APRI PDF - Processo Penale e Giustizia

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Processo penale e giustizia n. 5 | 2016
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PAOLA FELICIONI
Professore associato di Diritto processuale penale – Università degli Studi di Firenze
L’acquisizione da remoto di dati digitali nel procedimento
penale: evoluzione giurisprudenziale e prospettive di riforma
Remote digital data capture in criminal proceedings: evolution of
the case-law and prospects for reform
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, consapevoli delle caratteristiche tecniche, della capacità intrusiva e delle potenzialità cognitive del c.d. “captatore informatico” compongono il contrasto giurisprudenziale sull’impiego di
tale strumento tecnologico nelle indagini preliminari, operando una limpida esegesi del dato normativo in materia
di intercettazioni di comunicazioni e di conversazioni tra presenti con riferimento alla disciplina sia codicistica, sia
speciale relativa ai reati di criminalità organizzata. Se l’uso del virus trojan è ammissibile nell’ambito della disciplina
eccezionale dettata dall’art 13, d.l. n. 152/1991 per i reati di criminalità organizzata, della quale la Suprema Corte
accoglie una nozione che appare eccessivamente ampia, il ricorso a tale insidioso strumento informatico, difficilmente controllabile, rimane inibito nei procedimenti per tutti gli altri reati. La sentenza delle Sezioni Unite costituisce un inevitabile intervento volto a supplire all’inerzia parlamentare e deve essere letta soprattutto come importante sollecitazione al legislatore, chiamato a disciplinare la materia facendosi carico dei problemi, vecchi e nuovi,
che caratterizzano questa peculiare species di prova scientifica.
The Joint Sections of the Supreme Court are aware of the technical characteristics, the intrusiveness and the
cognitive potential of the Remote Control System. In this context, they settle the judicial dispute on the use of
this technological tool during the preliminary investigation; they offer a clear interpretation of the legislation related to interception of communications and conversations between the participants both with reference to the procedural code discipline, and with the special regulation concerning racketeering crimes. If the use of Trojan virus
is admissible under the exceptional rules laid down by Art. 13, Decree Law n. 152 of 1991 concerning racketeering crimes (related to an overly broad definition of racquet which the Supreme Court accepts) the use of this insidious IT tool, which is difficult to control, it remains inhibited while the proceedings deals with common crimes.
The decision of the Joint Sections represents an inevitable haven which is necessary to compensate the inertia of
the Parliament; it should be read, above all, as an important reminder to the legislator, who is demanded to regulate the topic and take charge of the all the issues, old and new ones, that characterise this peculiar species of
scientific evidence.
INDAGINI INFORMATICHE OCCULTE MEDIANTE “VIRUS TROJAN”: UNA VICENDA COMPLESSA NON ANCORA
DEFINITA
Internet e gli strumenti digitali hanno trasformato il modo di essere degli individui consentendo sviluppi dell’identità umana impensabili anche in un passato recente 1: sono mutate le relazioni sociali e
cresce l’esposizione pubblica della sfera privata 2. La tecnologia informatica ha determinato cambiamenti epocali in ogni settore della vita umana dando origine ad una società informatica immersa in un
mondo virtuale (cyberspace) in continua evoluzione 3.
La scienza e la tecnologia progrediscono con ritmi serrati; i prodotti tecnologici si rinnovano con tale
1
A. Scalfati, Un ciclo giudiziario “travolgente”, in Processo penale e giustizia, 4, 2016, p. 114.
2
E. Andolina, L’ammissibilità degli strumenti di captazione dei dati personali tra standard di tutela della privacy e onde eversive, in
Arch. pen., 2015, 3, p. 1.
3
D. Curtotti, Le ragioni di un confronto di idee, in Arch. pen., 3, 2013, p. 765.
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rapidità che l’uomo, spesso impreparato, deve imparare in fretta a gestire le innovazioni senza avere
contezza della portata delle stesse. Se già la riflessione del rapporto tra era digitale e individuo crea disagio 4, l’inquietudine aumenta ove si consideri l’impatto della prova digitale e delle nuove tecnologie
informatiche sul processo penale.
In particolare, con riferimento alle indagini preliminari occorre sottolineare la formidabile efficacia
investigativa della prova digitale che si connota per un ambito operativo potenzialmente illimitato: infatti la prova informatica è idonea a fornire informazioni rilevanti ai fini della ricostruzione del fatto
storico con riferimento a qualunque reato. L’art. 14 comma 2 della Convenzione del Consiglio d’Europa
sul Cybercrime fatta a Budapest il 23 novembre 2001 ha delineato regole procedurali applicabili alla repressione sia di reati commessi contro sistemi informatici o compiuti attraverso l’impiego dei medesimi, sia alla ricerca di prove elettroniche di qualunque reato 5. L’avvento dell’era digitale ha prodotto
nuove minacce criminali e ha modificato la fisionomia delle forme di manifestazione della delinquenza
determinando una crescita esponenziale della frequenza con cui gli illeciti comuni sono compiuti attraverso lo strumento digitale: in altri termini, la prova del reato si rinviene nel sistema informatico che
diventa fonte di prova reale 6.
In tale prospettiva vengono in considerazione le captazioni occulte di dati digitali e il rapporto di costante tensione tra esigenze di repressione del reato e diritti fondamentali della persona: occorre porre
in evidenza l’emergere, nell’ambito dei nuovi strumenti informatici impiegabili durante le indagini preliminari, di un mezzo investigativo che si caratterizza per la straordinaria capacità intrusiva nella sfera
intima della persona. Si tratta del c.d. captatore informatico, variamente definito dalla dottrina e dalla
giurisprudenza con locuzioni evocative dell’incidenza dello strumento sui diritti fondamentali (ad
esempio, “trojan horse”, “virus trojan”, “virus di Stato”, “agente intrusore”, “virus auto-installante”, “intruso informatico” “Remote Control System”, “microspie telematiche”); appaiono talvolta più neutri i
termini utilizzati nelle proposte di legge per la disciplina di tale mezzo, come “captatore legale”.
In sintesi, lo strumento de quo è capace di inserirsi in qualunque dispositivo elettronico captandone
l’intero contenuto e tutto ciò che vi transita 7: voci, immagini, archivi, frequentazioni on line 8. Più precisamente il captatore informatico consiste in un software, o meglio un malware 9 che, dopo l’installazione
surrettizia all’interno di un sistema informatico da monitorare (personal computer portatile o fisso, tablet,
smartphone), consente ad un centro remoto di comando di prenderne il controllo in termini sia di download, sia di upload di dati e di informazioni di natura digitale. Occorre chiarire che il programma virus
trojan è costituito da due moduli principali: un programma server di piccole dimensioni che infetta il dispositivo target ed un programma client che si serve del “pirata” per controllare il dispositivo infettato 10.
Meritano rilievo i due momenti in cui si scandisce l’operatività del captatore informatico: l’installazione del virus e la trasmissione delle informazioni carpite on line le quali delimitano la capacità cognitiva dello strumento. Quanto alla prima fase 11, si evidenzia che i programmi spia possono essere inoculati nel sistema informatico cui si mira attraverso una aggressione di tipo software o di tipo hardware:
4
L. Maffei, Elogio della lentezza, Bologna, 2014, p. 16, evidenzia l’esistenza, nella filogenesi del cervello, di meccanismi rapidi
del pensiero riconducibili ai meccanismi ancestrali, automatici o quasi automatici, di risposta dell’uomo all’ambiente: si tratta
del c.d. “pensiero rapido” o “digitale” la cui eccessiva prevalenza, che può comportare soluzioni e comportamenti errati, nonché pregiudizi all’educazione e al vivere civile, spinge a riconsiderare le potenzialità del c.d. “pensiero lento”, basato essenzialmente sul linguaggio e sulla scrittura.
5
M. Daniele, Intercettazioni e indagini informatiche, in R.E. Kostoris (a cura di), Manuale di procedura penale europea, Milano,
2015, p. 385.
6
M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, in Dir. pen. proc., 9, 2015, p.
1163.
7
M. Trogu, Sorveglianza e “perquisizioni on line” su materiale informatico, in A. Scalfati (a cura di), Le indagini atipiche, Torino,
2014, p. 431.
8
A. Scalfati, Un ciclo giudiziario “travolgente”, cit., p. 115.
9
Si tratta di un concetto di genere che comprende tutte le varie species di virus conosciuti tra cui i trojan: M. Torre, Il virus di
Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 1164.
10
M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 1164.
11
Tale fase detta “inoculazione” è piuttosto complessa poiché né l’utente, né il sistema operativo della macchina ed eventuali
antivirus non devono avvedersene: A. Testaguzza, Digital forensics. Informatica giuridica e processo penale, Padova, 2015, p. 84.
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nell’un caso l’installazione avviene da remoto attraverso l’invio di virus trojan ossia programmi camuffati da sms, email, applicazioni di aggiornamento che vengono scaricati e installati dall’inconsapevole
destinatario; nell’altro caso l’installazione dei programmi spia si concretizza in un intervento fisico a livello hardware sul dispositivo bersaglio che sia rimasto incustodito.
Quanto alla seconda fase relativa alla trasmissione dei dati d’interesse che sono stati acquisiti, si consideri che tali programmi agiscono senza rivelare la propria presenza all’utente e comunicano attraverso internet in modalità nascosta e protetta al centro remoto di comando che li gestisce: essi catturano ciò
che viene digitato sulla tastiera e visualizzato sullo schermo, captato dal microfono, visto attraverso la
webcam, filmato con la videocamera del sistema controllato: possono cercare tra i file presenti sul computer infettato o su altri connessi in rete locale 12.
Dalle sintetiche riflessioni introduttive svolte emerge la delicatezza della complessa materia su cui è
intervenuta la sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite oggetto della presente riflessione: in proposito si rivelano alcune criticità tecnico-operative che riverberano i propri effetti sull’inquadramento
giuridico, ancora in via di definizione, della peculiare indagine informatica in discorso.
Certamente la pronuncia delle Sezioni Unite è destinata ad aver ampia risonanza e ha suscitato, già
successivamente all’informazione provvisoria relativa alla decisione adottata il 28 aprile 2016 nell’attesa
delle motivazioni, reazioni diverse, seppure accomunate dall’auspicio di un tempestivo intervento legislativo: vi è chi ha posto in luce la limitatezza d’interpretazione della Suprema Corte che si è cimentata
solo sul tema delle intercettazioni tra presenti nel domicilio, senza considerare le altre potenzialità invasive del captatore informatico 13; un’altra lettura, inizialmente cauta, ha sottolineato come la Suprema
Corte, avvertito il pericolo per la riservatezza dell’indagato e dei terzi con lui comunicanti, abbiano inibito lo strumento del captatore per i reati “ordinari” non di criminalità organizzata della quale, tuttavia,
appare troppo ampia la nozione 14; tuttavia, dopo il deposito delle motivazioni, tale lettura ha assunto
toni assai critici 15. Ancora, tra i commenti a caldo delle motivazioni della pronuncia in esame, si segnala
la posizione di chi ritiene che la Corte di Cassazione abbia aperto, anche se solo parzialmente, ad un
utilizzo disinibito dell’“intruso informatico” 16 in antitesi con l’opinione di chi evidenzia il pregio del
percorso argomentativo e della struttura logica della sentenza 17. Anche il mondo accademico, all’indomani del deposito delle motivazioni delle Sezioni Unite, ha preso posizione, su iniziativa di giuristi
dell’Università di Torino, con un appello al legislatore, sollecitato a intervenire delineando specifiche
disposizioni frutto di un adeguato bilanciamento dei princìpi costituzionali (artt. 14, 15 e 16 Cost.) e
convenzionali (art. 8 C. e.d.u.) coinvolti: è necessario sottolineare che i giuristi dell’Associazione tra gli
studiosi del processo penale “Giandomenico Pisapia” che hanno aderito all’iniziativa, pur nella consapevolezza della necessità di indagini sofisticate per combattere la criminalità, in specie organizzata e
terroristica, hanno stigmatizzato la legittimazione giurisprudenziale dei mezzi di intrusione informatica
che ritengono sia stata operata dalle Sezioni Unite mediante un’interpretazione, criticata in quanto ritenuta estensiva, dell’art. 13 d.l. n. 152/1991.
All’evidenza, si tratta di preoccupazioni condivisibili e giustificate, quantomeno con riferimento alle
potenzialità funzionali e alla capacità intrusiva del mezzo virus trojan: è quasi paradossale che l’uso del
captatore informatico, strumento ancora privo di una specifica disciplina e quasi del tutto incontrollabile sul piano tecnico, consenta un controllo quasi totale della persona.
Tuttavia occorre una riflessione pacata che, fondata sull’analisi della pronuncia della Suprema Corte, può prendere avvio da una breve considerazione più generale: la vicenda in esame è uno specchio
dei tempi in cui viviamo. Come è noto, il livello delle garanzie del processo penale, che inevitabilmente
si inserisce nella storia e nelle tradizioni ordinamentali e culturale proprie di ogni Paese, è in stretto
12
A. Testaguzza, I sistemi di controllo da remoto: tra normativa e prassi, in Dir. pen. proc., 2014, p. 759.
13
M.T. Abbagnale, In tema di captatore informatico, in Arch. pen., 2, 2016, p. 8; A. Scalfati, Un ciclo giudiziario “travolgente”, cit.,
p. 115.
