l`evoluzione degli studi di marketing in italia

Università degli Studi
di Brescia
Dipartimento di
Economia Aziendale
Giuseppe BERTOLI – Gabriele TROILO
L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI DI
MARKETING IN ITALIA
DALLE ORIGINI AGLI ANNI SETTANTA
Paper numero10
Dicembre 2000
L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI DI MARKETING
IN ITALIA
DALLE ORIGINI AGLI ANNI SETTANTA
di
Giuseppe BERTOLI
ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese
nell'Università degli Studi di Brescia
e
Gabriele TROILO
ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese
nell'Università Commerciale “Luigi Bocconi” di Milano
Una prima versione di questo lavoro è stata presentata in occasione del
workshop Aidea Giovani “L’azienda nel tempo”, Venezia, Ca’ Foscari, 1213 giugno 1997.
“Allo stesso modo con cui gli alpinisti
conquistano le cime più eccelse della
terra costituendo tanti ‘campi base’,
sempre più avanzati, ognuno dei quali,
però, è la continuazione di quelli
precedenti che ne costituiscono la
premessa, così gli studiosi tendono
verso soglie scientifiche sempre più
elevate, usufruendo, anch’essi, di tutto
il materiale preesistente e delle
conquiste che altri nel tempo hanno
fatto” (E. Giannessi, 1969, p. 477)
INDICE
pagina
1. Premessa.
7
2. I primordi del marketing
7
3. Le antiche trattazioni
11
4. L'indirizzo descrittivo-negoziale: gli studi di Tecnica
mercantile
19
5. L'indirizzo sistematico-gestionale: gli studi di Tecnica
commerciale
27
6. I primi studi di marketing negli Stati Uniti d'America. Cenni
35
7. Gli studi tecnico-commerciali in Italia negli anni '30-40: la
scuola funzionalista
37
8. Gli studi tecnico-commerciali in Italia negli anni ‘50-60
39
9. Brevi osservazioni conclusive
69
Bibliografia
71
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
1. Premessa
Nella letteratura internazionale non mancano certo ricostruzioni
storiche dell’evoluzione attraversata dalla dottrina di marketing. Tali lavori
riguardano però, pressoché esclusivamente, la realtà statunitense, e i motivi
sono agevolmente comprensibili ove si ponga mente al notevole sviluppo
che il marketing ha avuto in tale Paese.1 Manca, a tutt’oggi, un
inquadramento storiografico della situazione italiana; e se a non pochi è
presente, giacché l'hanno vissuta, lo è però in forme talora parziali. In
questo lavoro, pertanto, ci proponiamo essenzialmente di delineare
un’analisi degli studi di marketing sviluppati in Italia a partire dall’inizio
del secolo fino agli anni Settanta. La scelta di limitare l’area d’indagine a
tale periodo deriva, oltre che da evidenti considerazioni in ordine alla mole
di opere da analizzare, dalla convinzione che il periodo tra la fine degli anni
Sessanta e gli inizi del decennio successivo - caratterizzato da rilevanti
trasformazioni sociali, politiche, economiche e istituzionali - si rifletta sugli
studi oggetto d’indagine segnando l’avvìo a un periodo di rilevante
cambiamento, che necessita di uno specifico approfondimento e quindi di
un’ulteriore ricerca.
2. I primordi del marketing
I primi studi italiani esplicitamente dedicati al marketing appaiono in
Italia – pur con altra denominazione - solo verso la metà del nostro secolo.
Questi scritti, però, pur rappresentando per non pochi aspetti un quid novi –
arduo da riconnettersi alle categorie analitiche fino ad allora usuali –
trovano il loro terreno di sviluppo in quel complesso di studi volti ad
analizzare le molteplici problematiche connesse agli scambi di mercato2 da
1
Cfr., per esempio, P.D. Converse, The Beginning of Marketing Thought in the United
States, University of Texas, Bureau of Business Research, 1959; R. Bartels, The
Development of Marketing Thought. Homewood (Ill.), R.D. Irwin, 1962; J.N. Shet e D.M.
Gardner, “History of Marketing Thought: An Update”, in R. Bush, S. Hunt (eds.),
Marketing Theory: Philosophy of Science Perspectives, American Marketing Association,
1982, pp. 52-58; S. Hunt, Marketing Theory: The Philosophy of Marketing Science,
Homewood (Ill.), R.D. Irwin, 1983; J.N. Shet, D.M. Gardner, D.E. Garrett, Marketing
Theory: Evolution and Evaluation, New York, Wiley & Sons, 1988.
2 “Il marketing ha, come presupposto, l’esistenza del mercato e quindi l’idea dell’impresa
che ne diviene l’artefice all’atto stesso in cui il processo produttivo esce dall’ambito
autossitico dell’economia domestica per divenire fatto realizzato per via indiretta, ossia per
via di scambio. L’impresa scambia per produrre, e nello scambiare per produrre, oltre che
un problema d’acquisto, ha sempre un problema di vendita da affrontare” (U. Caprara, “La
sistemazione dottrinale della tecnica mercantile e bancaria nelle rievocazioni di un
ottuagenario”, Finanza Marketing e Produzione, n. 1, 1983, p. 17. Del Caprara si veda, sul
7
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
tempo presenti nel nostro ordinamento universitario. In effetti, il marketing sia come disciplina di studio sia, a maggiore ragione, come processo
aziendale - ha una storia assai antica. Alcune ricerche sottolineano infatti lo
stretto legame intercorrente fra lo sviluppo del capitalismo e quello delle
attività di marketing, nel senso che “The marketing developed in the modern
western world is the concrete manifestation of capitalist ideals”.3
Com’è noto, gli storici ritengono che le prime manifestazioni del
capitalismo si possano far risalire alla metà del secolo XIII. Esse hanno un
fondamento essenzialmente mercantile, poiché la forza d’impulso è
rappresentata dall’attività del mercante-imprenditore, al quale spetta
l’iniziativa e il rischio della produzione per il mercato. Fin verso la metà del
XVIII secolo, comunque, lo sviluppo dell’organizzazione industriale benché costante - procede assai lentamente. Esso assume un ritmo
estremamente più veloce a séguito della rivoluzione industriale, con la quale
- pur nel continuum temporale - si può dire nasca il capitalismo industriale
e, con esso, anche il marketing (inteso quale prassi aziendale).
L’importanza della rivoluzione industriale ai fini che qui rilevano
consiste essenzialmente nel fatto che con essa prende avvìo un processo di
sviluppo che dà luogo a una serie di profondi cambiamenti, fra loro
strettamente interrelati: nella tecnologia, nei consumi, nel sistema
distributivo e nei processi competitivi.
Semplificando al massimo un tema assai più complesso, si può
affermare che, per quanto riguarda il primo aspetto, il paradigma
tecnologico che si afferma con la rivoluzione industriale crea le condizioni
per un sostanziale e continuo progresso tecnico-scientifico, il quale - a
propria volta - consente una più elevata produttività del lavoro umano e lo
sviluppo di sempre nuovi prodotti. L’incremento della produzione e
dell’occupazione, dal canto loro, stimolano, nel tempo, un sensibile
aumento dei consumi, a lungo rimasti a livello di semplice sussistenza per
gran parte della popolazione. L’affermarsi dell’industria moderna, poi,
modifica sensibilmente i rapporti fra produzione e mercato: mentre in
presenza di un’economia artigianale - in cui i vari operatori producono e
vendono direttamente nelle loro botteghe i propri prodotti - esiste la
massima integrazione tra produzione e vendita, in un’economia di tipo
industriale gli assortimenti e le quantità delle produzioni realizzate sono tali
che occorre disporre di un’apposita organizzazione per collocare sul
tema, anche La genesi dell’economia di mercato, Milano, Giuffrè, 1950, rist. 1987, in
specie i capp. 1 e 2).
3 Il punto è ben sviluppato da R.A. Fullerton, "Modern Western Marketing as a Historical
Phenomenon: Theory and Illustration", in T. Nevett e R.A. Fullerton (eds.), Historical
Perspective in Marketing. Essays in Honor of Stanley Hollander, Lexington Books,
Lexington (Mass.), 1988, pp. 71-9. Cfr. anche S. Hollander, "The Marketing Concept: a
déjà vu", in G. Fisk (ed.), Marketing management Technology as a Social Process, New
York, Praeger, 1986.
8
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
mercato i manufatti realizzati. Lo sviluppo industriale e la progressiva
affermazione della grande impresa, infine, comportano un mutamento delle
logiche competitive, aumentando il grado d’interdipendenza fra imprese e
favorendo - nel tempo – l’utilizzo di strumenti concorrenziali diversi dal
prezzo.4
In estrema sintesi, è sufficiente ricordare che, a séguito della
rivoluzione industriale, la situazione economica dei paesi più avanzati passa
- in un volgere di anni più o meno lungo - da situazioni di diffusa scarsità di
beni di consumo a situazioni di relativa saturazione o, addirittura, a
fenomeni di impossibilità, da parte della domanda, di assorbire - in un
numero crescente di settori merceologici - tutti i beni che l’aumentata
capacità produttiva rende man mano disponibili.
In relazione a questa situazione, il rapporto impresa-mercato tradizionalmente fondato sulla preponderanza del momento produttivo - si
trasforma progressivamente: l’impresa, infatti, non più in grado di contare
sulla spontanea capacità di assorbimento da parte del mercato, procede allo
sviluppo di metodi e politiche - il marketing, appunto - atti a potenziare la
possibilità d’influenzare o, comunque, controllare il mercato.
Nelle fasi storiche immediatamente successive alla rivoluzione
industriale e fino ai primi anni del nostro secolo, il marketing rimane però a
uno stadio alquanto embrionale, che non corrisponde al significato che
ormai gli viene correntemente attribuito nella dottrina e nella pratica
aziendale. L’allargamento dei mercati di consumo conseguente alla
rivoluzione industriale si manifesta infatti in un primo tempo in misura
superiore rispetto all'aumento della produzione, sicché la quantità di
prodotti offerta rimane a lungo insufficiente a soddisfare appieno la
domanda. E' evidente che, in queste condizioni, gli operatori economici non
possano che indirizzare la loro attenzione e i loro sforzi verso il problema
più urgente: l’incremento della produzione. Ciò non significa, ovviamente,
che le attività di marketing (lato sensu intese) non abbiano alcun rilievo o,
addirittura, non esistano; ma semplicemente che esse non sono quelle più
critiche. In particolare, l’impresa industriale non avverte la necessità di
interessarsi direttamente del consumatore: le sue funzioni, i suoi compiti, si
esauriscono nel realizzare i prodotti e consegnarli all’intermediario,
grossista o dettagliante che sia.
Esiste, pertanto, una separazione piuttosto netta fra le funzioni
produttive (svolte dalle imprese manifatturiere) e quelle d’intermediazione
4 I temi qui adombrati sono trattati da una vasta letteratura. Per limitarci agli Autori italiani,
si possono consultare: R. Fazzi, La produzione di massa, Firenze, Coppini, 1958; O.
Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, Milano, Giuffrè, 1963; R. Varaldo,
Aspetti della politica di marketing nelle aziende industriali, Pisa, Cursi, 1969; W.G. Scott,
"Lo sviluppo teorico del marketing", in L. Guatri e W.G. Scott (a cura di), Manuale di
marketing, Milano, Isedi, 1976, 2^ ed., pp. 115-21; S. Podestà, “Nuovi sviluppi del
marketing”, in Aidea, Il marketing dei servizi, Milano, Giuffrè, 1982, pp. 9-10.
9
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
commerciale (svolte dalle imprese mercantili). Il maggior potere di mercato
spetta agli intermediari commerciali (in particolare alle imprese grossiste), i
quali - in genere - indicano ai produttori industriali quali beni porre in
lavorazione, pre-finanziano i processi produttivi, fronteggiando i rischi
commerciali attraverso la predisposizione di assortimenti molto ampi e
modificandoli in funzione dell'evoluzione della domanda.
In questa situazione, sono i consumatori che vanno alla ricerca dei
beni e, quindi, di coloro che li producono o li distribuiscono e non
viceversa; fatto - questo - che spiega perché l'impresa non avverta il bisogno
di studiare le caratteristiche e le esigenze della domanda, ma finisca con
l’adeguarsi passivamente alle esigenze del mercato (espresso dagli
intermediari), competendo quasi esclusivamente attraverso le politiche del
prezzo e dell’assortimento.5
Per quanto in particolare riguarda il nostro Paese, la situazione qui
ricordata si riflette sull'impostazione degli studi ‘tecnico-commerciali’, i
quali concentrano il proprio interesse sull'attività mercantile, sui processi
distributivi, disinteressandosi dell'attività svolta dall'impresa industriale
vista quale mero fatto ‘ingegneristico’. Saranno questi studi, però, a
rappresentare il corpo naturale in cui s'inserirà - "in sovrapposizione o ad
integrazione"6 - la moderna teorica del marketing.
Anche negli Stati Uniti, del resto, il fatto che, nei vari mercati, esista
comunque, agli inizi del secolo, una domanda vivace focalizza l'attenzione
soprattutto sulle problematiche di carattere distributivo. Si comprende così
perché, nella letteratura americana d'inizio secolo, distribution e marketing
abbiano, sostanzialmente, il medesimo significato. Questa interpretazione ha
dominato a lungo il pensiero degli studiosi (non solo di quelli statunitensi),
cosicché non sono stati pochi coloro che hanno pensato al marketing
semplicemente come a un sinonimo dell'attività di vendita, non riuscendo in
tal modo a rendersi conto per quali motivi impiegare un termine nuovo per
un'attività che, di fatto, esiste da secoli.7 Basti ricordare, del resto, che,
ancora negli anni settanta, la definizione di marketing proposta
5 Cfr. B. Di Bernardo e E. Rullani, Il management e le macchine. Teoria evolutiva
dell'impresa industriale, Bologna, il Mulino, 1990, p. 400 e pp. 410-11.
6 Le parole fra virgolette sono di C. Fabrizi, Tecniche e politiche di vendita. Elementi di
marketing, Padova, Cedam, 1967, 2^ ed., p. 10.
7 Si veda, ad esempio, il polemico scritto di A. Chianale, "Il marketing italiano", Rivista
italiana di ragioneria, nn. 5-6, p.105, il quale così scrive: “Scritti su tale materia (n.d.a. il
marketing) erano già noti in Italia or fa quasi trent’anni, sebbene i nostri studiosi non vi
abbiano dato rilievo, assorti com’erano, in quell’epoca , a nobilitare il prosaico ‘Banco
modello’ rivestendolo di abiti degni di comparire nelle scientifiche assise. Era quindi
evidente che dissertare ‘sul vendere’, sull’arte del vendere o sullo smercio dei prodotti
paresse quasi, a cultori che ansimavano verso le vette della scienza, ritombolare verso i
bassifondi della ‘mercatura’, di quella mercatura sempre tenuta a vile dai popoli latini mai
immemori della legge Flaminia che dichiarava plebea la professione del mercante
vietandone l’esercizio ai patrizi”.
10
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
dall'American Marketing Association faceva riferimento al complesso di
attività che dirigono "the flow of goods and services from producers to
consumers and business users". In questi termini, esso non è qualcosa di
distinto dalle attività tipiche del commercio, vale a dire dalle funzioni svolte
dopo che sia stata effettuata la produzione e che riguardano essenzialmente
gli stadi successivi dell'ingrosso e del dettaglio.
Nelle prossime pagine tratteggeremo pertanto un breve quadro
dell'evoluzione avvenuta negli studi 'tecnico-commercali' italiani,
evoluzione che crediamo permetta di meglio comprendere le radici di quegli
elementi di originalità che caratterizzano - rispetto per esempio
all'impostazione statunitense - gli studi di marketing sviluppati in Italia.
3. Le antiche trattazioni
Nel percorso evolutivo delle dottrine economico-aziendali, è
possibile individuare un periodo iniziale - che si estende all'incirca dalle
‘origini’8 fin verso la fine del secolo XIX - dominato da trattazioni
d'ispirazione ‘empirica’, non condotte per scopi di ricerca scientifica e di
conoscenza teorica, bensì per fini esclusivamente professionali e
precettistici; si tratta, cioè, di opere che descrivono - solitamente per il
mezzo di esempi - i procedimenti tecnici espressi dalla 'pratica
commerciale'.9
Tali trattazioni riguardano o l’arte di tenere i conti o i precetti
giudicati utili per l’esercizio pratico dell’attività mercantile. Per quanto, in
particolare, riguarda questo secondo genere di opere, esse si occupano del
commercio, colto negli aspetti degli istituti tipici e delle operazioni
caratteristiche. Le origini più lontane di questi lavori si possono far risalire
alle raccolte di “notizie” redatte nel periodo medioevale in merito allo
svolgimento dei traffici mercantili. Com'è noto, quei secoli segnano l'inizio
di una nuova ‘era di vita’, nella quale - a séguito di una serie di fattori, tra
8
A proposito di tali ‘origini’, si veda P. Onida, Le discipline economico-aziendali: Oggetto
e metodo, Milano, Giuffrè, 1951, 2^ ed., p. 3.
9 Osserva giustamente C. Vallini Fondamenti di governo e di direzione d'impresa. Fasc. I:
L'impresa reale e la sua teleologia, Torino, Giappichelli, 1990, p. 16, che "Le prime
osservazioni dottrinali specificamente rivolte all'impresa presentavano, tutte, natura tecnica,
si trattasse di tecniche della produzione, di tecniche dei negozi o di tecniche di rilevazione
contabile". Anche le discipline aziendali - "come la generalità delle scienze" - sono nate
dunque sotto forma di arte (G. Dell’Amore, "Attuali orientamenti negli studi di tecnica
commerciale", Estratto dal Bollettino dell'Associazione P. Lanzoni, anno XL, n. 128,
Venezia, Tipografia Emiliana, 1939, p. 3), termine che è qui da intendersi nel senso
aristotelico di pura attività pratica. Come infatti rilevano G. Panati e G. Golinelli, Tecnica
economica industriale e commerciale, Roma, N.I.S., 1988, p. 221: "Tecnica è termine
greco, in tutto equivalente all'arte dei latini; termini che significavano entrambi 'arte
lavorativa', artificio, destrezza, abilità (grosso modo quello che gli anglosassoni intendono
con skills: dunque 'saper e fare bene', utilizzare praticamente un know how ...").
11
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
cui l'indipendenza dei Comuni italiani, la rivalorizzazione del Mediterraneo,
lo sviluppo socio-demografico - anche l'economia surmoltiplica i suoi
andamenti: i traffici e i commerci aumentano notevolmente, l'economia
monetaria trionfa, il credito si diffonde, vengono alla ribalta la cambiale e
gli altri titoli di pagamento, le imprese industriali, bancarie e mercantili si
moltiplicano, le fiere attraggono folle di mercanti e di banchieri, le vie di
comunicazione sono rese più agevoli e sicure, il commercio internazionale
si sviluppa.
A séguito di tutto questo rigoglìo economico, si manifesta sempre
più la necessità di migliorare ed estendere l'impiego delle scritture contabili;
di formulare e diffondere procedimenti e regole per i calcoli, le misurazioni
e le valutazioni; di elaborare norme da seguire nell'esercizio dell'attività
mercantile e bancaria: da qui lo sviluppo delle registrazioni (si ricordi che il
XIII secolo rappresenta l'epoca cui si fanno risalire le origini della Partita
Doppia) e l'apparizione dei primi trattati di computisteria e dei primi
manuali di ‘pratica commerciale’. Per quanto riguarda questi ultimi, l'opera
italiana più antica di cui si ha notizia e che tratta diffusamente l'argomento
con una certa sistematicità è la Pratica della mercatura, compilata (fra il
1335 e il 1345) dal fiorentino Francesco di Balducci Pegolotti. Al secolo
successivo appartengono l'omonima Pratica della mercatura di Giovanni da
Uzzano (1442), Della mercatura e del mercante perfetto di Benedetto
Cotrugli (scritto nel 1458, ma pubblicato solo nel 1573), El libro de
mercantie et usanze dei paesi di Giorgio di Lorenzo Chiarini (1481).
Nel complesso, queste opere si possono comprendere - per dirla con
V. Alfieri 10 - "nella vasta classe dei libri di regole, di quei libri, un tempo
numerosi e apprezzati, che riguardavano specialmente il modo di governarsi
nella vita e le arti. Nessuna pretensione scientifica in essi. Norme, massime,
precetti; qua e là soltanto qualche fiore rettorico, qualche citazione
pedantesca, qualche sentenza morale." Per esempio, l'opera del Cotrugli,
indubbiamente la più nota fra quelle sin qui menzionate (tradotta anche in
francese nel 1582), tratta sì della compravendita, delle modalità di
riscossione e pagamento, dei cambi, delle scritture contabili, ma anche delle
"cose proibite" al mercante, della religione, della dignità, dell'abitazione del
mercante e perfino dell'abbigliamento e degli ornamenti della di lui moglie!
Alcuni storici hanno rilevato un'analogia di intendimenti fra questi
lavori e i cosiddetti ‘Portolani’, i quali - in quell'epoca assai diffusi offrivano dettagliate informazioni in ordine alle caratteristiche delle località
portuali ove più si concentrava il commercio marittimo e su talune
condizioni geografiche che potevano interessare ai fini della navigazione.
10 V. Alfieri, "Le regole, le classificazioni ed i concetti filosofici nelle opere italiane di
ragioneria", Rivista italiana di ragioneria, n. 3, 1918, p. 59. Su questo Autore si può
vedere il saggio di L. Serra, “Benedetto Cotrugli e la sua opera”, Rivista Italiana di
Ragioneria e di Economia Aziendale, nn.3-4, 1989, pp. 179 e ss.
12
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
Anche i ‘manuali di mercatura’, infatti, riassumevano le cognizioni che una
lunga pratica commerciale aveva fornito ai loro autori circa le piazze in cui
si contrattavano le varie merci, i procedimenti mercantili più diffusi, i pesi e
le misure adottati nell'espressione delle quantità negoziate, le monete nelle
quali venivano espressi i prezzi, gli oneri fiscali e gli altri costi connessi al
trasferimento delle partite di merci nello spazio. L'utilità che questi manuali
- veri e propri vade mecum del mercante, li definisce il Melis - recavano alla
gestione delle aziende commerciali doveva essere certamente elevata in
un'epoca in cui la cultura economica era patrimonio di una cerchia
ristrettissima di persone: sembra pertanto fondata l'ipotesi che ciascuna
compagnia mercantile di qualche importanza disponesse di un manuale di
questo tipo.11
Dopo quelle del Cotrugli e del Chiarini, per un lunghissimo torno di
anni non si segnalano pubblicazioni particolarmente rilevanti, almeno fino
al 1638 allorché viene data alle stampe l'opera di Giovanni Domenico Peri,
dal titolo: Il negotiante. Si tratta di un'opera vasta, che compendia numerose
cognizioni utili per il commerciante: dall'aritmetica alla contabilità, dalle
informazioni sul commercio e sulle piazze commerciali a quelle,
prevalentemente di carattere giuridico, relative alle operazioni di
compravendita, alle forme di pagamento, al credito (prestiti, depositi, conti
correnti, cambiali ecc.), alle assicurazioni e persino alla corrispondenza
commerciale.
Il genere di opere in discorso si moltiplica nei secoli XVI e XVII, in
relazione anche all'affermarsi del mercantilismo. Si tratta, com'è noto, di
una dottrina economica 'nazionalista', mirante a promuovere, con
l'intervento dello Stato, le industrie e il commercio nazionali, sviluppando
particolarmente le esportazioni di prodotti finiti e limitando le importazioni
alle materie prime indispensabili.12 La politica mercantilista implica una
regolamentazione dell'attività commerciale, che indubbiamente intralcia il
11
L'ipotesi cui si fa riferimento nel testo è avanzata da F. Sapori, "La cultura del mercante
medioevale italiano", Studi di storia economica medioevale, Firenze, Sansoni, 1946, 2^ ed.
Per un inquadramento del tema, si veda anche il sempre mirabile F. Melis, Aspetti della vita
economica medievale, Siena, Monte dei Paschi, 1962. La citazione del Melis si riferisce
però a Storia della ragioneria, Bologna, Zuffi, 1950, p. 384. Una ricostruzione storica del
processo formativo degli studi tecnico-commerciali si può leggere in P. Rigobon, Studii
antichi e moderni intorno alla tecnica dei commerci, Discorso inaugurale dell'a.a. 19101902 nella R. Scuola superiore di commercio di Bari, Bari, Tipografia Avellino, 1902.
