4 Corriere Eventi C ORRIERE DELLA S ERA U M ARTEDÌ 9 M AGGIO 2006 L’EVOLUZIONE DI UNA SCENA I DISEGNI PREPARATORI Inizialmente (prima foto) Raffaello prende spunto dallo stile del suo maestro, il Perugino. Ma la composizione gli appare statica, legata all’iconografia del Compianto. Attraverso lo studio di Mantegna e dei sarcofagi antichi, si confronta con le scene più dinamiche di Leonardo e Michelangelo. Si passa così al Trasporto (le altre due foto) IL Q UADRO Dietro la Deposizione, una faida di famiglia Atalanta Baglioni volle celebrare il figlio morto. E il pittore prese spunto da Leonardo e Mantegna P oco più di un secolo dopo il suo compimento, la notte tra il 18 e il 19 marzo 1608, il Trasporto di Cristo al sepolcro, tavola centrale della pala dipinta da Raffaello per la cappella Baglioni nella chiesa di San Francesco al Prato a Perugia, fu oggetto di un clamoroso e romanzesco trafugamento. Un vero e proprio ratto, organizzato per conto del cardinale Scipione Borghese, nipote del pontefice Paolo V, con la forzata complicità dell’allora governatore di Perugia, del padre provinciale dei Minori Conventuali e dei tre frati più anziani del convento, i quali avevano peraltro espresso al cardinale forte preoccupazione per il sinistro concetto che ne prenderebbe la città vedendo che egli si privino della più bella cosa ch'abbino. Qualche settimana più tardi, quando non fu più possibile tenere celata la sparizione del dipinto, scoppiò in effetti il pubblico tumulto e all’inizio di aprile il Consiglio dei Priori delle Arti e dei Cambi inviò una petizione al papa e al cardinale per esprimere il dispiacere et sdegno universale contro i frati che avevano privato la città di una delle più belle opere che dipinse la felice mano di Raffaello da Urbino. Ogni protesta risultò naturalmente vana. Al Consiglio dei Priori fu anzi comunicato che il cardinale, informato dei tumulti, aveva manifestato grandissimo disgusto et sdegno et contro il pubblico et contro molti particolari, parendoli che il tutto si facci per disprezzo della persona sua. La controversia si concluse rapidamente con il motu proprio del pontefice Paolo V (11 aprile 1608) che stabiliva la donatione pura, mera, perpetua et irrevocabile del dipinto al Cardinal Nepote. La vicenda documenta in modo esemplare il mutare tanto della funzione quanto delle ricezione da parte del pubblico del dipinto di Raffaello, concepito come parte dell’arredo liturgico di una cappella funeraria e divenuto, un secolo più tardi, oggetto di contesa tra i tumultuanti perugini, che lo consideravano ornamento precipuo della città nonché bene inalienabile, e lo spregiudicato cardinale che l’aveva loro sottratto per collocarlo come gemma preziosa nella sua quadreria principesca. A Perugia erano allora presenti numerose altre opere di Raffaello, la cui fama già intorno alla metà del primo decennio del secolo andava soppiantando quella della gloria locale, il Perugino. Tra queste, la pala della Incoronazione della Vergine per la cappella Oddi sempre in San Francesco al Prato (ora nella Pinacoteca Vaticana), la Madonna Connestabile (ora all’Ermitage di San Pietroburgo), la Pala Colonna per le monache del convento di Sant’Antonio (ora nel Metropolitan Museum di New York), la Pala Ansidei (ora nella National Gallery di Londra), oltre all’affresco raffigurante la Trinità e santi nella chiesa di San Severo. Nessuna godeva però del prestigio e della universale ammirazione della Pala Baglioni che, per le circostanze stesse della sua commissione, risultava tra l’altro legata alla storia di Perugia e, in particolare, a sanguinose vicende che avevano, qualche anno addietro, coinvolto membri della medesima famiglia nella lotta per il potere sulla città. Il Vasari descrisse il dipinto con espressioni di viva ammirazione e a lui risale, oltre alla tradizionale identificazione della committente con Atalanta Baglioni, un accenno alle sue particolari intenzioni, di cui l’artista avrebbe tenuto conto nel dipingere la tavola. Atalanta era madre di Grifonetto Baglioni, il quale, la notte del 3 luglio 1500, aveva preso parte a una congiura che condusse all’assassinio, nel sonno, del «tiranno» Guido Baglioni e di suo figlio Astorre, condottiero pontificio. Alla strage tuttavia scampò Giampaolo, un altro figlio di Guido che, ripreso il controllo della città, riuscì a catturare e a far trucidare i congiurati. Atalanta, che alla notizia dell’eccidio compiuto dal figlio lo aveva maledetto, era in seguito accorsa accanto a lui morente insieme con la nuora