green / cultura
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Riccardo Canesi insegna Geografia Economica all’I.I.S. “Domenico Zaccagna” di Carrara. Da trent’anni svolge militanza attiva a difesa
dell’ambiente, sia a livello locale che nazionale. Negli anni Ottanta è
stato tra i fondatori di Legambiente e della Federazione dei Verdi. È
stato deputato e Capo della Segreteria del primo Ministro verde della
storia italiana, Edo Ronchi. Attualmente è Presidente di Euromobility,
l’associazione italiana dei mobility manager. Ha scritto numerosi saggi
e articoli in materia di ambiente, territorio, risorse idriche e mobilità
sostenibile. È curatore del sito www.sosgeografia.it.
Carlo Petrini, gastronomo, giornalista e scrittore, è Presidente di Slow
Food International. Dal 2007 è una firma di “Repubblica”.
Tra i tanti libri pubblicati, ricordiamo: Un’ idea di felicità (Guanda,
2014) scritto con Luis Sepúlveda, Coltivare futuro (San Paolo, 2014),
Cibo e libertà (Giunti, 2013), Buono, pulito e giusto (Einaudi, 2012),
Slow Food revolution (Rizzoli, 2005), Atlante delle vigne di Langa (Slow
Food, 2000).
Gino De Vecchis è presidente dell’Associazione Italiana Insegnanti di
Geografia e professore ordinario di geografia alla Sapienza di Roma.
Ha fondato e dirige la collana “Ambiente Società Territorio” pubblicata
da Carocci. Ha promosso nel 2012 la fondazione della rivista on line
“Journal of Research and Didactics in Geography” (J-Reading), della
quale è direttore.
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Riccardo Canesi
Mucche
allo stato ebraico
Svarioni da un Paese
a scarsa cultura geografica
Prefazione di Carlo Petrini
Postfazione di Gino De Vecchis
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Mucche allo stato ebraico. Svarioni da un Paese a scarsa cultura geografica
di Riccardo Canesi
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Stampa
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Largo Giacomo Matteotti 1
Castel Gandolfo (RM)
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Indice
Prefazione 1
Introduzione 3
Astronomia 11
Geologia e tettonica a zolle 19
Carte 30
Il clima e l’atmosfera 34
Fiumi 45
Popolazione 57
Economia 79
Energia 103
Agricoltura e allevamento 112
Europa 127
Italia 135
Spagna 148
Francia 157
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Regno Unito 158
America 166
Asia 182
Africa 186
Mondo arabo e islamico 194
Organizzazioni internazionali 204
Geografia storica 209
Fuori dall’aula 212
Postfazione 214
Bibliografia e sitografia 217
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Prefazione
Dalle mie parti, quando ci si vuole riferire ad una persona inaffidabile e sulla cui opinione non si può contare, si usa dire che “non
sa da che parte è girato”.
Questo modo di dire mi ha sempre fatto riflettere su come il buon
senso popolare si dimostri diffidente nei confronti di chi non si sa
orientare nello spazio, di chi non conosce i luoghi in cui si trova e
non ha punti di riferimento.
Alcuni degli studenti citati tra queste pagine hanno saputo travisare gli insegnamenti dei professori in modo esilarante, altri in modo
preoccupante. Ed è così che, continuando la lettura, ho pensato
anche ad un’altra espressione della saggezza popolare, che attingendo dal sacro recita: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”;
chissà che questo divertente lavoro non possa essere utile anche a
chi è convinto di sapere un po’ tutto, o è convinto che eventuali
lacune possano essere colmate in modo veloce e sostanzialmente
anonimo su internet.
Infatti, è sicuramente vero che oggi abbiamo accesso ad una quantità incredibile di informazioni, più di quante ne potremmo assimilare in una vita. Ma se è vero che possiamo controllare su internet
in che Stato si trova la foce del Nilo, bisogna mettersi in testa che
l’acquisizione delle competenze è un processo diverso, più lungo e
possibilmente ben guidato. Comunemente, lo chiamiamo scuola.
Una scuola che oggi non insegna più la geografia e dove viene mortificata la storia dell’arte, altra grande risorsa del nostro Paese. Ma
sarà ancora questa scuola a formare i nostri giovani, i futuri leader,
i futuri imprenditori, i futuri Ministri dell’Agricoltura, i futuri Ministri dei Beni Culturali. Come faranno, a ricoprire questi ruoli,
senza “sapere dove sono girati”?
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Come faranno a riconoscere la bellezza dei nostri territori? Come
faranno a raccontarla al pubblico del mondo? Come faranno a difenderla?
Questo libro mi ha colpito come mi colpisce un bel pezzo di satira,
che ti strappa un sorriso dal retrogusto molto amaro.
Carlo Petrini
Presidente, Slow Food International
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Introduzione
Certamente è stato un divertimento. Nella condizione di totale
frustrazione in cui spesso gli insegnanti italiani si trovano a operare, ascoltare qualche frase scherzosa o qualche strafalcione dai
ragazzi (e non solo) fa sorridere e rende allegri.
E in questo periodo così negativo per la scuola, per gli insegnanti,
per la società e l’economia italiana, un po’ di allegria non guasta.
Questo libro non è solo uno dei tanti stupidari, peraltro simpatici,
già pubblicati in Italia. Prendendo spunto dagli errori di due generazioni di studenti delle superiori (quelli dei primi anni Novanta e
i loro figli di oggi), la mia ambizione è quella di far riflettere sulla
scarsa cultura geografica che tuttora persiste nel Paese.