14
L. Filippi, Le Sezioni unite intimano lo stop (ma fino ad un certo punto) al captatore informatico, in www.ilpenalista.it, 5 maggio 2016.
15
L. Filippi, L’ispe-perqui-intercettazione “itinerante: le Sezioni unite azzeccano la diagnosi ma sbagliano la terapia, in www.ilpena
lista.it, 6 settembre 2016.
16
A. Testaguzza, Exitus acta probat. “Trojan” di Stato: la composizione di un conflitto, in Arch. pen., 2, 2016.
17
P. Giordano, Intercettazioni: “captatori informatici” in luoghi privati solo per criminalità organizzata, in Il Sole 24 Ore, 8 agosto
2016.
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rapporto con l’assetto democratico dello Stato. Tuttavia, poiché sulle scelte processuali del singolo ordinamento giuridico influiscono le opzioni di politica criminale, il processo penale italiano risulta condizionato dal contesto della criminalità nel quale deve operare oltre che dalla percezione sociale dei fenomeni criminosi. D’altro canto, il processo si presenta strumento duttile, capace di ottenere apprezzabili risultati sul piano della repressione dei reati, come dimostrano le vicende italiane riguardanti il terrorismo stragista e la criminalità organizzata.
In sostanza, in certi momenti storici, si determina una trasformazione del processo da strumento di
garanzia a mezzo di contrasto della criminalità 18 con una flessione delle garanzie processuali e individuali: accade che i diritti di libertà subiscano pesanti compressioni in corrispondenza di fenomeni criminali percepiti come allarmanti quali mafia, terrorismo internazionale, pedofilia, tratta degli esseri
umani 19. In altri termini, il sistema processuale penale si è destrutturato in alcuni sottoinsiemi connotati
da percorsi differenziati e significative deroghe alle regole del modello standard 20. È questa la logica del
c.d. doppio binario relativo al rapporto tra il diritto ordinario e le deroghe del processo di criminalità
organizzata che è stato progressivamente esteso ad altre ipotesi delittuose sia per il tecnicismo degli accertamenti, sia per l’allarmante diffusione di tali fenomeni criminali come terrorismo, sfruttamento sessuale dei minori, criminalità informatica.
In proposito si è sottolineato 21 che l’attenzione dei consociati si rivolge soprattutto alla fase delle indagini preliminari nella quale l’intervento giudiziario si palesa rapido e maggiore è la percezione di sicurezza sociale: è il momento in cui si pone, pressante, l’esigenza di equilibrio tra gli scopi delle indagini e la misura del sacrificio dei diritti individuali.
È una questione di misura: se infatti sono noti i valori oggetto dei bilanciamento, occorre una riflessione sugli strumenti per comporre il contrasto tra esigenza di repressione del reato e tutela dei diritti
fondamentali degli individui coinvolti nella vicenda processuale: in altri termini, è necessario individuare adeguati modelli di disciplina per una serie di indagini tecnologiche atipiche riconducibili al captatore informatico, non sempre sussumibili nei modelli disciplinati 22.
EVOLUZIONE TECNOLOGICA DELLE INDAGINI INFORMATICHE E TUTELA PROGRESSIVA DEI DIRITTI FONDAMENTALI
La rapida evoluzione tecnico-scientifica fornisce al processo penale nuovi strumenti utili alla ricostruzione del fatto; correlativamente, si ampliano gli ambiti d’indagine rispetto ai quali l’apporto del progresso scientifico e delle tecnologie è fondamentale 23. Le intersezioni tra il progredire del diritto e il
congiunto avanzare dello sviluppo scientifico determinano tensioni che attraversano l’esperienza giuridica e criticizzano categorie tradizionali del diritto in generale, e del processo penale in particolare. La
scienza imprime al processo un’accelerazione eccezionale che cagiona un mutamento delle coordinate
concettuali di alcuni istituti i quali vengono adattati a recepire nuovi contenuti: da alcuni decenni si utilizzano tecniche sono affiancati nuovi potenti strumenti cognitivi ossia peculiari tecniche investigative
idonee, in specie, a reprimere reati di criminalità organizzata di tipo terroristico o mafioso.
Viene in considerazione la prova informatica introdotta nel nostro ordinamento giuridico dalla legge
18 marzo 2008, n. 48, contenente l’autorizzazione alla ratifica e l’ordine di esecuzione della Convenzione di Budapest del 23 novembre 2001: tale intervento normativo ha modificato numerose disposizioni
18
G. Spangher, Considerazioni sul processo “criminale” italiano, Torino, 2015, p. 7 ss.
19
R. Orlandi, La riforma del processo penale fra correzioni strutturali e tutela “progressiva” dei diritti fondamentali, in Riv. it. dir.
proc. pen., 2014, p. 1139.
20
G. Spangher, Considerazioni sul processo “criminale” italiano, cit., p. 17.
21
A. Scalfati, Un ciclo giudiziario “travolgente”, cit., p. 113.
22
A. Scalfati, Un ciclo giudiziario “travolgente”, cit., p. 114, esemplifica ricordando i pedinamenti elettronici, le videosorveglianze e videoriprese in luoghi privati, le verifiche manuali dei dati sensibili sul dispositivo telefonico durante una perquisizione, l’attività dell’agente provocatore informatico, i tracciamenti mediante celle telefoniche.
23
Sulle principali forme di aggressione tecnologica ai diritti fondamentali, v. S. Marcolini, Regole di esclusione costituzionali e
nuove tecnologie, Criminalia, 2006, p. 387 ss., e, in prospettiva comparatistica, G. Di Paolo, “Tecnologie del controllo” e prova penale,
Padova, 2008. Sulla progressiva adozione di modelli scientifici nell’indagine sui fatti, in prospettiva sistematica, v. M.R. Damaska, Il diritto delle prove alla deriva (1997), trad. it. Bologna, 2003, p. 205 ss.
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del codice in materia di protezione dei dati personali, del codice penale e del codice di procedura penale 24 e ha esplicitato la necessità di interazione tra diritto e computer forensics 25 nel caso di investigazioni
digitali, determinando, tra l’altro, l’ampliamento dell’ambito operativo dei mezzi di ricerca della prova 26. Le nuove disposizioni, peraltro, lungi dall’essere meri adattamenti lessicali di istituti tradizionali
rispetto alle esigenze poste dalla digital evidence, rivelano alcuni profili critici che inducono a considerare le modalità esecutive della ricerca probatoria in una prospettiva di tutela dell’integrità dei dati digitali 27 e di attendibilità degli elementi di prova, oltre che di tutela dei diritti fondamentali incisi. È ovvio,
infatti, che la correttezza di nuovi strumenti d’indagine, determinanti penetranti intrusioni nella sfera
dell’individuo, passa attraverso la verifica della esistenza di adeguate garanzie per l’indagato 28 da bilanciare con le modalità tecniche di acquisizione, trattamento e custodia delle prove digitali 29.
A tali questioni interpretative e operative derivanti dalla specificità dei mezzi di ricerca della prova
informatica, volti a reperire informazioni digitali caratterizzate da un’ontologica volatilità, si aggiungono ulteriori aspetti critici concernenti sia la formazione della prova scientifica in quanto genus cui appartiene la species della prova informatica, sia derivanti dall’incalzante evoluzione tecnico-scientifica
che caratterizza gli strumenti digitali.
In primo luogo, dunque, occorre considerare che la prova informatica, in quanto peculiare tipologia
di prova scientifica, ne presenta tutte le problematiche. Innanzitutto, l’impiego della prova scientifica
deve rispettare le necessarie garanzie difensive nel processo e salvaguardare i diritti fondamentali che
subiscono una compressione soprattutto durante le indagini preliminari. In secondo luogo, con riguardo al dibattimento, si evidenzia la mancanza di criteri specifici utilizzabili dal giudice per vagliare l’attendibilità della prova scientifica impiegata nel processo. L’assenza di un’epistemologia comune a
scienza e diritto che consenta di distinguere la conoscenza scientifica valida da quella invalida, rende
problematico il compito di controllo del giudice rispetto all’ingresso della prova scientifica nel procedimento penale. Inoltre, emergono numerose questioni interpretative con riferimento agli strumenti
tecnico-scientifici di elevata specializzazione che siano nuovi in ambito giudiziario e talvolta anche in
quello scientifico, oppure che siano ancora controversi in punto di attendibilità e affidabilità. Su un piano problematico si pone anche il ricorso alla categoria dell’atipicità probatoria al fine di inquadrare le
novità scientifiche, al quale l’interprete è indotto proprio dall’assenza di indicazioni normative in ordine ai criteri selettivi del metodo scientifico più affidabile nel caso concreto 30.
In secondo luogo, la considerazione di inedite criticità correlate all’evoluzione tecnico-scientifica
mette in luce come, particolarmente con riguardo alla prova digitale, si manifesti l’incidenza sul diritto
dell’inarrestabile progresso scientifico il quale schiude orizzonti problematici relativi all’impiego di
strumenti tecnico-scientifici nuovi e caratterizzati da un’elevata invasività 31. È evidente che l’uso di tali
24
Per evidenziare la portata della novella del 2008 basti pensare che le indagini possono riguardare procedimenti aventi ad oggetto sia un computer crime, sia un reato comune commesso occasionalmente con lo strumento informatico, sia reati slegati dalla dimensione tecnologica come dimostrano le più recenti indagini in materia di reati economici, di terrorismo transnazionale, delitti
associativi, omicidi in cui la prova del delitto ovvero l’alibi dell’imputato si trovano nell’elaboratore dei soggetti coinvolti . Si veda
L. Luparia, La ratifica della Convenzione Cybercrime del Consiglio d’Europa. Profili processuali, in Dir. pen. proc., 6, 2008, p. 717 ss.
25
La computer forensics, definita «la disciplina che si occupa della preservazione, dell’identificazione, dello studio, delle informazioni contenute nei computer o nei sistemi informativi in generale, al fine di evidenziare l’esistenza di prove utili allo
svolgimento dell’attività investigativa», è qualificata come nuova specializzazione dell’attività di polizia scientifica da A. Ghirardini-G. Faggioli, Computer forensics, Milano, 2007, p. 1. L’importanza della computer forensics è direttamente proporzionale alla
pervasività delle tecnologie digitali che ormai imperversano in ogni aspetto della vita quotidiana.
26
In argomento, volendo, P. Felicioni, Le ispezioni e le perquisizioni, Milano, 2012, p. 38 ss.
27
Le garanzie codicistiche importano un rinvio, pur implicito, alla Computer forensic quale ausilio per gli inquirenti: F. Novario, Criminalità informatica e sequestro probatorio: le modifiche introdotte dalla L. 18 marzo 2008 n. 48 al codice di procedura penale, in
Riv. dir. proc., 2008, p. 1070.
28
Così, M. Luberto-G. Zanetti, Il diritto penale dell’era digitale. Caratteri, concetti e metafore, in Ind. pen., 2008, p. 510.
29
S. Aterno, Digital forensics (investigazioni informatiche, Dig. disc. pen., agg. VIII, Torino, 2014, p. 217 ss. La l. n. 48/2008
impone particolari cautele che assicurino la conservazione e impediscano la alterazione del “documento informatico” inteso
come «quella rappresentazione di un fatto è incorporata in una base materiale con un metodo digitale»: così P. Tonini, Manuale
di procedura penale, Milano, 2016, p. 364.
30
Volendo, P. Felicioni, Prova scientifica, in Dig. disc pen., agg. VIII, Torino, 2014, p. 611 ss.
31
Sulle tecnologie dell’informazione come area peculiare di conflitti che richiedono una regolamentazione giuridica, v. A.
Santosuosso, Diritto, scienza e nuove tecnologie, Padova, 2011, p. 253.
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mezzi nel procedimento penale si contrappone alla tutela dei diritti fondamentali frutto della tradizione
liberale e ottocentesca. Il rispetto di tali diritti dell’individuo e, in specie, la tutela della sua sfera più intima rendono indispensabile una riflessione sui limiti al progresso scientifico e sulle regole d’uso delle
tecnologie Infatti i diritti inviolabili quali la libertà personale, la libertà domiciliare, la libertà di comunicazione e di corrispondenza e la riservatezza dei propri dati richiedono una tutela adeguata ed efficace rispetto a nuove forme di aggressione che rappresentano il rovescio della medaglia del progresso
tecnologico e scientifico 32.
Entro tale prospettiva occorre ricordare l’elaborazione dottrinale, peraltro espressamente menzionata dalle Sezioni Unite nella sentenza in commento, sulla tutela “progressiva” dei diritti fondamentali 33.
L’idea della “progressività” caratterizzante la tutela dei diritti dell’individuo ha due significati: Il primo
attiene alla necessità di adeguare e implementare le garanzie, se del caso attraverso il riconoscimento di
nuovi diritti della persona la cui compressione è causata dalle novità tecnologiche idonee a pregiudicare posizioni personali meritevoli di tutela giuridica. Così, lo strumento del captatore informatico, moderno prodotto dell’evoluzione tecnologica, impone al legislatore un congruo adeguamento della tutela
dei diritti fondamentali. A questo punto, viene in considerazione il secondo significato: la protezione
dei diritti dell’individuo subisce l’incidenza di scelte politiche giustificate da contingenti emergenze
criminali; dunque, il bilanciamento tra la tutela dei diritti fondamentali e l’esigenza, anch’essa di rango
costituzionale, di efficace repressione dei reati non è immodificabile, essendo esposto alle scelte di politica criminale. S’impone dunque l’individuazione dei beni giuridici aggrediti dalle indagini che impiegano il captatore informatico: occorre precisare che si tratta di un’operazione interpretativa che dipende
dall’attività specifica presa in considerazione tra quelle molteplici riconducibili al proteiforme strumento del captatore informatico.
