Il terzo settore - Settimane Sociali

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Forme emergenti nel terzo settore italiano e capitale sociale:
un apporto distintivo alla generazione del bene comune?
Presentazione
L’intervento vuole offrire una validazione empirica relativamente ad uno scenario di “Stato sociale
relazionale” e di un nuovo welfare e sussidiario (societario e plurale) come sviluppo di una
concezione del bene comune.
Verranno analizzati dapprima i concetti di terzo settore, privato sociale e capitale sociale e poi
presentati i dati delle ricerche su soggetti del terzo settore, svolte negli ultimi 15 anni dal nostro
gruppo di lavoro dell’Università Cattolica e dal network allargato guidato dal Prof. Donati
dell’Università di Bologna.
1. Il terzo settore
Il terzo settore costituisce un universo di fenomeni associativi che si formano e agiscono per
realizzare forme di vita proprie, sui generis, con l’obiettivo di perseguire un nuovo modo di fare
società, secondo modalità distinte dalla sfera dello Stato e del privato mercantile (Donati, Colozzi,
2004a; Colozzi, 2005).
Secondo uno schema di analisi proprio della sociologia relazionale, si possono riferire i caratteri
distintivi del terzo settore a quattro dimensioni:
- i mezzi che esso utilizza,
- le intenzioni e gli scopi che esso persegue (la produzione di beni relazionali),
- le norme che ne regolano modalità di azione e di scambio,
- i valori che ne muovono l’azione.
2. Il privato sociale che emerge
Per comprendere in modo più esaustivo le caratteristiche del settore si farà riferimento alla ricerca
nazionale, finanziata dal Miur e coordinata dal prof. Donati (avente come titolo “Terzo settore e
valorizzazione del capitale sociale in Italia”), che mette in luce la grande diversificazione interna
del terzo settore e il suo nucleo generatore: le relazioni di privato sociale (Donati, Colozzi, a cura di,
2004a; Donati, Colozzi, a cura di, 2004b).
Nell’ambito della ricerca emergono tre macro tipologie di formazioni di terzo settore generate dal
privato sociale:
- cooperative sociali e fondazioni sociali, che sono protese all’azione esterna, contano su
proprie risorse strumentali e sono orientazione ad un’azione prossima al mercato
- associazioni di promozione sociale e associazioni familiari, che sono maggiormente orientate
ai bisogni interni di mondi vitali e dispongono di minori risorse strumentali che reperiscono
nelle proprie reti
- organizzazioni di volontariato, che sono spinte in modo molto più marcato dall’ethos del dono
e della gratuità e contano su risorse che provengono tutte dall’esterno.
3. L’approccio relazionale al capitale sociale
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3.1 Alcune definizioni
Il punto di partenza per la presentazione del concetto di capitale sociale è una sua definizione più
precisa a partire dall’approccio sociologico della teoria relazionale, che ha inteso rileggere, criticare
e integrare i diversi contributi teorici ed empirici sul capitale sociale presenti in letteratura (Donati,
a cura di, 2007).
In tale approccio, la funzione primaria del capitale sociale è, innanzitutto, quella di accrescere
l’investimento sui rapporti come fonte di un bene relazionale condiviso dai soggetti in rapporto. Il
capitale sociale non è dunque considerato come una risorsa primariamente di carattere strumentale,
come un mezzo per ottenere qualcosa o un capitale che trae il suo valore dal poter fruttare
convenienze di carattere economico in senso lato. Esiste infatti capitale sociale laddove la relazione
rappresenta ed è esperita come un bene in sé, senza che ciò, beninteso, escluda la possibilità o la
ricerca anche di un beneficio individuale.
In secondo luogo, nell’approccio relazionale, il capitale sociale rappresenta un attributo, una
proprietà della relazione, è, cioè, una vera e propria entità relazionale. Il capitale sociale non è una
variabile quantitativa, uno stock di risorse. Non è neanche una somma o un insieme di fattori che,
singolarmente od anche sommati tra di loro, danno un certo risultato. Esso è una proprietà che
«lega» e fluidifica le relazioni sociali, consentendo lo «stare assieme» di più soggetti in vista di
un’azione condivisa.
3.2 Le quattro dimensioni del capitale sociale relazionale
Il capitale sociale relazionalmente inteso può essere letto (e operativamente rilevato e analizzato)
lungo quattro dimensioni fondamentali:
- rete: ovvero la dimensione strutturale, la quale si riferisce di volta in volta a reti di relazioni
con diversi livelli di consistenza, ampiezza e densità;
- fiducia: intesa come l’aspettativa di un attore sociale che altri compiranno un’azione benefica
o non dannosa nei suoi confronti, formulata in condizioni di incertezza (fiducia
interpersonale);
- reciprocità: per cui l’attore sa che, dando qualcosa, riceverà qualcosa non in termini solo
strumentali, ma con una valenza simbolica e relazionale;
- cooperatività: come cultura dell’agire condiviso, che riesce ad affermarsi anche in assenza di
meccanismi di controllo esterno.
