Calcestruzzo drenante fotocatalitico
Il processo fotocatalitico in calcestruzzi per pavimentazioni
Luca Riderelli, ingegnere ambiente e territorio, PhD
IL CEMENTO FOTOCATALITICO COME LEGANTE IN CALCESTRUZZI
DRENANTI
In un quadro generale di diffusione di nuove edificazioni, di implementazione di reti stradali,
in un sempre più ramificato tessuto connettivo urbano e non, l’impiego di cementi
fotocatalitici, cui si riconduce l’idea di superfici bianche, pulite, nonché attive nella cattura di
inquinanti e nella loro riduzione sotto forma di sali dilavati, si colloca in un contesto in cui
coniugare esigenze di nuove costruzioni, riqualificazioni, valorizzazioni del patrimonio da
conservare e caratterizzare, soprattutto in un momento in cui la contrazione si manifesta
come un grande acuente di dislivelli sociali ma anche come livellatrice di ricchezze del
patrimonio comune. Proprio poiché la tematica si colloca in questo periodo storico,
l’aggiungere a manufatti ed opere esistenti o da realizzare caratteristiche e proprietà attive
nell’ambito della tutela dell’ambiente e, in particolare, dell’aria, conferisce alle applicazioni di
materiali fotocatalitici un impulso rivitalizzato ed auspicabile.
La possibilità di porre in opera materiali, quindi superfici, in grado di attivarsi nel processo
della fotocatalisi, deriva dall’impiego di cementi fotocatalitici, con biossido di titanio, quindi,
presente con il legante, da utilizzarsi in un’ampia gamma di applicazioni in ambito
ingegneristico, in particolare nel confezionamento di calcestruzzi destinati ad essere
direttamente esposti ad aria ambiente e, quindi, a pavimentazioni ed eventuali manufatti
accessori.
Il processo fotocatalitico
Tra i vari approcci possibili con l’obiettivo di ottenere o mantenere determinati standard di
qualità ambientali, va senz’altro considerata l’opzione offerta dall’agire sull’ossidazione degli
inquinanti presenti in atmosfera e, più precisamente, nella porzione dello strato di atmosfera
a diretto contatto con il terreno, dove si ha rimescolamento e permangono pressoché tutte le
emissioni.
Gli inquinanti subiscono già un naturale processo di ossidazione, ma i tempi, le condizioni per
cui possano essere neutralizzati i composti più nocivi non sono spesso soddisfacenti. Dunque
occorre pensare di agire sulla cinetica di reazione e sulla possibilità di favorire il verificarsi di
condizioni adatte anche all’adsorbimento dell’inquinante, nonché sul controllo delle modalità
di desorbimento. Di qui nasce l’interesse nelle capacità di quei catalizzatori in grado di
accelerare le reazioni ed in particolare alle proprietà fotocatalitiche di alcuni composti.
Fenomeno alla base di questi studi è la fotocatalisi, processo per cui un composto è in grado di
catalizzare, e quindi accelerare, in presenza di luce, reazioni di ossidazione e riduzione che
trasformano sostanze organiche ed inorganiche nocive in innocui o meno pericolosi prodotti
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sia per l’ambiente sia per l’uomo. Il fotocatalizzatore è infatti un semiconduttore che, in
relazione alla sua particolare configurazione elettronica, qualora irradiato con radiazione di
lunghezza d’onda opportuna, genera uno stato eccitato tale da favorire, in funzione del
numero di vacanze sulla sua superficie, le reazioni chimiche tra le sostanze inquinanti e gli
elementi normalmente presenti in atmosfera. Il fotocatalizzatore di base più impiegato e
diffuso è il biossido di titanio, nella sua configurazione cristallina di anatasio. Il biossido di
titanio costituisce un ossido semiconduttore. La teoria dei semiconduttori, dunque, spiega le
capacità di questa molecola di promuovere l’abbattimento dei composti che vengono a
contatto con il materiale attivato. Nei semiconduttori la banda di valenza e la banda di
conduzione non sono contigue, ma separate da un dislivello energetico, un ΔE, che non
consente agli elettroni di passare da un livello all’altro, se non acquisendo l’energia necessaria
al superamento del dislivello (Figura 1). Quando un elettrone di valenza si sposta nella banda
di conduzione lascia libero un posto nella banda di valenza provocando una lacuna, o buca,
che si comporta come una carica elettrica positiva. L’effetto complessivo creatosi è una coppia
elettrone-buca.
→
, con
In presenza di acqua, la reazione dei buchi di valenza
con gli ioni
determina la
formazione di radicali OH*. Gli elettroni liberi, invece, reagiscono con l’ossigeno determinando
ioni superossidi.
Da queste reazioni discendono, pertanto, le azioni fondamentali che si attribuiscono ai
materiali realizzati o ricoperti con prodotti a base di biossido di titanio: azione anti
inquinamento, anti appannamento, autopulente, anti microbica.