In altri termini, è necessario evidenziare le funzioni di tale insidioso strumento tecnologico, nonché
il procedimento tecnico-operativo volto all’acquisizione dei dati digitali. Infatti, ogni singola cadenza di
tale procedimento deve essere inquadrata giuridicamente e disciplinata: la considerazione congiunta
dell’aspetto tecnico e di quello giuridico, come sempre accade rispetto a qualunque tipologia di prova
scientifica, consente di porre in luce eventuali carenze o lacune normative e, inoltre, fornisce indicazioni
al legislatore. In sostanza, a fronte della crescente inadeguatezza delle categorie giuridiche tradizionali
esacerbata dallo sviluppo di nuove tecnologie necessarie per contrastare efficacemente la criminalità, si
schiude la prospettiva di una collaborazione reciproca tra tecnici e giuristi; con particolare riferimento
al tema del captatore informatico, è stato valorizzato il ruolo della giurisprudenza che, si sottolinea, ha
delineato, nel sistema delle garanzie, nuovi equilibri destinati ad aprire il dialogo tra diritto e scienza 34.
IL PROFILO TECNICO: LE POTENZIALITÀ DEL CAPTATORE INFORMATICO
Alla complessità tecnica dell’indagine informatica, soprattutto se condotta con strumenti tecnologici di
ultima generazione, si lega la difficoltà di inquadramento giuridico di un’attività investigativa dai molteplici contenuti. Innanzitutto occorre sottolineare che dal punto di vista tecnico-giuridico l’impiego
della tecnica di remote forensics evidenzia la possibilità di estrapolare dal dispositivo infettato un eterogeneo coacervo di informazioni 35. Tuttavia, la consapevolezza delle potenzialità 36 del captatore informatico è stata acquisita gradualmente: infatti, vedremo come sia in dottrina, sia in giurisprudenza, ad
iniziali prospettive parziali che hanno valorizzato una o l’altra funzione, abbiano fatto seguito più mature visioni volte a cogliere la totalità del fenomeno.
La considerazione dell’aspetto tecnico consente di effettuare la distinzione tra on line search e on line
surveillance 37. La prima categoria è composta da programmi spia che consentono di far copia, totale o
32
In argomento v. S. Marcolini, Regole di esclusione costituzionali e nuove tecnologie, cit., p. 387 ss.
33
R. Orlandi, La riforma del processo penale fra correzioni strutturali e tutela “progressiva” dei diritti fondamentali, cit., p. 1139.
34
A. Balsamo, Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, in Cass. pen., 5, 2016, p. 2286.
35
P. Tonini-C. Conti, Il diritto delle prove penali, Milano, 2014, p. 480; M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 1164.
36
L. Monteverde, Le nuove “frontiere” delle intercettazioni, in Arch. pen., 3, 2014.
37
M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 1164.
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parziale delle unità di memoria del sistema informatico target: successivamente i dati e le informazioni
sono trasmessi, in tempo reale o ad intervalli predeterminati, agli organi di investigazione tramite la rete Internet in modalità nascosta e protetta (è la c.d. one-timecopy dei dati digitali presenti in un sistema
informatico in un determinato momento).
Mediante i programmi spia che realizzano la on line surveillance, è possibile captare il flusso informativo intercorrente tra le periferiche (quali video, tastiera, microfono, webcam) e il micro processore del
dispositivo target, permettendo al centro remoto di controllo di monitorare in tempo reale tutto ciò che
viene visualizzato sullo schermo (screenshot), digitato attraverso al tastiera (keylogger), detto attraverso il
microfono, visto per mezzo della webcam del sistema bersaglio.
A ciascuna categoria possono ricondursi specifiche attività d’indagine le quali, nel loro insieme, delineano il contenuto della tecnica software trojan che, nelle versioni più evolute, può operare come un
vero e proprio sistema di controllo remoto (RCS: remote control system) 38. Pare utile evidenziare la corrispondenza contenutistica tra ogni attività riconducibile al captatore informatico e le attività di ricerca
probatoria disciplinate dal codice di rito, anche al fine di verificare, per ciascuna funzione, l’esistenza o
meno di una copertura normativa. Le varie attività sono state peraltro elencate dalle Sezioni Unite.
Più precisamente viene menzionata l’attività del perquisire lo hard disk e di far copia, totale o parziale, delle unità di memoria del sistema informatico preso di mira: si tratta di una tecnica di on line search
di dati statici presenti nel dispositivo (c.d. perquisizione on line, non disciplinata dal codice di procedura penale).
Sono quasi tutte inquadrabili nella on line surveillance, e riconducibili contenutisticamente a istituti
codicistici, le altre attività considerate, inerenti a flussi di comunicazione o a dati dinamici, ossia: captare tutto il traffico in arrivo o in partenza dal dispositivo infettato (navigazione e posta elettronica sia
web mail, sia out look) (intercettazione telematica); attivare il microfono e così apprendere i colloqui che
si svolgono nello spazio circostante il soggetto che ha in uso il dispositivo, ovunque si trovi (intercettazione ambientale); mettere in funzione la web camera, consentendo di captare le immagini (videoriprese); decifrare tutto ciò che viene digitato sulla tastiera collegata al sistema (keylogger).
Rimane inesplorata un’altra attività rientrante nella tecnica del captatore informatico che consente di
visualizzare ciò che appare sullo schermo del dispositivo bersaglio (screenshot) e che si può definire
come una sorta di atipica ispezione on line. Infine, viene ricordata la capacità del captatore informatico
di sfuggire agli antivirus in commercio sulla quale si fonda l’insidiosità (e l’efficacia investigativa) del
mezzo.
Come già accennato, oltre alle potenzialità del captatore informatico, occorre ricordare le fasi del
procedimento tecnico attraverso il quale si realizza la peculiare indagine in esame: rispetto ad ogni step
è possibile evidenziare le caratteristiche dello strumento di remote forensics alle quali si correlano criticità sul piano processuale penale.
La prima fase, ossia l’installazione del virus trojan nel dispositivo elettronico da sottoporre a controllo, evidenzia profili problematici attinenti all’attendibilità del risultato dell’indagine (si pensi alla verifica sia della competenza di chi inocula il virus, sia della qualità del programma installato) e al controllo
giudiziario sullo strumento del captatore informatico.
In riferimento alla prima questione si è evidenziato 39 come il captatore informatico sia gestito, su delega del pubblico ministero, da tecnici nominati ausiliari di polizia giudiziaria: il problema si rinviene
nell’incapacità, dovuta alla mancanza di specifiche conoscenze della tecnica informatica da impiegare,
dell’autorità giudiziaria e della stessa polizia giudiziaria di controllare l’attività e la preparazione dei tecnici. Peraltro, non è certo che l’ufficiale di polizia giudiziaria assista alle operazioni svolte dal tecnico 40 il
quale finisce con il gestirle in piena autonomia. Occorre anche considerare, mutando angolo visuale, che
l’installazione del programma spia avviene superando gli antivirus del dispositivo bersaglio e provoca
un’alterazione di quest’ultimo che lo rende vulnerabile e maggiormente esposto ad attacchi ulteriori.
In relazione al controllo dell’autorità giudiziaria sul captatore informatico viene in evidenza la mancanza di conoscenze tecnico-informatiche che impedisce al pubblico ministero di individuare e disporre
le operazioni idonee a carpire i dati di interesse. In altri termini, quand’anche si volesse applicare il
38
A. Testaguzza, Digital forensics. Informatica giuridica e processo penale, cit., p. 81.
39
P. Tonini-C. Conti, Il diritto delle prove penali, cit., p. 106.
40
S. Aterno, Digital forensics (investigazioni informatiche), cit.
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modello delle intercettazioni (telematiche o ambientali) l’organo dell’accusa emetterebbe, su autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, un decreto corretto formalmente, ma nella sostanza inidoneo a individuare le modalità esecutive, peraltro necessarie, ai sensi dell’art. 271, comma 1, c.p.p., ai fini
di utilizzabilità delle intercettazioni 41: né appare possibile selezionare anticipatamente i dati di interesse in modo da limitare l’indagine allo stretto necessario. Il giudice da parte sua, non è sempre in grado
di comprendere la portata euristica dell’indagine che deve autorizzare e dunque non può effettuare un
efficace controllo preventivo. Infine, vi è con un’ulteriore questione relativa alle diverse tipologie di
programmi spia 42: si consideri che questi sono prodotti da aziende specializzate 43 rispetto alle quali sarebbe opportuna una verifica di professionalità: peraltro, si tratta di agenzie di intelligence, magari operanti all’estero, e non si può escludere il rischio di condivisione o diffusione delle informazioni captate.
Per quanto concerne la fase acquisitiva, che consta dell’attività di captazione continua e della trasmissione dei dati digitali al centro di controllo, si possono rilevare altre questioni aperte 44. Innanzitutto occorre chiedersi come assicurare la catena di custodia successivamente all’acquisizione dei dati: in
proposito si è sottolineato come in ipotesi di captazione da remoto, a differenza delle intercettazioni
tradizionali, non sia necessario il contributo del gestore telefonico con conseguente tracciamento esterno delle operazioni. Inoltre è necessario garantire l’attendibilità dei dati captati e, dunque, la loro immodificabilità e genuinità: da questo punto di vista il virus di Stato si pone in contrasto cin le disposizioni della l. n. 48/2008 45 poiché, si sostiene 46 il dispositivo in cui è installato il captatore informatico è
alterato a livello strutturale e operativo.
In definitiva, le criticità relative al captatore informatico si possono sintetizzare nei seguenti termini:
si tratta di impiegare nelle indagini uno strumento non controllabile che consente un controllo della
persona che utilizza il dispositivo monitorato, totale, considerata la quantità e varietà di informazioni
acquisibili e persistente, considerato che non sempre è agevole rimuoverlo 47.
IL PROFILO DEI PRINCÌPI: LE COORDINATE COSTITUZIONALI ED EUROPEE DEL BILANCIAMENTO TRA ESIGENZA DI DIFESA SOCIALE E TUTELA DELLA SFERA INTIMA DELLA PERSONA
Sulla scelta del modello di disciplina più idoneo a contemperare gli interessi in gioco, influisce l’individuazione del bene giuridico aggredito e del conseguente modello di tutela dei diritti fondamentali
che sconta il riferimento ai princìpi costituzionali e convenzionali della materia.
In proposito è opportuno distinguere le attività d’indagine in ragione della doppia categoria on line
surveillance e on line search. Infatti, la prima categoria comprende attività d’indagine che si concretizzano in intercettazioni ambientali ex art. 266 c.p.p. o telematiche ex art. 266-bis c.p.p. e quindi trovano, nella relativa disciplina (art. 267 ss. c.p.p.) una copertura normativa che recepisce a livello di legge ordinaria la necessità della doppia riserva di legge e di atto motivato dell’autorità giudiziaria costituzionalizzata dagli artt. 13, 14, 15 della Carta fondamentale con riferimento alla legittimità della compressione
dei diritti di libertà tradizionali.
La prospettiva può cambiare quando manca la base legale: è quanto accade per tutte le attività investigative on line surveillance che sfuggono all’inquadramento nelle intercettazioni (ad esempio la visualizzazione di tutto quanto appare sullo schermo del dispositivo controllato, l’acquisizione di dati non
comunicativi prodotti dall’uso del dispositivo) 48 nonché la perquisizione on line riconducibile alla on
41
M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 1171.
42
I software che “compongono” il captatore informatico variano in ragione dell’attività di on line surveillance ovvero di on line
search che si voglia compiere, nonché del relativo sistema operativo; essi sono soggetti a una rapida obsolescenza: tale caratteristica funzionale rende più arduo il controllo su tale strumento tecnologico.
43
M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 1171.
44
M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 1171.
45
Volendo, con riferimento alle perquisizioni on line, P. Felicioni, Le ispezioni e le perquisizioni, cit., p. 71.
46
S. Aterno, Digital forensics (investigazioni informatiche), cit., sottolinea il rischio di un’alterazione accidentale del contenuto
del dispositivo ospitante, idonea a vanificare un possibile futuro controllo in sede difensiva.
47
Occorre che il dispositivo infestato sia connesso ad internet e sia operativo.
48
Le videoriprese comunicative in luoghi diversi dal domicilio, ritenuti riservati ai sensi dell’art. 2 Cost., trovano una coper-
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line search. Sul piano dei diritti fondamentali incisi da tali tecniche di indagine, la dottrina si riferisce, al
domicilio informatico, alla riservatezza, alla libertà psichica: tuttavia l’alto tasso tecnologico e la penetrante capacità intrusiva delle indagini informatiche atipiche in questione induce a interrogarsi sulla
congruità del riferimento ai tradizionali diritti di libertà.
Si tratta di stabilire, innanzitutto, l’adeguatezza del riferimento agli artt. 14 e 15 Cost. che tutelano
l’inviolabilità del domicilio e la libertà e segretezza delle comunicazioni o conversazioni oppure al diritto alla riservatezza non espressamente costituzionalizzato, ma riconducibile all’art. 2 Cost. da integrare
con la tutela il diritto al rispetto della vita privata delineata dall’art. 8 C.e.d.u. Tuttavia, qualora tali riferimenti costituzionali e convenzionali non fossero ritenuti idonei, si aprirebbe la prospettiva della creazione di un nuovo diritto fondamentale alla riservatezza informatica, considerando aperta la lista dei
diritti inviolabili. Consideriamo le diverse opzioni interpretative.
