Università degli Studi di Brescia Dipartimento di Economia Aziendale Giuseppe BERTOLI – Gabriele TROILO L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI DI MARKETING IN ITALIA DALLE ORIGINI AGLI ANNI SETTANTA Paper numero10 Dicembre 2000 L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI DI MARKETING IN ITALIA DALLE ORIGINI AGLI ANNI SETTANTA di Giuseppe BERTOLI ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese nell'Università degli Studi di Brescia e Gabriele TROILO ricercatore di Economia e Gestione delle Imprese nell'Università Commerciale “Luigi Bocconi” di Milano Una prima versione di questo lavoro è stata presentata in occasione del workshop Aidea Giovani “L’azienda nel tempo”, Venezia, Ca’ Foscari, 1213 giugno 1997. “Allo stesso modo con cui gli alpinisti conquistano le cime più eccelse della terra costituendo tanti ‘campi base’, sempre più avanzati, ognuno dei quali, però, è la continuazione di quelli precedenti che ne costituiscono la premessa, così gli studiosi tendono verso soglie scientifiche sempre più elevate, usufruendo, anch’essi, di tutto il materiale preesistente e delle conquiste che altri nel tempo hanno fatto” (E. Giannessi, 1969, p. 477) INDICE pagina 1. Premessa. 7 2. I primordi del marketing 7 3. Le antiche trattazioni 11 4. L'indirizzo descrittivo-negoziale: gli studi di Tecnica mercantile 19 5. L'indirizzo sistematico-gestionale: gli studi di Tecnica commerciale 27 6. I primi studi di marketing negli Stati Uniti d'America. Cenni 35 7. Gli studi tecnico-commerciali in Italia negli anni '30-40: la scuola funzionalista 37 8. Gli studi tecnico-commerciali in Italia negli anni ‘50-60 39 9. Brevi osservazioni conclusive 69 Bibliografia 71 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta 1. Premessa Nella letteratura internazionale non mancano certo ricostruzioni storiche dell’evoluzione attraversata dalla dottrina di marketing. Tali lavori riguardano però, pressoché esclusivamente, la realtà statunitense, e i motivi sono agevolmente comprensibili ove si ponga mente al notevole sviluppo che il marketing ha avuto in tale Paese.1 Manca, a tutt’oggi, un inquadramento storiografico della situazione italiana; e se a non pochi è presente, giacché l'hanno vissuta, lo è però in forme talora parziali. In questo lavoro, pertanto, ci proponiamo essenzialmente di delineare un’analisi degli studi di marketing sviluppati in Italia a partire dall’inizio del secolo fino agli anni Settanta. La scelta di limitare l’area d’indagine a tale periodo deriva, oltre che da evidenti considerazioni in ordine alla mole di opere da analizzare, dalla convinzione che il periodo tra la fine degli anni Sessanta e gli inizi del decennio successivo - caratterizzato da rilevanti trasformazioni sociali, politiche, economiche e istituzionali - si rifletta sugli studi oggetto d’indagine segnando l’avvìo a un periodo di rilevante cambiamento, che necessita di uno specifico approfondimento e quindi di un’ulteriore ricerca. 2. I primordi del marketing I primi studi italiani esplicitamente dedicati al marketing appaiono in Italia – pur con altra denominazione - solo verso la metà del nostro secolo. Questi scritti, però, pur rappresentando per non pochi aspetti un quid novi – arduo da riconnettersi alle categorie analitiche fino ad allora usuali – trovano il loro terreno di sviluppo in quel complesso di studi volti ad analizzare le molteplici problematiche connesse agli scambi di mercato2 da 1 Cfr., per esempio, P.D. Converse, The Beginning of Marketing Thought in the United States, University of Texas, Bureau of Business Research, 1959; R. Bartels, The Development of Marketing Thought. Homewood (Ill.), R.D. Irwin, 1962; J.N. Shet e D.M. Gardner, “History of Marketing Thought: An Update”, in R. Bush, S. Hunt (eds.), Marketing Theory: Philosophy of Science Perspectives, American Marketing Association, 1982, pp. 52-58; S. Hunt, Marketing Theory: The Philosophy of Marketing Science, Homewood (Ill.), R.D. Irwin, 1983; J.N. Shet, D.M. Gardner, D.E. Garrett, Marketing Theory: Evolution and Evaluation, New York, Wiley & Sons, 1988. 2 “Il marketing ha, come presupposto, l’esistenza del mercato e quindi l’idea dell’impresa che ne diviene l’artefice all’atto stesso in cui il processo produttivo esce dall’ambito autossitico dell’economia domestica per divenire fatto realizzato per via indiretta, ossia per via di scambio. L’impresa scambia per produrre, e nello scambiare per produrre, oltre che un problema d’acquisto, ha sempre un problema di vendita da affrontare” (U. Caprara, “La sistemazione dottrinale della tecnica mercantile e bancaria nelle rievocazioni di un ottuagenario”, Finanza Marketing e Produzione, n. 1, 1983, p. 17. Del Caprara si veda, sul 7 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo tempo presenti nel nostro ordinamento universitario. In effetti, il marketing sia come disciplina di studio sia, a maggiore ragione, come processo aziendale - ha una storia assai antica. Alcune ricerche sottolineano infatti lo stretto legame intercorrente fra lo sviluppo del capitalismo e quello delle attività di marketing, nel senso che “The marketing developed in the modern western world is the concrete manifestation of capitalist ideals”.3 Com’è noto, gli storici ritengono che le prime manifestazioni del capitalismo si possano far risalire alla metà del secolo XIII. Esse hanno un fondamento essenzialmente mercantile, poiché la forza d’impulso è rappresentata dall’attività del mercante-imprenditore, al quale spetta l’iniziativa e il rischio della produzione per il mercato. Fin verso la metà del XVIII secolo, comunque, lo sviluppo dell’organizzazione industriale benché costante - procede assai lentamente. Esso assume un ritmo estremamente più veloce a séguito della rivoluzione industriale, con la quale - pur nel continuum temporale - si può dire nasca il capitalismo industriale e, con esso, anche il marketing (inteso quale prassi aziendale). L’importanza della rivoluzione industriale ai fini che qui rilevano consiste essenzialmente nel fatto che con essa prende avvìo un processo di sviluppo che dà luogo a una serie di profondi cambiamenti, fra loro strettamente interrelati: nella tecnologia, nei consumi, nel sistema distributivo e nei processi competitivi. Semplificando al massimo un tema assai più complesso, si può affermare che, per quanto riguarda il primo aspetto, il paradigma tecnologico che si afferma con la rivoluzione industriale crea le condizioni per un sostanziale e continuo progresso tecnico-scientifico, il quale - a propria volta - consente una più elevata produttività del lavoro umano e lo sviluppo di sempre nuovi prodotti. L’incremento della produzione e dell’occupazione, dal canto loro, stimolano, nel tempo, un sensibile aumento dei consumi, a lungo rimasti a livello di semplice sussistenza per gran parte della popolazione. L’affermarsi dell’industria moderna, poi, modifica sensibilmente i rapporti fra produzione e mercato: mentre in presenza di un’economia artigianale - in cui i vari operatori producono e vendono direttamente nelle loro botteghe i propri prodotti - esiste la massima integrazione tra produzione e vendita, in un’economia di tipo industriale gli assortimenti e le quantità delle produzioni realizzate sono tali che occorre disporre di un’apposita organizzazione per collocare sul tema, anche La genesi dell’economia di mercato, Milano, Giuffrè, 1950, rist. 1987, in specie i capp. 1 e 2). 3 Il punto è ben sviluppato da R.A. Fullerton, "Modern Western Marketing as a Historical Phenomenon: Theory and Illustration", in T. Nevett e R.A. Fullerton (eds.), Historical Perspective in Marketing. Essays in Honor of Stanley Hollander, Lexington Books, Lexington (Mass.), 1988, pp. 71-9. Cfr. anche S. Hollander, "The Marketing Concept: a déjà vu", in G. Fisk (ed.), Marketing management Technology as a Social Process, New York, Praeger, 1986. 8 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta mercato i manufatti realizzati. Lo sviluppo industriale e la progressiva affermazione della grande impresa, infine, comportano un mutamento delle logiche competitive, aumentando il grado d’interdipendenza fra imprese e favorendo - nel tempo – l’utilizzo di strumenti concorrenziali diversi dal prezzo.4 In estrema sintesi, è sufficiente ricordare che, a séguito della rivoluzione industriale, la situazione economica dei paesi più avanzati passa - in un volgere di anni più o meno lungo - da situazioni di diffusa scarsità di beni di consumo a situazioni di relativa saturazione o, addirittura, a fenomeni di impossibilità, da parte della domanda, di assorbire - in un numero crescente di settori merceologici - tutti i beni che l’aumentata capacità produttiva rende man mano disponibili. In relazione a questa situazione, il rapporto impresa-mercato tradizionalmente fondato sulla preponderanza del momento produttivo - si trasforma progressivamente: l’impresa, infatti, non più in grado di contare sulla spontanea capacità di assorbimento da parte del mercato, procede allo sviluppo di metodi e politiche - il marketing, appunto - atti a potenziare la possibilità d’influenzare o, comunque, controllare il mercato. Nelle fasi storiche immediatamente successive alla rivoluzione industriale e fino ai primi anni del nostro secolo, il marketing rimane però a uno stadio alquanto embrionale, che non corrisponde al significato che ormai gli viene correntemente attribuito nella dottrina e nella pratica aziendale. L’allargamento dei mercati di consumo conseguente alla rivoluzione industriale si manifesta infatti in un primo tempo in misura superiore rispetto all'aumento della produzione, sicché la quantità di prodotti offerta rimane a lungo insufficiente a soddisfare appieno la domanda. E' evidente che, in queste condizioni, gli operatori economici non possano che indirizzare la loro attenzione e i loro sforzi verso il problema più urgente: l’incremento della produzione. Ciò non significa, ovviamente, che le attività di marketing (lato sensu intese) non abbiano alcun rilievo o, addirittura, non esistano; ma semplicemente che esse non sono quelle più critiche. In particolare, l’impresa industriale non avverte la necessità di interessarsi direttamente del consumatore: le sue funzioni, i suoi compiti, si esauriscono nel realizzare i prodotti e consegnarli all’intermediario, grossista o dettagliante che sia. Esiste, pertanto, una separazione piuttosto netta fra le funzioni produttive (svolte dalle imprese manifatturiere) e quelle d’intermediazione 4 I temi qui adombrati sono trattati da una vasta letteratura. Per limitarci agli Autori italiani, si possono consultare: R. Fazzi, La produzione di massa, Firenze, Coppini, 1958; O. Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, Milano, Giuffrè, 1963; R. Varaldo, Aspetti della politica di marketing nelle aziende industriali, Pisa, Cursi, 1969; W.G. Scott, "Lo sviluppo teorico del marketing", in L. Guatri e W.G. Scott (a cura di), Manuale di marketing, Milano, Isedi, 1976, 2^ ed., pp. 115-21; S. Podestà, “Nuovi sviluppi del marketing”, in Aidea, Il marketing dei servizi, Milano, Giuffrè, 1982, pp. 9-10. 9 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo commerciale (svolte dalle imprese mercantili). Il maggior potere di mercato spetta agli intermediari commerciali (in particolare alle imprese grossiste), i quali - in genere - indicano ai produttori industriali quali beni porre in lavorazione, pre-finanziano i processi produttivi, fronteggiando i rischi commerciali attraverso la predisposizione di assortimenti molto ampi e modificandoli in funzione dell'evoluzione della domanda. In questa situazione, sono i consumatori che vanno alla ricerca dei beni e, quindi, di coloro che li producono o li distribuiscono e non viceversa; fatto - questo - che spiega perché l'impresa non avverta il bisogno di studiare le caratteristiche e le esigenze della domanda, ma finisca con l’adeguarsi passivamente alle esigenze del mercato (espresso dagli intermediari), competendo quasi esclusivamente attraverso le politiche del prezzo e dell’assortimento.5 Per quanto in particolare riguarda il nostro Paese, la situazione qui ricordata si riflette sull'impostazione degli studi ‘tecnico-commerciali’, i quali concentrano il proprio interesse sull'attività mercantile, sui processi distributivi, disinteressandosi dell'attività svolta dall'impresa industriale vista quale mero fatto ‘ingegneristico’. Saranno questi studi, però, a rappresentare il corpo naturale in cui s'inserirà - "in sovrapposizione o ad integrazione"6 - la moderna teorica del marketing. Anche negli Stati Uniti, del resto, il fatto che, nei vari mercati, esista comunque, agli inizi del secolo, una domanda vivace focalizza l'attenzione soprattutto sulle problematiche di carattere distributivo. Si comprende così perché, nella letteratura americana d'inizio secolo, distribution e marketing abbiano, sostanzialmente, il medesimo significato. Questa interpretazione ha dominato a lungo il pensiero degli studiosi (non solo di quelli statunitensi), cosicché non sono stati pochi coloro che hanno pensato al marketing semplicemente come a un sinonimo dell'attività di vendita, non riuscendo in tal modo a rendersi conto per quali motivi impiegare un termine nuovo per un'attività che, di fatto, esiste da secoli.7 Basti ricordare, del resto, che, ancora negli anni settanta, la definizione di marketing proposta 5 Cfr. B. Di Bernardo e E. Rullani, Il management e le macchine. Teoria evolutiva dell'impresa industriale, Bologna, il Mulino, 1990, p. 400 e pp. 410-11. 6 Le parole fra virgolette sono di C. Fabrizi, Tecniche e politiche di vendita. Elementi di marketing, Padova, Cedam, 1967, 2^ ed., p. 10. 7 Si veda, ad esempio, il polemico scritto di A. Chianale, "Il marketing italiano", Rivista italiana di ragioneria, nn. 5-6, p.105, il quale così scrive: “Scritti su tale materia (n.d.a. il marketing) erano già noti in Italia or fa quasi trent’anni, sebbene i nostri studiosi non vi abbiano dato rilievo, assorti com’erano, in quell’epoca , a nobilitare il prosaico ‘Banco modello’ rivestendolo di abiti degni di comparire nelle scientifiche assise. Era quindi evidente che dissertare ‘sul vendere’, sull’arte del vendere o sullo smercio dei prodotti paresse quasi, a cultori che ansimavano verso le vette della scienza, ritombolare verso i bassifondi della ‘mercatura’, di quella mercatura sempre tenuta a vile dai popoli latini mai immemori della legge Flaminia che dichiarava plebea la professione del mercante vietandone l’esercizio ai patrizi”. 10 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta dall'American Marketing Association faceva riferimento al complesso di attività che dirigono "the flow of goods and services from producers to consumers and business users". In questi termini, esso non è qualcosa di distinto dalle attività tipiche del commercio, vale a dire dalle funzioni svolte dopo che sia stata effettuata la produzione e che riguardano essenzialmente gli stadi successivi dell'ingrosso e del dettaglio. Nelle prossime pagine tratteggeremo pertanto un breve quadro dell'evoluzione avvenuta negli studi 'tecnico-commercali' italiani, evoluzione che crediamo permetta di meglio comprendere le radici di quegli elementi di originalità che caratterizzano - rispetto per esempio all'impostazione statunitense - gli studi di marketing sviluppati in Italia. 3. Le antiche trattazioni Nel percorso evolutivo delle dottrine economico-aziendali, è possibile individuare un periodo iniziale - che si estende all'incirca dalle ‘origini’8 fin verso la fine del secolo XIX - dominato da trattazioni d'ispirazione ‘empirica’, non condotte per scopi di ricerca scientifica e di conoscenza teorica, bensì per fini esclusivamente professionali e precettistici; si tratta, cioè, di opere che descrivono - solitamente per il mezzo di esempi - i procedimenti tecnici espressi dalla 'pratica commerciale'.9 Tali trattazioni riguardano o l’arte di tenere i conti o i precetti giudicati utili per l’esercizio pratico dell’attività mercantile. Per quanto, in particolare, riguarda questo secondo genere di opere, esse si occupano del commercio, colto negli aspetti degli istituti tipici e delle operazioni caratteristiche. Le origini più lontane di questi lavori si possono far risalire alle raccolte di “notizie” redatte nel periodo medioevale in merito allo svolgimento dei traffici mercantili. Com'è noto, quei secoli segnano l'inizio di una nuova ‘era di vita’, nella quale - a séguito di una serie di fattori, tra 8 A proposito di tali ‘origini’, si veda P. Onida, Le discipline economico-aziendali: Oggetto e metodo, Milano, Giuffrè, 1951, 2^ ed., p. 3. 9 Osserva giustamente C. Vallini Fondamenti di governo e di direzione d'impresa. Fasc. I: L'impresa reale e la sua teleologia, Torino, Giappichelli, 1990, p. 16, che "Le prime osservazioni dottrinali specificamente rivolte all'impresa presentavano, tutte, natura tecnica, si trattasse di tecniche della produzione, di tecniche dei negozi o di tecniche di rilevazione contabile". Anche le discipline aziendali - "come la generalità delle scienze" - sono nate dunque sotto forma di arte (G. Dell’Amore, "Attuali orientamenti negli studi di tecnica commerciale", Estratto dal Bollettino dell'Associazione P. Lanzoni, anno XL, n. 128, Venezia, Tipografia Emiliana, 1939, p. 3), termine che è qui da intendersi nel senso aristotelico di pura attività pratica. Come infatti rilevano G. Panati e G. Golinelli, Tecnica economica industriale e commerciale, Roma, N.I.S., 1988, p. 221: "Tecnica è termine greco, in tutto equivalente all'arte dei latini; termini che significavano entrambi 'arte lavorativa', artificio, destrezza, abilità (grosso modo quello che gli anglosassoni intendono con skills: dunque 'saper e fare bene', utilizzare praticamente un know how ..."). 11 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo cui l'indipendenza dei Comuni italiani, la rivalorizzazione del Mediterraneo, lo sviluppo socio-demografico - anche l'economia surmoltiplica i suoi andamenti: i traffici e i commerci aumentano notevolmente, l'economia monetaria trionfa, il credito si diffonde, vengono alla ribalta la cambiale e gli altri titoli di pagamento, le imprese industriali, bancarie e mercantili si moltiplicano, le fiere attraggono folle di mercanti e di banchieri, le vie di comunicazione sono rese più agevoli e sicure, il commercio internazionale si sviluppa. A séguito di tutto questo rigoglìo economico, si manifesta sempre più la necessità di migliorare ed estendere l'impiego delle scritture contabili; di formulare e diffondere procedimenti e regole per i calcoli, le misurazioni e le valutazioni; di elaborare norme da seguire nell'esercizio dell'attività mercantile e bancaria: da qui lo sviluppo delle registrazioni (si ricordi che il XIII secolo rappresenta l'epoca cui si fanno risalire le origini della Partita Doppia) e l'apparizione dei primi trattati di computisteria e dei primi manuali di ‘pratica commerciale’. Per quanto riguarda questi ultimi, l'opera italiana più antica di cui si ha notizia e che tratta diffusamente l'argomento con una certa sistematicità è la Pratica della mercatura, compilata (fra il 1335 e il 1345) dal fiorentino Francesco di Balducci Pegolotti. Al secolo successivo appartengono l'omonima Pratica della mercatura di Giovanni da Uzzano (1442), Della mercatura e del mercante perfetto di Benedetto Cotrugli (scritto nel 1458, ma pubblicato solo nel 1573), El libro de mercantie et usanze dei paesi di Giorgio di Lorenzo Chiarini (1481). Nel complesso, queste opere si possono comprendere - per dirla con V. Alfieri 10 - "nella vasta classe dei libri di regole, di quei libri, un tempo numerosi e apprezzati, che riguardavano specialmente il modo di governarsi nella vita e le arti. Nessuna pretensione scientifica in essi. Norme, massime, precetti; qua e là soltanto qualche fiore rettorico, qualche citazione pedantesca, qualche sentenza morale." Per esempio, l'opera del Cotrugli, indubbiamente la più nota fra quelle sin qui menzionate (tradotta anche in francese nel 1582), tratta sì della compravendita, delle modalità di riscossione e pagamento, dei cambi, delle scritture contabili, ma anche delle "cose proibite" al mercante, della religione, della dignità, dell'abitazione del mercante e perfino dell'abbigliamento e degli ornamenti della di lui moglie! Alcuni storici hanno rilevato un'analogia di intendimenti fra questi lavori e i cosiddetti ‘Portolani’, i quali - in quell'epoca assai diffusi offrivano dettagliate informazioni in ordine alle caratteristiche delle località portuali ove più si concentrava il commercio marittimo e su talune condizioni geografiche che potevano interessare ai fini della navigazione. 10 V. Alfieri, "Le regole, le classificazioni ed i concetti filosofici nelle opere italiane di ragioneria", Rivista italiana di ragioneria, n. 3, 1918, p. 59. Su questo Autore si può vedere il saggio di L. Serra, “Benedetto Cotrugli e la sua opera”, Rivista Italiana di Ragioneria e di Economia Aziendale, nn.3-4, 1989, pp. 179 e ss. 12 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta Anche i ‘manuali di mercatura’, infatti, riassumevano le cognizioni che una lunga pratica commerciale aveva fornito ai loro autori circa le piazze in cui si contrattavano le varie merci, i procedimenti mercantili più diffusi, i pesi e le misure adottati nell'espressione delle quantità negoziate, le monete nelle quali venivano espressi i prezzi, gli oneri fiscali e gli altri costi connessi al trasferimento delle partite di merci nello spazio. L'utilità che questi manuali - veri e propri vade mecum del mercante, li definisce il Melis - recavano alla gestione delle aziende commerciali doveva essere certamente elevata in un'epoca in cui la cultura economica era patrimonio di una cerchia ristrettissima di persone: sembra pertanto fondata l'ipotesi che ciascuna compagnia mercantile di qualche importanza disponesse di un manuale di questo tipo.11 Dopo quelle del Cotrugli e del Chiarini, per un lunghissimo torno di anni non si segnalano pubblicazioni particolarmente rilevanti, almeno fino al 1638 allorché viene data alle stampe l'opera di Giovanni Domenico Peri, dal titolo: Il negotiante. Si tratta di un'opera vasta, che compendia numerose cognizioni utili per il commerciante: dall'aritmetica alla contabilità, dalle informazioni sul commercio e sulle piazze commerciali a quelle, prevalentemente di carattere giuridico, relative alle operazioni di compravendita, alle forme di pagamento, al credito (prestiti, depositi, conti correnti, cambiali ecc.), alle assicurazioni e persino alla corrispondenza commerciale. Il genere di opere in discorso si moltiplica nei secoli XVI e XVII, in relazione anche all'affermarsi del mercantilismo. Si tratta, com'è noto, di una dottrina economica 'nazionalista', mirante a promuovere, con l'intervento dello Stato, le industrie e il commercio nazionali, sviluppando particolarmente le esportazioni di prodotti finiti e limitando le importazioni alle materie prime indispensabili.12 La politica mercantilista implica una regolamentazione dell'attività commerciale, che indubbiamente intralcia il 11 L'ipotesi cui si fa riferimento nel testo è avanzata da F. Sapori, "La cultura del mercante medioevale italiano", Studi di storia economica medioevale, Firenze, Sansoni, 1946, 2^ ed. Per un inquadramento del tema, si veda anche il sempre mirabile F. Melis, Aspetti della vita economica medievale, Siena, Monte dei Paschi, 1962. La citazione del Melis si riferisce però a Storia della ragioneria, Bologna, Zuffi, 1950, p. 384. Una ricostruzione storica del processo formativo degli studi tecnico-commerciali si può leggere in P. Rigobon, Studii antichi e moderni intorno alla tecnica dei commerci, Discorso inaugurale dell'a.a. 19101902 nella R. Scuola superiore di commercio di Bari, Bari, Tipografia Avellino, 1902. 12 “Il commercio – scrive Jean Baptiste Colbert – è la sorgente delle finanze, e le finanze sono il nerbo della guerra”. In queste poche parole si può cogliere l’essenza della politica mercantilistica: il fine dello Stato è l’accrescimento della propria potenza e il mezzo è la forza militare. Ma le guerre sono costose: da qui il ruolo-chiave della finanza, a sua volta alimentata dalla crescita della ricchezza nazionale ottenuta con l’intensificazione della produzione e degli scambi, soprattutto con l’estero. Cfr., per es., F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo, vol. II: I giochi dello scambio, Torino, Einaudi, 1981, pp. 549-554 (ove ampi riferimenti bibliografici). 