Figura 1. Rappresentazione schematica di fotoeccitazione di una molecola di TiO2
Il calcestruzzo drenante
Una delle più interessanti applicazioni nell’ambito dell’ingegneria civile di cementi
fotocatalitici è nell’abbinare i vantaggi offerti da questo legante alle peculiarità della struttura
di un calcestruzzo drenante (Figura 2). Dalla commistione delle caratteristiche di un
calcestruzzo drenante con il processo fotocatalitico offerto da un cemento con biossido di
titanio attivo emerge la possibilità di realizzare opere sostenibili per l’ambiente.
Il calcestruzzo drenante è un materiale costituito da cemento, aggregati, acqua,
eventualmente additivi, in totale analogia ad un calcestruzzo compatto di tipo tradizionale.
Tra le caratteristiche, la più rilevante deriva dalla scelta di una curva granulometrica tale da
ottenere un materiale ad elevata porosità di tipo aperto, in grado, quindi, di lasciarsi
attraversare dall’acqua. L’interconnessione dei vuoti è ottenuta impiegando piccole o nulle
quantità di aggregato fine. La pasta cementizia è progettata in modo da ricoprire gli aggregati
e consentire di farli aderire tra loro.
L’impiego principale, nonché ideale per questo tipo di materiale, è nella realizzazione di
pavimentazioni stradali, garantendo forte diminuzione del ruscellamento superficiale,
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lasciando, inoltre, la possibilità di rimpinguare la falda e di non dover collettare le acque.
Tuttavia, l’impiego di questo materiale è possibile, ad esempio, per barriere fonoassorbenti,
grazie all’elevato grado di porosità.
Le specifiche pratiche da seguire durante l’esecuzione dell’opera sono molteplici, perciò
risulta determinante l’esperienza in tale ambito sia del progettista sia dell’impresa che esegue
il lavoro.
Principale problema riguarda la coesistenza di due caratteristiche in sé antitetiche, quali
permeabilità e resistenza meccanica a compressione, la necessaria richiesta al materiale per la
sua funzione strutturale nell’opera da realizzare. La progettazione della miscela dovrà quindi
essere volta ad ottenere un grado di porosità aperta per garantire la permeabilità idraulica
richiesta ma anche dovrà tener conto della resistenza minima desiderata e limitare, perciò, la
porosità del materiale.
Indagini e sperimentazione per calcestruzzi drenanti fotocatalitici
La prima problematica che interessa la sperimentazione necessaria alla messa a punto di
questi materiali concerne le dimensioni dell’applicazione. L’aggregato ha dimensioni
grossolane, la percentuale di fine è assente o, al più, minima, perciò trasporre le informazioni
di laboratorio al campo può non risultare immediato.
La compattazione, senza dubbio, è l’operazione più delicata in cantiere, per applicazioni su
scala reale, e lo è anche in laboratorio, dove l’obiettivo principale è raggiungere un adeguato
grado di compattezza dei campioni, possibilmente tramite operazioni che siano compatibili e
confrontabili con le tecniche adottabili per la messa in opera. Queste considerazioni
influenzano, perciò, le dimensioni dei campioni da confezionare e le tecniche sia di
riempimento dei casseri, sia di stagionatura.
Inoltre, dovendosi indagare anche sulle proprietà concernenti la qualità dell’aria, è opportuno
prevedere il confezionamento di campioni adatti alle prove che dovranno essere eseguite in
laboratorio di fotocatalisi. Anche in questo caso dovranno essere operate scelte in accordo con
gli obiettivi di ricerca prefissati, per poter disporre di campioni che simulino condizioni di
esercizio.
Non va, ovviamente, trascurata la caratteristica che maggiormente si demanda a questo tipo di
materiali: la permeabilità idraulica. A tal fine, è necessario, di nuovo durante le operazioni di
preparazione della miscela di calcestruzzo, confezionare provini che si adattino alla misura
della permeabilità idraulica, la della legge di Darcy, parametro ritenuto fondamentale nel
confronto delle caratteristiche delle miscele e caratterizzante il materiale ottenuto.
Ottenere una misura attendibile del coefficiente di permeabilità idraulica è possibile sia
seguendo le indicazioni fornite nel “Report on Pervious Concrete” della ACI, per questo tipo di
materiali, altrimenti avvalendosi di altro tipo di permeametri. In riferimento a
sperimentazioni eseguite, sono stati misurati coefficienti tramite un permeametro a carico
variabile appositamente costruito in laboratorio calcestruzzi, ritenuto più idoneo alla corretta
valutazione delle effettive capacità drenanti del materiale pensato per pavimentazioni
stradali.