3.3 Diversi livelli di capitale sociale
Due classificazioni base e preliminari possono aiutare a comprendere, a seconda dei casi, di che tipo
di reti e di capitale sociale si stia di volta in volta parlando.
Secondo una distinzione definitoria utilmente avanzata da Donati, si può differenziare tra capitale
sociale primario e secondario:
- il capitale sociale primario si riferisce al livello delle relazioni di base, ovvero all’attivazione
di comportamenti reciproci di supporto rivolti innanzitutto ai componenti della famiglia stessa
o ai circoli parentali e amicali stretti;
- il capitale sociale secondario si riferisce, invece, alle reti private più formali (mondo
dell’associazionismo e del privato sociale in generale, nelle sue molteplici espressioni).
Mentre il capitale sociale primario si caratterizza per un tipo di fiducia primaria e intersoggettiva e
per una reciprocità agita nei rapporti interpersonali – riferendosi quindi a un tipo di capitale sociale
specifico – quello secondario presenta forme di fiducia e di reciprocità più comprensive, aperte
verso individui che appartengono alla medesima associazione o comunità – venendo pertanto a
costituire forme di capitale sociale allargate, da un minimo a un massimo.
L’oggetto della nostra riflessione qui presentata è rappresentato dal concetto di capitale sociale
secondario e intende coinvolgere una sfera societaria sufficientemente allargata.
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3.4 Capitale sociale bonding e bridging
Un’ulteriore utile distinzione relativa al concetto di capitale sociale è quella che, con l’obiettivo di
esprimere il grado di apertura delle reti di relazioni, introduce la distinzione tra capitale sociale di
tipo bonding e capitale sociale di tipo bridging (Putnam, 2000).
- Si è soliti definire bonding quel capitale sociale che lega in maniera forte i soggetti al loro
interno e che tende pertanto ad essere esclusivo. Esso funge da collante sociale all’interno di
un gruppo limitato, con una forte identità, che sviluppa relazioni di reciprocità e di solidarietà
al suo interno.
- Il capitale sociale bridging, invece, è un tipo di capitale sociale più inclusivo, avente la
funzione di gettare ponti e connettere diverse persone e diversi ambiti. Un tessuto sociale
caratterizzato da un elevato livello di questo tipo di capitale sociale presenterà,
verosimilmente, un certo numero di reti di reti, o comunque di relazioni tra reti e altri soggetti
ad esse esterni.
.
4. Tipologie emergenti a livello empirico
Nella seconda parte dell’intervento verranno presentate, attraverso i dati di alcune ricerche, tre
tipologie di formazioni di terzo settore, di cui si documenterà la specificità del capitale sociale da
esse prodotto.
- associazionismo familiare
- volontariato organizzato
- organizzazioni di terzo settore “multilivello”
L’associazionismo familiare
4.1
Le ricerche
Il 1993 è la data della prima rilevazione nazionale che, tramite un follow up telefonico, ha
individuato 1712 associazioni familiari, di cui ne sono state intervistate 221 (Donati, Rossi, a cura
di, 1995).
Successivamente è stato realizzato dalla Regione Lombardia e dal Centro Studi e Ricerche sulla
Famiglia un censimento in Lombardia che ha individuato nel 2000 447 associazioni familiari. Nel
2004 il Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia ha esteso l’indagine alle associazioni familiari non
iscritte al registro, in totale 225 (Carrà, 2003).
Un’altra preziosa fonte d’informazioni sull’associazionismo familiare è la ricerca su un campione
nazionale di 60 associazioni familiari, condotta da Di Nicola e Landuzzi (2004) nell’ambito della
ricerca “Il terzo settore in Italia: culture e pratiche”, che ha coinvolto una rete di università italiane
nel 2001-2002 ed è stata finanziata dal Miur.
Il Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia ha poi realizzato 2 approfondimenti qualitativi nel 1998 e
nel 1999 (Carrà, 1998; Rossi, Maccarini, 1999) e una ricerca quanto-aualitativa sulle associazioni
della bassa padovana (Carrà, 2005).