L’art. 14 Cost. è invocato come parametro di legittimità delle perquisizioni on line, a tutela del c.d.
domicilio informatico 49: la nozione nasce nell’ambito della riflessione penalistica, con riferimento al bene giuridico protetto dagli artt. 615-ter e 615-quater c.p. Tale nozione è supportata dalla Relazione alla l.
n. 574/1993 in materia di criminalità informatica che ha introdotto nuove fattispecie incriminatrici: il
legislatore intendeva tutelare i sistemi informatici e telematici in quanto «espansione ideale dell’area di
rispetto pertinente al soggetto interessato, garantita dall’art. 14 della Costituzione». Tuttavia, il parallelismo tra la nozione di domicilio informatico e quella di domicilio fisico è apparso inadeguato sul piano
penale e fuorviante sul piano processuale penale, in quanto ritenuto, rispettivamente, inidoneo a tutelare compiutamente «il contenuto dell’interesse all’esclusione di terzi da determinate “sfere di disponibilità e rispetto” create e rese fruibili dalla tecnologia informatica» 50 e fuorviante perché «le tecnologie informatiche che rendono oggi possibile le perquisizioni on line pongono il problema (inedito) della
proiezione “virtuale” della persona: uno spazio non fisico, non riconducibile all’art. 14 Cost. e tuttavia
meritevole di tutela costituzionale perché anche lì è in gioco la dignità della persona» 51. Sullo sfondo di
tali considerazioni vi è la condivisibile opinione per la quale l’interesse dell’utente di sistemi informatici
e telematici è quello alla tutela dei propri dati, a prescindere dal luogo in cui si trovi e dallo strumento
di comunicazione scelto 52.
In altri termini, la riflessione si sposta dalla nozione di domicilio a quella di riservatezza: più precisamente si è individuato un nuovo ambito di riservatezza che si collega al forte impatto delle tecnologie informatiche sulla società contemporanea e sul diritto 53. Si tratta della riservatezza dell’individuo che svolge la propria personalità anche in quel luogo virtuale rappresentato dal sistema informatico, a prescindere dalla natura strettamente personale e confidenziale delle informazioni che si
potrebbero raccogliere. La correlazione tra domicilio e persona assume un nuovo e peculiare rilievo.
In tale prospettiva, quindi, la portata della “riservatezza informatica”, da un lato, appare più estesa
della dimensione originaria della privacy 54 e, da un altro lato, è espressione del riconoscimento dei
tura nel livello minimo di garanzie costituito dal provvedimento autorizzativo del pubblico ministero elaborato dalla Cass., Sez.
Un., 28 marzo 2006, Prisco, in Dir. pen. proc., 2006, p. 1213 con nota di C. Conti, Le video-riprese tra prova atipica e prova incostituzionale: le Sezioni Unite elaborano la categoria dei luoghi “riservati”. L’attività atipica delle videoriprese in ambito domiciliare, invece, mancando l’espressa previsione di legge, è illegittima.
49
Per tutti v. L. Filippi, L’ispe-perqui-intercettazione “itinerante: le Sezioni unite azzeccano la diagnosi ma sbagliano la terapia, cit.
50
L. Picotti, Sistematica dei reati informatici, tecniche di formulazione legislativa e beni giuridici tutelati, in Id., (a cura di), Il diritto
penale dell’informatica nell’epoca di Internet, Padova, 2004, pp. 53-54.
51
R. Orlandi, Osservazioni sul documento redatto dai docenti torinesi di Procedura penale sul problema dei captatori informatici.
52
F. Jovene, Le c.d. perquisizioni on line tra nuovi diritti fondamentali ed esigenze di accertamento penale, in Dir. pen. cont., 3-4, 2014, p. 325.
53
Sul tema, in generale, P. G. SANTORO, L’evoluzione della nozione di domicilio: tra esigenze di tutela dell’inviolabilità e nuove frontiere tecnologiche, in Processo penale e Costituzione, a cura di F.R. Dinacci, Milano, 2010, p. 245 ss.
54
Cass., sez. VI, 4 ottobre 1999, 3067, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 3, 2001, pp. 485-492. Tale pronuncia individua il bene giuridico tutelato dall’art. 615-ter c.p., che incrimina l’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza, nel c.d. domicilio informatico inteso come spazio ideale di pertinenza della persona al quale ricondurre la tutela della riservatezza della sfera individuale garantita dall’art. 14 Cost. Il cyberspazio quale luogo virtuale è equiparabile
allo spazio domestico fisico purché munito di misure di sicurezza (es, password) espressione della volontà del titolare di esercitare il proprio ius excludendi alios. Di recente, v. Cass., sez. V, 26 ottobre 2012, n. 42021, Foro it., 2012, 12, 2, c. 709. In dottrina v. R.
Flor, Sull’accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico: il concetto di “domicilio informatico” e lo jus excludendi alios, in Dir.
pen. proc., 2005, 87; Id., Art. 615 ter c.p.: natura e funzioni delle misure di sicurezza, consumazione del reato e bene giuridico protetto, in
Dir. pen. proc., 2008, 1, p. 106 ss.; M. Luberto-G. Zanetti, Il diritto penale dell’era digitale. Caratteri, concetti e metafore, cit., p. 505.
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diritti dell’individuo in quanto partecipe della comunità virtuale 55.
A questo punto occorre individuare il fondamento del diritto alla riservatezza. Sul piano del diritto
positivo si sottolinea la mancanza di un’esplicita previsione normativa; invero, un fondamento legislativo, si rinviene nell’art. 2 comma 1 del Codice in materia di protezione dei dati personali secondo il
quale il trattamento dei dati contenenti informazioni riferibili ad una persona individuata o individuabile, non può ledere la riservatezza. Tuttavia, è necessario evidenziare che la Corte costituzionale con la
nota sentenza n. 173 del 2009 56 ha correttamente qualificato come fondamentale il diritto alla riservatezza riconoscendo ad esso la medesima caratura del diritto alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni.
Sul piano del fondamento costituzionale, il diritto alla riservatezza viene tradizionalmente ricondotto all’art. 2 Cost. inteso come fattispecie aperta, fonte di nuovi diritti della personalità; tale disposizione,
tuttavia, non individua i limiti alle illegittime ingerenze pubbliche, a differenza degli artt. 13, 14, 15
Cost. Occorre allora integrare tale impostazione con l’art. 8 C.e.d.u., così come interpretato dalla Corte
di Strasburgo, che individua i parametri di legittimità dell’ingerenza pubblica nel diritto alla vita privata. Ai sensi del paragrafo 2 le ingerenze dell’autorità sono legittime in presenza di tre requisiti: una
previsione legislativa, rispetto alla quale la giurisprudenza europea accentua il riferimento all’accessibilità e alla conoscibilità delle fonti normative e della giurisprudenza, essendo necessario che il cittadino possa ragionevolmente prevedere le conseguenze delle proprie azioni; il perseguimento di una
delle finalità legittime previste tassativamente dalla norma con riferimento sia a molteplici interessi dello Stato e della collettività, sia alla tutela dei diritti e delle libertà altrui; la necessità della misura in una
società democratica per il conseguimento degli obiettivi sopra indicati. Da notare che in questa ultima
prospettiva della “necessità” si inserisce il criterio della proporzionalità tra ingerenza e finalità legittima perseguita. Mette conto evidenziare l’analoga formulazione letterale dell’art. 7 C.d.f.u.e. che pure
non indica le condizioni di legittimità dell’ingerenza, ma, in virtù della clausola di corrispondenza dei
due testi sovranazionali (art. 52 C.d.f.u.e.), valgono i requisiti specificati dall’art. 8.2 C.e.d.u. 57.
In ultima analisi, si è affermato 58 che il diritto alla riservatezza informatica è riconosciuto e tutelato dagli artt. 2 Cost., 8 C.e.d.u., 7 e 52 C.d.f.u.e. dai quali si trae un modello di garanzie pari a quello delineato
dagli artt. 13-15 Cost. con riferimento ai diritti di libertà classici: i diritti fondamentali possono essere limitati soltanto nel rispetto della riserva di legge e di atto motivato dell’autorità giudiziaria, alla luce del
principio di proporzionalità. Si spinge più avanti un’interpretazione 59 che ritiene necessario enucleare
dall’art. 2 Cost. un diritto fondamentale all’uso riservato delle tecnologie informatiche: ciò potrebbe avvenire, peraltro, senza necessità della procedura di revisione costituzionale, sembrando sufficiente una affermazione in tal senso da parte della Corte costituzionale. Una diversa opzione rileva l’aggressione ad un
bene giuridico ancora più importante del domicilio: a ben vedere, si tratta dell’intimità individuale, che
sfiora l’inviolabilità della psiche. Tuttavia tale bene giuridico si ritiene garantito dalla Carta fondamentale
sul presupposto della non esaustività dell’elenco di diritti fondamentali, senza necessità di enucleare un
nuovo diritto costituzionale 60.
In ogni caso, appare significativo quanto accaduto in Germania, il primo paese europeo 61 che ha disciplinato l’uso di indagini informatiche on line sull’onda di una pronuncia della Corte costituzionale
tedesca 62 la quale ha enucleato il nuovo diritto alla riservatezza, all’affidabilità (Vertraulichkeit) e all’in-
55
Il sistema informatico è una forma di estrinsecazione della personalità dell’uomo come “electronic-person” (e-person) titolare
di posizioni soggettive riconducibili all’esercizio della libertà informatica: V. De Rosa, La formazione di regole giuridiche per il cyberspazio, in Il diritto dell’informazione e dell’informatica, 2003, 2, p. 377.
56
R. Orlandi, La riforma del processo penale fra correzioni strutturali e tutela “progressiva” dei diritti fondamentali, cit., p. 1142.
57
Su tali argomenti, e per un approfondimento bibliografico e giurisprudenziale, si rinvia a A. Balsamo, Il contenuto dei diritti
fondamentali, in R.E. Kostoris, (a cura di), Manuale di procedura penale, Milano, 2015, p. 151 ss.
58
F. Jovene, Le c.d. perquisizioni on line tra nuovi diritti fondamentali ed esigenze di accertamento penale, cit., p. 338.
59
R. Orlandi, Osservazioni sul documento redatto dai docenti torinesi di Procedura penale sul problema dei captatori informatici, cit.
60
P. Tonini-C. Conti, Il diritto delle prove penali, cit., p. 482.
61
Sul punto, F. Jovene, Le c.d. perquisizioni on line tra nuovi diritti fondamentali ed esigenze di accertamento penale, cit., 330 alla
quale si rinvia anche per una panoramica sulle iniziative di riforma in Olanda e Spagna.
62
BVerfG, 27 febbraio 2008, 370/07 e 595/07, tradotta, per stralci, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2009, p. 679 ss. con nota di G.
Flor. Volendo, P. Felicioni, Le ispezioni e le perquisizioni, cit., p. 70.
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tegrità (Integritat) dei sistemi informatici, come espressione del diritto fondamentale della personalità e
limite alle investigazioni on line 63. La Corte, inoltre, ha indicato le condizioni di legittimità di tali peculiari indagini. Così, gli accessi a un computer devono essere disciplinati dalla legge: deve trattarsi di una
misura proporzionata alla sussistenza del pericolo concreto di una lesione di un bene giuridico di rilevante importanza; occorre un provvedimento autorizzativo del giudice; devono essere previste misure
idonee ad evitare sia la raccolta, sia l’utilizzazione di dati riguardanti la sfera più intima della vita privata della persona. La sentenza, infatti, affrontando la questione delle perquisizioni on line, ha dichiarato l’incostituzionalità della legge di un Land che prevedeva la possibilità di effettuare accessi occulti ai
sistemi informatici degli utenti e raccogliere i dati attinenti alla navigazione in internet senza adeguate
garanzie per l’individuo 64 . È necessario sottolineare che la Corte tedesca ha ritenuto non idonei, a salvaguardare il diritto all’integrità (i dati non possono essere modificati in maniera incontrollata) e il diritto alla riservatezza-confidenzialità (i dati possono essere conosciuti solo da chi è autorizzato) del sistema informatico o telematico, sia il principio dell’inviolabilità del domicilio, sia quello di tutela della
riservatezza delle comunicazioni. Il primo, infatti, non può trovare applicazione perché gli accessi occulti prescindono dalla localizzazione fisica del sistema informatico; l’altro principio, d’altro canto, non
viene in considerazione perché riguarda i dati memorizzati sul sistema informatico dell’utente dopo
che la comunicazione abbia avuto termine.
Recentemente la Corte costituzionale tedesca ha operato un adeguamento delle garanzie affrontando nuovamente il tema delle misure di sorveglianza occulte e in particolare l’impiego di strumenti informatici che consentano la captazione di dati da remoto 65 dichiarando l’incostituzionalità di alcune
norme, attinenti alla prevenzione delle minacce terroristiche internazionali, della legge federale Bundeskriminalamtgeset – BKAG che disciplina le attività della polizia federale e la cooperazione in materia
penale tra i Governi statali e quello federale e con i Paesi terzi.