13 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo libero svolgersi dei traffici e richiede, d'altro canto, in chi si dedica al commercio, una serie di cognizioni giuridiche e fiscali, oltreché tecniche. Da qui un'ulteriore fioritura dei manuali di pratica commerciale, in cui s’impartiscono al commerciante nozioni e precetti da seguire affinché la sua attività risulti il più possibile redditizia. Opera di questo genere è quella di Jacques Savary (padre), consigliere commerciale di Colbert, potente ministro della Finanze del Re Sole, pubblicata a Parigi nel 1675 con il titolo Le parfait négotiant ou instruction générale pour ce qui regarde le commerce de toute sorte de merchandises. Tale pubblicazione, tradotta in italiano e in altre lingue, ha dato l'avvìo a una serie di libri ad essa ispirati, i quali possono considerarsi come manuali di arte commerciale. Tra questi, si può ricordare l'opera di A. Nazari, Il mercante, pubblicata a Brescia nel 1685. Come rileva Onida, queste opere, sottoforma di trattazioni più o meno sistematiche o di enciclopedie commerciali, contribuiscono, unitamente agli scritti di aritmetica commerciale e di contabilità, a costituire quel complesso di materie che, nei paesi di lingua tedesca, vengono denominate Handelswissenschaften. Tali opere, specie le enciclopedie, trattano di tutto quanto poteva riguardare il commercio, ivi comprese le nozioni di scienze naturali, di merceologia, di geografia, di storia economica, di politica commerciale e così via. Esse tendono cioè a delineare un sistema di scienze del commercio. L'epoca delle trattazioni sistematiche di questa materia si ritiene sia iniziata in Germania, 13 nella seconda metà del secolo XVIII, con l'opera di Carl Gunter Ludovici (professore all'Università di Lipsia): Eroffnete Akademie der Kaufleute oder Vallstandiges kaufmanns-Lexikon (1752-56). Si tratta, appunto, di un'enciclopedia, nella quale le scienze riguardanti il commercio sono distinte in "principali" e in "ausiliarie". Costituisce oggetto delle prime la conoscenza delle merci, del commercio, dei suoi istituti, delle sue operazioni, delle piazze commerciali, delle monete, delle misure, della contabilità. Fra le discipline ausiliarie si collocano, invece, la politica commerciale, la storia del commercio ed altre. L'animus della trattazione di Ludovici non differisce, però, da quello di Savary: come nel Parfait négotiant, anche qui non si tratta che di un'ordinata serie di regole e di precetti, un'arte commerciale, appunto. Anche l'Autore tedesco, come quello francese, "è lontano dal considerare le cose sotto un aspetto teorico, dal volere ricondurre quanto è empiricamente noto a princìpi generali e a leggi di carattere scientifico". Un intento diverso si rinviene, invece, nell'opera di Johann Michael Leuchs (commerciante ed editore norimberghese), System des Handels, 13 Cfr. P.E. Cassandro, "Disegno storico delle dottrine economico-aziendali tedesche", Rivista italiana di ragioneria, n. 4, 1937, da cui è tratto il giudizio sull'opera del Ludovici, riportato fra virgolette nel testo in chiusura del capoverso. 14 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta comparsa in prima edizione nel 1804, opera che prelude - tenuto conto del tempo - alle trattazioni della Betriebswirtschaftslehre. Si trova in essa una trattazione (anche se solo sommariamente teoretica) dei mezzi di scambio, della determinazione del valore, della tecnica del commercio e persino un tentativo di teoria della probabilità dei fenomeni commerciali. Un'altra opera molto diffusa, edita nel 1823, è quella del Sonnleither, Handelswissenschaft, tradotta in italiano nel 1844. Tipicamente rappresentativo di tale genere di opere è, in Italia, il Trattato generale del commercio del Garello, nel quale l'Autore indirizza le proprie informazioni "alla gioventù che intraprende la carriera mercantile", pubblicato per la prima volta nel 1844 e la cui ultima edizione risale al 1863. Tutte le pubblicazioni sin qui ricordate s’ispirano, dunque, al più schietto empirismo, non fondato su metodiche ricerche scientifiche, benché nelle opere migliori, come in quella del Leuchs, le operazioni commerciali vengano considerate anche sotto il profilo econonomico-aziendale, enunciando qualche norma, sia pure empirica, di gestione. Abbiamo sin qui circoscritto la nostra attenzione alle opere relative alla ‘pratica del commercio’; non è da credere, comunque, che i paralleli e talvolta congiunti contributi relativi all'arte di 'tenere i conti' fossero teoricamente molto più evoluti. Verso la seconda metà del XIX secolo, però, gli studi "economicoamministrativi" sembrano intraprendere con Francesco Villa (1801-1884) la strada della sistemazione teorica. Nella prefazione della sua opera maggiore - Elementi di amministrazione e contabilità14 - l'Autore afferma infatti esplicitamente che la materia della quale intende trattare non concerne solamente i calcoli relativi alle operazioni aziendali e la tenuta dei registri contabili, ma anche i princìpi teorico-pratici che debbono guidare l'amministrazione delle varie categorie di aziende. Anche se "è difficile sostenere che il Villa abbia avuto un'idea sia pure approssimativa della unità economica della vita aziendale",15 egli offre una prima, benché sommaria, trattazione dei problemi economici della gestione aziendale. Si pensi che l'Autore, prefiggendosi di fornire "cognizioni economico-amministrative", anziché limitarsi ad esporre in dettaglio - secondo l'uso dell'epoca - la casistica delle varie strutture di negoziazione commerciale tratteggia i caratteri della gestione manifatturiera, agricola, commerciale e delinea alcuni criteri gestionali utili ai fini del governo dell'impresa. Si rinvengono cenni in merito ai criteri d'investimento e di organizzazione industriale, sulle politiche di prezzo e di promozione delle vendite e anche qualche 14 Edita a Pavia, da Bizzoni, nel 1850. Le parole sono di E. Giannessi, I precursori in economia aziendale, Milano, Giuffrè, 1980, 4^ ed., p. 26. 15 15 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo considerazione sui processi formativi delle scorte, nonché sulle relazioni intercorrenti fra dimensioni aziendali e strutture organizzative.16 Le linee intraviste dal Villa, da alcuni ritenuto il vero precursore dell'economia aziendale,17 sono però sostanzialmente ignorate dagli scrittori di 'pratica commerciale' operanti sul finire del secolo XIX. Il loro obiettivo continua ad essere soltanto quello di illustrare le principali nozioni sulle istituzioni commerciali e sulle operazioni mercantili, ricorrendo anche alla simulazione di 'affari reali'. 18 A questo genere di opere corrisponde, nelle da poco istituite Regie Scuole superiori di commercio,19 un particolare insegnamento denominato Banco modello, termine che traduce letteralmente quello di Musterkontor, usato allora per un analogo insegnamento impartito nelle Handelshochschulen tedesche. Più precisamente e per usare le parole di Piero Rigobon, uno dei più noti docenti: il Banco modello tendeva a "far praticamente conoscere ai 16 R. Fazzi "Formazione storica e prospettive degli studi sui comportamenti imprenditoriali", in AA.VV., Studi di Tecnica Economica Organizzazione e ragioneria. Scritti in memoria del prof. Gaetano Corsani, Pisa, Cursi, 1966, p. 329. 17 Questa è l'opinione di P. Onida, Le discipline economico-aziendali. op. cit., pp. 16-22; 192-3. Grande rilievo all'opera del Villa annette anche R. Fazzi, op. ult. cit.., p. 327-30. Si vedano tuttavia anche le osservazioni, più critiche, di E. Giannessi, op. cit., p. 27. Per un compiuto esame dell'opera del Villa si rinvia allo studio di R. Ferraris Francheschi, Aspetti evolutivi della dottrina economico-aziendale: Francesco Villa, Pisa, Cursi, 1970. 18 Cfr. P. Rigobon, Alcune osservazioni sul Banco Modello nella Scuola Superiore di Commercio di Bari, op. cit., p. 7. 19 Tali Scuole sono le progenitrici della attuali Facoltà di Economia. La prima di tali scuole istituita in Italia fu quella di Venezia (1866), il cui statuto fu modellato sulla base di quello della scuola di Anversa (istituita nel 1853). La scuola veneziana, la cui direzione venne affidata all’economista F. Ferrara, si articolava in tre sezioni: quella commerciale, quella magistrale (volta a preparare i docenti per gli istituti tecnici, da pochi anni affiancati ai licei nell’ordinamento dell’istruzione secondaria), che rimase per molti anni l’unica in Italia, e quella consolare (che preparava alla carriera diplomatica). I corsi duravano tre anni. Sulla scia di quella veneziana, altre scuole sorgono successivamente per far fronte alle crescenti necessità della vita economica, tant’è che nel 1906 si possono contare, oltre a quella veneta, la Scuola di Genova (1884), di Bari (1873, la cui direzione venne affidata all’allora giovanissimo M. Pantaleoni), di Milano (Università “L. Bocconi”, 1902), di Torino e Roma (1906). Quella di Venezia fu non solo la prima scuola italiana, ma una delle prime nel mondo, precedendo quelle di Lipsia (1898), Colonia (1901), Francoforte sul Meno (1901), Berlino (1906), Vienna (1898), Londra (1893), Birmingham (1900), S. Gallo (1905). Fu però solo con il R.D. 15 luglio 1906 che, in Italia, venne concesso il titolo di “dottore” ai laureati di tali scuole. Qualche notizia su queste istituzioni si può leggere in T. Antoni, Fabio Besta. Contributo alla conoscenza degli studio aziendali, Pisa, Cursi, 1970, pp. 12-3; L. Dal Pane, “Le origini dell’Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Bari”, in AA.VV., Scritti in onore di G. Dell’Amore. Saggi di discipline aziendali e sociali, vol. I, Milano, Giuffrè, 1969, pp. 268-81; E. Resti, Ferdinando Bocconi. Dai grandi magazzini all’università, Milano, Egea, 1990, pp. 87-106; da ultimo, più ampiamente, AA.VV., Storia di una libera università, Milano, Egea, 1992, vol. I. 16 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta giovani come si iniziano, si svolgono, si liquidano le diverse operazioni di commercio e di banca; come l'una con l'altra si completino e quali siano gli usi che le regolano, e si propone inoltre di esercitarli nella corrispondenza, nei calcoli, nei documenti e nelle registrature che dalle operazioni derivano"20. E, sulla stessa linea, aggiunge Ferruccio Cevasco: "il Banco Modello comprende una serie di cognizioni, di norme e d'insegnamenti pratici, principalmente d'indole economico-giuridica, la cui ordinata conoscenza è necessaria è necessaria per completare l'educazione commerciale e per l'esercizio del commercio. Dicendo: che l'ordinata conoscenza di quelle norme è necessaria all'esercizio intelligente del commercio, non vuolsi già affermare che tutti i commercianti colti e intelligenti abbiano appreso alla scuola di banco; ma che quelle cognizioni da essi acquisite colla lunga esperienza, formano materia del banco Modello, il quale appunto dalla pratica trae la parte più viva ed efficace".21 I corsi di Banco Modello non avevano dunque alcuna pretesa scientifica, cercavano solo di riprodurre in aula lo svolgimento delle 20 P. Rigobon, Alcune considerazioni sul Banco Modello nella R. Scuola Superiore di Commercio di Bari, op. cit., p. 5. Si tratta, come nel caso del Cevasco, della relazione presentata al Congresso internazionale per l'insegnamento commerciale tenuto a Venezia nel maggio 1899. . Rigobon (1868-1955) fu titolare della cattedra di Banco Modello prima nella R. Scuola di commercio di Bari e poi in quella di Venezia, ove fu stretto collaboratore del Besta, collaborando con V. Alfieri e C. Ghidiglia all'editio maior de La ragioneria (Milano, Vallardi, 1922, 3 voll.). Tra le sue pubblicazioni, prevalentemente di carattere storico-contabile (cfr., per es., "Alcuni appunti storico-bibliografici intorno alla partita doppia sintetica applicata alle aziende mercantili" nelle Monografie edite in onore di Fabio Besta nel XL anniversario del Suo insegnamento, Roma, Tipografia nazionale di C. Bertero & Co., 1912, pp. 657-82), possiamo ricordare i poco conosciuti: Sul commercio degli oli di tavola e Sul commercio degli zolfi, entrambi editi a Venezia da Draghi nel 1894; Tecnica dei commerci, Padova, La Litotipo, 1920. Qualche notizia sull'Autore si può leggere in E. Giannessi, I precusori in economia aziendale, op. cit., pp. 186-91. 21 F. Cevasco, L'insegnamento del Banco Modello. Considerazioni. Genova, Stabilimento Tipografico L.A: Campodonico, 1899, p. 8, il quale così preosegue: “Il Banco Modello ha un contenuto proprio; un insieme di principi, desunti dall’esperienza e che, ordinati ed insegnati con mira speciale alle pratiche applicazioni, costituiscono una vera arte, che potrebbe anche dirsi l’arte degli affari. Esso attinge anche verità e ammaestramenti principalmente alle discipline economico-giuridiche, ma coordina e armonizza il tutto con le esigenze della pratica, dell’ambiente, degli usi e delle consuetudini, ed è appunto perché di tali principi insegna gli effetti pratici e la loro valutazione nei calcoli mercantili, che può dirsi con ragione costituire il Banco Modello, una serie ordinata di principi facenti parte a sé, e tendenti a uno scopo determinato: l’arte di ben condurre le operazioni commerciali”. La medesima impostazione è ribadita dall'Autore in Per una definizione del Banco modello, Como, Tipografia editrice Ostinelli, 1906. Sul tema si può consultare anche F. Besta, E. Castelnuovo, Sull’ordinamento del Banco Modello, Memoria presentata al Secondo Congresso degli Istituti industriali e commerciali italiani, Torino, Baravalle e Falconieri, 1902. 17 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo operazioni bancarie e mercantili, con procedure sovente semplicistiche,22 come confermano le seguenti parole di Nicola Garrone (infra), riferite alla visita da egli stesso compiuta nel 1906 all'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali23 di Roma appena istituito: “(l)’aula di banco occupava un salone (del) palazzo. Nel mezzo di tale salone era stato costruito un tramezzo di legno, con uno sportello. Si erano fatti stampare valanghe di moduli di cambiali, assegni, registri, che gli allievi dovevano esercitarsi a riempire, e, tra l’altro si erano stampati dei fac-simile di biglietti di banca (...): un allievo stava nel salone di qua dallo sportello, ed un altro di là, e tutti e due operavano scambiandosi fra loro i biglietti.”24 E’ agevole dedurre, da tali parole, quale potesse essere il livello scientifico dei corsi di Banco modello impartiti nelle scuole di commercio. L'istituzione di tali scuole segna tuttavia una tappa importante nel processo evolutivo degli studi economico-aziendali, poiché è solo dopo la fondazione delle Handelshochschulen che si può incominciare a parlare di una ‘dottrina’ che studia l'economia delle aziende. In effetti, sono proprio alcuni studiosi maturati in tali scuole a proporsi di reagire contro l'accennato stato di diffuso empirismo, cercando di dar vita a un corpus di princìpi e di norme idonei a offrire un quadro logico delle molteplici operazioni mercantili e bancarie, considerate nella loro esplicazione concreta, nei loro fondamenti economici e giuridici, nelle loro interrelazioni e nelle loro finalità. Tali studiosi daranno vita all'indirizzo cosiddetto “descrittivonegoziale,25 sul quale ci si soffermerà nel prossimo paragrafo, la cui progressiva affermazione valse ad abolire, nel 1913, il tradizionale insegnamento di Banco modello e a introdurre (su indicazione di Nicola 22 Ciò è evidentemente conseguenza del carattere di ‘arte’ attribuito alle discipline aziendali (cfr. nota 9). Scriveva, per esempio, K. Von Clausewitz: "come parecchie piante portano frutti solo quando non vengono su troppo alte nel loro fusto, così, nelle arti pratiche, le foglie e i frutti teoretici non devono essere spinti troppo in alto, ma tenuti prossimi all'esperienza che è il loro terreno". La questione pone evidentemente il tema del rapporto fra teoria e pratica, su cui esiste un'ampia letteratura, ma rispetto al quale ci sembra possa ancora rivelarsi proficua la lettura di B. Croce, “Azione, successo e giudizio. Note in margine al ‘Vom Kriege’ del Clausewitz”, in Ultimi saggi, Bari, Laterza, 1948, 2^ ed., pp. 266-79, da cui è tratta (p. 272) la citazione dello stratega tedesco. 23 Le Scuole superiori di commercio non si trasformano direttamente in facoltà universitaria, ma in Istituti superiori di scienze economiche e commerciali, i quali preludono al passaggio in questione avvenuto con la riforma universitaria del 1906. Anche gli insegnamenti si adeguano a quelli da maggior tempo impartiti nelle università, assumendo un carattere più teorico e accademico. 24 Le parole qui riprodotte sono tratte da una lettera inviata nel 1957 a Giordano Dell'Amore e citata in P. E. Cassandro, "Ricordo di Nicola Garrone", Discorso tenuto in occasione della celebrazione del centenario della nascita per iniziativa dell'Associazione laureati in Economia e Commercio dell'Università di Bari, in Rivista bancaria, n. 3, 1977. 25 La denominazione è di R. Fazzi, "Formazione storica e prospettive degli studi sui comportamenti imprenditoriali", op. cit., p. 333. 18 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta Garrone) quello di Tecnica commerciale (intesa quale tecnica dei negozi, o per usare un'espressione della dottrina tedesca - Verkehrslehre), ripartita nelle due branche della Tecnica mercantile e della Tecnica bancaria. 4. L'indirizzo descrittivo-negoziale: gli studi di Tecnica mercantile L’indirizzo che ci si accinge a esaminare in questo paragrafo ha operato in Italia nei primi decenni del nostro secolo. In tale periodo, lo studioso di maggiore importanza, per il tema che qui s'indaga, è certamente Fabio Besta (1845-1922), il quale - com'è ben noto - ha offerto un contributo massimo all'avanzamento scientifico degli studi di ragioneria. La dottrina bestana, in realtà, ha permeato di sé - per la propria vis teoretica non solo gli studi di tale disciplina (della quale il Besta aveva assunto l'insegnamento a Ca’ Foscari nel dicembre del 1872), ma tutto il pensiero economico-aziendale italiano. Crediamo sia infatti da ascrivere alla profonda - benché all'inizio lenta e contrastata26 - influenza esercitata dal pensiero dell'Autore se gli studi di 'tecnica' condotti in questo periodo, e che si raccolgono nell'indirizzo in esame, non includono nel proprio campo d'indagine l'esame dei fatti di gestione, se non nella loro esteriorità. Tali fatti sono dati per noti o perché non destano interesse nei cultori di tecnica commerciale o, molto più probabilmente, perché essi non vi rinvengono quelle generalizzazioni ritenute necessarie a uno studio 'scientifico'. Cionondimeno, si parla di indirizzo descrittivo-negoziale giacché, anche se tali autori non si discostano, dal punto di vista scientifico, dalle posizioni dei cultori di Banco modello, essi procedono però - nell'alveo teorico della dottrina bestana - a un significativo riordinamento espositivo e didattico degli argomenti trattati. Non condividendo le posizioni idealistiche assunte da molti studiosi del tempo - fra i quali, per quanto qui rileva, anche il Cerboni (1827-1917)27 26 Intendiamo riferirci alla polemica con il Cerboni e con i suoi discepoli, primo fra tutti Giovanni Rossi (1846-1921), esplosa clamorosamente il 5 ottobre 1879 in occasione del “I Congresso dei Ragionieri” convocato per il voto contrario all’applicazione della logismografia alla contabilità di stato emesso dall’Accademia di ragioneria (l’attuale AIDEA). Per rendersi conto dell’asprezza, oggi inusuale, di tale conflitto, si può vedere, per esempio V. Masi, “Il conflitto fra Orazi e Curiazi al Congresso dei Ragionieri del 1879”, in Rivista italiana di Ragioneria, nn.12-13, 1923. Un anno dopo tale congresso, “certo suggestionato dalle teorie cerboniane, il Besta volle definire l’indirizzo della sua Scuola approfittando della Prolusione letta all’inizio dell’anno accademico 1880-81 a Ca’ Foscari”, nella quale intese precisare l’oggetto, i confini, il metodo di studio della ragioneria (cfr. T. Antoni, Fabio Besta, op. cit., p. 73). Si tratta di una prolusione di notevole ampiezza (80 pagine) originariamente edita dalla Tipografia dell’Istituto Coletti, Venezia, 1880 e riedita in ristampa anastatica da Cacucci, Bari, 1987. 27 Un'analisi dell'influenza esercitata dall'idealismo, indirizzo filosofico dominante in Italia nei primi decenni dell'Ottocento, sul pensiero del Cerboni è compiuta da V. Antonelli, “L'evoluzione degli studi funzionali nella dottrina economico-aziendale: alcune 19 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo - Besta sostiene una concezione positivista della scienza, ripudiando quanto trascende l'osservazione, quanto non può essere sottoposto a verifica sperimentale.28 "Lo scienziato - scrive - deve sempre attingere alla fonte viva dell'arte, e studiarne il naturale ed effettivo svolgimento", memore del detto che Newton sempre ricordava a se stesso: "Fisico guardati dalla metafisica".29 Il metodo da utilizzare è quindi, a suo giudizio, quello induttivo. In quest'ottica, partendo dall'osservazione della realtà aziendale, egli individua, pur nella multiformità delle manifestazioni tipiche di tali istituti, un nucleo di contenuti comuni, costituito dall'uso e dalla cura della “ricchezza”. E’ proprio la ricchezza pertinente a un’azienda che ne forma la sostanza o il patrimonio e, dice Besta (p. 4), ogni azienda ha sostanza, piccola o grande. D’altro canto, nella concezione bestana, l’azienda è definita come una “somma dei fenomeni, o negozi, o rapporti da amministrare relativi ad un cumulo di capitali che formi un tutto a sé o a una persona singola, o a una famiglia o ad un'impresa qualsivoglia, od anche soltanto una classe distinta di quei fenomeni, negozi o rapporti” (pp. 3-4). Il Besta perviene così al concetto di “amministrazione economica”, intesa come il “governo dei fenomeni, dei negozi e dei rapporti che hanno attinenza colla vita della ricchezza nelle aziende” (p. 5). L’amministrazione economica si estrinseca, a propria volta, in tre “momenti distinti”, che trovano espressione nelle funzioni di gestione, direzione e controllo. Besta osserva che le notevoli differenze riscontrabili nel fine e, subordinatamente, nelle caratteristiche, che oggi denomineremmo 'organizzativo-dimensionali',30 delle aziende si riflettono così profondamente sulla gestione - intesa quale serie di operazioni che conducono alla produzione della ricchezza - e, in grado via via minore, sulla direzione e sul controllo, da scoraggiare, per la difficoltà del compito, chi si proponesse di indagarle. Ciò vale, in particolare, per la gestione e in certa misura per la direzione. Il terzo momento, invece, consistente nelle funzioni osservazioni critiche sul pensiero di Giuseppe Cerboni”, Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, nn.7-8, 1992, specie p. 377 e ss. 28 Cfr. G. Zappa "Fabio Besta il Maestro" (Commemorazione letta a Ca’ Foscari il 2 febbraio 1935), in Rivista italiana di ragioneria, supplemento al n. 5, 1935, pp. 5-6, il quale osserva però che l'indirizzo positivista fu accolto "con cauta misura" e poi prosegue osservando che "il Nostro che conosceva i frutti migliori della specializzazione nell'analisi delle scienze particolari, sapeva anche i vantaggi non sostituibili delle concezioni di insieme e delle vaste strutture astratte. ma in quegli anni, anche nella nostra disciplina, troppo si era costruito a priori; troppe concezioni si erano formate e diffuse non atte a essere dimostrate e provate, ed era necessario bandirle dal sistema scientifico che si veniva costruendo. La reazione alle vecchie tendenze, alle vuote ideologie, ai simbolismi vani, si mantenne sempre viva nelle dottrine del Maestro." 29 F. Besta, La ragioneria, op. cit., vol. II, p. 394. 30 S. Pezzoli, Profili di storia della ragioneria, Padova, Cedam, 1986, p. 116. 