➤ ➤ ➤ 14 Macroeconomia: un quadro generale COSA APPRENDEREMO IN QUESTO CAPITOLO LAUREATI DELUSI Una visione d’insieme della macroeconomia, la disciplina che studia i sistemi economici nel loro complesso, e le differenze con la microeconomia L’importanza del ciclo economico e la ragione per cui i responsabili della politica economica desiderano contenere l’ampiezza delle sue oscillazioni Il significato di inflazione e deflazione e la ragione per cui si preferisce la stabilità dei prezzi Nel 2002 anche gli studenti migliori hanno avuto difficoltà nel trovare lavoro. Negli Stati Uniti il 2000 è stato un anno eccezionale per neodiplomati e neolaureati, e soprattutto per chi ha conseguito un MBA. Come ha scritto un quotidiano, le imprese «facevano a gara per attirare i neolaureati con lauti salari e ogni sorta di benefici accessori». Ma gli eventi non hanno premiato allo stesso modo gli studenti che si sono laureati due anni dopo. Per molti studenti della classe 2002 provenienti dalle business school statunitensi la laurea non è stata l’occasione di gioia che avevano sperato: un biglietto di prima classe per un ottimo lavoro e una carriera di successo. Perfino nelle principali università degli Stati Uniti, come Harvard, University of Pennsylvania e Stanford, le imprese hanno ritirato le offerte di lavoro già avanzate a centinaia di neolaureati, lasciando increduli studenti e professori. Diversi mesi dopo il conseguimento del titolo di studio molti neolaureati non avevano ancora trovato la loro prima occupazione e, come mostra la tabella 14.1, chi lo ha trovato si è dovuto accontentare di un salario mediamente più basso dei laureati di due anni prima. (Classificando i salari in ordine crescente, il salario mediano è quello che si trova esattamente a metà.) Non che i laureati del 2002 fossero meno intelligenti, preparati o entusiasti di quelli del 2000. Il fenomeno, infatti, non ha interessato solo i laureati in economia e management. La differenza è che nella primavera del 2000 l’economia statunitense era nel pieno di una fase di crescita, e i datori di lavoro facevano a gara per assumere nuovi dipendenti. Nella primavera del 2002, invece, l’economia stentava: molte imprese licenziavano lavoratori e non avevano alcuna necessità di assumerne altri. Come si può osservare dalla tabella 14.1, nel 2004 le prospettive occupazionali erano migliorate, ma i salari dei neolaureati continuavano a mantenersi al di sotto dei livelli corrisposti nel 2000. L’alternanza di alti e bassi, di anni in cui c’è un’abbondante offerta di lavoro e altri in cui è difficile trovare un’occupazione, è detta ciclo economico. Perché esiste il ciclo economico? Cosa si può fare per attenuare l’ampiezza delle sue oscillazioni? La macroeconomia, il ramo della scienza economica che studia le dinamiche del sistema economico nel suo complesso, cerca di dare risposta a domande di questo tipo. La microeconomia, invece, studia le decisioni di produzione e di consumo degli individui e delle singole imprese, e l’allocazione delle risorse scarse tra i settori produttivi. Tornando al nostro esempio dei neolaureati, la microeconomia cercherebbe 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 di spiegare perché le imprese di diversi settori (per esempio, una banca di investimento e una società di marketing) pagano salari differenti per un neolaureato. La macroeconomia si interessa degli sviluppi dell’economia nazionale, come il livello di produzione complessivo, il livello generale dei prezzi, e il livello di occupazione. I capitoli precedenti contenevano una trattazione preliminare di alcuni concetti e principi fondamentali della microeconomia. Per comprendere il campo d’azione della macroeconomia, cominciamo da un esame più approfondito della differenza tra la microeconomia e la macroeconomia. Successivamente, daremo uno sguardo d’insieme alle tre principali aree di studio della macroeconomia. Tabella 14.1 Salario di ingresso mediano dei neo diplomati ai corsi MBA di un campione di università: anni 2000, 2002 e 2004 Università Stanford Harvard Pennsylvania Columbia Dartmouth