La Corte ha sostento che, in linea di principio, l’autorizzazione alla polizia federale a utilizzare misure di sorveglianza occulte è compatibile con i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione; tuttavia, sotto determinati aspetti specifici, la disciplina all’attenzione viola il principio di proporzionalità
quale canone di bilanciamento tra poteri pubblici e diritti individuali come l’inviolabilità del domicilio,
la segretezza delle comunicazioni, la riservatezza e l’integrità dei sistemi informatici. Tale bilanciamento, si sottolinea, è compito del legislatore che deve ispirarsi al principio di proporzionalità in base al
quale i poteri investigativi incidenti sui diritti fondamentali devono essere delimitati dalla necessità di
tutelare interessi sufficientemente rilevanti (vita, salute, libertà personale) nei casi in cui sia prevedibile
un pericolo sufficientemente specifico.
Inoltre, merita menzione la specifica critica rivolta dalla Corte tedesca al paragrafo 20K del BKAG
che consente l’accesso ai sistemi informatici da remoto e che è censurato in quanto non assicura una
sufficiente tutela del nucleo profondo della vita privata: l’aspetto criticato si rinviene nella previsione di
un controllo ad opera del personale dell’ufficio federale di polizia penale e non anche di soggetti esterni
e indipendenti.
Particolare rilievo riveste l’indicazione di alcune disposizioni supplementari che dovrebbero essere
emanate per tutte le misure di indagine e sorveglianza. Più precisamente la Corte costituzionale tedesca
ha stigmatizzato la mancanza di disposizioni inerenti sia alla tutela delle persone che possono avvalersi
del segreto professionale, sia alla revisione obbligatoria delle misure e agli obblighi di informazione nei
confronti del Parlamento e del pubblico. Ancora, si sottolinea l’insufficienza della previsione sulla cancellazione dei dati raccolti, rimanendo addirittura possibile, ai sensi del paragrafo 20v del BKAG, memorizzare alcuni dati in vista di un eventuale futuro impiego a fini preventivi o di repressione di gravi reati.
A tali indicazioni della giurisprudenza tedesca, utili anche per il legislatore italiano, se ne possono affiancare altre, relative alle intercettazioni, desumibili dalla giurisprudenza europea più recente 66. In spe63
F. Agirò, L’ammissibilità delle intercettazioni telematiche (on-line Durchsuchungen) al vaglio del Bundesgerichthof: il caso dei
c.c. Bundestrojaner, in Arch. pen., 2008, 1, pp. 271-272; G. Flor, Brevi riflessioni a margine della sentenza del Bundesverfassungsgericht sulla cd. Online Durchsunchung, in Riv. trim. dir. pen. econ. 2009, p. 695.
64
Nel caso concreto era venuta in considerazione una disposizione legislativa che consentiva ai servizi di intelligence di utilizzare un virus Trojan da installare sul sistema informatico oggetto di indagine.
65
L. Giordano-A. Venegoni, La Corre costituzionale tedesca sulle misure di sorveglianza occulta e sulla captazione di conversazioni da
remoto a mezzo di strumenti informatici, in Dir. pen. cont., 8 maggio 2016.
66
A Balsamo Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, cit., p. 2278.
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cie, viene in evidenza la sentenza emessa dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo il 4 dicembre
2015 nel caso Zakharov c. Russia. La Corte, in sostanza, ha sottolineato la necessità, rispetto ad una materia
soggetta a rapida evoluzione tecnologica, di regole chiare e dettagliate in ordine a determinati aspetti 67 tra
i quali si possono ricordare: la delimitazione dell’area di operatività delle intercettazioni con riferimento
ai reati oggetto del procedimento e ai potenziali destinatari delle intercettazioni; la durata delle intercettazioni; le procedure da seguire per la conservazione, l’accesso, l’esame, l’uso la comunicazione e la distruzione dei dati ottenuti con le intercettazioni; le procedure di autorizzazione quanto alla individuazione
dell’autorità competente, all’ampiezza della valutazione, al contenuto dell’autorizzazione.
Tali aspetti, peraltro, sono esplicitamente richiamati, con riferimento alle indagini informatiche, dalla Convenzione di Budapest il cui art. 15.2 ribadisce la necessità di osservare le garanzie minimali che si
traggono dagli artt. 8 C.e.d.u. e 7 C.d.f.u.e. Inoltre, occorre ricordare che l’art. 15.1 della Convenzione
statuisce che le indagini informatiche sono soggette ai presupposti e alle tutele previste dal diritto interno di ciascun Stato il quale, tuttavia, deve assicurare un’adeguata protezione dei diritti umani e rispettare il principio di proporzionalità 68. Quest’ultimo viene in considerazione anche con riferimento
alla dimensione sovranazionale della ricerca delle prove digitali la quale, attualmente, si svolge mediante forme di assistenza reciproca che gli Stati devono assicurare, secondo quanto previsto da un
gruppo di disposizioni della Convenzione di Budapest. Tuttavia, dal 22 maggio 2017 la raccolta transnazionale delle prove informatiche potrà essere svolta mediante l’ordine europeo di indagine penale
che, si noti, potrà essere impiegato per lo svolgimento di indagini in tempo reale come le perquisizioni
on line dei sistemi informatici. In questi casi la raccolta di elementi di prova deve avvenire nel rispetto
dei diritti fondamentali delle persone, come previsto dall’art. 28 della direttiva 2014/41/UE sull’o.e.i.:
innanzitutto l’acquisizione deve avvenire per un tempo determinato; inoltre, l’autorità che emette
l’ordine deve specificare le ragioni per le quali le informazioni richieste sono utili nel procedimento penale interessato: tale requisito, applicando il principio di proporzionalità, va identificato con la necessità e non con la mera rilevanza delle informazioni 69.
Il canone della proporzionalità e la dignità della persona si configurano come limiti che il legislatore,
nell’attuazione del bilanciamento di interessi, non può travalicare.
Innanzitutto deve essere rispettata la dignità della persona: si tratta di un principio guida di un ordinamento personalistico insieme ad altri valori fondamentali come la tutela della salute e della vita,
dell’uguaglianza e della pari dignità degli uomini, nonché dell’autodeterminazione. Tale esigenza di
salvaguardia della persona, fatta propria dal diritto penale sostanziale 70, si presenta piuttosto pressante
nel processo penale. In linea generale si può dunque ritenere che, nella costante dialettica tra personalismo e utilitarismo, le scelte legislative e le opzioni interpretative debbano ispirarsi sempre ad una concezione dell’uomo come valore: occorre privilegiare una visione che riconosca alla persona la dignità
quale carattere che la rende fine in sé e non un mezzo o uno strumento probatorio. È necessario notare
che la Costituzione si limita a menzionare la dignità come valore appartenente ad ogni individuo sotto
il profilo della pari “dignità sociale” (art. 3) 71, senza, invece, delinearla quale concetto determinato con
il carattere dell’intangibilità 72, a differenza di quanto accade, ad esempio, nell’ordinamento tedesco 73.
67
Si tratta di garanzie minime che già la Corte europea ha individuato in passato: v. Corte edu 10 febbraio 2009, Iordachi c.
Moldavia e 29 maggio 2001, Taylor-Sabori c. Regno Unito. In proposito, A. Balsamo, I diritti fondamentali, in R.E. Kostoris (a cura
di), Manuale di procedura penale europea, cit., p. 154.
68
M. Daniele, Intercettazioni e indagini informatiche, cit., pp. 385-386.
69
M. Daniele, Intercettazioni e indagini informatiche, cit., p. 387.
70
Beni-interessi tutelati dalle norme incriminatici, dignità umana e riservatezza sono entità immateriali (a differenza, ad
esempio, dell’integrità fisica che è bene giuridico con substrato materiale) il cui contenuto è rappresentato da veri e propri valori
spirituali. Integrità fisica, libertà personale, salute, dignità, riservatezza, sono beni-fine primari che l’ordinamento giuridico deve tutelare; v. F. Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2001, p. 205 ss.
71
L’art. 3 Cost. qualifica la dignità in senso sociale con un allargamento della prospettiva che conferma la necessità di una
lettura non unicamente individualistica: così S. Rodotà, Persona, riservatezza, identità. Prime note sistematiche sulla protezione dei
dati personali, in Riv. crit. dir. priv., 1997, p. 595. Merita ricordare, inoltre, che il valore della dignità compare anche nell’art. 36
Cost. che si tratta della retribuzione del lavoratore che deve essere idonea ad assicurare alla famiglia una esistenza dignitosa, e
nell’art. 41, comma 2, Cost. ove compare come limite all’esercizio delle attività economiche.
72
Tuttavia si è evidenziato che la dignità è valore di rango talmente scontato da rendere addirittura superflua una un’espressa proclamazione costituzionale C. Conti, I diritti fondamentali della persona tra divieti e sanzioni processuali: il punto sulla perizia
coattiva, in Dir. pen. proc., 2010, p. 993 ss.
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Proprio dalla riflessione comparatistica nasce un’acuta osservazione dottrinale sul valore della dignità quale
elemento caratterizzante l’inviolabilità di ogni libertà individuale; in altri termini, ciascuna di queste libertà
ha un nucleo incomprimibile che si identifica con «la tutela della dignità umana, vero comune denominatore di ogni diritto individuale» 74. Si ricordi, infine, che alla dignità è dedicato il titolo I 75 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea.
Quanto alla proporzionalità, si deve sottolineare che sul piano del diritto interno tale canone, seppure inespresso, va annoverato tra i principi costituzionali aventi valenza generale 76. Sul piano del
diritto internazionale, il principio di proporzionalità, enucleato nel sistema di tutela facente capo alla
Corte Edu quale parametro implicito nel limite della necessità di cui all’art. 8 C.e.d.u., ha acquisito
peculiare rilievo nel contesto della Carta dei diritti dell’Unione europea come condizione costitutiva
per qualsiasi limitazione ai dritti fondamentali 77. In ultima analisi il principio di proporzionalità riconduce nell’alveo della ragione il percorso che il legislatore e l’interprete devono seguire qualora si
debba attuare una ingerenza legittima nella sfera dell’individuo 78. Ad esso il legislatore deve fare riferimento quando è chiamato ad operare un bilanciamento di interessi per stabilire fino a qual punto
è possibile spingersi, fermo restando il baluardo invalicabile della dignità in quanto nucleo incomprimibile comune ad ogni diritto fondamentale. Ed ecco, rispetto al bilanciamento di interessi, un
punto fermo di carattere procedurale: la limitazione dei diritti fondamentali deve avvenire per atto
motivato dell’autorità giudiziaria e nei casi e modi prescritti dalla legge, nel rispetto del principio di
proporzionalità 79.
IL PROFILO GIURIDICO: LA GRADUALE CONSAPEVOLEZZA DELLA GIURISPRUDENZA E I MODELLI DI DISCIPLINA DEL CAPTATORE INFORMATICO
È evidente la necessità di qualificare giuridicamente le attività riconducibili al sistema di controllo remoto. In proposito si pone un’alternativa. Da un lato, l’inquadramento nella categoria dell’atipicità della prova che è stato operato inizialmente dalla giurisprudenza di legittimità che non ha considerato le
potenzialità investigative del captatore informatico sollevando le critiche della dottrina; da un altro lato, la ricerca di una copertura normativa mediante sussunzione nei mezzi tipici di ricerca della prova
informatica che è stata operata dalla Corte di cassazione una volta acquisita la consapevolezza delle
problematiche tecnico-giuridiche connesse all’uso di programmi spia.
In altri termini, si può notare che la giurisprudenza di legittimità, la quale si è occupata direttamente
del tema in poche occasioni, è passata un’interpretazione iniziale che sottodimensionava il problema
del captatore informatico relegandolo nell’alveo dei mezzi di ricerca della prova atipici, ad una interpretazione che, connotata da una maggiore sensibilità valutativa fondata sulla conoscenza dell’ampiez-
73
Il concetto di dignità (Menschenwurde) è oggetto determinato di un’espressa previsione della Costituzione tedesca: l’art. 1
comma 1 Grundgesetz dichiara che «la dignità umana è intangibile»; v. M.P. Addis, Diritto all’autodeterminazione informativa e processo penale in Germania, in Protezione dei dati personali e accertamento penale, a cura di D. Negri, Roma, 2007, p. 89; R. Orlandi,
Francesco Carrara, in Criminalia, 2006, p. 30, evidenzia che nella giurisprudenza costituzionale tedesca la dignità è divenuta il
punto di volta su cui si regge l’intero sistema processuale. Occorre ricordare che la clausola della dignità è contenuta in molti
manifesti dei diritti fondamentali e in numerosi testi costituzionali dell’Unione europea.
74
R. Orlandi, Francesco Carrara, cit., p. 304.
75
Tale titolo fa riferimento alla dignità umana, al diritto alla vita, al diritto all’integrità della persona, alla proibizione della
tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, alla proibizione della schiavitù e del lavoro forzato. In proposito v. G.
Monaco, La tutela della dignità umana: sviluppi giurisprudenziali e difficoltà applicative, in Pol. dir., 1, 2011, p. 49 ss.
76
M. Caianiello, Il principio di proporzionalità nel procedimento penale, in Dir. pen. cont., 3-4, 2014, p. 143 ss.
77
E. Andolina, L’ammissibilità degli strumenti di captazione dei dati personali tra standard di tutela della privacy e onde eversive,
cit., p. 17; M. Caianiello, Il principio di proporzionalità nel procedimento penale, cit., pp. 148-149.