20 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta del controllo economico, è l'unico che presenti caratteri indifferenti rispetto al tipo di azienda considerata. L'indagine dedicata a quest'ultimo costituisce la dottrina della ragioneria, la quale, in quanto "scienza del controllo economico", si occupa della rilevazione dei fatti amministrativi - esprimibili mediante valori resi omogenei da un comune indice di misura - e del controllo degli stessi esercitato seguendo passo per passo, mediante registrazioni "preventive", "concomitanti" e "successive", le operazioni attuate dagli amministratori delle aziende al fine di evitare - da parte di questi - comportamenti scorretti nel corso della loro attività. Solo in questo "momento" è possibile individuare quelle generalizzazioni rappresentative di andamenti reali che, per Besta, sono l'essenza della conoscenza scientifica. Il Besta è quindi dell'avviso che lo studio della gestione presenta, di fatto, difficoltà non superabili, non essendo in essa riscontrabili i caratteri di un processo logico unitario.31 D'altro canto, nell'ambito di una struttura produttiva fortemente protetta da alte barriere tariffarie e “caratterizzata da una concezione economica eminentemente speculativa, che mirava cioè alla ‘riuscita’ di un singolo ‘affare’ piuttosto che al mantenimento di durature relazioni economiche con le terze economie”, le operazioni di gestione non possono che essere viste in maniera frammentaria e niente affatto sistemica.32 Gli elementi di diversità della gestione hanno sollecitato contrastanti interpretazioni.33 Certo è che il Besta ritenne conveniente di "supporre noti" i modi in cui la gestione si realizza nelle diverse tipologie di aziende e nell'approfondire soltanto i riflessi che lo svolgimento di tali operazioni determina sul patrimonio aziendale. Sulla stessa linea, gli studiosi di tecnica commerciale dell'epoca poco tentarono per studiare quei modi, perseverando nel seguire le vie consolidate dalla tradizione. 31 Scrive infatti F. Besta, La ragioneria, op. cit., vol. I, p. 14: “Il sistema dei fatti della gestione è troppo vario nelle diverse specie di aziende, perché un’unica scienza possa contemplarli compiutamente in tutti i loro aspetti, così come nei disformi modi nei quali si effettuano così come nelle loro cause e nelle loro conseguenze molteplici”. 32 L'osservazione è di G. Di Stefano, "Per un’analisi delle cause esogene della crisi del sistema bestano", Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, sett-ott. 1991, p. 518. 33 Si allude alle tesi di P. Onida, op. cit., pp. 61-63 (nonché della scuola zappiana in genere) e di E. Giannessi, op. cit., pp. 139-48, i quali riconducono tali elementi, rispettivamente, a differenze “tecnologiche” ed “economiche”. Va comunque avvertito che secondo A. Ceccherelli (che del Besta fu allievo), Economia e amministrazione delle imprese, Firenze, Barbéra, 1948, p. 25: “Il Maestro non esclude la possibilità di pervenire a ricerche teoriche unitarie della gestione. Se è vero che la diversità di manifestazioni cui essa è soggetta con il mutare dei fini aziendali non consente di ricondurle a unità di leggi e di indirizzi, tali diversità riguardano soltanto le modalità esecutive che mutano, appunto, con il mutare dell’attività operativa”. 21 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo Ecco così che, in materia di tecnica mercantile, gli studi si occupano del commercio e dei suoi istituti, delle funzioni dei commercianti, delle varie forme di commercio, della moneta e dei sistemi monetari, dei mezzi di trasporto e di comunicazione, dei titoli di credito, dei valori mobiliari e soprattutto - delle negoziazioni di compravendita di merci. A questo riguardo, tutte le pubblicazioni descrivono e spiegano le molteplici clausole che, secondo gli usi dei diversi settori merceologici e dei vari paesi, concorrono a configurare dette operazioni: si esaminano così i modi di determinazione della quantità e della qualità della merce, della tara, del peso; le modalità di consegna e del connesso passaggio della proprietà e dei rischi della merce dal venditore al compratore; il prezzo e le modalità di pagamento; i servizi di trasporto terrestre e marittimo e le relative condizioni e tariffe (e si tratta allora del contenuto della lettera di vettura, dei contratti di noleggio, delle polizze di carico); i servizi di assicurazione, le operazioni doganali e tutte le altre materie connesse alle operazioni di compravendita. In questo quadro, anche gli scritti migliori danno grande rilievo alle modalità e alle forme documentali concernenti i rapporti dell'azienda con i terzi, e poiché tale rapporti determinano una serie di vincoli individuati dal diritto, le opere seguono generalmente un ordine espositivo degli argomenti trattati ispirato prevalentemente alla classificazione giuridica dei contratti.34 Su questa base Onida avvicina gli studi in questione alle antiche trattazioni di Handlungswissenschaft, giacché essi non affrontano determinati problemi di gestione sotto l'aspetto di una particolare scienza, ma accolgono conoscenze e nozioni attinte da discipline diverse (economia, diritto, merceologia ecc.), le quali - poiché possono riguardare date forme di attività pratica - risulta utili riunire insieme, per considerazioni di carattere pedagogico o di agevole consultazione.35 Fra le migliori opere italiane nelle quali l'indirizzo descrittivonegoziale trova espressione, si annoverano il Trattato di tecnica bancaria di Pasquale D'Angelo e La scienza del commercio di Nicola Garrone. A queste è possibile aggiungere i Principi di tecnica commerciale di Ferruccio Cevasco. A tale Autore abbiamo già accennato a proposito degli studi di Banco modello. L'opera qui citata, edita a Milano da Giuffrè nel 1940, riunisce una parte delle lezioni di Tecnica commerciale impartite dal Cevasco nei suoi lunghi anni d'insegnamento prima presso il R. Istituto superiore di scienze economiche e commerciali e, successivamente, presso la Facoltà di Economia e commercio della R. Università di Genova. Si 34 Cfr. R. Fazzi, Considerazioni sul contenuto e sul metodo proprio della tecnica commerciale, Firenze, Coppini, s.d. (ma 1951), p. 16. 35 P. Onida, op. cit., p. 81, nota 117, cita al riguardo la distinzione crociana fra forme del sapere e forme letterarie o didascaliche del sapere, tra ordini di conoscenze e libri. 22 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta tratta, sostanzialmente, della versione aggiornata di due precedenti scritti: Tendenze e metodi della tecnica commerciale nell'insegnamento superiore, discorso inaugurale del 1925 al citato Istituto superiore36 e le Lezioni di tecnica mercantile tenute alla facoltà di economia nel 1933-35.37 Il volume, dichiara l'Autore nella prefazione, non intende offrire "la trattazione dottrinale dei principi di tecnica commerciale", ma "un’esposizione dei procedimenti secondo i quali si svolsero tecnicamente le relazioni d'affari mano a mano che andavano assumendo, ai tempi nostri, forme sempre più ampie e complesse". Tali procedimenti sono dal Cevasco attinti "alle fonti dirette dell'esperienza personale e dall'osservazione dei fatti che si svolgono nel meccanismo del commercio". Nonostante queste parole, ci sembra che, in realtà, il Cevasco - pur senza accogliere integralmente le tendenze nuove (infra, § 5.) - assegni un più ampio contenuto agli studi di Tecnica. Secondo l'Autore, infatti, se si considerano i singoli rami del commercio, si rileva l'esistenza di princìpi e norme particolari, se si considera invece l'insieme di questi rami, si evince l'esistenza di princìpi e norme di carattere generale, applicabili a tutti i rami dell'attività commerciale. La Tecnica si occupa, appunto, di questa parte generale del commercio, non solo al fine di esporre i problemi che ne costituiscono l'essenza, ma anche per stabilire il movente delle operazioni commerciali e indicare le soluzioni che, in determinate circostanze e per date finalità, si ritengono più convenienti. La concezione del Cevasco ci sembra allora importante sia perché lascia intravedere il tentativo di condurre la studio delle attività commerciali dal punto di vista unitario sia perché tende a riconnettere il significato delle negoziazioni con gli aspetti della gestione delle imprese. D'altro canto, anche Onida, tanto critico, finisce con l'ammettere, sia pure marginalmente, che l'opera del Cevasco contiene "qualche parte nella quale l'indagine è direttamente rivolta all'economia dell'azienda." Tali sarebbero soprattutto le pagine dedicate all'impresa armatoriale, "che viene brevemente esaminata nel suo ordinamento e nella sua gestione, sotto l'aspetto economicoaziendale".38 Ai nostri fini, l'opera di maggiore rilievo - per il periodo cui si fa qui riferimento - è indubbiamente quella di Nicola Garrone. Abbiamo citato, nel paragrafo precedente, le parole con cui lo studioso accenna alla situazione di basso empirismo in cui ristagnava agli inizi del secolo l'insegnamento del Banco modello. Garrone, fino dall’avvìo della sua attività accademica si pone, appunto, l'impegnativo obiettivo di ‘nobilitare’ le conoscenze che si riferiscono al commercio e di costruire un corpus di princìpi e di norme 36 Pubblicato sulla Rivista italiana di ragioneria, 1927. Genova, Gruppo Universitario Fascista, 1933. 38 P. Onida, op. cit., p. 83, nota 120. Un giudizio diverso è espresso da E. Giannessi, Attuali tendenze, op. cit., pp. 525-26. 37 23 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo idoneo a offrire un quadro logico delle varie operazioni mercantili e bancarie. Da qui l'idea di scrivere un trattato in cui tale corpus trovi ampio svolgimento e che egli denomina Scienza del commercio. Tale titolo è chiaramente suggerito all'Autore dal termine Handelswissenschaft che, come si è ricordato, era allora usato nei paesi di lingua germanica per designare il complesso delle nozioni relative alla struttura e al funzionamento delle aziende commerciali. In verità, come si è osservato nel paragrafo precedente, non è che le opere edite con tale titolo potessero veramente qualificarsi come opere di scienza. La denominazione scelta dal Garrone, comunque, intende essere una forma esplicita e chiara di reazione contro l'empirismo e la superficialità degli studi sino ad allora condotti sulle operazioni di scambio mercantile e bancario. La completa realizzazione dell'opera occupa un lunghissimo arco temporale, si può dire quasi tutta la vita dell'Autore (1877-1959), titolare dal 1908 di Banco modello alla Scuola superiore di commercio di Bari e dal 1926 di Tecnica commerciale all'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali (poi facoltà di Economia e commercio) di Roma, cattedra, questa, che fino alla sua prematura scomparsa era stata del D’Angelo.39 L’opera, iniziata nei primi anni del secolo (il primo libro appare nel 1914),40 ebbe infatti termine con il quinto volume, dedicato alle operazioni di Borsa, pubblicato solo nel 1956, quando il Garrone, ormai ottantenne, aveva già da alcuni anni lasciato l'insegnamento universitario per limiti di età. Afferma il Fazzi41 che quella del Garrone "deve considerarsi la prima opera, vera e propria, della nostra letteratura e la pietra miliare delle successive ricerche nel campo tecnico-economico". Certo è che si tratta di un lavoro imponente per la gran mole del materiale raccolto, per la sua profonda elaborazione e per il suo ordinamento in uno schema logico e organico. Non è facile, anche nella dottrina straniera del tempo, trovare un 39 A parte La scienza del commercio, tutti gli scritti di Garrone sono pubblicati nel volume Produzioni e scritti minori, a cura di Mario Mazzantini (suo successore sulla cattedra di Tecnica bancaria nell’ateneo romano), pubblicato per iniziativa della Facoltà di Economia e Commercio di Roma nel 1964. Lo stesso Mazzantini ha curato, nel 1963, la raccolta delle Opere e scritti minori di P. D’Angelo (sempre sotto gli auspici della predetta Facoltà di Economia e Commercio). Il D’Angelo (1880-1920) ha concentrato i propri studi sulla materia bancaria, per cui la sua opera non viene da noi esaminata. Al riguardo si rinvia alla Commemorazione di P. Cassandro, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, nn. 7-8, 1982. 40 In verità, nel 1907 Garrone aveva pubblicato (per i tipi di Laterza) il primo volume di un Trattato di scienza del commercio, che però non fu seguito dagli altri due, promessi dall’A. nella prefazione. Il volume edito nel 1914 da Vallardi ricorda per molti punti quello del 1907, ma si presenta, di fronte a questo, del tutto nuovo in molti capitoli, più ricco nella materia comune alla vecchia edizione, più denso di contenuto e più organico nel suo insieme. 41 R. Fazzi, "Formazione storica ...", op. cit., p. 333, nota 30. Sulla stessa posizione anche E. Giannessi, Attuali tendenze, op. cit., p. 336. 24 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta trattato che esponga con tale dovizia e minuzia di dati e di organicità la tecnica delle operazioni mercantili e bancarie. In quest'opera, il fenomeno commerciale - inteso quale sistema di scambi - è visto come il carattere fondamentale dell'economia moderna e viene descritto nelle sue strutture organizzative e nel concreto svolgimento delle operazioni che lo costituiscono.42 Garrone non indugia, nel primo volume dell'opera, sul contenuto e sulla finalità della disciplina. Nella breve prefazione, egli si sofferma sulla denominazione di scienza del commercio, ricordandone i precedenti, accenna anche all'assenza, nel nostro Paese, di adeguate trattazioni della materia, ma non si sofferma a definire il contenuto e i fini della disciplina. Egli si limita a sottolineare il "contenuto economico e giuridico che ne costituisce il vero sostrato fondamentale".43 D'altro canto, la migliore definizione di una disciplina si ha nella trattazione che l'autore ne dà. Se, in quest'ottica, si esamina il contenuto del Trattato, ci sembra evidente come l'obiettivo di Garrone sia quello di riprodurre, nel modo più chiaro e organico possibile, la realtà concreta delle molteplici operazioni mercantili e bancarie, il modo effettivo in cui esse vengono concepite e attuate. Il riferimento ai princìpi economici a cui tali concrete operazioni sono ispirate e alle norme giuridiche che, nell'ordinamento dei paesi in cui si svolgono, le disciplinano, vale solo a rendere più completa la rappresentazione della realtà operativa. Nel pensiero dell'Autore la Tecnica commerciale sembra perciò essere finalizzata alla comprensione del meccanismo secondo cui le operazioni commerciali si svolgono, conoscenza indispensabile a chi deve porre in atto, nel modo più efficace ed efficiente, tali operazioni. Il Trattato rifugge, dunque, dalle generalizzazioni e dalle astrazioni, alle quali Garrone appare tendenzialmente restìo. La sua preoccupazione è ripetiamo - quella di descrivere nel modo più compiuto e più preciso le operazioni commerciali. Come scrive nella citata lettera a Dell'Amore (supra, § 3.), il suo intendimento è quello di offrire "una nozione concreta di ciò che fossero gli affari, di come gli affari si concepissero, si concludessero, come si eseguissero e portassero a compimento". Siffatta concezione non differisce da quella che gli aziendalisti tedeschi del periodo hanno della Verkehrlehre, che è uno dei due grandi rami della loro economica aziendale, la Betriebswirtschaftslehre. La Verkehrlehre è, 42 Il trattato, benché non affronti lo studio della gestione dell’azienda mercantile o di credito, presenta tuttavia “accenni” a tale studio, in particolare nei volumi di più recente pubblicazione (cfr. P. Onida, op. cit., p. 83, nota 119). 43 Per inciso, osserviamo che si tratta delle stesse parole usate da P. D'Angelo, Trattato di Tecnica bancaria, "La Tecnica commerciale ha soprattutto come substrato fondamentale un contenuto economico-giuridico" (p. VI). 25 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo appunto, la dottrina degli scambi mercantili e bancari studiati nel loro concreto svolgimento e nelle loro finalità. Al pensiero di Nicola Garrone si riconnettono direttamente, nell’ambito degli studi tecnico-commerciali, Nicola Tridente e Mario Mazzantini, i quali non condivideranno l'impostazione che tali studi assumeranno a seguito della "rivoluzione zappiana", anche se il loro dissenso non assumerà mai i toni che caratterizzeranno la polemica con gli epigoni del Besta. Essi, che pur si differenziano fra loro per alcuni aspetti, riterranno sempre compito fondamentale della Tecnica commerciale quello di studiare e descrivere il concreto svolgimento delle operazioni attuate dalle imprese e di enunciare le norme necessarie a far sì che tali operazioni possano essere attuate nel modo più conveniente. Eppure anche su di essi l'influenza zappiana si farà in qualche modo avvertire, in quanto riterranno che tale giudizio di convenienza non possa essere formulato considerando la singola operazione, ma riferendo questa a tutte le altre operazioni che, nel loro insieme, costituiscono l'unità del sistema aziendale.44 In conclusione, risulta evidente come l'oggetto di ricerca dei cultori dell'indirizzo descrittivo-negoziale sia costituito non tanto dall'azienda quanto piuttosto dal mercato, termine che fa però riferimento al 'luogo' e/o ai soggetti che operano in un determinato ramo d'affari, oppure al complesso delle condizioni e delle clausole in esso solitamente pattuite. 5. L'indirizzo sistematico-gestionale: gli studi di Tecnica commerciale Abbiamo dunque detto che le convinzioni dottrinali dei cultori dell’indirizzo descrittivo-negoziale trovarono probabilmente conforto nel pensiero di Fabio Besta, il quale - come si è ricordato - non riteneva possibile lo studio unitario e generale della gestione economica delle aziende. D'altro canto, "le teorie scientifiche, proprio perché tali, sono in continuo divenire, e sorte comune anche a esse è di nascere, svilupparsi, fiorire e poi tramontare". Se tale era stata la sorte delle precedenti dottrine, 44 Cfr., per es., M. Mazzantini, Lezioni di tecnica commerciale, Napoli, Morano, 1949, p. 3. In campo tecnico-commerciale, il lavoro più noto dell’Autore è la monografia Le vendite marittime, Roma, Atena, 1936. Di N. Tridente i lavoro più famosi sono le monografie: Il commercio delle mandorle, Bari, Macrì, 1938 (2^ ed.), La vendita di merci all’asta, Bari, Macrì, 1938 (2^ ed.); Le grandi aziende mercantili al minuto, Bari, Macrì, 1945; I grandi magazzini, Bari, cacucci, 1954. Un altro importante allievo di Garrone è Antonino Renzi, il quale ha però indirizzato i propri studi alla gestione delle imprese industriali, impostando il problema in termini tecnico-economici sulla base delle combinazioni e utilizzazioni produttive. 26 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta da ultimo quelle cerboniane, identica si sarebbe poi rivelata quella dei contributi di Besta.45 Doveva essere Gino Zappa (1879-1960) - dal 1906 incaricato di Ragioneria presso la R. Università di Genova, dal 1920 presso l'Università "L. Bocconi" di Milano e dal 1921 successore proprio del Besta sulla cattedra di Ca’ Foscari - a superare la soglia scientifica esistente, determinando il sorgere di un nuovo orientamento di studi che, ufficialmente annunciato con la celebre prolusione Tendenze nuove negli studi di ragioneria, era destinato a rivoluzionare oggetto e metodo d’indagine anche della Tecnica mercantile. La dottrina zappiana determinerà infatti il sorgere di quell'indirizzo di studi denominato "sistematico-gestionale" sul quale ci soffermeremo nelle prossime pagine. 5.1 La rivoluzione zappiana come punto d'incontro delle discipline preesistenti Pur consapevoli dell'impossibilità di riassumere in poche pagine le molteplici implicazioni della teorica zappiana, dedichiamo di seguito alcuni cenni alle proposizioni che ci paiono più rilevanti ai fini della nostra indagine. 45 Come osserva A. Canziani, "Sulle premesse metodologiche della rivoluzione zappiana", in AA.VV., Scritti di economia aziendale in memoria di Lino Azzini, Milano, Giuffrè, 1986 (da cui sono tratte, pp. 192-93, le parole fra virgolette poste in chiusura del capoverso precedente), la “rivoluzione zappiana” si compie sostanzialmente nel periodo 1920-1929, anche se è frutto delle riflessioni condotte nel decennio precedente, al termine del quale si perviene a una riformulazioni pressoché integrale rispetto alle sistemazioni teoriche preesistenti. Per rendersene conto, è sufficiente comparare l’impianto logico e metodologico della Ragioneria bestana apparsa nel 1922, poco dopo la scomparsa dell’Autore, con quello – sostanzialmente coevo – dei primi due tomi del Reddito (1920 e 1929, rifusi in seconda edizione nel 1937). Nel 1923 appare anche, sottoforma di ‘dispensa’, La teorica della partita doppia nella concezione delle nostra scuola (ora in ,Bilancio e amministrazione delle imprese. Studi in onore di Pietro Onida, Milano, Giuffrè, 1980) di Ugo Caprara nella quale la teoria del sistema del reddito “era (già) esposta in brevi parole” (così G. Zappa, Le produzioni nell’economia delle imprese, , Milano, Giuffrè, 1956, t. I, p. 28, n.1, in fine). A proposito di questo lavoro va detto che A. Pin, “La ‘banca’ di Ugo Caprara nella costruzione del pensiero economico-aziendale”, in Rivista milanese di economia, n. 34, 1990, pp. 78-88, sostiene la tesi secondo cui “fu di Caparara l’originaria ideazione del sistema del reddito, che poi Zappa sviluppò e propagò indefessamente” (p. 82). Dello stesso A. Pin si veda anche la bella “Intervista con Ugo Caprara”, in Studi e Informazioni, n.1, 1989, pp. 147-55, in cui l’Intervistato rievoca, da testimone diretto, gli ‘inizi’ dell’economia aziendale. Si legga allora, sullo stesso tema (pur con qualche cautela), sempre del Caprara, “La sistemazione dottrinale della tecnica mercantile e bancaria nelle rievocazioni di un ottuagenario”, op. cit. e “Gino Zappa: l’Uomo”, in AA.VV., Saggi di Economia aziendale e sociale in memoria di Gino Zappa, Milano, Giuffrè, 1961, pp. 293306, nonché, nella stessa opera, i saggi di A. Amaduzzi, “Il pensiero scientifico di Gino Zappa” e di P. Onida, “Gino Zappa: il Maestro”, pp. 25-38 e 1553-78 rispettivamente. 27 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo Nel citato discorso inaugurale per l'anno accademico 1926-27, Zappa rileva il suo stato d'insoddisfazione per il divario creatosi fra la realtà aziendale e le dottrine ad essa rivolte. Va al riguardo in effetti avvertito che, fra l'ultimo quarto del secolo XIX e i primi due lustri del XX, il sistema produttivo italiano aveva registrato rilevanti mutamenti strutturali. Il sistema economico, che nella seconda metà dell'800 era ancora dominato da aziende agricole, bancarie, mercantili, di trasporto e di erogazione di dimensioni quasi sempre modeste, vede negli ultimi anni del secolo (per effetto di una sia pure ritardata e parziale rivoluzione industriale) e soprattutto dopo il primo conflitto mondiale, una presenza più incisiva delle aziende industriali di grandi dimensioni, nelle quali la complessità dei processi produttivi, l'aumento dell'incidenza dei costi fissi (a seguito dell'incremento degli investimenti e della corrispondente rigidità degli stessi), l'acuirsi della concorrenza sul mercato interno e internazionale rendono evidente la preminenza della problematica economica globale rispetto al controllo esercitato sull'attività degli amministratori, all'indagine sul patrimonio e, in particolare, sulle variazioni da esso subìte per effetto di fatti di gestione supposti noti a priori. L'attenzione si concentra così sulla composizione delle operazioni gestionali in processi, anche a prescindere dalla loro traduzione in fatti di scambio, nonché sulla funzione che tali operazioni svolgono nell'impresa e sulla loro interpretazione tecnico-economica.46 Gino Zappa, conscio del crescente iato tra cultura accademica ed esigenze operative della realtà economica, si preoccupa di fornire un contributo dottrinario complessivo in linea con tali esigenze.47 Egli ricerca dunque i 'poli di attrazione' dei fenomeni economico-aziendali, contrapponendo alla separazione delle operazioni per fatti tipici e alla separazione delle funzioni un disegno globale unificante della problematica dell'azienda. Nasce così l'economia aziendale, scienza che, nelle parole del suo fondatore, "studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni di vita 46 “Il Maestro, primo fra gli scrittori nostri, accenna alla gestione come al più cospicuo momento dell’amministrazione economica (…). Ma negò l’utile avvicinamento degli studi che immediatamente riflettono la gestione a quelli generali che considerano lo svolgersi del controllo economico. Forse l’affermazione vigorosa come scienza delle teorie che indagano la tecnica dell’amministrazione forse anche solo l’accresciuto sistema dei fatti che le teoriche aziendali debbono dominare, ci fanno apparire inadeguate le strutture dottrinali create per il più ristretto mondo economico dei tempi nei quali mercati meno vasti e meno instabili, il più limitato accentramento economico, il volgere delle gestioni meno assiduamente mutevole lasciavano forse supporre processi di controllo quasi insistentemente uniformi e non anche continuamente aderenti al volgere delle circostanze economiche nelle quali anche la gestione tanto variamente si atteggia” (G. Zappa, “Fabio Besta il Maestro”, op. cit., p. 30). 