Salario di ingresso 2000 (dollari) Salario di ingresso 2002 (dollari) Salario di ingresso 2004 (dollari) 165 500 160 000 156 000 142 500 149 500 138 100 134 600 124 500 123 600 122 100 150 000 147 500 144 000 142 500 135 000 Fonte: Indagine sui laureati di Business Week, 18 ottobre 2004. ■ MICROECONOMIA E MACROECONOMIA A CONFRONTO La tabella 14.2 riporta alcune domande a cui la scienza economica cerca di rispondere. Nella colonna a sinistra è riportata una versione microeconomica di ciascuna domanda; la versione macroeconomica corrispondente appare a destra. Mettendo a confronto ciascuna coppia di domande, possiamo cominciare a intuire la differenza tra la microeconomia e la macroeconomia. Come si può osservare, la microeconomia si concentra sul modo in cui gli individui e le imprese prendono le decisioni e sulle conseguenze di tali decisioni. Per esempio, usiamo la microeconomia per determinare quanto costerebbe a una università o a un college offrire un nuovo corso di laurea: tale costo include il salario degli insegnanti, il costo dei materiali didattici, e così via. L’istituto può quindi decidere se offrire il corso mettendo a confronto i costi e i benefici. La macroeconomia, invece, analizza il comportamento aggregato dell’economia: il modo in cui le decisioni di tutti gli individui e di tutte le imprese interagiscono per generare un particolare livello di prestazione economica generale. Per esempio, la macroeconomia si occupa del livello generale dei prezzi nell’economia e delle sue variazioni di anno in anno, anziché concentrarsi sul prezzo di un particolare bene o servizio. Si potrebbe pensare che la risposta a una domanda di natura macroeconomica sia semplicemente la somma delle risposte microeconomiche. Per esempio, il modello di domanda e offerta che abbiamo introdotto nel capitolo 3 ci rivela come si determina il prezzo di equilibrio del singolo bene o servizio in un mercato concorrenziale. Così, si potrebbe pensare di applicare l’analisi di domanda e offerta a tutti i beni e i servizi prodotti nell’economia, sommare i risultati, e ottenere il livello generale dei prezzi per l’economia nel suo complesso. Si dà il caso che non sia così: anche se concetti fondamentali come domanda e offerta sono essenziali per la macroeconomia come per la microeconomia, per trovare una risposta alle principali questioni macroeconomiche è necessario un nuovo insieme di strumenti e un quadro di riferimento di più ampio respiro. Cominceremo con il considerare i tre modi principali in cui la macroeconomia differisce dalla microeconomia. ◆ Macroeconomia: il tutto è maggiore della somma delle parti Se vi capita spesso di guidare in autostrada, probabilmente sarete incappati nella forma più fa- 329 330 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 Tabella 14.2 Domande di microeconomia e macroeconomia a confronto Domande di microeconomia Domande di macroeconomia È meglio che mi iscriva a un master o che vada subito a lavorare? Quanti individui nel sistema economico hanno un’occupazione quest’anno? Cosa determina il salario percepito da Sebastiano Gemelli, neodiplomato del Master SDA Bocconi? Cosa determina il livello generale delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti in un dato anno? Cosa determina il costo che una università deve sostenere per offrire un nuovo corso di laurea? Cosa determina il livello generale dei prezzi nel sistema economico? Quali politiche pubbliche devono essere utilizzate per favorire l’accesso all’università degli studenti poveri? Quali politiche pubbliche devono essere adottate per promuovere l’occupazione e la crescita del sistema economico? Cosa determina la decisione di Unicredit se aprire o meno una nuova filiale a Shanghai? Cosa determina il livello degli scambi di beni, servizi e attività finanziarie tra l’Unione Europea e il resto del mondo? stidiosa di ingorgo stradale: quello provocato dai «curiosi». Qualcuno si ferma nella corsia di emergenza per cambiare una gomma o per un piccolo incidente, e in men che non si dica si crea una lunghissima coda per colpa di chi rallenta per dare un’occhiata. La