessi di bambini della scuola).
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L’ORCHESTRA, UNA FAMIGLIA
Dopo l’ascolto di alcuni brani in cui suonavano insieme i diversi strumenti, che i bambini
facevano ovviamente fatica a distinguere e a riconoscere, ci siamo brevemente soffermati
sull’orchestra, sul significato di suonare insieme strumenti diversi per realizzare una
composizione (progetto) in comune. Ognuno ci mette del proprio, ma per suonare bene
insieme è necessario ascoltare gli altri, ed osservare il direttore che guida l’orchestra.
MILLE VOCI, UNA VOCE: IL CORO
Con la canzone “La scalata delle note” abbiamo lavorato sull’intonazione, ma anche
sull’importanza di cantare bene insieme.
Ho proposto ai bambini questo semplice disegno di un coro di piccoli cantori. Ho
invitato ogni bambino a identificarsi in uno dei cantori disegnati e a scrivere accanto il
proprio nome, poi a identificare negli altri cantori i compagni.
Per loro è stato un momento divertente!
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CUCCIOLI DELLA GIUNGLA
Ogni tanto era difficile riuscire a contenere l’esuberanza e la vivacità di tutto il gruppo.
In quei momenti, soprattutto nei giorni di pioggia, ho proposto loro dei percorsi motori
con l’utilizzo di cerchi, tappetini, panche, tavolini, in cui veniva loro richiesto di fare il
percorso imitando i movimenti degli animali della giungla da loro preferiti (ispirati al film
“Il libro della giungla”): l’orso Baloo, la pantera Baghera, la tigre Share Kan, la scimmia
Luigi, il serpente Ka, l’elefante Ati.
Il sottofondo musicale era la colonna sonora del film “Il libro della giungla”.
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Infine la canzone “La scalata delle note” sarà proposta alla recita di fine anno cantata e
mimata (drammatizzata) dai bambini, ognuno dei quali rappresenta una nota musicale.
Ogni bambino scriverà su una maglietta il suo nome e il nome della nota da lui
rappresentata.
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6.2.3 GIOCHI MUSICALI PROPOSTI
1. Riesco a osservare il silenzio?
I bambini si siedono a coppie l’uno di fronte all’altro e si devono guardare fisso negli
occhi senza ridere, in assoluto silenzio. La coppia che ride viene squalificata. Questo
gioco, molto gradito ai bambini, è utile per dimostrare loro che, quando vogliono, sanno
controllarsi perfettamente ed apprezzare la magia del silenzio.
2. Il gioco del direttore d’orchestra
Per introdurre il concetto di attacco e interruzione del suono, giochiamo a riprodurre
un’orchestra. Al comando dell’insegnante (il direttore) i bambini imitano con la voce e
con i gesti gli strumenti. Il direttore richiede attenzione e silenzio senza l’uso della voce,
dà il segnale di attacco, infine comanda il silenzio. Con una bacchetta per dirigere ogni
bambino a turno proverà a fare il direttore.
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3. Il dizionario dei suoni e dei rumori
Con l’aiuto del cd allegato al testo “Il dizionario dei suoni e dei rumori” di …i
bambini sentono e imparano a discriminare tra suono e rumore e a riconoscere i rumori
dei vari ambienti. Più stimolante se si dividono i bambini in squadre e si fa una gara a
chi ne indovina di più.
4. Disegniamo il rumore e il silenzio
Ogni bambino potrà disegnare ciò che per lui rappresenta il silenzio e ciò che per lui
rappresenta il rumore.
5. Riconosciamo la nostra voce?
Si predispongono due spazi separati da un pannello o da una tenda; si scelgono 3-4
bambini alla volta che andranno a prendere posto dietro il pannello, ben nascosti alla
visuale dei compagni. Il bambino che verrà toccato dall’insegnante dovrà dire la
“parola magica” e i bambini che stanno al di là del pannello dovranno dire il nome del
bambino che ha detto la “parola magica”.
6. Il gioco delle sedie
Si balla tutti insieme e quando la musica si ferma i bambini si precipitano a sedersi ma
ne resta escluso uno perché manca una sedia. Si può eseguire in diverse varianti:
•
l’insegnante fa partire la musica: i bambini ballano; l’insegnante fera la
musica: i bambini cadono per terra come addormentati in completo
silenzio;
•
con i cerchi che si utilizzano in psicomotricità o nell’ora di ginnastica: i
bambini devono correre dentro i cerchi ma ne resta escluso uno perché
manca un cerchio;
•
altre varianti…
7. Riconosciamo il piano e il forte?
I bambini imparano a distinguere un suono piano da una forte: si può utilizzare la
tastiera, un cd preparato appositamente con suoni piano e forte, oppure far ascoltare un
brano di musica classica (Finale della Sinfonia n.38 in Re magg. K.504 “Praga” di
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Mozart: quando i bambini sentiranno il forte dovranno alzare le braccia, quando
sentiranno il piano dovranno abbassarle. Oppure si utilizza la voce stessa dei bambini
che a seconda del movimento delle braccia dell’insegnante canteranno piano o forte.
