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Gli autori ringraziano Simone Gabrielli per la sua preziosa collaborazione tecnica ed Alfonso Raffaelli per la sua lettura critica.
Giovanna Rosati
Claudia Vannini
Simbiosi ed evoluzione
Ovvero insieme si può
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via Raffaele Garofalo, 133/A–B
00173 Roma
(06) 93781065
ISBN
978–88–548–4349–3
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 2011
Le fronde degli alberi, gli arbusti, i
funghi, l’erba e la varietà di fiori
che osserviamo passeggiando in un
bosco sono solo la parte visibile di
un sistema sotterraneo complesso,
che connette in un’unica rete la
maggior parte delle specie vegetali
presenti.
Indice
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Introduzione
Capitolo I
La simbiosi nelle teorie evolutive
1.1. Considerazioni storiche, 15 – 1.2. La lezione della microbiologia evolutiva, 16 – 1.3. L’evoluzione orizzontale: dall’albero al cespuglio, 19
25
Capitolo II
Simbiosi e macroevoluzione
2.1. L’origine della cellula eucariotica, 26 – 2.2. Le micorrize e la comparsa delle piante terrestri, 32
39
Capitolo III
Simbiosi “creatrici” di novità ecologiche
3.1. Mangiatori di legno, 39 – 3.2. Consumatori di linfa vegetale, 42 – 3.3.
Eucarioti anaerobici, 43 – 3.4. Vita negli ambienti idrotermali sottomarini,
49 – 3.5. Il caso dei licheni, 55
7
8
Indice
63
Capitolo IV
Evoluzione delle simbiosi
4.1. Il “simbioma”, 63 – 4.2. I tipi di simbiosi: mutualismo, commensalismo, parassitismo come situazioni contingenti, 64 – 4.3. L’evoluzione delle
simbiosi e la modalità di trasmissione, 68
75
Capitolo V
Simbiosi, evoluzione ed integrazione genica
83
Conclusioni
85
Bibliografia
87
Indice analitico
Introduzione
Simbiosi ed Evoluzione: con questi due termini ci si riferisce a due
fenomeni biologici che normalmente, nei corsi di Biologia anche a livello universitario, vengono trattati separatamente. Il primo viene trattato quasi come una curiosità della natura, il secondo giustamente viene considerato un concetto fondamentale della biologia. Scrive il noto
genetista ed evoluzionista ucraino Dobzhansky “Il concetto di evoluzione è probabilmente il più grande progresso intellettuale nella storia
dell’umanità. Senza questo concetto il fenomeno della vita sembra non
avere alcun senso: l’evoluzione spiega non solo la straordinaria diversità degli organismi viventi, ma anche la loro capacità pressoché illimitata di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente”.
Con questa monografia ci proponiamo di far invece riflettere sul
fatto che, come i dati provenienti da varie discipline biologiche comprese le più moderne basate sulla biologia molecolare stanno sempre
più dimostrando, i due fenomeni sono stati e sono spesso strettamente
collegati,
Prima di iniziare la trattazione ci è sembrato opportuno chiarire il
significato dei due termini, così come sarà utilizzato di seguito.
Il termine “simbiosi” (dal greco = insieme e = vita) fu
proposto nel 1879 dal micologo tedesco Anton de Bary, che ne diede
la seguente definizione: “associazione permanente tra due o più organismi distinti, di specie diversa, almeno durante parte del loro ciclo vitale”. Si tratta di una definizione molto generica che non entra nel merito del tipo di rapporto che si instaura tra gli organismi coinvolti.
In seguito, il termine generico di simbiosi è stato per lo più usato in
un senso più ristretto e riservato ai soli rapporti mutualistici, cioè ai
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Introduzione
rapporti da cui traggono vantaggio ambedue i partner. I casi in cui solo uno dei due componenti viene avvantaggiato, senza danno per l'altro, sono stati definiti rispettivamente commensalismo, se il vantaggio
è di tipo alimentare e inquilinismo se consiste in una protezione logistica. Il termine parassitismo definisce invece i rapporti da cui uno solo dei due partner trae vantaggio a danno dell'altro. Poi, però, mano a
mano che nuovi rapporti simbiotici venivano scoperti e descritti, rivelandosi ciascuno diverso dall’altro per le proprie caratteristiche e per il
tipo di vantaggio apportato, sono state introdotte molte altre definizioni. Così, ad esempio con il termine foresia si sono indicate le simbiosi
in cui uno dei partner si serve dell’altro come mezzo di locomozione,
mentre con il termine amensalismo si intende un tipo di interazione in
cui una specie impedisce o diminuisce il successo di un'altra, senza
però allo stesso tempo trarne né vantaggio né svantaggio.