La colpa non è solamente di studenti poco preparati, a volte con
un retroterra familiare e culturale problematico, ma di un sistema
scolastico, e aggiungerei politico-mediatico, che, nel migliore dei
casi ha emarginato la geografia, nel caso peggiore l’ha del tutto
eliminata come è successo nella gran parte delle scuole superiori
italiane e sui principali media.
Non voglio certo aggiungermi agli insegnanti che pontificano e si
scandalizzano, dall’alto della loro sapienza e supponenza, sugli errori degli studenti. Tutte le generazioni di studenti (e spesso anche
di insegnanti) hanno scritto enciclopedie di strafalcioni insieme ai
politici, italiani e stranieri.
Della scarsa preparazione geografica di una buona parte dei parlamentari italiani abbiamo ripetutamente la riprova nelle periodiche
incalzanti interviste delle Iene, ma occorre dire che anche gli stranieri non sono da meno.
La Merkel che non riesce a trovare Berlino sulla carta e vagola indecisa sopra la Russia durante una lezione tenuta all’ International
European School nel 2012.
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Obama che dichiara di rimanere neutrale sulla “questione delle
Maldive occupate dalla Gran Bretagna…” volendo forse dire Malvinas e cioè le isole Falkland.
Jean-Marie Le Pen che si congratula con gli austriaci scambiandoli
per i tedeschi (in questo caso forse giustificato dalle sue inclinazioni politiche hitleriane).
George Bush Jr. che durante la campagna elettorale confessa tranquillamente di ignorare che cosa sia il Pakistan e che saluta il premier sloveno Janez Drnovsek scambiandolo per quello slovacco.
Il Presidente francese Jacques Chirac che accoglie il presidente brasiliano Fernando Henrique Cardoso con un “sono felice di ricevere
in territorio francese il presidente del Messico”.
L’attuale Presidente François Hollande che fa le condoglianze ai
cinesi scambiandoli per giapponesi (a proposito dello tsunami).
A giudicare da questi episodi gli studenti italiani sono quindi in
parte giustificati.
Certamente il linguaggio di molti di loro è povero, sicuramente
molti non sono per nulla informati su quanto accade nel mondo
(e non solo per colpa loro), spesso non hanno famiglie che li stimolino adeguatamente e potremmo tirare in ballo le innumerevoli
statistiche PISA (Programme for International Student Assessment)
dell’OCSE, in cui purtroppo l’Italia non figura benissimo.
Molti studenti, soprattutto delle professionali e in parte dei tecnici, non leggono quotidiani, non leggono libri, né guardano telegiornali.
Non c’è da meravigliarsene se pensiamo che il quotidiano più letto
in Italia è la seppur autorevole Gazzetta dello Sport.
Del resto il Rapporto Istat del dicembre 2013 sulla produzione e
la lettura di libri in Italia certifica che nel 2013 i lettori sono diminuiti rispetto al 2012 passando dal 46% al 43% della popolazione.
La metà dei 24 milioni di lettori italiani non legge più di 3 libri
l’anno. Di costoro i lettori “forti”, cioè quelli che leggono almeno
un libro al mese, sono solo il 13,9%.
Se, come evidenzia l’Istat, la spesa in istruzione e formazione rappresenta uno degli indicatori chiave per valutare le politiche di crescita e di valorizzazione del capitale umano, l’Italia rimane al palo.
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Nel 2011, la spesa in istruzione rispetto al Prodotto interno lordo
era pari al 4,2% collocandoci agli ultimi posti (non è una novità)
nella classifica dell’Unione Europea, dove la media di spesa si attesta sul 5,3%. Siamo cioè al pari di Grecia, Romania, Slovacchia
e Bulgaria e lontani da Danimarca (7,8 %), Cipro (7,2 %), Svezia
(6,8%) e Slovenia (6,7 %).
Nel 2012, il 43,1% della popolazione italiana tra i 25 e i 64 anni di
età aveva conseguito, come titolo di studio più elevato, la licenza
di scuola media.
Nella graduatoria dell’Unione Europea l’Italia occupa la non invidiabile quarta posizione dopo Spagna, Malta e Portogallo e mostra
un valore ben al di sopra della media UE27 (25,8%).
Questo basso livello di alfabetizzazione si riflette poi sulle lacune
geografiche degli italiani.
Qualche anno fa, da un quiz lanciato dal sito Expedia in Italia,
Francia, Regno Unito e Germania, siamo risultati gli ultimi per
conoscenze geografiche.
Se ci può consolare, secondo una ricerca della National Science
Foundation, il 26% degli statunitensi crede che sia il Sole a girare
intorno alla Terra e la stessa ricerca mostra che solamente il 39%
di essi ritiene correttamente che l’Universo sia nato dal Big Bang.
Del resto, nel 2006 ai tempi della guerra americana in Iraq, secondo National Geographic, il 63% di giovani americani (tra i 18 e
24 anni) non sapeva dove fosse questo Stato così come, nel 2002,
il 56% di essi non trovava l’India sulla carta e un 50% non sapeva
localizzare lo Stato di New York nella carta degli Stati Uniti.
Questo libro, anche per dimenticare questi deprimenti numeri, è
certamente un divertissement costruito con la collaborazione involontaria di tanti studenti, molti dei quali hanno insistito per avere
il loro nome e cognome in calce alle frasi, richiesta che ovviamente
ho ignorato per quanto riguarda il cognome.