12 “Il commercio – scrive Jean Baptiste Colbert – è la sorgente delle finanze, e le finanze
sono il nerbo della guerra”. In queste poche parole si può cogliere l’essenza della politica
mercantilistica: il fine dello Stato è l’accrescimento della propria potenza e il mezzo è la
forza militare. Ma le guerre sono costose: da qui il ruolo-chiave della finanza, a sua volta
alimentata dalla crescita della ricchezza nazionale ottenuta con l’intensificazione della
produzione e degli scambi, soprattutto con l’estero. Cfr., per es., F. Braudel, Civiltà
materiale, economia e capitalismo, vol. II: I giochi dello scambio, Torino, Einaudi, 1981,
pp. 549-554 (ove ampi riferimenti bibliografici).
13
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
libero svolgersi dei traffici e richiede, d'altro canto, in chi si dedica al
commercio, una serie di cognizioni giuridiche e fiscali, oltreché tecniche.
Da qui un'ulteriore fioritura dei manuali di pratica commerciale, in cui
s’impartiscono al commerciante nozioni e precetti da seguire affinché la sua
attività risulti il più possibile redditizia. Opera di questo genere è quella di
Jacques Savary (padre), consigliere commerciale di Colbert, potente
ministro della Finanze del Re Sole, pubblicata a Parigi nel 1675 con il titolo
Le parfait négotiant ou instruction générale pour ce qui regarde le
commerce de toute sorte de merchandises. Tale pubblicazione, tradotta in
italiano e in altre lingue, ha dato l'avvìo a una serie di libri ad essa ispirati, i
quali possono considerarsi come manuali di arte commerciale. Tra questi, si
può ricordare l'opera di A. Nazari, Il mercante, pubblicata a Brescia nel
1685.
Come rileva Onida, queste opere, sottoforma di trattazioni più o
meno sistematiche o di enciclopedie commerciali, contribuiscono,
unitamente agli scritti di aritmetica commerciale e di contabilità, a costituire
quel complesso di materie che, nei paesi di lingua tedesca, vengono
denominate Handelswissenschaften. Tali opere, specie le enciclopedie,
trattano di tutto quanto poteva riguardare il commercio, ivi comprese le
nozioni di scienze naturali, di merceologia, di geografia, di storia
economica, di politica commerciale e così via. Esse tendono cioè a delineare
un sistema di scienze del commercio.
L'epoca delle trattazioni sistematiche di questa materia si ritiene sia
iniziata in Germania, 13 nella seconda metà del secolo XVIII, con l'opera di
Carl Gunter Ludovici (professore all'Università di Lipsia): Eroffnete
Akademie der Kaufleute oder Vallstandiges kaufmanns-Lexikon (1752-56).
Si tratta, appunto, di un'enciclopedia, nella quale le scienze riguardanti il
commercio sono distinte in "principali" e in "ausiliarie". Costituisce oggetto
delle prime la conoscenza delle merci, del commercio, dei suoi istituti, delle
sue operazioni, delle piazze commerciali, delle monete, delle misure, della
contabilità. Fra le discipline ausiliarie si collocano, invece, la politica
commerciale, la storia del commercio ed altre. L'animus della trattazione di
Ludovici non differisce, però, da quello di Savary: come nel Parfait
négotiant, anche qui non si tratta che di un'ordinata serie di regole e di
precetti, un'arte commerciale, appunto. Anche l'Autore tedesco, come quello
francese, "è lontano dal considerare le cose sotto un aspetto teorico, dal
volere ricondurre quanto è empiricamente noto a princìpi generali e a leggi
di carattere scientifico".
Un intento diverso si rinviene, invece, nell'opera di Johann Michael
Leuchs (commerciante ed editore norimberghese), System des Handels,
13
Cfr. P.E. Cassandro, "Disegno storico delle dottrine economico-aziendali tedesche",
Rivista italiana di ragioneria, n. 4, 1937, da cui è tratto il giudizio sull'opera del Ludovici,
riportato fra virgolette nel testo in chiusura del capoverso.
14
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
comparsa in prima edizione nel 1804, opera che prelude - tenuto conto del
tempo - alle trattazioni della Betriebswirtschaftslehre. Si trova in essa una
trattazione (anche se solo sommariamente teoretica) dei mezzi di scambio,
della determinazione del valore, della tecnica del commercio e persino un
tentativo di teoria della probabilità dei fenomeni commerciali. Un'altra
opera molto diffusa, edita nel 1823, è quella del Sonnleither,
Handelswissenschaft, tradotta in italiano nel 1844.
Tipicamente rappresentativo di tale genere di opere è, in Italia, il
Trattato generale del commercio del Garello, nel quale l'Autore indirizza le
proprie informazioni "alla gioventù che intraprende la carriera mercantile",
pubblicato per la prima volta nel 1844 e la cui ultima edizione risale al
1863.
Tutte le pubblicazioni sin qui ricordate s’ispirano, dunque, al più
schietto empirismo, non fondato su metodiche ricerche scientifiche, benché
nelle opere migliori, come in quella del Leuchs, le operazioni commerciali
vengano considerate anche sotto il profilo econonomico-aziendale,
enunciando qualche norma, sia pure empirica, di gestione.
Abbiamo sin qui circoscritto la nostra attenzione alle opere relative
alla ‘pratica del commercio’; non è da credere, comunque, che i paralleli e
talvolta congiunti contributi relativi all'arte di 'tenere i conti' fossero
teoricamente molto più evoluti.
Verso la seconda metà del XIX secolo, però, gli studi "economicoamministrativi" sembrano intraprendere con Francesco Villa (1801-1884) la strada della sistemazione teorica. Nella prefazione della sua opera
maggiore - Elementi di amministrazione e contabilità14 - l'Autore afferma
infatti esplicitamente che la materia della quale intende trattare non
concerne solamente i calcoli relativi alle operazioni aziendali e la tenuta dei
registri contabili, ma anche i princìpi teorico-pratici che debbono guidare
l'amministrazione delle varie categorie di aziende. Anche se "è difficile
sostenere che il Villa abbia avuto un'idea sia pure approssimativa della unità
economica della vita aziendale",15 egli offre una prima, benché sommaria,
trattazione dei problemi economici della gestione aziendale. Si pensi che
l'Autore, prefiggendosi di fornire "cognizioni economico-amministrative",
anziché limitarsi ad esporre in dettaglio - secondo l'uso dell'epoca - la
casistica delle varie strutture di negoziazione commerciale tratteggia i
caratteri della gestione manifatturiera, agricola, commerciale e delinea
alcuni criteri gestionali utili ai fini del governo dell'impresa. Si rinvengono
cenni in merito ai criteri d'investimento e di organizzazione industriale, sulle
politiche di prezzo e di promozione delle vendite e anche qualche
14
Edita a Pavia, da Bizzoni, nel 1850.
Le parole sono di E. Giannessi, I precursori in economia aziendale, Milano, Giuffrè,
1980, 4^ ed., p. 26.
15
15
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
considerazione sui processi formativi delle scorte, nonché sulle relazioni
intercorrenti fra dimensioni aziendali e strutture organizzative.16
Le linee intraviste dal Villa, da alcuni ritenuto il vero precursore
dell'economia aziendale,17 sono però sostanzialmente ignorate dagli scrittori
di 'pratica commerciale' operanti sul finire del secolo XIX. Il loro obiettivo
continua ad essere soltanto quello di illustrare le principali nozioni sulle
istituzioni commerciali e sulle operazioni mercantili, ricorrendo anche alla
simulazione di 'affari reali'. 18
A questo genere di opere corrisponde, nelle da poco istituite Regie
Scuole superiori di commercio,19 un particolare insegnamento denominato
Banco modello, termine che traduce letteralmente quello di Musterkontor,
usato allora per un analogo insegnamento impartito nelle
Handelshochschulen tedesche.
Più precisamente e per usare le parole di Piero Rigobon, uno dei più
noti docenti: il Banco modello tendeva a "far praticamente conoscere ai
16
R. Fazzi "Formazione storica e prospettive degli studi sui comportamenti
imprenditoriali", in AA.VV., Studi di Tecnica Economica Organizzazione e ragioneria.
Scritti in memoria del prof. Gaetano Corsani, Pisa, Cursi, 1966, p. 329.
17 Questa è l'opinione di P. Onida, Le discipline economico-aziendali. op. cit., pp. 16-22;
192-3. Grande rilievo all'opera del Villa annette anche R. Fazzi, op. ult. cit.., p. 327-30. Si
vedano tuttavia anche le osservazioni, più critiche, di E. Giannessi, op. cit., p. 27. Per un
compiuto esame dell'opera del Villa si rinvia allo studio di R. Ferraris Francheschi, Aspetti
evolutivi della dottrina economico-aziendale: Francesco Villa, Pisa, Cursi, 1970.
18 Cfr. P. Rigobon, Alcune osservazioni sul Banco Modello nella Scuola Superiore di
Commercio di Bari, op. cit., p. 7.
19 Tali Scuole sono le progenitrici della attuali Facoltà di Economia. La prima di tali
scuole istituita in Italia fu quella di Venezia (1866), il cui statuto fu modellato sulla base di
quello della scuola di Anversa (istituita nel 1853). La scuola veneziana, la cui direzione
venne affidata all’economista F. Ferrara, si articolava in tre sezioni: quella commerciale,
quella magistrale (volta a preparare i docenti per gli istituti tecnici, da pochi anni affiancati
ai licei nell’ordinamento dell’istruzione secondaria), che rimase per molti anni l’unica in
Italia, e quella consolare (che preparava alla carriera diplomatica). I corsi duravano tre
anni. Sulla scia di quella veneziana, altre scuole sorgono successivamente per far fronte alle
crescenti necessità della vita economica, tant’è che nel 1906 si possono contare, oltre a
quella veneta, la Scuola di Genova (1884), di Bari (1873, la cui direzione venne affidata
all’allora giovanissimo M. Pantaleoni), di Milano (Università “L. Bocconi”, 1902), di
Torino e Roma (1906). Quella di Venezia fu non solo la prima scuola italiana, ma una delle
prime nel mondo, precedendo quelle di Lipsia (1898), Colonia (1901), Francoforte sul
Meno (1901), Berlino (1906), Vienna (1898), Londra (1893), Birmingham (1900), S. Gallo
(1905). Fu però solo con il R.D. 15 luglio 1906 che, in Italia, venne concesso il titolo di
“dottore” ai laureati di tali scuole. Qualche notizia su queste istituzioni si può leggere in T.
Antoni, Fabio Besta. Contributo alla conoscenza degli studio aziendali, Pisa, Cursi, 1970,
pp. 12-3; L. Dal Pane, “Le origini dell’Istituto superiore di scienze economiche e
commerciali di Bari”, in AA.VV., Scritti in onore di G. Dell’Amore. Saggi di discipline
aziendali e sociali, vol. I, Milano, Giuffrè, 1969, pp. 268-81; E. Resti, Ferdinando
Bocconi. Dai grandi magazzini all’università, Milano, Egea, 1990, pp. 87-106; da ultimo,
più ampiamente, AA.VV., Storia di una libera università, Milano, Egea, 1992, vol. I.
16
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
giovani come si iniziano, si svolgono, si liquidano le diverse operazioni di
commercio e di banca; come l'una con l'altra si completino e quali siano gli
usi che le regolano, e si propone inoltre di esercitarli nella corrispondenza,
nei calcoli, nei documenti e nelle registrature che dalle operazioni
derivano"20.
E, sulla stessa linea, aggiunge Ferruccio Cevasco: "il Banco
Modello comprende una serie di cognizioni, di norme e d'insegnamenti
pratici, principalmente d'indole economico-giuridica, la cui ordinata
conoscenza è necessaria è necessaria per completare l'educazione
commerciale e per l'esercizio del commercio. Dicendo: che l'ordinata
conoscenza di quelle norme è necessaria all'esercizio intelligente del
commercio, non vuolsi già affermare che tutti i commercianti colti e
intelligenti abbiano appreso alla scuola di banco; ma che quelle cognizioni
da essi acquisite colla lunga esperienza, formano materia del banco
Modello, il quale appunto dalla pratica trae la parte più viva ed efficace".21
I corsi di Banco Modello non avevano dunque alcuna pretesa
scientifica, cercavano solo di riprodurre in aula lo svolgimento delle
20
P. Rigobon, Alcune considerazioni sul Banco Modello nella R. Scuola Superiore di
Commercio di Bari, op. cit., p. 5. Si tratta, come nel caso del Cevasco, della relazione
presentata al Congresso internazionale per l'insegnamento commerciale tenuto a Venezia
nel maggio 1899. . Rigobon (1868-1955) fu titolare della cattedra di Banco Modello prima
nella R. Scuola di commercio di Bari e poi in quella di Venezia, ove fu stretto collaboratore
del Besta, collaborando con V. Alfieri e C. Ghidiglia all'editio maior de La ragioneria
(Milano, Vallardi, 1922, 3 voll.). Tra le sue pubblicazioni, prevalentemente di carattere
storico-contabile (cfr., per es., "Alcuni appunti storico-bibliografici intorno alla partita
doppia sintetica applicata alle aziende mercantili" nelle Monografie edite in onore di Fabio
Besta nel XL anniversario del Suo insegnamento, Roma, Tipografia nazionale di C. Bertero
& Co., 1912, pp. 657-82), possiamo ricordare i poco conosciuti: Sul commercio degli oli di
tavola e Sul commercio degli zolfi, entrambi editi a Venezia da Draghi nel 1894; Tecnica
dei commerci, Padova, La Litotipo, 1920. Qualche notizia sull'Autore si può leggere in E.
Giannessi, I precusori in economia aziendale, op. cit., pp. 186-91.
21
F. Cevasco, L'insegnamento del Banco Modello. Considerazioni. Genova, Stabilimento
Tipografico L.A: Campodonico, 1899, p. 8, il quale così preosegue: “Il Banco Modello ha
un contenuto proprio; un insieme di principi, desunti dall’esperienza e che, ordinati ed
insegnati con mira speciale alle pratiche applicazioni, costituiscono una vera arte, che
potrebbe anche dirsi l’arte degli affari. Esso attinge anche verità e ammaestramenti
principalmente alle discipline economico-giuridiche, ma coordina e armonizza il tutto con
le esigenze della pratica, dell’ambiente, degli usi e delle consuetudini, ed è appunto perché
di tali principi insegna gli effetti pratici e la loro valutazione nei calcoli mercantili, che può
dirsi con ragione costituire il Banco Modello, una serie ordinata di principi facenti parte a
sé, e tendenti a uno scopo determinato: l’arte di ben condurre le operazioni commerciali”.
La medesima impostazione è ribadita dall'Autore in Per una definizione del Banco modello,
Como, Tipografia editrice Ostinelli, 1906. Sul tema si può consultare anche F. Besta, E.
Castelnuovo, Sull’ordinamento del Banco Modello, Memoria presentata al Secondo
Congresso degli Istituti industriali e commerciali italiani, Torino, Baravalle e Falconieri,
1902.
17
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
operazioni bancarie e mercantili, con procedure sovente semplicistiche,22
come confermano le seguenti parole di Nicola Garrone (infra), riferite alla
visita da egli stesso compiuta nel 1906 all'Istituto superiore di scienze
economiche e commerciali23 di Roma appena istituito: “(l)’aula di banco
occupava un salone (del) palazzo. Nel mezzo di tale salone era stato
costruito un tramezzo di legno, con uno sportello. Si erano fatti stampare
valanghe di moduli di cambiali, assegni, registri, che gli allievi dovevano
esercitarsi a riempire, e, tra l’altro si erano stampati dei fac-simile di
biglietti di banca (...): un allievo stava nel salone di qua dallo sportello, ed
un altro di là, e tutti e due operavano scambiandosi fra loro i biglietti.”24
E’ agevole dedurre, da tali parole, quale potesse essere il livello
scientifico dei corsi di Banco modello impartiti nelle scuole di commercio.
L'istituzione di tali scuole segna tuttavia una tappa importante nel processo
evolutivo degli studi economico-aziendali, poiché è solo dopo la fondazione
delle Handelshochschulen che si può incominciare a parlare di una
‘dottrina’ che studia l'economia delle aziende. In effetti, sono proprio alcuni
studiosi maturati in tali scuole a proporsi di reagire contro l'accennato stato
di diffuso empirismo, cercando di dar vita a un corpus di princìpi e di norme
idonei a offrire un quadro logico delle molteplici operazioni mercantili e
bancarie, considerate nella loro esplicazione concreta, nei loro fondamenti
economici e giuridici, nelle loro interrelazioni e nelle loro finalità.
Tali studiosi daranno vita all'indirizzo cosiddetto “descrittivonegoziale,25 sul quale ci si soffermerà nel prossimo paragrafo, la cui
progressiva affermazione valse ad abolire, nel 1913, il tradizionale
insegnamento di Banco modello e a introdurre (su indicazione di Nicola
22
Ciò è evidentemente conseguenza del carattere di ‘arte’ attribuito alle discipline
aziendali (cfr. nota 9). Scriveva, per esempio, K. Von Clausewitz: "come parecchie piante
portano frutti solo quando non vengono su troppo alte nel loro fusto, così, nelle arti
pratiche, le foglie e i frutti teoretici non devono essere spinti troppo in alto, ma tenuti
prossimi all'esperienza che è il loro terreno". La questione pone evidentemente il tema del
rapporto fra teoria e pratica, su cui esiste un'ampia letteratura, ma rispetto al quale ci
sembra possa ancora rivelarsi proficua la lettura di B. Croce, “Azione, successo e giudizio.
Note in margine al ‘Vom Kriege’ del Clausewitz”, in Ultimi saggi, Bari, Laterza, 1948, 2^
ed., pp. 266-79, da cui è tratta (p. 272) la citazione dello stratega tedesco.
23
Le Scuole superiori di commercio non si trasformano direttamente in facoltà
universitaria, ma in Istituti superiori di scienze economiche e commerciali, i quali
preludono al passaggio in questione avvenuto con la riforma universitaria del 1906. Anche
gli insegnamenti si adeguano a quelli da maggior tempo impartiti nelle università,
assumendo un carattere più teorico e accademico.
24 Le parole qui riprodotte sono tratte da una lettera inviata nel 1957 a Giordano
Dell'Amore e citata in P. E. Cassandro, "Ricordo di Nicola Garrone", Discorso tenuto in
occasione della celebrazione del centenario della nascita per iniziativa dell'Associazione
laureati in Economia e Commercio dell'Università di Bari, in Rivista bancaria, n. 3, 1977.
25 La denominazione è di R. Fazzi, "Formazione storica e prospettive degli studi sui
comportamenti imprenditoriali", op. cit., p. 333.
18
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
Garrone) quello di Tecnica commerciale (intesa quale tecnica dei negozi, o per usare un'espressione della dottrina tedesca - Verkehrslehre), ripartita
nelle due branche della Tecnica mercantile e della Tecnica bancaria.
4. L'indirizzo descrittivo-negoziale: gli studi di Tecnica mercantile
L’indirizzo che ci si accinge a esaminare in questo paragrafo ha
operato in Italia nei primi decenni del nostro secolo. In tale periodo, lo
studioso di maggiore importanza, per il tema che qui s'indaga, è certamente
Fabio Besta (1845-1922), il quale - com'è ben noto - ha offerto un
contributo massimo all'avanzamento scientifico degli studi di ragioneria. La
dottrina bestana, in realtà, ha permeato di sé - per la propria vis teoretica non solo gli studi di tale disciplina (della quale il Besta aveva assunto
l'insegnamento a Ca’ Foscari nel dicembre del 1872), ma tutto il pensiero
economico-aziendale italiano. Crediamo sia infatti da ascrivere alla
profonda - benché all'inizio lenta e contrastata26 - influenza esercitata dal
pensiero dell'Autore se gli studi di 'tecnica' condotti in questo periodo, e che
si raccolgono nell'indirizzo in esame, non includono nel proprio campo
d'indagine l'esame dei fatti di gestione, se non nella loro esteriorità. Tali fatti
sono dati per noti o perché non destano interesse nei cultori di tecnica
commerciale o, molto più probabilmente, perché essi non vi rinvengono
quelle generalizzazioni ritenute necessarie a uno studio 'scientifico'.
Cionondimeno, si parla di indirizzo descrittivo-negoziale giacché, anche se
tali autori non si discostano, dal punto di vista scientifico, dalle posizioni
dei cultori di Banco modello, essi procedono però - nell'alveo teorico della
dottrina bestana - a un significativo riordinamento espositivo e didattico
degli argomenti trattati.
Non condividendo le posizioni idealistiche assunte da molti studiosi
del tempo - fra i quali, per quanto qui rileva, anche il Cerboni (1827-1917)27
26
Intendiamo riferirci alla polemica con il Cerboni e con i suoi discepoli, primo fra tutti
Giovanni Rossi (1846-1921), esplosa clamorosamente il 5 ottobre 1879 in occasione del “I
Congresso dei Ragionieri” convocato per il voto contrario all’applicazione della
logismografia alla contabilità di stato emesso dall’Accademia di ragioneria (l’attuale
AIDEA). Per rendersi conto dell’asprezza, oggi inusuale, di tale conflitto, si può vedere,
per esempio V. Masi, “Il conflitto fra Orazi e Curiazi al Congresso dei Ragionieri del
1879”, in Rivista italiana di Ragioneria, nn.12-13, 1923. Un anno dopo tale congresso,
“certo suggestionato dalle teorie cerboniane, il Besta volle definire l’indirizzo della sua
Scuola approfittando della Prolusione letta all’inizio dell’anno accademico 1880-81 a Ca’
Foscari”, nella quale intese precisare l’oggetto, i confini, il metodo di studio della
ragioneria (cfr. T. Antoni, Fabio Besta, op. cit., p. 73). Si tratta di una prolusione di
notevole ampiezza (80 pagine) originariamente edita dalla Tipografia dell’Istituto Coletti,
Venezia, 1880 e riedita in ristampa anastatica da Cacucci, Bari, 1987.
27 Un'analisi dell'influenza esercitata dall'idealismo, indirizzo filosofico dominante in Italia
nei primi decenni dell'Ottocento, sul pensiero del Cerboni è compiuta da V. Antonelli,
“L'evoluzione degli studi funzionali nella dottrina economico-aziendale: alcune
19
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
- Besta sostiene una concezione positivista della scienza, ripudiando quanto
trascende l'osservazione, quanto non può essere sottoposto a verifica
sperimentale.28 "Lo scienziato - scrive - deve sempre attingere alla fonte
viva dell'arte, e studiarne il naturale ed effettivo svolgimento", memore del
detto che Newton sempre ricordava a se stesso: "Fisico guardati dalla
metafisica".29 Il metodo da utilizzare è quindi, a suo giudizio, quello
induttivo.
In quest'ottica, partendo dall'osservazione della realtà aziendale, egli
individua, pur nella multiformità delle manifestazioni tipiche di tali istituti,
un nucleo di contenuti comuni, costituito dall'uso e dalla cura della
“ricchezza”. E’ proprio la ricchezza pertinente a un’azienda che ne forma la
sostanza o il patrimonio e, dice Besta (p. 4), ogni azienda ha sostanza,
piccola o grande. D’altro canto, nella concezione bestana, l’azienda è
definita come una “somma dei fenomeni, o negozi, o rapporti da
amministrare relativi ad un cumulo di capitali che formi un tutto a sé o a una
persona singola, o a una famiglia o ad un'impresa qualsivoglia, od anche
soltanto una classe distinta di quei fenomeni, negozi o rapporti” (pp. 3-4).
Il Besta perviene così al concetto di “amministrazione economica”,
intesa come il “governo dei fenomeni, dei negozi e dei rapporti che hanno
attinenza colla vita della ricchezza nelle aziende” (p. 5).
L’amministrazione economica si estrinseca, a propria volta, in tre
“momenti distinti”, che trovano espressione nelle funzioni di gestione,
direzione e controllo.
Besta osserva che le notevoli differenze riscontrabili nel fine e,
subordinatamente, nelle caratteristiche, che oggi denomineremmo
'organizzativo-dimensionali',30 delle aziende si riflettono così
profondamente sulla gestione - intesa quale serie di operazioni che
conducono alla produzione della ricchezza - e, in grado via via minore, sulla
direzione e sul controllo, da scoraggiare, per la difficoltà del compito, chi si
proponesse di indagarle. Ciò vale, in particolare, per la gestione e in certa
misura per la direzione. Il terzo momento, invece, consistente nelle funzioni
osservazioni critiche sul pensiero di Giuseppe Cerboni”, Rivista italiana di ragioneria e di
economia aziendale, nn.7-8, 1992, specie p. 377 e ss.