In realtà non è sempre facile riconoscere il significato del rapporto.
Spesso si tratta di interazioni complesse e variabili e si corre il rischio
di dare interpretazioni e definizioni arbitrarie. Per questo, nell’ambito
della Società Internazionale di Simbiosi (ISS = International Symbiosis Society), costituita una trentina di anni fa, ci si è prefissi di trovare
e descrivere una serie di caratteristiche comuni a tutti quei sistemi che
vengono considerati simbiotici e, da qui, trarre una definizione più
precisa, che superi le ambigue distinzioni soprannominate.
La definizione concordata, a cui ci atterremo in questa monografia,
è la seguente:
“La simbiosi è un' associazione intima, permanente, tra due partner
di specie diversa da cui risultino nuove strutture o nuovi metabolismi.
L’evoluzione di queste associazioni simbiotiche può comportare
scambi genetici tra i partner”.
Al di là delle definizioni bisogna tenere comunque presente che la
simbiosi, lungi dal rappresentare solo una curiosità della natura, costituisce, come risulterà anche dai pochi esempi descritti nei capitoli
successivi, un fenomeno assai diffuso che contribuisce molto alla biodiversità ed al mantenimento di biomi ed ecosistemi. Senza dire che la
simbiosi non è, come si potrebbe pensare, una strategia di sopravvivenza lontana dalla vita degli esseri umani. Tutt’altro! Per esempio,
nell’intestino umano, come in quello di tanti altri animali, sono presenti colonie di batteri che ci aiutano nella digestione e nella difesa da
Introduzione
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infezioni in cambio di un sicuro e facile nutrimento. Il numero di tali
batteri ci dà la portata del fenomeno: se ne conoscono oltre 400 specie
diverse. Sembra addirittura che se un essere umano è composto da circa 1014 cellule, solo il 10% di esse sono cellule animali.
Anche sul termine evoluzione occorre fare chiarezza: infatti non è
facile definire la parola evoluzione, in particolare quando si parla di
evoluzione biologica. Inoltre quando si discute di evoluzione biologica bisognerebbe tener separati il fatto in sè, cioè l’esistenza di un fenomeno evolutivo, e le varie teorie proposte sui meccanismi della evoluzione stessa la più nota delle quali è quella di Darwin. Quindi, a dispetto del luogo comune tuttora frequente, evoluzione e Darwinismo
non dovrebbero venir usati come sinonimi. Non a caso lo stesso Darwin usò raramente il termine evoluzione preferendogli per lo più trasmutazione.
Altra considerazione da fare: alla parola evoluzione, viene in generale data una connotazione positiva. Così, quando alludiamo
all’evoluzione sociale o tecnologica sottintendiamo uno sviluppo migliorativo. Spesso anche l’evoluzione biologica viene considerata un
progresso di cui l'uomo sarebbe il terminus ad quem, ovvero il prodotto ultimo e perfetto dell'intero processo (questo non è darwinismo).
In senso lato invece “evoluzione” significa semplicemente cambiamento: cambiamento delle galassie, delle lingue, delle società, dei
sistemi politici (non è detto in meglio). Cambiamento quindi: tout
court.
Per quanto riguarda l’evoluzione biologica bisogna tener presente
che sono importanti non i cambiamenti a cui va incontro un singolo
individuo, ma quelli a cui va incontro una popolazione. Una definizione che rende bene l’idea ci è sembrata la seguente:
“l’evoluzione biologica è il cambiamento delle proprietà degli organismi di una popolazione che supera il tempo vitale di un singolo
individuo”.