8. Crescendo e diminuendo
Sempre utilizzando la voce stessa dei bambini, con una canzone l’insegnante dirige e
seguendo i movimenti delle sue braccia, i bambini dovranno aumentare o diminuire il
“volume”. A turno proveranno poi loro a fare il direttore del coro.
9. Riconosciamo i suoni gravi e acuti?
L’insegnante fa ascoltare i suoni dei registri grave e acuto del pianoforte . I bambini
camminano o danzano con le braccia in giù quando percepiscono suoni gravi, con le
braccia verso l’alto quando percepiscono suoni acuti.
10. Lento e veloce
L’insegnante propone tre diverse canzoncine da cd oppure accompagnamenti alla
tastiera o con il tamburo chiedendo ai bambini di ascoltarli attentamente e di eseguire,
in corrispondenza di ciascuno, un passo diverso:
•
esecuzione lenta: passo della tartaruga (gattonare lentamente)
•
esecuzione media: passo della paperotta (saltelli cadenzati)
•
esecuzione veloce: passo della lepre ( corsa sul posto)
I bambini verranno disposti in fila ed il “capotreno” avrà la responsabilità di cambiare
il passo guidato dal proprio ascolto.
11. Gli strumentini
Più che un gioco si tratta di un percorso in cui ai bambini viene presentato di volta in
volta uno strumentino, viene insegnato loro il nome corretto e come si tiene e si suona
correttamente. Verranno poi utilizzati durante le canzoni.
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7. Risultati e discussione
Opportuna e necessaria è senza dubbio la verifica e la valutazione conclusiva del
lavoro svolto, che diventa la somma delle esperienze, informazioni, abilità, conoscenze di
cui il bambino si è appropriato nel corso degli anni di scuola, e che dovrebbe in qualche
modo emergere al termine.
Le attività di verifica sono state dunque diversificate nei contenuti, ma possono
svilupparsi mediante l’utilizzo dei seguenti strumenti e seguendo alcune indicative
modalità.
1. Elaborazione di una scheda singola per ciascun bambino, nella quale sono stati
notati i comportamenti degli alunni, l’abilità acquisita, la scioltezza e la
spontaneità di fronte alla proposta.
2. Discussione e confronto tra le educatrici per una valutazione dei risultati e
proposte per aggiustamenti della programmazione.
Poiché si tratta di un progetto di tirocinio pensato e articolato in 3 anni ho avuto
l’autorizzazione da parte della Scuola d’Infanzia di presentare le schede dei bambini
solamente nella tesi finale, avendo la possibilità di mettere a confronto il percorso
formativo che ciascun bambino ha compiuto in questo arco di tempo.
Un ulteriore momento di verifica è stato attuato con le famiglie dei bambini.
Inizialmente avevo pensato di realizzare un questionario da presentare e consegnare ai
genitori in modo tale che potessero rispondere a casa magari assieme per essere anche
un’occasione di dialogo e confronto tra i due genitori.
Per motivi di organizzazione ho dovuto optare per una serie di domande che ho proposto
ai genitori, generalmente le mamme, durante le ore di ricevimento previste dalla scuola.
Non si è trattato di un accertamento rigorosamente scientifico, anche perché non
tutti i genitori si sono presentati nelle ore di ricevimento, ma più che altro di un riscontro
aperto, in cui ho proposto al genitore alcune domande sul comportamento musicale del
bambino anche in famiglia e nella sua vita quotidiana, in momenti lontani dalla scuola.
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QUESTIONARIO PER I GENITORI
L’educazione musicale proposta a scuola ha una risonanza in famiglia e all’esterno?
Cognome e nome del bambino …………………………………………… età …………
1. Da quanto tempo frequenta il Nido o la Scuola d’Infanzia?
2. Il bambino parla in casa dell’attività musicale che svolge a scuola?
3. Il bambino si muove spontaneamente in seguito a stimolazioni sonore di:
•
un suono o un rumore particolare?
•
un brano musicale qualsiasi?
4. Il bambino presta attenzione al mondo sonoro che lo circonda?
•
rumori o suoni particolari della casa (cucina-bagno, ecc.)?
•
rumori o suoni della natura?
•
rumori o suoni dell’ambiente esterno tipici del lavoro dell’uomo (traffico,
cantiere edile, ecc)?
5. Ricerca la sonorità di oggetti di uso comune?
6. Inventa canzoncine e filastrocche o riproduce spontaneamente quelle imparate a
scuola?
7. Improvvisa “concertini” con strumenti occasionali (matite, barattoli, coperchi,
ecc.)?
