6. Reintroduzione di specie aromatiche nel comprensorio di Sant’Elena Sannita: aspetti colturali 6.1 Introduzione E’ noto da tempo che le condizioni ambientali e pedoclimatiche possono influenzare la qualità e la quantità della produzione delle piante di interesse agrario. Pertanto, anche nel caso specifico delle piante officinali diventa importante impostare una corretta gestione agronomica della coltura che punti innanzi tutto alla qualità e, ove possibile, alla quantità del prodotto. In questa ottica devono essere presi in considerazione sia aspetti generali come l’ambiente e il clima in cui la coltura viene allevata, sia aspetti più specifici come la fertilità del terreno e le pratiche colturali che la accrescono e la stabilizzano, gli apporti idrici naturali ed artificiali, la densità colturale (numero piante per m2), le tecniche di raccolta e stoccaggio delle piante. Valutare e quantificare le relazione tra l’ambiente ed i contenuti in principi attivi delle piante officinali è un importante passo sia per quelli che vogliono intraprenderne ex novo l’attività di coltivazione, sia per gli operatori che puntano ad ottenere prodotti certificati per l’intera filiera produttiva. Il clima e la latitudine svolgono un ruolo decisivo per lo sviluppo delle piante. E’ noto che per ogni fascia ambientale e climatica possono ritrovarsi numerose specie vegetali che vi si adattano agevolmente, ma solo alcune sono in grado di produrre ad un livello tale da procurare un sufficiente ritorno economico. In generale in climi freddi le piante producono oli contenenti residui di acidi grassi insaturi (es. acido linoleico ed altri), mentre nelle zone calde tropicali il grado di saturazione aumenta come nel caso del burro derivato dal cacao in cui la presenza di acido stearico è prevalente (Morelli, 1981). La menta (Mentha piperita L.) coltivata in località meridionali è più ricca in olio essenziale che non quella proveniente dal nord (Catizone et al., 1986). Anche la temperatura e la piovosità svolgono un ruolo fondamentale per la vita delle piante in genere ed in particolare per il contenuto in oli essenziali delle piante officinali. Temperature piuttosto basse in primavera diminuiscono l’accumulo di oli essenziali nella lavanda ed aumentano la quantità di bisabololossido nella camomilla comune (Matricaria chamomilla L.). Andamenti stagionali piovosi nei periodi di raccolta diminuiscono le rese in principi attivi di piante che forniscono oli essenziali come la lavanda (Catizone et al., 1986). L’altitudine dei terreni coltivati a piante officinali influisce sulla quantità e qualità dei principi attivi per la Genziana (Gentiana lutea L.). 24 Una coltivazione effettuata a 1500-1600 m, oppure a 1000 m in particolari zone climatiche, permette di ottenere un prodotto ricco in principi attivi amari (Bezzi et al., 1988; Bezzi et al., 1996). La struttura fisica (Bonciarelli, 1980) e chimica del terreno sono anch’essi fattori fondamentali ai fini di una corretta scelta delle specie da coltivare. A tale proposito si può riportare l’esempio della Altea (Althaea officinalis L.) che contiene più mucillagine quando è coltivata su terreni sabbiosi piuttosto che su quelli argillosi. La Camomilla romana (Anthemis nobilis L.) e la lavanda (Lavandula spica L.) sopportano bene i terreni alcalini, mentre la Tussilago (Tussilago farfara L.) preferisce i suoli di tipo argilloso-calcarei (Catizone et al., 1986). Anche il pH del terreno può essere un fattore limitante per il contenuto in principi attivi delle piante come nel caso degli alcaloidi dello stramonio (Datura stramonium L.), il contenuto non varia in un range di pH compreso tra 6,4 e 7,8; in genere esiste per ogni specie un intervallo di pH caratteristico per il suo sviluppo (Morelli 1981). L’esposizione del terreno, che assicura l’intensità luminosa sulle piante coltivate può determinare la qualità dei principi attivi dello stramonio (Datura stramonium L.), che contiene scopolamina solo nelle coltivazioni non sottoposte ad ombreggiamento. Il fattore luce favorisce la produzione di esteri molto aromatici in piante del genere Lavandula. In generale per quanto riguarda il fattore luce va detto che la biosintesi di sostanze naturali è