28 Cfr. G. Zappa "Fabio Besta il Maestro" (Commemorazione letta a Ca’ Foscari il 2
febbraio 1935), in Rivista italiana di ragioneria, supplemento al n. 5, 1935, pp. 5-6, il
quale osserva però che l'indirizzo positivista fu accolto "con cauta misura" e poi prosegue
osservando che "il Nostro che conosceva i frutti migliori della specializzazione nell'analisi
delle scienze particolari, sapeva anche i vantaggi non sostituibili delle concezioni di
insieme e delle vaste strutture astratte. ma in quegli anni, anche nella nostra disciplina,
troppo si era costruito a priori; troppe concezioni si erano formate e diffuse non atte a
essere dimostrate e provate, ed era necessario bandirle dal sistema scientifico che si veniva
costruendo. La reazione alle vecchie tendenze, alle vuote ideologie, ai simbolismi vani, si
mantenne sempre viva nelle dottrine del Maestro."
29 F. Besta, La ragioneria, op. cit., vol. II, p. 394.
30 S. Pezzoli, Profili di storia della ragioneria, Padova, Cedam, 1986, p. 116.
20
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
del controllo economico, è l'unico che presenti caratteri indifferenti rispetto
al tipo di azienda considerata. L'indagine dedicata a quest'ultimo costituisce
la dottrina della ragioneria, la quale, in quanto "scienza del controllo
economico", si occupa della rilevazione dei fatti amministrativi - esprimibili
mediante valori resi omogenei da un comune indice di misura - e del
controllo degli stessi esercitato seguendo passo per passo, mediante
registrazioni "preventive", "concomitanti" e "successive", le operazioni
attuate dagli amministratori delle aziende al fine di evitare - da parte di
questi - comportamenti scorretti nel corso della loro attività. Solo in questo
"momento" è possibile individuare quelle generalizzazioni rappresentative
di andamenti reali che, per Besta, sono l'essenza della conoscenza
scientifica.
Il Besta è quindi dell'avviso che lo studio della gestione presenta, di
fatto, difficoltà non superabili, non essendo in essa riscontrabili i caratteri di
un processo logico unitario.31 D'altro canto, nell'ambito di una struttura
produttiva fortemente protetta da alte barriere tariffarie e “caratterizzata da
una concezione economica eminentemente speculativa, che mirava cioè alla
‘riuscita’ di un singolo ‘affare’ piuttosto che al mantenimento di durature
relazioni economiche con le terze economie”, le operazioni di gestione non
possono che essere viste in maniera frammentaria e niente affatto
sistemica.32
Gli elementi di diversità della gestione hanno sollecitato contrastanti
interpretazioni.33 Certo è che il Besta ritenne conveniente di "supporre noti"
i modi in cui la gestione si realizza nelle diverse tipologie di aziende e
nell'approfondire soltanto i riflessi che lo svolgimento di tali operazioni
determina sul patrimonio aziendale. Sulla stessa linea, gli studiosi di tecnica
commerciale dell'epoca poco tentarono per studiare quei modi,
perseverando nel seguire le vie consolidate dalla tradizione.
31
Scrive infatti F. Besta, La ragioneria, op. cit., vol. I, p. 14: “Il sistema dei fatti della
gestione è troppo vario nelle diverse specie di aziende, perché un’unica scienza possa
contemplarli compiutamente in tutti i loro aspetti, così come nei disformi modi nei quali si
effettuano così come nelle loro cause e nelle loro conseguenze molteplici”.
32 L'osservazione è di G. Di Stefano, "Per un’analisi delle cause esogene della crisi del
sistema bestano", Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, sett-ott. 1991, p.
518.
33 Si allude alle tesi di P. Onida, op. cit., pp. 61-63 (nonché della scuola zappiana in
genere) e di E. Giannessi, op. cit., pp. 139-48, i quali riconducono tali elementi,
rispettivamente, a differenze “tecnologiche” ed “economiche”. Va comunque avvertito che
secondo A. Ceccherelli (che del Besta fu allievo), Economia e amministrazione delle
imprese, Firenze, Barbéra, 1948, p. 25: “Il Maestro non esclude la possibilità di pervenire a
ricerche teoriche unitarie della gestione. Se è vero che la diversità di manifestazioni cui
essa è soggetta con il mutare dei fini aziendali non consente di ricondurle a unità di leggi e
di indirizzi, tali diversità riguardano soltanto le modalità esecutive che mutano, appunto,
con il mutare dell’attività operativa”.
21
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
Ecco così che, in materia di tecnica mercantile, gli studi si occupano
del commercio e dei suoi istituti, delle funzioni dei commercianti, delle
varie forme di commercio, della moneta e dei sistemi monetari, dei mezzi di
trasporto e di comunicazione, dei titoli di credito, dei valori mobiliari e soprattutto - delle negoziazioni di compravendita di merci. A questo
riguardo, tutte le pubblicazioni descrivono e spiegano le molteplici clausole
che, secondo gli usi dei diversi settori merceologici e dei vari paesi,
concorrono a configurare dette operazioni: si esaminano così i modi di
determinazione della quantità e della qualità della merce, della tara, del
peso; le modalità di consegna e del connesso passaggio della proprietà e dei
rischi della merce dal venditore al compratore; il prezzo e le modalità di
pagamento; i servizi di trasporto terrestre e marittimo e le relative
condizioni e tariffe (e si tratta allora del contenuto della lettera di vettura,
dei contratti di noleggio, delle polizze di carico); i servizi di assicurazione,
le operazioni doganali e tutte le altre materie connesse alle operazioni di
compravendita.
In questo quadro, anche gli scritti migliori danno grande rilievo alle
modalità e alle forme documentali concernenti i rapporti dell'azienda con i
terzi, e poiché tale rapporti determinano una serie di vincoli individuati dal
diritto, le opere seguono generalmente un ordine espositivo degli argomenti
trattati ispirato prevalentemente alla classificazione giuridica dei contratti.34
Su questa base Onida avvicina gli studi in questione alle antiche
trattazioni di Handlungswissenschaft, giacché essi non affrontano
determinati problemi di gestione sotto l'aspetto di una particolare scienza,
ma accolgono conoscenze e nozioni attinte da discipline diverse (economia,
diritto, merceologia ecc.), le quali - poiché possono riguardare date forme di
attività pratica - risulta utili riunire insieme, per considerazioni di carattere
pedagogico o di agevole consultazione.35
Fra le migliori opere italiane nelle quali l'indirizzo descrittivonegoziale trova espressione, si annoverano il Trattato di tecnica bancaria di
Pasquale D'Angelo e La scienza del commercio di Nicola Garrone. A queste
è possibile aggiungere i Principi di tecnica commerciale di Ferruccio
Cevasco.
A tale Autore abbiamo già accennato a proposito degli studi di
Banco modello. L'opera qui citata, edita a Milano da Giuffrè nel 1940,
riunisce una parte delle lezioni di Tecnica commerciale impartite dal
Cevasco nei suoi lunghi anni d'insegnamento prima presso il R. Istituto
superiore di scienze economiche e commerciali e, successivamente, presso
la Facoltà di Economia e commercio della R. Università di Genova. Si
34
Cfr. R. Fazzi, Considerazioni sul contenuto e sul metodo proprio della tecnica
commerciale, Firenze, Coppini, s.d. (ma 1951), p. 16.
35 P. Onida, op. cit., p. 81, nota 117, cita al riguardo la distinzione crociana fra forme del
sapere e forme letterarie o didascaliche del sapere, tra ordini di conoscenze e libri.
22
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
tratta, sostanzialmente, della versione aggiornata di due precedenti scritti:
Tendenze e metodi della tecnica commerciale nell'insegnamento superiore,
discorso inaugurale del 1925 al citato Istituto superiore36 e le Lezioni di
tecnica mercantile tenute alla facoltà di economia nel 1933-35.37 Il volume,
dichiara l'Autore nella prefazione, non intende offrire "la trattazione
dottrinale dei principi di tecnica commerciale", ma "un’esposizione dei
procedimenti secondo i quali si svolsero tecnicamente le relazioni d'affari
mano a mano che andavano assumendo, ai tempi nostri, forme sempre più
ampie e complesse". Tali procedimenti sono dal Cevasco attinti "alle fonti
dirette dell'esperienza personale e dall'osservazione dei fatti che si svolgono
nel meccanismo del commercio".
Nonostante queste parole, ci sembra che, in realtà, il Cevasco - pur
senza accogliere integralmente le tendenze nuove (infra, § 5.) - assegni un
più ampio contenuto agli studi di Tecnica. Secondo l'Autore, infatti, se si
considerano i singoli rami del commercio, si rileva l'esistenza di princìpi e
norme particolari, se si considera invece l'insieme di questi rami, si evince
l'esistenza di princìpi e norme di carattere generale, applicabili a tutti i rami
dell'attività commerciale. La Tecnica si occupa, appunto, di questa parte
generale del commercio, non solo al fine di esporre i problemi che ne
costituiscono l'essenza, ma anche per stabilire il movente delle operazioni
commerciali e indicare le soluzioni che, in determinate circostanze e per
date finalità, si ritengono più convenienti.
La concezione del Cevasco ci sembra allora importante sia perché
lascia intravedere il tentativo di condurre la studio delle attività commerciali
dal punto di vista unitario sia perché tende a riconnettere il significato delle
negoziazioni con gli aspetti della gestione delle imprese. D'altro canto,
anche Onida, tanto critico, finisce con l'ammettere, sia pure marginalmente,
che l'opera del Cevasco contiene "qualche parte nella quale l'indagine è
direttamente rivolta all'economia dell'azienda." Tali sarebbero soprattutto le
pagine dedicate all'impresa armatoriale, "che viene brevemente esaminata
nel suo ordinamento e nella sua gestione, sotto l'aspetto economicoaziendale".38
Ai nostri fini, l'opera di maggiore rilievo - per il periodo cui si fa qui
riferimento - è indubbiamente quella di Nicola Garrone. Abbiamo citato, nel
paragrafo precedente, le parole con cui lo studioso accenna alla situazione
di basso empirismo in cui ristagnava agli inizi del secolo l'insegnamento del
Banco modello. Garrone, fino dall’avvìo della sua attività accademica si
pone, appunto, l'impegnativo obiettivo di ‘nobilitare’ le conoscenze che si
riferiscono al commercio e di costruire un corpus di princìpi e di norme
36
Pubblicato sulla Rivista italiana di ragioneria, 1927.
Genova, Gruppo Universitario Fascista, 1933.
38 P. Onida, op. cit., p. 83, nota 120. Un giudizio diverso è espresso da E. Giannessi,
Attuali tendenze, op. cit., pp. 525-26.
37
23
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
idoneo a offrire un quadro logico delle varie operazioni mercantili e
bancarie. Da qui l'idea di scrivere un trattato in cui tale corpus trovi ampio
svolgimento e che egli denomina Scienza del commercio.
Tale titolo è chiaramente suggerito all'Autore dal termine
Handelswissenschaft che, come si è ricordato, era allora usato nei paesi di
lingua germanica per designare il complesso delle nozioni relative alla
struttura e al funzionamento delle aziende commerciali. In verità, come si è
osservato nel paragrafo precedente, non è che le opere edite con tale titolo
potessero veramente qualificarsi come opere di scienza. La denominazione
scelta dal Garrone, comunque, intende essere una forma esplicita e chiara di
reazione contro l'empirismo e la superficialità degli studi sino ad allora
condotti sulle operazioni di scambio mercantile e bancario.
La completa realizzazione dell'opera occupa un lunghissimo arco
temporale, si può dire quasi tutta la vita dell'Autore (1877-1959), titolare dal
1908 di Banco modello alla Scuola superiore di commercio di Bari e dal
1926 di Tecnica commerciale all'Istituto superiore di scienze economiche e
commerciali (poi facoltà di Economia e commercio) di Roma, cattedra,
questa, che fino alla sua prematura scomparsa era stata del D’Angelo.39
L’opera, iniziata nei primi anni del secolo (il primo libro appare nel 1914),40
ebbe infatti termine con il quinto volume, dedicato alle operazioni di Borsa,
pubblicato solo nel 1956, quando il Garrone, ormai ottantenne, aveva già da
alcuni anni lasciato l'insegnamento universitario per limiti di età.
Afferma il Fazzi41 che quella del Garrone "deve considerarsi la
prima opera, vera e propria, della nostra letteratura e la pietra miliare delle
successive ricerche nel campo tecnico-economico". Certo è che si tratta di
un lavoro imponente per la gran mole del materiale raccolto, per la sua
profonda elaborazione e per il suo ordinamento in uno schema logico e
organico. Non è facile, anche nella dottrina straniera del tempo, trovare un
39
A parte La scienza del commercio, tutti gli scritti di Garrone sono pubblicati nel volume
Produzioni e scritti minori, a cura di Mario Mazzantini (suo successore sulla cattedra di
Tecnica bancaria nell’ateneo romano), pubblicato per iniziativa della Facoltà di Economia e
Commercio di Roma nel 1964. Lo stesso Mazzantini ha curato, nel 1963, la raccolta delle
Opere e scritti minori di P. D’Angelo (sempre sotto gli auspici della predetta Facoltà di
Economia e Commercio). Il D’Angelo (1880-1920) ha concentrato i propri studi sulla
materia bancaria, per cui la sua opera non viene da noi esaminata. Al riguardo si rinvia alla
Commemorazione di P. Cassandro, in Rivista italiana di ragioneria e di economia
aziendale, nn. 7-8, 1982.
40 In verità, nel 1907 Garrone aveva pubblicato (per i tipi di Laterza) il primo volume di un
Trattato di scienza del commercio, che però non fu seguito dagli altri due, promessi dall’A.
nella prefazione. Il volume edito nel 1914 da Vallardi ricorda per molti punti quello del
1907, ma si presenta, di fronte a questo, del tutto nuovo in molti capitoli, più ricco nella
materia comune alla vecchia edizione, più denso di contenuto e più organico nel suo
insieme.
41 R. Fazzi, "Formazione storica ...", op. cit., p. 333, nota 30. Sulla stessa posizione anche
E. Giannessi, Attuali tendenze, op. cit., p. 336.
24
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
trattato che esponga con tale dovizia e minuzia di dati e di organicità la
tecnica delle operazioni mercantili e bancarie. In quest'opera, il fenomeno
commerciale - inteso quale sistema di scambi - è visto come il carattere
fondamentale dell'economia moderna e viene descritto nelle sue strutture
organizzative e nel concreto svolgimento delle operazioni
che lo
costituiscono.42
Garrone non indugia, nel primo volume dell'opera, sul contenuto e
sulla finalità della disciplina. Nella breve prefazione, egli si sofferma sulla
denominazione di scienza del commercio, ricordandone i precedenti,
accenna anche all'assenza, nel nostro Paese, di adeguate trattazioni della
materia, ma non si sofferma a definire il contenuto e i fini della disciplina.
Egli si limita a sottolineare il "contenuto economico e giuridico che ne
costituisce il vero sostrato fondamentale".43 D'altro canto, la migliore
definizione di una disciplina si ha nella trattazione che l'autore ne dà. Se, in
quest'ottica, si esamina il contenuto del Trattato, ci sembra evidente come
l'obiettivo di Garrone sia quello di riprodurre, nel modo più chiaro e
organico possibile, la realtà concreta delle molteplici operazioni mercantili
e bancarie, il modo effettivo in cui esse vengono concepite e attuate. Il
riferimento ai princìpi economici a cui tali concrete operazioni sono ispirate
e alle norme giuridiche che, nell'ordinamento dei paesi in cui si svolgono,
le disciplinano, vale solo a rendere più completa la rappresentazione della
realtà operativa.
Nel pensiero dell'Autore la Tecnica commerciale sembra perciò
essere finalizzata alla comprensione del meccanismo secondo cui le
operazioni commerciali si svolgono, conoscenza indispensabile a chi deve
porre in atto, nel modo più efficace ed efficiente, tali operazioni.
Il Trattato rifugge, dunque, dalle generalizzazioni e dalle astrazioni,
alle quali Garrone appare tendenzialmente restìo. La sua preoccupazione è ripetiamo - quella di descrivere nel modo più compiuto e più preciso le
operazioni commerciali. Come scrive nella citata lettera a Dell'Amore
(supra, § 3.), il suo intendimento è quello di offrire "una nozione concreta di
ciò che fossero gli affari, di come gli affari si concepissero, si
concludessero, come si eseguissero e portassero a compimento". Siffatta
concezione non differisce da quella che gli aziendalisti tedeschi del periodo
hanno della Verkehrlehre, che è uno dei due grandi rami della loro
economica aziendale, la Betriebswirtschaftslehre. La Verkehrlehre è,
42
Il trattato, benché non affronti lo studio della gestione dell’azienda mercantile o di
credito, presenta tuttavia “accenni” a tale studio, in particolare nei volumi di più recente
pubblicazione (cfr. P. Onida, op. cit., p. 83, nota 119).
43 Per inciso, osserviamo che si tratta delle stesse parole usate da P. D'Angelo, Trattato di
Tecnica bancaria, "La Tecnica commerciale ha soprattutto come substrato fondamentale un
contenuto economico-giuridico" (p. VI).
25
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
appunto, la dottrina degli scambi mercantili e bancari studiati nel loro
concreto svolgimento e nelle loro finalità.
Al pensiero di Nicola Garrone si riconnettono direttamente,
nell’ambito degli studi tecnico-commerciali, Nicola Tridente e Mario
Mazzantini, i quali non condivideranno l'impostazione che tali studi
assumeranno a seguito della "rivoluzione zappiana", anche se il loro
dissenso non assumerà mai i toni che caratterizzeranno la polemica con gli
epigoni del Besta. Essi, che pur si differenziano fra loro per alcuni aspetti,
riterranno sempre compito fondamentale della Tecnica commerciale quello
di studiare e descrivere il concreto svolgimento delle operazioni attuate
dalle imprese e di enunciare le norme necessarie a far sì che tali operazioni
possano essere attuate nel modo più conveniente. Eppure anche su di essi
l'influenza zappiana si farà in qualche modo avvertire, in quanto riterranno
che tale giudizio di convenienza non possa essere formulato considerando la
singola operazione, ma riferendo questa a tutte le altre operazioni che, nel
loro insieme, costituiscono l'unità del sistema aziendale.44
In conclusione, risulta evidente come l'oggetto di ricerca dei cultori
dell'indirizzo descrittivo-negoziale sia costituito non tanto dall'azienda
quanto piuttosto dal mercato, termine che fa però riferimento al 'luogo' e/o
ai soggetti che operano in un determinato ramo d'affari, oppure al complesso
delle condizioni e delle clausole in esso solitamente pattuite.
5. L'indirizzo sistematico-gestionale: gli studi di Tecnica commerciale
Abbiamo dunque detto che le convinzioni dottrinali dei cultori
dell’indirizzo descrittivo-negoziale trovarono probabilmente conforto nel
pensiero di Fabio Besta, il quale - come si è ricordato - non riteneva
possibile lo studio unitario e generale della gestione economica delle
aziende. D'altro canto, "le teorie scientifiche, proprio perché tali, sono in
continuo divenire, e sorte comune anche a esse è di nascere, svilupparsi,
fiorire e poi tramontare". Se tale era stata la sorte delle precedenti dottrine,
44
Cfr., per es., M. Mazzantini, Lezioni di tecnica commerciale, Napoli, Morano, 1949, p.
3. In campo tecnico-commerciale, il lavoro più noto dell’Autore è la monografia Le vendite
marittime, Roma, Atena, 1936. Di N. Tridente i lavoro più famosi sono le monografie: Il
commercio delle mandorle, Bari, Macrì, 1938 (2^ ed.), La vendita di merci all’asta, Bari,
Macrì, 1938 (2^ ed.); Le grandi aziende mercantili al minuto, Bari, Macrì, 1945; I grandi
magazzini, Bari, cacucci, 1954. Un altro importante allievo di Garrone è Antonino Renzi, il
quale ha però indirizzato i propri studi alla gestione delle imprese industriali, impostando il
problema in termini tecnico-economici sulla base delle combinazioni e utilizzazioni
produttive.
26
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
da ultimo quelle cerboniane, identica si sarebbe poi rivelata quella dei
contributi di Besta.45
Doveva essere Gino Zappa (1879-1960) - dal 1906 incaricato di
Ragioneria presso la R. Università di Genova, dal 1920 presso l'Università
"L. Bocconi" di Milano e dal 1921 successore proprio del Besta sulla
cattedra di Ca’ Foscari - a superare la soglia scientifica esistente,
determinando il sorgere di un nuovo orientamento di studi
che,
ufficialmente annunciato con la celebre prolusione Tendenze nuove negli
studi di ragioneria, era destinato a rivoluzionare oggetto e metodo
d’indagine anche della Tecnica mercantile. La dottrina zappiana
determinerà infatti il sorgere di quell'indirizzo di studi denominato
"sistematico-gestionale" sul quale ci soffermeremo nelle prossime pagine.
5.1 La rivoluzione zappiana come punto d'incontro delle discipline
preesistenti
Pur consapevoli dell'impossibilità di riassumere in poche pagine le
molteplici implicazioni della teorica zappiana, dedichiamo di seguito alcuni
cenni alle proposizioni che ci paiono più rilevanti ai fini della nostra
indagine.
45
Come osserva A. Canziani, "Sulle premesse metodologiche della rivoluzione zappiana",
in AA.VV., Scritti di economia aziendale in memoria di Lino Azzini, Milano, Giuffrè, 1986
(da cui sono tratte, pp. 192-93, le parole fra virgolette poste in chiusura del capoverso
precedente), la “rivoluzione zappiana” si compie sostanzialmente nel periodo 1920-1929,
anche se è frutto delle riflessioni condotte nel decennio precedente, al termine del quale si
perviene a una riformulazioni pressoché integrale rispetto alle sistemazioni teoriche
preesistenti. Per rendersene conto, è sufficiente comparare l’impianto logico e
metodologico della Ragioneria bestana apparsa nel 1922, poco dopo la scomparsa
dell’Autore, con quello – sostanzialmente coevo – dei primi due tomi del Reddito (1920 e
1929, rifusi in seconda edizione nel 1937). Nel 1923 appare anche, sottoforma di
‘dispensa’, La teorica della partita doppia nella concezione delle nostra scuola (ora in
,Bilancio e amministrazione delle imprese. Studi in onore di Pietro Onida, Milano, Giuffrè,
1980) di Ugo Caprara nella quale la teoria del sistema del reddito “era (già) esposta in
brevi parole” (così G. Zappa, Le produzioni nell’economia delle imprese, , Milano, Giuffrè,
1956, t. I, p. 28, n.1, in fine). A proposito di questo lavoro va detto che A. Pin, “La ‘banca’
di Ugo Caprara nella costruzione del pensiero economico-aziendale”, in Rivista milanese di
economia, n. 34, 1990, pp. 78-88, sostiene la tesi secondo cui “fu di Caparara l’originaria
ideazione del sistema del reddito, che poi Zappa sviluppò e propagò indefessamente” (p.
82). Dello stesso A. Pin si veda anche la bella “Intervista con Ugo Caprara”, in Studi e
Informazioni, n.1, 1989, pp. 147-55, in cui l’Intervistato rievoca, da testimone diretto, gli
‘inizi’ dell’economia aziendale. Si legga allora, sullo stesso tema (pur con qualche cautela),
sempre del Caprara, “La sistemazione dottrinale della tecnica mercantile e bancaria nelle
rievocazioni di un ottuagenario”, op. cit. e “Gino Zappa: l’Uomo”, in AA.VV., Saggi di
Economia aziendale e sociale in memoria di Gino Zappa, Milano, Giuffrè, 1961, pp. 293306, nonché, nella stessa opera, i saggi di A. Amaduzzi, “Il pensiero scientifico di Gino
Zappa” e di P. Onida, “Gino Zappa: il Maestro”, pp. 25-38 e 1553-78 rispettivamente.