Così, lo sviluppo, cioè l’ontogenesi di un singolo individuo, non è
evoluzione. I cambiamenti evolutivi sono quelli ereditabili da generazione a generazione. Quindi in definitiva l’evoluzione biologica è il
processo di variazione ereditaria che si svolge in una specie, o meglio
in una popolazione, nel tempo. Le variazioni possono essere minime o
sostanziali così l'evoluzione comprende sia variazioni come quelle che
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Introduzione
determinano i gruppi sanguigni, sia le alterazioni che hanno portato alla nascita degli organismi attuali a partire dal primo proto-organismo.
Che ci sia stata e che, ovviamente, sia ancora in corso una evoluzione degli esseri viventi, è accettato ormai da quasi tutti gli scienziati.
Sui meccanismi dell’evoluzione invece non tutto è chiaro e il dibattito
è ancora aperto.
L'intera differenziazione e produzione di tante specie diverse in tutto il mondo è secondo Darwin il risultato di due soli fenomeni biologici: la continua produzione di varianti in tutte le popolazioni e in ogni
generazione, e l'azione della selezione naturale. Infatti scrive: “Si può
dire (metaforicamente) che la selezione naturale scruta di giorno in
giorno, di ora in ora, in tutto il mondo, qualsiasi variazione, anche la
più leggera, rifiutando quel che è cattivo e conservando e accumulando ciò che è buono; lavorando silenziosamente e insensibilmente, tutte
le volte e ovunque se ne dia l’occasione, al perfezionamento di ciascun essere vivente in rapporto alle sue condizioni di vita organiche e
inorganiche. Noi non possiamo affatto notare lo sviluppo di questi
leggeri cambiamenti prima che la lancetta del tempo abbia segnato il
trascorre di intere ere …”
Darwin non poteva conoscere la natura di queste variazioni che
considerava ineliminabili e casuali. I concetti Darwiniani sono stati ripresi e integrati nella cosiddetta teoria sintetica moderna (a cui diede
un fondamentale contribuito lo stesso Dobzhansky), alla luce delle
importantissime scoperte scientifiche della prima metà del secolo
scorso. Secondo la sintesi moderna la variazione nelle popolazioni naturali è di natura genetica e viene prodotta in modo casuale da
mutazioni e ricombinazione (crossing over dei cromosomi omologhi
durante la meiosi). L'evoluzione consiste principalmente in cambiamenti della frequenza genica tra una generazione e l'altra, come risultato della deriva genetica, del flusso genico e della selezione naturale.
Quindi l'evoluzione viene considerata come un processo casuale,
competitivo e graduale, senza coinvolgimenti di cooperazione o sinergismo.
Eppure già nel 1909, Constantin Merezhkovsky, considerando
l'importanza degli organismi estremofili e degli ambienti estremi, aveva introdotto il concetto di simbiogenesi definendo questo processo
Introduzione
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come “l'origine degli organismi attraverso la combinazione o associazione di due o più organismi che entrano in simbiosi”. Secondo questo
concetto la simbiogenesi dovrebbe essere intesa come un meccanismo
evolutivo e la simbiosi il mezzo attraverso il quale il meccanismo si
svolge”. Si tratta quindi di un concetto molto diverso da quello del
Darwinismo o della moderna teoria sintetica. Infatti questa idea sottolinea il ruolo centrale delle interazioni tra gli esseri viventi, che permettono la formazione di nuove entità per l'incorporazione di un organismo dentro un altro: cioè comparsa di insiemi complessi contrapposta allo sviluppo graduale attraverso le mutazioni. Si tratta di una unione orizzontale che può essere rapida, spesso discontinua e che crea
cambiamenti importanti, permanenti e irreversibili: cioè una novità
evolutiva.
La definizione di simbiosi riportata sopra, a cui come già detto ci
atterremo, riprende questa ultima prospettiva ormai condivisa da molti
scienziati ed evidenzia l’importanza della simbiosi come fonte di innovazione, che può portare alla simbiogenesi, cioè al sorgere di nuove
specie grazie all’integrazione genica dei simbionti. Possiamo concludere che quello della simbiosi è un nodo nevralgico, vuoi perché in
vario modo si confronta con quello della lotta per la sopravvivenza,
vuoi perché pone l'accento su relazioni che si instaurano non solo casualmente, ma configurando una neostruttura o di un singolo individuo o di una intera popolazione più efficace di quella di partenza. Inoltre, una volta che degli organismi hanno trovato, grazie alla simbiosi, una risposta alle sfide ambientali migliore di quella degli organismi singoli saranno favoriti dalla selezione naturale come un unico
organismo.