dovuta alla luce con lunghezza d’onda compresa tra 400 e 760 nm (luce visibile). La luce, inoltre, ha una azione indiretta influenzando in generale il metabolismo delle piante che accumulano principi attivi anche nelle zone non colpite dalla luce come le radici o i tessuti profondi. La densità di impianto o di semina può determinare variazioni nel contenuto in principi attivi di alcune specie, coltivazioni molto fitte di Calendula (Calendula officinalis L.), di cardo mariano o melissa (Melissa officinalis L.) danno rese minori. Buone rese di Camomilla comune si sono ottenute con densità d’impianto di 20-30 piante per m2 (Dellacecca, 1996), mentre per la liquirizia la densità ottimale è di 4 piante per m2 (Marzi, 1996). L’aneto (Anethum graveolens L.) coltivato ad alta densità fornisce un olio scadente con scarsa quantità di fellandrene, pinene e limonene, mentre la quantità di carvone aumenta. Al contrario, la menta piperita accumula più rapidamente olio essenziale in coltivazioni a maggiore densità, anche per la maggiorana recenti sperimentazioni hanno evidenziato rese maggiori per coltivazioni più fitte con densità ottimali di 60 x 20 cm (Leto, 1996). Per alcune piante come la malva (Malva sylvestris L.) aumentando o diminuendo la densità di coltivazione si possono ottenere rispettivamente foglie o fiori di qualità superiore (Catizone et al. ,1986). 25 Grande attenzione deve essere posta sulle caratteristiche della varietà, ecotipo, chemiotipo ed eventuale polipodia delle specie coltivate. Tale preoccupazione non ha solo un interesse scientifico o accademico ma anche degli importanti risvolti produttivi ed economici. La precisa caratterizzazione botanica e fitochimica delle specie coltivate assicura infatti una elevata qualità delle produzioni erboristiche, cosa sempre necessaria in quanto la coltivazione delle officinali assume sempre più le caratteristiche di una agricoltura specialistica. In sintesi non occorre solo produrre grandi quantità al minor costo possibile, ma è indispensabile che la qualità, quantità e le caratteristiche dei principi attivi presenti nella droga siano sempre massime. Questo è ancor più valido se si tiene conto del fatto che i principi attivi delle piante officinali sono dei prodotti metabolici secondari, sottoposti quindi a maggiori oscillazioni di contenuto rispetto ai metaboliti normali; è questo il caso della radice di liquirizia in cui il contenuto di glicirrizina può variare dal 3 al 12 % oppure delle foglie di belladonna in cui il contenuto di atropina varia dallo 0,3 al 1,17 % (Fassina , 1974). Pertanto, una delle cose più importanti da fare per la coltivazione è quella di selezionare chemiotipi, cioè gruppi di individui della stessa specie che presentano (rispetto alla media) variabilità sotto il profilo delle sostanze chimiche prodotte, con un più alto tenore di principi attivi. Da quanto detto risulta evidente che chi intende coltivare piante officinali deve prestare attenzione alle varietà che vengono offerte dalla varie ditte sementiere. Nasce quindi l’esigenza di verificare la certificazione delle sementi attraverso il controllo della produzione della semente stessa (semina nei campi, raccolta, selezione meccanica e confezionamento) con l’indicazione chiara della varietà. In presenza di ecotipi diversi la certificazione dovrà assicurare che la semente prodotta sia ottenuta da piante coltivate nelle rispettive zone di adattamento (Bonciarelli, 1980). La procedura di certificazione di una semente è particolarmente complicata e si esplica attraverso fasi come l’approvazione dei terreni dedicati alla coltura da moltiplicare che preveda ad esempio l’eliminazione di semi delle infestanti e di colture precedenti per non inquinare i semi da produrre; l’isolamento dell’appezzamento nel caso si tratti di moltiplicare piante autogame; la verifica di assenza di semi estranei nei macchinari usati per la trebbiatura o il confezionamento della semente. L’individuazione di ecotipi e chemiotipi, ma anche il lavoro di miglioramento e selezione delle specie officinali, è fondamentale a chi deve coltivarle per definire esattamente "cosa" si sta comprando e, quindi, collocare remunerativamente il materiale prodotto. La qualità