4.1.1
La diffusione
Per quantificare il fenomeno dell’associazionismo familiare in Italia possiamo basarci su dati
sicuramente parziali, ma che danno l’idea della diffusione capillare di forme diversificate di legami
tra le famiglie. Infatti, dopo la survey del 1993 non sono mai più stati raccolti dati sul numero delle
associazioni familiari sul territorio nazionale: non esiste un registro nazionale e solo in Lombardia
ce n’è uno regionale. Abbiamo oggi solo informazioni a carattere locale:
- al Forum delle associazioni familiari sono iscritte 43 associazioni (che operano a livello
nazionale e hanno sedi a livello locale); facendo un conto approssimativo di tutte le
4.1.2
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associazioni familiari iscritte ai Comitati regionali e provinciali del Forum, si arriva a circa
400 organismi). In particolare, al Comitato Lombardo sono iscritte ora 28 associazioni.
- l’AFI è un’altra associazione di secondo livello, iscritta al Forum, che conta 23 socie.
- il Registro delle associazioni di solidarietà familiare della Regione Lombardia contava alla
fine del 2005 563 iscritte; la ricerca del Centro Studi e Ricerche sulla Famiglia del 2004 ha
individuato sul territorio regionale altre 225 associazioni familiari non iscritte.
- la recente ricerca in 3 Aussl del Veneto ha censito 124 tra gruppi di famiglie e vere e proprie
associazioni familiari.
Associazioni familiari e capitale sociale
È molto utile far riferimento al concetto di capitale sociale, occupandosi di associazionismo
familiare, in quanto esso ha a che fare con la fiducia fra le persone, la capacità di attivare reti,
solidarietà, partecipazione e impegno civico nella sfera pubblica, ovvero con aspetti strettamente
connessi con quanto lega le famiglie nelle associazioni familiari (Rossi, 2003).
Le associazioni familiari rappresentano un capitale sociale sia per le famiglie che ne fanno parte, sia
per la comunità a cui appartengono, sia per la società nel suo complesso. A secondo della valenza
interna o esterna con cui si connota il capitale sociale costituito dall’associazionismo familiare, si
metteranno in evidenza aspetti differenti: se il capitale sociale si manifesta soprattutto come forza
dei legami interni, in primis alla famiglia e poi alla singola associazione viene definito “bonding”,
quando l’associarsi diventa uno strumento per arricchire e rafforzare i legami all’interno di
comunità più ampie, si parla di capitale sociale bridging, che getta ponti tra i singoli particolarismi,
che induce le associazioni a legarsi le une alle altre per mettere in circolo più risorse, per
“capitalizzare” le esperienze e competenze di ciascuna. Quando le associazioni diventano
consapevoli che la creazioni di “partnership” con altri soggetti sociali può migliorare ulteriormente
la risposta ai bisogni delle famiglie, si produce capitale sociale linking.
Sul versante interno, le associazioni familiari generano per le famiglie capitale sociale di tipo
bonding:
- innanzitutto un supporto di tipo concreto e pratico che rende l’associarsi fonte di benefici
immediati per la vita quotidiana delle famiglie.
- in secondo luogo, tuttavia, questo beneficio è generalmente raggiunto attraverso un
coinvolgimento attivo delle stesse famiglie, che non vengono sostituite nei loro compiti, ma
sostenute e valorizzate nella loro competenza insostituibile
- in terzo luogo, tutto questo processo avviene in un clima fiduciario, attraverso relazioni
reciproche e solidaristiche che fanno sperimentare alle famiglie è bello mettersi insieme per
raggiungere uno scopo comune.
- da ultimo, la famiglia può così acquistare una maggiore consapevolezza del proprio ruolo e
dell’importanza della sua presenza nella comunità.
Sul versante esterno, le associazioni familiari arricchiscono il capitale sociale della società
(generando capitale sociale bridging) se e in quanto:
- in primo luogo, creano e rafforzano un tessuto di relazioni in cui circolano e vengono messe
in rete risorse che prima restavano nascoste e non valorizzate oltre che “inattive”.
- in secondo luogo, le famiglie rigenerate e supportate riescono a guardare oltre i propri confini
e a lavorare per la comunità, trasferendo nei progetti sociali la propria specifica capacità di
essere massimamente vicine ai reali bisogni delle persone;
- in terzo luogo, la modalità di azione basata sull’auto-aiuto testimonia la possibilità di
intervenire sui propri bisogni senza delegare ad altri e incontra le politiche sociali che per
realizzare la sussidiarietà hanno bisogno di incontrare soggetti che si attivino in modo
autonomo per rispondere ai propri bisogni.
4.1.3
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- da ultimo, quando le associazioni familiari in rete tra loro riescono influenzare in modo diretto
le politiche sociali (linking), contribuiscono a diffondere un cultura family-friendly, a
implementare un welfare amico delle famiglie, dove le famiglie siano soggetti a pieno titolo.