cosa fastidiosa è che la lunghezza della coda è del tutto sproporzionata all’importanza dell’evento che l’ha causata. Alcuni automobilisti rallentano per «curiosare», e costringono gli altri a fare altrettanto; infine, l’accumularsi di tutte queste frenate individuali genera un lungo e inutile ingorgo, perché ogni automobilista deve frenare un po’ di più di quello che lo precede. Capire un fenomeno di questo genere ci aiuta a comprendere una delle principali differenze di approccio tra la macroeconomia e la microeconomia: decine di migliaia o milioni di azioni individuali, accumulandosi, producono un risultato maggiore della loro semplice somma. Consideriamo, per esempio, quello che gli economisti chiamano il «paradosso della parsimonia»: se temono di dover affrontare un periodo di ristrettezze economiche, le famiglie e le imprese reagiscono istintivamente e riducono le spese superflue. Questa riduzione della spesa deprime l’economia, perché i consumatori spendono meno e, di conseguenza, le imprese licenziano i lavoratori. Alla fine, famiglie e imprese finiscono per peggiorare la propria condizione: la previdenza che le induce a ridurre le spese amplifica la tendenza negativa del sistema economico. Giustamente si parla di paradosso: un comportamento apparentemente virtuoso (prepararsi ad affrontare le ristrettezze economiche risparmiando di più) finisce per avere effetti deleteri per tutti. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: se fami- glie e imprese si sentono ottimiste riguardo al futuro, aumentano le proprie spese correnti. Ciò stimola l’economia e spinge le imprese ad assumere più lavoratori, il che a sua volta stimola ulteriormente l’economia. Un comportamento apparentemente dissipatore ha conseguenze positive per tutti. Un aspetto fondamentale della macroeconomia è che nel breve periodo (un intervallo di tempo di diversi anni, ma generalmente più breve di un decennio) l’effetto combinato delle decisioni individuali può essere molto diverso da quello che il singolo individuo intendeva produrre, e a volte addirittura perverso. Il comportamento della macroeconomia è, indubbiamente, maggiore della somma delle azioni individuali e dei risultati di mercato. ◆ La politica macroeconomica Il fatto che la somma delle decisioni individuali possa talvolta produrre risultati negativi per il sistema economico nel suo complesso ci conduce a un’altra differenza fondamentale tra la macroeconomia e la microeconomia: il ruolo delle politiche pubbliche. Studiando attentamente il funzionamento dei mercati, i microeconomisti sono giunti alla conclusione che lo Stato non debba interferire con il loro funzionamento. Con l’eccezione di alcuni casi ben definiti, la norma è che l’intervento pubblico nei mercati peggiora il benessere sociale. Vi sono, naturalmente, importanti compiti che la politica microeconomica può svolgere: garantire il corretto funzionamento dei mercati e intervenire in maniera appropriata in tutti gli specifici casi in cui i mercati non operano in piena efficienza. Ma l’area della microeco- 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 nomia, in generale, suggerisce che l’intervento pubblico può avere solo un ruolo limitato. Al contrario, gli economisti ritengono che il governo possa svolgere un ruolo molto più ampio nella macroeconomia, soprattutto per gestire le fluttuazioni di breve periodo e gli shock negativi che colpiscono il sistema economico. Come la polizia stradale che lavora per prevenire o ridurre gli effetti della congestione del traffico, i responsabili delle politiche economiche lavorano per prevenire o ridurre gli effetti degli shock negativi sulla macroeconomia. L’opinione diffusa che lo Stato debba assumersi la responsabilità di gestire la macroeconomia risale ai tempi della Grande Depressione degli anni 1930, un evento chiave nella storia economica mondiale in cui la produzione diminuì drasticamente, le banche fallirono, le imprese andarono in rovina e i lavoratori furono licenziati in massa: fu come se il motore dell’economia mondiale avesse improvvisamente ingranato la retromarcia. La