e la standardizzazione delle piante e delle droghe ottenute è un passo decisivo da compiere per trasformare la coltivazione delle piante officinali da semplice attività naturalistica o complementare ad un’attività agricola moderna e razionale. L’opera di selezione varietale, quindi, oltre che avere importanti risvolti economici e scientifici, potrà sicuramente essere un’ottima carta da 26 spendere nel campo del marketing dei prodotti erboristici se si tiene conto che chi acquista droghe ,erbe ed aromi di origine vegetale non chiede solo il marchio ma anche prodotti omogenei, sicuri e di elevata qualità. E’ sotto l’occhio di tutti infatti che la grande industria alimentare e cosmetica ha scoperto recentemente il settore erboristico come nuovo mercato di prodotti naturali e salutari. In campo agricolo è molto importante considerare la capacità produttiva di una data specie che dipende sia dalla genetica della pianta che dalla qualità del corpo riproduttore. Le piante officinali, come le altre, possono riprodursi secondo due modi: a) riproduzione gamica o sessuale, b) riproduzione agamica o vegetativa. La riproduzione gamica avviene mediante la fusione di una cellula femminile (ovulo) con una maschile (polline) e porta alla formazione del seme. Se la fecondazione avviene tra polline e ovuli della stessa pianta il seme riprodurrà esattamente i caratteri dei genitori, in questo caso si parla di piante autogame e si avrà una "linea pura" (omozigote). Nelle piante allogame la fecondazione è incrociata con polline e ovuli di piante diverse; il seme non riprodurrà mai esattamente le caratteristiche dei genitori, le piante vengono dette eterozigote. Il seme è una unità biologica allo stato latente ed è costituito dall’embrione, cioè da una pianta in miniatura, da materiali di riserva oltre che dai tegumenti. Esso può mantenere un potere germinativo per un tempo più o meno variabile a seconda della specie e della sua conservazione. Nel reperimento della semente occorre porre una notevole attenzione su due fattori che sono la germinabilità e la purezza della stessa. La purezza di una semente è la percentuale in peso della stessa appartenente alla specie presa in considerazione depurata dei semi estranei (es. piante infestanti) e delle impurità (Bonciarelli 1980). La germinabilità è la capacità di un seme, posto in condizione adeguate, di originare una pianta (Bonciarelli 1980). Punto fondamentale della produzione vegetale erbacea resta la germinabilità delle sementi usate, questa problematica di ricerca è stata solo recentemente approcciata in modo sistematico per le specie officinali coltivate. A questo proposito è di primaria importanza la valutazione delle condizioni ottimali per la germinazione, la qualità delle sementi ed i trattamenti pregerminativi da effettuare su ogni specie che si vuole coltivare. La riproduzione agamica (o vegetativa) avviene mediante l’uso di una parte della pianta che ha la capacità di generare un nuovo individuo, esempi naturali sono i bulbi, i rizomi, gli stoloni. Esempi dovuti all’azione dell’uomo sono le talee, la propaggine, la divisione (di cespi, di rizomi ecc.) . La riproduzione vegetativa è usata soprattutto quando i semi si ottengono con notevole difficoltà oppure quando i caratteri della specie coltivata non si riproducono con fedeltà a mezzo del seme. I metodi di moltiplicazione agamica più usati per le piante 27 officinali sono essenzialmente due: la talea e la divisione. La talea è basata sul fatto che parti legnose o erbacee della pianta, contenenti fasci fibro-vascolari, possono produrre radici una volta poste nel terreno in particolari condizioni di calore ed umidità. Le talee legnose vanno effettuate in un periodo di riposo vegetativo delle piante (ottobre - marzo) individuando parti legnose della stessa e interrandole per i 2/3 della lunghezza in un terreno soffice, umido e permeabile. Le foglie basali vengono eliminate mentre le altre si lasciano in modo da permettere le loro funzioni fisiologiche e favorire l’emissione di radici. La preparazione di talee legnose è l’unico modo di moltiplicazione di ibridi come il lavandino (Lavandula officinalis Chaix, Lavandula vera D.C., Lavandula var A Linneo); l’operazione