Vuole però anche essere una denuncia della ingiustificata condizione di assoluta marginalità della Geografia nella formazione degli
studenti italiani.
“Come possono i nostri giovani capire i problemi e i drammi del
mondo se non hanno alcuna nozione di come sia fatto fisicamente,
introduzione
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di quali culture e problemi vi esistano?“, si chiedeva con toni di
disperazione John Fahey, il presidente della National Geographic
Society, e la sua domanda rimane ancora drammaticamente senza
risposta. Fatto ancora più scandaloso se pensiamo al mondo globale e ai gravi problemi ambientali di cui, ci piaccia o no, siamo
partecipi talvolta inconsapevolmente.
Il testo è diviso in temi geografici. Per ciascuno di essi sono riportate
fedelmente le frasi scritte dagli studenti (di cui compariranno solo
il nome e l’anno scolastico). Per ciascun tema ci sarà poi un piccolo
commento dell’autore aggiornato con i dati e i fatti più recenti.
Mi scuso fin da ora se il testo risulterà talvolta pedante, didascalico
e in parte enciclopedico, ma le considerazioni da me scritte sono
quelle che in forma orale ho esposto in qualche maniera agli studenti per fare capire loro gli errori.
Gli studenti che hanno contribuito hanno frequentato in parte un
Istituto Professionale per il Commercio (primi anni Novanta) e in
parte un Istituto Tecnico Commerciale (gli ultimi due anni).
Due generazioni: i padri e i loro figli, nel vero senso della parola,
come può capitare insegnando in una piccola città di provincia.
È comprensibile quindi che, considerata la media dell’estrazione
sociale e culturale dei frequentatori di questo tipo di Istituti (soprattutto il primo), non tutti partano avvantaggiati.
Mi auguro che, dai temi casualmente toccati nel testo, molti lettori
(compresi i decisori politici) si rendano conto di quanto trasversale
sia la Geografia e quanto sia unica e utile nel preparare i giovani
a un mondo sempre più globale, interculturale e in continua trasformazione dal punto di vista economico, sociale ed ambientale.
Un Paese che non ha una cultura geografica globale è destinato a
perire.
Il sistema Terra e le società umane, l’organizzazione territoriale e
lo spazio geografico, la globalizzazione nel mondo attuale, la geoeconomia del mondo globalizzato, la geo-politica del mondo attuale, la globalizzazione e gli squilibri ambientali, la popolazione e
le città, le migrazioni, il territorio e le attività economiche, le reti e
i flussi globali … sono tutti temi all’ordine del giorno della politica
e delle cronache giornalistiche.
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Qualsiasi politico, manager e imprenditore, a qualunque livello, in
Italia o all’estero, che oggi non abbia conoscenza e consapevolezza
di questi fenomeni è perdente e soprattutto vedrà scemare le chances di successo dell’ente o dell’azienda da lui amministrati.
Lo stesso problema si porrà per i singoli cittadini che, ignorando quei contenuti, non avranno coscienza di vivere in un mondo
sempre più interdipendente e globalizzato e non saranno preparati
per un necessario e nuovo modello di sviluppo economico più rispettoso delle risorse ambientali e culturali né per una società, che
ci piaccia o no, sempre più multietnica.
I suddetti contenuti sono anche gli argomenti di una disciplina
che fino al 2014 si insegnava al quinto anno dei Tecnici Commerciali e che dal 2015, a causa del cosiddetto “riordino Gelmini”,
non esisterà più: la Geografia Economica.
Per la scuola italiana e per il futuro dell’Italia era già limitante e
poco lungimirante il fatto che argomenti tanto attuali e stringenti fossero trattati nel solo Tecnico Commerciale e non nelle altre
scuole, vedi soprattutto i Licei, dai quali generalmente esce buona
parte della classe dirigente.
Non è un caso infatti che, agli esami di maturità del 2013, le tracce
dei temi su “BRIC” e “Stato, mercato e democrazia” non siano
state praticamente svolte nelle scuole a indirizzo non commerciale.
Ancora più grave è avere ristretto, con il suddetto “riordino”, i tre
anni di Geografia economica al solo biennio dei tecnici commerciali con grave detrimento per la qualità della didattica a causa
non solo della riduzione delle ore (da 8 a 6) ma anche dell’impreparazione – vista la giovane età – degli studenti nei confronti di
tematiche spesso interdisciplinari.
Pur apprezzando il Ministro Carrozza per la sensibilità dimostrata,
la “sola” ora di Geografia che si introdurrà nel 2014-15 negli Istituti tecnici e nei professionali (vedi il suo “decreto istruzione”) non
allevierà certo il problema che dovrà essere risolto con riforme di
ben più ampia portata.
Occorre quantomeno ripristinare al più presto il triennio dei Tecnici commerciali e introdurre la Geografia politica ed economica
nei Licei, da affidarsi a insegnanti specialisti, eliminando definiintroduzione
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tivamente lo scandalo dell’atipicità e cioè di insegnanti non abilitati in Geografia (Classe A060) che continuano a insegnarla al
posto degli abilitati (Classe A039), il tutto a svantaggio dell’utenza
e contro l’art. 33 (quinto comma) della Costituzione che recita: “È
prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi
di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio
professionale”.
Se la conoscenza alimenta l’intelligenza, conoscere il mondo e
comprenderlo è un passo fondamentale sulla strada dell’intelligenza. Questo libro, tra le sue tante piccole ambizioni, ha anche quella
di stimolare ciò promuovendo l’insegnamento della Geografia.