Grande Depressione durò più di un decennio, dal 1929 alla fine degli anni 1930, e portò a un radicale ripensamento dei principi e degli obiettivi della macroeconomia. Durante e dopo la Grande Depressione gli economisti svilupparono la moderna «cassetta degli attrezzi» della macroeconomia: la politica fiscale, cioè il controllo della spesa pubblica e dell’imposizione fiscale, e la politica monetaria, cioè il controllo dei tassi di interesse e della quantità di moneta in circolazione. Tali strumenti sono oggi utilizzati per gestire il funzionamento della macroeconomia. ◆ Gli aggregati economici Un tratto distintivo della moderna macroecono- mia è che sia la teoria sia la sua applicazione si concentrano sugli aggregati economici: variabili economiche che sintetizzano i dati relativi a una molteplicità di mercati di beni, servizi, fattori di produzione e attività patrimoniali (beni che fungono da riserva di valore, come il denaro contante o le proprietà immobiliari). Per esempio, la macroeconomia analizza le prestazioni del sistema economico studiando la produzione aggregata, cioè la produzione dell’economia nel suo complesso in un dato periodo di tempo, e il livello aggregato dei prezzi, una misura del livello complessivo dei prezzi nel sistema economico. Usando queste variabili aggregate, studieremo il ciclo economico e il modo in cui può essere gestito, attraverso un uso sapiente della politica fiscale e monetaria. Come i diplomati delle business school statunitensi hanno scoperto sulla propria pelle, queste fluttuazioni influiscono sulla disoccupazione, una misura del numero totale di lavoratori in cerca di un impiego. Vedremo anche come il ciclo economico e la crescita di lungo periodo siano influenzati dalla spesa per investimento, che va a incrementare lo stock di capitale fisico dell’economia, che comprende i macchinari, gli edifici e le scorte. Nella parte restante di questo capitolo e nel prossimo ci soffermeremo sul modo in cui misurare e calcolare molte di queste variabili economiche. Conoscendo le principali differenze tra la microeconomia e la macroeconomia, possiamo cominciare ad analizzare alcune delle principali caratteristiche del ciclo economico. Prima, però, dobbiamo soffermarci a esaminare l’episodio che ha portato alla creazione della macroeconomia moderna, e che ha quasi distrutto la nostra civiltà. aggregati economici variabili economiche che sintetizzano i dati relativi a una molteplicità di mercati di beni, servizi, fattori di produzione e attività patrimoniali La Grande Depressione Gli storici concordano: la Grande Depressione, cominciata nel 1929 e durata per tutti gli anni 1930, è stata uno degli eventi determinanti della storia statunitense. E i suoi effetti non sono rimasti limitati agli Stati Uniti: le ripercussioni di questo evento catastrofico si sono abbattute su tutte le principali economie di mercato, in Europa, America Latina, Giappone, Canada e Australia. La Germania fu tra le economie colpite più duramente dalla Grande Depressione; gli storici ritengono che ciò fu una delle principali cause dell’avvento del nazismo, che portò infine allo scoppio della seconda guerra mondiale. La Grande Depressione fu anche l’evento determinante della moderna macroeconomia: volendo descrivere la funzione ultima della macroeconomia moderna, potremmo affermare che sia «impedire che si ripeta un evento drammatico come la Grande Depressione». La Depressione cominciò nell’agosto 1929 con una debole flessione della produzione aggregata, 331 L’ECONOMIA IN AZIONE 332 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 che contribuì a sua volta a scatenare il noto crollo dei mercati azionari nell’ottobre 1929, l’evento forse maggiormente associato alla Grande Depressione. Se gli effetti economici si fossero limitati alle ricadute della crisi finanziaria, probabilmente l’economia avrebbe sperimentato una breve recessione. Ma a fare della Grande Depressione un disastro duraturo fu l’aumento catastrofico della disoccupazione e la forte caduta della produzione aggregata che seguirono il crollo dei mercati finanziari. Nel 1929 