47 "Troppe norme, troppi dogmi espressi con quattro parole alla buona, hanno per troppo tempo nella nostra disciplina occultato dietro la sicurezza del dettato una profonda ignoranza delle cose. Non la nostra mente ma la nuova e più intensa vita delle imprese suscita i nuovi problemi" (G. Zappa, Il reddito d'impresa, Milano, Giuffrè, 1950, p. 53). 28 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta delle aziende";48 a tale fine essa prende in considerazione, in una prospettiva unitaria di tipo economico, tutti gli aspetti della dinamica aziendale, riunendo gli indirizzi di studio fino ad allora dominanti, facenti capo alla Ragioneria e alla Tecnica mercantile e bancaria. Zappa, al cui pensiero non sono probabilmente estranee le linee del Villa e del Cerboni, sostiene infatti che i problemi relativi alla vita della ricchezza, al modo in cui l'organismo aziendale si costituisce, si sviluppa o si dissolve, ma anche alla rilevazione quantitativa del divenire della ricchezza coesistono e rappresentano le parti complementari di un unico insieme. Occorre che tale "connubio indissolubilmente sancito dai fatti" trovi riconoscimento nella dottrina.49 Perciò, così come la Ragioneria non può prescindere dalla "Tecnica amministrativa" (o gestione) perché solo quest'ultima è in grado di fornirle l'interpretazione dei fatti economici che essa rileva, la seconda non potrà fare a meno della prima la quale rappresenta la fonte dei fenomeni che danno luogo alla formazione del reddito, inteso come grandezza di sintesi dell'unità aziendale. A queste due dottrine dev'essere inoltre aggiunta quella dell'Organizzazione, vale a dire l'indagine economica relativa all'organismo aziendale che, nelle sue varie configurazioni, può consentire un più efficace divenire della gestione. Tuttavia, mantenendo immutati i caratteri delle discipline (così com'erano andati sino ad allora delineandosi), la composizione di esse in un unico contesto - l'economia aziendale, appunto - non avrebbe segnato un passo molto significativo. Le tendenze nuove consistono, invece, essenzialmente in un nuovo indirizzo di studio della gestione, della rilevazione e anche dell'organizzazione. Tale nuovo indirizzo si riconnette alla nozione di azienda, che Zappa accoglie come particolarmente fruttuosa per lo sviluppo delle dottrine "economico-amministrative". L'azienda, intesa quale forma generale dell'azione economica umana, è dapprima considerata come "coordinazione economica in atto", coordinazione unitaria di elementi necessariamente transitori, poi - più compiutamente - come "istituto destinato a perdurare" nel cui ambito ha luogo un complesso continuamente rinnovantesi di operazioni, tutte legate fra loro, mediante le quali si realizza, in forma collettiva e organizzata, la componente economica (di produzione, distributiva, di consumo) dell'attività umana. 48 G. Zappa, Tendenze nuove negli studi di ragioneria, Milano, Istituto Editoriale Scientifico, 1927, p. 30. "... e si può oggi inferire che ciò significasse penetrare le caratteristiche economiche delle aziende, anche nelle loro interconnessioni; le situazioni esogene e le condizioni endogene delle produzioni e distribuzioni di ricchezza; l'intreccio di fattori personali, materiali e immateriali nel prendere esistenza e nello svilupparsi delle imprese; i nessi reciproci di causalità fra imprese e settori, fra aziende e mercati" (A. Canziani, op. cit., p. 190). 49 G. Zappa, Tendenze nuove ..., op. cit., p. 20. 29 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo Il nucleo centrale della nozione zappiana di azienda è costituito dall'affermazione dell'indissolubile unità e totalità dei fenomeni aziendali. L'azienda è dunque studiata nella sua reale natura di complesso economico che si presenta "uno pur nella più diversa molteplicità". "Tutti i fenomeni aziendali - osserva infatti Zappa - si rivelano ad attenta osservazione come costituiti in unica coordinazione di azioni economiche, volte a un determinato intento". 50 Per l'Autore, quindi, non è corretto - dal punto di vista epistemologico - un metodo d'indagine che tenda a separare le varie operazioni per classi omogenee di fatti tipici, oppure che tenda a dividere la continuità, nel divenire temporale, delle coordinazioni economico-aziendali, fissandone l'analisi ad un determinato istante.51 Ne consegue che l'azienda, in quanto complesso economico unitario, non può essere conosciuta come tale, e nemmeno nei suoi elementi costitutivi, ove si studino tali elementi prescindendo dalle mutue relazioni che li avvincono. 50 G. Zappa, Il reddito d'impresa, op. cit., p. 10. Il concetto di divenire che si sostituisce all’essere e il concetto dell’unità che supera le strumentali partizioni che interrompono il continuum dell’attività economia umana appaiono fondanti della sintesi zappiana. Come rilevano S. Faccipieri ed E. Rullani, “Regole di valutazione e indeterminatezza nella scienza economica d’azienda: un problema irrisolto nel pensiero di Gino Zappa”, in AA.VV., La determinazione del reddito nelle imprese del nostro tempo ala luce del pensiero di Gino Zappa, Padova, Cedam, 1982, p. 121, nota 4, queste “sono proprie le tesi usate da Croce nelle sue polemiche antipositivistiche”. In realtà la dottrina zappiana rappresenta il momento di coagulo, attorno all’azienda, di una più vasta molteplicità di influenze storico-culturali, come dimostra lo studio di A. Canziani, op. cit., il quale ha ripercorso la biblioteca di Zappa (oggi conservata presso l’Università Bocconi), le glosse emarginate ai suoi testi di lavoro (che spaziano in campi del sapere anche assai lontani dalle discipline economiche, testimonianza eloquentissima di un orizzonte culturale che non può non dare qualche soggezione al lettore) e “l’intrecciato e complesso comporsi delle sue opere a stampa”. 51 30 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta 5.2 La Tecnica commerciale nella sistematica zappiana Si tratta, a questo punto, di esaminare come si sia riflessa l'impostazione zappiana nel più specifico campo degli studi tecnicocommerciali. Va al riguardo avvertito che già nel 1926 - prima, dunque, delle Tendenze nuove - la monografia di Ugo Caprara,52 Le negoziazioni caratteristiche dei vasti mercati. Principii di tecnica mercantile - opera che dà inizio alla collana "Pubblicazioni dell'Istituto di ricerche tecnicocommerciali dell'Università Bocconi", diretta da Gino Zappa ed edita da Giuffrè - con la metodica ricerca svolta nel campo del commercio internazionale della materie prime, aveva fornito la prova della possibilità di dare nuova, differente impostazione dottrinale alla Tecnica mercantile. Il concettoso primo capitolo, che "reca, con tutta probabilità, il segno della mano di Zappa",53 delinea un quadro programmatico dell'oggetto e del metodo d'indagine della disciplina destinato a caratterizzare non solo il lavoro di Caprara, ma anche le future pubblicazioni della collana. Obiettivo dell'Autore è quello di ritrovare, nelle operazioni più importanti dell'attività mercantile, le generalizzazioni, dando così applicazione alla dottrina zappiana della gestione (obiettivo che, come si vedrà, ispirerà quasi tutte le ricerche monografiche della 'scuola di Milano'). Particolare attenzione viene posta nella definizione dei termini 'impresa' e ' mercato', per poi fare osservare che nelle imprese si scambia per produrre; che le negoziazioni, cioè le operazioni di scambio oneroso, sono le manifestazioni caratteristiche della vita economica delle imprese; che le merci, i beni e i servizi si scambiano per conseguire un guadagno; che il guadagno è attestazione di 'produttività' dell'attività commerciale. Nella teorica zappiana, la Tecnica è la dottrina della gestione, intesa quale sottosistema cardine del sistema aziendale. In tal modo, il contenuto della disciplina non corrisponde più a quello della previgente Tecnica 52 U. Caprara (1894-1990) – dal 1922 incaricato di Tecnica commerciale presso la Bocconi (incarico rinnovato annualmente fino al 1964) e per qualche anno anche presso l’Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Firenze – è il primo allievo di Zappa a raggiungere il traguardo della Cattedra di tale disciplina. Fino al 1938 è ordinario all’ateneo fiorentino, per poi passare all’Università di Torino (sulla cattedra già tenuta da Giuseppe Broglia, professore e senatore del Regno) dove svolgerà le sue successive ricerche nel campo degli studi bancari, studi culminati nella pubblicazione de La banca. Principi di economia delle aziende di credito, Milano, Giuffrè, 1946 (la ristampa del 1985 riporta nella prefazione copia della lettera autografa di G. Zappa). Addirittura A. Pin, che del Caprara è stato affezionato allievo, afferma che l’espressione “economia aziendale” comparve “forse (per) la prima volta in uno scritto di Zappa in occasione della lettera di referenza rilasciata al Caprara nel novembre del 1926 in prossimità del concorso a cattedra”. 53 A. Pin, "La ‘banca’ di Ugo Caprara nella costruzione del pensiero economicoaziendale", Rivista milanese di economia, n. 34, 1990, p. 83. 31 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo mercantile. I concetti fondamentali a cui si informa lo studio della disciplina sono: i) il carattere sistemico dei fenomeni aziendali; ii) la possibilità di rilevare le uniformità di gestione. La Tecnica studia così "le operazioni d'azienda e il loro sistema sotto il profilo della convenienza economica e quindi nelle relazioni e condizioni concernenti sia l'ambiente esterno all'azienda (specialmente mercati e istituti sociali), al quale la gestione deve adattarsi sia l'economia interna all'azienda (combinazioni di produzione o negoziazioni, trasformazioni interne e, in genere, relazioni tra operazioni diverse, simultanee o successive, o tra fattori produttivi complementari)".54 L’oggetto di studio diviene pertanto l'intero sistema operativo d'impresa: vale a dire il complesso di operazioni mediante le quali si realizzano i processi di approvvigionamento, di produzione, di collocamento, al fine di individuare uniformità. Come infatti osserva Onida,55 - forse l'interprete più fedele del pensiero zappiano - se la dottrina della gestione può enunciare principi e norme valevoli, almeno in dati ambienti, anche per tutte le aziende, essa è principalmente volta a costruire "speciali teorie della gestione", sulla base delle "uniformità più frequenti ed espressive" offerte da "aziende simili per l'attività economico-tecnica esercitata e per l'ambiente in cui operano".56 Tutti gli autori del periodo cui si fa riferimento - U. Caprara, P. Onida, G. Corsani, R. Fazzi, M. Mazzantini, N. Tridente, A. Renzi, C. Merlani ecc. - sottolineano comunque come la Tecnica commerciale debba avere un contenuto economico-aziendale. Sono dunque per essa scarsamente rilevanti le forme giuridiche che in concreto rivestono le operazioni mercantili. "Occorre approfondire l'esame dell'attività 54 Le parole sono di P. Onida, Le discipline economico-aziendali, op. cit., p. 232, il quale osserva poi che: “Tutte le operazioni economiche nelle quali si esplica la vita dell’azienda possono essere studiate dalla dottrina della gestione (…) (la quale), tuttavia, non potrebbe limitarsi a considerare in se stesse ed a descrivere singole operazioni d’azienda o loro elementi, senza mancare al suo compito essenziale d’illuminare l’economia della gestione che è sistema d’operazioni, senza precludersi la possibilità di spiegare il significato economico e la convenienza della operazioni o degli elementi (…). La descrizione di distinte operazioni – sia pure tipiche di date aziende – disgiunta dall’indagine delle menzionate relazioni, non dà che la notizia di frammenti della gestione, tali che poco o niente fanno conoscere delle costruzioni economiche cui esse potrebbero adattarsi (…). La descrizione formale dei particolari di gestione non è certo inutile e la scienza economica della gestione non sempre può trascurarla; occorre, però, ch’essa sia specialmente ordinata alla formulazione delle teorie che costituiscono l’essenziale oggetto delle detta scienza”. 55 Ibidem, p. 234. 56 In senso analogo si esprime Gaetano Corsani, il quale, nella monografia pubblicata nel 1930, pone in premessa queste parole: "il nostro studio può dirsi essenzialmente consistere nell'investigazione di quelle 'uniformità', ossia delle vie d'impresa che possono considerarsi come generali, fermo restando il loro carattere contingente riguardo a determinati gruppi omogenei di impresa" (p. VI). 32 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta commerciale oltre il limite delle formali apparenze, scrutando la vita aziendale nelle più intime ed espressive manifestazioni del suo corso rapido e ondeggiante e proponendosi l'assunto scientifico di chiarire le strette relazioni di mutua dipendenza che avvincono tale attività alla formazione dei valori di mercato". 57 A differenza dell'indirizzo analizzato nel paragrafo precedente, l'oggetto di ricerca degli sudiosi ‘sistematico-gestionali'’ è pertanto l'azienda, la quale costituisce l'unità elementare del mercato "che risulta, appunto, un sistema di aziende, il sistema dei loro rapporti espressi in termini di negoziazioni".58 Ne consegue, pertanto, che il mercato costituisce oggetto di studio dei cultori dell'indirizzo in esame, ma esso assume un significato differente rispetto a quello attribuitogli dagli studiosi dell'indirizzo descrittivo-negoziale. Nel suo divenire il mercato appare infatti come "il coordinato svolgersi di negoziazioni attuate da date aziende"59 interessate alla produzione e allo scambio di dati beni e servizi. La conseguenza pratica di questa nuova concezione della Tecnica diviene evidente in occasione della riforma universitaria del 1936, con la quale - soppressi gli Istituti superiori di Scienze economiche e commerciali - vengono istituite le Facoltà di Economia e commercio, con un ordinamento didattico e scientifico in parte diverso da quello dei previgenti istituti. Per quanto, in particolare, riguarda l'ordinamento degli studi di Tecnica commerciale, vengono soppressi i due insegnamenti che costituivano la disciplina intesa quale "tecnica dei negozi", e cioè la Tecnica bancaria e la Tecnica mercantile. In loro sostituzione si istituiscono gli insegnamenti di Tecnica bancaria e professionale, da un lato, e di Tecnica industriale e commerciale, dall'altro. Quest’impostazione ha suscitato anche qualche perplessità. Per quanto, in particolare, riguarda la Tecnica commerciale, è sorto il dubbio se il suo oggetto sia limitato alla gestione delle aziende specializzate nell'intermediazione mercantile oppure se studi l'azione commerciale anche degli altri ordini di imprese che partecipano al processo distributivo. Ci sembra che l'interpretazione che col tempo si è affermata sia la seconda. Questa è, per esempio, la posizione di Giordano Dell'Amore, altro allievo di Zappa, il quale - prima di indirizzare i propri studi verso l'economia delle aziende di credito - pubblica, all'inizio della sua carriera accademica, alcuni pregevoli lavori nel campo della Tecnica commerciale. Fra questi, interessa qui ricordare una significativa, ma oggi forse dimenticata, prolusione tenuta a Ca’ Foscari il 18 gennaio 1939 dal titolo Attuali orientamenti negli studi 57 Così G. Dell'Amore, Attuali orientamenti negli studi di tecnica commerciale, op. cit., pp. 12 e 31-32. 58 R. Fazzi, Considerazioni sul contenuto e sul metodo proprio della Tecnica commerciale, op. cit., p. 23. 59 G. Zappa, Il reddito d'impresa, op. cit., p. 467. 33 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo di tecnica commerciale. In essa Dell'Amore definisce la Tecnica commerciale come "la disciplina che deve proporsi di studiare - nel solo aspetto economico-aziendale, precisa più oltre - i procedimenti vari con i quali le aziende contrattano le merci" (p. 11), al fine di "scoprire le uniformità economiche e tecniche che presentano le operazioni mercantili delle aziende" (p. 15). Nel pensiero dell'Autore, dunque, il campo d'indagine della disciplina non viene circoscritto all'attività delle imprese specializzate nell'intermediazione commerciale, "ma si estende fino a comprendere lo studio dell'attività mercantile che vanno esercitando tutte le aziende direttamente partecipanti al processo di circolazione delle merci" (p. 11).60 In senso analogo, ma più tardi, si esprime il Fazzi, il quale osserva che "la Tecnica commerciale trova il proprio posto sia nelle aziende mercantili che in quelle di produzione in quanto studia le vie di gestione con le quali si adattano le condizioni di impresa a quelle di mercato. Nelle imprese del secondo ordine il processo tecnico di produzione, esigendo larghezza di investimenti durevoli, non ha ragione di attuarsi senza lo studio del più economico ottenimento dei prodotti e senza che sia posto in rapporto con le possibilità e i criteri di collocamento. La Tecnica commerciale, in altri termini, studia l'atteggiarsi delle imprese in quanto negoziatrici e studia i modi più efficaci per il miglior utilizzo delle condizioni di mercato".61 Su questa base, gli anni Trenta e Quaranta si prospettano - per gli studi di Tecnica commerciale - come un periodo di assai fecondo sviluppo; sviluppo al quale non rimangono estranei i primi lavori dedicati al marketing apparsi negli Stati Uniti d'America. Sarà sulla base del lavoro di tali Maestri che gli studi di marketing intraprenderanno anche nel nostro Paese, a partire dagli anni Cinquanta, un promettente sviluppo. 6. I primi studi di marketing negli Stati Uniti d'America. Cenni. 60 Queste parole di Dell’Amore sono richiamate fra virgolette (pur senza indicarne la fonte) anche da G. Pivato, Nuove vie per l’informazione qualificata. Le aziende, i “settori”, le “funzioni”, Milano, Giuffrè, 1987, p. 58, il quale osserva: “In altri termini: lo studio delle imprese mercantili che, come tale è riferito ad un tipo di aggregazione settoriale di aziende, non può essere fine a se stesso perché le nominate imprese costituiscono soltanto una delle numerose categorie di aziende che partecipano al processo di distribuzione. Pertanto, se questo processo deve essere conosciuto in tutte le sue componenti, occorre indagare la ‘funzione della distribuzione’ nelle imprese anche di settori diversi (industriali ecc,) presso le quali essa presenta importanti manifestazioni”. 61 R. Fazzi, Considerazioni ..., op. cit., p. 25. Per A. Renzi, Lineamenti di tecnica amministrativa industriale, Milano, Hoepli, 1942, p. 5 la Tecnica commerciale opera al di fuori dell’ambito industriale. Per questo Autore che si richiama al pensiero del Garrone, essa studia le correnti di traffico ed appresta a queste il modo più conveniente di attuarsi. Si veda pure, del Renzi, Tecnica degli scambi con l’estero, Milano, 1940, p. 7. 34 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta Negli anni in cui, in Italia, gli studi di Tecnica attraversano il percorso evolutivo ricordato nei paragrafi precedenti, negli Stati Uniti d'America - comunemente ritenuti la “patria d'origine” del marketing appaiono le prime trattazioni esplicitamente dedicate alla nostra disciplina. Il carattere pionieristico degli studi americani va evidentemente messo in relazione al vantaggio temporale con cui tale Paese ha vissuto il processo d'industrializzazione. La teoria del marketing si è in effetti sviluppata nell'àmbito del paradigma della produzione di massa e ha avuto come modello di riferimento quello della grande impresa operante nella produzione di beni di consumo; fenomeni, questi, le cui prime manifestazioni risalgono, Oltreoceano, ai primi anni del secolo.62 Ai fini che qui rilevano sembra importante ricordare, sia pure in forme del tutto sintetiche, quali siano gli approcci di cui gli autori statunitensi dei primi decenni si avvalgono nel determinare le problematiche da affrontare e le ottiche particolari da applicare alle diverse questioni. In estrema sintesi, ci sembra di poter osservare che l'approccio che caratterizza tali studi sia contraddistinto da un notevole pragmatismo, come si evince anche dalle impostazioni che caratterizzano le opere pubblicate nei primi decenni del secolo. Dette impostazioni tendono in grande prevalenza a raggrupparsi secondo tre approcci: quello merceologico, quello funzionale e quello istituzionale.63 L'approccio merceologico ("commodity approach") costituisce la prima prospettiva analitica alla quale, in ordine di tempo, si è fatto ricorso nello studio delle attività di marketing. Posto che questo si occupa delle "attività" concernenti le transazioni fra produzione e consumo, i cultori dell'indirizzo in parola ritengono di dover concentrare la propria attenzione sugli oggetti di tali transazioni, vale a dire i prodotti,64 individuando le 62 Risale infatti a quegli anni la costituzione della National Association of Teachers of Advertising (1915), successivamente modificatasi nella National Association of Teachers of Marketing and Advertising (1924), la quale – a sua volta – si scinderà in un’associazione riservata ai ‘pratici’: American Marketing Society (1930) e in una frequentata da insegnanti e studiosi della nuova disciplina. Sempre degli stessi anni è la pubblicazione di una rivista rivista specificatamente dedicata alle tematiche di marketing, denominata “American Marketing Journal” (1934) e poi “Journal of Marketing” (1936). 63 Col procedere del tempo gli approcci si moltiplicano. Si veda, per esempio, la ricostruzione condotta da J.N. Shet, D.M. Gardner, D.E. Garrett, Marketing Theory: Evolution and Evaluation, op. cit., i quali individuano, con riferimento alla letteratura statunitense, ben 12 “scuole”. 64 Ci sembra che il temine “merceologico” traduca adeguatamente il vocabolo “commodity”. Come osservano J.N. Shet, D.M. Gardner, D.E. Garrett, op. cit., p. 36: “Because the marketing discipline largely emerged from agricultural economics and agricultural marketing, the approach came to be be known as the commodity school, even thought its proponents primarily discussed manufactured packaged goods not agricultural commodities”. 35 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo specificità che il processo di scambio assume in relazione alla diversa natura dei beni scambiati. In estrema sintesi, il commodity approach affronta lo studio del marketing prendendo in considerazione, in un'ottica di grande concretezza, tutte le vicende di un determinato prodotto - di un gruppo di prodotti appartenenti alla stessa classe - dal momento in cui se ne realizza la produzione fino a quello in cui esso viene consumato. L'oggetto principale dell'indagine è costituito dall'esame delle caratteristiche della domanda e dell'offerta di tale bene; dei canali di distribuzione attraverso i quali esso perviene al consumatore finale; delle funzioni che adempiono i vari intermediari che partecipano ai suoi movimenti; dei meccanismi di formazione del prezzo; delle tecniche gestionali adottate dalle imprese operanti nello stesso settore merceologico e così via. L'approccio funzionale - rimasto a lungo prevalente negli studi di marketing e forse quello che ha maggiormente contribuito al progresso scientifico della disciplina65 - considera la fisiologia del processo di marketing, scomponendo quest'ultimo in una serie di funzioni economiche, delle quali analizza la natura e l'importanza. Come nel caso dell'approccio merceologico, anche i cultori dell'indirizzo in questione avvertono l'esigenza di conferire legittimazione scientifica (e accademica) alla disciplina, ma mentre il commodity approach si concentra sugli oggetti di scambio, l'indirizzo funzionale considera invece le attività - le funzioni, appunto66 - il cui adempimento è necessario per lo svolgimento delle transazioni commerciali. L'approccio istituzionale, infine, analizza tutte le istituzioni, o, meglio, tutti i soggetti o le categorie di soggetti - produttori, consumatori, intermediari - che svolgono le funzioni necessarie per trasferire i prodotti dalla produzione al consumo; vale a dire tutte le organizzazioni che intervengono nel processo di marketing. In effetti, formano oggetto di studio della disciplina il canale di distribuzione inteso come sistema, e quindi: le imprese al dettaglio e all'ingrosso, gli ausiliari del commercio e così via e di ciascuna si esaminano le forme tipiche di organizzazione e le fondamentali operazioni con cui si attua la loro gestione. In questa prospettiva, il marketing non è altro che il processo che si ottiene dal funzionamento coordinato - benché non sempre agevole per il frequente insorgere di 65E' stato per esempio rilevato (J.N. Shet, D.M. Gardner, D.E. Garrett, Marketing Theory: Evolutione and Evalutation, New York, 1991, p. 56 che la sistematica delle cosiddette "4P", che tanto favore ha incontrato nella letteratura internazionale, affonda le proprie radici proprio nelle classificazioni presentate dai teorici dell'approccio funzionale. 