Mi scuso per tutti gli strafalcioni e le imperfezioni che potrete trovare oltre a quelli “ufficiali”. La colpa in questo caso è solo mia.
Riccardo Canesi
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A “Calizna”, che non ha potuto studiare
Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna
trovare le parole giuste: le parole sono importanti !
– Michele (Nanni Moretti)
nel film Palombella Rossa (1989)
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Astronomia
I pianeti brillano di luce riflessiva [Davide 1991/92]
Il nome “pianeta” deriva dalla parola greca plànetes, che vuol dire
corpo errante. Sono corpi celesti notevolmente più piccoli delle
stelle e, contrariamente a queste, non brillano di luce propria ma
riflessa (quella del Sole).
Fino al 2006 i pianeti appartenenti al sistema solare erano considerati 9. Dal 24 agosto 2006, Plutone è stato declassato dall’Unione
Astronomica Internazionale a pianeta nano e quindi oggi i pianeti
sono otto.
Eccoli in ordine di distanza crescente dal Sole:
−− Mercurio (☿), senza satelliti naturali conosciuti
−− Venere (♀), senza satelliti naturali conosciuti
−− Terra (⊕), con un satellite naturale: Luna
−− Marte (♂), con due satelliti naturali:Phobos e Deimos
−− Giove (♃), con sessantatre satelliti naturali
−− Saturno (♄), con sessanta satelliti naturali
−− Urano (♅), con ventisette satelliti naturali
−− Nettuno (♆), con tredici satelliti naturali
Le stelle sono dei corpi celesti illuminati dal Sole [Valerio 1991]
Stella, fammi scrivere parole
che la mia bocca non sa dire
Stella, luminosa come il sole
corri in fretta sul mio cuore
non farmelo morire
Stella scrivi tutto il mio dolore
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con l’inchiostro che ha sporcato
questa notte senza amore
Nero cielo di una notte dammi luce e tenerezza
Fai brillare la tua stella proprio sulla mia terrazza”
(“Stella”, Lucio Dalla)
Le stelle ricorrono spesso nella poetica del grande Lucio Dalla
(1943-2012), basta ascoltare: “Anna e Marco”, “Stella di mare”,
“Le stelle nel sacco”, “Futura”, “Chissa se lo sai”.
Lui stesso ci fa capire che le “stelle brillano di luce propria”. Sono
i pianeti quelli illuminati dal Sole.
Per citare un altro cantautore, amico e collaboratore del bolognese
(Francesco De Gregori (1951) in “Niente da capire”, “le stelle sono tante, milioni di milioni”.
A occhio nudo in una sola notte possiamo vederne circa 3000 nella
volta celeste e nell’intera sfera celeste quasi 6000.
Se però osserviamo il cielo con i più potenti telescopi se ne possono individuare centinaia di milioni.
Sembrerebbe che la nostra Galassia, il sistema solare di cui fanno
parte anche il Sole e la Terra, ne contenga almeno 100 miliardi e
al di fuori della nostra Galassia esistono migliaia e migliaia di altri
sistemi ugualmente ricchi di stelle.
Gran parte delle stelle ha un’età compresa tra 1 e 10 miliardi di
anni; vi sono stelle che però hanno età prossime a quella dell’Universo (13,7 miliardi di anni).
L’ultima è stata scoperta fortuitamente nel febbraio 2014 da un
gruppo di astronomi della Australian National University e per il
momento porta la sigla SMSS J 031300.36-670839.3. La sua età
dovrebbe essere di 13,6 miliardi di anni, una cifra molto vicina
all’età di inizio e formazione dell’universo, così come buona parte
degli astrofisici e cosmologi hanno confermato dopo la straordinaria mappatura effettuata di recente dal satellite europeo “Planck”.
Si trova a 6000 anni luce dalla Terra e potrebbe portare a nuove
teorie sul Big Bang e sull’evoluzione dell’universo.
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L’alterarsi delle stagioni [Valentina 1991]
L’alternarsi delle stagioni è una delle prove del movimento di rivoluzione della Terra intorno al Sole. A determinare l’alternanza delle
stagioni concorrono anche l’inclinazione dell’asse polare sul piano
dell’eclittica (la traiettoria apparente del Sole) e il suo parallelismo.
Se l’asse terrestre non fosse inclinato, avremmo in tutte le località
della Terra un dì di 12 ore così come la notte, e la quantità di luce
e di calore ricevuta dalle varie parti della Terra dipenderebbe solo
dalla parte sferica della Terra e sarebbe tanto più piccola quanto
maggiore è la latitudine.
Sappiamo, al contrario, che questa condizione si verifica solamente
due giorni all’anno, il 21 marzo e il 23 settembre detti giorni degli
equinozi.
A pensarci bene, soprattutto in questi tempi di cambiamenti climatici, oggi la definizione dell’alterarsi delle stagioni è involontariamente azzeccata.
Quante volte ci siamo sentiti ripetere la frase “non esistono più le
mezze stagioni”?
In effetti alle latitudini temperate i sempre più frequenti fenomeni
estremi (piogge forti e improvvise, cambiamenti di temperatura,
ondate di calore o di gelo) ci confermano che stiamo assistendo
a un alterarsi delle stagioni e non solamente alla loro alternanza.
Rallentamento degli effetti della Corrente del Golfo, arretramento
dei ghiacciai, tropicalizzazione del Mediterraneo sono fatti certi e
non ubbie degli ambientalisti.