27
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
Nel citato discorso inaugurale per l'anno accademico 1926-27, Zappa
rileva il suo stato d'insoddisfazione per il divario creatosi fra la realtà
aziendale e le dottrine ad essa rivolte. Va al riguardo in effetti avvertito che,
fra l'ultimo quarto del secolo XIX e i primi due lustri del XX, il sistema
produttivo italiano aveva registrato rilevanti mutamenti strutturali. Il sistema
economico, che nella seconda metà dell'800 era ancora dominato da aziende
agricole, bancarie, mercantili, di trasporto e di erogazione di dimensioni
quasi sempre modeste, vede negli ultimi anni del secolo (per effetto di una
sia pure ritardata e parziale rivoluzione industriale) e soprattutto dopo il
primo conflitto mondiale, una presenza più incisiva delle aziende industriali
di grandi dimensioni, nelle quali la complessità dei processi produttivi,
l'aumento dell'incidenza dei costi fissi (a seguito dell'incremento degli
investimenti e della corrispondente rigidità degli stessi), l'acuirsi della
concorrenza sul mercato interno e internazionale rendono evidente la
preminenza della problematica economica globale rispetto al controllo
esercitato sull'attività degli amministratori, all'indagine sul patrimonio e, in
particolare, sulle variazioni da esso subìte per effetto di fatti di gestione
supposti noti a priori. L'attenzione si concentra così sulla composizione
delle operazioni gestionali in processi, anche a prescindere dalla loro
traduzione in fatti di scambio, nonché sulla funzione che tali operazioni
svolgono nell'impresa e sulla loro interpretazione tecnico-economica.46
Gino Zappa, conscio del crescente iato tra cultura accademica ed
esigenze operative della realtà economica, si preoccupa di fornire un
contributo dottrinario complessivo in linea con tali esigenze.47 Egli ricerca
dunque i 'poli di attrazione' dei fenomeni economico-aziendali,
contrapponendo alla separazione delle operazioni per fatti tipici e alla
separazione delle funzioni un disegno globale unificante della problematica
dell'azienda. Nasce così l'economia aziendale, scienza che, nelle parole del
suo fondatore, "studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni di vita
46
“Il Maestro, primo fra gli scrittori nostri, accenna alla gestione come al più cospicuo
momento dell’amministrazione economica (…). Ma negò l’utile avvicinamento degli studi
che immediatamente riflettono la gestione a quelli generali che considerano lo svolgersi del
controllo economico. Forse l’affermazione vigorosa come scienza delle teorie che indagano
la tecnica dell’amministrazione forse anche solo l’accresciuto sistema dei fatti che le
teoriche aziendali debbono dominare, ci fanno apparire inadeguate le strutture dottrinali
create per il più ristretto mondo economico dei tempi nei quali mercati meno vasti e meno
instabili, il più limitato accentramento economico, il volgere delle gestioni meno
assiduamente mutevole lasciavano forse supporre processi di controllo quasi
insistentemente uniformi e non anche continuamente aderenti al volgere delle circostanze
economiche nelle quali anche la gestione tanto variamente si atteggia” (G. Zappa, “Fabio
Besta il Maestro”, op. cit., p. 30).
47 "Troppe norme, troppi dogmi espressi con quattro parole alla buona, hanno per troppo
tempo nella nostra disciplina occultato dietro la sicurezza del dettato una profonda
ignoranza delle cose. Non la nostra mente ma la nuova e più intensa vita delle imprese
suscita i nuovi problemi" (G. Zappa, Il reddito d'impresa, Milano, Giuffrè, 1950, p. 53).
28
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
delle aziende";48 a tale fine essa prende in considerazione, in una prospettiva
unitaria di tipo economico, tutti gli aspetti della dinamica aziendale,
riunendo gli indirizzi di studio fino ad allora dominanti, facenti capo alla
Ragioneria e alla Tecnica mercantile e bancaria. Zappa, al cui pensiero non
sono probabilmente estranee le linee del Villa e del Cerboni, sostiene infatti
che i problemi relativi alla vita della ricchezza, al modo in cui l'organismo
aziendale si costituisce, si sviluppa o si dissolve, ma anche alla rilevazione
quantitativa del divenire della ricchezza coesistono e rappresentano le parti
complementari di un unico insieme. Occorre che tale "connubio
indissolubilmente sancito dai fatti" trovi riconoscimento nella dottrina.49
Perciò, così come la Ragioneria non può prescindere dalla "Tecnica
amministrativa" (o gestione) perché solo quest'ultima è in grado di fornirle
l'interpretazione dei fatti economici che essa rileva, la seconda non potrà
fare a meno della prima la quale rappresenta la fonte dei fenomeni che
danno luogo alla formazione del reddito, inteso come grandezza di sintesi
dell'unità aziendale. A queste due dottrine dev'essere inoltre aggiunta quella
dell'Organizzazione, vale a dire l'indagine economica relativa all'organismo
aziendale che, nelle sue varie configurazioni, può consentire un più efficace
divenire della gestione.
Tuttavia, mantenendo immutati i caratteri delle discipline (così
com'erano andati sino ad allora delineandosi), la composizione di esse in un
unico contesto - l'economia aziendale, appunto - non avrebbe segnato un
passo molto significativo. Le tendenze nuove consistono, invece,
essenzialmente in un nuovo indirizzo di studio della gestione, della
rilevazione e anche dell'organizzazione. Tale nuovo indirizzo si riconnette
alla nozione di azienda, che Zappa accoglie come particolarmente fruttuosa
per lo sviluppo delle dottrine "economico-amministrative".
L'azienda, intesa quale forma generale dell'azione economica umana,
è dapprima considerata come "coordinazione
economica in atto",
coordinazione unitaria di elementi necessariamente transitori, poi - più
compiutamente - come "istituto destinato a perdurare" nel cui ambito ha
luogo un complesso continuamente rinnovantesi di operazioni, tutte legate
fra loro, mediante le quali si realizza, in forma collettiva e organizzata, la
componente economica (di produzione, distributiva, di consumo)
dell'attività umana.
48 G. Zappa, Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Milano, Istituto Editoriale
Scientifico, 1927, p. 30. "... e si può oggi inferire che ciò significasse penetrare le
caratteristiche economiche delle aziende, anche nelle loro interconnessioni; le situazioni
esogene e le condizioni endogene delle produzioni e distribuzioni di ricchezza; l'intreccio
di fattori personali, materiali e immateriali nel prendere esistenza e nello svilupparsi delle
imprese; i nessi reciproci di causalità fra imprese e settori, fra aziende e mercati" (A.
Canziani, op. cit., p. 190).
49 G. Zappa, Tendenze nuove ..., op. cit., p. 20.
29
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
Il nucleo centrale della nozione zappiana di azienda è costituito
dall'affermazione dell'indissolubile unità e totalità dei fenomeni aziendali.
L'azienda è dunque studiata nella sua reale natura di complesso economico
che si presenta "uno pur nella più diversa molteplicità". "Tutti i fenomeni
aziendali - osserva infatti Zappa - si rivelano ad attenta osservazione come
costituiti in unica coordinazione di azioni economiche, volte a un
determinato intento". 50
Per l'Autore, quindi, non è corretto - dal punto di vista
epistemologico - un metodo d'indagine che tenda a separare le varie
operazioni per classi omogenee di fatti tipici, oppure che tenda a dividere la
continuità, nel divenire temporale, delle coordinazioni economico-aziendali,
fissandone l'analisi ad un determinato istante.51 Ne consegue che l'azienda,
in quanto complesso economico unitario, non può essere conosciuta come
tale, e nemmeno nei suoi elementi costitutivi, ove si studino tali elementi
prescindendo dalle mutue relazioni che li avvincono.
50
G. Zappa, Il reddito d'impresa, op. cit., p. 10.
Il concetto di divenire che si sostituisce all’essere e il concetto dell’unità che supera le
strumentali partizioni che interrompono il continuum dell’attività economia umana
appaiono fondanti della sintesi zappiana. Come rilevano S. Faccipieri ed E. Rullani,
“Regole di valutazione e indeterminatezza nella scienza economica d’azienda: un problema
irrisolto nel pensiero di Gino Zappa”, in AA.VV., La determinazione del reddito nelle
imprese del nostro tempo ala luce del pensiero di Gino Zappa, Padova, Cedam, 1982, p.
121, nota 4, queste “sono proprie le tesi usate da Croce nelle sue polemiche
antipositivistiche”. In realtà la dottrina zappiana rappresenta il momento di coagulo, attorno
all’azienda, di una più vasta molteplicità di influenze storico-culturali, come dimostra lo
studio di A. Canziani, op. cit., il quale ha ripercorso la biblioteca di Zappa (oggi conservata
presso l’Università Bocconi), le glosse emarginate ai suoi testi di lavoro (che spaziano in
campi del sapere anche assai lontani dalle discipline economiche, testimonianza
eloquentissima di un orizzonte culturale che non può non dare qualche soggezione al
lettore) e “l’intrecciato e complesso comporsi delle sue opere a stampa”.
51
30
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
5.2 La Tecnica commerciale nella sistematica zappiana
Si tratta, a questo punto, di esaminare come si sia riflessa
l'impostazione zappiana nel più specifico campo degli studi tecnicocommerciali.
Va al riguardo avvertito che già nel 1926 - prima, dunque, delle
Tendenze nuove - la monografia di Ugo Caprara,52 Le negoziazioni
caratteristiche dei vasti mercati. Principii di tecnica mercantile - opera che
dà inizio alla collana "Pubblicazioni dell'Istituto di ricerche tecnicocommerciali dell'Università Bocconi", diretta da Gino Zappa ed edita da
Giuffrè - con la metodica ricerca svolta nel campo del commercio
internazionale della materie prime, aveva fornito la prova della possibilità di
dare nuova, differente impostazione dottrinale alla Tecnica mercantile. Il
concettoso primo capitolo, che "reca, con tutta probabilità, il segno della
mano di Zappa",53 delinea un quadro programmatico dell'oggetto e del
metodo d'indagine della disciplina destinato a caratterizzare non solo il
lavoro di Caprara, ma anche le future pubblicazioni della collana.
Obiettivo dell'Autore è quello di ritrovare, nelle operazioni più
importanti dell'attività mercantile, le generalizzazioni, dando così
applicazione alla dottrina zappiana della gestione (obiettivo che, come si
vedrà, ispirerà quasi tutte le ricerche monografiche della 'scuola di Milano').
Particolare attenzione viene posta nella definizione dei termini 'impresa' e '
mercato', per poi fare osservare che nelle imprese si scambia per produrre;
che le negoziazioni, cioè le operazioni di scambio oneroso, sono le
manifestazioni caratteristiche della vita economica delle imprese; che le
merci, i beni e i servizi si scambiano per conseguire un guadagno; che il
guadagno è attestazione di 'produttività' dell'attività commerciale.
Nella teorica zappiana, la Tecnica è la dottrina della gestione, intesa
quale sottosistema cardine del sistema aziendale. In tal modo, il contenuto
della disciplina non corrisponde più a quello della previgente Tecnica
52
U. Caprara (1894-1990) – dal 1922 incaricato di Tecnica commerciale presso la
Bocconi (incarico rinnovato annualmente fino al 1964) e per qualche anno anche presso
l’Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Firenze – è il primo allievo di
Zappa a raggiungere il traguardo della Cattedra di tale disciplina. Fino al 1938 è ordinario
all’ateneo fiorentino, per poi passare all’Università di Torino (sulla cattedra già tenuta da
Giuseppe Broglia, professore e senatore del Regno) dove svolgerà le sue successive
ricerche nel campo degli studi bancari, studi culminati nella pubblicazione de La banca.
Principi di economia delle aziende di credito, Milano, Giuffrè, 1946 (la ristampa del 1985
riporta nella prefazione copia della lettera autografa di G. Zappa). Addirittura A. Pin, che
del Caprara è stato affezionato allievo, afferma che l’espressione “economia aziendale”
comparve “forse (per) la prima volta in uno scritto di Zappa in occasione della lettera di
referenza rilasciata al Caprara nel novembre del 1926 in prossimità del concorso a
cattedra”.
53 A. Pin, "La ‘banca’ di Ugo Caprara nella costruzione del pensiero economicoaziendale", Rivista milanese di economia, n. 34, 1990, p. 83.
31
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
mercantile. I concetti fondamentali a cui si informa lo studio della disciplina
sono: i) il carattere sistemico dei fenomeni aziendali; ii) la possibilità di
rilevare le uniformità di gestione.
La Tecnica studia così "le operazioni d'azienda e il loro sistema sotto
il profilo della convenienza economica e quindi nelle relazioni e condizioni
concernenti sia l'ambiente esterno all'azienda (specialmente mercati e
istituti sociali), al quale la gestione deve adattarsi sia l'economia interna
all'azienda (combinazioni di produzione o negoziazioni, trasformazioni
interne e, in genere, relazioni tra operazioni diverse, simultanee o
successive, o tra fattori produttivi complementari)".54
L’oggetto di studio diviene pertanto l'intero sistema operativo
d'impresa: vale a dire il complesso di operazioni mediante le quali si
realizzano i processi di approvvigionamento, di produzione, di
collocamento, al fine di individuare uniformità. Come infatti osserva
Onida,55 - forse l'interprete più fedele del pensiero zappiano - se la dottrina
della gestione può enunciare principi e norme valevoli, almeno in dati
ambienti, anche per tutte le aziende, essa è principalmente volta a costruire
"speciali teorie della gestione", sulla base delle "uniformità più frequenti ed
espressive" offerte da "aziende simili per l'attività economico-tecnica
esercitata e per l'ambiente in cui operano".56
Tutti gli autori del periodo cui si fa riferimento - U. Caprara, P.
Onida, G. Corsani, R. Fazzi, M. Mazzantini, N. Tridente, A. Renzi, C.
Merlani ecc. - sottolineano comunque come la Tecnica commerciale debba
avere un contenuto economico-aziendale. Sono dunque per essa
scarsamente rilevanti le forme giuridiche che in concreto rivestono le
operazioni mercantili. "Occorre approfondire l'esame dell'attività
54
Le parole sono di P. Onida, Le discipline economico-aziendali, op. cit., p. 232, il quale
osserva poi che: “Tutte le operazioni economiche nelle quali si esplica la vita dell’azienda
possono essere studiate dalla dottrina della gestione (…) (la quale), tuttavia, non potrebbe
limitarsi a considerare in se stesse ed a descrivere singole operazioni d’azienda o loro
elementi, senza mancare al suo compito essenziale d’illuminare l’economia della gestione
che è sistema d’operazioni, senza precludersi la possibilità di spiegare il significato
economico e la convenienza della operazioni o degli elementi (…). La descrizione di
distinte operazioni – sia pure tipiche di date aziende – disgiunta dall’indagine delle
menzionate relazioni, non dà che la notizia di frammenti della gestione, tali che poco o
niente fanno conoscere delle costruzioni economiche cui esse potrebbero adattarsi (…). La
descrizione formale dei particolari di gestione non è certo inutile e la scienza economica
della gestione non sempre può trascurarla; occorre, però, ch’essa sia specialmente ordinata
alla formulazione delle teorie che costituiscono l’essenziale oggetto delle detta scienza”.
55 Ibidem, p. 234.
56 In senso analogo si esprime Gaetano Corsani, il quale, nella monografia pubblicata nel
1930, pone in premessa queste parole: "il nostro studio può dirsi essenzialmente consistere
nell'investigazione di quelle 'uniformità', ossia delle vie d'impresa che possono considerarsi
come generali, fermo restando il loro carattere contingente riguardo a determinati gruppi
omogenei di impresa" (p. VI).
32
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
commerciale oltre il limite delle formali apparenze, scrutando la vita
aziendale nelle più intime ed espressive manifestazioni del suo corso rapido
e ondeggiante e proponendosi l'assunto scientifico di chiarire le strette
relazioni di mutua dipendenza che avvincono tale attività alla formazione
dei valori di mercato". 57
A differenza dell'indirizzo analizzato nel paragrafo precedente,
l'oggetto di ricerca degli sudiosi ‘sistematico-gestionali'’ è pertanto
l'azienda, la quale costituisce l'unità elementare del mercato "che risulta,
appunto, un sistema di aziende, il sistema dei loro rapporti espressi in
termini di negoziazioni".58 Ne consegue, pertanto, che il mercato
costituisce oggetto di studio dei cultori dell'indirizzo in esame, ma esso
assume un significato differente rispetto a quello attribuitogli dagli studiosi
dell'indirizzo descrittivo-negoziale. Nel suo divenire il mercato appare
infatti come "il coordinato svolgersi di negoziazioni attuate da date
aziende"59 interessate alla produzione e allo scambio di dati beni e servizi.
La conseguenza pratica di questa nuova concezione della Tecnica
diviene evidente in occasione della riforma universitaria del 1936, con la
quale - soppressi gli Istituti superiori di Scienze economiche e commerciali
- vengono istituite le Facoltà di Economia e commercio, con un
ordinamento didattico e scientifico in parte diverso da quello dei previgenti
istituti. Per quanto, in particolare, riguarda l'ordinamento degli studi di
Tecnica commerciale, vengono soppressi i due insegnamenti che
costituivano la disciplina intesa quale "tecnica dei negozi", e cioè la Tecnica
bancaria e la Tecnica mercantile. In loro sostituzione si istituiscono gli
insegnamenti di Tecnica bancaria e professionale, da un lato, e di Tecnica
industriale e commerciale, dall'altro.
Quest’impostazione ha suscitato anche qualche perplessità. Per
quanto, in particolare, riguarda la Tecnica commerciale, è sorto il dubbio se
il suo oggetto sia limitato alla gestione delle aziende specializzate
nell'intermediazione mercantile oppure se studi l'azione commerciale anche
degli altri ordini di imprese che partecipano al processo distributivo. Ci
sembra che l'interpretazione che col tempo si è affermata sia la seconda.
Questa è, per esempio, la posizione di Giordano Dell'Amore, altro allievo di
Zappa, il quale - prima di indirizzare i propri studi verso l'economia delle
aziende di credito - pubblica, all'inizio della sua carriera accademica, alcuni
pregevoli lavori nel campo della Tecnica commerciale. Fra questi, interessa
qui ricordare una significativa, ma oggi forse dimenticata, prolusione tenuta
a Ca’ Foscari il 18 gennaio 1939 dal titolo Attuali orientamenti negli studi
57
Così G. Dell'Amore, Attuali orientamenti negli studi di tecnica commerciale, op. cit., pp.
12 e 31-32.
58 R. Fazzi, Considerazioni sul contenuto e sul metodo proprio della Tecnica commerciale,
op. cit., p. 23.
59 G. Zappa, Il reddito d'impresa, op. cit., p. 467.
33
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
di tecnica commerciale. In essa Dell'Amore definisce la Tecnica
commerciale come "la disciplina che deve proporsi di studiare - nel solo
aspetto economico-aziendale, precisa più oltre - i procedimenti vari con i
quali le aziende contrattano le merci" (p. 11), al fine di "scoprire le
uniformità economiche e tecniche che presentano le operazioni mercantili
delle aziende" (p. 15). Nel pensiero dell'Autore, dunque, il campo d'indagine
della disciplina non viene circoscritto all'attività delle imprese specializzate
nell'intermediazione commerciale, "ma si estende fino a comprendere lo
studio dell'attività mercantile che vanno esercitando tutte le aziende
direttamente partecipanti al processo di circolazione delle merci" (p. 11).60
In senso analogo, ma più tardi, si esprime il Fazzi, il quale osserva
che "la Tecnica commerciale trova il proprio posto sia nelle aziende
mercantili che in quelle di produzione in quanto studia le vie di gestione con
le quali si adattano le condizioni di impresa a quelle di mercato. Nelle
imprese del secondo ordine il processo tecnico di produzione, esigendo
larghezza di investimenti durevoli, non ha ragione di attuarsi senza lo
studio del più economico ottenimento dei prodotti e senza che sia posto in
rapporto con le possibilità e i criteri di collocamento. La Tecnica
commerciale, in altri termini, studia l'atteggiarsi delle imprese in quanto
negoziatrici e studia i modi più efficaci per il miglior utilizzo delle
condizioni di mercato".61
Su questa base, gli anni Trenta e Quaranta si prospettano - per gli
studi di Tecnica commerciale - come un periodo di assai fecondo sviluppo;
sviluppo al quale non rimangono estranei i primi lavori dedicati al
marketing apparsi negli Stati Uniti d'America. Sarà sulla base del lavoro di
tali Maestri che gli studi di marketing intraprenderanno anche nel nostro
Paese, a partire dagli anni Cinquanta, un promettente sviluppo.
6. I primi studi di marketing negli Stati Uniti d'America. Cenni.
60
Queste parole di Dell’Amore sono richiamate fra virgolette (pur senza indicarne la fonte)
anche da G. Pivato, Nuove vie per l’informazione qualificata. Le aziende, i “settori”, le
“funzioni”, Milano, Giuffrè, 1987, p. 58, il quale osserva: “In altri termini: lo studio delle
imprese mercantili che, come tale è riferito ad un tipo di aggregazione settoriale di aziende,
non può essere fine a se stesso perché le nominate imprese costituiscono soltanto una delle
numerose categorie di aziende che partecipano al processo di distribuzione. Pertanto, se
questo processo deve essere conosciuto in tutte le sue componenti, occorre indagare la
‘funzione della distribuzione’ nelle imprese anche di settori diversi (industriali ecc,) presso
le quali essa presenta importanti manifestazioni”.
61 R. Fazzi, Considerazioni ..., op. cit., p. 25. Per A. Renzi, Lineamenti di tecnica
amministrativa industriale, Milano, Hoepli, 1942, p. 5 la Tecnica commerciale opera al di
fuori dell’ambito industriale. Per questo Autore che si richiama al pensiero del Garrone,
essa studia le correnti di traffico ed appresta a queste il modo più conveniente di attuarsi. Si
veda pure, del Renzi, Tecnica degli scambi con l’estero, Milano, 1940, p. 7.
34
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
Negli anni in cui, in Italia, gli studi di Tecnica attraversano il
percorso evolutivo ricordato nei paragrafi precedenti, negli Stati Uniti
d'America - comunemente ritenuti la “patria d'origine” del marketing appaiono le prime trattazioni esplicitamente dedicate alla nostra disciplina.
Il carattere pionieristico degli studi americani va evidentemente
messo in relazione al vantaggio temporale con cui tale Paese ha vissuto il
processo d'industrializzazione. La teoria del marketing si è in effetti
sviluppata nell'àmbito del paradigma della produzione di massa e ha avuto
come modello di riferimento quello della grande impresa operante nella
produzione di beni di consumo; fenomeni, questi, le cui prime
manifestazioni risalgono, Oltreoceano, ai primi anni del secolo.62
Ai fini che qui rilevano sembra importante ricordare, sia pure in
forme del tutto sintetiche, quali siano gli approcci di cui gli autori
statunitensi dei primi decenni si avvalgono nel determinare le problematiche
da affrontare e le ottiche particolari da applicare alle diverse questioni. In
estrema sintesi, ci sembra di poter osservare che l'approccio che caratterizza
tali studi sia contraddistinto da un notevole pragmatismo, come si evince
anche dalle impostazioni che caratterizzano le opere pubblicate nei primi
decenni del secolo.
Dette impostazioni tendono in grande prevalenza a raggrupparsi
secondo tre approcci: quello merceologico, quello funzionale e quello
istituzionale.63
L'approccio merceologico ("commodity approach") costituisce la
prima prospettiva analitica alla quale, in ordine di tempo, si è fatto ricorso
nello studio delle attività di marketing. Posto che questo si occupa delle
"attività" concernenti le transazioni fra produzione e consumo, i cultori
dell'indirizzo in parola ritengono di dover concentrare la propria attenzione
sugli oggetti di tali transazioni, vale a dire i prodotti,64 individuando le
62
Risale infatti a quegli anni la costituzione della National Association of Teachers of
Advertising (1915), successivamente modificatasi nella National Association of Teachers of
Marketing and Advertising (1924), la quale – a sua volta – si scinderà in un’associazione
riservata ai ‘pratici’: American Marketing Society (1930) e in una frequentata da
insegnanti e studiosi della nuova disciplina. Sempre degli stessi anni è la pubblicazione di
una rivista rivista specificatamente dedicata alle tematiche di marketing, denominata
“American Marketing Journal” (1934) e poi “Journal of Marketing” (1936).