Ma al di là dei meccanismi intervenuti, come già affermava Dobzhansky, solo il concetto di un’evoluzione che, se da un lato ha prodotto organismi sempre più complessi a partire da altri strutturalmente
più semplici, dall’altro ha prodotto e continua a produrre una grande
diversità di forme a tutti i livelli, può rendere conto dell’enorme varietà degli organismi che sono vissuti e di quelli che vivono attualmente
sul nostro pianeta.
Fin dai tempi di Aristotele l’uomo ha sentito il bisogno di “catalogare” gli organismi viventi, racchiuderli in categorie. Fondamentale in
questo senso è stato il contributo del botanico svedese Linneo che, nel
14
Introduzione
diciannovesimo secolo, introdusse la nomenclatura binomia in uso ancora oggi affermando che era necessario dar un nome agli organismi,
affinché tutti i naturalisti e scienziati del suo tempo, ma anche dei
giorni a venire, parlassero uno stesso linguaggio: uno stesso nome rivolto ad uno stesso organismo. Secondo Linneo gli organismi viventi
sono divisi in due regni: Vegetale e Animale. Questa suddivisione fa
tuttora parte del bagaglio culturale comune e viene ancora riportata in
vari testi scolastici. Tuttavia ci sono forme che non rientrano bene in
queste categorie mentre altre, come i procarioti, non compaiono affatto. Nel 1969 Whittaker propose un sistema a 5 regni: Monera (comprende gli organismi procariotici, tutti unicellulari), Protisti (comprende gli organismi eucariotici unicellulari), Funghi, Animali e Piante. Questo sistema si è andato faticosamente affermando negli ultimi
40 anni ma risulta decisamente inadeguato sulla base delle nuove conoscenze. Così già nel 1977 i due scienziati americani Woese e Fox
eliminarono il regno Monera e distinsero i procarioti in due diversi
domini: Eubacteria e Archaebacteria, modificati poi nel 1990 in
Bacteria (o Eubacteria) e Archaea, e a queste denominazioni ormai
largamente condivise ci atterremo. Per quanto riguarda il regno dei
Protisti, più si procede nel loro studio più ci si rende conto dell'estrema eterogeneità di questi organismi che sicuramente non costituiscono
un gruppo monofiletico, cioè discendente da un ancestore comune.
Sono allora state proposte varie classificazioni alternative ma, considerando che nessuna ha raggiunto un riconoscimento unanime e che
gli studi molecolari e filogenetici possono ancora riservarci delle sorprese, preferiamo in questa sede continuare ad usare il termine protisti
quando ci riferiamo ad organismi unicellulari eucariotici, ma con la
lettera minuscola per ricordare che non si tratta di una vera categoria
sistematica. Per Funghi, Animali e Piante non ci dovrebbero essere
problemi. Almeno speriamo.
Capitolo I
La simbiosi nelle teorie evolutive
1.1. Considerazioni storiche
L’evoluzione è, dunque, il cardine di tutti i fenomeni biologici.