C’è comunque tra i climatologi chi pensa che, al di là dell’indiscutibile aumento della temperatura media terrestre di circa un grado
nell’ultimo secolo, siamo alle soglie di una nuova era glaciale trovandoci nella parte finale dei circa 12.000 anni che caratterizzano
la durata di un’era interglaciale.
astronomia
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Zona temperata ostrale [Franca 1992]
La definizione in questione diciamo che è stata scritta con un’influenza anglosassone.
La zona temperata è ovviamente quella australe.
Tropici e circoli polari segnano i limiti delle cosiddette zone astronomiche che sono individuate in base alla latitudine. Queste sono
cinque:
−− la zona intertropicale (detta anche zona torrida), compresa tra i
due tropici;
−− la zona temperata boreale, fra il Tropico del cancro e il Circolo
polare artico;
−− la zona temperata australe, fra il Tropico del Capricorno e il Circolo polare antartico;
−− la calotta polare artica, fra il Circolo polare artico e il Polo Nord;
−− la calotta polare antartica, fra il Circolo polare antartico e il Polo
Sud.
Zona temperata polare [Franca 1992]
Da quanto detto sopra si evince chiaramente che non può esistere
una tale zona astronomica. È un vero e proprio ossimoro come
il “ghiaccio bollente” di Tony Dallara (1936), urlatore degli anni
Sessanta.
È probabile, anche se non c’è da augurarselo, che, se continuerà
ad aumentare la temperatura terrestre, i poli, soprattutto quello a
Nord, potrebbero avvicinarsi a condizioni temperate.
Navi da carico lo hanno già attraversato d’estate e le multinazionali del petrolio, che paradossalmente sono state tra le principali
responsabili della fusione dei ghiacci polari, stanno mettendo gli
occhi sui ricchissimi giacimenti marini.
Non rispettando il suo programma elettorale, Barack Obama
(1961) ha autorizzato le trivellazioni per cercare petrolio nel Mare
di Beaufort, a nord dell’Alaska, dove si prevede ci siano 27 miliardi
di barili. Mentre l’americana Exxon e la russa Rosneft hanno sigla14
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to un accordo per sfruttare le risorse dell’area russa del Mar Glaciale Artico dove, secondo lo United States Geological Survey, ci sono
100 miliardi di barili di petrolio (13% delle riserve mondiali) e 47
miliardi di m3 di metano (30% delle riserve).
Si calcola che sotto la calotta polare artica ci siano il 25% delle
riserve globali di idrocarburi.
A differenza dell’Antartide, la calotta polare artica non ricopre terra emersa perciò, al di là delle poche miglia di acque territoriali al
largo di isole e coste degli 8 Stati (7 ospitano minoranze etniche)
che circondano questo mare, non c’è alcuna giurisdizione nazionale. L’unica tutela è costituita dalla Convenzione dell’Onu sul
Diritto del Mare, ratificata nel 1982 da molti Paesi ma non dagli
Stati Uniti, che affida ai cinque Paesi costieri il controllo sull’Oceano Artico per 200 miglia nautiche dalle rispettive piattaforme
continentali, zona economica esclusiva per ciascuno di loro.
Oltre le 200 miglia, le acque dell’Artico non hanno un’appartenenza, ma stanno diventando terreno di battaglia.
È iniziata la nuova “guerra fredda”. Un esempio dispotico della
politica artica arriva dalla Russia, dove tutte le decisioni sugli interventi minerari e navali nel Mare di Barents vengono prese a Mosca
senza consultare Nenet, Aleutini, Inuit, Sami e gli altri gruppi etnici, i primi a pagare le alterazioni ambientali.
I russi, dopo essere scesi a 4200 metri di profondità sotto il Polo Nord, nel 2007, con un minisottomarino per piantarvi il loro
tricolore, stanno tornando alla carica alle Nazioni Unite, sicuri di
provare che, attraverso la dorsale Lomonosov (una catena montuosa sottomarina), la piattaforma artica è collegata senza interruzioni
al continente siberiano e ha la stessa struttura geologica: è quindi,
secondo loro, terra russa e dunque per questo motivo a Mosca
spetterebbe una “quota” dell’Artico molto superiore a quella che le
viene riconosciuta attualmente.
Non solo ghiacci, ma le grandi risorse naturali – gas, petrolio, diamanti, oro, carbone, ferro – che il clima e la tecnologia renderanno
meno difficili da raccogliere.
Anche l’ultimo paradiso verrà distrutto.
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Zona torbida [Salvatore 1991]
Purtroppo di torbidità nel mondo ce n’è sempre di più ma in questo caso la zona è torrida.
La zona torrida o zona tropicale, e non zona torbida, è la zona
compresa tra i due tropici. Questa zona è quindi delimitata dai
paralleli di latitudine 23° 27’ Nord e 23° 27’ Sud e quindi è quella
che avvolge la Terra nella sua fascia centrale intorno all’equatore.
Questa zona è caratterizzata dal fatto che i giorni e le notti sono
prossimi entrambi alle 12 ore durante tutto l’anno. Questo è dovuto al fatto che i raggi solari (a mezzogiorno) sono sempre quasi perpendicolari al terreno determinando una temperatura abbastanza
costante durante tutto l’arco dell’anno.