78
M. Caianiello, Il principio di proporzionalità nel procedimento penale, cit., p. 143.
79
Grazie soprattutto ai contributi della dottrina tedesca, il test di proporzionalità viene delineato come implicante una valutazione della misura che comprime il diritto fondamentale, con riguardo a tre profili: l’idoneità della misura a raggiungere lo
scopo dichiarato dalla norma; l’indispensabilità della misura rispetto al raggiungimento dello scopo; la giustificabilità del sacrificio imposto a fronte della gravità del reato: v. R. Orlandi, La riforma del processo penale fra correzioni strutturali e tutela “progressiva” dei diritti fondamentali, cit., p. 1142.
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za operativa dello strumento informatico 80, ha indicato quale copertura normativa la disciplina delle
intercettazioni tra presenti.
Tuttavia, qualora la base legale individuata si dovesse rivelare insufficiente, sarebbe necessario elaborare un nuovo, autonomo modello di disciplina.
PROVA ATIPICA E PRINCIPIO DI NON SOSTITUIBILITÀ
La prima occasione in cui la Corte di cassazione si è occupata del captatore informatico risale al 2009: il
riferimento va alla nota sentenza “Virruso” 81. Nel caso concreto la Polizia di Stato aveva utilizzato per
le indagini un virus spia in grado di acquisire i files memorizzati all’interno della memoria di un computer in uso ad uno degli indagati e collocato presso un ufficio pubblico. Il pubblico ministero aveva
autorizzato l’indagine con un decreto di acquisizione i atti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. Invero, poiché il
captatore informatico oltre a copiare i files già elaborati poteva anche registrare in tempo reale tutti i files elaborandi, si era realizzato monitoraggio continuativo ed occulto del contenuto della memoria di
massa del computer infetto. Tuttavia la Suprema Corte ha ridotto l’attività del captatore alla on line
search 82, tralasciando l’altro segmento di indagine in concreto realizzatosi; in particolare ha ricondotto
l’attività del captatore informatico alla figura della prova atipica sottraendola alla disciplina prescritta
dall’art. 266 bis c.p.p. che, viceversa era stata prospettata dalla difesa in appello come applicabile. Infatti
si è ritenuto che l’attività autorizzata dal pubblico ministero avesse avuto non un flusso di comunicazioni, richiedente un dialogo tra più soggetti, ma «una relazione operativa tra microprocessore e video
del sistema elettronico» ossia un «flusso unidirezionale di dati» confinati all’interno dei circuiti del
computer. I giudici di legittimità hanno ritenuto utilizzabile l’indagine digitale, sulla base di un mero
decreto autorizzativo del giudice, avendo escluso la violazione degli artt. 14 e 15 Cost. Quanto alla prima disposizione costituzionale, la Corte ne ha escluso la violazione in quanto «l’apparecchio monitorato con l’installazione del captatore informatico non era collocato in un luogo domiciliare ovvero in un
luogo di privata dimora, ma nei locali sede di un ufficio comunale, dove l’imputato non godeva certamente dello ius excludendi alios»; né si è rilevata violazione dell’art. 15 Cost. «perché quanto riprodotto
in copia non era un testo inoltrato e trasmesso col sistema informatico, ma soltanto predisposto per essere stampato su supporto cartaceo e successivamente consegnato al suo destinatario».
La linea interpretativa della sentenza Virruso ha trovato seguito in un ulteriore caso nel quale si è
fatto uso a fini investigativi del virus di Stato. Si tratta del caso Bisignani relativo all’indagine sulla presunta associazione di stampo massonico P4 83 avviata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Napoli 84. Il captatore informatico, nel caso concreto, era capace sia di acquisire ed estrapolare dati e
informazioni digitali memorizzati nella memoria di massa del sistema informatico bersaglio, sia di realizzare una vera e propria intercettazione ambientale prendendo il controllo occulto del microfono e
della webcam dell’elaboratore. Rispetto ad entrambe le attività di on line search e di on line surveillance,
l’autorità inquirente aveva chiesto al giudice per le indagini preliminari l’emissione di un decreto autorizzativo ai sensi dell’art. 266 c.p.p. Il giudice, tuttavia, ha emanato tale decreto solo con riferimento
all’attività assimilabile alle intercettazioni; rispetto all’altra attività, facendo espressamente riferimento
al caso Virruso, ha ritenuto che un provvedimento del pubblico ministero fosse sufficiente a tutelare le
esigenze di riservatezza dei soggetti interessati.
In dottrina non sono mancati i rilievi critici: si è evidenziata infatti che la “miopia” della Cassazione
80
A. Testaguzza, Exitus acta probat. “Trojan” di Stato: la composizione di un conflitto, cit., p. 3.
81
Cass., sez. V, 14 ottobre 2009, n. 16556, in CED Cass., 246954.
82
Balsamo Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, cit., p. 2276, il quale sottolinea
trattarsi di una sentenza relativa alla on line search.
83
Secondo gli inquirenti gli imputati avrebbero instaurato, grazie ad un’intricata rete di influenti amicizie, un sistema informativo parallelo che avrebbe avuto tra i suoi obiettivi «… l’illecita acquisizione di notizie e di informazioni, anche coperte da
segreto, alcune delle quali inerenti a procedimenti penali in corso nonché di altri dati sensibili o personali al fine di consentire a
soggetti inquisiti di eludere le indagini giudiziarie ovvero per ottenere favori o altre utilità».
84
Procedimento penale n. 39306/2007 R.G.N.R. mod. 21: per un approfondimento, v. M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 1167.
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che ha scelto di privilegiare l’ubicazione materiale del sistema informatico 85 piuttosto che la sua dimensione astratta, quale proiezione del luogo 86, così obliterando la tutela costituzionale del domicilio informatico che, si è sottolineato, può addirittura rappresentare qualcosa di più personale e intimo del
domicilio tradizionale 87.
In ultima analisi, l’inquadramento delle tecniche remote forensics nella categoria della prova atipica
costituisce un’elusione delle garanzie. Attualmente il captatore informatico, potenzialmente idoneo a
ledere il bene giuridico protetto dalla riserva di legge e di giurisdizione, in quanto mezzo di ricerca della prova atipico, integra un’ipotesi di prova incostituzionale 88, considerata la fisiologica inidoneità
dell’art. 189 c.p.p. ad adempiere alla riserva di legge richiesta dall’art. 14 Cost. Conseguentemente gli
esiti probatori del captatore informatico sono colpiti da inutilizzabilità grazie al divieto implicito nel silenzio dell’art. 189 c.p.p. 89. La dottrina unanime richiama l’attenzione sulla necessità che la prova atipica che, per definizione, non è volta a destrutturare i modelli tipici previsti dal codice di rito, quanto
piuttosto ad integrare il sistema probatorio, non venga strumentalizzata per aggirare i requisiti delle
prove tipiche. In proposito si ritiene ricavabile dal codice di procedura penale un principio di non sostituibilità in forza del quale è vietato l’aggiramento delle forme probatorie poste a garanzia dell’imputato
o dell’attendibilità dell’accertamento. Si configura un vero e proprio divieto probatorio a pena di inutilizzabilità gli elementi acquisiti 90.
In questa prospettiva di consapevolezza delle criticità riguardanti la categoria dell’atipicità della
prova sembra doversi leggere una proposta dottrinale 91 di inserimento nel codice di rito penale, subito
dopo la disciplina delle intercettazioni, di un capo V intitolato «Atto di indagine non disciplinato dalla
legge che incide su un diritto fondamentale della persona». La disciplina proposta è largamente tributaria delle regolamentazione delle intercettazioni ed è tesa a predeterminare casi e modi di lesione dei diritti fondamentali, i controlli sulle attività, le sanzioni processuali, alla luce del principio di proporzionalità in ragione del quale la disciplina viene ancorata ai reati più gravi (ex artt. 51-bis e 51-quater c.p.p.).
In applicazione di tale principio, inoltre, si sostiene che, qualora un certo atto investigativo atipico si
dovesse rivelare particolarmente utile e si volesse impiegare anche in procedimenti per reati meno gravi, il legislatore dovrebbe espungerlo dalla categoria dell’atipicità provvedendo a dettarne una disciplina espressa. L’elaborazione ora riferita si segnala sicuramente per originalità: quasi un tentativo di tipizzare l’atipicità; tuttavia, si rinviene un profilo di frizione con la necessità che la legge che regola gli
istituti limitativi dei diritti fondamentali della persona sia chiara e precisa.
L’INQUADRAMENTO NEI MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA TIPICI E LA SPECIFICITÀ DELLE INDAGINI INFORMATICHE
Negli ultimi due anni sul tema del captatore informatico, fino alla sentenza delle Sezioni Unite in commento, si è sviluppata un’elaborazione giurisprudenziale articolatasi in tre fasi. Le varie pronunce della
Corte di cassazione sono accomunate dal riferimento a giudizi de libertate relativi a reati di criminalità
organizzata per i quali erano state emesse ordinanze di custodia cautelare fondate essenzialmente su
indagini, riferibili all’on line surveillance, effettuate mediante programmi spia inseriti in alcuni dispositivi in uso agli indagati 92. In tutti i casi la Suprema Corte ha attratto l’indagine informatica nell’alveo delle intercettazioni ambientali.
85
M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 1167.
86
A. Testaguzza, Exitus acta probat. “Trojan” di Stato: la composizione di un conflitto, cit., p. 3.
87
G. Pica, Diritto penale delle tecnologie informatiche, Torino, 1999, p. 66.
88
M. Torre, Il virus di Stato nel diritto vivente tra esigenze investigative e tutela dei diritti fondamentali, cit., p. 1168. Per la inconvenzionalità della prova atipica, E. Andolina, L’ammissibilità degli strumenti di captazione dei dati personali tra standard di tutela
della privacy e onde eversive, cit., p. 9; L. Filippi, L’ispe-perqui-intercettazione “itinerante: le Sezioni unite azzeccano la diagnosi ma sbagliano la terapia, cit.; contra, M. Daniele, Indagini informatiche lesive della riservatezza. Verso una inutilizzabilità convenzionale?, in
Cass. pen., 1, 2013, p. 367.
89
P. Tonini-C. Conti, Il diritto delle prove penali, cit., p. 392 ss.
90
P. Tonini-C. Conti, Il diritto delle prove penali, cit., p. 200.
91
S. Marcolini, Le indagini atipiche a contenuto tecnologico nel processo penale: una proposta, in Cass. pen., 2, 2015, p. 760.
92
A. Balsamo, Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, cit., p. 2276.
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In una prima fase la giurisprudenza di legittimità ha dichiarato infondate le censure ai provvedimenti cautelari sia per ragioni di rito attinenti alla genericità dei motivi, sia evidenziando le implicazioni della disciplina speciale relativa alle intercettazioni nei procedimenti di criminalità organizzata. In
specie, a supporto del rigetto o dell’inammissibilità dei ricorsi de libertate, si è affermato 93 che la censura
relativa alla mancanza di motivazione che nei luoghi di privata dimora, oggetto di intercettazione ambientale, si stesse svolgendo l’attività criminosa è infondata poiché le captazioni sono state disposte ai
sensi dell’art. 13 d.l. 13 maggio 1991, n. 152 conv. con modificazioni in l. 12 luglio 1991, n. 203 che, testualmente, prescinde da tale requisito, in quanto prevede che l’intercettazione di comunicazione tra
presenti è consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. si stia
svolgendo l’attività criminosa.
Di segno opposto il secondo orientamento interpretativo della Corte di Cassazione che ha ritenuto
fondate alcune censure analoghe a quelle sopra evidenziate, sulla base di un duplice assunto: il decreto
autorizzativo delle intercettazioni ambientali deve individuare con precisione, a pena di inutilizzabilità,
i luoghi nelle quali esse dovranno svolgersi. Più precisamente la V sezione della Suprema Corte 94 nel
2015 ha stabilito che l’intercettazione da remoto di conversazioni tra presenti mediante l’attivazione
impiegando il c.d. agente intrusore, del microfono di un apparecchio telefonico smartphone, va ricondotta alla categoria delle intercettazioni ambientali. La sentenza Musumeci, sulla base della considerazione
che le intercettazioni mediante captatore informatico consentono di captare le conversazioni tra presenti in una varietà di luoghi, a seconda degli spostamenti del soggetto che ha in uso il dispositivo infestato dal virus troyan, ha adottato una interpretazione restrittiva escludendo che le captazioni ambientali
possano essere attuate ovunque si sposti il soggetto. Dunque l’intercettazione ambientale mediante captatore informatico è stata ritenuta legittima, ai sensi dell’art. 266, comma 2, c.p.p. in relazione all’art. 15
Cost., soltanto quando il decreto autorizzativo individui con precisione i luoghi in cui deve essere
espletata l’attività captativa. È questa l’unica lettura della disciplina delle intercettazioni ambientali ritenuta compatibile con il dettato costituzionale: l’intercettazione ambientale deve avvenite in luoghi
ben circoscritti e individuati ab origine e non, invece, in qualunque luogo venga a trovarsi il soggetto.
La terza fase dell’elaborazione giurisprudenziale in considerazione si deve alla medesima sezione V
della Suprema Corte che nel 2016 95, prendendo le distanze dalla precedente sentenza del 2015, ha rimesso
alla Sezioni Unite la questione, formulando tre quesiti così compendiabili: se nei luoghi di privata dimora
ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l’attività criminosa –
sia consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti, mediante l’installazione di un
captatore informatico in dispositivi elettronici portatili (come personal computer, tablet, smartphone).