Comprensibile quindi che per spiegarne i meccanismi siano fiorite,
come precedentemente accennato, le teorie più diverse. Alcune di queste teorie sono strutturate organicamente nel tentativo di chiarire i
principali processi evolutivi. Esemplare in questo senso è la “teoria
sintetica moderna”, citata precedentemente, che viene ancora oggi
considerata un importante punto di riferimento da chi studia
l’evoluzione biologica. Secondo questa teoria i geni situati sui cromosomi sono l’unica fonte di ereditarietà, cioè l’unico mezzo attraverso il
quale i caratteri vengono trasmessi tra gli individui da una generazione
alla successiva. I due pilastri su cui questa teoria principalmente si basa sono la variabilità dei caratteri generata tramite mutazioni nel DNA
e la selezione naturale che “sceglie” quali caratteri saranno trasmessi
alle successive generazioni. In nessun caso, tra i vari aspetti dei processi evolutivi affrontati da questa teoria, si trova accenno alcuno ad
un possibile ruolo della simbiosi o, più in generale, delle associazioni
tra organismi di specie diverse. Riguardo a questo aspetto, la situazione è, di fatto, identica anche nella maggior parte delle teorie evolutive
elaborate successivamente, incluse tutte quelle che hanno avuto maggior peso culturale. Basti pensare ad esempio all’opera del famoso
biologo evoluzionista contemporaneo Stephen J. Gould. Noto soprattutto per aver elaborato la teoria degli “equilibri punteggiati”, che af15
16
Capitolo I
fronta la questione della non-gradualità di molti fenomeni evolutivi,
Gould ha esposto il suo pensiero ne “La struttura della teoria
dell’evoluzione” (The Structure of Evolutionary Theory). Nel suo trattato (millesettecentotrentadue pagine nell’edizione italiana) Gould non
solo illustra le proprie teorie, ma propone anche una sintesi critica delle altre teorie evolutive in campo. Si tratta, quindi, di un’opera ambiziosa, esaustiva e, apparentemente, omnicomprensiva. Millesettecentotrentadue pagine, e neanche un cenno al possibile ruolo dei fenomeni simbiotici nell’evoluzione. La simbiosi è, ancora una volta, completamente ignorata.
Tra i possibili motivi di tale omissione va, prima di tutto, considerato che concetti come selezione ed adattamento, sui quali si basano
molte teorie evolutive come la sintesi moderna, implicano anche l’idea
di un antagonismo naturale e costante tra gli individui. Comprensibile
che in questo quadro, fenomeni di intimità o associazione tra organismi diversi, implicanti un’idea di interazione cooperativa e costruttiva,
difficilmente trovino spazio. É utile, inoltre, ricordare che la biologia
evolutiva come disciplina è stata tradizionalmente appannaggio di zoologi e paleontologi. Fino a poche decine di anni fa, la biologia evolutiva era sostanzialmente biologia evolutiva dei vertebrati o, comunque,
degli organismi pluricellulari. Con il risultato di escludere a priori
qualsiasi tipo di investigazione sull’evoluzione microbica che, come
vedremo, è quasi sempre intrecciata in maniera evidente a fenomeni di
simbiosi. Cosicché, quando alcuni autori contemporanei giudicano la
teoria sintetica moderna “una visione sterile dell’evoluzione”, usano
l’aggettivo “sterile” sia in senso letterale che metaforico…
1.2. La lezione della microbiologia evolutiva
Negli ultimi decenni lo studio dei microrganismi e della evoluzione
microbica ha però largamente concorso alla rivalutazione della simbiosi nei processi evolutivi in generale. Per capire, tuttavia, come questa svolta sia giunta solo in epoca così recente, è bene ricapitolare brevemente la storia della microbiologia come disciplina. Lo studio dei
microrganismi è stato possibile, ovviamente, solo in seguito alla invenzione di uno strumento che consentisse la loro osservazione: il mi-
La simbiosi nelle teorie evolutive
17
croscopio. Se le prime osservazioni di organismi microbici risalgono
alla fine del sedicesimo secolo, la cosiddetta microbiologia moderna
nasce non prima della seconda metà del 1800, con gli esperimenti di
Louis Pasteur e Robert Koch, considerati, appunto, i pionieri di questo
campo di studi. Da allora, la microbiologia è andata incontro ad un
continuo sviluppo, grazie soprattutto ai contributi della ricerca microbiologica in campo medico. Il genere umano, da sempre insidiato dalle
patologie infettive, che rappresentavano di gran lunga la principale
causa di morte, fu messo dalla microbiologia medica in condizione di
combattere e, sempre più spesso di debellare, molte di queste malattie.
Questo ambito di ricerca ha, da allora, occupato e continua a tutt’oggi
ad occupare, giustamente e comprensibilmente, una posizione di primo piano nell’ambito della ricerca scientifica in generale. Se da un lato tutto questo ha costituito indubbiamente un enorme miglioramento
della qualità della vita degli esseri umani, dall’altro ha, però, causato
la diffusione di una visione parziale e distorta del ruolo degli organismi microbici nei confronti dell’ambiente e delle altre forme di vita.