è effettuata in estate inoltrata usando getti laterali non fioriti di circa 10 cm di lunghezza da prelevarsi da giovani piante madri di due o tre anni (Savoia 1983). Per favorire la radicazione delle talee si usano ormoni vegetali come IBA (Indole-3-Butyric Acid) allo 0,5 % trapiantando le piantine radicate in un adeguato terreno sterilizzato, misto a sabbia (Lugani 1985). L’uso di talee ottenute da stoloni o rami stoloniferi è una metodica usata per la moltiplicazione della liquirizia (Glycyrrhiza glabra L.). Esse vengono effettuate in autunno scegliendo stoloni freschi e di media grandezza effettuando un taglio netto (Bosso ,1990). Altre officinali che possono essere moltiplicate per talea sono il timo e la salvia. Le talee effettuate in giugno/luglio con rami non lignificati sono dette talee erbacee esse richiedono per il radicamento temperature elevate del terreno. Per divisione (di cespi, di rizomi ecc..) possono essere moltiplicate specie come l’assenzio (Artemisia pontica L.; Artemisia valesiaca All.; Artemisia absinthium L.) , la menta , il timo, la valeriana, l’achillea e il dragoncello. Tra le piante di maggiore significato economico va ricordata la camomilla romana (Anthemis nobilis L.) varietà a fiori doppi, che essendo sterile viene propagata per divisione di cespi originati da piante di due o tre anni (Bonari, 1983). La possibilità, per chi coltiva, di ottenere piantine della specie da coltivare in grosse quantità è una problematica molto sentita nel campo della coltivazione. Recentemente in Italia sono attivi sul territorio vivaisti produttori di piante officinali selezionate secondo i vari bisogni: per la menta si possono utilizzare specie particolarmente ricche in olio ad alta concentrazione di mentolo; per la belladonna specie più ricche in alcaloidi; salvia officinale a più basso contenuto di tujone che è tossico a livello centrale; camomilla comune da olio o per erboristeria (Catizone et alii, 1986). Per incrementare e superare le problematiche legate alla reperibilità e certificazione delle specie aromatiche, sono stati attivati dei centri pilota e di banche di semi, nell’ambito delle università e di centri pubblici di ricerca ai fini della produzione di sementi selezionate e di altro materiale di moltiplicazione (Marchitto ,1991) . Le Università e le Banche del Germoplasma, come quella dell’Università degli Studi del 28 Molise, per le specie officinali hanno, inoltre, il compito non meno importante di preservare il patrimonio genetico di piante precedentemente usate ma che ora, rare e selvatiche, rischiano l’estinzione. La perdita di questo patrimonio genetico delle officinali ma anche di molte piante alimentari è dovuto allo sfruttamento intensivo delle colture attuato dalla moderna agricoltura industrializzata che usa poche specie, appena trenta, per gli usi alimentari di massa (Valerio, 1985). Le tecniche di ibridazione incontrollata mettono in serio rischio la sopravvivenza delle moltissime specie rustiche producendo nuove specie "artificiali" più deboli. 6.2 Risultati La specializzazione della agricoltura moderna ha profondamente modificato l’ecosistema agricolo, spesso in modo negativo per lo stato di salute dell’ambiente e dell’uomo. L’utilizzo sostenibile degli agroecosistemi è una delle linee prioritarie della moderna ricerca in agricoltura. E’ noto infatti che i sistemi colturali praticati nei paesi avanzati sono in grado di soddisfare ampiamente le esigenze alimentari anche dei paesi più poveri, ma hanno purtroppo prodotto una serie di inquietanti effetti negativi sulla fertilità del suolo, e di conseguenza sulla qualità dell’ambiente. In questa prospettiva assume particolare importanza la coltivazione di quelle specie in grado di valorizzare produttivamente le aree altrimenti condannate alla marginalità (e quindi al degrado idrogeologico e alla desertificazione), offrendo loro nuove possibilità di occupazione e di integrazione del reddito agricolo. Molto spesso le aree marginali non hanno buona vocazionalità produttiva per la presenza di stress ambientali. Il riutilizzo delle aree marginali, pertanto, potrebbe essere legato alla coltivazione di specie rustiche che riescono a tollerare bene condizioni di crescita