63 Col procedere del tempo gli approcci si moltiplicano. Si veda, per esempio, la
ricostruzione condotta da J.N. Shet, D.M. Gardner, D.E. Garrett, Marketing Theory:
Evolution and Evaluation, op. cit., i quali individuano, con riferimento alla letteratura
statunitense, ben 12 “scuole”.
64 Ci sembra che il temine “merceologico” traduca adeguatamente il vocabolo
“commodity”. Come osservano J.N. Shet, D.M. Gardner, D.E. Garrett, op. cit., p. 36:
“Because the marketing discipline largely emerged from agricultural economics and
agricultural marketing, the approach came to be be known as the commodity school, even
thought its proponents primarily discussed manufactured packaged goods not agricultural
commodities”.
35
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
specificità che il processo di scambio assume in relazione alla diversa natura
dei beni scambiati. In estrema sintesi, il commodity approach affronta lo
studio del marketing prendendo in considerazione, in un'ottica di grande
concretezza, tutte le vicende di un determinato prodotto - di un gruppo di
prodotti appartenenti alla stessa classe - dal momento in cui se ne realizza
la produzione fino a quello in cui esso viene consumato. L'oggetto
principale dell'indagine è costituito dall'esame delle caratteristiche della
domanda e dell'offerta di tale bene; dei canali di distribuzione attraverso i
quali esso perviene al consumatore finale; delle funzioni che adempiono i
vari intermediari che partecipano ai suoi movimenti; dei meccanismi di
formazione del prezzo; delle tecniche gestionali adottate dalle imprese
operanti nello stesso settore merceologico e così via.
L'approccio funzionale - rimasto a lungo prevalente negli studi di
marketing e forse quello che ha maggiormente contribuito al progresso
scientifico della disciplina65 - considera la fisiologia del processo di
marketing, scomponendo quest'ultimo in una serie di funzioni economiche,
delle quali analizza la natura e l'importanza. Come nel caso dell'approccio
merceologico, anche i cultori dell'indirizzo in questione avvertono l'esigenza
di conferire legittimazione scientifica (e accademica) alla disciplina, ma
mentre il commodity approach si concentra sugli oggetti di scambio,
l'indirizzo funzionale considera invece le attività - le funzioni, appunto66 - il
cui adempimento è necessario per lo svolgimento delle transazioni
commerciali.
L'approccio istituzionale, infine, analizza tutte le istituzioni, o,
meglio, tutti i soggetti o le categorie di soggetti - produttori, consumatori,
intermediari - che svolgono le funzioni necessarie per trasferire i prodotti
dalla produzione al consumo; vale a dire tutte le organizzazioni che
intervengono nel processo di marketing. In effetti, formano oggetto di studio
della disciplina il canale di distribuzione inteso come sistema, e quindi: le
imprese al dettaglio e all'ingrosso, gli ausiliari del commercio e così via e di
ciascuna si esaminano le forme tipiche di organizzazione e le fondamentali
operazioni con cui si attua la loro gestione. In questa prospettiva, il
marketing non è altro che il processo che si ottiene dal funzionamento
coordinato - benché non sempre agevole per il frequente insorgere di
65E'
stato per esempio rilevato (J.N. Shet, D.M. Gardner, D.E. Garrett, Marketing Theory:
Evolutione and Evalutation, New York, 1991, p. 56 che la sistematica delle cosiddette
"4P", che tanto favore ha incontrato nella letteratura internazionale, affonda le proprie
radici proprio nelle classificazioni presentate dai teorici dell'approccio funzionale.
66 Nella letteratura statunitense di quegli anni vi è un'elevata varietà di opinioni circa
l'identificazione di tali funzioni. Per un'analisi esaustiva si veda S. Hunt e J. Goollsby, "The
Rise and Fall of the Functional Approach to Marketing: A Paradigm Displacement
Perspective", in T. Nevett e R.A. Fullerton, Historical Perspective in Marketing. Essays in
Honor of Stanley Hollander, Lexington (Mass.), Lexington Books, 1988, pp. 35-51.
36
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
conflitti - di molteplici strutture aziendali, che operano nel campo del
deflusso dei beni e servizi dal produttore al consumatore. 67
7. Gli studi tecnico-commerciali in Italia negli anni ‘30-40: la scuola
funzionalista
Pur in forme che risentono fortemente della concezione della
Tecnica commerciale di cui si è detto nelle pagine precedenti, i lavori degli
autori italiani degli anni Trenta e Quaranta presentano significative analogie
con gli studi di marketing (termine che tuttavia mai compare nei loro lavori)
sviluppati Oltreoceano secondo i primi due indirizzi considerati: quello
merceologico e quello funzionale.68 L'approccio merceologico trova
riscontro nell'ampia messe degli studi di settore pubblicati nel nostro Paese.
Benché questi affrontino con maggior frequenza il tema della gestione,
globalmente considerata, con frequenti accenni anche alle problematiche di
rilevazione, delle imprese operanti nel particolare contesto settoriale
considerato, non mancano lavori maggiormente o interamente focalizzati
sugli aspetti commerciali.69 L'indirizzo che forse più ha contribuito allo
sviluppo degli studi tecnico-commerciali, almeno nel periodo qui
considerato, è quello funzionalista, soprattutto con i lavori di Tecnica
economica condotti da Gaetano Corsani (1894-1963),70 benché
l’introduzione del concetto di “funzione” nella dottrina aziendalistica
italiana risalga ai lavori di Cerboni e di Besta.
Corsani concepisce le funzioni come "quei compiti assunti dagli
operatori, che sono tali da spiegare appieno il sorgere e l'affermarsi sul
67
Cfr. E.A. Duddy e D.A. Revzan, Marketing: An Institutional Approach, New York, Mc
Graw Hill, 1947, p. 14.
68Per quanto riguarda l'approccio istituzionale, anche negli Stati Uniti questo ha avuto uno
sviluppo meno fiorente rispetto agli altri e in ogni caso temporalmente successivo
(soprattutto a partire dagli anni quaranta).
69 Si citano, ad esempio: U. Borroni, Il commercio del cotone, Milano, Giuffrè, 1930; A.
Marcantonio, Produzione e commercio dei legnami, Milano, Giuffrè, 1930; U. Caprara, Il
commercio del grano, Milano, Giuffrè, 1931; G. Corsani, La produzione e il commercio
dei marmi italiani, Firenze, 1933; G. Dell'Amore, Il commercio dei prodotti agrari in
Italia, Milano, Giuffrè, 1938; G. dell’Amore, La lana, Milano, Giuffrè, 1934; G. Zunino, Il
mercato italiano degli olii di oliva, Milano, giuffrè, 1938; E. Lorusso, L’industria
cotoniera, Milano, Giuffrè, 1938; G. Pivato, Le gestioni industriali produttrici di servizi,
Giuffrè, 1938; A. Ottavi, L’industria cinematografica, 1949; L. Guatri, Economia delle
imprese cotoniere, Milano, giuffrè, 1949; C. Merlani, L’industria della majolica, Milano,
Hoepli, 1952.
70 Cfr. R. Fazzi, "Gaetano Corsani, un maestro", in Studi di Tecnica economica,
Organizzazione e Ragioneria. Scritti in memoria del prof. Gaetano Corsani, Firenze,
37
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
mercato dei vari ordini di imprese".71 Sia pure in forma che nei lavori
successivi risulta assai meglio definita, lo studio delle funzioni è presente
nell'opera del Corsani fin dal 1930. In quell'anno appare infatti un volume il
cui titolo è già di per sé significativo: Le determinazioni di convenienza
economica nelle imprese mercantili e manifatturiere. Il fondamento
economico-tecnico delle vie della gestione. Nonostante l'opera sia più nota
per la sistematica dei rischi d’impresa, essa si rivela di grande interesse ai
nostri fini, per l'abbondanza delle citazioni di marketing che vi sono
contenute, soprattutto nel terzo capitolo (dedicato alle "Vie d'impresa con
particolare riguardo ai fenomeni della provvista e del collocamento"), con
frequenti richiami delle opere dei maggiori autori statunitensi (Cherrington,
Clark, Ivey, Copeland, Weld, Duncan ecc.) del tempo.
Le numerose citazioni di significativi passi degli studi di marketing
condotti dagli autori americani attestano come il Corsani elabori tale
letteratura nel quadro dello studio sistematico della Tecnica commerciale, il
che dimostra come, nel suo pensiero, studi di Marketing e studi di Tecnica
costituiscano "un complesso unico di studi volto ad analizzare e illustrare il
comportamento aziendale in rapporto all'economia del mercato".72 Come
rileva Carlo Fabrizi (1907-1975), che del Corsani fu il primo allievo a
raggiungere il traguardo della cattedra universitaria, questo tentativo di
offrire una sistematica "non fu chiaramente percepito, né sufficientemente
seguito e sviluppato nel seguito. (...) Anzi, a taluni, i nuovi orientamenti del
Corsani sembrarono addirittura eretici e troppo fuori dei tradizionali schemi
della Tecnica commerciale di allora, tanto da offrire pretesto a critiche
acerbe più che a consentire favorevoli apprezzamenti. E ben lo seppe il
Corsani, che ebbe a subire da quel libro amarezze notevoli e prolungate." E
forse è per questo che, nelle opere successive, vengono eliminate tutte
quelle eloquenti citazioni, e l'Autore rinuncia all'ulteriore commento delle
nuove opere di marketing di cui la letteratura statunitense andava
progressivamente arricchendosi.
Con l'opera del 1930, nel seguito più volte accresciuta e perfezionata
con titolazioni diverse, il Corsani evolve gli schemi tradizionali di studio
della Tecnica commerciale, passando dall'analisi delle strutture di
negoziazione a quella dei criteri di gestione seguiti dalle aziende operanti
sul mercato. E questa è un'impostazione che non verrà più abbandonata. Ciò
che al Corsani interessa individuare sono cioè i nessi economici, i moventi
delle operazioni, non la descrizione dei procedimenti con cui queste
operazioni possono essere attuate. Scrive infatti l'Autore nella premessa: "il
nostro studio può dirsi essenzialmente consistere nell'investigazione di
71
G. Corsani, La gestione delle imprese mercantili e industriali. Gli elementi economicotecnici delle determinazioni di convenienza, Padova, Cedam, 1937, p. 6.
72 C. Fabrizi, "Il marketing nelle opere del Corsani", in AA.VV., Studi di Tecnica
economica, Organizzazione e Ragioneria, op. cit., p. 307.
38
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
quelle 'uniformità', ossia delle vie d'impresa che possono considerarsi come
generali, fermo restando il loro carattere contingente riguardo a determinati
gruppi omogenei di imprese" (p. VI).
E, in effetti, il Corsani - che pur si era formato alla scuola di Fabio
Besta - matura, fin dai primi anni della sua attività scientifica,
un'interpretazione 'nuova', rispetto a quella allora corrente, del noto passo
del Besta sulla gestione (cfr., supra, § 4), nel senso di ammetterne la
possibilità di studio, pur riferita a tipiche classi aziendali. Significative
anticipazioni di alcune concezioni sulle cui basi verranno poi costruite le
elaborazioni teoretiche successive appaiono, del resto, già in un saggio,
quasi mai ricordato, pubblicato nel 1925.73 Scrive Corsani: "Sono oggetto di
studio della Tecnica mercantile e bancaria le funzioni di gestione delle
imprese mercantili e bancarie rispettivamente, ossia quella serie di sforzi e
di cure che mirano direttamente a far sì che la ricchezza agisca in quelle
imprese con efficacia massima e che si estrinsecano in scambi di beni
economici" (p. 4).
Già nel 1925, dunque, per lo Studioso toscano, la Tecnica comincia
ad essere studio della gestione aziendale. E che le idee circa il contenuto
della disciplina fossero fin d'allora chiare e ben radicate il Corsani lo
dimostra con due volumi, entrambi editi nel 1925, su Le caratteristiche
fondamentali delle esportazioni (Vicenza, Rossi) e su Le caratteristiche
fondamentali delle importazioni agricole (Napoli, Maio), i quali
rappresentano la diretta applicazione delle sue concezioni teoriche.
Il disegno dell'Autore si perfeziona con i volumi del 1937, La
gestione delle imprese mercantili e industriali, e - soprattutto - del 1946, Le
funzioni dell'attività produttiva e mercantile, assumendo un'impostazione
che, sul tema, non subirà più, nelle opere successive, significative
variazioni.
8. Gli studi tecnico-commerciali in Italia negli anni ‘50-60
Rispetto agli anni precedenti il decennio che va dalla fine degli anni
Cinquanta alla fine degli anni Sessanta risulta critico nel percorso evolutivo
che andiamo delineando. Infatti in questo periodo il campo d'indagine della
disciplina - cui verrà attribuito, non senza approfondite discussioni e
diatribe, la denominazione di “marketing” - prende maggiore forma e
73 Cfr. G. Corsani, Il contenuto della tecnica commerciale, Firenze, G. Spinelli & C., 1925.
Si tratta di un saggio poco conosciuto in quanto fa parte di una raccolta di scritti pubblicati
presso il R. Istituto Commerciale di Firenze (in cui l'Autore è stato docente dal 1921 al
1928) "Su alcuni problemi relativi all'istruzione media commerciale". La copia conservata
nella biblioteca dell'Università "L. Bocconi" contiene le glosse di Gino Zappa.
39
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
vengono identificate dagli studiosi alcune tematiche di riferimento che
segneranno lo sviluppo degli studi di marketing fino ai nostri giorni.
L'identificazione del campo d'indagine risente degli influssi di diversi
ambiti disciplinari, della disponibilità di nuove conoscenze tecniche, di
alcune problematiche che le imprese si trovano a dover affrontare in questi
anni. Quest’ultimo aspetto, a nostro avviso, gioca un ruolo significativo
nella determinazione dei filoni di ricerca e delle impostazioni teoriche che
caratterizzeranno gli studi degli anni a venire. In particolare, il fenomeno
che maggiormente attira l’interesse degli studiosi è la produzione di massa e
la diffusione che tale modo di produzione gode, al punto da caratterizzare i
sistemi industriali di molti Paesi.
8.1. Il contesto empirico di riferimento;: la diffusione della produzione di
massa
Per valutare l'importanza che l'analisi del fenomeno della produzione
di massa assume ai fini della definizione dell'oggetto di studio del
marketing, faremo riferimento all’opera di Roberto Fazzi, uno dei più
rappresentativi studiosi dell’epoca. Nella monografia "La produzione di
massa"74, Fazzi definisce tale modo di produzione come "un 'flusso'
continuo di prodotti omogenei costituenti massa unica, oppure di unità di
prodotti identici, od anche di parti diverse di prodotti resi uniformi dopo una
fase 'complessiva', e che l'impresa destina all'immissione nel processo della
distribuzione" (p. 11).
Due sono, quindi, i caratteri distintivi della produzione di massa: uno,
"qualitativo-temporale", che consiste nella stabilità dei caratteri qualitativi
della produzione, l'altro, "quantitativo-temporale", che consiste nella
continuità del gestionale flusso di produzione. Tali caratteri distintivi fanno
assurgere la produzione di massa a criterio tipico che richiede, quindi,
accorgimenti tecnologici, organizzativi, economici, e distributivi,
particolari: "quando si dice che un'impresa ha per oggetto 'produzioni di
massa', non si dice soltanto che sono impiegati certi metodi di produzione
che consentono di ottenere uno o più flussi continui di prodotti eguali; si
afferma, principalmente, che in quell'impresa domina un particolare criterio
- appunto il criterio della 'produzione di massa' - che orienta tutta la gestione
aziendale" (p. 15). Un'impresa che voglia adottare tale tipo di produzione
adotterebbe anche un tipo particolare di gestione.
Ma quali sono gli aspetti particolari di tale criterio gestionale? Fazzi
ne individua quattro:
1) la meccanizzazione dei processi produttivi;
74
R. Fazzi, La produzione di massa. Aspetti economico-tecnici, Edizioni Tramontana,
Milano, 1958.
40
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
2) la standardizzazione di materie, processi e prodotti;
3) la specializzazione produttiva;
4) la disposizione coordinata degli impianti.
Mentre il primo e il quarto aspetto hanno un significato prettamente
tecnico, a nostro avviso, è rilevante sottolineare alcune precisazioni che
Fazzi compie al riguardo degli altri due. In primo luogo, standardizzazione
non è sinonimo di semplificazione. La standardizzazione svolge soprattutto
una funzione stabilizzatrice dei caratteri produttivi, ossia delle materie, dei
processi e dei prodotti. Essa comporta sì una semplificazione di tipo tecnico,
una riduzione dei tipi e delle varietà delle materie, delle forme dei prodotti e
così via; ma non una semplificazione "commerciale", ovvero una riduzione
dei tipi e delle varietà dei prodotti, poiché questa consegue esclusivamente
da decisioni relative al "più efficiente smercio" connesso "alle mutevoli
esigenze del mercato" (pp. 42-43). In secondo luogo, standardizzazione non
è sinonimo di specializzazione aziendale. Fazzi distingue tra
"specializzazione interna" e "specializzazione dell'impresa"; la prima
consiste in una "concentrazione di fattori di produzione fra loro coordinati
in modo da costituire un complesso tecnico-organizzativo a sé stante,
destinato a realizzare, nell'ambito dell'impresa, e per il diretto collocamento
sul mercato, flussi continui di un dato prodotto, e di limitate varietà di
questo" (p. 59); la seconda in una "concentrazione dell'attività d'impresa su
di un ben limitato oggetto, per il quale essa è istituita e retta" (p. 59).
Orbene, mentre la prima attiene alla produzione di massa quale suo aspetto
fondamentale, la seconda, ancora una volta, attiene a decisioni di tipo
economico e commerciale.
Da questa breve disamina dell'opera di Fazzi - a cui rimandiamo per
un'analisi più approfondita - rileviamo come l'analisi dei caratteri distintivi
della produzione di massa metta in risalto alcuni punti critici che, sia a
livello teorico che pratico, richiedono una soluzione. Gli aspetti
caratterizzanti della produzione di massa comportano una semplificazione
dei problemi tecnici e produttivi ma una complicazione di quelli
commerciali. Infatti la produzione di massa richiede che l'impresa:
-
-
produca elevati volumi di beni per riuscire a coprire il "costante",
ovvero la consistente mole di costi fissi connessa alle rilevanti
immobilizzazioni tecniche;
mantenga una continuità dei flussi produttivi, sia in termini
qualitativi che quantitativi, affinché le rigidità connesse alle
produzioni di massa non si traducano in mancate convenienze
economiche;
garantisca tale continuità attraverso il controllo degli sbocchi che
i beni prodotti hanno sul mercato;
41
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
-
risolva alcune alternative decisionali critiche: varietà produttiva
ampia o ridotta; specializzazione o diversificazione aziendale;
stabilità della riproduzione o rinnovamento della gamma.
Da ciò risulta che il nuovo criterio gestionale che va diffondendosi nei
sistemi industriali determina un punto di discontinuità teorico e pratico: il
collocamento dei beni nel mercato. Per soddisfare le esigenze che la
produzione di massa crea, come abbiamo espresso poc'anzi, è necessario
riuscire a determinare quanto produrre e in quali tempi, e cosa produrre.
8.2.
Lo sviluppo di differenti impostazioni teoriche: funzionalismo e
strutturalismo
I tentativi di fornire una risposta alla discontinuità generata dalla
produzione di massa danno vita a filoni di ricerca differenti in relazione alle
interpretazioni che propongono dei fenomeni oggetto d'indagine. Le due
impostazioni teoriche che ne derivano sono di matrice funzionalista e
strutturalista.
La prima si caratterizza per la continuità rispetto agli anni precedenti e
fa riferimento alla teoria delle funzioni economiche sviluppata da Corsani, e
anticipata nel precedente paragrafo. In questo periodo è Fazzi – allievo di
Corsani e ordinario a Trieste prima e a Firenze poi - a fornire nuova linfa
alla teoria delle funzioni e dei rischi. La sua riflessione inizia
dall'evidenziazione dei punti di divergenza tra il pensiero di Corsani e
quello di Oberparleiter, 75 sostenitore di tale teoria nella scuola austriaca.
L'Autore austriaco si poneva innanzitutto il problema dell'esistenza delle
imprese commerciali: che cosa giustifica la presenza, nel sistema
economico, di imprese che si occupano di distribuire i prodotti? La risposta
veniva identificata nello svolgimento, da parte di questa specifica categoria
di imprese, di una funzione di "avvicinamento" della produzione al
consumo, avvicinamento in termini di spazio, tempo, qualità e quantità.
Secondo l'impostazione di Corsani, invece, vi sono alcune funzioni che, nel
sistema economico, sono insopprimibili e che egli individua nelle funzioni
"produttive in senso stretto" e "di adattamento".
Fazzi mette bene in rilievo come in questa nuova impostazione sono
diversi sia l'oggetto d'indagine sia l'ampiezza del campo di applicazione
della teoria. Nel primo caso "mentre con le funzioni che attuano l'
'avvicinamento', si tende a giustificare le imprese commerciali che si
dedicano a realizzarle, con le funzioni che attuano l' 'adattamento' si tende a
giustificare le attività corrispondenti, indipendentemente dalle imprese che
75
R. Fazzi, Il contributo della teoria delle funzioni e dei rischi allo studio dei
comportamenti imprenditoriali, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1957.
42
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
possono assolverle" (p. 24). Nel secondo caso, "la teoria delle funzioni
investe, insomma, sia le attività produttive che quelle di adattamento al
consumo, perché in questo modo, e non in altri, è possibile comprendere i
fenomeni che caratterizzano ovunque il processo intero che corre dalla
produzione originaria alla distribuzione ultima del prodotto finito" (p. 21).
Sia le funzioni produttive che quelle di adattamento compongono le
funzioni "fondamentali" o "specifiche", che sono insopprimibili e
interrelate: l'una non può sussistere senza l'altra. Anche Rondini (successore
di Fazzi nell’ateneo triestino) al riguardo sostiene che "le funzioni [...]
consistono in determinati compiti specifici che l'impresa si assume nel
sistema economico e che spiegano le ragioni per le quali essa è sorta ed è
necessario che viva. In questo senso l'impresa viene a configurarsi come un
mero organo del sistema economico, indispensabile affinché questo sia
operante” 76.
Ora, la produzione di massa che, come abbiamo visto in precedenza 77,
obbliga le imprese a produrre elevati volumi e a mantenere la continuità dei
flussi produttivi attraverso un controllo del mercato, rende particolarmente
critica la funzione di adattamento. A questo punto possiamo comprendere
qual è il ruolo affidato al marketing. I comportamenti di mercato delle
imprese, le decisioni che vi sono alla base, le analisi effettuate per poter
assumere tali decisioni, danno concretezza alla funzione di adattamento. Per
cui, di conseguenza, il marketing deve avere un’impostazione funzionalista.
La seconda impostazione teorica - che è riscontrabile essenzialmente
negli studi di Castellano, Guatri, Sicca e Vaccà - parte dalla valutazione
dell'impatto che la produzione di massa ha sui sistemi industriali. Tale
impatto si concretizza nell'aumento dimensionale delle imprese e nella
possibilità di queste di influenzare l'ambiente economico-competitivo in cui
operano. Questi fenomeni sono interpretabili attraverso la teoria delle
strutture di mercato, che studia l'oligopolio, la concorrenza imperfetta e
monopolistica, e che si rifà alle opere di Chamberlin, Robinson, Dean e
Bain. Questa ipostazione si differenzia dalla precedente perché sostiene la
rilevanza che, nelle scelte dell'impresa, è assunta dall'ambiente
concorrenziale. Come afferma Sicca "la tecnica istituzionale analizza i
fenomeni aziendali assumendo la libertà di scelta da parte dell'imprenditore,
prescindendo così dal tener conto delle limitazioni poste all'operare concreto
della presenza di altri operatori e, soprattutto, del mercato" 78. E' con la
struttura del mercato che l'impresa deve misurare le potenzialità di successo
delle proprie scelte. La struttura del mercato può essere ricondotta ad alcune
caratteristiche tipiche:
76
O. Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, Giuffrè, Milano, 1963, p. 148.
Si veda p. 20.
78 L. Sicca, Le gestioni industriali a produzioni multiple. Politiche di vendita e di sviluppo,
Cedam, Padova, 1966, p. 1.
77
43
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
• il grado di concentrazione (dei venditori e degli acquirenti);
• il grado di differenziazione dei prodotti;
• le condizioni poste all'entrata dei nuovi produttori 79.
