fisica e... Energia dalla differenza di salinità Doriano Brogioli Dipartimento di Medicina Sperimentale, Università degli Studi di Milano-Bicocca, Monza, Italia La differenza di salinità tra acqua dolce e acqua di mare permette di produrre energia, tramite tecniche basate su osmosi ed elettrodialisi inversa: fiumi e mari sono una immensa fonte di energia rinnovabile, pulita e abbondante. La ricerca mira a rendere economico lo sfruttamento di questa risorsa; al momento, sono in costruzione prototipi e piccoli impianti pilota. Una nuova tecnica, basata su un principio elettrocinetico, oggetto di ricerca di un progetto europeo (CAPMIX), promette di abbattere drasticamente i costi di produzione. 1 Introduzione Alla foce di un fiume avviene una silenziosa ma immensa dissipazione di energia libera, dovuta al mescolamento di acqua di diversa concentrazione salina. Il fenomeno non riguarda alcuna reazione chimica, nè coinvolge il rilascio di calore o alcuna altra forma di energia, ma solo la perdita di ordine: gli ioni del sale, inizialmente limitati nel loro movimento alla sola acqua del mare, possono muoversi anche nell’acqua che inizialmente era dolce, rendendo uniforme la concentrazione di ioni nell’acqua. La conseguente perdita di ordine si esprime, in termini termodinamici, come aumento di entropia, o diminuzione di energia libera. L’energia libera che si dissipa quando un litro di acqua si disperde nel mare ammonta a circa 2,4 kJ per la salinità tipica del Mediterraneo. è molto meno dell’energia posseduta da un litro di benzina, ma in assoluto è una grande 28 < il nuovo saggiatore quantità di energia: basta pensare che corrisponde all’energia rilasciata dalla caduta della stessa quantità di acqua, del peso di 1 kg, da una altezza di circa 240 m. Quando poi la quantità d’acqua è tanta, l’energia libera in gioco arriva ad essere immensa. Ad esempio, il Po riversa mediamente 1540 m3 al secondo nel mare, dissipando pertanto una potenza di circa 3,7 GW. Questa energia viene semplicemente persa quando avviene la miscelazione, e pertanto sfugge alla normale osservazione. Che i fiumi fossero una immensa fonte di energia non era invece sfuggito agli scienziati degli anni ’70, nel periodo delle crisi del petrolio, quando la comunità scientifica ha iniziato a cercare delle vie alternative per produrre energia, ed era già stato sottolineato da R. Pattle nel 1954 [1]. Il problema era trovare una tecnica economicamente valida per estrarre questa energia libera, convertendola in energia elettrica o lavoro meccanico. La più semplice prova concettuale che l’energia libera contenuta nella differenza di concentrazione possa essere estratta e convertita in lavoro meccanico viene dall’osmosi. In un tipico esperimento didattico per la dimostrazione dell’osmosi, si utilizza un tubo, mantenuto verticale, riempito con una soluzione acquosa concentrata, ad esempio di zucchero. L’estremità inferiore del tubo è svasata, e chiusa da una membrana semipermeabile. L’estremità con la membrana viene quindi immersa in acqua distillata, contenuta in un recipiente di dimensioni maggiori. Con il passare delle ore il livello del liquido nel tubo sale, a causa di un afflusso di acqua dal recipiente esterno, attraverso la membrana, verso la soluzione più concentrata. Questo esperimento mostra che effettivamente la differenza di concentrazione è in grado di compiere lavoro meccanico, che in questo caso consiste nell’innalzare un volume di acqua. La pressione presente all’interno del tubo, necessaria ad Fig. 1 Schema di funzionamento della tecnica basata sull’osmosi. innalzare la colonna d’acqua, è detta pressione osmotica, e può essere pensata come la pressione esercitata dalle molecole del soluto sulla membrana; quantitativamente, a bassa concentrazione, la pressione osmotica è uguale alla pressione di un gas perfetto con lo stesso numero di molecole per unità di volume del soluto. La pressione osmotica che si sviluppa in condizioni ideali, alle due facce di una membrana immersa da un lato in acqua dolce, e dall’altro in acqua di mare è di 24 atm. Non è un caso che questa pressione corrisponda a quella esercitata da una colonna d’acqua di 240 m, cioè la stessa altezza citata sopra, e che un flusso di 1 l di acqua attraverso la membrana semipermeabile, ad una pressione di 24 atm, corrisponda proprio ad un lavoro meccanico di 2,4 kJ, cioè alla energia libera persa per il mescolamento: nel caso dell’osmosi, idealmente, tutta l’energia libera associata alla differenza di salinità può essere convertita in lavoro meccanico. A sua volta, il lavoro meccanico associato al flusso di acqua sotto pressione può essere convertito in corrente elettrica attraverso una turbina. Questa fu una delle prime tecniche proposte per sfruttare la differenza di salinità come fonte di energia [2], e fece capire che è possibile usare l’acqua alla foce di un fiume per alimentare una turbina, come se avessimo un invaso a 240 m di quota: questa idea rivoluzionaria fu pubblicizzata come “idroelettricità senza dighe”. Solo di recente però si sono avuti sviluppi tecnici tali da permettere la costruzione di prototipi e impianti pilota [3]. 