difficili. Alla luce delle considerazioni introduttive, appare chiaro che la coltivazione delle piante aromatiche in Molise, ed in particolare nel comprensorio del comune di Sant’Elena Sannita, è possibile a patto che vengano rispettate le esigenze pedoclimatiche delle differenti specie. Il comprensorio oggetto di studio è caratterizzato dalla presenza di una orografia al limite tra l’alta collina e la montagna. A causa delle mutate situazioni socio-economiche, ultimamente si sta assistendo ad un progressivo spopolamento con conseguente ritorno del bosco che ha anche assicurato un corretto utilizzo dei suoli e la riduzione di episodi franosi. Il fenomeno delle frane, molto sentito negli ambenti argillosi, potrebbe anche essere arginato con l’uso accorto degli avvicendamenti colturali in cui possono anche essere previste essenze officinali. Attualmente 29 nell’intero comprensorio non vengono praticati dei veri e propri avvicendamenti. Le colture erbacee presenti sono esclusivamente graminacee da prato e da granella, come il frumento duro, inquadrate come specie sfruttanti e che poco rendono all’ambiente di coltivazione in termini di fertilità. Rara è la presenza di specie oleaginose, come il girasole, a ciclo primaverile estivo. Risultano assenti negli ordinamenti colturali colture miglioratrici come le leguminose che sono solo relegate negli orti domestici. Dal quadro colturale si evince che spesso la tecnica colturale non si fregia dell’utilizzo degli avvicendamenti colturali che, oltre a migliorare la fertilità del suolo e a rendere sostenibile la pratica colturale, spesso contribuiscono a stabilizzare i versanti. Pertanto il recupero degli avvicendamenti e l’inserimento di essenze aromatiche in questi potrebbe dare una grossa mano sia all’ambiente che agli operatori del settore in termini di nuove possibilità di reddito. Gli effetti positivi della rinaturalizzazione del suolo agricolo legati ad una corretta gestione colturale, con l’utilizzo di essenze aromatiche, avrebbero quindi un utile effetto sull’incremento di sostanza organica nei suoli e sulla sua maggiore protezione in generale attraverso anche un maggior controllo del ciclo dell’acqua, una maggiore fissazione dell’anidride carbonica, la ricostituzione di habitat favorevoli alla vita sia vegetale che animale. Questa attività di rinaturalizzazione attraverso l’agricoltura porterebbe anche alla crescita del reddito per gli operatori del settore favorendo il ripopolamento. Di fatto, invece, è in corso lo spopolamento, e l’abbandono delle pratiche agricole che ne segue ha anche mutato il paesaggio agrario marginalizzando di fatto la coltivazione dei essenze utili anche dal punto di vista della riqualificazione del paesaggio come le specie aromatiche. In questo scenario pedoclimatico, tenuto conto delle peculiarità agronomiche del comprensorio, sono state individuate le essenze aromatiche che ben si adattano al pedoclima del comprensorio di Sant’Elena Sannita anche in virtù delle loro caratteristiche commerciali. La riscoperta e la reintroduzione negli ordinamenti colturali di essenze officinali, anche autoctone della regione Molise, contribuirà a mantenere ricco il germoplasma regionale. La proposta di reintroduzione è riassunta nelle schede colturali che seguono da dove è possibile evincere la migliore tecnica colturale per l’ottenimento di elevate rese quali-quantitative grazie alle moderne conoscenze della tecnica agronomica. 30 6.3 Schede agronomiche Sono parte integrante di questa relazione le schede agronomiche delle seguenti specie officinali, riportate nell’Allegato 3: 1. Arnica 2. Camomilla 3. Elicriso 4. Finocchio selvatico 5. Fiordaliso 6. Genziana 7. Iperico 8. Lavanda 9. Malva 10. Melissa 11. Menta 12. Origano 13. Rosa canina 14. Rosmarino 15. Salvia 16. Timo 17. Valeriana 31 7. Bibliografia agronomica BEZZI A. , AIELLO M., TARTAROTTI M. (1988) "La coltivazione di Gentiana lutea L. nell’ambito del progetto piante officinali del ministero dell’Agricoltura e Foreste" in Erboristeria Domani , Maggio, 129-147 BEZZI A. , VENDER E. , SCARTEZZINI F. (1996) " Dati morfologici e produttivi rilevati su coltivazioni di Gentiana Lutea L. 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