La rimessione si è fondata su un’articolata lettura della disciplina normativa congiunta ad una attenta analisi del fenomeno captatore informatico 96. Più precisamente, la Corte, dopo aver ricondotto
le intercettazioni mediante virus informatico nell’ambito di quelle ambientali, ha rilevato l’incompatibilità tra il requisito della precisa indicazione, nel decreto autorizzativo, dei luoghi della futura intercettazione tra presenti, peraltro mai richiesto dalla giurisprudenza di legittimità 97, né da
quella della Corte europea dei diritti dell’uomo, con l’intercettazione mediante virus informatico.
Nell’intercettazione tra presenti tradizionale, si afferma, l’indicazione del luogo rileva soltanto in relazione alla motivazione del decreto in funzione delle modalità esecutive dell’intercettazione (collocazione fisica di microspie); invece, nel caso di intercettazione mediante virus informatico, trattandosi
di intercettazione ambientale per sua natura itinerante, è sufficiente che il decreto autorizzativo sia
adeguatamente motivato sulle ragioni che rendono necessaria l’installazione da remoto consentendo,
in tal modo, una captazione dinamica. Si è inoltre specificato che il problema dei luoghi di privata
dimora non si pone per le intercettazioni ambientali disposte in procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata, le quali sono consentite anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi indicati nell’art. 614 c.p. si stia svolgendo l’attività criminosa.
93
Cass., sez. VI, 12 marzo 2015, n. 24237, Maglia, inedita; Cass., sez. VI, 8 aprile 2015, n. 27536, Cantone, inedita.
94
Cass., sez. VI, 26 maggio 2015, n. 27100, Musumeci, in CED Cass., n. 265654.
95
Cass., sez. VI, 10 marzo 2016, n. 13884, Scurato.
96
A. Balsamo, Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, cit., p. 2278.
97
Sui princìpi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in merito all’indicazione del luogo delle intercettazioni ambientali, v.
le considerazioni di A. Balsamo, Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, cit., p. 2281.
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INTERCETTAZIONI TRA PRESENTI E VIRUS TROJAN: IL BILANCIAMENTO DI INTERESSI OPERATO DALLE
ZIONI UNITE
SE-
Il caso affrontato dalla Suprema Corte era originato da un provvedimento del giudice per le indagini
preliminari di Palermo che aveva autorizzato le intercettazioni ambientali mediante captatore informatico disponendo che queste dovevano eseguirsi nei luoghi in cui si trova il dispositivo elettronico in uso
all’indagato. La questione è pervenuta alle Sezioni Unite a seguito del ricorso della difesa che, tra i vari
motivi, aveva dedotto l’illegittimità del decreto autorizzativo in quanto emesso in violazione dei limiti
previsti dall’art. 266, comma 2, c.p.p. e in quanto privo di specifico riferimento ai luoghi, con conseguente richiesta di dichiarazione di inutilizzabilità del contenuto delle relative conversazioni.
La Corte si è discostata dalla sentenza Musumeci del 2015 con un ampio e articolato percorso normativo.
In estrema sintesi, si individuano due ambiti di riflessione: l’ammissibilità dell’intercettazione mediante virus informatico ricondotto sotto la copertura normativa delle intercettazioni ambientali e la delimitazione della nozione di criminalità organizzata.
Rispetto al primo aspetto le Sezioni Unite, dopo aver mostrato contezza delle caratteristiche tecniche
del captatore informatico elencando le varie attività di indagini ad esso riconducibili, ha inquadrato
l’indagine che in concreto ha consentito di cogliere dialoghi tra persone presenti, nella disciplina delle
intercettazioni tra presenti. Nonostante le critiche che i primi commentatori hanno rivolto, con varietà
di accenti, alla sentenza delle Sezioni Unite, si può affermare che tale pronuncia si caratterizzi per prudenza e sobrietà. A fronte del rilievo critico che ascrive alle Sezioni Unite un’interpretazione riduttiva e
parziale del fenomeno del captatore informatico, avendone individuato la base legale nell’istituto delle
intercettazioni tra presenti, si può evidenziare che la Corte ha svolto correttamente la propria funzione
nomofilattica e si è mossa nel perimetro della questione sottopostale: in altri termini, la parzialità di visuale appare necessitata dai termini del contrasto giurisprudenziale.
Induce perplessità, invece, la decisione relativa al secondo aspetto: mentre la Procura generale nelle
sue conclusioni, aveva optato per una interpretazione restrittiva della nozione di criminalità organizzata, le Sezioni Unite hanno accreditato la nozione più ampia collocandosi nella scia della tradizione giurisprudenziale di legittimità, con l’effetto di ampliare il raggio d’azione del captatore informatico.
Merita qui rilievo il passaggio argomentativo che valorizza la teoria della tutela progressiva dei diritti fondamentali recependone i contenuti. La Suprema Corte ha evidenziato la difficoltà del bilanciamento tra esigenze investigative, peraltro con impiego di uno strumento informatico ancora da studiare, e garanzia dei diritti fondamentali, stante la potente invasività del captatore informatico il cui uso
deve essere calibrato in ragione sia della gravità dei reati da perseguire, sia della difficoltà di raccogliere le prove. L’operatore dovrà, in base al principio di proporzionalità, decidere l’opportunità o meno
dell’impiego dei programmi spia: il limite invalicabile è rappresentato dalla tutela della dignità della
persona. A questo proposito, le Sezioni Unite hanno raccolto uno spunto proveniente dal Procuratore
Generale 98 in ordine alla possibilità per il giudice, mediante lo strumento dell’interpretazione costituzionalmente orientata in relazione al principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost., di sanzionare con
l’inutilizzabilità i risultati delle intercettazioni che, nelle modalità esecutive o negli esiti, abbiano assunto in concreto connotati direttamente lesivi della persona e della dignità.
LE INTERCETTAZIONI TRA PRESENTI E LE INTERCETTAZIONI TRA PRESENTI NEL DOMICILIO: IL RILIEVO DEL
LUOGO DELLA CAPTAZIONE.
Dopo aver effettuato un’accurata ricognizione delle iniziative parlamentari volte a disciplinare l’uso investigativo del captatore informatico, alla luce dei parametri di proporzionalità, necessità e ragionevolezza dell’intrusione pubblica nella sfera personale dell’individuo, così adombrando la necessità di un
intervento legislativo in materia, le Sezioni Unite hanno focalizzato il problema della qualificazione
giuridica di tale attività d’indagine individuando quale copertura normativa la disciplina delle intercettazioni ambientali così come, peraltro, avevano fatto le pronunce in contrasto.
98
Merita di essere ricordata, per gli spunti di riflessione che contiene, l’articolata memoria elaborata dal Procuratore generale
presso la Corte di Cassazione in vista della camera di consiglio delle Sezioni Unite del 28 aprile 2016, nonché l’allegato contenente cenni di diritto comparato sulle esperienze tedesca, spagnola e francese e sull’ordine europeo d’indagine, consultabili sul
sito di Diritto penale contemporaneo.
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Conseguentemente, rinvenuti i riferimenti normativi negli artt. 266, 267, 271 c.p.p. e 13 d.l. n.
152/1991 relativo ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata, la Cassazione ha evidenziato la
necessità di un confronto con le norme di rango costituzionale e sovranazionale inerenti alla tutela dei
diritti fondamentali della persona quali la libertà di comunicazione e la riservatezza.
In particolare, ribadita la tenuta costituzionale delle intercettazioni ambientali tradizionali 99 l’attenzione della Corte di cassazione si è concentrata sulla valenza da attribuire all’individuazione (e per ciò
all’indicazione nel provvedimento autorizzativo) del luogo in cui deve svolgersi l’intercettazione. In sostanza, si è posta in evidenza l’alternativa interpretativa, oggetto del contrasto giurisprudenziale, in ordine alla configurabilità o meno dell’indicazione (e della predeterminazione) del luogo come requisito
indispensabile di legittimità della ricerca probatoria.
Le Sezioni Unite hanno ritenuto di non poter aderire all’opzione esegetica della sentenza Musumeci
che aveva tratto dalla formulazione letterale dell’art. 266, comma 2, c.p.p. ove è prevista l’intercettazione di comunicazione tra presenti, un sostegno alla configurabilità dell’obbligo di precisare, nel
decreto autorizzativo, il luogo delle intercettazioni. La specificazione dei luoghi sarebbe, infatti, una peculiare tecnica di captazione e non una mera modalità di esecuzione delle intercettazioni.
La Corte di cassazione, prendendo spunto dal dato letterale, è arrivata a tutt’altra conclusione: infatti, si è evidenziato che il comma 2 dell’art. 266 c.p.p. si limita a autorizzare, negli stessi casi previsti dal
comma precedente, l’intercettazione di comunicazioni tra presenti; il riferimento all’ambiente è contenuto solo nella seconda parte della disposizione in relazione alla tutela del domicilio. Dunque né il diritto positivo, né la giurisprudenza della Corte e.d.u. sulla garanzie minime che la legge del singolo Stato deve predisporre in materia di intercettazioni, delineano l’indicazione del luogo come requisito necessario del provvedimento di autorizzazione. In via conclusiva i giudici di legittimità hanno sottolineato che le caratteristiche tecniche dell’intercettazione mediante virus informatico prescindono dal riferimento al luogo, trattandosi di un’intercettazione ambientale “itinerante”.
Conseguentemente viene indicato un primo punto fermo: de jure condito deve essere esclusa l’esperibilità di intercettazioni con il captatore informatico nei luoghi indicato dall’art. 614 c.p. al di fuori della disciplina derogatoria di cui all’art. 13 d.l. n. 152/1991 relativa ai delitti di criminalità organizzata. Le
argomentazioni della Corte evidenziano la disciplina speciale del 1991: l’intercettazione domiciliare, in
deroga alla disciplina generale espressa dall’art. 266, comma 2, c.p.p., è consentita anche in mancanza
della gravità indiziaria in ordine all’attualità dello svolgimento dell’attività criminosa.
La successiva questione venuta in rilievo riguarda la possibilità o meno di disporre nei procedimenti
per criminalità organizzata l’intercettazione mediante captatore informatico prescindendo dall’indicazione dei luoghi. Sul punto si contrappongono due diverse linee esegetiche. La prima, riconducibile alla
sentenza Musumeci, la seconda contenuta nell’ordinanza di rimessione.
Volendo sintetizzare si può sottolineare che la sentenza del 2015 non ha valorizzato il caso di specie
relativo ad un reato di natura associativa, mentre ha stigmatizzato la dinamicità dell’intercettazione;
inoltre ha ignorato la coesistenza della disciplina generale e di quella speciale in materia di intercettazioni ambientali. In sostanza, si è dato esclusivo rilievo all’ambiente, in contrasto con la giurisprudenza
costante, a mente della quale è sufficiente indicare il destinatario e la tipologia di ambiente diverso dalla privata dimora; la variazione del luogo, purché esso rientri nella tipologia predetta, non rende illegittime le intercettazioni 100. In questa prospettiva merita attenzione la tesi che valorizza, anziché l’ambiente, il parametro personologico: ai fini di legittimità del decreto autorizzativo è sufficiente l’indicazione del soggetto da controllare che ha in uso il dispositivo infestato dal programma spia 101.
Viceversa, l’ordinanza di rimessione ha enucleato dal dato normativo due categorie: le intercettazioni tra presenti e le intercettazioni tra presenti nel domicilio: l’ambiente, in altri termini, viene in considerazione solo nel comma 2 dell’art. 266 c.p.p. in relazione al domicilio e nell’art. 13 d.l. n. 152/1991 a
fondamento della deroga ai presupposti ordinari.
99
Si rinvia, per ragioni di economia espositiva, alla lettura della sentenza e ai riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti.
100
A. Balsamo, Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, cit., p. 2281: al quale si rinvia per una sintesi dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità in relazione all’indicazione del luogo delle intercettazioni
ambientali.
101
Amato, Intercettazioni mediante agenti intrusori: la Cassazione non è al passo con i tempi, in Guida dir., 2015, p. 41.; A. Balsamo,
Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, cit., p. 2286.
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Le Sezioni Unite, in via conclusiva, hanno evidenziato tre approdi certi dell’operazione ermeneutica:
la regola è che il decreto autorizzativo delle intercettazioni tra presenti deve contenere la specifica indicazione dei luoghi se di privata dimora; invece, se i luoghi attinti dalle intercettazioni sono diversi da
quelli ex art. 614 c.p. è sufficiente l’indicazione, nel decreto di autorizzazione, del destinatario e della
tipologia di ambienti. Infine, l’indicazione dei luoghi o dell’ambiente è requisito indispensabile solo se
si deve applicare l’art. 266, comma 2, c.p.p.
In ultima analisi, l’uso del captatore informatico in relazione ai delitti di criminalità organizzata è legittimo a prescindere dall’indicazione dei luoghi: la norma speciale derogatrice, quindi, esplica efficacia, purché il giudice motivi adeguatamente. Essa è espressione di un bilanciamento di interessi specifico: all’eccezionale gravità e pericolosità dei reati di criminalità organizzata corrisponde una più severa
limitazione della segretezza delle comunicazioni e del domicilio. La peculiarità di tale bilanciamento
operato dal legislatore del 1991 porta a ritenere che le intercettazioni tra presenti domiciliari (data la
mobilità del dispositivo sede del captatore) non sono in contrasto né con il codice di procedura penale,
né con la Costituzione.