2 Tecniche disponibili 2.1 Osmosi La tecnica funzionante secondo il principio dell’osmosi [2] è schematizzata nella fig. 1. La membrana semipermeabile divide i due comparti, nei quali circola rispettivamente l’acqua dolce proveniente dal fiume e l’acqua salata proveniente dal mare. Nel comparto contenente l’acqua salata si sviluppa la pressione osmotica, e pertanto l’intero comparto e la membrana devono reggere la pressione, che in un sistema reale, pur non arrivando alle ideali 24 atm, può comunque raggiungere il notevole valore di 15 atm. Il flusso osmotico di acqua passa dal comparto con l’acqua dolce, attraverso la membrana semipermeabile, verso il comparto con l’acqua salata; questo flusso viene convogliato ad una turbina che lo converte in corrente elettrica; la potenza prodotta è dell’ordine del kW per un flusso di 1 l/s. La tecnica viene chiamata in inglese “pressure-retarded osmosis” (PRO). L’acqua salata tende ad essere diluita dal flusso osmotico di acqua dolce, e pertanto la pressione in uscita tenderebbe a diminuire. Per evitare che questo succeda, è necesario che l’acqua salata venga continuamente ripristinata, vol28 / no1-2 / anno2012 > 29 fisica e... Fig. 2 Schema di funzionamento della tecnica di elettrodialisi inversa. sostituendo l’acqua nel comparto pressurizzato con acqua di mare. Questa operazione non è affatto banale: infatti, l’acqua di mare si trova a pressione di 1 atm, mentre l’acqua nel comparto pressurizzato è ad alta pressione. Fortunatamente, la pressione dell’acqua può essere aumentata senza compiere lavoro (o quasi) perchè l’acqua è (quasi) incomprimibile. In altri termini, è possibile utilizzare un dispositivo, chiamato “scambiatore di pressione”, mostrato in fig. 1, che sostituisce un dato volume di acqua nel comparto pressurizzato con un uguale volume di nuova acqua di mare, utilizzando una quantità trascurabile di energia. La degradazione delle membrane avviene velocemente, poichè esse agiscono da filtro. In particolare l’acqua dolce è costretta a passare attraverso la membrana, e lì deposita ogni impurità, poichè la porosità della membrana ferma tutto ciò che non sia acqua. A questo fenomeno si aggiunge la proliferazione di organismi viventi, che contribuiscono a degradare la permeabilità della membrana. Per questo motivo è necessario pretrattare l’acqua in entrata nell’impianto, rimuovendo il più possibile le impurità; poichè però questo processo richiede 30 < il nuovo saggiatore energia, e richiede tanta più energia quanto più vogliamo purificare l’acqua, è necessario trovare un compromesso, nel quale la membrana abbia una vita sufficientemente lunga, ma il pretrattamento non consumi una parte eccessiva dell’energia prodotta. L’energia libera disponibile é pari alla differenza tra l’energia libera dell’acqua in entrata e in uscita. Tipicamente un impianto PRO viene alimentato con un flusso di acqua di mare pari al flusso di acqua dolce, e pertanto l’acqua di scarto ha concentrazione pari alla metà dell'acqua di mare. L’energia libera disponibile é pertanto pari a circa 1,5 kJ per litro di acqua, considerando la salinità media degli oceani. I prototipi esistenti al momento sono in grado di estrarre la maggior parte dell’energia libera disponibile. La potenza prodotta dipende dal flusso osmotico di acqua, e quindi dalla permeabilità della membrana. Tipicamente si ottengono 1 –3 W per metro quadrato di membrana. Questo valore è piccolo se confrontato con la resa di un pannello fotovoltaico, che è di due ordini di grandezza superiore, ma bisogna considerare che la membrana semipermeabile viene avvolta molto fittamente all’interno di cartucce, simili a quelle usate negli impianti di dissalazione o purificazione tramite osmosi inversa, e pertanto l’ingombro risulta ridotto. Possiamo pensare all’osmosi inversa come l’inverso della tecnica PRO; in effetti, la pressione utilizzata per dissalare l’acqua del mare è proprio dell’ordine delle decine di atmosfere. La difficoltà maggiore in queste cartucce è proprio la resistenza alla pressione, che impedisce ulteriori miniaturizzazioni. Fino a pochi anni fa, il costo delle membrane, in relazione alla loro durata, rendeva non economica la produzione di energia con questa tecnica. Per questo motivo la tecnica è rimasta senza applicazioni pratiche per quaranta anni dalla prima proposta. Negli anni la tecnologia delle membrane semipermeabili ha avuto miglioramenti, ed è stata sviluppata soprattutto per la dissalazione; recentemente, il rinnovato interesse per l’energia da differenza di salinità ha portato alla produzione di nuove membrane a basso costo, appositamente progettate per PRO. Queste nuove membrane hanno portato alla costruzione di un prototipo e alla pianificazione di un impianto pilota (vedi sezione 4.1). D. Brogioli: energia dalla differenza di salinità Fig. 3 Schema del funzionamento della tecnica a pressione di vapore. 