martedì 27 ottobre 2009 “Operapè”, in un’arnia il segreto della vita Alla Vetreria l’allestimento con la regia di Alessandro Lay di Enrico Pau CAGLIARI. “Operapé”. È un’operetta morale. Leopardi l’avrebbe intitolata “Dialogo fra la Morte e L’Apicoltore”. I Cada Die hanno scelto un titolo più misterioso . Alessandro Lay, regista e autore, Silvestro Ziccardi e Mauro Mou, autori e attori in scena, venerdì notte all’Ex Vetreria, hanno scelto un titolo più misterioso, ma il senso non cambia. Come nel Leopardi delle “Operette” il senso dello spettacolo è tutto chiuso dentro gli affascinanti orizzonti di un dialogo, quasi filosofico, sul futuro dell’umanità. Una filosofia minacciata continuamente e singolarmente dalla musica rock, da una chitarra elettrica che la Morte usa come la falce dell’iconografia classica per violentare le certezze dell’Uomo, le sue fragilità. Protagoniste assolute di “Operapé” sono le api, minacciate dal progresso, come le lucciole di Pasolini. Vi ricordate il suo articolo sul Corriere della Sera, sulla loro scomparsa? Profezia di un futuro dove la Natura, quella leopardiana, dovrà lasciare il futuro al progresso e quindi all’omologazione, alla scomparsa delle differenze. Oppure alla scomparsa delle api come profetizzava Albert Einstein, segno della fine imminente della vita umana sul pianeta. Tema filosofico, scientifico e insieme poetico, potente come lo spettacolo messo in scena da Alessandro Lay, elegante, grazie anche alle luci di Giovanni Schirru, ai suoni controllati da Giampietro Guttuso, e a una colonna sonora influenzata dagli echi bachiani tanto amati dal Pasolini cinematografico. Filosofia che scivola continuamente verso un’ironia circense, malinconica. L’Apicoltore, che sembra un clown astratto, rubato ad un dramma bekettiano, gioca continuamente con una corda a cui vuole impiccarsi, incapace di accettare il dolore per la scomparsa delle sue api, il vuoto delle sue arnie, vuote come una città abbandonata per sempre. Incapace di accettare quella promessa mancata di un’eterna fioritura. La Morte parla, come parlava la Natura di Leopardi con l’Islandese. Ma le sue non sono risposte, di fronte alla morte c’è solo la morte, il suo linguaggio è crudele, come ci sembra a volte la natura che non “pensa” agli uomini quando li affligge con i suoi uragani, o li sotterra con i suoi terremoti. “Pensavo che tu fossi Nulla” dice a un tratto l’Uomo. “Nulla, a chi?”. La filosofia della morte è filosofia spicciola, dare, avere, prendere. Stranamente incomprensibile per l’Apicoltore. Lui è il simbolo di un umanesimo ormai in via di estinzione come le api, un umanesimo che non si fonda sullo sfruttamento della natura ma sulla simbiosi fra tutti gli esseri viventi, sull’idea che progresso non vuole dire piegare la natura agli egoismi umani. “Operapé” è uno spettacolo che fa ben sperare per il futuro della scena isolana, troppo spesso asfittica, incapace di pensare in grande, come fa invece questo spettacolo, troppo chiusa dentro i nostri confini, scarsamente interessata a misurarsi con i temi universali che possono affascinare il pubblico a tutte le latitudini.