Quasi che i microrganismi nella loro totalità fossero i principali responsabili di ogni male, fino ad essere spesso dipinti semplicisticamente come “nemici dell’uomo”, meri agenti patogeni da debellare attraverso una lotta continua ed indiscriminata. È sentire diffuso, purtroppo non solo al di fuori dell’ambito scientifico, che alla parola “microbo” sia associata una connotazione negativa, una immediata evocazione di catastrofici scenari di epidemie, infezioni letali o,
nell’immaginario più ottimistico, malattie almeno temporaneamente
invalidanti. Passeggiando, anni addietro, sulle rive di un lago alpino in
Austria, in compagnia di un collega austriaco presso il cui istituto eravamo ospiti, ci imbattemmo in un gruppo di turisti americani che rimasero, a dir poco, sconcertati dalla scoperta che ci occupavamo dei
batteri presenti nel lago, dove loro avevano fatto il bagno il giorno avanti e ci chiesero, evidentemente preoccupati, se avessero corso il rischio di contrarre qualche malattia. Faticammo non poco a spiegare
che i batteri del lago erano del tutto innocui per l’uomo ed anzi erano
indispensabili e preziosi per l’ecologia di quell’ambiente. Niente di
strano che, in un simile contesto culturale, l’idea che i microrganismi,
molto spesso coinvolti in simbiosi, possano avere avuto in passato (ed
avere ancora oggi) un ruolo importante e costruttivo nella storia
18
Capitolo I
dell’evoluzione della vita, faccia ancora fatica ad imporsi. Per fortuna,
grazie alle scoperte fatte nel corso degli ultimi decenni, almeno in alcuni settori della ricerca scientifica, un atteggiamento diverso va facendosi lentamente strada.
L’avvento di tecnologie molecolari per lo studio degli organismi
microbici ha cambiato radicalmente alcuni postulati della microbiologia. La possibilità di conoscere la sequenza del DNA, dapprima di
singoli geni e poi anche dell’intero patrimonio genetico di una specie,
ha aperto nuove strade conoscitive. Infatti, alcune caratteristiche dei
microrganismi, ad esempio il fatto che il loro contenuto totale di DNA
sia inferiore a quello degli animali o delle piante, li ha resi oggetti di
studio ideali per l’applicazione delle nuove metodologie. Banalmente,
essendo il sequenziamento di un genoma batterico più rapido e meno
costoso di quello di un animale, i batteri di cui il patrimonio genetico è
stato completamente sequenziato sono molti di più degli organismi di
dimensioni maggiori. I microbi, dunque, si sono trovati negli ultimi
decenni al centro dell’interesse scientifico in ambito biologico, e non
più solo in ambito bio-medico. Ci si è anche resi conto che gli organismi microbici procariotici rappresentano la forma di vita dominante
sul nostro pianeta, non solo in termini quantitativi (si stima che i batteri siano circa 100 trilioni di volte più numerosi degli esseri umani, ma
secondo molti autori si tratta di una sottostima), ma anche sotto il profilo qualitativo in quanto colonizzatori di vari habitat inclusi i più estremi. I procarioti sono in grado di utilizzare risorse che nessun altro
essere vivente può usare, ed hanno un livello di diversificazione enorme sia per quanto riguarda il metabolismo che i processi cellulari.
Inoltre, le forme di vita microbiche hanno dominato il nostro pianeta
anche da un punto di vista evolutivo. I primi tre miliardi di anni di vita
sulla terra sono stati essenzialmente microbici, ed i microbi sono stati
protagonisti dei cambiamenti evolutivi di portata maggiore, come
l’evoluzione della cellula eucariotica (cioè con nucleo ed organuli) e
delle forme pluricellulari. Ne consegue che uno studio dell’evoluzione
biologica che si prefigga di descrivere i principali meccanismi che regolano l’evoluzione della vita sul nostro pianeta non può prescindere
dai microrganismi, da considerarsi, anzi, come il sistema biologico
portante.