2.2 Electrodialisi inversa La tecnica della elettrodialisi inversa (EDI) [1] utilizza una coppia di membrane, di tipo diverso da quelle semipermeabili descritte in precedenza: si tratta di membrane permeabili sia all’acqua sia agli ioni di un dato segno; si distinguono in cationiche o anioniche, a seconda che permettano il passaggio di cationi o anioni. Queste membrane sono costituite da polimeri simili a quelli delle cosiddette resine a scambio ionico. Una cella della tecnica EDI (fig. 2) consiste in una sequenza di comparti, delimitati da membrane cationiche e anioniche alternate; viene fatta fluire acqua salata e acqua dolce, in modo che in ognuno dei comparti si venga a trovare acqua con concentrazione diversa da quella dei comparti circostanti. Per diffusione, gli ioni diffondono da un comparto con acqua salata ai due comparti adiacenti, ma, grazie alle membrane, nei due comparti entrano ioni di segno opposto. Lungo la sequenza dei comparti si sviluppa quindi una differenza di potenziale, che può essere raccolta con due elettrodi posti agli estremi. La tensione che si sviluppa su di una membrana è approssimativamente di 80 mV: è il cosiddetto potenziale di Donnan-Gibbs studiato dalla elettrocinetica. Quando molte celle sono impilate in serie, formando una pila alimentata ad acqua salata, la tensione totale tra gli elettrodi raggiunge decine di volt. Negli scomparti posti agli estremi, dove la corrente viene raccolta dagli elettrodi, la tensione deve essere sufficiente per far avvenire una ossidoriduzione; nel caso più semplice si tratta di semplice elettrolisi, ma nei prototipi più avanzati, nei due comparti degli elettrodi, vengono fatte circolare speciali soluzioni (sali di Fe3+ e Fe2+) al fine di modificare le reazioni che avvengono. è importante notare che, se non avvenissero ossidoriduzioni, non ci sarebbe alcun passaggio di corrente: il potenziale di Donnan-Gibbs sarebbe controbilanciato dalla formazione di un doppio strato elettrico sulla superficie degli elettrodi, ed effettivamente ciò succede se la tensione tra gli elettrodi non è sufficiente a innescare le reazioni di ossidoriduzione. Nella tecnica EDI, la permeabilità della membrana definisce la resistenza al passaggio degli ioni, cioè della corrente. Il valore tipico della resistenza è dell’ordine dei mΩ/m2. Data la tipica tensione sviluppata sui due lati della membrana, la potenza tipicamente prodotta è dell’ordine di 1–3 W per metro quadrato di membrana, analoga quindi a quella prodotta nel caso della tecnica PRO. Poichè la sorgente di energia è la stessa, sia PRO sia EDI possono produrre idealmente la stessa energia a partire dalla stessa quantità d’acqua, e anche la resa effettiva è simile, cioè maggiore del 50%. Sebbene le membrane usate nella tecnica EDI siano tanto costose quanto quelle della tecnica PRO, la prima tecnica presenta alcuni vantaggi: il problema del fouling è ridotto, e, poichè EDI non coinvolge alte pressioni, è possibile impacchettare più facilmente grandi quantità di membrane in minore spazio, e costruire dispositivi complessivamente meno costosi. Inoltre, un dispositivo EDI può funzionare con piccole modifiche anche a più elevata concentrazione, come nel caso dell'acqua di salina (vedi sezione 3), con maggiore produzione di energia e addirittura maggiore resa, mentre un dispositivo PRO, usato a salinità maggiore di quella per il quale è costruito, rischia di non resistere alla maggiore pressione. vol28 / no1-2 / anno2012 > 31 fisica e... 2.3 Pressione di vapore Poichè le membrane presentano evidenti difficoltà, si è cercato di evitarne l’uso, e di spostare le difficoltà tecniche in un campo più vicino a quello nel quale l’ingegneria ha già soluzioni valide. Esempio di questo tentativo è la tecnica basata sulla differenza di pressione di vapore (PV) [4], mostrata in fig. 3. Due comparti contengono rispettivamente acqua dolce e acqua di mare. La parte superiore dei due comparti non è riempita di liquido, e in quella parte l’aria viene aspirata, fino ad abbassare la pressione al di sotto della tensione di vapore dell’acqua dolce, alla temperatura alla quale si trova l’ambiente. Per la presenza del soluto, la pressione di vapore dell’acqua di mare è più bassa, pertanto l’acqua dolce bolle, il vapore fluisce nel comparto dell’acqua salata, e lì si ricondensa. Il collegamento tra i due comparti include una turbina, che viene fatta girare dal flusso di vapore. Lo schema di un impianto di questo tipo richiede però una certa quantità di accorgimenti. Anzitutto, i due serbatoi devono essere dotati di radiatori, per mantenerli alla stessa temperatura. Questo è necessario perché una gran quantità di calore viene assorbita dal serbatoio nel quale avviene l’ebollizione, e una quantità quasi uguale viene rilasciata nel serbatoio dove avviene la condensazione; è sufficiente una differenza di temperatura di meno di un grado centigrado per annullare la differenza di tensione di vapore e bloccare il processo. Uno scambiatore di pressione, più complesso di quello utilizzato nella PRO, permette di sostituire l’acqua salata con nuova acqua