Cadendo una delle ipotesi cardine della teoria economica classica,
quella dell'omogeneità dei prodotti, si amplia notevolmente lo spettro
decisionale delle imprese. Queste hanno la possibilità di differenziare i loro
prodotti, di conquistare un proprio mercato, di stabilire un contatto diretto
con i consumatori tramite la marca.
Si comprende, allora, il compito affidato al marketing: quello di
gestire la differenziazione dell'offerta dell'impresa. Gli studi di marketing
devono quindi affondare solide radici nella teoria che ha analizzato e
interpretato il fenomeno della differenziazione; per cui il marketing deve
avere un'impostazione strutturalista.
Da queste due diverse impostazioni teoriche discendono, come
vedremo in seguito, percorsi di ricerca differenti, pur se il campo di
indagine rimane uniformemente delineato. D'altronde, è anche vero che tra
le due impostazioni vi sono notevoli convergenze: valga per tutte
l'approccio “direzionale” di cui diremo in avanti. In conclusione, per poter
meglio comprendere i due diversi modi di impostare gli studi di marketing,
passeremo ora a confrontare due testi fondamentali in questi anni. A nostro
avviso, essi, "Tecniche e politiche di vendita" di Fabrizi e "Le aziende
industriali" di Guatri, riconducibili il primo all'impostazione funzionalista,
l'altro a quella strutturalista, sono i più rappresentativi del periodo in quanto,
data la loro inquadratura manualistica, offrono una visione dell'intero campo
di indagine del marketing.
Dell'opera di Fabrizi 80, ciò che interessa ai nostri fini è la Parte Prima.
Dopo un capitolo introduttivo sull'evoluzione degli studi di tecnica
economico-aziendale e degli studi di marketing - dove sono presentate varie
definizioni del termine - e un successivo in cui sono definite l'azienda e
l'impresa, Fabrizi delinea il contesto funzionalista in cui la nascente
disciplina del marketing deve avere l'alveo: "Negli studi di economia
aziendale, e parallelamente in quelli di marketing, lo studio delle funzioni
aziendali è premessa indispensabile per ogni ulteriore sviluppo teorico. Il
'Functional Approach' del marketing o studio delle funzioni essenziali
dell'impresa nell'azione di vendita, come la teoria delle funzioni nella
disciplina economico-aziendale, costituisce l'analisi teorica di base per
individuare i principi del comportamento imprenditoriale. Se concepiamo la
tecnica economico-aziendale come dottrina che studia le scelte promosse
79
L. Sicca, op. cit., p. 10.
C. Fabrizi, Tecniche e politiche di vendita. Elementi di marketing, Cedam, Padova, 1967
(II ediz.).
80
44
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
dall'imprenditore per guidare l'organismo impresa verso il conseguimento
degli obiettivi prefissi, è indispensabile procedere anzitutto all'analisi delle
funzioni fondamentali dell'impresa, in rapporto alle quali le relative scelte si
pongono con possibilità autonoma di manifestazione " (p. 57). Fabrizi
descrive poi brevemente le teorie sulle funzioni di maggiore rilievo nella
letteratura internazionale e nazionale - Fayol, Mc Gary, Corsani - per poi
passare a definire il proprio concetto di “funzione dell'impresa”. E'
interessante notare la differenza tra la definizione di Corsani e quelle di
Fabrizi, che pure del primo fu apprezzato allievo. Mentre per il primo come anticipato in precedenza - le funzioni corrispondono ad attività del
sistema socio-economico che vengono di necessità svolte dalle imprese del
sistema, per Fabrizi le funzioni sono attività d'impresa che tutte le aziende
devono compiere. L'Autore distingue cinque categorie di funzioni: tecnica o
di produzione; commerciale o di vendita; finanziaria; organizzativa;
direzionale. L'ottica di Fabrizi è, dunque, fortemente organizzativa: come
egli sostiene "le quattro funzioni predette [esclusa quella direzionale che ha
caratterizzazione "diffusa"] trovano espressione concreta nei reparti in cui si
articola ogni azienda in genere e cioè: Direzione (o Reparto) di produzione,
Direzione Commerciale, Direzione Finanziaria (e Amministrativa),
Direzione del Personale (Organizzazione)" (p. 63). Delle diverse funzioni,
quella che pertiene propriamente al marketing è ovviamente la funzione
commerciale o di vendita, cui, poi, l'intero testo è dedicato.
Della differenza con l'approccio funzionale tradizionale e
l'inserimento del marketing in una nuova ottica "direzionale" è lo stesso
Fabrizi a dare conferma quando sostiene che "le funzioni fondamentali
inerenti allo scambio [...] non sono studiate nella loro obiettiva ed estrinseca
manifestazione, ma in rapporto alle alternative delle scelte possibili, in guisa
da massimizzare o il profitto ritraibile, o le condizioni di efficienza
funzionale, o nei riguardi del più vantaggioso inserimento dell'azienda nella
lotta concorrenziale" (p. 17).
Caratteristica peculiare dell'impostazione funzionalista è che il
concetto centrale di funzione permette il passaggio da un'ottica
microeconomica d'impresa a una macroeconomica di sistema. Tale
passaggio può essere rappresentato da un continuum di funzioni che
dall'interno della singola impresa si aggregano in un insieme che va a
costituire il sistema economico. Da ciò l'originale definizione di mercato
che l'Autore fornisce: "il mercato è rappresentato dalla totalità delle
funzioni svolte da tutte le imprese in esso operanti, e cioè dalla massa di
tutte le azioni e reazioni sviluppate o sviluppabili dalle attività
imprenditoriali e del consumo" (p. 18).
L'adozione del concetto di “funzione d'impresa” come centrale in
questa impostazione teorica, a nostro avviso, ha due conseguenze (che
verranno approfondite nel seguito della trattazione):
45
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
• innanzitutto spiega perché gli studi di marketing dal punto di vista
macroeconomico hanno, in Italia, un'impostazione di tipo prevalentemente
funzionalista;
• inoltre, e di conseguenza, spiega perché nel periodo successivo
l'impostazione funzionalista verrà utilizzata prevalentemente nell'analisi dei
fenomeni distributivi, mentre prevarrà, negli studi di marketing con ottica
micro, l'impostazione teorica strutturalista.
Nell'opera di Guatri 81 il concetto di “marketing” viene costruito
intorno al concetto di mercato. Il mercato è il luogo economico in cui
domanda e offerta si incontrano con lo scopo di soddisfare i propri diversi
obiettivi. Ma se il concetto di mercato è centrale, "l'analisi dei mercati sui
quali l'azienda industriale si presenta in veste di venditrice pone come
condizione preliminare la necessità di studiare il problema della
concorrenza. Sotto questo profilo i mercati possono essere distinti in
funzione delle diverse caratteristiche e della diversa intensità secondo le
quali il fenomeno si presenta" (p. 19). Se, quindi, il marketing rappresenta,
dal punto di vista dell'azienda, l'insieme di scelte da quest'ultima effettuate
con riguardo al mercato, tali scelte variano in funzione di come le forze
concorrenziali conformano il mercato stesso.
Guatri, dopo aver passato in rassegna le varie forme di mercato
studiate dalla teoria economica, concentra la propria attenzione sui due
ambiti concettuali ed empirici da cui la concorrenza è determinata: l'offerta
e la domanda. Dall'analisi di questi due fattori l'azienda deve partire per
compiere adeguate scelte di marketing. Per analisi dell'offerta, l'Autore
intende "un complesso di indagini, di assai varia composizione, tra le quali
possono essere ricordate: le indagini sulle caratteristiche e sull'intensità
della concorrenza; le indagini sull'elasticità e sulla flessibilità dei processi
produttivi; le indagini attorno alla 'forma' dei mercati [...]; le ricerche sulla
localizzazione delle unità produttrici" (p. 33).
Dell'analisi dell'offerta l'aspetto sicuramente più rilevante è il primo,
ovvero l'analisi della concorrenza. La rappresentazione del fenomeno
concorrenziale deve riguardare: "1) l'individuazione delle aziende operanti
nel ramo di attività oggetto della ricerca, precisando i luoghi dove si svolge
la produzione; 2) l'enunciazione della loro capacità produttiva e della loro
produzione effettiva in recenti periodi; 3) la precisazione delle
caratteristiche qualitative dei prodotti offerti dalle diverse aziende, avuto
riguardo anche all'apprezzamento che ne fa il mercato; 4) l'enunciazione dei
prezzi praticati dalle varie aziende. Oltre a ciò, altre utili conoscenze
potranno essere ricercate, se del caso, con riguardo alla organizzazione
produttiva e commerciale delle aziende concorrenti, ai programmi
81
L. Guatri, Le aziende industriali. Il marketing, Giuffrè, Milano, 1966.
46
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
pubblicitari da esse realizzati e così via" (p. 34). Obiettivo ultimo
dell'analisi della concorrenza è la valutazione della "capacità di
concorrenza" degli avversari, ovvero "l'attitudine a resistere al
deterioramento dei rapporti di scambio, pur conservando al proprio sistema
di prezzi un sufficiente grado di economicità, almeno nel lungo andare" (pp.
34-35).
Ma in quale modo le informazioni sull'intensità della concorrenza
influenzano le decisioni di marketing dell'impresa? Il collegamento è offerto
dal concetto di “differenziazione”. Le diverse forme che la concorrenza può
assumere comportano per l'impresa una maggiore o minore discrezionalità
nell'utilizzo di alcune variabili per differenziare la propria offerta. Tali
variabili riguardano il prodotto, la promozione delle vendite, i servizi
connessi al prodotto, le modalità di pagamento, ovvero quelle variabili che
compongono il marketing mix dell'azienda.
A differenza dell'impostazione funzionalista di Fabrizi, Guatri, quindi,
pone alla base delle decisioni di marketing il fenomeno concorrenziale; per
cui la struttura dei mercati e della competizione che in essi si svolge sono la
base teorica e applicativa del marketing.
In conclusione, i percorsi logici che differenziano le due impostazioni
possono essere rappresentati nello schema contenuto nella figura 1.
Figura 1. I percorsi logici delle prevalenti impostazioni di studio
IMPOSTAZIONE
FUNZIONALISTA
IMPOSTAZIONE
STRUTTURALISTA
Produzione di massa
Ð
Impatto sulla struttura
funzionale dell'impresa
Ð
Criticità della funzione
di adattamento
Ð
Marketing
Produzione di massa
Ð
Impatto sulla struttura
dei settori industriali
Ð
Criticità della
Differenziazione dell'offerta
Ð
Marketing
8.3. Gli studi connessi all'impostazione funzionalista
Gli Autori che adottano un'impostazione fondata sulla teoria delle
funzioni82 si occupano essenzialmente di fornire una soluzione a due
problematiche. Esse derivano direttamente dal fenomeno della rilevanza
82
A nostro avviso, a tale impostazione possono essere ricondotti gli studi di Fabrizi,
Rondini, Piro e Tagliacarne.
47
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
assunta dalla funzione di adattamento delle imprese. Adattare i beni alle
esigenze del mercato significa innanzitutto analizzare tali esigenze, e, in
secondo luogo, valutare la possibilità di delegare alcune attività costituenti
la funzione di adattamento ad altre imprese. Nelle parole di Rondini: "il
compito principale che l'impresa manifatturiera deve assolvere, o che può,
almeno in parte delegare all'impresa mercantile, è quello di 'adattare' i beni
che porterà sul mercato a quelle che sono le esigenze e le necessità dei
consumatori” 83. Le due problematiche costituiscono le due macrotematiche indagate dagli studiosi che si riconoscono nell’impostazione
funzionalista:
• la domanda;
• la distribuzione.
L'analisi delle esigenze dei consumatori appare immediatamente agli
studiosi come un problema fondamentale, di elevata complessità. Come
afferma ancora Rondini: "lo studio della distribuzione dal punto di vista
direzionale va quindi iniziato dall'analisi della domanda che deve essere
conosciuta ed interpretata dall'imprenditore sia nell'aspetto qualitativo che
quantitativo"84.
Risalta con evidenza che il generico concetto di domanda - o di
mercato - impiegato dagli studi economici in genere, e di tecnica in
particolare, non riesce a cogliere la varietà e la problematicità del fenomeno.
La varietà è dovuta ai diversi punti di vista da cui la domanda può
essere osservata: colui che studia o pratica il marketing deve essere
consapevole che non esiste "la" domanda ma un insieme di possibili
definizioni di domanda che variano sulla base di criteri di volta in volta
utilizzabili per il raggiungimento di particolari fini. Così, una delle urgenze
degli studiosi è quella di costruire un vocabolario che permetta la
descrizione delle diverse forme che il fenomeno può assumere. La necessità
di riuscire a descrivere efficacemente la domanda nelle sue varie
manifestazioni è duplice: da un lato, addentrandosi nell'analisi di un tema
scarsamente affrontato finora, essi sentono il bisogno di stabilire punti di
partenza precisi; dall'altro, ponendosi l'obiettivo di fornire regole di
comportamento al management - l' "approccio direzionale" sostenuto da
molti Autori - essi intendono stabilire una tassonomia che individui
"fattispecie di domanda" riconosciute le quali il management possa agire di
conseguenza. Esemplificativa al riguardo è la proposta di Rondini - uno
degli studiosi che in quest'epoca dedica gran parte della propria ricerca al
83
84
O. Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, op. cit., p. 26.
O. Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, op. cit., p. 118.
48
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
tema - che si concretizza in una serie di dicotomie85 descrittive del
fenomeno. Esse sono basate sulle caratteristiche di certezza della
manifestazione (domanda effettiva o potenziale), specificità (domanda totale
o dell'impresa), dipendenza (domanda originaria o derivata), temporalità
(domanda di breve e di lungo andare), controllabilità (domanda attuale e
futura). Inoltre si riconoscono caratteristiche di specificità alla domanda di
particolari tipi di beni quali quelli di consumo finale rispetto agli industriali
e agli agricoli. E' da notare che le caratteristiche evidenziate sono
significative proprio in termini decisionali: nell'assumere una decisione di
marketing un manager dovrà attuare l'analisi del contesto e la misurazione
della performance della decisione. A tale scopo il grado di controllabilità, di
certezza, di specificità, e così via, determineranno l'adattamento
conseguente del processo decisionale.
Oltre alla descrizione dei caratteri particolari che la domanda può
assumere, gli studiosi pongono attenzione ad alcune proprietà tipiche della
domanda, che prescindono dalle manifestazioni puntuali di questa. Le
proprietà esprimono in vario modo il grado di "assorbimento"
dell'adattamento da parte della domanda, cioè la possibilità che la domanda
offre all'imprenditore di adattare la propria offerta. Tra le proprietà le più
rilevanti sono: la plasticità, l'elasticità, la varietà, la variabilità.
La prima esprime la proprietà di lasciarsi "influenzare" dalle azioni
dell'impresa, ovvero la possibilità dell'impresa di provocare degli effetti
sulla domanda attraverso la manovra di alcune leve; la seconda è un
indicatore di sostituibilità fra le leve, poiché esprime il grado di sensibilità
della domanda all'utilizzo delle varie leve da parte dell'impresa; la terza
esprime la diversa conformazione che il fenomeno può assumere in termini
di dimensione, composizione, dipendenza da alcune variabili d'impresa e
non; l'ultima esprime la potenzialità di mutamento nel tempo.
E' da notare che i caratteri e le proprietà evidenziati sono significativi
proprio ai fini decisionali: nell'assumere una decisione di marketing, un
manager necessita di un'analisi del contesto di domanda e, successivamente,
la misurazione della performance della decisione. A tale scopo, la
conoscenza di caratteri e proprietà permetteranno una maggiore efficacia del
processo decisionale.
A fronte di tale varia configurazione del fenomeno, è sentita la
necessità di specificare meglio il generico concetto di domanda e si
distingue quest'ultima dal concetto di consumo. Mentre con la prima si
intende la quantità di beni che vengono richiesti a un determinato prezzo nel
mercato - o a una data impresa - il concetto di consumo vuole specificare
l'insieme di atti, decisioni, eventi, di cui la domanda rappresenta solamente
l'ultimo e più appariscente atto. Il termine "consumo" sta a significare
85
O. Rondini, Gli obiettivi della distribuzione. La domanda e i consumatori, Giuffrè,
Milano, 1964, pp. 47-65.
49
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
comportamento di consumo degli individui, aspetto, quest'ultimo, molto più
significativo per le imprese: "mentre la domanda complessiva, totale, è
importante soprattutto come stato dimensionale, è il consumatore, come
individuo, che condiziona il piano strategico, che il governo d'impresa
attuerà sul mercato. Per tali ragioni, tutto ciò che concerne il consumatore, i
suoi bisogni, i suoi caratteri, le sue abitudini, la sua ubicazione e così via
debbono essere a conoscenza del governo dell'impresa" 86.
Appare, quindi, nella disciplina la distinzione tra analisi quantitativa
della domanda e analisi qualitativa della stessa 87. E con il passaggio dal
concetto di domanda a quello di consumo viene messa in risalto la
problematicità del fenomeno della domanda. La problematicità è connessa
intrinsecamente al comportamento di consumo degli individui. E' possibile
ipotizzare che ogni individuo, per proprie specificità, manifesti un
comportamento particolare. Ciò sia a livello teorico che pratico rende
estremamente difficoltoso descrivere e interpretare il fenomeno. Le
soluzioni proposte dagli studiosi sono state:
• a livello teorico, il ricorso ad altre scienze;
• a livello operativo, l'identificazione di alcuni caratteri distintivi
dell'individuo come consumatore.
Nel primo caso, il riconoscimento che alla base di ogni
comportamento di consumo c'è un bisogno da soddisfare rimanda alla
conoscenza sviluppata sul tema da altre discipline. La natura dei bisogni, e
il tramutarsi di questi in moventi e atteggiamenti, sono le tematiche indagate
dalla sociologia e dalla psicologia, che vengono importate nel marketing. Ci
si rende conto che nell'universo non esplorato dall'economia politica ci
siano le aspirazioni, i preconcetti, le opinioni, le simpatie, i sentimenti del
consumatore che devono essere analizzati se si vuole comprendere il perché
di determinate sue scelte. Come afferma Rondini: "il comportamento si
compone essenzialmente di due parti e cioè degli stimoli, delle forze, delle
variabili, che lo determinano e lo condizionano, e degli atti, delle scelte, che
il consumatore effettua" 88. Il grado di approfondimento della tematica,
però, rimane ancora molto limitato, e non permette di effettuare ipotesi
specifiche alla disciplina.
E' invece innovativa la considerazione che l'atto di consumo è
comunque una fase intermedia di un processo le cui fasi componenti sono
tutte di enorme rilievo per l'impresa. Come sostiene di nuovo Rondini: "non
è sufficiente, a nostro modo di vedere, limitare lo studio del consumatore al
processo di decisione che porta a comportarsi in un determinato modo, ad
86
O. Rondini, op. ult. cit., p. 129.
Si veda la citazione della nota n. 68.
88 O. Rondini, op. ult. cit., p. 162.
87
50
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
esempio a scegliere un dato prodotto oppure a patrocinare questo o quel
punto di vendita. L'operatore ha bisogno di conoscere anche quanto avviene
all'atto del consumo e dopo di esso, cioè gli importa di sapere fino a qual
punto il consumatore è rimasto soddisfatto dell'uso del suo prodotto e qual è
stato il suo giudizio e il suo apprezzamento" 89.
Risultati più ampi - seppure relativamente - vengono invece raggiunti
nell'individuazione dei tratti distintivi del consumatore. Questi
rappresentano le determinanti del comportamento di acquisto. Se, sfruttando
le conoscenze sviluppate dalla sociologia e dalla psicologia, è possibile
indagare i bisogni e i moventi, dall'analisi delle caratteristiche distintive è,
invece, possibile indagare i comportamenti. Le caratteristiche consistono in
variabili demografiche - sesso, età, stato civile, reddito, professione, e così
via - in variabili comportamentali - frequenza degli acquisti,
complementarità, abitudini, modalità di pagamento - e in variabili che
denotano la sensibilità ad alcuni aspetti del prodotto - forma, disegno,
colore, e così via 90. A livello operativo, dunque, gli studiosi sono in grado
di prescrivere alle imprese l'indagine sistematica di una serie di variabili che
determinano la formazione delle preferenze dei consumatori e il loro
comportamento di acquisto e di consumo.
Inoltre, la prescrizione si arricchisce della contestualizzazione
dell'analisi del consumatore sulla base della tipologia dei prodotti di cui si
indaga l'acquisto. E' possibile individuare, infatti, moventi e comportamenti
degli acquirenti specifici a seconda che si stia trattando di beni di consumo,
di beni industriali o di prodotti agricoli: un'impresa che si trovi a produrre
una o le altre di queste categorie di prodotti dovrà indagare aspetti diversi e
attendersi comportamenti differenti da parte dei clienti 91.
* * *
La seconda grande area di studio degli Autori che si riconoscono nell’
di impostazione funzionalista è quella relativa alla distribuzione
commerciale. La motivazione dell'attenzione nuova posta su quest'area può
essere derivata da un'affermazione di Rondini: "Il processo di adattamento
dei beni, per adempiere egregiamente alle sue funzioni e per perfezionarsi
ha bisogno di concentrarsi in pochi organismi, bensì di diffondersi quanto
più capillarmente possibile in modo da raggiungere in estensione e in
profondità, tutte le categorie di consumatori, che dei beni prodotti
necessitano per soddisfare i propri bisogni" 92. La produzione di massa
89
O. Rondini, op. ult. cit., p. 131.
C. Fabrizi, Aspetti e problemi della distribuzione commerciale, Cedam, Padova, 1959,
pp. 304-305; O. Rondini, op. ult. cit., p. 140.
91 O. Rondini, op. ult. cit., cap II.
92 O. Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, op. cit., p. V.
90
51
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
rende critico il fenomeno della distribuzione perché, se il momento
produttivo può essere concentrato in aree geografiche limitate, la gran
massa dei beni prodotti deve poi essere collocata sul mercato in modo molto
disperso, necessitando di strutture adatte. La questione critica diventa: se la
nuova modalità di produzione permette una maggiore disponibilità di beni a
costi contenuti, tali vantaggi non saranno poi annullati al momento
dell'adattamento dei beni alle esigenze dei consumatori? Per citare ancora
Rondini: "Nel campo della distribuzione non si è verificato, infatti, un
fenomeno analogo a quello che ha portato alla produzione di massa, con la
relativa, importantissima, conseguenza, di una forte contrazione dei costi"
93.
Il problema fondamentale da indagare è l'efficienza della distribuzione
commerciale. Il metodo d’indagine è peculiare nel panorama della disciplina
perché si adotta un'ottica macro, si attribuisce agli studi una
caratterizzazione eminentemente empirica, arricchita da ampi confronti
internazionali, e si propongono soluzioni legislative per la regolamentazione
del settore.
L'adozione di un'ottica macro è giustificata dalla considerazione che il
raggiungimento di adeguati livelli di efficienza dipende non solo dalla
gestione delle singole aziende bensì da come l'apparato distributivo è
strutturato. Fabrizi precisa la distinzione tra apparato e sistema distributivo:
"ho preferito il termine di 'apparato', del resto largamente ricorrente nelle
pubblicazioni di lingua francese, in quanto il significato etimologico di
'sistema' implica il concetto di complesso di organi strettamente coordinati e
interdipendenti, tali da creare entità a sè stante ed ordinata nell'insieme. Il
nostro 'sistema' della distribuzione, inteso come aggregato di tutte le aziende
partecipanti al processo distributivo dei beni e dei servizi, manca certamente
di questo presupposto, per cui è più appropriata la denominazione di
'apparato', in quanto insieme di organi aziendali azionanti il meccanismo
della distribuzione, pur se privi di coordinamento e caratterizzati da
notevole eterogeneità funzionale e strutturale"94. Tale precisazione già
permette di avvertire la critica che gli studiosi di marketing, sono in grado
di avanzare alla strutturazione attuale della distribuzione. Se i costi di
distribuzione sono elevati, ciò è da ricondurre in gran parte a carenze di
ordine strutturale riguardanti:
• l'eccessiva polverizzazione delle aziende commerciali, che non
permette di ottenere economie di dimensione e di ridurre i costi unitari;
93
O. Rondini, op. ult. cit., p. 78.
C. Fabrizi, Morfologia dell'apparato distributivo italiano, Cedam, Padova, 1965, pp.
VII-VIII.