66 Nella letteratura statunitense di quegli anni vi è un'elevata varietà di opinioni circa l'identificazione di tali funzioni. Per un'analisi esaustiva si veda S. Hunt e J. Goollsby, "The Rise and Fall of the Functional Approach to Marketing: A Paradigm Displacement Perspective", in T. Nevett e R.A. Fullerton, Historical Perspective in Marketing. Essays in Honor of Stanley Hollander, Lexington (Mass.), Lexington Books, 1988, pp. 35-51. 36 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta conflitti - di molteplici strutture aziendali, che operano nel campo del deflusso dei beni e servizi dal produttore al consumatore. 67 7. Gli studi tecnico-commerciali in Italia negli anni ‘30-40: la scuola funzionalista Pur in forme che risentono fortemente della concezione della Tecnica commerciale di cui si è detto nelle pagine precedenti, i lavori degli autori italiani degli anni Trenta e Quaranta presentano significative analogie con gli studi di marketing (termine che tuttavia mai compare nei loro lavori) sviluppati Oltreoceano secondo i primi due indirizzi considerati: quello merceologico e quello funzionale.68 L'approccio merceologico trova riscontro nell'ampia messe degli studi di settore pubblicati nel nostro Paese. Benché questi affrontino con maggior frequenza il tema della gestione, globalmente considerata, con frequenti accenni anche alle problematiche di rilevazione, delle imprese operanti nel particolare contesto settoriale considerato, non mancano lavori maggiormente o interamente focalizzati sugli aspetti commerciali.69 L'indirizzo che forse più ha contribuito allo sviluppo degli studi tecnico-commerciali, almeno nel periodo qui considerato, è quello funzionalista, soprattutto con i lavori di Tecnica economica condotti da Gaetano Corsani (1894-1963),70 benché l’introduzione del concetto di “funzione” nella dottrina aziendalistica italiana risalga ai lavori di Cerboni e di Besta. Corsani concepisce le funzioni come "quei compiti assunti dagli operatori, che sono tali da spiegare appieno il sorgere e l'affermarsi sul 67 Cfr. E.A. Duddy e D.A. Revzan, Marketing: An Institutional Approach, New York, Mc Graw Hill, 1947, p. 14. 68Per quanto riguarda l'approccio istituzionale, anche negli Stati Uniti questo ha avuto uno sviluppo meno fiorente rispetto agli altri e in ogni caso temporalmente successivo (soprattutto a partire dagli anni quaranta). 69 Si citano, ad esempio: U. Borroni, Il commercio del cotone, Milano, Giuffrè, 1930; A. Marcantonio, Produzione e commercio dei legnami, Milano, Giuffrè, 1930; U. Caprara, Il commercio del grano, Milano, Giuffrè, 1931; G. Corsani, La produzione e il commercio dei marmi italiani, Firenze, 1933; G. Dell'Amore, Il commercio dei prodotti agrari in Italia, Milano, Giuffrè, 1938; G. dell’Amore, La lana, Milano, Giuffrè, 1934; G. Zunino, Il mercato italiano degli olii di oliva, Milano, giuffrè, 1938; E. Lorusso, L’industria cotoniera, Milano, Giuffrè, 1938; G. Pivato, Le gestioni industriali produttrici di servizi, Giuffrè, 1938; A. Ottavi, L’industria cinematografica, 1949; L. Guatri, Economia delle imprese cotoniere, Milano, giuffrè, 1949; C. Merlani, L’industria della majolica, Milano, Hoepli, 1952. 70 Cfr. R. Fazzi, "Gaetano Corsani, un maestro", in Studi di Tecnica economica, Organizzazione e Ragioneria. Scritti in memoria del prof. Gaetano Corsani, Firenze, 37 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo mercato dei vari ordini di imprese".71 Sia pure in forma che nei lavori successivi risulta assai meglio definita, lo studio delle funzioni è presente nell'opera del Corsani fin dal 1930. In quell'anno appare infatti un volume il cui titolo è già di per sé significativo: Le determinazioni di convenienza economica nelle imprese mercantili e manifatturiere. Il fondamento economico-tecnico delle vie della gestione. Nonostante l'opera sia più nota per la sistematica dei rischi d’impresa, essa si rivela di grande interesse ai nostri fini, per l'abbondanza delle citazioni di marketing che vi sono contenute, soprattutto nel terzo capitolo (dedicato alle "Vie d'impresa con particolare riguardo ai fenomeni della provvista e del collocamento"), con frequenti richiami delle opere dei maggiori autori statunitensi (Cherrington, Clark, Ivey, Copeland, Weld, Duncan ecc.) del tempo. Le numerose citazioni di significativi passi degli studi di marketing condotti dagli autori americani attestano come il Corsani elabori tale letteratura nel quadro dello studio sistematico della Tecnica commerciale, il che dimostra come, nel suo pensiero, studi di Marketing e studi di Tecnica costituiscano "un complesso unico di studi volto ad analizzare e illustrare il comportamento aziendale in rapporto all'economia del mercato".72 Come rileva Carlo Fabrizi (1907-1975), che del Corsani fu il primo allievo a raggiungere il traguardo della cattedra universitaria, questo tentativo di offrire una sistematica "non fu chiaramente percepito, né sufficientemente seguito e sviluppato nel seguito. (...) Anzi, a taluni, i nuovi orientamenti del Corsani sembrarono addirittura eretici e troppo fuori dei tradizionali schemi della Tecnica commerciale di allora, tanto da offrire pretesto a critiche acerbe più che a consentire favorevoli apprezzamenti. E ben lo seppe il Corsani, che ebbe a subire da quel libro amarezze notevoli e prolungate." E forse è per questo che, nelle opere successive, vengono eliminate tutte quelle eloquenti citazioni, e l'Autore rinuncia all'ulteriore commento delle nuove opere di marketing di cui la letteratura statunitense andava progressivamente arricchendosi. Con l'opera del 1930, nel seguito più volte accresciuta e perfezionata con titolazioni diverse, il Corsani evolve gli schemi tradizionali di studio della Tecnica commerciale, passando dall'analisi delle strutture di negoziazione a quella dei criteri di gestione seguiti dalle aziende operanti sul mercato. E questa è un'impostazione che non verrà più abbandonata. Ciò che al Corsani interessa individuare sono cioè i nessi economici, i moventi delle operazioni, non la descrizione dei procedimenti con cui queste operazioni possono essere attuate. Scrive infatti l'Autore nella premessa: "il nostro studio può dirsi essenzialmente consistere nell'investigazione di 71 G. Corsani, La gestione delle imprese mercantili e industriali. Gli elementi economicotecnici delle determinazioni di convenienza, Padova, Cedam, 1937, p. 6. 72 C. Fabrizi, "Il marketing nelle opere del Corsani", in AA.VV., Studi di Tecnica economica, Organizzazione e Ragioneria, op. cit., p. 307. 38 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta quelle 'uniformità', ossia delle vie d'impresa che possono considerarsi come generali, fermo restando il loro carattere contingente riguardo a determinati gruppi omogenei di imprese" (p. VI). E, in effetti, il Corsani - che pur si era formato alla scuola di Fabio Besta - matura, fin dai primi anni della sua attività scientifica, un'interpretazione 'nuova', rispetto a quella allora corrente, del noto passo del Besta sulla gestione (cfr., supra, § 4), nel senso di ammetterne la possibilità di studio, pur riferita a tipiche classi aziendali. Significative anticipazioni di alcune concezioni sulle cui basi verranno poi costruite le elaborazioni teoretiche successive appaiono, del resto, già in un saggio, quasi mai ricordato, pubblicato nel 1925.73 Scrive Corsani: "Sono oggetto di studio della Tecnica mercantile e bancaria le funzioni di gestione delle imprese mercantili e bancarie rispettivamente, ossia quella serie di sforzi e di cure che mirano direttamente a far sì che la ricchezza agisca in quelle imprese con efficacia massima e che si estrinsecano in scambi di beni economici" (p. 4). Già nel 1925, dunque, per lo Studioso toscano, la Tecnica comincia ad essere studio della gestione aziendale. E che le idee circa il contenuto della disciplina fossero fin d'allora chiare e ben radicate il Corsani lo dimostra con due volumi, entrambi editi nel 1925, su Le caratteristiche fondamentali delle esportazioni (Vicenza, Rossi) e su Le caratteristiche fondamentali delle importazioni agricole (Napoli, Maio), i quali rappresentano la diretta applicazione delle sue concezioni teoriche. Il disegno dell'Autore si perfeziona con i volumi del 1937, La gestione delle imprese mercantili e industriali, e - soprattutto - del 1946, Le funzioni dell'attività produttiva e mercantile, assumendo un'impostazione che, sul tema, non subirà più, nelle opere successive, significative variazioni. 8. Gli studi tecnico-commerciali in Italia negli anni ‘50-60 Rispetto agli anni precedenti il decennio che va dalla fine degli anni Cinquanta alla fine degli anni Sessanta risulta critico nel percorso evolutivo che andiamo delineando. Infatti in questo periodo il campo d'indagine della disciplina - cui verrà attribuito, non senza approfondite discussioni e diatribe, la denominazione di “marketing” - prende maggiore forma e 73 Cfr. G. Corsani, Il contenuto della tecnica commerciale, Firenze, G. Spinelli & C., 1925. Si tratta di un saggio poco conosciuto in quanto fa parte di una raccolta di scritti pubblicati presso il R. Istituto Commerciale di Firenze (in cui l'Autore è stato docente dal 1921 al 1928) "Su alcuni problemi relativi all'istruzione media commerciale". La copia conservata nella biblioteca dell'Università "L. Bocconi" contiene le glosse di Gino Zappa. 39 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo vengono identificate dagli studiosi alcune tematiche di riferimento che segneranno lo sviluppo degli studi di marketing fino ai nostri giorni. L'identificazione del campo d'indagine risente degli influssi di diversi ambiti disciplinari, della disponibilità di nuove conoscenze tecniche, di alcune problematiche che le imprese si trovano a dover affrontare in questi anni. Quest’ultimo aspetto, a nostro avviso, gioca un ruolo significativo nella determinazione dei filoni di ricerca e delle impostazioni teoriche che caratterizzeranno gli studi degli anni a venire. In particolare, il fenomeno che maggiormente attira l’interesse degli studiosi è la produzione di massa e la diffusione che tale modo di produzione gode, al punto da caratterizzare i sistemi industriali di molti Paesi. 8.1. Il contesto empirico di riferimento;: la diffusione della produzione di massa Per valutare l'importanza che l'analisi del fenomeno della produzione di massa assume ai fini della definizione dell'oggetto di studio del marketing, faremo riferimento all’opera di Roberto Fazzi, uno dei più rappresentativi studiosi dell’epoca. Nella monografia "La produzione di massa"74, Fazzi definisce tale modo di produzione come "un 'flusso' continuo di prodotti omogenei costituenti massa unica, oppure di unità di prodotti identici, od anche di parti diverse di prodotti resi uniformi dopo una fase 'complessiva', e che l'impresa destina all'immissione nel processo della distribuzione" (p. 11). Due sono, quindi, i caratteri distintivi della produzione di massa: uno, "qualitativo-temporale", che consiste nella stabilità dei caratteri qualitativi della produzione, l'altro, "quantitativo-temporale", che consiste nella continuità del gestionale flusso di produzione. Tali caratteri distintivi fanno assurgere la produzione di massa a criterio tipico che richiede, quindi, accorgimenti tecnologici, organizzativi, economici, e distributivi, particolari: "quando si dice che un'impresa ha per oggetto 'produzioni di massa', non si dice soltanto che sono impiegati certi metodi di produzione che consentono di ottenere uno o più flussi continui di prodotti eguali; si afferma, principalmente, che in quell'impresa domina un particolare criterio - appunto il criterio della 'produzione di massa' - che orienta tutta la gestione aziendale" (p. 15). Un'impresa che voglia adottare tale tipo di produzione adotterebbe anche un tipo particolare di gestione. Ma quali sono gli aspetti particolari di tale criterio gestionale? Fazzi ne individua quattro: 1) la meccanizzazione dei processi produttivi; 74 R. Fazzi, La produzione di massa. Aspetti economico-tecnici, Edizioni Tramontana, Milano, 1958. 40 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta 2) la standardizzazione di materie, processi e prodotti; 3) la specializzazione produttiva; 4) la disposizione coordinata degli impianti. Mentre il primo e il quarto aspetto hanno un significato prettamente tecnico, a nostro avviso, è rilevante sottolineare alcune precisazioni che Fazzi compie al riguardo degli altri due. In primo luogo, standardizzazione non è sinonimo di semplificazione. La standardizzazione svolge soprattutto una funzione stabilizzatrice dei caratteri produttivi, ossia delle materie, dei processi e dei prodotti. Essa comporta sì una semplificazione di tipo tecnico, una riduzione dei tipi e delle varietà delle materie, delle forme dei prodotti e così via; ma non una semplificazione "commerciale", ovvero una riduzione dei tipi e delle varietà dei prodotti, poiché questa consegue esclusivamente da decisioni relative al "più efficiente smercio" connesso "alle mutevoli esigenze del mercato" (pp. 42-43). In secondo luogo, standardizzazione non è sinonimo di specializzazione aziendale. Fazzi distingue tra "specializzazione interna" e "specializzazione dell'impresa"; la prima consiste in una "concentrazione di fattori di produzione fra loro coordinati in modo da costituire un complesso tecnico-organizzativo a sé stante, destinato a realizzare, nell'ambito dell'impresa, e per il diretto collocamento sul mercato, flussi continui di un dato prodotto, e di limitate varietà di questo" (p. 59); la seconda in una "concentrazione dell'attività d'impresa su di un ben limitato oggetto, per il quale essa è istituita e retta" (p. 59). Orbene, mentre la prima attiene alla produzione di massa quale suo aspetto fondamentale, la seconda, ancora una volta, attiene a decisioni di tipo economico e commerciale. Da questa breve disamina dell'opera di Fazzi - a cui rimandiamo per un'analisi più approfondita - rileviamo come l'analisi dei caratteri distintivi della produzione di massa metta in risalto alcuni punti critici che, sia a livello teorico che pratico, richiedono una soluzione. Gli aspetti caratterizzanti della produzione di massa comportano una semplificazione dei problemi tecnici e produttivi ma una complicazione di quelli commerciali. Infatti la produzione di massa richiede che l'impresa: - - produca elevati volumi di beni per riuscire a coprire il "costante", ovvero la consistente mole di costi fissi connessa alle rilevanti immobilizzazioni tecniche; mantenga una continuità dei flussi produttivi, sia in termini qualitativi che quantitativi, affinché le rigidità connesse alle produzioni di massa non si traducano in mancate convenienze economiche; garantisca tale continuità attraverso il controllo degli sbocchi che i beni prodotti hanno sul mercato; 41 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo - risolva alcune alternative decisionali critiche: varietà produttiva ampia o ridotta; specializzazione o diversificazione aziendale; stabilità della riproduzione o rinnovamento della gamma. Da ciò risulta che il nuovo criterio gestionale che va diffondendosi nei sistemi industriali determina un punto di discontinuità teorico e pratico: il collocamento dei beni nel mercato. Per soddisfare le esigenze che la produzione di massa crea, come abbiamo espresso poc'anzi, è necessario riuscire a determinare quanto produrre e in quali tempi, e cosa produrre. 8.2. Lo sviluppo di differenti impostazioni teoriche: funzionalismo e strutturalismo I tentativi di fornire una risposta alla discontinuità generata dalla produzione di massa danno vita a filoni di ricerca differenti in relazione alle interpretazioni che propongono dei fenomeni oggetto d'indagine. Le due impostazioni teoriche che ne derivano sono di matrice funzionalista e strutturalista. La prima si caratterizza per la continuità rispetto agli anni precedenti e fa riferimento alla teoria delle funzioni economiche sviluppata da Corsani, e anticipata nel precedente paragrafo. In questo periodo è Fazzi – allievo di Corsani e ordinario a Trieste prima e a Firenze poi - a fornire nuova linfa alla teoria delle funzioni e dei rischi. La sua riflessione inizia dall'evidenziazione dei punti di divergenza tra il pensiero di Corsani e quello di Oberparleiter, 75 sostenitore di tale teoria nella scuola austriaca. L'Autore austriaco si poneva innanzitutto il problema dell'esistenza delle imprese commerciali: che cosa giustifica la presenza, nel sistema economico, di imprese che si occupano di distribuire i prodotti? La risposta veniva identificata nello svolgimento, da parte di questa specifica categoria di imprese, di una funzione di "avvicinamento" della produzione al consumo, avvicinamento in termini di spazio, tempo, qualità e quantità. Secondo l'impostazione di Corsani, invece, vi sono alcune funzioni che, nel sistema economico, sono insopprimibili e che egli individua nelle funzioni "produttive in senso stretto" e "di adattamento". Fazzi mette bene in rilievo come in questa nuova impostazione sono diversi sia l'oggetto d'indagine sia l'ampiezza del campo di applicazione della teoria. Nel primo caso "mentre con le funzioni che attuano l' 'avvicinamento', si tende a giustificare le imprese commerciali che si dedicano a realizzarle, con le funzioni che attuano l' 'adattamento' si tende a giustificare le attività corrispondenti, indipendentemente dalle imprese che 75 R. Fazzi, Il contributo della teoria delle funzioni e dei rischi allo studio dei comportamenti imprenditoriali, Colombo Cursi Editore, Pisa, 1957. 42 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta possono assolverle" (p. 24). Nel secondo caso, "la teoria delle funzioni investe, insomma, sia le attività produttive che quelle di adattamento al consumo, perché in questo modo, e non in altri, è possibile comprendere i fenomeni che caratterizzano ovunque il processo intero che corre dalla produzione originaria alla distribuzione ultima del prodotto finito" (p. 21). Sia le funzioni produttive che quelle di adattamento compongono le funzioni "fondamentali" o "specifiche", che sono insopprimibili e interrelate: l'una non può sussistere senza l'altra. Anche Rondini (successore di Fazzi nell’ateneo triestino) al riguardo sostiene che "le funzioni [...] consistono in determinati compiti specifici che l'impresa si assume nel sistema economico e che spiegano le ragioni per le quali essa è sorta ed è necessario che viva. In questo senso l'impresa viene a configurarsi come un mero organo del sistema economico, indispensabile affinché questo sia operante” 76. Ora, la produzione di massa che, come abbiamo visto in precedenza 77, obbliga le imprese a produrre elevati volumi e a mantenere la continuità dei flussi produttivi attraverso un controllo del mercato, rende particolarmente critica la funzione di adattamento. A questo punto possiamo comprendere qual è il ruolo affidato al marketing. I comportamenti di mercato delle imprese, le decisioni che vi sono alla base, le analisi effettuate per poter assumere tali decisioni, danno concretezza alla funzione di adattamento. Per cui, di conseguenza, il marketing deve avere un’impostazione funzionalista. La seconda impostazione teorica - che è riscontrabile essenzialmente negli studi di Castellano, Guatri, Sicca e Vaccà - parte dalla valutazione dell'impatto che la produzione di massa ha sui sistemi industriali. Tale impatto si concretizza nell'aumento dimensionale delle imprese e nella possibilità di queste di influenzare l'ambiente economico-competitivo in cui operano. Questi fenomeni sono interpretabili attraverso la teoria delle strutture di mercato, che studia l'oligopolio, la concorrenza imperfetta e monopolistica, e che si rifà alle opere di Chamberlin, Robinson, Dean e Bain. Questa ipostazione si differenzia dalla precedente perché sostiene la rilevanza che, nelle scelte dell'impresa, è assunta dall'ambiente concorrenziale. Come afferma Sicca "la tecnica istituzionale analizza i fenomeni aziendali assumendo la libertà di scelta da parte dell'imprenditore, prescindendo così dal tener conto delle limitazioni poste all'operare concreto della presenza di altri operatori e, soprattutto, del mercato" 78. E' con la struttura del mercato che l'impresa deve misurare le potenzialità di successo delle proprie scelte. La struttura del mercato può essere ricondotta ad alcune caratteristiche tipiche: 76 O. Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, Giuffrè, Milano, 1963, p. 148. Si veda p. 20. 78 L. Sicca, Le gestioni industriali a produzioni multiple. Politiche di vendita e di sviluppo, Cedam, Padova, 1966, p. 1. 77 43 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo • il grado di concentrazione (dei venditori e degli acquirenti); • il grado di differenziazione dei prodotti; • le condizioni poste all'entrata dei nuovi produttori 79. Cadendo una delle ipotesi cardine della teoria economica classica, quella dell'omogeneità dei prodotti, si amplia notevolmente lo spettro decisionale delle imprese. Queste hanno la possibilità di differenziare i loro prodotti, di conquistare un proprio mercato, di stabilire un contatto diretto con i consumatori tramite la marca. Si comprende, allora, il compito affidato al marketing: quello di gestire la differenziazione dell'offerta dell'impresa. Gli studi di marketing devono quindi affondare solide radici nella teoria che ha analizzato e interpretato il fenomeno della differenziazione; per cui il marketing deve avere un'impostazione strutturalista. Da queste due diverse impostazioni teoriche discendono, come vedremo in seguito, percorsi di ricerca differenti, pur se il campo di indagine rimane uniformemente delineato. D'altronde, è anche vero che tra le due impostazioni vi sono notevoli convergenze: valga per tutte l'approccio “direzionale” di cui diremo in avanti. In conclusione, per poter meglio comprendere i due diversi modi di impostare gli studi di marketing, passeremo ora a confrontare due testi fondamentali in questi anni. A nostro avviso, essi, "Tecniche e politiche di vendita" di Fabrizi e "Le aziende industriali" di Guatri, riconducibili il primo all'impostazione funzionalista, l'altro a quella strutturalista, sono i più rappresentativi del periodo in quanto, data la loro inquadratura manualistica, offrono una visione dell'intero campo di indagine del marketing. Dell'opera di Fabrizi 80, ciò che interessa ai nostri fini è la Parte Prima. Dopo un capitolo introduttivo sull'evoluzione degli studi di tecnica economico-aziendale e degli studi di marketing - dove sono presentate varie definizioni del termine - e un successivo in cui sono definite l'azienda e l'impresa, Fabrizi delinea il contesto funzionalista in cui la nascente disciplina del marketing deve avere l'alveo: "Negli studi di economia aziendale, e parallelamente in quelli di marketing, lo studio delle funzioni aziendali è premessa indispensabile per ogni ulteriore sviluppo teorico. Il 'Functional Approach' del marketing o studio delle funzioni essenziali dell'impresa nell'azione di vendita, come la teoria delle funzioni nella disciplina economico-aziendale, costituisce l'analisi teorica di base per individuare i principi del comportamento imprenditoriale. Se concepiamo la tecnica economico-aziendale come dottrina che studia le scelte promosse 79 L. Sicca, op. cit., p. 10. C. Fabrizi, Tecniche e politiche di vendita. Elementi di marketing, Cedam, Padova, 1967 (II ediz.). 