di mare, di eliminare l’acqua in eccesso a causa della condensazione e ripristinare l’acqua evaporata. In questa tecnica, le impurità solide e la proliferazione di organismi viventi non costituiscono un problema importante, mentre costituiscono un problema i gas disciolti: quando l’acqua viene portata a bassa pressione, i gas si accumulano 32 < il nuovo saggiatore nella parte delle camere sopra all’acqua, e pertanto è necessario un contiuno pompaggio per mantenere la pressione abbastanza bassa da far avvenire l’ebollizione. Questo schema ha il vantaggio di non utilizzare alcuna membrana, nè altri componenti sensibili alle impurità solide presenti nell’acqua. Altro vantaggio è la possibilità di costruire un singolo impianto di grandi dimensioni, anzichè dover assemblare molti moduli di piccole dimensioni, avvantaggiandosi quindi delle economie di scala. Il principale problema è però costituito dalla piccola differenza di pressione disponibile per far girare la turbina, dell’ordine del centesimo di atmosfera; le difficoltà tecniche hanno fino ad ora impedito di realizzare un prototipo che vada oltre una prova di principio. 3 Applicazioni Una applicazione delle tecniche sopra descritte permetterebbe di estrarre energia dalla differenza di salintità tra acqua dolce di un fiume e acqua salata di mare. Un ipotetico impianto potrebbe essere posizionato presso la foce di un fiume; due canali porterebbero parte dell’acqua del fiume all’impianto, e una sufficiente quantità di acqua di mare. L’impianto sarebbe in grado di produrre energia elettrica, dando come scarto solo acqua salmastra, non inquinante, che potrebbe essere immessa direttamente in mare, lontano dal punto di raccolta dell’acqua salata, o nel fiume stesso. Possono essere studiate soluzioni per evitare danni all’ecosistema dovuti alla modifica locale della concentrazione salina. Ad esempio, in particolari situazioni, potrebbe essere utile scaricare l’acqua salmastra in un bacino vicino al mare, in modo da formare un lago costiero artificiale, o una laguna salmastra: sebbene non sia un ambiente naturale, può avere un grande valore in quanto habitat di specie a rischio. Per fare un esempio, il Tevere scarica una media di 240 m3/s di acqua dolce nel mar Tirreno, la cui concentrazione di sali è di circa 600 mM. La potenza totale dissipata è di 500 MW, pari al consumo medio domestico di 3600000 persone, cioè più degli abitanti della città di Roma (basato su un consumo medio domestico di 140 W). Ovviamente un impianto non sarebbe in grado di estrarre interamente questa potenza, ma il valore dà un’idea della potenza in gioco. Una stima della potenza totale estraibile, sommando tutti i fiumi della terra, è tra 1,4 e 2,6 TW, da confrontare con un fabbisogno mondiale di 15 TW. L’uso di soluzioni più concentrate dell’acqua di mare è stato valutato fino dagli anni ’70; in particolare si è valutata la possibilitè di utilizzare l’acqua di bacini superficiali molto salati, come il Mar Morto, oppure i sali e le soluzioni saline disponibili in giacimenti geologici. Nel caso dell’Italia, una diversa fonte di differenza di salinità è costituita dalle saline. Questi impianti, tradizionalmente utilizzati per la produzione di sale, consistono in grandi vasche, che generalmente coprono un migliaio di ettari, di bassa profondità, ricavate in prossimità del mare. L’acqua salata viene fatta entrare nelle vasche, e poi lasciata evaporare. Con un dato ritmo, l’acqua viene fatta fluire da una vasca all’altra, nelle quali si trova una concentrazione salina sempre crescente. Nelle ultime vasche l’acqua è satura di cloruro di sodio, e lo deposita sotto forma di cristalli che vengono raccolti. L’acqua però non viene fatta evaporare completamente, perchè oltre una certa concentrazione depositerebbe anche sali non adatti all’uso alimentare. Queste acque di scarto possono essere utilizzate per alimentare un impianto a differenza di salinità, assieme ad acqua di mare. In questo caso, non è necessario nè conveniente utilizzare acqua dolce, in quanto l’acqua di salina, satura di sale, ha concentrazione circa 5 M, mentre l’acqua di mare ha una salinità molto più bassa, circa 600 mM, D. Brogioli: energia dalla differenza di salinità Fig. 4 Prototipo di dispositivo PRO sviluppato da Statkraft. I cilindri bianchi, del diametro di circa 30 cm, contengono le membrane semipermeabili. In primo piano si vede la turbina. e quindi la differenza di concentrazione risultante è comunque molto alta; usare acqua dolce non la aumenterebbe di molto. L’acqua diluita in uscita ha salinità intermedia tra quella della salina e l’acqua di mare, e può essere riciclata nella salina; in tal modo, la alta concentrazione residua viene riutilizzata, a vantaggio della resa complessiva dell’impianto. La risorsa che viene usata in un tale tipo di impianto è l’evaporazione, che è di 1–4 mm al giorno, molto dipendente dalla posizione geografica; questa corrisponde a una evaporazione dell’ordine di 0,1 l/s per ettaro di salina. Considerata la alta concentrazione dell’acqua che si