94
52
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
• l'eccessiva specializzazione merceologica, ormai inadeguata rispetto
al crescente diffondersi dell'abitudine da parte dei consumatori di
concentrare gli acquisti in un unico punto di vendita;
• l'inefficiente localizzazione sul territorio, che rende più difficoltoso
il processo di acquisto da parte dei clienti.
Gli studiosi pongono la loro attenzione, quindi, sulle cause
dell'inefficienza dell'apparato distributivo addebitandole principalmente alla
legislazione in vigore. A questa vengono rimproverate un'impostazione
ormai vetusta, che non dà più conto dell'evoluzione che la distribuzione
attraversa; l'eccessiva farraginosità delle procedure, che limita l'accesso al
settore e il verificarsi di un'efficace concorrenza; l'eccessiva discrezionalità
della Pubblica Amministrazione nel rilascio delle licenze, che può celare il
perseguimento di fini diversi rispetto alla regolamentazione efficace ed
efficiente del settore. Le ipotesi formulate dagli studiosi sono corroborate da
un'elevata serie di ricerche empiriche e da notevoli confronti internazionali
95.
Nelle prime si utilizzano soprattutto dati prodotti da fonti istituzionali,
fra tutti i Censimenti decennali e le indagini del Ministero dell'Industria e
del Commercio. L'elaborazione dei dati permette un'analisi statica della
distribuzione, e un'analisi dinamica. La prima è effettuata creando una serie
di indici prevalentemente di concentrazione e di localizzazione. L'analisi
dinamica rileva, oltre alla variazione degli indici, un aspetto maggiormente
qualitativo: l'evoluzione degli organismi di vendita tradizionali e la nascita
di nuove forme di aziende distributive. In quest'ultimo caso il supporto
empirico proviene in maggior modo da paesi stranieri, quali gli Stati Uniti,
la Francia, la Gran Bretagna e la Germania. Gli studiosi italiani si
concentrano ancora una volta sulle cause che provocano l'evoluzione; e la
risposta che forniscono è che questa è indotta nell'apparato distributivo da
cause esogene: le politiche delle imprese industriali derivanti dall'adozione
della produzione di massa e dai comportamenti di acquisto dei clienti. Le
prime creano la necessità di collocare nel mercato ampi volumi di beni di
marca che non abbisognano di grande "spinta" da parte dell'intermediario. I
secondi, soprattutto nel comparto degli alimentari, consistono in poche
visite ai negozi, concentrazione degli acquisti, maggiore disponibilità di
denaro e informazioni.
Ragionando per analogia con i paesi industriali più avanzati, i nostri
Autori sostengono la tesi che le nuove forme di aziende distributive - dai
supermercati ai centri commerciali, dalle catene agli shopping centre, e così
95 Si ricordano gli studi di R. Piro, "L'evoluzione commerciale italiana negli anni
cinquanta, vista attraverso gli indici di struttura", Orizzonti economici, dicembre, 1962; e
"Caratteristiche del sistema distributivo in Italia e nel Mezzogiorno dal 1951 al 1961",
Rivista di Studi e Ricerche, n. 2, 1963.
53
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
via - sono più efficienti nello svolgimento delle funzioni di adattamento
delegate loro dalle imprese industriali. Ciò determinerà un loro prevalere nel
futuro. Molta attenzione, di conseguenza, viene posta sulla descrizione delle
caratteristiche che i nuovi organismi di vendita manifestano all'estero e nelle
prime applicazioni italiane 96.
Data la conformazione attuale dell'apparato distributivo, gli studiosi
non riconoscono ancora alle aziende del settore la capacità di provocare
autonomamente un cambiamento sulle caratteristiche strutturali del settore
stesso. Questa considerazione, insieme all'ottica macro adottata e all'analisi
dell'impatto che la legislazione esercita sul commercio, spinge gli studiosi a
proporre alcune modifiche al sistema di leggi e regolamenti, aspetto questo,
come anticipato, abbastanza particolare nel panorama degli studi di
marketing italiani. L'obiettivo ultimo di tali modifiche sarebbe proprio
facilitare il naturale corso evolutivo che il settore subirà - come verificato in
altri paesi - caratterizzato dalla riduzione del peso del piccolo dettaglio
tradizionale e del grossista, dall'incremento della rilevanza del grande
dettaglio moderno e dall'aumento del grado di concorrenzialità complessivo
all'interno del settore. Tutto ciò comporterà un'efficienza della funzione di
adattamento svolta dalla distribuzione adeguata alle esigenze di un sistema
industriale basato sulla produzione di massa. Fabrizi, parlando della
"razionalizzazione del commercio", sostiene: "I grandi rinnovamenti
dell'organizzazione commerciale negli Stati Uniti e nei grandi paesi
industriali europei si sono orientati nel senso di servire sempre meglio il
consumatore finale. Ora, questo processo di rinnovamento dell'apparato
distributivo è indubbiamente in atto anche da noi [...] ad iniziativa di singoli
commercianti o gruppi di commercianti o di vari organismi pubblici o
sindacali, per appoggiare tale movimento. [...] Questi tentativi isolati,
lodevoli e apprezzabili anche nel loro significato sociale di rinnovamento,
sono finora rimasti al di fuori di un qualsivoglia programma di politica
commerciale, al di fuori di qualsiasi appoggio, aiuto ed agevolazione di
carattere pubblico. [...] E' tempo che, anche per il commercio, si configuri
una politica commerciale più decisa, più realistica, più sostanziosa di mezzi,
a favore di queste trasformazioni strutturali" 97.
Tutte le tesi sostenute sul tema dell'efficienza della distribuzione
perderebbero molta della rilevanza se non fosse affrontato il problema della
misurazione dell'efficienza stessa. Gli Autori del periodo sopperiscono a
questa necessità utilizzando il concetto di costo di distribuzione. Nella
definizione del concetto appare evidente l'opportunità di distinguere due
livelli di valutazione: quello economico-generale e quello aziendale. Nel
96
Al riguardo si vedano: R. Argenziano, Economia dei supermercati, Utet, Torino, 1966;
L. Sicca, Le aziende del grande dettaglio. Tecniche e politiche di gestione, Cedam, Padova,
1967.
97 C. Fabrizi, op. ult. cit., pp. 444-445.
54
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
primo caso il valore di costo è rappresentativo dell'efficienza dell'apparato
distributivo - in un'ottica macro. Esso è definito come: "il quantum
monetario pagato dalla collettività consumatrice di un Paese per il servizio
della provvista di tutti i beni e servizi messi a disposizione dalla
organizzazione commerciale, in un determinato periodo di tempo, sotto
deduzione dei costi di produzione (industriale o agricola o dei costi di
importazione) della stessa quantità di beni consumata" 98. Così il costo di
distribuzione, coerentemente con il concetto di adattamento costruito dagli
studiosi di impostazione funzionalista, esprime il valore aggiunto dal
processo stesso di adattamento dei beni che fuoriescono dalla fase
produttiva. Ecco che, in termini concettuali, la distribuzione non viene più
vista solo come generatrice di costi bensì come creatrice di valore per
l'intera collettività e per i singoli consumatori.
E' comprensibile, quindi, che le valutazioni di tale costo vengano
effettuate secondo modalità tipiche della Contabilità Nazionale. Esemplare
al riguardo è lo studio compiuto da Tagliacarne 99 dove il costo di
distribuzione viene valutato sommando a livello di settore distributivo - e in
particolare nel dettaglio - le spese sostenute per il personale, i fattori
produttivi (locazioni, energia, spese generali), il trasporto e le imposte.
Se l'apparato distributivo fornisce un valore aggiunto a livello
generale, sta poi alle singole imprese la possibilità di sfruttare tale valore
per arricchire la propria offerta. A livello aziendale, il costo di distribuzione
è definito come: "il complesso di spese, oneri, perdite, disperdimenti
sostenuti dall'azienda, in un determinato periodo della gestione, per poter
svolgere le specifiche funzioni della vendita (reperimento dei prodotti,
trasferimento nel tempo e nello spazio delle merci, adattamento qualitativo e
quantitativo delle merci secondo le esigenze dei compratori, funzioni
accessorie del finanziamento e della promozione e sviluppo)" 100.
Data questa definizione, l'analisi del costo di distribuzione per oggetto
di spesa - come nella valutazione a livello economico-generale - non
permette di produrre informazioni adeguate sull'efficienza dello
svolgimento della funzione di adattamento da parte dell'impresa. Una
valutazione del genere può essere effettuata ripartendo i costi per funzione o
per segmento di vendita 101, intendendo quest'ultimo come unità di
aggregazione di specifiche azioni di vendita - prodotti, zone, canali, reparti
e così via. Nelle due precedenti ipotesi si caldeggia un'identificazione
specifica del costo, o del valore, della funzione di adattamento svolta
dall'impresa, avendo come unità di riferimento le singole funzioni che
98
C. Fabrizi, op. ult. cit., pp. 398-399.
G. Tagliacarne, "Evolution of Trade and Distribution Costs", Review of Economic
Conditions in Italy, n.4, 1965;
100 C. Fabrizi, op. ult. cit., pp. 406-407.
101 C. Fabrizi, op. ult. cit., p. 420.
99
55
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
determinano il processo di adattamento, o i singoli segmenti che necessitano
soluzioni di vendita specifiche. Ciò rappresenta, da un lato, l'invito affinché
l'adattamento trovi luogo in modo più appropriato nei sistemi di contabilità
aziendali; dall'altro, il riconoscimento che la funzione di adattamento ha
come limite ultimo quello reddituale. Inoltre, ciò sta a significare che il
processo di adattamento, e, quindi, il marketing che di tale processo ha la
responsabilità, al pari degli altri processi aziendali trova la sua ragion
d'essere nella convenienza economica, e, da ultimo, nella produzione di
reddito.
8.4. Gli studi connessi all'impostazione strutturalista
Risulta difficoltoso effettuare una suddivisione degli studi di
impostazione strutturalista sulla base di alcune macrotematiche, come
invece abbiamo potuto nell'analisi degli studi precedenti. E' possibile anzi
affermare che gli studiosi che seguono l’impostazione in esame sono
caratterizzati proprio da una visione integrata dei fenomeni di mercato
conseguenti all'adozione diffusa della produzione di massa nel sistema
industriale. Attribuendo un valore esplicativo preponderante al gioco
concorrenziale, essi sono naturalmente portati a una considerazione
congiunta di attori, forze, strumenti ed effetti che in tale gioco sono
coinvolti.
E' indubitabile che un posto di assoluto rilievo nelle riflessioni degli
studiosi sia ricoperto dal concetto di differenziazione. Al riguardo si discute
dell'estensione rispetto al concetto originario proposto dagli economisti,
degli strumenti per renderla operativa, degli effetti che essa provoca sulle
relazioni fra i vari attori in gioco.
L'adozione della produzione di massa come criterio gestionale impone
alle imprese industriali alcuni vincoli i quali, però, sono controbilanciati da
opportunità impossibili da cogliere in mancanza di tale criterio. Il vincolo
maggiore consiste nell'incremento delle dimensioni aziendali con la
conseguente necessità di gestire le rigidità sia in termini statici (ampi
volumi da smerciare) sia in termini dinamici (mantenimento di flussi
produttivi continui). Ma, insite nello stesso criterio, vi sono determinate
potenzialità. Innanzitutto le aumentate dimensioni aziendali permettono di
uscire dalle condizioni di anonimato in cui opera l'impresa atomistica della
concorrenza perfetta. La standardizzazione dei processi e dei prodotti
permette all'impresa di mantenere uno stesso livello qualitativo nel tempo e
nello spazio. L'impresa trova quindi conveniente apporre ai propri beni una
marca a cui è possibile associare una serie di caratteristiche qualitative: ciò
ha portato gli studiosi a cogliere l'identità fra prodotto di massa e prodotto di
56
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
marca 102. Dal punto di vista del mercato, ciò significa che il consumatore,
nel momento in cui deve scegliere un prodotto per la soddisfazione di un
bisogno, si trova di fronte a un insieme di alternative distinguibili in base al
nome del produttore - inteso in senso lato, come marca - e a un insieme di
caratteristiche associabili a esse. A supporto di questa affermazione Vaccà
sostiene che: "il produttore con l'adozione di una marca può riproporsi non
la sua 'identificazione' da parte del consumatore, ma di rendere più efficace
e più stabile nel tempo l'affermazione di un bene di consumo,
valorizzandone la qualità e la capacità di soddisfare dati bisogni, ovvero con
la marca l'impresa tende essenzialmente a differenziare un prodotto rispetto
a quelli concorrenti" 103.
E così il potenziale di "distinguibilità" offerto dalla marca alle imprese
produttrici può essere ricondotto nella teoria al concetto di differenziazione,
e quindi alle forme di mercato della concorrenza monopolistica e
dell'oligopolio.
Particolare enfasi al riguardo viene posta sulla differenziazione
"psicologica" dei beni. Gli studiosi riconoscono infatti che i miglioramenti
qualitativi conseguenti all'adozione delle nuove tecnologie non sempre
possono essere recepiti in modo adeguato dal mercato. Inoltre,
l'innalzamento degli standard qualitativi dei beni potrebbe ricondurre
all'ipotesi di indifferenziazione dei prodotti. Le imprese, quindi, dovrebbero
prestare più attenzione ad altre modalità di differenziazione, ottenute
associando alla marca particolari valori. Come scrive ancora Vaccà: "ogni
bene di consumo viene normalmente acquistato in quanto ha per il
consumatore un 'significato' più o meno simbolico (in relazione al quale si
definisce l'utilità del bene) che si spiega tenendo presente il tipo di vita (altri
direbbero lo schema di riferimento) che il singolo immagina di poter
condurre: il bene, con altre parole, acquista un 'significato' e pertanto attrae
il consumatore, in quanto esprime la possibilità di agire, di vivere in un
modo che si considera 'ideale', ovvero, preferibile a quello attuale"104.
Quanto appena detto sulla criticità della differenziazione psicologica,
insieme con la considerazione che affinché la differenziazione operata
dall'impresa sia apprezzata dal consumatore debba essere percepita da
quest'ultimo, induce gli Autori del periodo ad approfondire l'analisi di uno
strumento nuovo all'economia aziendale: la pubblicità105. Alcune
caratteristiche tipiche della pubblicità la rendono particolarmente coerente rispetto agli altri strumenti di differenziazione dell'offerta - con il nuovo
102
R. Fazzi, La produzione di massa, op. cit.
S. Vaccà, I rapporti industria-distribuzione nei mercati dei beni di consumo, Giuffrè,
Milano, 1963, p.20.
104 S. Vaccà, op. cit., p. 144.
105 Al riguardo l'opera sicuramente più approfondita è L. Guatri, La pubblicità
nell'economia dell'azienda industriale, Giuffrè, Milano, 1964.
103
57
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
criterio gestionale della produzione di massa. Innanzitutto, la possibilità di
evidenziare aspetti occulti del prodotto e l'eventualità di giocare sugli aspetti
emotivi del consumo permettono la differenziazione psicologica del bene106.
Inoltre la pubblicità ha effetti solo se lo stanziamento di risorse supera un
certo limite. Come è bene evidenziato da Guatri107, adottando un'ottica
marginalistica, è possibile affermare che gli oneri connessi alla pubblicità
sono superiori ai vantaggi che da essa derivano in corrispondenza di limitati
budget investiti. Empiricamente è possibile infatti individuare rendimenti
crescenti della spesa pubblicitaria: "tale comportamento può essere spiegato
in connessione ad un duplice ordine di economie che si verificano, fino ad
un certo limite, al crescere della spesa pubblicitaria: economie di
specializzazione ed economie di ripetizione. Le prime dipendono dalla
circostanza che una notevole spesa pubblicitaria consente la scelta dei
veicoli più efficaci (ad esempio, veicoli che coprono l'intero territorio
nazionale) ed una migliore loro coordinazione, talvolta l'ottenimento di
minori prezzi unitari, il ricorso a personale specializzato per realizzare le
campagne e così via. Le economie di ripetizione [...] traggono origine dalla
nota circostanza che la forza d'urto della pubblicità è positivamente
influenzata, almeno per un certo tratto, dai risultati raggiunti in
precedenza"108. La pubblicità svolge in termini commerciali lo stesso ruolo
svolto dalla standardizzazione in termini di produzione. Con la pubblicità
l'impresa industriale centralizza tutti i processi comunicativi - in precedenza
dispersi e delegati agli intermediari commerciali - assicurandosi la
standardizzazione nel tempo e nello spazio dei messaggi emessi. Per cui si
può completare l'identità espressa in precedenza fra prodotto di massa,
prodotto di marca e prodotto pubblicizzato.
L'adozione del concetto di differenziazione come concetto centrale
dell'impostazione strutturalista comporta una diversa rappresentazione dei
rapporti impresa-mercato. Se l'impresa può differenziare la propria offerta e
può renderla distinguibile attraverso l'apposizione di un marchio, essa può
attuare un rapporto diretto con il consumatore; nelle parole di Vaccà: "il
mercato - in una certa misura - veniva così a spezzettarsi e personalizzarsi
(nel senso di una suddivisione in funzione della 'personalità' del produttore o
del prodotto), dando luogo a situazioni di tipo tendenzialmente
monopolistico" 109. Ciò comporta che ogni impresa può creare il proprio
mercato, acquisendo le preferenze di una parte dei consumatori e
stabilizzando il flusso delle proprie vendite. E' così che gli studiosi
enfatizzano il concetto di fedeltà alla marca: attraverso la differenziazione
106 Tale considerazione ha dato vita anche in Italia al dibattito sugli effetti sociali della
pubblicità. Al riguardo si veda L. Guatri, op. cit., pp. 23-26; S. Vaccà, op. cit., cap. 4.
107 L. Guatri, op. cit., pp. 131-137.
108 L. Guatri, op. cit., pp.136-137.
109 S. Vaccà, op. cit., p. 25.
58
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
dell'offerta resa distinguibile dalla marca l'impresa farà sì che alcuni
consumatori riterranno soddisfatti i propri bisogni da quella marca e non
modificheranno i propri comportamenti di acquisto. Citando ancora Vaccà:
"La pubblicità, e in modo particolare quella attuata su larga scala, rendeva i
consumatori 'brand conscious', spingendoli non solo e non tanto ad
acquistare beni, quanto a cristallizzare o stabilizzare - pro tempore - i loro
modelli di consumo con riferimento a specifiche marche"110. Emerge da
questa considerazione la criticità, nel giudizio degli studiosi, attribuita alla
stabilità del flusso di vendite dell'impresa. Questo è un altro esempio di
come un vincolo imposto dalla produzione di massa - la necessità di
mantenere stabili i flussi produttivi - possa generare una grande opportunità,
ovvero la creazione di un "proprio" mercato controllabile con i moderni
mezzi di persuasione. La "personalizzazione" dei rapporti impresa-gruppi di
consumatori fa sostenere agli studiosi del periodo che il mercato non è un
dato ma una costruzione dell'impresa. Vaccà afferma, infatti: "Al di sopra
di certi livelli di dimensione e di razionalizzazione, il mercato - ovvero
l'ambiente economico esterno e quindi anche la struttura della distribuzione
- non rappresenta una variabile indipendente ma piuttosto una variabile in
certi limiti dipendente, e cioè in parte scientemente modificabile e
controllabile [...] da parte dell'impresa"111. Gli fa eco Caprara: "Per l'impresa
il mercato è anche quello ch'essa è riuscita a conquistare di propria
iniziativa, sfruttando le proprie capacità costruttive, e che si rispecchia nella
composizione qualitativa e quantitativa della clientela che l'impresa sa
mantenere avvinta nell'economia sua di svolgimento"112.
Queste affermazioni evidenziano come gli Autori del periodo
attribuiscono all'impresa grande discrezionalità di manovra e grandi
capacità di controllo dell'ambiente concorrenziale. Tale convinzione è poi
supportata da un'altra conseguenza teorica e operativa della differenziazione
dell'offerta, il limitato utilizzo del prezzo come arma competitiva. In
situazione di concorrenza perfetta il prezzo stabilito dal mercato lasciava
all'impresa solo la quantità prodotta come variabile decisionale. Nel
momento in cui le imprese, con l'incremento dimensionale conseguente alla
produzione di massa, hanno la possibilità di manovrare il prezzo dei loro
prodotti, sposano invece la politica di non price competition. Ancora una
volta vi è un’elevata coerenza teorica con quanto affermato in precedenza:
se l'esigenza dell'impresa è di creare fedeltà alla marca attraverso
caratteristiche differenziali dei propri prodotti identificabili con una marca,
il prezzo, delle leve concorrenziali la più imitabile e facilmente adeguabile,
non permette di raggiungere tale obiettivo. La discrezionalità dell'impresa
110
S. Vaccà, op. cit., p. 26.
S. Vaccà, op. cit., p. 2.
112 G. Caprara, Problemi di vendita e ricerche di mercato nell'economia dell'impresa,
Giuffrè, Milano, 1967, p. 58.
111
59
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
risiede invece nella possibilità di fissazione del prezzo a un livello che
permette di raggiungere i livelli di profitto stabiliti, atto che l'impresa della
concorrenza perfetta non può svolgere. Tale discrezionalità è rinforzata
dalla fiducia del consumatore nella marca, che permetta alle imprese di
apporre un premium price ai propri beni. Come afferma ancora Vaccà: "sui
mercati di beni di consumo la concorrenza in genere e quella nei prezzi in
particolare si attenua fortemente, in quanto le aziende industriali erano in
grado di creare [...] nello spirito del consumatore, specie con l'aiuto del
potere della pubblicità, la opinione che il prodotto di marca fornito da una
data azienda poteva soddisfare un determinato bisogno meglio dei prodotti
forniti dai concorrenti"113.
La capacità di rapportarsi con il mercato e, in genere, la maggiore
discrezionalità decisionale dell'impresa industriale non possono non
influenzare le relazioni con i distributori commerciali.
E' opinione condivisa dagli studiosi che le modifiche apportate alla
struttura del sistema industriale dall'adozione della produzione di massa
segnino una discontinuità storica nell'evoluzione dei rapporti industriadistribuzione. L'interpretazione più diffusa - anche se non condivisa
interamente da tutti - è che tali rapporti si modifichino per ragioni
organizzative ed economiche. Nel primo caso la variabile ritenuta
determinante per l'evoluzione è il potere, e più precisamente la riallocazione
del potere di negoziazione tra i due settori, produttivo e distributivo, in
conseguenza dell'adozione della produzione di massa. Le grandi dimensioni
produttive, la distinguibilità dell'offerta tramite la pubblicità aumentano il
potere di controllo del mercato da parte dei produttori rispetto ai
distributori. Al riguardo Guatri afferma: "Non vi è dubbio che il prodotto di
marca, reso largamente noto mediante la pubblicità, svolga una funzione di
avvicinamento tra il produttore e il consumatore. L'azienda produttrice, per
effetto di ciò, non ha più bisogno di essere orientata nella scelta dei tipi:
essa tende a rendersi diretta interprete dei desideri del consumatore. Inoltre
la rinomanza acquisita facilita notevolmente il collocamento dei prodotti,
che sono espressamente richiesti dal consumatore, il quale impone al
dettagliante di approvvigionarsi di determinate marche, limitandone
decisamente il potere di scelta; e, per riflesso, annullando o riducendo anche
il potere di scelta del grossista"114.
Nel caso delle ragioni economiche, diventa meno conveniente lo
svolgimento di alcune funzioni da parte degli intermediari, e del grossista in
particolare, tra cui sicuramente le funzioni informative, di composizione
degli assortimenti, di finanziamento.
Questi cambiamenti si traducono essenzialmente nella considerazione
che il grossista è una figura non più adeguata all'evoluzione del contesto
113
114
60
S. Vaccà, op. cit., p. 25.
L. Guatri, Le aziende industriali. Il marketing, op. cit., p. 140.
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
economico115, e nella giustificazione economica e organizzativa della
nascita della grande distribuzione. A tale riguardo è da notare l'impiego
innovativo - peraltro senza ulteriori sviluppi - della teoria dei poteri
controbilancianti di Galbraith da parte di Vaccà nell'interpretazione dello
sviluppo della grande distribuzione. Secondo Vaccà116, proprio l'incremento
di potere dell'industria potrebbe giustificare la nascita, per autogenesi, di un
potere contrapposto quale meccanismo di concorrenza interna al sistema
economico; lo stesso Autore però, prontamente evidenzia la mancanza di
correlato empirico a supporto di tale tesi.