Nonostante le critiche rivolte dalla dottrina all’operazione ermeneutica operata dalle Sezioni Unite
che avrebbero operato un’interpretazione estensiva 102 o forzosa 103, l’esegesi relativa alle intercettazioni
tra presenti, corredata da ampi riferimenti alla giurisprudenza di legittimità, costituzionale ed europea,
appare impeccabile: la Corte di cassazione ha svolto il proprio lavoro 104 e non ci si potevano aspettare
altre e diverse affermazioni.
L’ESTENSIONE DEL CONCETTO DI CRIMINALITÀ ORGANIZZATA
Se da un lato appare tranquillizzante la prospettiva del doppio binario entro la quale le Sezioni Unite
hanno ricostruito la disciplina delle intercettazioni tra presenti, assai meno rassicurante appare la dilatazione del concetto di criminalità organizzata che finisce per svuotare di significato il rapporto regola –
eccezione, riferibile alla disciplina generale delle intercettazioni tra presenti (art. 266, comma 2, c.p.p.) e
alla disciplina speciale di cui all’art. 13, d.l. n. 152/1991, nella prospettiva del doppio binario e di strategie processuali differenziate.
Occorre considerare che l’ampia efficacia investigativa delle intercettazioni ambientali nelle indagini
per reati di criminalità organizzata e la necessità di applicare uno speciale statuto processuale, impongono la delimitazione della relativa nozione.
Le Sezioni Unite hanno optato per una nozione ampia di criminalità organizzata alla quale vengono ricondotti non solo i delitti associativi previsti da speciali norme incriminatrici, ma anche qualsiasi tipo di
associazione per delinquere ex art. 416 c.p. correlata alle attività criminose più diverse, compreso il complesso di reati associativi di natura terroristica, con la sola esclusione del concorso di persone nel reato nel
quale manca il requisito dell’organizzazione. Più precisamente, la Suprema Corte ha voluto includere nel
concetto di criminalità organizzata i reati associativi legati a fenomeni corruttivi e concussivi stabilendo
che «per reati di criminalità organizzata devono intendersi non solo quelli elencati nell’art. 51 comma 3 bis
e 3 quater c.p.p., ma anche quelli comunque facenti capo a un’associazione per delinquere ex art. 416 c.p.,
correlata alle attività criminose più diverse, con esclusione del mero concorso di persone nel reato».
La Corte di cassazione è giunta a tale conclusione all’esito di un percorso argomentativo articolato
sia sul piano del diritto positivo, mediante una ricognizione delle disposizioni processuali che richiamano espressamente la nozione di criminalità organizzata e delle disposizioni contenenti un elenco di
fattispecie penali sostanziali (in specie, artt. 51 comma 3 bis c.p.p. e 407 comma 2, lett. a, c.p.p.), sia
dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale. Quest’ultimo profilo ha portato la Cassazione a riflettere su due linee interpretative: da una parte le tesi di natura socio-criminologica fondate su una metodologia descrittiva dei fenomeni; da un’altra parte, le teorie di carattere più tecnico-giuridico che privilegiano la ricognizione di delitti. I giudici di legittimità hanno optato per una nozione di criminalità or-
102
Documento redatto dai docenti torinesi di Procedura penale sul problema dei captatori informatici.
103
L. Filippi L’ispe-perqui-intercettazione “itinerante: le Sezioni unite azzeccano la diagnosi ma sbagliano la terapia; A. Testaguzza,
Exitus acta probat. “Trojan” di Stato: la composizione di un conflitto, cit., p. 8.
104
M. Caianiello, Osservazioni sul Documento redatto dai docenti torinesi di Procedura penale sul problema dei captatori informatici.
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ganizzata di tipo sostanzialistico che pone attenzione particolarmente alla struttura organizzativa con i
suoi requisiti di stabilità e di consapevolezza da parte degli adepti, ma anche alle finalità perseguite:
una tale ampia nozione, peraltro, è supportata dalla giurisprudenza europea e da vari documenti del
Parlamento europeo 105 menzionati nella sentenza delle Sezioni Unite 106.
L’esegesi della Corte di cassazione è stata considerata come un necessario adeguamento al mutamento dell’attività criminosa delle organizzazioni criminali e mafiose: la corruzione ha assunto la fisionomia di una nuova forma di attività strutturale e il riciclaggio dei proventi della corruzione rappresenta un nuovo canale di investimento 107. Tuttavia, la dilatazione del concetto di criminalità organizzata
influisce sulla determinatezza della nozione che rischia di divenire generica 108. Rimangono perplessità
sull’estensione del concetto che se si può ritenere correttamente avvallato dalle Sezioni Unite con riferimento alla diversa tematica della sospensione dei termini nel periodo feriale, in una sentenza del
2005 109 esplicitamente citata a sostegno delle proprie argomentazioni nella pronuncia in commento, non
sembra conservare la propria ratio essendi se rapportato alla questione dell’ammissibilità di strumenti di
indagine che comportano pesanti limitazioni di diritti fondamentali 110.
QUESTIONI IRRISOLTE E PROSPETTIVE DE IURE CONDENDO
A fronte delle varie questioni, ancora aperte, che connotano l’impiego del captatore informatico nelle
indagini preliminari, si pone la necessità di considerare le proposte di riforma susseguitesi in materia
alla luce delle indicazioni provenienti dalla Costituzione e dagli atti sovranazionali, nonché dalla giurisprudenza interna ed europea.
Appare opportuna una sintetica ricognizione delle iniziative parlamentari allo scopo di verificare se
le diverse proposte siano idonee o meno a soddisfare le esigenze operative risolvendo le criticità che via
via sono emerse e che si possono ricondurre a tre ambiti di riflessione: la tutela dei diritti fondamentali,
la tutela dell’attendibilità dell’accertamento probatorio, la predisposizione di garanzie difensive.
Le prime due proposte di riforma, di analogo tenore, inquadrano la tecnica del captatore informatico
nella disciplina delle intercettazioni telematiche.
In primo luogo si ricorda la proposta di modifica dell’art. 266-bis c.p.p. mediante l’inserimento delle
parole «anche attraverso l’impiego di strumenti o programmi informatici per l’acquisizione da remoto
delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico», presentata, ma non approvata, in
sede di lavori parlamentari per la conversione del d.l. 18 febbraio 2015, n. 7 recante «Misure urgenti per
il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale» convertito con modificazioni dalla l. 17
aprile 2015, n. 43.
L’altra iniziativa è oggetto della proposta di legge C. 3740 depositata il 2 dicembre 2015 e intitolata
di «Modifica all’art. 266-bis c.p.p. in materia di intercettazione di comunicazioni informatiche e telematiche» che, nell’intento di incrementare l’efficacia di indagini connesse al perseguimento di reati con finalità terroristiche, propone di aggiungere all’art. 266 bis, comma 1, c.p.p., le seguenti parole: «anche attraverso l’impiego di strumenti o programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico».
Si presenta ben più articolata la più recente proposta di legge C 3762 depositata il 20 aprile 2016 e intitolata «Modifiche al codice di procedura penale e alle norme di attuazione, coordinamento e transitorie
del codice di procedura, in materia di investigazioni e sequestri elativi a dati e comunicazioni contenuti in
105
Per un approfondimento si rinvia a A. Balsamo, Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte
europea, cit., p. 2287.
106
In particolare, in difetto di una definizione normativa interna del fenomeno criminalità organizzata la Corte richiama la
nozione adottata dalla decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio dell’Unione del 24 ottobre 2008 relativa alla lotta alla criminalità organizzata. Sulle critiche dottrinali all’approccio minimalista della decisione quadro che contiene una descrizione
molto limitata delle caratteristiche del fenomeno v. A. Balsamo, Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, cit., p. 2287.
107
P. Giordano, Intercettazioni: “captatori informatici” in luoghi privati solo per criminalità organizzata, cit.
108
G. Fiandaca, Criminalità organizzata e controllo penale, in Ind. pen., 1991, p. 5.
109
Cass., Sez. Un., 22 marzo 2005, n. 17706, Petrarca, in CED Cass., n. 230895.
110
A. Balsamo, Le intercettazioni mediante virus informatico tra processo penale italiano e Corte europea, cit., p. 2286.
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sistemi informatici o telematici». Si tratta di un’iniziativa ambiziosa volta a bilanciare il dato tecnico e
quello giuridico, come emerge dalla Relazione di accompagnamento che, dopo aver definito “captatore
legale” il programma informatico da impiegare nelle indagini, illustra la le varie attività che il programma
informatico consente, ognuna delle quali è ricondotta all’istituto tipico al quale risulta maggiormente assimilabile. In particolare l’art. 1 disciplina le perquisizioni a distanza con riferimento ai reati di cui all’art.
51 c.p.p., commi 3 bis, 3 quater e 3 quinquies all’art. 407 c.p.p. e ai delitti contro la pubblica amministrazione; segue la proposta di regolamentazione del sequestro da remoto di dati diversi da quelli relativi al traffico telefonico o telematico (art. 2). Apprezzabile appare la previsione contenuta nell’art. 5 di modificare
l’art. 268 c.p.p. stabilendo che i dati informatici acquisiti siano conservati con modalità tali da assicurare
l’integrità e l’immodificabilità dei dati raccolti nonché la loro conformità all’originale. Infine meritano
menzione la proposta di aggiungere nelle disposizione di attuazione un art. 89 bis che indica i contenuti
del decreto ministeriale sulle caratteristiche tecniche dei captatori (art. 6) e l’adeguamento delle intercettazioni preventive previste dall’art. 226 disp. att. c.p.p. al nuovo strumento di captazione.
Infine, occorre ricordare la delega per la riforma della disciplina delle intercettazioni contenuta nel il
disegno di legge n. 2067-S (c.d. Riforma Orlando) nel testo unificato adottato dalla Commissione per
raccogliere vari altri disegni di legge. In particolare si prevede di integrare la disciplina delle intercettazioni di comunicazioni e conversazioni tra presenti mediante l’immissione di captatori informatici in
dispositivi elettronici portatili, alla luce delle seguenti linee direttive.
Hanno caratura tecnica le prime due previsioni: l’attivazione del microfono deve avvenire soltanto
mediante un apposto comando inviato da remoto nel rispetto dei limiti stabiliti dal decreto di autorizzazione; la registrazione audio deve essere avviata dalla polizia giudiziaria o dal personale ausiliario
incaricato ai sensi dell’art. 348 comma 4 c.p.p. su indicazione della polizia giudiziaria operante che deve
indicare l’ora di inizio e di fine della registrazione da attestare nel verbale descrittivo delle modalità
esecutive di cui all’art. 268 c.p.p.
Viene inoltre delineato l’ambito di ammissibilità: l’impiego del captatore informatico è ammessa
sempre quando si procede per i delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, c.p.p. e, fuori da tali casi,
nei luoghi di cui all’art. 614 c.p. soltanto qualora ivi si stia svolgendo l’attività criminosa, nel rispetto
dei requisiti ex art. 266, comma 1, c.p.p.; si aggiunge che in ogni caso il decreto autorizzativo deve adeguatamente motivare le ragioni della necessità di impiego di tale specifica tecnica di intercettazione.
A tutela della originalità e dell’integrità delle registrazioni, invece, si indica la necessità che il trasferimento delle stesse avvenga soltanto verso il server della Procura e che, al termine, della registrazione
il captatore venga disattivato su indicazione della polizia giudiziaria operante.
Inoltre, al fine di tener conto dell’evoluzione tecnica del programma spia, si prevede l’utilizzazione
di programmi informatici conformi a determinati requisiti tecnici stabiliti con decreto ministeriale.
Con riferimento all’aspetto procedurale si delinea una procedura, limitata ai delitti di cui all’art. 51,
commi 3 bis e 3 quater c.p.p.: il pubblico ministero dispone le operazioni in casi di urgenza, salvo successiva convalida del giudice al massimo entro quarantotto ore.
Quanto all’utilizzabilità dei risultati dell’indagine informatica, essi non restano confinati nel procedimento penale in cui si sono prodotti, ma possono essere utilizzati in procedimenti diversi a condizione che siano indispensabili per l’accertamento dei delitti di cui all’art. 380 c.p.p.
Infine a tutela della riservatezza di soggetti estranei ai fatti per cui si procede, è posto il divieto relativo alla conoscibilità, divulgazione e pubblicazione dei risultati delle intercettazioni.
Anche se dall’analisi delle varie proposte di legge emerge un notevole affinamento della sensibilità
verso la tematica delle indagini informatiche occulte, tuttavia si evidenzia un’attenzione limitativa al
fenomeno del captatore informatico, inteso come tecnica di indagine da sussumere nell’ambito dell’istituto codicistico che risulta maggiormente affine. Infatti molte attività riconducibili al captatore informatico, attualmente note, restano fuori; inoltre, le varie proposte di legge non appaiono convincenti sul
piano del controllo giudiziario sul mezzo: forse, sono proprio le caratteristiche tecniche del virus spia
che lo rendono incontrollabile.
Allora se da un lato, stante la specificità del captatore informatico, appare preferibile elaborare un
modello autonomo di disciplina e tipizzare un ulteriore mezzo di ricerca della prova, da un altro lato si
deve prospettare la possibilità che un’eventuale disciplina sia destinata a non cogliere la totalità delle
implicazioni tecnico-giuridiche di uno strumento difficilmente governabile dal giudice.
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