ottiene, è possibile ricavare una potenza dell’ordine di 1 kW per ettaro, confrontabile con la produzione di energia tramite biocombustibili. Questa potenza è sufficiente per il fabbisogno domestico di 7 persone. L’impianto corrispondente ha un ingombro tale da poter essere facilmente contenuto in una casa. Considerando un costo della energia di 0.1 €/kWh, un ettaro di salina corrisponde a 1000 € all’anno di corrente: una buona resa, se confrontata con quella agricola, ad esempio per la produzione di grano (750 € all’anno) o mais per biocarburanti (600 € all’anno). Per fare un esempio di fattibilità, si può considerare una salina delle dimensioni di quelle di Cagliari (Molentargius), di 800 ha, oppure di Trapani, 950 ha. La produzione di potenza corrisponde a un totale di 1 MW: il fabbisogno domestico di un paese di 7000 abitanti, e la dimensione ideale per la costruzione di un impianto pilota. L’impianto coprirebbe una superficie dell’ordine di 100 m2. Il fatturato totale annuo per l’energia prodotta si potrebbe aggirare attorno a un milione di euro, mentre quello relativo al sale è dell’ordine di 7–8 milioni di euro, comprensivi delle operazioni di raccolta e lavorazione. 4 Stato dell’arte Attualmente sono stati costruiti due prototipi di apparecchi per produrre energia dalla differenza di salinità, usando le tecniche PRO ed EDI. 4.1 Statkraft Il prototipo del dispositivo PRO, cioè a osmosi, mostrato in fig. 4, è stato costruito da Statkraft, una azienda norvegese che opera nel settore delle energie alternative, in collaborazione con SINTEF, un ente pubblico che si occupa di energia. Il prototipo è stato installato a Tofte, in Norvegia, in prossimità del mare, ed è in funzione dal 2009 [5]. Il dispositivo include 2000 m2 di membrane. Sebbene la differenza di salinità tra l’acqua dolce e l’acqua di mare corrisponda idealmente a una pressione osmotica di 24 atm, quando si sviluppa un flusso di acqua attraverso una membrana reale l’effettiva pressione che si ottiene è inferiore; nel caso del prototipo di Statkraft si arriva vol28 / no1-2 / anno2012 > 33 fisica e... Fig. 5 Prototipi basati su elettrodialisi inversa, sviluppati da REDstack (Paesi Bassi). a circa 12 atm. I flussi di acqua dolce e acqua di mare sono di circa 3 l/s, e la potenza risulta essere attorno a 2 kW. La resa delle membrane è di circa 1 W/m2, e l’efficienza della conversione dall’energia libera dell’acqua alla corrente elettrica prodotta è del 40%. La stessa azienda ha in progetto un impianto pilota da circa 1 MW, che dovrebbe essere pronto entro il 2015. In questo impianto la efficienza di conversione dell’energia dovrebbe salire all’80%, con una resa di 5 W/m2 per le membrane. L’intero impianto consumerà circa 1 m3/s di acqua, equivalente alla portata di uno dei piccoli torrenti di cui la Norvegia è ricca. L’intero impianto occuperà una superficie di circa 500 m2. Le dimensioni dell’impianto sono dovute, come detto sopra, alla necessità di contenere l’enorme quantità di membrane, 200000 m2, che pure fittamente impacchettate all’interno delle catrucce occupano uno spazio non trascurabile. L’impianto produce 2 kW per metro quadro di terreno occupato: si tratta di un notevole miglioramento nell’uso del terreno, ad esempio a confronto con il solare fotovoltaico, che produce al più una media annuale 34 < il nuovo saggiatore dell’ordine di 30 W/m2. La Statkraft valuta che il costo finale della energia elettrica prodotta sarà di 0,10 €/kWh, per dispositivi come il prototipo, e scenderà a 0,05 €/kWh per l’impianto pilota; il costo, secondo le dichiarazioni, dovrebbe comprendere la fabbricazione e la sostituzione delle membrane semipermeabili. 4.2 REDStack La tecnica EDI è stata sviluppata principalmente nel centro di ricerche Wetsus (Leeuwarden, Paesi Bassi), che si occupa di gestione delle risorse idriche, e dal suo spin-off REDstack. Due prototipi sono mostrati in fig. 5. Ogni unità contiene 1200 membrane a scambio ionico di 300 × 900 mm, per un totale di 324 m2 di superficie. La tensione ottenuta per ogni coppia di membrane è di 160 mV, e la resa delle membrane è di circa 1,5 W/m2. La produzione totale di potenza è di circa 0,5 kW per ogni unità. Sono state sviluppate membrane più efficienti, che arrivano a circa 5 W/m2; essendo anche più sottili e con minore spaziatura, nello stesso dispositivo ne verranno messe 1800, ottenendo una potenza totale di 2,4 kW, con un flusso di circa 2,4 l/s, corrispondente a un’efficienza del 70%. Rispetto al prototipo PRO, l’unità EDI ha dimensioni nettamente minori, grazie alla maggiore facilità con cui si possono impacchettare le membrane a scambio ionico, dovuta alla assenza della alta pressione che si sviluppa nel sistema PRO. Un impianto pilota in progetto consiste in un modulo ottenuto dall’assemblaggio di più unità simili a quelle descritte, all’interno di un container di circa 12 × 2 × 2 m3 e della potenza totale di 200 kW. Il modulo consumerà circa 0,3 m3 di acqua dolce al secondo, e altrettanta acqua salata. L’impatto ecologico dell’impianto é molto