80 44 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta dall'imprenditore per guidare l'organismo impresa verso il conseguimento degli obiettivi prefissi, è indispensabile procedere anzitutto all'analisi delle funzioni fondamentali dell'impresa, in rapporto alle quali le relative scelte si pongono con possibilità autonoma di manifestazione " (p. 57). Fabrizi descrive poi brevemente le teorie sulle funzioni di maggiore rilievo nella letteratura internazionale e nazionale - Fayol, Mc Gary, Corsani - per poi passare a definire il proprio concetto di “funzione dell'impresa”. E' interessante notare la differenza tra la definizione di Corsani e quelle di Fabrizi, che pure del primo fu apprezzato allievo. Mentre per il primo come anticipato in precedenza - le funzioni corrispondono ad attività del sistema socio-economico che vengono di necessità svolte dalle imprese del sistema, per Fabrizi le funzioni sono attività d'impresa che tutte le aziende devono compiere. L'Autore distingue cinque categorie di funzioni: tecnica o di produzione; commerciale o di vendita; finanziaria; organizzativa; direzionale. L'ottica di Fabrizi è, dunque, fortemente organizzativa: come egli sostiene "le quattro funzioni predette [esclusa quella direzionale che ha caratterizzazione "diffusa"] trovano espressione concreta nei reparti in cui si articola ogni azienda in genere e cioè: Direzione (o Reparto) di produzione, Direzione Commerciale, Direzione Finanziaria (e Amministrativa), Direzione del Personale (Organizzazione)" (p. 63). Delle diverse funzioni, quella che pertiene propriamente al marketing è ovviamente la funzione commerciale o di vendita, cui, poi, l'intero testo è dedicato. Della differenza con l'approccio funzionale tradizionale e l'inserimento del marketing in una nuova ottica "direzionale" è lo stesso Fabrizi a dare conferma quando sostiene che "le funzioni fondamentali inerenti allo scambio [...] non sono studiate nella loro obiettiva ed estrinseca manifestazione, ma in rapporto alle alternative delle scelte possibili, in guisa da massimizzare o il profitto ritraibile, o le condizioni di efficienza funzionale, o nei riguardi del più vantaggioso inserimento dell'azienda nella lotta concorrenziale" (p. 17). Caratteristica peculiare dell'impostazione funzionalista è che il concetto centrale di funzione permette il passaggio da un'ottica microeconomica d'impresa a una macroeconomica di sistema. Tale passaggio può essere rappresentato da un continuum di funzioni che dall'interno della singola impresa si aggregano in un insieme che va a costituire il sistema economico. Da ciò l'originale definizione di mercato che l'Autore fornisce: "il mercato è rappresentato dalla totalità delle funzioni svolte da tutte le imprese in esso operanti, e cioè dalla massa di tutte le azioni e reazioni sviluppate o sviluppabili dalle attività imprenditoriali e del consumo" (p. 18). L'adozione del concetto di “funzione d'impresa” come centrale in questa impostazione teorica, a nostro avviso, ha due conseguenze (che verranno approfondite nel seguito della trattazione): 45 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo • innanzitutto spiega perché gli studi di marketing dal punto di vista macroeconomico hanno, in Italia, un'impostazione di tipo prevalentemente funzionalista; • inoltre, e di conseguenza, spiega perché nel periodo successivo l'impostazione funzionalista verrà utilizzata prevalentemente nell'analisi dei fenomeni distributivi, mentre prevarrà, negli studi di marketing con ottica micro, l'impostazione teorica strutturalista. Nell'opera di Guatri 81 il concetto di “marketing” viene costruito intorno al concetto di mercato. Il mercato è il luogo economico in cui domanda e offerta si incontrano con lo scopo di soddisfare i propri diversi obiettivi. Ma se il concetto di mercato è centrale, "l'analisi dei mercati sui quali l'azienda industriale si presenta in veste di venditrice pone come condizione preliminare la necessità di studiare il problema della concorrenza. Sotto questo profilo i mercati possono essere distinti in funzione delle diverse caratteristiche e della diversa intensità secondo le quali il fenomeno si presenta" (p. 19). Se, quindi, il marketing rappresenta, dal punto di vista dell'azienda, l'insieme di scelte da quest'ultima effettuate con riguardo al mercato, tali scelte variano in funzione di come le forze concorrenziali conformano il mercato stesso. Guatri, dopo aver passato in rassegna le varie forme di mercato studiate dalla teoria economica, concentra la propria attenzione sui due ambiti concettuali ed empirici da cui la concorrenza è determinata: l'offerta e la domanda. Dall'analisi di questi due fattori l'azienda deve partire per compiere adeguate scelte di marketing. Per analisi dell'offerta, l'Autore intende "un complesso di indagini, di assai varia composizione, tra le quali possono essere ricordate: le indagini sulle caratteristiche e sull'intensità della concorrenza; le indagini sull'elasticità e sulla flessibilità dei processi produttivi; le indagini attorno alla 'forma' dei mercati [...]; le ricerche sulla localizzazione delle unità produttrici" (p. 33). Dell'analisi dell'offerta l'aspetto sicuramente più rilevante è il primo, ovvero l'analisi della concorrenza. La rappresentazione del fenomeno concorrenziale deve riguardare: "1) l'individuazione delle aziende operanti nel ramo di attività oggetto della ricerca, precisando i luoghi dove si svolge la produzione; 2) l'enunciazione della loro capacità produttiva e della loro produzione effettiva in recenti periodi; 3) la precisazione delle caratteristiche qualitative dei prodotti offerti dalle diverse aziende, avuto riguardo anche all'apprezzamento che ne fa il mercato; 4) l'enunciazione dei prezzi praticati dalle varie aziende. Oltre a ciò, altre utili conoscenze potranno essere ricercate, se del caso, con riguardo alla organizzazione produttiva e commerciale delle aziende concorrenti, ai programmi 81 L. Guatri, Le aziende industriali. Il marketing, Giuffrè, Milano, 1966. 46 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta pubblicitari da esse realizzati e così via" (p. 34). Obiettivo ultimo dell'analisi della concorrenza è la valutazione della "capacità di concorrenza" degli avversari, ovvero "l'attitudine a resistere al deterioramento dei rapporti di scambio, pur conservando al proprio sistema di prezzi un sufficiente grado di economicità, almeno nel lungo andare" (pp. 34-35). Ma in quale modo le informazioni sull'intensità della concorrenza influenzano le decisioni di marketing dell'impresa? Il collegamento è offerto dal concetto di “differenziazione”. Le diverse forme che la concorrenza può assumere comportano per l'impresa una maggiore o minore discrezionalità nell'utilizzo di alcune variabili per differenziare la propria offerta. Tali variabili riguardano il prodotto, la promozione delle vendite, i servizi connessi al prodotto, le modalità di pagamento, ovvero quelle variabili che compongono il marketing mix dell'azienda. A differenza dell'impostazione funzionalista di Fabrizi, Guatri, quindi, pone alla base delle decisioni di marketing il fenomeno concorrenziale; per cui la struttura dei mercati e della competizione che in essi si svolge sono la base teorica e applicativa del marketing. In conclusione, i percorsi logici che differenziano le due impostazioni possono essere rappresentati nello schema contenuto nella figura 1. Figura 1. I percorsi logici delle prevalenti impostazioni di studio IMPOSTAZIONE FUNZIONALISTA IMPOSTAZIONE STRUTTURALISTA Produzione di massa Ð Impatto sulla struttura funzionale dell'impresa Ð Criticità della funzione di adattamento Ð Marketing Produzione di massa Ð Impatto sulla struttura dei settori industriali Ð Criticità della Differenziazione dell'offerta Ð Marketing 8.3. Gli studi connessi all'impostazione funzionalista Gli Autori che adottano un'impostazione fondata sulla teoria delle funzioni82 si occupano essenzialmente di fornire una soluzione a due problematiche. Esse derivano direttamente dal fenomeno della rilevanza 82 A nostro avviso, a tale impostazione possono essere ricondotti gli studi di Fabrizi, Rondini, Piro e Tagliacarne. 47 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo assunta dalla funzione di adattamento delle imprese. Adattare i beni alle esigenze del mercato significa innanzitutto analizzare tali esigenze, e, in secondo luogo, valutare la possibilità di delegare alcune attività costituenti la funzione di adattamento ad altre imprese. Nelle parole di Rondini: "il compito principale che l'impresa manifatturiera deve assolvere, o che può, almeno in parte delegare all'impresa mercantile, è quello di 'adattare' i beni che porterà sul mercato a quelle che sono le esigenze e le necessità dei consumatori” 83. Le due problematiche costituiscono le due macrotematiche indagate dagli studiosi che si riconoscono nell’impostazione funzionalista: • la domanda; • la distribuzione. L'analisi delle esigenze dei consumatori appare immediatamente agli studiosi come un problema fondamentale, di elevata complessità. Come afferma ancora Rondini: "lo studio della distribuzione dal punto di vista direzionale va quindi iniziato dall'analisi della domanda che deve essere conosciuta ed interpretata dall'imprenditore sia nell'aspetto qualitativo che quantitativo"84. Risalta con evidenza che il generico concetto di domanda - o di mercato - impiegato dagli studi economici in genere, e di tecnica in particolare, non riesce a cogliere la varietà e la problematicità del fenomeno. La varietà è dovuta ai diversi punti di vista da cui la domanda può essere osservata: colui che studia o pratica il marketing deve essere consapevole che non esiste "la" domanda ma un insieme di possibili definizioni di domanda che variano sulla base di criteri di volta in volta utilizzabili per il raggiungimento di particolari fini. Così, una delle urgenze degli studiosi è quella di costruire un vocabolario che permetta la descrizione delle diverse forme che il fenomeno può assumere. La necessità di riuscire a descrivere efficacemente la domanda nelle sue varie manifestazioni è duplice: da un lato, addentrandosi nell'analisi di un tema scarsamente affrontato finora, essi sentono il bisogno di stabilire punti di partenza precisi; dall'altro, ponendosi l'obiettivo di fornire regole di comportamento al management - l' "approccio direzionale" sostenuto da molti Autori - essi intendono stabilire una tassonomia che individui "fattispecie di domanda" riconosciute le quali il management possa agire di conseguenza. Esemplificativa al riguardo è la proposta di Rondini - uno degli studiosi che in quest'epoca dedica gran parte della propria ricerca al 83 84 O. Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, op. cit., p. 26. O. Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, op. cit., p. 118. 48 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta tema - che si concretizza in una serie di dicotomie85 descrittive del fenomeno. Esse sono basate sulle caratteristiche di certezza della manifestazione (domanda effettiva o potenziale), specificità (domanda totale o dell'impresa), dipendenza (domanda originaria o derivata), temporalità (domanda di breve e di lungo andare), controllabilità (domanda attuale e futura). Inoltre si riconoscono caratteristiche di specificità alla domanda di particolari tipi di beni quali quelli di consumo finale rispetto agli industriali e agli agricoli. E' da notare che le caratteristiche evidenziate sono significative proprio in termini decisionali: nell'assumere una decisione di marketing un manager dovrà attuare l'analisi del contesto e la misurazione della performance della decisione. A tale scopo il grado di controllabilità, di certezza, di specificità, e così via, determineranno l'adattamento conseguente del processo decisionale. Oltre alla descrizione dei caratteri particolari che la domanda può assumere, gli studiosi pongono attenzione ad alcune proprietà tipiche della domanda, che prescindono dalle manifestazioni puntuali di questa. Le proprietà esprimono in vario modo il grado di "assorbimento" dell'adattamento da parte della domanda, cioè la possibilità che la domanda offre all'imprenditore di adattare la propria offerta. Tra le proprietà le più rilevanti sono: la plasticità, l'elasticità, la varietà, la variabilità. La prima esprime la proprietà di lasciarsi "influenzare" dalle azioni dell'impresa, ovvero la possibilità dell'impresa di provocare degli effetti sulla domanda attraverso la manovra di alcune leve; la seconda è un indicatore di sostituibilità fra le leve, poiché esprime il grado di sensibilità della domanda all'utilizzo delle varie leve da parte dell'impresa; la terza esprime la diversa conformazione che il fenomeno può assumere in termini di dimensione, composizione, dipendenza da alcune variabili d'impresa e non; l'ultima esprime la potenzialità di mutamento nel tempo. E' da notare che i caratteri e le proprietà evidenziati sono significativi proprio ai fini decisionali: nell'assumere una decisione di marketing, un manager necessita di un'analisi del contesto di domanda e, successivamente, la misurazione della performance della decisione. A tale scopo, la conoscenza di caratteri e proprietà permetteranno una maggiore efficacia del processo decisionale. A fronte di tale varia configurazione del fenomeno, è sentita la necessità di specificare meglio il generico concetto di domanda e si distingue quest'ultima dal concetto di consumo. Mentre con la prima si intende la quantità di beni che vengono richiesti a un determinato prezzo nel mercato - o a una data impresa - il concetto di consumo vuole specificare l'insieme di atti, decisioni, eventi, di cui la domanda rappresenta solamente l'ultimo e più appariscente atto. Il termine "consumo" sta a significare 85 O. Rondini, Gli obiettivi della distribuzione. La domanda e i consumatori, Giuffrè, Milano, 1964, pp. 47-65. 49 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo comportamento di consumo degli individui, aspetto, quest'ultimo, molto più significativo per le imprese: "mentre la domanda complessiva, totale, è importante soprattutto come stato dimensionale, è il consumatore, come individuo, che condiziona il piano strategico, che il governo d'impresa attuerà sul mercato. Per tali ragioni, tutto ciò che concerne il consumatore, i suoi bisogni, i suoi caratteri, le sue abitudini, la sua ubicazione e così via debbono essere a conoscenza del governo dell'impresa" 86. Appare, quindi, nella disciplina la distinzione tra analisi quantitativa della domanda e analisi qualitativa della stessa 87. E con il passaggio dal concetto di domanda a quello di consumo viene messa in risalto la problematicità del fenomeno della domanda. La problematicità è connessa intrinsecamente al comportamento di consumo degli individui. E' possibile ipotizzare che ogni individuo, per proprie specificità, manifesti un comportamento particolare. Ciò sia a livello teorico che pratico rende estremamente difficoltoso descrivere e interpretare il fenomeno. Le soluzioni proposte dagli studiosi sono state: • a livello teorico, il ricorso ad altre scienze; • a livello operativo, l'identificazione di alcuni caratteri distintivi dell'individuo come consumatore. Nel primo caso, il riconoscimento che alla base di ogni comportamento di consumo c'è un bisogno da soddisfare rimanda alla conoscenza sviluppata sul tema da altre discipline. La natura dei bisogni, e il tramutarsi di questi in moventi e atteggiamenti, sono le tematiche indagate dalla sociologia e dalla psicologia, che vengono importate nel marketing. Ci si rende conto che nell'universo non esplorato dall'economia politica ci siano le aspirazioni, i preconcetti, le opinioni, le simpatie, i sentimenti del consumatore che devono essere analizzati se si vuole comprendere il perché di determinate sue scelte. Come afferma Rondini: "il comportamento si compone essenzialmente di due parti e cioè degli stimoli, delle forze, delle variabili, che lo determinano e lo condizionano, e degli atti, delle scelte, che il consumatore effettua" 88. Il grado di approfondimento della tematica, però, rimane ancora molto limitato, e non permette di effettuare ipotesi specifiche alla disciplina. E' invece innovativa la considerazione che l'atto di consumo è comunque una fase intermedia di un processo le cui fasi componenti sono tutte di enorme rilievo per l'impresa. Come sostiene di nuovo Rondini: "non è sufficiente, a nostro modo di vedere, limitare lo studio del consumatore al processo di decisione che porta a comportarsi in un determinato modo, ad 86 O. Rondini, op. ult. cit., p. 129. Si veda la citazione della nota n. 68. 88 O. Rondini, op. ult. cit., p. 162. 87 50 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta esempio a scegliere un dato prodotto oppure a patrocinare questo o quel punto di vendita. L'operatore ha bisogno di conoscere anche quanto avviene all'atto del consumo e dopo di esso, cioè gli importa di sapere fino a qual punto il consumatore è rimasto soddisfatto dell'uso del suo prodotto e qual è stato il suo giudizio e il suo apprezzamento" 89. Risultati più ampi - seppure relativamente - vengono invece raggiunti nell'individuazione dei tratti distintivi del consumatore. Questi rappresentano le determinanti del comportamento di acquisto. Se, sfruttando le conoscenze sviluppate dalla sociologia e dalla psicologia, è possibile indagare i bisogni e i moventi, dall'analisi delle caratteristiche distintive è, invece, possibile indagare i comportamenti. Le caratteristiche consistono in variabili demografiche - sesso, età, stato civile, reddito, professione, e così via - in variabili comportamentali - frequenza degli acquisti, complementarità, abitudini, modalità di pagamento - e in variabili che denotano la sensibilità ad alcuni aspetti del prodotto - forma, disegno, colore, e così via 90. A livello operativo, dunque, gli studiosi sono in grado di prescrivere alle imprese l'indagine sistematica di una serie di variabili che determinano la formazione delle preferenze dei consumatori e il loro comportamento di acquisto e di consumo. Inoltre, la prescrizione si arricchisce della contestualizzazione dell'analisi del consumatore sulla base della tipologia dei prodotti di cui si indaga l'acquisto. E' possibile individuare, infatti, moventi e comportamenti degli acquirenti specifici a seconda che si stia trattando di beni di consumo, di beni industriali o di prodotti agricoli: un'impresa che si trovi a produrre una o le altre di queste categorie di prodotti dovrà indagare aspetti diversi e attendersi comportamenti differenti da parte dei clienti 91. * * * La seconda grande area di studio degli Autori che si riconoscono nell’ di impostazione funzionalista è quella relativa alla distribuzione commerciale. La motivazione dell'attenzione nuova posta su quest'area può essere derivata da un'affermazione di Rondini: "Il processo di adattamento dei beni, per adempiere egregiamente alle sue funzioni e per perfezionarsi ha bisogno di concentrarsi in pochi organismi, bensì di diffondersi quanto più capillarmente possibile in modo da raggiungere in estensione e in profondità, tutte le categorie di consumatori, che dei beni prodotti necessitano per soddisfare i propri bisogni" 92. La produzione di massa 89 O. Rondini, op. ult. cit., p. 131. C. Fabrizi, Aspetti e problemi della distribuzione commerciale, Cedam, Padova, 1959, pp. 304-305; O. Rondini, op. ult. cit., p. 140. 91 O. Rondini, op. ult. cit., cap II. 92 O. Rondini, Elementi di strategia della distribuzione, op. cit., p. V. 90 51 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo rende critico il fenomeno della distribuzione perché, se il momento produttivo può essere concentrato in aree geografiche limitate, la gran massa dei beni prodotti deve poi essere collocata sul mercato in modo molto disperso, necessitando di strutture adatte. La questione critica diventa: se la nuova modalità di produzione permette una maggiore disponibilità di beni a costi contenuti, tali vantaggi non saranno poi annullati al momento dell'adattamento dei beni alle esigenze dei consumatori? Per citare ancora Rondini: "Nel campo della distribuzione non si è verificato, infatti, un fenomeno analogo a quello che ha portato alla produzione di massa, con la relativa, importantissima, conseguenza, di una forte contrazione dei costi" 93. Il problema fondamentale da indagare è l'efficienza della distribuzione commerciale. Il metodo d’indagine è peculiare nel panorama della disciplina perché si adotta un'ottica macro, si attribuisce agli studi una caratterizzazione eminentemente empirica, arricchita da ampi confronti internazionali, e si propongono soluzioni legislative per la regolamentazione del settore. L'adozione di un'ottica macro è giustificata dalla considerazione che il raggiungimento di adeguati livelli di efficienza dipende non solo dalla gestione delle singole aziende bensì da come l'apparato distributivo è strutturato. Fabrizi precisa la distinzione tra apparato e sistema distributivo: "ho preferito il termine di 'apparato', del resto largamente ricorrente nelle pubblicazioni di lingua francese, in quanto il significato etimologico di 'sistema' implica il concetto di complesso di organi strettamente coordinati e interdipendenti, tali da creare entità a sè stante ed ordinata nell'insieme. Il nostro 'sistema' della distribuzione, inteso come aggregato di tutte le aziende partecipanti al processo distributivo dei beni e dei servizi, manca certamente di questo presupposto, per cui è più appropriata la denominazione di 'apparato', in quanto insieme di organi aziendali azionanti il meccanismo della distribuzione, pur se privi di coordinamento e caratterizzati da notevole eterogeneità funzionale e strutturale"94. Tale precisazione già permette di avvertire la critica che gli studiosi di marketing, sono in grado di avanzare alla strutturazione attuale della distribuzione. Se i costi di distribuzione sono elevati, ciò è da ricondurre in gran parte a carenze di ordine strutturale riguardanti: • l'eccessiva polverizzazione delle aziende commerciali, che non permette di ottenere economie di dimensione e di ridurre i costi unitari; 93 O. Rondini, op. ult. cit., p. 78. C. Fabrizi, Morfologia dell'apparato distributivo italiano, Cedam, Padova, 1965, pp. VII-VIII. 94 52 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta • l'eccessiva specializzazione merceologica, ormai inadeguata rispetto al crescente diffondersi dell'abitudine da parte dei consumatori di concentrare gli acquisti in un unico punto di vendita; • l'inefficiente localizzazione sul territorio, che rende più difficoltoso il processo di acquisto da parte dei clienti. Gli studiosi pongono la loro attenzione, quindi, sulle cause dell'inefficienza dell'apparato distributivo addebitandole principalmente alla legislazione in vigore. A questa vengono rimproverate un'impostazione ormai vetusta, che non dà più conto dell'evoluzione che la distribuzione attraversa; l'eccessiva farraginosità delle procedure, che limita l'accesso al settore e il verificarsi di un'efficace concorrenza; l'eccessiva discrezionalità della Pubblica Amministrazione nel rilascio delle licenze, che può celare il perseguimento di fini diversi rispetto alla regolamentazione efficace ed efficiente del settore. Le ipotesi formulate dagli studiosi sono corroborate da un'elevata serie di ricerche empiriche e da notevoli confronti internazionali 95. Nelle prime si utilizzano soprattutto dati prodotti da fonti istituzionali, fra tutti i Censimenti decennali e le indagini del Ministero dell'Industria e del Commercio. L'elaborazione dei dati permette un'analisi statica della distribuzione, e un'analisi dinamica. La prima è effettuata creando una serie di indici prevalentemente di concentrazione e di localizzazione. L'analisi dinamica rileva, oltre alla variazione degli indici, un aspetto maggiormente qualitativo: l'evoluzione degli organismi di vendita tradizionali e la nascita di nuove forme di aziende distributive. In quest'ultimo caso il supporto empirico proviene in maggior modo da paesi stranieri, quali gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna e la Germania. Gli studiosi italiani si concentrano ancora una volta sulle cause che provocano l'evoluzione; e la risposta che forniscono è che questa è indotta nell'apparato distributivo da cause esogene: le politiche delle imprese industriali derivanti dall'adozione della produzione di massa e dai comportamenti di acquisto dei clienti. Le prime creano la necessità di collocare nel mercato ampi volumi di beni di marca che non abbisognano di grande "spinta" da parte dell'intermediario. I secondi, soprattutto nel comparto degli alimentari, consistono in poche visite ai negozi, concentrazione degli acquisti, maggiore disponibilità di denaro e informazioni. Ragionando per analogia con i paesi industriali più avanzati, i nostri Autori sostengono la tesi che le nuove forme di aziende distributive - dai supermercati ai centri commerciali, dalle catene agli shopping centre, e così 95 Si ricordano gli studi di R. Piro, "L'evoluzione commerciale italiana negli anni cinquanta, vista attraverso gli indici di struttura", Orizzonti economici, dicembre, 1962; e "Caratteristiche del sistema distributivo in Italia e nel Mezzogiorno dal 1951 al 1961", Rivista di Studi e Ricerche, n. 2, 1963. 