8. Si costruisce strumenti per suonare?
9. Ha degli strumenti ha a disposizione a casa (xilofono, tastiera, chitarra,
tamburi…)?
10. Interpreta con movimenti corporei appropriati brani musicali diversi (es. musica
classica, musica rock)?
11. Che genere di musica ascoltate insieme a lui/lei quando viaggiate in auto o siete in
casa?
Le risposte a tali domande erano aperte e libere in sede di colloquio individuale
(più raramente erano presenti entrambi i genitori). Tutti i genitori hanno riferito che i
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bambini erano entusiasti delle “lezioni di musica” e che attendevano con gioia il
giorno della settimana in cui “c’è musica”.
Questo è stato, oltre a fonte di gratificazione personale, anche un dato importante
per la Scuola, poiché è il secondo anno che propongono l’attività di propedeutica
musicale per i bambini della scuola materna (hanno sempre proposto solamente
l’inglese, la psicomotricità e la danza-gioco), e l’attività di “gioco-musica” per i
bambini del Nido.
Per il prossimo anno, se il questionario venisse dato alle famiglie, penserei di
limitare le risposte a SI’, NO, UN POCO da barrare con una crocetta, e poi farmi
restituire il questionario in sede di ricevimento e approfondirlo con altre domande a
risposta aperta.
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8. Conclusioni
Il lavoro di quest’anno presso il Centro Infanzia doveva essere una continuazione del
progetto di musica iniziato lo scorso anno. Purtroppo si sono verificati degli “imprevisti”.
Poiché i genitori all’inizio dell’anno scelgono quale corso far frequentare al proprio figlio
tra inglese, danza e musica, quest’anno solo il gruppo dei Tigrotti (5 anni) era
riconfermato in toto dallo scorso anno. Dei bambini di 3 anni invece non c’è stata
riconferma da parte di nessuno. Questo all’inizio mi ha un po’ rattristato e mi sono chiesta
il motivo per cui, dopo che alla fine dello scorso anno avevo avuto dimostrazioni di alto
gradimento ed entusiasmo da parte dei bambini e dei loro genitori, la scelta all’inizio di
quest’anno fosse stata quella di non continuare il laboratorio di musica. Parlando con
insegnanti e alcuni genitori ho potuto verificare che tale scelta è stata dettata dal pensiero
che l’inglese, tra tutte le proposte, sia quella comunque più sensata e utile per i bambini al
giorno d’oggi. Una risposta discutibile che comunque ha suscitato in me il desiderio di dar
via a un progetto di sensibilizzazione della popolazione della città riguardo all’importanza
della musica per lo sviluppo psicologico, emotivo e cognitivo del bambino.
Il gruppo dei Tigrotti mi ha dato comunque molte soddisfazioni. Mentre lo scorso anno
a 4 anni di età, i bambini erano poco inclini a proporre di loro iniziativa qualche attività o
ad esprimere i loro desideri ma accettavano sempre ciò che veniva loro proposto,
quest’anno la scelta del percorso musicale suddiviso in 5 aree tematiche è stata effettuata
in base a loro specifiche richieste. Si sono inoltre sempre sentiti liberi di dire quando un
gioco, una canzone, un’attività piaceva loro oppure no e il rapporto con me è stato davvero
gratificante dal punto di vista umano, di educatrice e di insegnante.
L’esperienza all’asilo nido lo scorso anno è stata per me entusiasmante. Quest’anno si
è dovuto sospendere l’attività a causa di lavori di ampliamento e ristrutturazione degli
ambienti del centro. Ma mi è stato chiesto dalla direzione di progettare degli incontri per
genitori e bambini da 0 a 36 mesi a partire da settembre; il progetto si chiamerà “Ninna
mamma” e avrà come argomento l’importanza della ninna nanna e del canto materno nella
relazione madre-bambino. Inoltre riprenderà la proposta educativa di inserire la musica tra
le attività dei più piccoli come iniziato lo scorso anno.
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L’esperienza alla scuola materna di Lutrano è stata importante anche se mi sono
scontrata con una realtà difficile, con ostilità da parte delle insegnanti che consideravano
la musica un “perder tempo”, poco interesse da parte dei bambini stessi che non erano
abituati all’ascolto e a proposte musicali di alcun tipo, e allo scarso interesse da parte dei
genitori. Probabilmente però il prossimo anno mi verrà riproposto dal dirigente della
scuola di ripetere l’esperienza;non so se accetterò, perché è stato un lavoro portato avanti
con fatica e frustrazione perché ogni tipo di proposta è sta accettata dalle educatrici
sempre “sbuffando”…
Ho iniziato una formazione specifica per l’educazione musicale per la fascia d’età 0-3
che mi entusiasma e in cui intendo proseguire. Spero di avere la possibilità di poter
partecipare a più incontri formativi, a cui quest’anno per motivi familiari ho dovuto
rinunciare.
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9. Bibliografia
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