limitato: la potenza prodotta è più di 8 kW per metro quadrato di terreno, ordini di grandezza in più rispetto a un impianto solare, e comunque un eccellente risultato anche rispetto al sistema PRO. Il costo delle membrane sarà dell’ordine di 1 €/m2; il costo stimato dell’energia prodotta é di 0,08 €/kWh, assolutamente competitivo con le fonti tradizionali e con l’eolico. L’intera installazione comprenderà più moduli, ognuno della stessa D. Brogioli: energia dalla differenza di salinità Fig. 6 Afsluitdijk, il luogo dove verrà installato l’impianto pilota sviluppato da REDstack. L’immensa diga, indicata dalla freccia, separa l’acqua dolce proveniente dal continente dall’acqua del mare. potenza, che verranno installati presso la Afsluitdijk, cioè l’immensa diga che separa l’acqua dolce raccolta dall’Europa dal mare (fig. 6), costruita per impedire che le maree possano rientrare ad occupare la terra emersa che costituisce i Paesi Bassi. Lì i progettisti dell’impianto hanno a disposizione una quantità di acqua dolce e salata sostanzialmente illimitata, a distanza di pochi metri. Non è un caso che la “blue energy”, come viene definita l’energia dal mare, sia tanto popolare nei Paesi Bassi: in un luogo cioè dove è disponibile in quantità quasi illimitata l’acqua dolce, ma non è possible sfruttarla tramite il tradizionale sistema idroelettrico basato sulla caduta e sulle condotte forzate, per la mancanza più assoluta di dislivelli. 5 La nuova tecnica: mescolamento capacitivo Per descrivere questa tecnica è opportuno partire facendo una analogia con il caso di un condensatore elettrostatico, costituito da una coppia di piastre conduttive, dette piatti, affacciate l’una all’altra, come mostrato in fig. 7a. Se ai piatti viene collegato un generatore di tensione, una certa quantità di elettroni viene rimossa da un piatto, e la stessa quantità di elettroni viene aggiunta all’altro piatto (fig. 7b). Se la batteria viene tolta, le cariche restano imprigionate nei piatti (fig. 7c). Tra i piatti si sviluppa un campo elettrico, approssimativamente uniforme, rappresentato in figura dalle frecce rosse. Questo campo rappresenta il modo in cui l’energia è accumulata nel condensatore; in particolare, l’energia elettrostatica è proporzionale al modulo al quadrato del campo elettrico, e al volume nel quale il campo è presente. A causa della opposta carica, i due piatti si attraggono, tramite una forza elettrica. Se si vuole allontanarli uno dall’altro (fig. 7d), è necessario applicare una forza maggiore di quella attrattiva elettrica. Muovendo i piatti in direzioni opposte, contro la forza elettrica che tende ad avvicinarli, si compie un lavoro, cioè si consuma dell’energia: ad esempio, può trattarsi del lavoro compiuto dai muscoli dello sperimentatore. Una volta che i due piatti si sono allontanati, si può osservare che le cariche su di essi non sono cambiate, poichè non possono uscire dal conduttore nel quale sono state poste; allo stesso modo, il campo elettrico presente tra i due piatti è invariato. è però aumentata la distanza tra i due piatti, e il volume nel quale il campo elettrico è presente: questo significa che è aumentata l’energia elettrostatica immagazzinata dai due piatti, che, come detto in precedenza, è proporzionale al volume nel quale è presente il campo elettrico. Nel complesso, l’energia spesa dallo sperimentatore tramite il suo lavoro muscolare è stata convertita in energia elettrostatica accumulata nel condensatore; essa si manifesta come un aumento della tensione elettrica. Si può descrivere questo dispositivo come una “dinamo elettrostatica”, in grado di convertire lavoro meccanico in energia elettrica, utilizzando un campo elettrostatico, in analogia alla tradizionale dinamo che utilizza invece un campo magnetico per generare corrente elettrica. Ora il concetto deve essere esteso al caso in cui i piatti sono sostituiti da una coppia di conduttori (gli elettrodi) vol28 / no1-2 / anno2012 > 35 fisica e... c b a + + + + + + + + + + − − − − − − − − − + + + + + + + + + d − − − − − − − − − + + + + + + + + + − − − − − − − − − − Fig. 7 (a) Un condensatore elettrostatico è composto da due piatti, cioè due piastre conduttive. (b) Un generatore di tensione viene collegato ai piatti, sui quali si viene a depositare una certa quantità di carica; tra i piatti si sviluppa un campo elettrico (frecce rosse). (c) Il generatore viene scollegato; la carica resta sui piatti. Viene applicata una forza per allontanare i piatti tra loro. (d) Il volume occupato dal campo elettrico è aumentato, e di conseguenza l’energia immagazzinata nel condensatore. immersi in una soluzione ionica, ad esempio una soluzione di cloruro di sodio, che ben approssima l’acqua di mare (fig. 8a). Anche in questo caso, quando si collega una batteria agli elettrodi, una certo numero di elettroni viene rimossa da un elettrodo, e un numero uguale viene portato all’altro (fig. 8b). Nel liquido posto tra i due elettrodi, che si trova in questo modo sottoposto a differenza di potenziale, si stabilisce inizialmente