Zenobia. Nella versione finale, il dipinto (datato di PIERLUIGI DE VECCHI 1507) è il frutto di una lunga e complessa elaborazione, che è possibile in gran parte ricostruire grazie ai numerosi disegni preparatori giunti fino a noi. Inizialmente Raffaello, in accordo con le intenzioni e le aspettati- UN DIPINTO CHE DIVIDE C’è chi si entusiasmò per la gestualità perfetta e chi la giudicò un esercizio stilistico troppo cerebrale ve della committente, studiò il tema del «compianto», prendendo spunto da una delle opere più celebri e ammirate del Perugino, il Compianto su Cristo morto dipinto nel 1495 per il monastero fiorentino di Santa Chiara. Si propose però di accentuarne la carica espressiva in quanto lo schema compositivo del Perugino doveva apparirgli troppo inerte e allentato di fronte a esempi di rappresentazione drammatica, con numerose figure coinvolte in una azione, come quelli che proponevano in quegli anni a Firenze Leonardo e Michelangelo. Evidente appare, soprattutto nei disegni, l’intento di conferire forte individualità ai personaggi attraverso la gestualità e l’espressione degli affetti e delle passioni, Dal tema prevalentemente lirico e con- DINAMICO La «Deposizione Borghese», detta anche «Trasporto di Cristo al sepolcro» per il movimento che Raffaello riuscì a conferire alla scena templativo del «compianto» si passa così gradualmente a quello più dinamico e drammatico del «trasporto». La trasformazione risulta ormai compiuta in un disegno ora al British Museum, con i portatori in movimento, la Maddalena che si china a baciare la mano di Cristo come in un estremo saluto e la Vergine che segue il corteo insieme con due delle pie donne. Raffaello trae ora spunto da altre fonti figurative, in particolare una incisione del Mantegna e il rilievo di un sarcofago romano raffigurante il Trasporto della salma di Meleagro, già menzionato dall’Alberti nel De Pictura come esempio di soggetto particolarmente adatto alla pittura di storia. Si fa strada prepotentemente l’aspirazione del giovane artista a competere sul terreno della rappresentazione drammatica ed eroica con i suoi grandi modelli contemporanei, Leonardo e Michelangelo. Il tema del «compianto» probabilmente meglio rispondeva alle intenzioni di Atalanta, che vedeva rispecchiato nello strazio di Maria il suo dolore di madre, ma quello del «trasporto» dovette comunque essere da lei accettato, purché accompagnato dal motivo dello «spasimo», lo svenimento della Vergine, solitamente connesso con l'andata al Calvario o con la Crocifissione. Si giunge così alla messa a punto definitiva dell’immagine, con una quasi ostentata ricerca di varietà nelle attitudini e nella mimica delle figure e con citazioni non solo dal sarcofago di Meleagro e dall’incisione mantegnesca, ma da opere recentissime di Michelangelo, come la Pietà vaticana, per il corpo di Cristo, l’incompiuta statua di San Matteo, per uno dei portatori, e il Tondo Doni, per il gruppo dello svenimento della Vergine. Ogni motivo appare però rivissuto e trasformato in un nuovo contesto, come se l’artista avesse ricercato intorno a sé le forme più rispondenti alla sua visione. Risulta evidente il proposito di Raffaello di condensare le potenzialità drammatiche dell’immagine in forme assolute ed esemplari — «classiche» nel senso più pregnante del termine — anticipando l’elaborazione di quello «stile tragico» che troverà piena espressione a Roma, qualche anno più tardi, nell’Incendio del Borgo o nei cartoni per gli arazzi destinati alla cappella Sistina. Proprio nell’attentissima definizione della mimica e della gestualità dei personaggi va riconosciuta la radice sia dell’entusiasmo suscitato dal dipinto presso i contemporanei e fino in epoca neoclassica e romantica — dal Winckelmann a Jacob Burckhardt e da Ingres a Géricault — sia di talune riserve formulate in tempi a noi più vicini, con accuse di cerebrale esercizio stilistico o di enfasi statuaria e declamatoria: riserve che appaiono assai meno incidenti oggi, grazie anche ai recenti interventi di restauro che hanno consentito di riportare in evidenza come i rapporti tra i gruppi e i personaggi siano mirabilmente calibrati, oltre che dallo studio dei moti e delle attitudini, da una stesura cromatica particolarmente brillante, per piani luminosi e quasi smaltati, che conferiscono alle figure un risalto di straordinaria energia, mentre la veduta di paese sullo sfondo sembra accompagnare dolcemente il ritmo solenne dell’azione. Pierluigi De Vecchi è professore di iconologia alla Statale di Milano