La simbiosi nelle teorie evolutive
19
Il lavoro di analisi fatto in questi anni sulle sequenze di DNA ottenute è stato enorme, ed ha permesso la comprensione non solo di molte funzioni associate ai geni studiati, ma anche dei meccanismi che regolano l’evoluzione microbica. É stato così evidenziato che fenomeni
finora sottovalutati, come la simbiosi ed il trasferimento “orizzontale”
di porzioni di DNA tra individui diversi, hanno ed hanno avuto una
importanza fondamentale nei processi evolutivi dei procarioti.
1.3. L’evoluzione orizzontale: dall’albero al cespuglio
Queste scoperte nel campo della microbiologia hanno cambiato radicalmente alcuni concetti considerati basilari nelle teorie evolutive.
Infatti uno dei postulati fondamentali di tali teorie, teorizzato già da
Darwin, ma perfino dai suoi predecessori, è che l’evoluzione avviene
essenzialmente a carico dei caratteri ereditari, cioè delle caratteristiche
dei singoli individui che vengono trasmesse verticalmente, da una generazione alla successiva. Secondo questa visione, nell’ambito di una
popolazione la selezione naturale “decide” quali caratteri saranno trasmessi più efficacemente “guidando”, l’evoluzione di generazione in
generazione. Di tale assunto troviamo un’ottima rappresentazione
grafica nei diagrammi chiamati “alberi filogenetici” che illustrano il
percorso evolutivo di un determinato gruppo di organismi, ricostruito
sulla base di dati empirici ricavati da studi morfologici, paleontologici, biochimici, molecolari, ecc. Dall’osservazione di un albero filogenetico è possibile ricostruire la discendenza comune del gruppo di organismi in oggetto, desumendo dalla rappresentazione grafica la relazione, in termini evolutivi, dei diversi organismi fra loro. Questi diagrammi sono costituiti da linee, rappresentanti le linee di discendenza,
che si ramificano progressivamente in maniera dicotomica. Ciascuna
biforcazione (o “nodo”) rappresenta idealmente l’organismo che è
progenitore comune delle linee evolutive che da quel nodo si dipartono. Le estremità delle ramificazioni rappresentano gli organismi utilizzati per l’analisi e quindi, con l’eccezione degli studi compiuti sui
fossili, gli organismi attualmente esistenti. Diagrammi di questo tipo
si ritrovano comunemente anche nei testi scolastici. Negli alberi filogenetici che rappresentano l’evoluzione delle forme di vita sulla terra,
20
Capitolo I
nella loro totalità, l’origine (o “radice”), cioè la prima dicotomia raffigurata, rappresenta l’ipotetico progenitore comune a tutti gli organismi che vivono e che sono vissuti sulla terra, spesso indicato con
l’acronimo LUCA (dall’inglese Last Universal Common Ancestor).
Figura 1. Alberi filogenetici che illustrano i rapporti evolutivi tra i tre domini del
vivente. A: in questa rappresentazione tutti gli organismi viventi si sarebbero evoluti, secondo linee di discendenza verticale, da un unico progenitore comune (Last Universal Common Ancestor, LUCA): solo l’acquisizione di mitocondri e plastidi sarebbe avvenuta per via orizzontale tramite eventi endosimbiotici. B: in questo albero
filogenetico è evidenziata l’ipotesi secondo la quale l’evoluzione di tipo orizzontale
avrebbe avuto un forte peso soprattutto nelle prime fasi dell’evoluzione della vita
sulla terra: in questo caso, tutti gli organismi viventi discenderebbero non da un unico progenitore, ma da una comunità ancestrale di microrganismi caratterizzata da un
intenso dinamismo in termini di trasferimento genico orizzontale e/o di eventi simbiotici.
Tali rappresentazioni rispecchiano la concezione secondo la quale
l’evoluzione si svolge e si sia svolta, appunto, per via “verticale”, cioè
attraverso un progressivo cambiamento lungo linee di discendenza degli organismi, a partire da un primo, ipotetico ancestore comune. Lo
studio dell’evoluzione microbica ha dimostrato che le cose potrebbero
essere andate diversamente.