un campo elettrico, che fa derivare gli ioni presenti in soluzione verso l’elettrodo di carica opposta. Questa corrente di ioni è a tutti gli effetti una corrente elettrica, anche se la natura dei portatori di carica è diversa da quella dei metalli: nel caso delle soluzioni si tratta di ioni, mentre nel caso dei metalli si tratta di elettroni liberi di muoversi nella struttura cristallina. Nel caso della 36 < il nuovo saggiatore Fig. 8 (a) Una coppia di elettrodi è immersa in una soluzione salina concentrata. (b) Gli elettrodi vengono collegati a un generatore. All’interno di ognuno di essi vengono a trovarsi delle cariche elettriche, mentre nella soluzione adiacente si radunano ioni con carica opposta, che formano uno strato diffuso che scherma la carica nell’elettrodo. La superficie di ogni elettrodo forma un condensatore. (c) Il generatore viene rimosso, e la concentrazione della soluzione viene ridotta. Gli ioni tendono a diffondere e ad allontanarsi dall’elettrodo. (d) Il doppio strato risulta più spesso, e di conseguenza l’energia elettrostatica contenuta nei doppi strati è incrementata. elettrolisi, la tensione è sufficiente a far avvenire una reazione chimica sulla superficie dell’elettrodo: ad esempio, la tensione può essere sufficiente a strappare un elettrone agli ioni cloro. Questi elettroni che vengono scambiati tra gli ioni e l’elettrodo chiudono il circuito, e permettono la circolazione di una corrente. Nel caso in esame, invece, siamo interessati alla situazione nella quale la tensione non è sufficiente a far avvenire alcuna reazione chimica: nel caso di soluzioni di cloruro di sodio in acqua, si tratta di tensioni al di sotto di un volt circa. In questo caso, gli ioni si accumulano attorno all’elettrodo con carica ad essi opposta, formando una nuvola, detta “strato diffuso”, il cui spessore è dell’ordine del nanometro, e dipende dalla concentrazione di ioni. Questa sottile nuvola di ioni si trova in prossimità della superficie dell’elettrodo, dove si trovano le cariche di segno opposto: queste due distribuzioni di cariche prendono il nome di “doppio strato elettrico”, e di fatto costituiscono un condensatore, in cui uno dei piatti non è materialmente un conduttore, ma è costituito dalla nuvola di ioni. è da notare che, essendo presenti due elettrodi immersi nella soluzione, sono presenti due “doppi strati elettrici”, che costituiscono altrettanti condensatori, uno per ogni interfaccia elettrodo-soluzione. Una volta che la carica nella nuvola di ioni controbilancia la carica nell’elettrodo che essa circonda, nessun campo elettrico è più presente al di fuori del doppio strato elettrico, nella soluzione: la nuvola “scherma” il campo, la corrente di ioni cessa, e l’energia elettrica è immagazzinata nei doppi strati elettrici come lo sarebbe nel condensatore D. Brogioli: energia dalla differenza di salinità Fig. 9 (a) Due elettrodi porosi sono immersi in acqua di mare, e vengono caricati alla tensione tramite una batteria. (b) La batteria viene scollegata; la soluzione all’interno della cella viene sostituita con acqua di fiume; la tensione aumenta, a causa della espansione del doppio strato elettrico. (c) Il condensatore viene scaricato attraverso un carico; la corrente ricarica la batteria. (d) Il liquido nella cella viene sostituito con acqua di mare. Il grafico mostra il potenziale elettrico ai capi della cella e la corrente che scorre in essa in funzione del tempo. elettrostatico formato dalla coppia di piatti sopra descritto. Il comportamento del doppio strato elettrico è descritto correttamente dalla ben nota teoria di Gouy-Chapman-Stern (GCS). Ciò che è stato recentemente osservato sperimentalmente [6, 7], in accordo con la teoria GCS, è il comportamento del doppio strato elettrico quando la concentrazione di ioni viene ridotta (Fig. 8c). Gli ioni tendono a diffondere, allontanandosi dagli elettrodi, in direzione contraria alla forza elettrostatica. Questo movimento è analogo all’allontanamento dei piatti del condensatore elettrostatico, e porta all’aumento della energia elettrostatica immagazzinata nel condensatore (Fig. 8d). Questo fenomeno è chiamato “espansione del doppio strato capacitivo”. è da notare che l’aumento di energia avviene a spese della energia termica, cioè della agitazione deglle molecole, e, in ultima analisi, viene dalla energia libera associata alla differenza di salinità, e non dal lavoro meccanico. è di fatto un modo per convertire la differenza di salinità in energia elettrica. La capacità del doppio strato elettrico è relativamente alta, dell’ordine di 10 µF per centimetro quadrato di elettrodo, un valore molto grande se confrontata con i valori tipici delle capacità di condensatori elettrostatici operanti in vuoto o nei gas, generalmene dell’ordine dei pF. Questa proprietà è utilizzata per produrre condensatori con grande capacità. In particolare, vengono industrialmente prodotti dei condensatori basati sul principio del doppio strato elettrico, che usano elettrodi di carbone attivo. Questo materiale è estremamente