È l’unica zona in cui è possibile osservare il fenomeno del sole
allo zenit: quando i raggi del sole arrivano al suolo perpendicolari facendo scomparire tutte le ombre, cosa che non può avvenire
alle altre latitudini. Questo fenomeno si verifica durante il mezzogiorno del 21 giugno al Tropico del Cancro (solstizio d’estate) e il
22 dicembre (solstizio d’inverno) al Tropico del Capricorno; nelle
altre zone comprese nella fascia capita invece due volte all’anno.
È caratterizzata da due diversi climi:
−− clima tropicale umido (stagione delle piogge)
−− clima tropicale secco (stagione secca)
Sospizio d’estate e sospizio d’inverno [Franca 1992]
Inedita crasi tra solstizio e ospizio.
Forse lo scrivente aveva in mente “Emozioni” di Lucio Battisti
(1943-1998) quando recita: “E di notte passare con lo sguardo la
collina per scoprire dove il sole va a dormire”.
“Solistizi” [Simone 1991]
Nel vocabolario italiano esiste la suspizione (o sospizione, dal latino suspicione) che vorrebbe dire sospetto, ma non il solistizio né il
sospizio che mi risulta essere solo un cognome italiano.
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Ovviamente gli alunni si riferivano ai solstizi che sono i giorni in
cui il Sole si trova allo zenit (cioè è perpendicolare) del parallelo
terrestre dei 23°27’ Nord, che viene chiamato Tropico del Cancro,
dal nome della costellazione in corrispondenza della quale il Sole
si trova in quel periodo, e del parallelo dei 23°27’ Sud, cioè sul
Tropico del Capricorno.
La prima delle due posizioni si verifica il 21 giugno e viene chiamata solstizio d’estate mentre la seconda il 22 dicembre e quindi
solstizio d’inverno.
I solstizi è la distanza in lunghezza del dì e della notte, tutto
questo corrisponde agli equinozi [Lucia 1991]
La definizione molto claudicante sul piano della sintassi e dall’incomprensibile significato ci offre l’occasione per specificare la differenza tra solstizi ed equinozi.
Se l’asse terrestre fosse perpendicolare al piano dell’orbita, tutti i
giorni dell’anno sarebbero equinozi (dì uguale alla notte) cioè in
tutte le località della Terra la luce durerebbe 12 ore così come la
notte.
L’inclinazione dell’asse terrestre di 66°33’ sul piano dell’eclittica fa
si che ciò avvenga solamente due volte l’anno: il 21 marzo e il 23
settembre. Sono questi i giorni degli equinozi, rispettivamente di
primavera e di autunno.
In tutti gli altri giorni dell’anno si osserva una diversa durata del dì
e della notte con la sola eccezione dell’equatore, che viene definito
come la linea che unisce tutti i punti con equinozio continuo.
I solstizi e gli equinozi sono un quarto di giro che fa la Terra
interno al Sole [Valerio 1991]
Naturalmente solstizi ed equinozi non sono “un quarto di giro”,
ma i giorni che delimitano le quattro stagioni astronomiche, ciascuna delle quali corrisponde quindi al tempo tra un equinozio e il
successivo solstizio e tra un solstizio ed un equinozio.
astronomia
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Esse non hanno uguale durata come si può vedere dalla seguente
tabella:
Emisfero Nord Emisfero Sud
Inizio - Fine
Durata
Primavera
Autunno
21 marzo - 21 giugno
93 giorni
Estate
Inverno
21 giugno - 23 settembre
93 giorni
Autunno
Primavera
23 settembre - 22 dicembre
90 giorni
Inverno
Estate
22 dicembre - 21 marzo
89 giorni
Come si evince dalla tabella, nel nostro emisfero il semestre caldo
(primavera – estate) dura 7 giorni più di quello freddo (autunnoinverno) e ciò è causato dal fatto che nel periodo caldo la Terra percorre la parte più lunga dell’orbita terrestre nella quale la velocità
di rivoluzione è minore per la seconda legge di Keplero.
Nel semestre “freddo” percorre a velocità maggiore l’altro tratto
dell’orbita in cui si trova il perielio, il punto di minima distanza tra
la Terra e il Sole pari a circa 147 milioni di km.
La Terra vi transita nel mese di gennaio, mediamente 13 giorni
dopo il solstizio d’inverno.
Il punto di massima distanza si chiama invece afelio.
La Terra lo raggiunge il 4 luglio circa.
La distanza è di 152,1 milioni di km.
Perché la Luna gira intorno alla Terra? Perché non trova
parcheggio [Zichichi/Crozza, Rai3, Ballarò 2013]
Questa è una frase fuori concorso desunta da uno dei personaggi
di punta impersonati magistralmente da Maurizio Crozza, il fisico
siciliano Antonino Zichichi.
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Geologia e tettonica a zolle
La deriva dei continenti viene quando c’è una fessura e l’oceano
entra e sposta i continenti [Agata 1992]
Ovviamente non è “l’oceano che sposta i continenti” e le “fessure”
sono le depressioni (rift valley) che si formano quando le placche
si allontanano.
Fino agli anni Cinquanta si sapeva poco o nulla sulla natura dei
fondali oceanici. Nell’arco di un ventennio, però, con i progressi
tecnologici e un’intensa attività di ricerca oceanografica, furono disegnate le carte di tutti i fondali e furono raccolti tantissimi dati riguardanti la geologia, l’attività sismica e il magnetismo delle rocce.
Soprattutto dallo studio del magnetismo ci si accorse che i fondali
oceanici si stanno espandendo a causa del continuo apporto di
materia dall’astenosfera alle dorsali oceaniche.