4.2 Le organizzazioni di volontariato: dati da una ricerca
L’indagine presentata relativamente alle organizzazioni di volontariato è consistita in una survey
condotta, a livello nazionale, su 508 responsabili di organizzazioni di volontariato e su 127
organizzazioni di volontariato.
L’indagine è stata condotta sempre nell’ambito della ricerca “Il terzo settore in Italia: culture e
pratiche”, che ha coinvolto una rete di sette università italiane nel 2001-2002 ed è stata finanziata
dal Miur (Rossi, Boccacin, 2004).
Il capitale sociale del volontariato organizzato
Tra i molti dati emersi dall’indagine, risulta particolarmente interessante osservare che il capitale
sociale messo in circolo dal volontariato organizzato e dai soggetti che in esso operano è
caratterizzato da una “multidimensionalità generativa”, per la diversità delle culture e degli stili di
intervento, e per la differenziazione dell’apporto, in termini di capitale sociale, che le differenti
anime del volontariato italiano, offrono al tessuto sociale e culturale del paese.
Emergono sostanzialmente quattro profili:
- il volontariato come “fare” cioè come offerta di risorse pratiche;
- il volontariato come occasione di socialità;
- il volontariato come esito del legame di appartenenza ad una comunità;
- il volontariato come rete di legami affidabili.
In conclusione si può affermare che il volontariato organizzato offre un contributo decisivo alla
generazione della “base” del capitale sociale.
4.2.1
4.3 Le organizzazioni multilivello: l’indagine sulla Federazione dell’Impresa Sociale
La ricerca qui presentata, realizzata nell’ambito dell’indagine nazionale, finanziata dal Miur, “Terzo
settore e valorizzazione del capitale sociale in Italia”, a cui hanno partecipato sette università
italiane, coordinate dal prof. Donati (a cura di, 2006), riguarda un’organizzazione multilivello di
terzo settore, la Federazione per l’impresa sociale, presente su tutto il territorio nazionale e
costituita da 705 organizzazioni: di queste ne sono state censite, nell’ambito della ricerca, 479
diverse quanto a forma giuridica, mission, stile di intervento, ruolo all’interno dell’organizzazione
multilevel (Rossi, Boccacin, 2006a, Rossi, Boccacin, 2006b).
Un capitale sociale ibrido
Fatta salva la specificità del caso esaminato e la non generalizzabilità tout court dei risultati ottenuti,
la ricerca sembra evidenziare casi di vera e propria contaminazione di ambiti interni ed esterni
differenti, con la determinazione di un capitale sociale ibrido (insieme bonding e bridging),
circolante dentro e fuori la rete associativa. In sostanza, ciò che fa di una rete un luogo generatore di
capitale sociale non è, innanzitutto, il grado di forza o debolezza dei suoi legami – come, invece,
viene solitamente sostenuto – quanto, piuttosto, il contenuto delle sue relazioni interne e il tipo di
agire reciproco e collaborativo in essa praticato. La distinzione tra capitale sociale bridging e
capitale sociale bonding risulta avere una precisa utilità dal punto di vista analitico, consentendo di
cogliere le diverse caratteristiche delle reti e di differenziarle in base alla loro apertura verso
l’esterno; tuttavia, tali forme di capitale sociale possono coesistere insieme all’interno della stessa
rete e non vanno, pertanto, messe aprioristicamente in alternativa.
4.3.1
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Differenziazione delle forme di capitale sociale
I dati inducono a proporre ulteriori specificazioni del capitale sociale, lungo la distinzione
bridging/bonding:
- capitale sociale bridging di quasi mercato
- capitale sociale bridging di tipo prosociale
- capitale sociale bonding di coordinamento interno
- capitale sociale bonding di contatto con l’utenza
4.3.3 Il “capitale societario multilevel” rigenera la differenziazione
Emerge una differenziazione “relata” del capitale sociale promosso dalla Federazione Imprese
Sociali, attraverso cui ciascuno dei tipi di capitale sociale può generarsi, circolare e rinsaldarsi
quanto più si realizza una co-occorrenza tra di essi. Tale co-occorrenza, complessivamente, dà
origine ad una forma emergente di capitale sociale, che possiamo definire come “capitale societario
multilevel” e che costituisce l’apporto distintivo dell’organizzazione multilivello all’ambiente
societario.
L’organizzazione multilivello analizzata nell’indagine include al proprio interno la differenziazione
tipica del terzo settore nel suo complesso e la riproduce anche nella generazione del capitale sociale
che si specifica in differenti tipi.