poroso, e contiene al suo interno una grandissima superficie: ogni grammo può contenere una superficie dell’ordine delle migliaia di metri quadtati. In questo modo è possibile costruire condensatori che in pochi centimetri cubici raggiungono capacità dell’ordine dei Farad, che vengono commercializzati con il nome di supercondensatori o ultracondensatori. La nuova tecnica per estrarre energia dalla differenza di salinita', chiamata “mescolamento capacitivo” (CAPMIX), è basata sul fenomeno della espansione del doppio strato capacitivo, all'interno di due elettrodi di carbone attivo. Le varie fasi sono mostrate in fig. 9. Nella prima fase, essi si trovano immersi in una cella contentente una soluzione salina concentrata (acqua di mare, ad esempio), e vengono caricati a una data data tensione di base tramite una batteria. Nella seconda vol28 / no1-2 / anno2012 > 37 fase, la batteria viene scollegata, e la soluzione all’interno della cella viene sostituita con acqua a concentrazione minore, ad esempio acqua di fiume; la tensione aumenta, a causa della espansione del doppio strato elettrico, e di conseguenza aumenta l’energia contenuta nel condensatore. La terza fase, consistente nell’estrazione dell’energia dal condensatore, ottenuta scaricandolo, attraverso un carico, nuovamente nella batteria. Infine, nella quarta fase, si ripristina la soluzione ad alta concentrazione all’interno della cella. Il ciclo di quattro fasi sopra descritto permette di estrarre il surplus di energia, che si genera grazie al cambiamento di salinità. Si nota che la sola fase attiva è la terza, nella quale l’energia viene effettivamente estratta, mentre la prima fase è passiva. La quantità di energia estratta dalla batteria nella prima fase è però restituita nella terza, e anzi, il surplus è fornito al carico: la batteria funge solo da accumulo temporaneo, e non viene scaricata di netto. Il ciclo è strettamente analogo a quello di un motore termico: le fasi di carica, flusso di acqua dolce, scarica e flusso di acqua salata, nella analogia, equivalgono a compressione, riscaldamento o scoppio, espansione, raffreddamento o scarico. Anche nel motore, la sola terza fase è attiva, e l’energia è temporaneamente accumulata nel volano (equivalente alla batteria). Nel primo esperimento di questo tipo [6], gli elettrodi consistevano in due piccoli frammenti di carbone attivo, del diametro di 2 mm e spessi 100 µm. La tensione di base era di 0,5 V, e per ogni ciclo si estraeva una energia di circa 5 J. Un esperimento fatto con elettrodi di massa dell’ordine dei grammi [7], e di qualità migliore rispetto allo stato dell’arte della tecnologia dei supercondensatori, ha fornito energia dell’ordine di 1–2 J per grammo di materiale. Si stima che sia possibile fare cicli a un ritmo dell’ordine di uno al secondo, ottenendo pertanto una potenza dell’ordine di 1 W per grammo di carbone attivo: un risultato incoraggiante. La tecnologia CAPMIX, assieme a una variante ibrida molto promettente che utilizza sia il carbone attivo sia le membrane a scambio ionico, è l’oggetto di un progetto di cooperazione finanziato dall’UE (CAPMIX) [8]. Un elemento essenziale per lo sviluppo futuro di questa tecnica sarà individuare i materiali più efficienti per la produzione degli elettrodi. Oltre al carbone attivo, infatti, altri materiali porosi e nanostrutturati sono promettenti, ad esempio, i nanotubi di carbonio. Bibliografia [1] R. E. Pattle, “Production of electric power by mixing fresh and salt water in the hydroelectric pile”. Nature, 174 (1954) 660. [2] S. Loeb, “Production of energy from concentrated brines by pressure-retarded osmosis. 1. preliminary technical and economic correlations”, J. Membr. Sci., 1 (1976) 49 . [3] J. W. Post, J. Veerman, H. V. M. Hamelers, G. J. W. Euverink, S. J. Metz, K. Nymeijer, and C. J. N. Buisman, “Salinity-gradient power: Evaluation of pressure-retarded osmosis and reverse electrodialysis”, J. Membrane Sci., 288 (2007) 218. [4] M. Olsson, G. L. Wick, and J. D. Isaacs, “Salinity gradient power: utilizing vapour pressure differences”, Science, 206 (1979) 452. [5] Dati disponibili all’indirizzo http://www.statkraft.com/ energy-sources/osmotic-power/. [6] D. Brogioli, “Extracting renewable energy from a salinity difference using a capacitor”, Phys. Rev. Lett., 103 (2009) 058501. [7] D. Brogioli, R. Zhao, and P. M. Biesheuvel “A prototype cell for extracting energy from a water salinity difference by means of double layer expansion in nanoporous carbon electrodes”, Energy Environ. Sci., 4 (2011) 772. [8] Progetto CAPMIX, European Union Seventh Framework Programme (FP7/2007-2013), grant no. 256868. Doriano Brogioli Doriano Brogioli ha iniziato la sua attività di ricercatore occupandosi di ottica, applicata allo studio della fluidodinamica e della termodinamica di non equilibrio. Lavora attualmente allo sviluppo della tecnologia CAPMIX. Le sue principali linee di ricerca includono anche lo studio di un modello di abiogenesi e la nanomeccanica di macromolecole biologiche. 38 < il nuovo saggiatore