Il coefficiente ottenuto dovrà essere necessariamente posto in relazione ai valori di resistenza
da prove di rotture per compressione eseguite su cubetti, confezionati con materiale della
stessa miscela, in quanto, verosimilmente, un materiale eccessivamente drenante potrà
evidenziare deludenti resistenze meccaniche.
L’opportunità di operare confronti con risultati di prove eseguite su campioni estratti da
materiale in esercizio, quali campioni provenienti da un campo prova, è di sicura utilità per
un’applicazione di calcestruzzo drenante. Dal confronto si potranno dedurre l’influenza di
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fattori di scala, indagare sulla durabilità della permeabilità, a seguito di intasamento ed
eventuale accumulo di detriti e materiale di trasporto osservabile.
Parallelamente alle prove di laboratorio calcestruzzi, vanno eseguite prove in laboratorio di
fotocatalisi. La valutazione dell’efficacia di questi materiali può essere dapprima perseguita
tramite prove basate sulle prescrizioni della norma di riferimento, la UNI 11247, cui si
aggiunge ora la UNI 11484.
Essenzialmente, si tratta di introdurre il campione da sottoporre a prova all’interno di un box,
in vetro borosilicato, ed esporre una superficie del campione stesso ad un flusso di gas e
all’irradiamento di una lampada UV-A. La prova si esegue in plug-flow e il gas è costituito da
una miscela di aria ed NOx. Registrando il segnale letto dalla strumentazione della
concentrazione di NO, NO2 ed NOx, si procederà ad analizzare il tracciato nel tempo, al
susseguirsi di tre fasi: una prima di stabilizzazione della concentrazione, in fase “buio”, a
lampada spenta, una seconda in fase “luce”, a lampada UV-A accesa, ed una terza finale in cui
di nuovo la lampada viene spenta. L’obiettivo è ricavare un indice di abbattimento
fotocatalitico, esprimibile in funzione della variazione del segnale di concentrazione di NOx tra
fase buio e fase luce, ad avvenuta attivazione, quindi, del fotocatalizzatore, tramite
irradiamento con lampada in grado di emettere nel campo dell’UV-A.
Oltre alla capacità in sé del materiale provato di agire sul flusso con cui viene a contatto e di
essere attivo nel processo della fotocatalisi, molte sono le variabili che vanno o considerate o
escluse, fissando condizioni di temperatura ed umidità o normalizzando rispetto all’area
complessiva ritenuta partecipante al processo di fotocatalisi.
La fotocatalisi, essendo un processo superficiale, è notevolmente influenzata dall’aspetto con
cui si presenta il materiale su cui il fotocatalizzatore si trova applicato. Disporre, perciò, di
informazioni che non solo siano esaustive dal punto di vista geometrico dell’area esposta, ma
che siano in grado di fornire indicazioni sull’aspetto della superficie, sulla rugosità,
sull’orientamento dei vari piani, contribuisce ad una più corretta valutazione del materiale. A
tal fine, si possono operare analisi su riprese fotografiche e su restituzioni tramite scansioni.
Se si pensa anche alle altre proprietà tipiche di materiali fotocatalitici, quale l’auto pulizia,
disporre di metodologie e protocolli messi a punto avvalendosi di analisi per immagini, sia per
campioni confezionati in laboratorio, sia per superfici in opera o campioni prelevati da
applicazioni reali, risulta fondamentale per meglio descrivere e monitorare parametri
necessari alla valutazione di realizzazioni di questo tipo.
Positive implicazioni dell’impiego di calcestruzzi drenanti fotocatalitici
L’impiego di materiali fotocatalitici in ambiente stradale consente di ottenere superfici in
grado di aumentare la visibilità notturna, essendo di colorazione chiara e mantenendosi più a
lungo bianche.
Inoltre, nel quadro complessivo delle valutazioni di materiali fotocatalitici e delle applicazioni
per pavimentazioni drenanti, non va sottovalutato neanche il loro offrire una valida
alternativa all’utilizzo di uno dei prodotti di derivazione del petrolio quale il bitume ed il
costruire un materiale in grado di garantire un processo di riciclaggio del calcestruzzo da
sostituire.
Molte delle miscele realizzate in laboratorio sono state già direttamente confezionate con
aggregato riciclato ottenendo risultati del tutto soddisfacenti ed in linea con gli analoghi
ricavati da miscele con aggregato naturale.
In relazione, inoltre, alle problematiche connesse con i grandi agglomerati urbani, laddove i
suoli sono pressoché completamente pavimentati e dove si formano isole di calore, diviene
possibile contrastare l’impermeabilizzazione, sempre associata al costruire. Ne segue la
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possibilità di prevedere viali alberati, aree ombreggiate e quali acque lasciar infiltrare o
destinare a trattamenti specifici.
Figura 2. Campione di calcestruzzo drenante confezionato con cemento fotocatalitico bianco. Realizzazione
in laboratorio calcestruzzi
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