4.3.2
5. I risultati delle ricerche in sintesi
In sintesi, dalle indagini emerge che la presenza stabile nella società italiana di organizzazioni di
terzo settore, siano esse di associazionismo familiare, di volontariato o multilivello, è cruciale per
generare capitale sociale e che possono essere identificati differenti ruoli societari svolti dai
soggetti del terzo settore nella generazione di tale risorsa.
Mentre le associazioni familiari svolgono un ruolo fondamentale di connessione tra il capitale
sociale delle reti primarie e quelle delle reti secondarie, mettendo in circolo i due processi di
produzione di capitale sociale (interno ed esterno), il volontariato organizzato genera la “base
sorgiva” del capitale sociale e le organizzazioni di terzo settore per così dire avanzate, quali ad
esempio la Fis presentano al proprio interno la stessa complessità e articolazione che il terzo settore
nel suo complesso manifesta. Tale carattersitica si estende anche al capitale sociale da essa generato
che è multidimensionale, bonding, bridging, bonding e bridging insieme e linking).
Non sempre le organizzazioni sono consapevoli di contribuire alle esigenze della società anche
attraverso la generazione specifica di capitale sociale (come emerge dai primi due profili del
volontariato) avvertendo maggiormente l’urgenza della risposta situata ai bisogni.
La cultura “societaria”, nei soggetti del terzo settore, pare ancora work in progress.
6. Il modello del welfare societario
In conclusione emerge un rapporto circolare tra la produzione di bene comune e la generazione di
capitale sociale.
Il quadro delineato consente di affermare che il luogo sorgivo del bene comune, laddove il
benessere delle persone e delle famiglie non sia inteso in modo assistenzialistico e individualistico
come nei modelli tradizionali di welfare, bensì come benessere relazionale, si situa nelle relazioni di
privato sociale e si concretizza nell’azione svolta dalle organizzazioni di terzo settore che si
relazionano con gli altri attori societari proprio nell’intento di portare a termine questo loro compito
specifico. Ciò è possibile solo nella prospettiva di un welfare societario, basato sull’attuazione di
una sussidiarietà di tipo orizzontale (Colozzi, 2006).
Non sempre i soggetti del terzo settore riescono a coniugare solidarietà e promozione di un
benessere che coinvolga le relazioni delle persone, in primis quelle familiari e restano anch’essi
ancorati ad una prospettiva assistenzialistica e sostitutiva nei confronti delle reti primarie e dei
mondi vitali.
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Tra le formazioni di terzo del terzo settore, l’associazionismo familiare rappresenta la punta
emergente dei servizi realizzati in una prospettiva di valorizzazione delle relazioni familiari (Carrà
2006). Sia la riflessione sociologica sul terzo settore, sia alcune tra le politiche sociali più in
sintonia con il modello societario riconoscono essere tra le più idonee a promuovere la capacità
delle reti primarie di rispondere nel modo più adeguato ai propri bisogni
In questo senso, l’associazionismo familiare è il “luogo” dove le politiche sociali “incarnano” la
vera sussidiarietà nei confronti delle famiglie
7. Quale ruolo civile del terzo settore per promuovere il bene comune?
Infine, resta aperto l’interrogativo circa la strada che le formazioni di terzo settore debbano seguire
per contribuire al rinnovamento del welfare attuale, nel momento in cui venga riconosciuto il ruolo
insostituibile del privato sociale nella produzione del bene comune.
Il prof. Donati ha individuato, con riferimento in particolare alle associazioni familiari, due
modalità (Donati, Prandini, 2003):
- la via politica;
- la via civile.
Tali modalità possono essere rilette attraverso le categorie del capitale sociale bonding, bridging,
linking, evidenziando come:
- nella prima si evidenzi un salto da bonding a linking, in cui l’azione linking dà per scontato
che il capitale sociale bonding si rigeneri da solo; essa non nasce come risposta a bisogni
legati all’attività delle singole associate, ma con la mission della “tutela della soggettività
della famiglia in sé” rispetto alla quale si chiede alle associazioni di aderire per “fare
numero”, per dare più consistenza alla propria “rivendicazione di diritti”.
- nella seconda invece c’è una relazione reciproca di “empowerment” tra capitale sociale
bonding (delle associazioni di primo livello al proprio interno), capitale sociale bridging
(delle associazioni di I livello in rete nelle associazioni multilivello) (e fin qui la è la “via
civile”) e capitale sociale linking (delle associazioni multilivello con altri soggetti sociali) per
promuovere il bene comune nella società (e qui c’è in parte la “via politica” che non assume
la valenza negativa di prima, in quanto è legata strettamente alla “via civile”).
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Testo non definitivo
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