53 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo via - sono più efficienti nello svolgimento delle funzioni di adattamento delegate loro dalle imprese industriali. Ciò determinerà un loro prevalere nel futuro. Molta attenzione, di conseguenza, viene posta sulla descrizione delle caratteristiche che i nuovi organismi di vendita manifestano all'estero e nelle prime applicazioni italiane 96. Data la conformazione attuale dell'apparato distributivo, gli studiosi non riconoscono ancora alle aziende del settore la capacità di provocare autonomamente un cambiamento sulle caratteristiche strutturali del settore stesso. Questa considerazione, insieme all'ottica macro adottata e all'analisi dell'impatto che la legislazione esercita sul commercio, spinge gli studiosi a proporre alcune modifiche al sistema di leggi e regolamenti, aspetto questo, come anticipato, abbastanza particolare nel panorama degli studi di marketing italiani. L'obiettivo ultimo di tali modifiche sarebbe proprio facilitare il naturale corso evolutivo che il settore subirà - come verificato in altri paesi - caratterizzato dalla riduzione del peso del piccolo dettaglio tradizionale e del grossista, dall'incremento della rilevanza del grande dettaglio moderno e dall'aumento del grado di concorrenzialità complessivo all'interno del settore. Tutto ciò comporterà un'efficienza della funzione di adattamento svolta dalla distribuzione adeguata alle esigenze di un sistema industriale basato sulla produzione di massa. Fabrizi, parlando della "razionalizzazione del commercio", sostiene: "I grandi rinnovamenti dell'organizzazione commerciale negli Stati Uniti e nei grandi paesi industriali europei si sono orientati nel senso di servire sempre meglio il consumatore finale. Ora, questo processo di rinnovamento dell'apparato distributivo è indubbiamente in atto anche da noi [...] ad iniziativa di singoli commercianti o gruppi di commercianti o di vari organismi pubblici o sindacali, per appoggiare tale movimento. [...] Questi tentativi isolati, lodevoli e apprezzabili anche nel loro significato sociale di rinnovamento, sono finora rimasti al di fuori di un qualsivoglia programma di politica commerciale, al di fuori di qualsiasi appoggio, aiuto ed agevolazione di carattere pubblico. [...] E' tempo che, anche per il commercio, si configuri una politica commerciale più decisa, più realistica, più sostanziosa di mezzi, a favore di queste trasformazioni strutturali" 97. Tutte le tesi sostenute sul tema dell'efficienza della distribuzione perderebbero molta della rilevanza se non fosse affrontato il problema della misurazione dell'efficienza stessa. Gli Autori del periodo sopperiscono a questa necessità utilizzando il concetto di costo di distribuzione. Nella definizione del concetto appare evidente l'opportunità di distinguere due livelli di valutazione: quello economico-generale e quello aziendale. Nel 96 Al riguardo si vedano: R. Argenziano, Economia dei supermercati, Utet, Torino, 1966; L. Sicca, Le aziende del grande dettaglio. Tecniche e politiche di gestione, Cedam, Padova, 1967. 97 C. Fabrizi, op. ult. cit., pp. 444-445. 54 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta primo caso il valore di costo è rappresentativo dell'efficienza dell'apparato distributivo - in un'ottica macro. Esso è definito come: "il quantum monetario pagato dalla collettività consumatrice di un Paese per il servizio della provvista di tutti i beni e servizi messi a disposizione dalla organizzazione commerciale, in un determinato periodo di tempo, sotto deduzione dei costi di produzione (industriale o agricola o dei costi di importazione) della stessa quantità di beni consumata" 98. Così il costo di distribuzione, coerentemente con il concetto di adattamento costruito dagli studiosi di impostazione funzionalista, esprime il valore aggiunto dal processo stesso di adattamento dei beni che fuoriescono dalla fase produttiva. Ecco che, in termini concettuali, la distribuzione non viene più vista solo come generatrice di costi bensì come creatrice di valore per l'intera collettività e per i singoli consumatori. E' comprensibile, quindi, che le valutazioni di tale costo vengano effettuate secondo modalità tipiche della Contabilità Nazionale. Esemplare al riguardo è lo studio compiuto da Tagliacarne 99 dove il costo di distribuzione viene valutato sommando a livello di settore distributivo - e in particolare nel dettaglio - le spese sostenute per il personale, i fattori produttivi (locazioni, energia, spese generali), il trasporto e le imposte. Se l'apparato distributivo fornisce un valore aggiunto a livello generale, sta poi alle singole imprese la possibilità di sfruttare tale valore per arricchire la propria offerta. A livello aziendale, il costo di distribuzione è definito come: "il complesso di spese, oneri, perdite, disperdimenti sostenuti dall'azienda, in un determinato periodo della gestione, per poter svolgere le specifiche funzioni della vendita (reperimento dei prodotti, trasferimento nel tempo e nello spazio delle merci, adattamento qualitativo e quantitativo delle merci secondo le esigenze dei compratori, funzioni accessorie del finanziamento e della promozione e sviluppo)" 100. Data questa definizione, l'analisi del costo di distribuzione per oggetto di spesa - come nella valutazione a livello economico-generale - non permette di produrre informazioni adeguate sull'efficienza dello svolgimento della funzione di adattamento da parte dell'impresa. Una valutazione del genere può essere effettuata ripartendo i costi per funzione o per segmento di vendita 101, intendendo quest'ultimo come unità di aggregazione di specifiche azioni di vendita - prodotti, zone, canali, reparti e così via. Nelle due precedenti ipotesi si caldeggia un'identificazione specifica del costo, o del valore, della funzione di adattamento svolta dall'impresa, avendo come unità di riferimento le singole funzioni che 98 C. Fabrizi, op. ult. cit., pp. 398-399. G. Tagliacarne, "Evolution of Trade and Distribution Costs", Review of Economic Conditions in Italy, n.4, 1965; 100 C. Fabrizi, op. ult. cit., pp. 406-407. 101 C. Fabrizi, op. ult. cit., p. 420. 99 55 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo determinano il processo di adattamento, o i singoli segmenti che necessitano soluzioni di vendita specifiche. Ciò rappresenta, da un lato, l'invito affinché l'adattamento trovi luogo in modo più appropriato nei sistemi di contabilità aziendali; dall'altro, il riconoscimento che la funzione di adattamento ha come limite ultimo quello reddituale. Inoltre, ciò sta a significare che il processo di adattamento, e, quindi, il marketing che di tale processo ha la responsabilità, al pari degli altri processi aziendali trova la sua ragion d'essere nella convenienza economica, e, da ultimo, nella produzione di reddito. 8.4. Gli studi connessi all'impostazione strutturalista Risulta difficoltoso effettuare una suddivisione degli studi di impostazione strutturalista sulla base di alcune macrotematiche, come invece abbiamo potuto nell'analisi degli studi precedenti. E' possibile anzi affermare che gli studiosi che seguono l’impostazione in esame sono caratterizzati proprio da una visione integrata dei fenomeni di mercato conseguenti all'adozione diffusa della produzione di massa nel sistema industriale. Attribuendo un valore esplicativo preponderante al gioco concorrenziale, essi sono naturalmente portati a una considerazione congiunta di attori, forze, strumenti ed effetti che in tale gioco sono coinvolti. E' indubitabile che un posto di assoluto rilievo nelle riflessioni degli studiosi sia ricoperto dal concetto di differenziazione. Al riguardo si discute dell'estensione rispetto al concetto originario proposto dagli economisti, degli strumenti per renderla operativa, degli effetti che essa provoca sulle relazioni fra i vari attori in gioco. L'adozione della produzione di massa come criterio gestionale impone alle imprese industriali alcuni vincoli i quali, però, sono controbilanciati da opportunità impossibili da cogliere in mancanza di tale criterio. Il vincolo maggiore consiste nell'incremento delle dimensioni aziendali con la conseguente necessità di gestire le rigidità sia in termini statici (ampi volumi da smerciare) sia in termini dinamici (mantenimento di flussi produttivi continui). Ma, insite nello stesso criterio, vi sono determinate potenzialità. Innanzitutto le aumentate dimensioni aziendali permettono di uscire dalle condizioni di anonimato in cui opera l'impresa atomistica della concorrenza perfetta. La standardizzazione dei processi e dei prodotti permette all'impresa di mantenere uno stesso livello qualitativo nel tempo e nello spazio. L'impresa trova quindi conveniente apporre ai propri beni una marca a cui è possibile associare una serie di caratteristiche qualitative: ciò ha portato gli studiosi a cogliere l'identità fra prodotto di massa e prodotto di 56 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta marca 102. Dal punto di vista del mercato, ciò significa che il consumatore, nel momento in cui deve scegliere un prodotto per la soddisfazione di un bisogno, si trova di fronte a un insieme di alternative distinguibili in base al nome del produttore - inteso in senso lato, come marca - e a un insieme di caratteristiche associabili a esse. A supporto di questa affermazione Vaccà sostiene che: "il produttore con l'adozione di una marca può riproporsi non la sua 'identificazione' da parte del consumatore, ma di rendere più efficace e più stabile nel tempo l'affermazione di un bene di consumo, valorizzandone la qualità e la capacità di soddisfare dati bisogni, ovvero con la marca l'impresa tende essenzialmente a differenziare un prodotto rispetto a quelli concorrenti" 103. E così il potenziale di "distinguibilità" offerto dalla marca alle imprese produttrici può essere ricondotto nella teoria al concetto di differenziazione, e quindi alle forme di mercato della concorrenza monopolistica e dell'oligopolio. Particolare enfasi al riguardo viene posta sulla differenziazione "psicologica" dei beni. Gli studiosi riconoscono infatti che i miglioramenti qualitativi conseguenti all'adozione delle nuove tecnologie non sempre possono essere recepiti in modo adeguato dal mercato. Inoltre, l'innalzamento degli standard qualitativi dei beni potrebbe ricondurre all'ipotesi di indifferenziazione dei prodotti. Le imprese, quindi, dovrebbero prestare più attenzione ad altre modalità di differenziazione, ottenute associando alla marca particolari valori. Come scrive ancora Vaccà: "ogni bene di consumo viene normalmente acquistato in quanto ha per il consumatore un 'significato' più o meno simbolico (in relazione al quale si definisce l'utilità del bene) che si spiega tenendo presente il tipo di vita (altri direbbero lo schema di riferimento) che il singolo immagina di poter condurre: il bene, con altre parole, acquista un 'significato' e pertanto attrae il consumatore, in quanto esprime la possibilità di agire, di vivere in un modo che si considera 'ideale', ovvero, preferibile a quello attuale"104. Quanto appena detto sulla criticità della differenziazione psicologica, insieme con la considerazione che affinché la differenziazione operata dall'impresa sia apprezzata dal consumatore debba essere percepita da quest'ultimo, induce gli Autori del periodo ad approfondire l'analisi di uno strumento nuovo all'economia aziendale: la pubblicità105. Alcune caratteristiche tipiche della pubblicità la rendono particolarmente coerente rispetto agli altri strumenti di differenziazione dell'offerta - con il nuovo 102 R. Fazzi, La produzione di massa, op. cit. S. Vaccà, I rapporti industria-distribuzione nei mercati dei beni di consumo, Giuffrè, Milano, 1963, p.20. 104 S. Vaccà, op. cit., p. 144. 105 Al riguardo l'opera sicuramente più approfondita è L. Guatri, La pubblicità nell'economia dell'azienda industriale, Giuffrè, Milano, 1964. 103 57 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo criterio gestionale della produzione di massa. Innanzitutto, la possibilità di evidenziare aspetti occulti del prodotto e l'eventualità di giocare sugli aspetti emotivi del consumo permettono la differenziazione psicologica del bene106. Inoltre la pubblicità ha effetti solo se lo stanziamento di risorse supera un certo limite. Come è bene evidenziato da Guatri107, adottando un'ottica marginalistica, è possibile affermare che gli oneri connessi alla pubblicità sono superiori ai vantaggi che da essa derivano in corrispondenza di limitati budget investiti. Empiricamente è possibile infatti individuare rendimenti crescenti della spesa pubblicitaria: "tale comportamento può essere spiegato in connessione ad un duplice ordine di economie che si verificano, fino ad un certo limite, al crescere della spesa pubblicitaria: economie di specializzazione ed economie di ripetizione. Le prime dipendono dalla circostanza che una notevole spesa pubblicitaria consente la scelta dei veicoli più efficaci (ad esempio, veicoli che coprono l'intero territorio nazionale) ed una migliore loro coordinazione, talvolta l'ottenimento di minori prezzi unitari, il ricorso a personale specializzato per realizzare le campagne e così via. Le economie di ripetizione [...] traggono origine dalla nota circostanza che la forza d'urto della pubblicità è positivamente influenzata, almeno per un certo tratto, dai risultati raggiunti in precedenza"108. La pubblicità svolge in termini commerciali lo stesso ruolo svolto dalla standardizzazione in termini di produzione. Con la pubblicità l'impresa industriale centralizza tutti i processi comunicativi - in precedenza dispersi e delegati agli intermediari commerciali - assicurandosi la standardizzazione nel tempo e nello spazio dei messaggi emessi. Per cui si può completare l'identità espressa in precedenza fra prodotto di massa, prodotto di marca e prodotto pubblicizzato. L'adozione del concetto di differenziazione come concetto centrale dell'impostazione strutturalista comporta una diversa rappresentazione dei rapporti impresa-mercato. Se l'impresa può differenziare la propria offerta e può renderla distinguibile attraverso l'apposizione di un marchio, essa può attuare un rapporto diretto con il consumatore; nelle parole di Vaccà: "il mercato - in una certa misura - veniva così a spezzettarsi e personalizzarsi (nel senso di una suddivisione in funzione della 'personalità' del produttore o del prodotto), dando luogo a situazioni di tipo tendenzialmente monopolistico" 109. Ciò comporta che ogni impresa può creare il proprio mercato, acquisendo le preferenze di una parte dei consumatori e stabilizzando il flusso delle proprie vendite. E' così che gli studiosi enfatizzano il concetto di fedeltà alla marca: attraverso la differenziazione 106 Tale considerazione ha dato vita anche in Italia al dibattito sugli effetti sociali della pubblicità. Al riguardo si veda L. Guatri, op. cit., pp. 23-26; S. Vaccà, op. cit., cap. 4. 107 L. Guatri, op. cit., pp. 131-137. 108 L. Guatri, op. cit., pp.136-137. 109 S. Vaccà, op. cit., p. 25. 58 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta dell'offerta resa distinguibile dalla marca l'impresa farà sì che alcuni consumatori riterranno soddisfatti i propri bisogni da quella marca e non modificheranno i propri comportamenti di acquisto. Citando ancora Vaccà: "La pubblicità, e in modo particolare quella attuata su larga scala, rendeva i consumatori 'brand conscious', spingendoli non solo e non tanto ad acquistare beni, quanto a cristallizzare o stabilizzare - pro tempore - i loro modelli di consumo con riferimento a specifiche marche"110. Emerge da questa considerazione la criticità, nel giudizio degli studiosi, attribuita alla stabilità del flusso di vendite dell'impresa. Questo è un altro esempio di come un vincolo imposto dalla produzione di massa - la necessità di mantenere stabili i flussi produttivi - possa generare una grande opportunità, ovvero la creazione di un "proprio" mercato controllabile con i moderni mezzi di persuasione. La "personalizzazione" dei rapporti impresa-gruppi di consumatori fa sostenere agli studiosi del periodo che il mercato non è un dato ma una costruzione dell'impresa. Vaccà afferma, infatti: "Al di sopra di certi livelli di dimensione e di razionalizzazione, il mercato - ovvero l'ambiente economico esterno e quindi anche la struttura della distribuzione - non rappresenta una variabile indipendente ma piuttosto una variabile in certi limiti dipendente, e cioè in parte scientemente modificabile e controllabile [...] da parte dell'impresa"111. Gli fa eco Caprara: "Per l'impresa il mercato è anche quello ch'essa è riuscita a conquistare di propria iniziativa, sfruttando le proprie capacità costruttive, e che si rispecchia nella composizione qualitativa e quantitativa della clientela che l'impresa sa mantenere avvinta nell'economia sua di svolgimento"112. Queste affermazioni evidenziano come gli Autori del periodo attribuiscono all'impresa grande discrezionalità di manovra e grandi capacità di controllo dell'ambiente concorrenziale. Tale convinzione è poi supportata da un'altra conseguenza teorica e operativa della differenziazione dell'offerta, il limitato utilizzo del prezzo come arma competitiva. In situazione di concorrenza perfetta il prezzo stabilito dal mercato lasciava all'impresa solo la quantità prodotta come variabile decisionale. Nel momento in cui le imprese, con l'incremento dimensionale conseguente alla produzione di massa, hanno la possibilità di manovrare il prezzo dei loro prodotti, sposano invece la politica di non price competition. Ancora una volta vi è un’elevata coerenza teorica con quanto affermato in precedenza: se l'esigenza dell'impresa è di creare fedeltà alla marca attraverso caratteristiche differenziali dei propri prodotti identificabili con una marca, il prezzo, delle leve concorrenziali la più imitabile e facilmente adeguabile, non permette di raggiungere tale obiettivo. La discrezionalità dell'impresa 110 S. Vaccà, op. cit., p. 26. S. Vaccà, op. cit., p. 2. 112 G. Caprara, Problemi di vendita e ricerche di mercato nell'economia dell'impresa, Giuffrè, Milano, 1967, p. 58. 111 59 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo risiede invece nella possibilità di fissazione del prezzo a un livello che permette di raggiungere i livelli di profitto stabiliti, atto che l'impresa della concorrenza perfetta non può svolgere. Tale discrezionalità è rinforzata dalla fiducia del consumatore nella marca, che permetta alle imprese di apporre un premium price ai propri beni. Come afferma ancora Vaccà: "sui mercati di beni di consumo la concorrenza in genere e quella nei prezzi in particolare si attenua fortemente, in quanto le aziende industriali erano in grado di creare [...] nello spirito del consumatore, specie con l'aiuto del potere della pubblicità, la opinione che il prodotto di marca fornito da una data azienda poteva soddisfare un determinato bisogno meglio dei prodotti forniti dai concorrenti"113. La capacità di rapportarsi con il mercato e, in genere, la maggiore discrezionalità decisionale dell'impresa industriale non possono non influenzare le relazioni con i distributori commerciali. E' opinione condivisa dagli studiosi che le modifiche apportate alla struttura del sistema industriale dall'adozione della produzione di massa segnino una discontinuità storica nell'evoluzione dei rapporti industriadistribuzione. L'interpretazione più diffusa - anche se non condivisa interamente da tutti - è che tali rapporti si modifichino per ragioni organizzative ed economiche. Nel primo caso la variabile ritenuta determinante per l'evoluzione è il potere, e più precisamente la riallocazione del potere di negoziazione tra i due settori, produttivo e distributivo, in conseguenza dell'adozione della produzione di massa. Le grandi dimensioni produttive, la distinguibilità dell'offerta tramite la pubblicità aumentano il potere di controllo del mercato da parte dei produttori rispetto ai distributori. Al riguardo Guatri afferma: "Non vi è dubbio che il prodotto di marca, reso largamente noto mediante la pubblicità, svolga una funzione di avvicinamento tra il produttore e il consumatore. L'azienda produttrice, per effetto di ciò, non ha più bisogno di essere orientata nella scelta dei tipi: essa tende a rendersi diretta interprete dei desideri del consumatore. Inoltre la rinomanza acquisita facilita notevolmente il collocamento dei prodotti, che sono espressamente richiesti dal consumatore, il quale impone al dettagliante di approvvigionarsi di determinate marche, limitandone decisamente il potere di scelta; e, per riflesso, annullando o riducendo anche il potere di scelta del grossista"114. Nel caso delle ragioni economiche, diventa meno conveniente lo svolgimento di alcune funzioni da parte degli intermediari, e del grossista in particolare, tra cui sicuramente le funzioni informative, di composizione degli assortimenti, di finanziamento. Questi cambiamenti si traducono essenzialmente nella considerazione che il grossista è una figura non più adeguata all'evoluzione del contesto 113 114 60 S. Vaccà, op. cit., p. 25. L. Guatri, Le aziende industriali. Il marketing, op. cit., p. 140. L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta economico115, e nella giustificazione economica e organizzativa della nascita della grande distribuzione. A tale riguardo è da notare l'impiego innovativo - peraltro senza ulteriori sviluppi - della teoria dei poteri controbilancianti di Galbraith da parte di Vaccà nell'interpretazione dello sviluppo della grande distribuzione. Secondo Vaccà116, proprio l'incremento di potere dell'industria potrebbe giustificare la nascita, per autogenesi, di un potere contrapposto quale meccanismo di concorrenza interna al sistema economico; lo stesso Autore però, prontamente evidenzia la mancanza di correlato empirico a supporto di tale tesi. Qualunque spiegazione si adotti per interpretare l'evoluzione dei rapporti industria-distribuzione, gli Autori sembrano concordi nel sostenere che l'industria ha riacquisito ulteriore discrezionalità decisionale anche nell'ambito distributivo. Nelle parole di Vaccà: "non ci sono ragioni che [...] stabiliscano che certe funzioni debbano o possano essere svolte solo da aziende distributrici (si intende economicamente 'autonome' rispetto ai loro fornitori) ed altre funzioni solo da aziende industriali: esistono invece dei fattori e delle condizioni particolari [...], che, caso per caso e di volta in volta, possono rendere onveniente 'pro-tempore' un maggiore o minore intervento dell'azienda industriale nel settore distributivo"117. Il riconoscimento delle mutate condizioni strutturali in cui si instaurano i rapporti industria-distribuzione, e la previsione di un incremento della presenza e del potere delle nuove forma distributive, spingono gli studiosi ad analizzare le possibili forme di regolazione di tali rapporti, individuate nelle seguenti: • la concorrenza; • l'accordo; • l'integrazione verticale. I rapporti di concorrenza tra produttori e distributori sono interpretati sulla base della distinzione fra piccolo e grande dettaglio. La tesi dominante è che ciò che accomuna l'impresa industriale adotta la logica della produzione di massa e il dettagliante che aderisce alle forme della moderna distribuzione è la "dimensione d'impianto". Ancora una volta, coerentemente con le ipotesi sugli effetti della produzione di massa, si afferma che, quando il dettaglio acquisisce dimensioni rilevanti, esso può utilizzare gli strumenti della moderna competizione: marca, pubblicità, differenziazione. Mutatis mutandis anche il distributore può differenziare la 115 Al riguardo però le opinioni sono divergenti. Si veda, a favore del ruolo del grossista, L. Guatri, op. ult. cit., pp. 144-148. Più in generale, a favore del ruolo del dettaglio tradizionale, G. Caprara, op. cit.; 116 S. Vaccà, op. cit., pp. 86-87. 