L’astenosfera è la parte superficiale del mantello terrestre giacente
sotto la litosfera compresa tra i 100 e i 250 (se non 400) km, in cui
le rocce sono parzialmente fuse.
Alla luce di queste conoscenze la teoria della “deriva dei continenti” fu radicalmente trasformata nella teoria della “tettonica a
placche (o delle zolle)”.
Secondo questa teoria la litosfera, che sarebbe la parte esterna del
nostro pianeta, non è continua ma è costituita da un “collage” di
frammenti detti placche o zolle.
Ognuna di queste placche si muove in modo indipendente dalle
altre ed è soprattutto ai loro margini, dove interagiscono tra di
loro, che troviamo la maggior parte delle attività dinamiche della
litosfera come l’attività magmatica, i terremoti, le deformazioni e i
sollevamenti montuosi.
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Questi movimenti possono manifestarsi da sinistra verso destra
e viceversa, oppure dall’alto verso il basso (a proposito della
deriva dei continenti) [Debora 1991]
Qualsiasi studente con un buon insegnante di Geografia sa che destra e sinistra, alto e basso, sono termini vietatissimi nella materia:
esistono semmai i punti cardinali e cioè Est, Ovest, Nord e Sud.
La frase suddetta si riferisce ovviamente ai movimenti delle zolle
continentali.
Attualmente si ritiene che esistano 22 zolle di varie dimensioni di
cui 6 molte estese come per esempio la zolla africana.
Altre molto piccole come l’Adria, tristemente famosa in questi
tempi, corrispondente all’incirca al Mar Adriatico.
Nel 1960 lo studioso, nonché ammiraglio statunitense, Harry
Hammond Hess (1906-1969) pubblicò un importante lavoro
in cui, riprendendo l’ipotesi del geologo inglese Arthur Holmes
(1890-1965) delle correnti convettive e quella del geologo ed
esploratore tedesco Alfred Lothar Wegener (1880-1930) della deriva dei continenti, avanzava la teoria che nelle dorsali oceaniche
sottomarine si verifica una continua produzione di crosta terrestre.
I continenti non avanzano attraverso la crosta oceanica spinti da forze sconosciute. Al contrario, essi viaggiano passivamente sul materiale del mantello che
arriva in superficie alla cresta della dorsale e poi se ne allontana spostandosi lateralmente. Su questa base la cresta della Dorsale medio atlantica dovrebbe avere
solo sedimenti recenti, ed i fianchi solo sedimenti recenti e terziari. L’intero
Atlantico, e forse tutti gli oceani, dovrebbero avere poco sedimento più vecchio
del Mesozoico.
– Harry Hammond Hess, “History of Ocean Basins”, in Petrological Studies:
Buddington Memorial Volume, Geological Society of America, New York, 1962
I bacini oceanici sono perciò continuamente “riciclati” e pare che
questo riciclaggio si svolga nel giro di “soli” 200 milioni di anni.
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La deriva dei continenti è un fenomeno che sposta da 1 a 2
cm le zolle continentali ma che ora, con il problema del buco
nell’ozono, rischia di poter diventare un problema grandissimo
per tutta l’umanità infatti se queste zolle si spostassero più
velocemente causerebbero un innalzamento improvviso dei
livelli marini che farebbe sprofondare tutte le terre emerse
[Corrado 1992]
Per molti studenti “il buco nell’ozono” è come il prezzemolo: lo si
mette dappertutto anche se non c’è nessuna attinenza.
Molti lo confondono con l’effetto serra. In questo caso il legame è
ancora più ardito per non dire avventato.
Che ci azzecca, direbbe un noto ex leader politico, un fenomeno
geologico con un fenomeno atmosferico?
Come spesso accade a molti, non si ha consapevolezza della diversa
scala tra tempi geologici (lunghissimi) e tempi umani, quasi ininfluenti nella lunga storia della Terra.
L’età della Terra è di 4,6 miliardi di anni. Se la Terra avesse 46
anni, l’uomo sarebbe sulla Terra da 4 ore e la nostra rivoluzione
industriale sarebbe iniziata appena 1 minuto fa. In questo periodo
l’umanità ha distrutto più del 50% delle foreste del mondo.
Nel 1910 il geologo tedesco Wegener formò la teoria della deriva
dei continenti [Monica 1991]
L’idea che i continenti un tempo fossero tutti uniti è stata proposta diverse volte a partire dal XVII secolo. Molto probabilmente
il primo a notare che le coste del Sudamerica si giustapponevano
a quelle dell’Africa fu il filosofo inglese Francesco Bacone (15611626) nel 1620.
Il merito però di aver elaborato una teoria scientificamente accurata sulla deriva dei continenti e di aver tentato di spiegarne le cause
è del meteorologo tedesco Alfred Lothar Wegener (1880-1930).
L’ipotesi di Wegener pubblicata nel 1912 era che fino a 200 milioni di anni fa tutte le terre emerse erano riunite in un unico
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continente, che chiamò Pangea, circondato da un unico oceano,
chiamato Panthalassa.
All’inizio del Giurassico (circa 200 milioni di anni fa) il Pangea cominciò a spezzarsi in blocchi che, galleggiando su una crosta oceanica fluida come enormi zattere alla deriva sul mare, si spostarono
uno rispetto all’altro fino a occupare la posizione attuale. Wegener
produsse molte prove a sostegno della sua teoria:
−− il modo in cui i margini continentali combaciano come i pezzi
di un puzzle;
−− le prove geologiche (stesse rocce e stesse strutture in diversi continenti divisi dallo stesso oceano);
−− le prove paleontologiche con l’affioramento di specie identiche
di fossili anteriori alla scissione della Pangea in continenti diversi;
−− le prove paleoclimatiche con la presenza di rocce sedimentarie
deposte da antichi ghiacciai in continenti oggi a clima caldo.