Qualunque spiegazione si adotti per interpretare l'evoluzione dei
rapporti industria-distribuzione, gli Autori sembrano concordi nel sostenere
che l'industria ha riacquisito ulteriore discrezionalità decisionale anche
nell'ambito distributivo. Nelle parole di Vaccà: "non ci sono ragioni che [...]
stabiliscano che certe funzioni debbano o possano essere svolte solo da
aziende distributrici (si intende economicamente 'autonome' rispetto ai loro
fornitori) ed altre funzioni solo da aziende industriali: esistono invece dei
fattori e delle condizioni particolari [...], che, caso per caso e di volta in
volta, possono rendere onveniente 'pro-tempore' un maggiore o minore
intervento dell'azienda industriale nel settore distributivo"117.
Il riconoscimento delle mutate condizioni strutturali in cui si
instaurano i rapporti industria-distribuzione, e la previsione di un
incremento della presenza e del potere delle nuove forma distributive,
spingono gli studiosi ad analizzare le possibili forme di regolazione di tali
rapporti, individuate nelle seguenti:
• la concorrenza;
• l'accordo;
• l'integrazione verticale.
I rapporti di concorrenza tra produttori e distributori sono interpretati
sulla base della distinzione fra piccolo e grande dettaglio. La tesi dominante
è che ciò che accomuna l'impresa industriale adotta la logica della
produzione di massa e il dettagliante che aderisce alle forme della moderna
distribuzione è la "dimensione d'impianto". Ancora una volta,
coerentemente con le ipotesi sugli effetti della produzione di massa, si
afferma che, quando il dettaglio acquisisce dimensioni rilevanti, esso può
utilizzare gli strumenti della moderna competizione: marca, pubblicità,
differenziazione. Mutatis mutandis anche il distributore può differenziare la
115
Al riguardo però le opinioni sono divergenti. Si veda, a favore del ruolo del grossista,
L. Guatri, op. ult. cit., pp. 144-148. Più in generale, a favore del ruolo del dettaglio
tradizionale, G. Caprara, op. cit.;
116 S. Vaccà, op. cit., pp. 86-87.
117 S. Vaccà, op. cit., pp. 17-18.
61
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
propria offerta - l'assortimento - può effettuare pubblicità, può creare
fedeltà all'insegna. In questo caso, esso si trova in diretta competizione con
il produttore per l'acquisizione delle preferenze della stessa domanda. Vaccà
afferma: "Le politiche di promozione delle vendite e di persuasione dei
consumatori finali promosse dal grande dettaglio, mirano infatti non tanto a
favorire la vendita di un tale prodotto, ma piuttosto a legare stabilmente il
consumatore al punto di vendita (di qui lo spostamento della fedeltà del
consumatore dal prodotto al punto di vendita: dalla 'brand loyalty' alla 'store
loyalty') così da conseguire un maggiore volume complessivo di
acquisti"118. E inoltre: "quanto sin qui osservato [...] ci porta a rifiutare
decisamente certe concezioni che attribuiscono solo al settore industriale la
possibilità (e quindi il potere) di esercitare una 'specie di monopolio' sulla
creazione della domanda dei prodotti, e quindi nell'influire sul
comportamento dei consumatori finali"119. Si ribadisce, quindi,
ulteriormente come l'incremento delle dimensioni d'impresa, a qualsiasi
livello della filiera, sposti le modalità competitive verso forme più coerenti
che garantiscano un controllo del flusso delle vendite.
I rapporti di concorrenza fra produttori e dettaglianti spesso si
traducono in forme di conflitto. Gli Autori del periodo in esame
riconducono tale conflitto alla tipologia con maggiore evidenza empirica:
quella sui margini. Infatti da un lato il produttore ha bisogno che i propri
beni - prodotti secondo determinati standard, reclamizzati in modo univoco
con la pubblicità di massa e identificati ovunque con la stessa marca - siano
venduti allo stesso prezzo in qualsiasi parte del mercato nazionale: e da qui
deriva l'urgenza del prezzo imposto. Dall'altro lato, il distributore deve
differenziare la propria offerta da quella degli altri distributori e quindi
necessita di libertà di manovra sui prezzi. Con notevole intuzione, e
supportati comunque dalla letteratura internazionale, gli studiosi
suggeriscono l'idea di una concorrenza multiforme. Essi cioè sostengono
che anche la grande distribuzione, come l'industria, non ha convenienza alla
lotta sui prezzi, per cui potrebbe accettare di buon grado il prezzo imposto;
non così il piccolo dettaglio, che, non godendo della stessa struttura di costo
del grande, è costretto a elevare il livello di prezzo del proprio assortimento.
Ciò comporta che si creino rapporti di concorrenza multipli: tra produttore e
grande distribuzione, per la conquista della domanda finale con strumenti di
competizione innovativi; tra grande e piccolo dettaglio, sui prezzi; tra
produttore e piccolo dettaglio, dove la concorrenza degenera in conflitto,
per la definizione del prezzo di mercato.
8.5. Un periodo di transizione: la fine degli anni '60.
118
119
62
S. Vaccà, op. cit., p.111.
S. Vaccà, op. cit., p.115.
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
Non è ancora concluso il dibattito sull'impostazione degli studi di
marketing e sull'estensione del campo d'indagine della disciplina, che alcuni
studiosi, fra i più innovativi del periodo, iniziano una accurata riflessione
che permetterà il consolidamento dei fondamenti della disciplina e aprirà il
percorso al nuovo fiorire di studi degli anni settanta.
Alla base della riflessioni vi sono sia evidenze empiriche che sviluppi
concettuali. Fra le prime possiamo considerare:
• l'evoluzione della società;
• il progresso tecnologico.
La società italiana è in continua mutazione120. Dal punto di vista
economico, si manifesta un incremento del reddito medio della popolazione
e della quota di tale reddito destinato ai consumi. Dal punto di vista
culturale, si innalza il livello di scolarizzazione, aumentano le potenzialità
di trasferimento di persone e merci sul territorio nazionale e internazionale
generando scambi informativi e di conoscenze. Dal punto di vista dei ruoli
sociali, assume maggiore rilevanza il ruolo della donna nei contesti
lavorativi extra-familiari, incidendo sulla tradizionale divisione del lavoro
intra-familiare, che vedeva delegate alla donna molte funzioni di acquisto.
Tutti questi mutamenti determinano rilevanti variazioni nei
comportamenti di acquisto e di consumo.
Sul lato del progresso tecnologico, si assiste a una progressiva
diffusione delle moderne tecniche di produzione connesse alla produzione
di massa. Queste permettono alle imprese di ampliare considerevolmente i
propri assortimenti, proponendo nuove varietà di prodotti o prodotti del
tutto nuovi, ma nello stesso tempo inducono vantaggi da first mover, di cui
possono godere le aziende che per prime adottano processi produttivi di
massa.
L'evoluzione dell'offerta e della domanda procede di pari passo in un
processo che sembra auto-alimentarsi. Se da un lato i mutamenti sociali
spingono i consumatori a ricercare varietà nei propri acquisti, dall'altra le
imprese sono in grado di proporre assortimenti variegati e adeguati a
soddisfare tali esigenze. E ancora, se da un lato il livellamento tecnologico
riduce la possibilità di differenziare i prodotti sulla base dei caratteri
materiali, dall'altro i consumatori associano sempre più valori simbolici ai
propri atti di acquisto e consumo. Così scrive al riguardo Varaldo: "Mentre
un tempo i fattori che potevano indurre all'acquisto erano essenzialmente i
valori tangibili del prodotto (qualità, prezzo ecc.), oggi il consumatore è
portato ad attribuire significato anche ad alcuni valori intangibili (marca,
120
Una sintetica ma accurata descrizione dei principali mutamenti in atto è proposta da S.
Sciarelli, Le politiche distributive nell'impresa industriale, Giannini, Napoli, 1969;
63
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
appello pubblicitario, tipo di rivenditori ecc.), che accompagnano quasi
sempre la fornitura del prodotto stesso. [...] Gli studiosi di sociologia
definiscono questo stato del consumatore come quello di un individuo
dotato di una propria 'immagine' e di una propria autonomia decisoria. Da
qui l'esigenza, per un'azienda, di creare tanti prodotti e tante 'immagini' di
prodotto, quanti sono i settori del mercato che ha intenzione di servire" 121.
L'evoluzione parallela della domanda e dell'offerta industriale, se a un
livello macro appare armonica e correlata - tant'è vero che le economie
avanzate mostrano segni di notevole sviluppo - a livello di singola impresa
significa sostanzialmente instabilità delle preferenze dei consumatori che
cozza con la rigidità dei processi produttivi tipici della produzione di massa.
Dal punto di vista della singola impresa questi anni si caratterizzano per un
notevole incremento della pressione concorrenziale in numerosi mercati.
Diventa sempre più necessario un elevato controllo del mercato, ma
contemporaneamente le condizioni competitive rendono tale controllo molto
difficoltoso.
Gli studiosi iniziano una riflessione sui molteplici ruoli che il
marketing deve svolgere in un'impresa. Tra i due concetti cardine sviluppati
negli anni precedenti, l'adattamento e la differenziazione, il primo sembra
perdere di portata euristica nei confronti del secondo. Un bene di marca,
derivante da un processo produttivo di massa, deve mantenere inalterate le
sue caratteristiche nello spazio e nel tempo. Non è possibile adattare un
prodotto una volta fuoriuscito dalla fase produttiva, come ben evidenzia
Sciarelli (peraltro allievo di Fabrizi): "Uno schema del processo [
distributivo] sviluppantesi nelle tre fasi indicate in precedenza [
concentrazione dei beni dalle fonti originarie di produzione, adattamento ai
bisogni del consumo, diffusione ai consumatori] risponde, però, solo in
parte alle caratteristiche assunte dalla distribuzione delle produzioni
industriali. E' qui perciò il caso di rilevare ch'esso è stato concepito sullo
sfondo di un'economia produttiva profondamente diversa da quella attuale
per cui oggi si presenta valido soltanto per certe categorie di prodotti, e in
particolare per i prodotti del suolo. Se si considera, ad esempio, il campo
delle derrate agricole, s'intravede chiaramente che l'attività distributiva
comporta dapprima una raccolta delle partite di merci prodotte dai singoli
coltivatori allo scopo di formare dei lotti economicamente più validi; indi,
l'attuazione di successive operazioni di adattamento qualitativo e
quantitativo; e, infine, una volta costituite delle partite omogenee, un
processo di dispersione dei beni presso i vari luoghi di consumo. Ma se ci si
trasferisce nel settore dei beni di consumo provenienti da lavorazioni
industriali, l'impostazione tradizionale appare meno convincente. Ciò specie
se si tiene presente l'evoluzione dei caratteri di presentazione di tali beni,
121
R. Varaldo, Aspetti della politica di marketing nelle aziende industriali, Cursi, Pisa,
1969, p. 51.
64
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
che in guisa sempre più diffusa escono dalla fabbrica con una marca e in
formati già prestabiliti. Per essi, pertanto, è fuor di luogo parlare di una fase
di adattamento a meno che non la si voglia restringere al solo adeguamento
temporale dell’offerta e della domanda" 122. Il vero sforzo di adattamento
per un'impresa deve essere quello precedente allo sviluppo del prodotto,
quando con le ricerche di mercato si comprendono le esigenze del
consumatore e, conseguentemente, è possibile realizzare un bene adeguato.
Petix, al riguardo, parla di pre-adattamento 123. Più ampiamente, altri Autori
del periodo considerano che l'adattamento dell'offerta debba avvenire in
modo articolato generando una molteplicità di ruoli per il marketing.
Innanzitutto, è necessario un cambiamento nel modo di governare le
imprese, che comporti un adattamento dell'azienda all'ambiente generale in
cui opera. Il marketing in questo caso gioca il ruolo fondamentale di
filosofia gestionale, attraverso la cui adozione l'impresa dovrebbe rivolgere
tutte le proprie attività all'obiettivo di adattare la propria offerta alle
esigenze dei clienti. Non solo il marketing, quindi, ma tutte le funzioni
aziendali devono avere nell'adattamento un obiettivo uniforme e condiviso.
Allora il marketing diventa una meta-funzione, una filosofia, appunto, che
ha il compito primario di coordinare e integrare le attività di tutte le funzioni
aziendali. Così sintetizza Varaldo: "il marketing costituisce più che un
insieme disarticolato di attività singole una funzione di sintesi, con rilevante
portata strategica. Questa sorta di rivoluzione è coincisa con una sostanziale
estensione delle competenze e responsabilità degli addetti di marketing al di
là delle mere funzioni di trasferimento dei beni dalla produzione al mercato
del consumo, segnatamente verso le attività relative alla politica di
produzione" 124.
In secondo luogo, il marketing si deve occupare di una serie di attività
specifiche, quelle che costituiscono i rapporti dell'impresa con il mercato.
In questo caso l'obiettivo è quello di differenziare l'offerta da quella dei
concorrenti per ottenere il controllo del mercato.
Da ultimo, l'aspetto più operativo del marketing coincide con lo
svolgimento dell'attività di distribuzione, che riguarda l'adattamento
dell'offerta in termini di tempo, luogo e quantità, alle specifiche esigenze dei
clienti 125.
Il concetto di adattamento perciò perde di valore euristico
nell'interpretazione dei comportamenti di mercato delle imprese a favore del
concetto di differenziazione, per assumere un valore normativo, di estrema
rilevanza, a livello di orientamento gestionale.
122
S. Sciarelli, op. cit., p. 16.
L. Petix, Aspetti della problematica gestionale e di mercato delle imprese. Introduzione
alle ricerche commerciali, K Libreria Editrice, Roma, 1971, p. 30.
124 R. Varaldo, op. cit., p. 3.
125 S. Sciarelli, op. cit., pp. 56-57.
123
65
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
All'opposto di quanto accade nell'analisi dei fenomeni micro, il
concetto di adattamento assume un ruolo critico nello studio dei fenomeni di
mercato a livello macro. La disponibilità per i consumatori dei beni prodotti
dall'industria è
fenomeno che richiede la predisposizione e il
funzionamento di un sistema orientato a questa funzione. E' necessario che
un insieme di operatori si occupino di adattare le produzioni rendendole
disponibili nei tempi, nei luoghi e nelle quantità desiderate dai clienti.
L'analisi di questo tipo di adattamento richiede di uscire dall'ottica micro
della singola impresa e di porsi nell'ottica macro del sistema economico.
Anche in Italia in questo periodo nasce quell'area di ricerca che nei
paesi di matrice anglosassone è definita di macromarketing. Trovando
fertile terreno negli studi degli Autori funzionalisti, il macromarketing in
Italia è fortemente connotato dall'analisi dei fenomeni distributivi. A nostro
avviso la nascita di quest'area di ricerca ha un altro rilevante effetto sulla
disciplina: introduce la distinzione fra marketing - inteso come
macromarketing -, e marketing management - ciò che gli studiosi italiani
definiscono approccio direzionale al marketing. Mentre il primo
rappresenta l'aspetto positivo della disciplina e concentra l'attenzione sui
fenomeni distributivi a livello di sistema, il marketing management
rappresenta l'aspetto normativo, di proposizione di comportamenti di
mercato che le imprese dovrebbero seguire 126.
Nell'ambito dell'analisi dei processi distributivi, l'ottica prevalente è
quella funzionalista e assume fondamentale importanza il concetto di canale
di distribuzione. Come scrive Sciarelli: "Il processo distributivo viene posto
in essere da un complesso di istituzioni economiche differenti, ciascuna
delle quali svolge una parte dei compiti necessari per far sì che i beni
prodotti siano posti a disposizione degli utilizzatori. [...]. L'insieme di
istituzioni che concorrono a far defluire le merci dalle fonti produttive ai
consumatori viene generalmente denominato 'canale di distribuzione' " 127.
All'ottica funzionalista si sovrappone un'altra istituzionalista: le istituzioni
sono definite sulla base delle funzioni svolte e la definizione del concetto di
canale deriva da tale sovrapposizione. E' ancora Sciarelli che sostiene: "il
canale può essere definito come 'l'insieme di unità operative, ordinate in
sequenza, che svolgono l'attività mercantile necessaria per trasferire un
bene dal produttore ai consumatori o utilizzatori industriali' " (128).
Un ulteriore tema che alimenta il dibattito nella disciplina in questi
anni di transizione è l'articolazione delle decisioni di marketing.
L'intensificarsi della pressione competitiva che caratterizza il periodo, e la
conseguente difficoltà di controllo del mercato da parte delle imprese rende
126
Questa distinzione ripropone alcuni problemi terminologici sulla differenza fra
marketing e distribuzione. Al riguardo si veda S. Sciarelli, op. cit., p. 55.
127 S. Sciarelli, op. cit., p. 19.
128 S. Sciarelli, op. cit., p. 27.
66
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
arduo il recupero dei notevoli investimenti tecnologici e produttivi.
Nell'opinione degli studiosi, alcune decisioni di marketing si caratterizzano
distintivamente rispetto alle altre proprio in relazione all'esigenza di
controllo del mercato. Esse sono:
• la segmentazione del mercato;
• l'innovazione di prodotto;
• la diversificazione produttiva;
• la struttura del canale distributivo e le relazioni con gli intermediari.
La particolarità di tali decisioni è ascrivibile a due dei maggiori
problemi che le imprese del periodo si trovano a dover fronteggiare: creare
un mercato per i propri prodotti ed esercitare un controllo su di esso.
Appare evidente che in primo luogo è necessario identificare le
possibili suddivisioni del mercato per poter selezionare quelle da servire.
Come afferma Sicca: "La politica di segmentazione del mercato può essere
definita come il riconoscimento da parte delle aziende di una determinata
situazione del mercato (spontaneamente determinatasi, o conseguente ad
una apposita azione aziendale) caratterizzata da molteplicità di domande
divergenti, allo scopo di adattare ad essa i propri programmi di produzione e
di vendita" 129. L'identificazione del mercato, attraverso la sua
segmentazione, segna il primo passo da seguire per qualsiasi politica di
mercato.
Ma il progresso tecnologico accentua le capacità di tutte le imprese di
fornire offerte adeguate alle esigenze di gruppi particolari di clienti.
L'opzione a disposizione della singola impresa è quella di rendere unica la
sua offerta attraverso l'innovazione. Come afferma Lorenzoni: "La politica
dei nuovi prodotti quindi si colloca in una prospettiva concorrenziale
particolare: anziché combattere gli altri concorrenti sul loro stesso piano,
rappresentato dal mercato del prodotto esistente, ci si rivolge alla creazione
di un mercato diverso, che molto spesso tuttavia ha legami col primo, sul
quale si opera come produttori unici seppure in un intervallo temporale
limitato" 130. L'innovazione di prodotto permette all'azienda di creare una
propria domanda ottenendo un elevato controllo su di essa, acquisendo la
posizione, almeno temporaneamente, di monopolista 131.
129
L. Sicca, Le gestioni industriali a produzioni multiple, CEDAM, Padova, 1966, p. 74.
G. Lorenzoni, La politica dei nuovi prodotti nell'economia delle aziende industriali.
Prime linee di studio sulle relative politiche, STEB, Bologna, 1968, p. 250.
131 In questo periodo è fervido il dibattito sulle caratteristiche che un prodotto deve
possedere per poter essere definito nuovo. Al riguardo si vedano: L. Sicca, op. cit., pp. 172173; G. Lorenzoni, op. cit.; L. Petix, op. cit., p. 48; R. Varaldo, op. cit.; M. Rispoli, La
politica dei nuovi prodotti, Isedi, Milano, 1972.
130
67
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
Nella stessa logica, per poter sfruttare la capacità produttiva
disponibile e per sottrarre spazio ai concorrenti, è conveniente offrire sul
mercato una varietà di prodotti così da soddisfare le esigenze dei diversi
segmenti identificati. La politica di diversificazione può essere
rappresentata da un continuum decisionale dove a un estremo si pone la
ridotta variazione rispetto all'offerta attuale, e all'estremo opposto
l'innovazione che permette all'impresa di diversificare in un settore
completamente differente da quello di appartenenza 132.
Le tre precedenti tipologie decisionali assumono un ruolo particolare
poiché rappresentano la controparte, dal punto di vista del marketing, delle
decisioni di allestimento della capacità produttiva (figura 2).
Figura 2 - Le interrelazioni decisionali fra produzione e marketing
Produzione
Marketing
segmentazione del mercato
Allestimento della capacità produttiva innovazione di prodotto
Î
diversificazione produttiva
I vantaggi derivanti dall'adozione di processi produttivi tipici della
produzione di massa sono limitati dall'incertezza sulle possibili reazioni
della domanda all'offerta dell'impresa. Affinché tale incertezza sia ridotta, il
marketing deve fornire indicazioni sulle dimensioni delle frazioni di
mercato da servire - così da permettere l'allestimento quantitativo della
capacità produttiva - e sugli aspetti distintivi di tali frazioni - così da
definire le tipologie di offerta da fornire.
Le decisioni di prodotto assolvono certamente un ruolo primario tra le
molteplici scelte di cui il marketing è responsabile. Le altre decisioni hanno
il compito di facilitare l'incontro fra l'impresa e il suo mercato. Il prodotto
rappresenta le due facce della stessa medaglia: da un lato è espressione delle
rigidità tecnologiche degli impianti della produzione di massa, dall'altro è
espressione della varietà delle esigenze dei clienti. Il marketing, attraverso
la decisione di selezione delle varietà - tramite la segmentazione -, e di
composizione di un'offerta differenziata - tramite l'innovazione e la
diversificazione - è responsabile della coesistenza delle due facce.
9. Brevi osservazioni conclusive
L’analisi degli studi italiani di marketing fin qui condotta induce a
proporre alcune prime considerazioni di sintesi.
132
Un notevole influsso sul dibattito sulla diversificazione e sull'innovazione viene
esercitato dalla letteratura sullo sviluppo dell'impresa, in principal modo Ansoff, Penrose e,
in Italia, Sicca.
68
L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta
Innanzitutto, da un punto di vista evolutivo, la disciplina mostra buone
capacità di equilibrio fra continuità e rinnovamento. Nei differenti periodi
storici qui analizzati, gli studiosi evidenziano da un lato notevole attenzione
a non intaccare il nucleo centrale della disciplina - nucleo che va evolvendo
esso stesso con il maturare della disciplina - permettendo così l’accumularsi
delle conoscenze relative al campo d’indagine prescelto; dall’altro lato
evidenziano un’altrettanto elevata sensibilità nel raccogliere gli stimoli
provenienti da una realtà estremamente mutevole e nell’identificare nuove
categorie concettuali e nuovi modelli in grado di descrivere e interpretare i
fenomeni osservati.
Inoltre, volendo utilizzare la terminologia degli studiosi di processi
creativi, la disciplina prosegue attraverso processi sequenziali di “pensiero
divergente” e di “pensiero convergente”, evidenziando notevoli capacità di
arricchimento. Infatti, a periodi di ampliamento del campo di indagine e,
quindi, di osservazione di fenomeni nuovi, di attenzione verso altre
discipline, di generazione di sentieri di sviluppo alternativi, succedono
momenti di convergenza verso impostazioni teoriche, modelli di analisi e di
interpretazione forti su cui costruire le basi per successive “divergenze”.
Da ultimo, e forse elemento di maggiore significatività che qualifica la
nostra disciplina, in un periodo di tempo così lungo gli studiosi mostrano
una costante attenzione alla realtà empirica, intendendo questa a due livelli:
un primo, quello dei fenomeni macro e micro ambientali che le imprese si
trovano ad affrontare nel loro quotidiano operare; un secondo, quello delle
decisioni che le imprese devono assumere nelle loro relazioni con i mercati
in cui competono.
Con il bagaglio costituito da tali capacità la disciplina si affaccia a un
trentennio in cui le verrà richiesta un’accelerazione, in termini di
produzione di nuove teorie, probabilmente mai vissuta in precedenza.
69
Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo
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6. Virna FREDDI, Attività economica e impresa nella concezione
economicista, febbraio 2000.
7. Virna FREDDI, L'approccio Resource-based alla teoria dell'impresa:
fattori interni e competitività aziendale, febbraio 2000.
8. Maria MARTELLINI, Sviluppo, imprese e società, maggio 2000.
9. Arnaldo CANZIANI, Per la critica della teoresi zappiana, e delle sue
forme di conoscenza, dicembre 2000.
∗ Serie depositata a norma di legge
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