117 S. Vaccà, op. cit., pp. 17-18. 61 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo propria offerta - l'assortimento - può effettuare pubblicità, può creare fedeltà all'insegna. In questo caso, esso si trova in diretta competizione con il produttore per l'acquisizione delle preferenze della stessa domanda. Vaccà afferma: "Le politiche di promozione delle vendite e di persuasione dei consumatori finali promosse dal grande dettaglio, mirano infatti non tanto a favorire la vendita di un tale prodotto, ma piuttosto a legare stabilmente il consumatore al punto di vendita (di qui lo spostamento della fedeltà del consumatore dal prodotto al punto di vendita: dalla 'brand loyalty' alla 'store loyalty') così da conseguire un maggiore volume complessivo di acquisti"118. E inoltre: "quanto sin qui osservato [...] ci porta a rifiutare decisamente certe concezioni che attribuiscono solo al settore industriale la possibilità (e quindi il potere) di esercitare una 'specie di monopolio' sulla creazione della domanda dei prodotti, e quindi nell'influire sul comportamento dei consumatori finali"119. Si ribadisce, quindi, ulteriormente come l'incremento delle dimensioni d'impresa, a qualsiasi livello della filiera, sposti le modalità competitive verso forme più coerenti che garantiscano un controllo del flusso delle vendite. I rapporti di concorrenza fra produttori e dettaglianti spesso si traducono in forme di conflitto. Gli Autori del periodo in esame riconducono tale conflitto alla tipologia con maggiore evidenza empirica: quella sui margini. Infatti da un lato il produttore ha bisogno che i propri beni - prodotti secondo determinati standard, reclamizzati in modo univoco con la pubblicità di massa e identificati ovunque con la stessa marca - siano venduti allo stesso prezzo in qualsiasi parte del mercato nazionale: e da qui deriva l'urgenza del prezzo imposto. Dall'altro lato, il distributore deve differenziare la propria offerta da quella degli altri distributori e quindi necessita di libertà di manovra sui prezzi. Con notevole intuzione, e supportati comunque dalla letteratura internazionale, gli studiosi suggeriscono l'idea di una concorrenza multiforme. Essi cioè sostengono che anche la grande distribuzione, come l'industria, non ha convenienza alla lotta sui prezzi, per cui potrebbe accettare di buon grado il prezzo imposto; non così il piccolo dettaglio, che, non godendo della stessa struttura di costo del grande, è costretto a elevare il livello di prezzo del proprio assortimento. Ciò comporta che si creino rapporti di concorrenza multipli: tra produttore e grande distribuzione, per la conquista della domanda finale con strumenti di competizione innovativi; tra grande e piccolo dettaglio, sui prezzi; tra produttore e piccolo dettaglio, dove la concorrenza degenera in conflitto, per la definizione del prezzo di mercato. 8.5. Un periodo di transizione: la fine degli anni '60. 118 119 62 S. Vaccà, op. cit., p.111. S. Vaccà, op. cit., p.115. L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta Non è ancora concluso il dibattito sull'impostazione degli studi di marketing e sull'estensione del campo d'indagine della disciplina, che alcuni studiosi, fra i più innovativi del periodo, iniziano una accurata riflessione che permetterà il consolidamento dei fondamenti della disciplina e aprirà il percorso al nuovo fiorire di studi degli anni settanta. Alla base della riflessioni vi sono sia evidenze empiriche che sviluppi concettuali. Fra le prime possiamo considerare: • l'evoluzione della società; • il progresso tecnologico. La società italiana è in continua mutazione120. Dal punto di vista economico, si manifesta un incremento del reddito medio della popolazione e della quota di tale reddito destinato ai consumi. Dal punto di vista culturale, si innalza il livello di scolarizzazione, aumentano le potenzialità di trasferimento di persone e merci sul territorio nazionale e internazionale generando scambi informativi e di conoscenze. Dal punto di vista dei ruoli sociali, assume maggiore rilevanza il ruolo della donna nei contesti lavorativi extra-familiari, incidendo sulla tradizionale divisione del lavoro intra-familiare, che vedeva delegate alla donna molte funzioni di acquisto. Tutti questi mutamenti determinano rilevanti variazioni nei comportamenti di acquisto e di consumo. Sul lato del progresso tecnologico, si assiste a una progressiva diffusione delle moderne tecniche di produzione connesse alla produzione di massa. Queste permettono alle imprese di ampliare considerevolmente i propri assortimenti, proponendo nuove varietà di prodotti o prodotti del tutto nuovi, ma nello stesso tempo inducono vantaggi da first mover, di cui possono godere le aziende che per prime adottano processi produttivi di massa. L'evoluzione dell'offerta e della domanda procede di pari passo in un processo che sembra auto-alimentarsi. Se da un lato i mutamenti sociali spingono i consumatori a ricercare varietà nei propri acquisti, dall'altra le imprese sono in grado di proporre assortimenti variegati e adeguati a soddisfare tali esigenze. E ancora, se da un lato il livellamento tecnologico riduce la possibilità di differenziare i prodotti sulla base dei caratteri materiali, dall'altro i consumatori associano sempre più valori simbolici ai propri atti di acquisto e consumo. Così scrive al riguardo Varaldo: "Mentre un tempo i fattori che potevano indurre all'acquisto erano essenzialmente i valori tangibili del prodotto (qualità, prezzo ecc.), oggi il consumatore è portato ad attribuire significato anche ad alcuni valori intangibili (marca, 120 Una sintetica ma accurata descrizione dei principali mutamenti in atto è proposta da S. Sciarelli, Le politiche distributive nell'impresa industriale, Giannini, Napoli, 1969; 63 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo appello pubblicitario, tipo di rivenditori ecc.), che accompagnano quasi sempre la fornitura del prodotto stesso. [...] Gli studiosi di sociologia definiscono questo stato del consumatore come quello di un individuo dotato di una propria 'immagine' e di una propria autonomia decisoria. Da qui l'esigenza, per un'azienda, di creare tanti prodotti e tante 'immagini' di prodotto, quanti sono i settori del mercato che ha intenzione di servire" 121. L'evoluzione parallela della domanda e dell'offerta industriale, se a un livello macro appare armonica e correlata - tant'è vero che le economie avanzate mostrano segni di notevole sviluppo - a livello di singola impresa significa sostanzialmente instabilità delle preferenze dei consumatori che cozza con la rigidità dei processi produttivi tipici della produzione di massa. Dal punto di vista della singola impresa questi anni si caratterizzano per un notevole incremento della pressione concorrenziale in numerosi mercati. Diventa sempre più necessario un elevato controllo del mercato, ma contemporaneamente le condizioni competitive rendono tale controllo molto difficoltoso. Gli studiosi iniziano una riflessione sui molteplici ruoli che il marketing deve svolgere in un'impresa. Tra i due concetti cardine sviluppati negli anni precedenti, l'adattamento e la differenziazione, il primo sembra perdere di portata euristica nei confronti del secondo. Un bene di marca, derivante da un processo produttivo di massa, deve mantenere inalterate le sue caratteristiche nello spazio e nel tempo. Non è possibile adattare un prodotto una volta fuoriuscito dalla fase produttiva, come ben evidenzia Sciarelli (peraltro allievo di Fabrizi): "Uno schema del processo [ distributivo] sviluppantesi nelle tre fasi indicate in precedenza [ concentrazione dei beni dalle fonti originarie di produzione, adattamento ai bisogni del consumo, diffusione ai consumatori] risponde, però, solo in parte alle caratteristiche assunte dalla distribuzione delle produzioni industriali. E' qui perciò il caso di rilevare ch'esso è stato concepito sullo sfondo di un'economia produttiva profondamente diversa da quella attuale per cui oggi si presenta valido soltanto per certe categorie di prodotti, e in particolare per i prodotti del suolo. Se si considera, ad esempio, il campo delle derrate agricole, s'intravede chiaramente che l'attività distributiva comporta dapprima una raccolta delle partite di merci prodotte dai singoli coltivatori allo scopo di formare dei lotti economicamente più validi; indi, l'attuazione di successive operazioni di adattamento qualitativo e quantitativo; e, infine, una volta costituite delle partite omogenee, un processo di dispersione dei beni presso i vari luoghi di consumo. Ma se ci si trasferisce nel settore dei beni di consumo provenienti da lavorazioni industriali, l'impostazione tradizionale appare meno convincente. Ciò specie se si tiene presente l'evoluzione dei caratteri di presentazione di tali beni, 121 R. Varaldo, Aspetti della politica di marketing nelle aziende industriali, Cursi, Pisa, 1969, p. 51. 64 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta che in guisa sempre più diffusa escono dalla fabbrica con una marca e in formati già prestabiliti. Per essi, pertanto, è fuor di luogo parlare di una fase di adattamento a meno che non la si voglia restringere al solo adeguamento temporale dell’offerta e della domanda" 122. Il vero sforzo di adattamento per un'impresa deve essere quello precedente allo sviluppo del prodotto, quando con le ricerche di mercato si comprendono le esigenze del consumatore e, conseguentemente, è possibile realizzare un bene adeguato. Petix, al riguardo, parla di pre-adattamento 123. Più ampiamente, altri Autori del periodo considerano che l'adattamento dell'offerta debba avvenire in modo articolato generando una molteplicità di ruoli per il marketing. Innanzitutto, è necessario un cambiamento nel modo di governare le imprese, che comporti un adattamento dell'azienda all'ambiente generale in cui opera. Il marketing in questo caso gioca il ruolo fondamentale di filosofia gestionale, attraverso la cui adozione l'impresa dovrebbe rivolgere tutte le proprie attività all'obiettivo di adattare la propria offerta alle esigenze dei clienti. Non solo il marketing, quindi, ma tutte le funzioni aziendali devono avere nell'adattamento un obiettivo uniforme e condiviso. Allora il marketing diventa una meta-funzione, una filosofia, appunto, che ha il compito primario di coordinare e integrare le attività di tutte le funzioni aziendali. Così sintetizza Varaldo: "il marketing costituisce più che un insieme disarticolato di attività singole una funzione di sintesi, con rilevante portata strategica. Questa sorta di rivoluzione è coincisa con una sostanziale estensione delle competenze e responsabilità degli addetti di marketing al di là delle mere funzioni di trasferimento dei beni dalla produzione al mercato del consumo, segnatamente verso le attività relative alla politica di produzione" 124. In secondo luogo, il marketing si deve occupare di una serie di attività specifiche, quelle che costituiscono i rapporti dell'impresa con il mercato. In questo caso l'obiettivo è quello di differenziare l'offerta da quella dei concorrenti per ottenere il controllo del mercato. Da ultimo, l'aspetto più operativo del marketing coincide con lo svolgimento dell'attività di distribuzione, che riguarda l'adattamento dell'offerta in termini di tempo, luogo e quantità, alle specifiche esigenze dei clienti 125. Il concetto di adattamento perciò perde di valore euristico nell'interpretazione dei comportamenti di mercato delle imprese a favore del concetto di differenziazione, per assumere un valore normativo, di estrema rilevanza, a livello di orientamento gestionale. 122 S. Sciarelli, op. cit., p. 16. L. Petix, Aspetti della problematica gestionale e di mercato delle imprese. Introduzione alle ricerche commerciali, K Libreria Editrice, Roma, 1971, p. 30. 124 R. Varaldo, op. cit., p. 3. 125 S. Sciarelli, op. cit., pp. 56-57. 123 65 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo All'opposto di quanto accade nell'analisi dei fenomeni micro, il concetto di adattamento assume un ruolo critico nello studio dei fenomeni di mercato a livello macro. La disponibilità per i consumatori dei beni prodotti dall'industria è fenomeno che richiede la predisposizione e il funzionamento di un sistema orientato a questa funzione. E' necessario che un insieme di operatori si occupino di adattare le produzioni rendendole disponibili nei tempi, nei luoghi e nelle quantità desiderate dai clienti. L'analisi di questo tipo di adattamento richiede di uscire dall'ottica micro della singola impresa e di porsi nell'ottica macro del sistema economico. Anche in Italia in questo periodo nasce quell'area di ricerca che nei paesi di matrice anglosassone è definita di macromarketing. Trovando fertile terreno negli studi degli Autori funzionalisti, il macromarketing in Italia è fortemente connotato dall'analisi dei fenomeni distributivi. A nostro avviso la nascita di quest'area di ricerca ha un altro rilevante effetto sulla disciplina: introduce la distinzione fra marketing - inteso come macromarketing -, e marketing management - ciò che gli studiosi italiani definiscono approccio direzionale al marketing. Mentre il primo rappresenta l'aspetto positivo della disciplina e concentra l'attenzione sui fenomeni distributivi a livello di sistema, il marketing management rappresenta l'aspetto normativo, di proposizione di comportamenti di mercato che le imprese dovrebbero seguire 126. Nell'ambito dell'analisi dei processi distributivi, l'ottica prevalente è quella funzionalista e assume fondamentale importanza il concetto di canale di distribuzione. Come scrive Sciarelli: "Il processo distributivo viene posto in essere da un complesso di istituzioni economiche differenti, ciascuna delle quali svolge una parte dei compiti necessari per far sì che i beni prodotti siano posti a disposizione degli utilizzatori. [...]. L'insieme di istituzioni che concorrono a far defluire le merci dalle fonti produttive ai consumatori viene generalmente denominato 'canale di distribuzione' " 127. All'ottica funzionalista si sovrappone un'altra istituzionalista: le istituzioni sono definite sulla base delle funzioni svolte e la definizione del concetto di canale deriva da tale sovrapposizione. E' ancora Sciarelli che sostiene: "il canale può essere definito come 'l'insieme di unità operative, ordinate in sequenza, che svolgono l'attività mercantile necessaria per trasferire un bene dal produttore ai consumatori o utilizzatori industriali' " (128). Un ulteriore tema che alimenta il dibattito nella disciplina in questi anni di transizione è l'articolazione delle decisioni di marketing. L'intensificarsi della pressione competitiva che caratterizza il periodo, e la conseguente difficoltà di controllo del mercato da parte delle imprese rende 126 Questa distinzione ripropone alcuni problemi terminologici sulla differenza fra marketing e distribuzione. Al riguardo si veda S. Sciarelli, op. cit., p. 55. 127 S. Sciarelli, op. cit., p. 19. 128 S. Sciarelli, op. cit., p. 27. 66 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta arduo il recupero dei notevoli investimenti tecnologici e produttivi. Nell'opinione degli studiosi, alcune decisioni di marketing si caratterizzano distintivamente rispetto alle altre proprio in relazione all'esigenza di controllo del mercato. Esse sono: • la segmentazione del mercato; • l'innovazione di prodotto; • la diversificazione produttiva; • la struttura del canale distributivo e le relazioni con gli intermediari. La particolarità di tali decisioni è ascrivibile a due dei maggiori problemi che le imprese del periodo si trovano a dover fronteggiare: creare un mercato per i propri prodotti ed esercitare un controllo su di esso. Appare evidente che in primo luogo è necessario identificare le possibili suddivisioni del mercato per poter selezionare quelle da servire. Come afferma Sicca: "La politica di segmentazione del mercato può essere definita come il riconoscimento da parte delle aziende di una determinata situazione del mercato (spontaneamente determinatasi, o conseguente ad una apposita azione aziendale) caratterizzata da molteplicità di domande divergenti, allo scopo di adattare ad essa i propri programmi di produzione e di vendita" 129. L'identificazione del mercato, attraverso la sua segmentazione, segna il primo passo da seguire per qualsiasi politica di mercato. Ma il progresso tecnologico accentua le capacità di tutte le imprese di fornire offerte adeguate alle esigenze di gruppi particolari di clienti. L'opzione a disposizione della singola impresa è quella di rendere unica la sua offerta attraverso l'innovazione. Come afferma Lorenzoni: "La politica dei nuovi prodotti quindi si colloca in una prospettiva concorrenziale particolare: anziché combattere gli altri concorrenti sul loro stesso piano, rappresentato dal mercato del prodotto esistente, ci si rivolge alla creazione di un mercato diverso, che molto spesso tuttavia ha legami col primo, sul quale si opera come produttori unici seppure in un intervallo temporale limitato" 130. L'innovazione di prodotto permette all'azienda di creare una propria domanda ottenendo un elevato controllo su di essa, acquisendo la posizione, almeno temporaneamente, di monopolista 131. 129 L. Sicca, Le gestioni industriali a produzioni multiple, CEDAM, Padova, 1966, p. 74. G. Lorenzoni, La politica dei nuovi prodotti nell'economia delle aziende industriali. Prime linee di studio sulle relative politiche, STEB, Bologna, 1968, p. 250. 131 In questo periodo è fervido il dibattito sulle caratteristiche che un prodotto deve possedere per poter essere definito nuovo. Al riguardo si vedano: L. Sicca, op. cit., pp. 172173; G. Lorenzoni, op. cit.; L. Petix, op. cit., p. 48; R. Varaldo, op. cit.; M. Rispoli, La politica dei nuovi prodotti, Isedi, Milano, 1972. 130 67 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo Nella stessa logica, per poter sfruttare la capacità produttiva disponibile e per sottrarre spazio ai concorrenti, è conveniente offrire sul mercato una varietà di prodotti così da soddisfare le esigenze dei diversi segmenti identificati. La politica di diversificazione può essere rappresentata da un continuum decisionale dove a un estremo si pone la ridotta variazione rispetto all'offerta attuale, e all'estremo opposto l'innovazione che permette all'impresa di diversificare in un settore completamente differente da quello di appartenenza 132. Le tre precedenti tipologie decisionali assumono un ruolo particolare poiché rappresentano la controparte, dal punto di vista del marketing, delle decisioni di allestimento della capacità produttiva (figura 2). Figura 2 - Le interrelazioni decisionali fra produzione e marketing Produzione Marketing segmentazione del mercato Allestimento della capacità produttiva innovazione di prodotto Î diversificazione produttiva I vantaggi derivanti dall'adozione di processi produttivi tipici della produzione di massa sono limitati dall'incertezza sulle possibili reazioni della domanda all'offerta dell'impresa. Affinché tale incertezza sia ridotta, il marketing deve fornire indicazioni sulle dimensioni delle frazioni di mercato da servire - così da permettere l'allestimento quantitativo della capacità produttiva - e sugli aspetti distintivi di tali frazioni - così da definire le tipologie di offerta da fornire. Le decisioni di prodotto assolvono certamente un ruolo primario tra le molteplici scelte di cui il marketing è responsabile. Le altre decisioni hanno il compito di facilitare l'incontro fra l'impresa e il suo mercato. Il prodotto rappresenta le due facce della stessa medaglia: da un lato è espressione delle rigidità tecnologiche degli impianti della produzione di massa, dall'altro è espressione della varietà delle esigenze dei clienti. Il marketing, attraverso la decisione di selezione delle varietà - tramite la segmentazione -, e di composizione di un'offerta differenziata - tramite l'innovazione e la diversificazione - è responsabile della coesistenza delle due facce. 9. Brevi osservazioni conclusive L’analisi degli studi italiani di marketing fin qui condotta induce a proporre alcune prime considerazioni di sintesi. 132 Un notevole influsso sul dibattito sulla diversificazione e sull'innovazione viene esercitato dalla letteratura sullo sviluppo dell'impresa, in principal modo Ansoff, Penrose e, in Italia, Sicca. 68 L’evoluzione degli studi di marketing in Italia. Dalle origini agli anni settanta Innanzitutto, da un punto di vista evolutivo, la disciplina mostra buone capacità di equilibrio fra continuità e rinnovamento. Nei differenti periodi storici qui analizzati, gli studiosi evidenziano da un lato notevole attenzione a non intaccare il nucleo centrale della disciplina - nucleo che va evolvendo esso stesso con il maturare della disciplina - permettendo così l’accumularsi delle conoscenze relative al campo d’indagine prescelto; dall’altro lato evidenziano un’altrettanto elevata sensibilità nel raccogliere gli stimoli provenienti da una realtà estremamente mutevole e nell’identificare nuove categorie concettuali e nuovi modelli in grado di descrivere e interpretare i fenomeni osservati. Inoltre, volendo utilizzare la terminologia degli studiosi di processi creativi, la disciplina prosegue attraverso processi sequenziali di “pensiero divergente” e di “pensiero convergente”, evidenziando notevoli capacità di arricchimento. Infatti, a periodi di ampliamento del campo di indagine e, quindi, di osservazione di fenomeni nuovi, di attenzione verso altre discipline, di generazione di sentieri di sviluppo alternativi, succedono momenti di convergenza verso impostazioni teoriche, modelli di analisi e di interpretazione forti su cui costruire le basi per successive “divergenze”. Da ultimo, e forse elemento di maggiore significatività che qualifica la nostra disciplina, in un periodo di tempo così lungo gli studiosi mostrano una costante attenzione alla realtà empirica, intendendo questa a due livelli: un primo, quello dei fenomeni macro e micro ambientali che le imprese si trovano ad affrontare nel loro quotidiano operare; un secondo, quello delle decisioni che le imprese devono assumere nelle loro relazioni con i mercati in cui competono. Con il bagaglio costituito da tali capacità la disciplina si affaccia a un trentennio in cui le verrà richiesta un’accelerazione, in termini di produzione di nuove teorie, probabilmente mai vissuta in precedenza. 69 Giuseppe Bertoli - Gabriele Troilo Bibliografia Aa. Vv., Storia di una libera università, Milano, Egea, 1992, vol. I. Aa.Vv., Saggi di economia aziendale e sociale in memoria di Gino Zappa, Milano, Giuffrè, 1961, 3 voll. Aa.vv., Sudi di Tecnica economica Organizzazione e Ragioneria. Scritti in memoria del prof. Gaetano Corsani, Pisa, Cursi, 1966, 2 voll. Aa.Vv., Scritti in ricordo di Carlo Fabrizi, Padova, Cedam, 1995. Aidea, Continuità e rinnovamento negli studi economico-aziendali, Bologna, Clueb, 1991. Alfieri V., “Le regole, le classificazioni ed i concetti filosofici nelle opere italiane di ragioneria”, Rivista italiana di ragioneria, n. 3, 1918. 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