Wegener, pur elaborando una teoria affascinante e in grado di spiegare diversi fenomeni geologici, non era riuscito a spiegare in maniera soddisfacente perché i continenti andassero alla deriva.
Si scoprirà più tardi, con Arthur Holmes (1890-1965), che le reali
forze della dinamica terrestre non sono di origine gravitazionale
(come pensava Wegener) ma di origine termica (celle di convezione nel mantello).
Tettonica delle Azzolle [Giorgia 1992]
Ovviamente la “tettonica” sarebbe “a zolle”.
In effetti le Azzorre con le zolle in qualche maniera c’entrano, essendo isole di origine vulcanica. La geologia di queste isole atlantiche appartenenti al Portogallo è complessa, non solo perché
determinata dai fenomeni vulcanici, ma anche perché frutto dei
movimenti della tettonica oceanica. L’arcipelago è nato dalla fuoriuscita di lava dalla crosta oceanica ed è di formazione relativamente recente.
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L’alto livello di attività di questa zona è il risultato dell’interazione delle tre maggiori placche tettoniche: americana, euroasiatica e
africana. La zolla americana va gradualmente spingendosi ad ovest,
l’euroasiatica verso est e l’africana si spinge verso est e nord.
Il risultato di questa divergenza è la spaccatura della crosta con
fuoriuscita di lava che crea delle dorsali alte fino a 2000 m in mezzo all’Oceano. Le dorsali non sempre sono interamente sommerse:
alcune cime più elevate possono emergere e formare isole vulcaniche. È il caso delle Azzorre, situate lungo l’allineamento della
dorsale medio-atlantica, che percorre l’oceano da nord a sud per
una lunghezza di 16.000 km e che comprende anche l’Islanda.
Derivazione dei continenti [Claudia 1991]
Applicando il meccanismo della tettonica a zolle si è ricostruita su
una nuova base la deriva – e non la derivazione – dei continenti
rivedendo la sequenza ipotizzata da Wegener.
Da che cosa derivano comunque gli attuali continenti?
Circa 200 milioni di anni fa, a metà del Triassico, esisteva un unico
supercontinente chiamato Pangea circondato da un unico oceano,
il Panthalassa, e tra l’Africa e l’Eurasia si insinuava un grande golfo,
la Tetide, progenitore del Mediterraneo.
Il Pangea, con i suoi 200 milioni di kmq circa, occupava circa il
40% della superficie del globo, e la distribuzione delle terre nei
due emisferi era pressoché uniforme contrariamente ad oggi, che
vede buona parte delle terre emerse nell’emisfero nord.
La scissione iniziò probabilmente alla fine del Triassico, circa 180
milioni di anni fa, per la risalita dal mantello di rocce basaltiche
che causarono l’apertura di due oceani: l’Atlantico che separò la
Laurasia dalla Gondwana e l’Indiano che divise la Gondwana in
due blocchi, uno formato da Africa e America meridionale e l’altro
da Antartide, Australia e India.
Quest’ultima si separò poi e cominciò a migrare verso nord.
Alla fine del Cretaceo i continenti erano ormai delineati, a eccezione della Groenlandia che era ancora unita all’Europa del nord e di
Australia e Antartide ancora unite.
geologia e tettonica a zolle
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I continenti raggiunsero la posizione attuale nel Cenozoico e nel
Quaternario.
L’Europa si è formata in centinaia di milioni di anni e in quel
periodo si formarono delle zolle cristalline che costituivano il
cosi detto Feudo fenno-scandinavo Francesca 1992
Quelle cristalline non sono le zolle bensì le rocce e quello fennoscandinavo (o baltico) non è certamente un feudo (!?), parola legata
più alla storia, ma uno scudo.
Per “scudo” in geologia si intende una vasta area tettonicamente
stabile, di roccia ignea cristallina precambriana (superiore come
età ai 570 milioni di anni) fortemente metamorfosata (cioè trasformata da forti pressioni e temperature).
Quando parliamo di scudo fenno (o finno)- scandinavo facciamo riferimento all’estesa massa continentale, prevalentemente granitica,
che occupa gran parte dell’Europa settentrionale.
È tra i territori più antichi del continente dal punto di vista geo­
logico. Ne fanno parte la Norvegia, la Svezia, la Finlandia e la
Danimarca, nonché Carelia (Finlandia e Russia), Penisola di Kola
(Russia), Estonia e Lettonia.
Vi è compreso anche il fondale del Mar Baltico.
Un tempo la Terra era tutta un globo [Rosa 1992]
Non so francamente cosa avesse in testa l’alunna che ha scritto
questa frase. Comunque, per tranquillizzarla, ancora oggi la Terra
è un globo, per nostra fortuna.
Un tempo non era così: quando nacque quasi cinque miliardi di
anni fa, era un disco proto-planetario derivante da una nebulosa.
Nonostante la Terra abbia forma ellissoidale viene definita globo in
quanto esso ne costituisce una buona approssimazione.
La Terra presenta uno schiacciamento ai poli perciò assomiglia di
più ad un ellissoide di rotazione. Considerando anche le irregolarità superficiali, si nota che la sua forma non coincide con nessun
solido geometrico.
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