il tasso di disoccupazione (in termini generici, la percentuale della popolazione lavorativa che non riesce a trovare un lavoro) era solo il 3,2%, come mostrato nella figura 14.1(a). Nel 1933 era salita al 24,9%: un cittadino statunitense su quattro era senza lavoro, e molti riuscivano a sopravvivere solo grazie alle mense per i poveri e ad altre opere di carità. Molte famiglie furono sfrattate dalle loro case e in tutto il paese cominciarono a sorgere delle baraccopoli, interi quartieri composti da abitazioni costruite con materiale di risulta. I lavoratori diedero vita a molte forme di lotta, perché si sentivano abbandonati dall’economia di mercato. (In un caso molto famoso, i veterani della prima guerra mondiale, chiamati «Bonus Marcher», costruirono una baraccopoli sul viale principale di Washington, D.C., chiamato The Mall. Furono cacciati dall’esercito federale quando cominciarono a chiedere a viva voce un sussidio finanziato dal governo.) La caduta dell’occupazione fu accompagnata dal crollo del prodotto interno lordo reale (o PIL reale), una misura della produzione aggregata. Tra il 1929 e il 1933 il PIL reale diminuì del 27%, come illustrato nella figura 14.1(b). Furono tempi di grande e inattesa miseria, ancora più sconvolgente se si pensa che il decennio precedente, i «ruggenti anni Venti», era stato un periodo di crescita e prosperità senza precedenti. Dieci anni dopo molti pensavano che la democrazia stessa degli Stati Uniti fosse in pericolo. Trascorse parecchio tempo prima che l’economia cominciasse a mostrare segni di ripresa. Nel 1939, dopo un decennio di provvedimenti di politica economica attuati nel tentativo di invertire il ciclo economico, il tasso di disoccupazione si attestava al 17%, un valore molto elevato per lo standard di quei tempi. La produzione totale non tornò ai livelli del 1929 fino al 1937, e si dovette attendere il 1941 per registrare nuovamente un tasso di disoccupazione inferiore al 10%. La prosperità economica fece ritorno solo con lo scoppio della seconda guerra mondiale. La Grande Depressione gettò gli economisti in uno stato di attività febbrile per capire che cosa fosse accaduto e quale potesse essere il rimedio adatto. Ciò portò a una svolta epocale nella misurazione delle variabili macroeconomiche: molte delle statistiche oggi impiegate per seguire l’andamento dell’economia cominciarono a essere raccolte negli anni 1930. La teoria economica subì un profon- (b) La produzione aggregata (a) Il tasso di disoccupazione Tasso di disoccupazione (%) 25 PIL reale (miliardi di dollari del 2000) 1400 20 1200 15 1000 10 Flessione del PIL reale del 27% tra il 1929 e il 1933 800 5 Anno 19 42 19 40 19 38 19 36 19 3 19 2 33 19 34 19 29 19 30 19 42 19 40 19 38 19 36 19 3 19 2 3 19 3 34 19 2 19 9 30 600 Anno Figura 14.1 Il tasso di disoccupazione e la produzione aggregata durante la Grande Depressione La recessione economica iniziata nel 1929 portò a un drastico aumento del tasso di disoccupazione, mostrato nella parte (a), e a una decisa diminuzione della produzione aggregata, riportata nella parte (b). La produzione aggregata, misurata dal PIL reale espresso in dollari del 2000 (spiegheremo cosa sono i «dollari del 2000» nel capitolo 15), ha recuperato il livello raggiunto nel 1929 solo nel 1937. Il tasso di disoccupazione è tornato al di sotto del 10% solo nel 1941. Fonte: U.S. Census Bureau. 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 333 do cambiamento con la pubblicazione nel 1936 della Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, opera dell’economista britannico John Maynard Keynes: un libro che ha avuto un’influenza sul mondo paragonabile solo a quella de La ricchezza delle nazioni di Adam Smith. L’opera di Keynes, e le interpretazioni e le critiche che altri economisti ne hanno fornito, hanno dato vita sia alla macroeconomia come scienza sia alle moderne politiche macroeconomiche. Nel breve periodo l’effetto combinato delle azioni individuali può avere conseguenze indesiderate che generano risultati macroeconomici migliori o peggiori per tutti. ➤ La politica economica ha margini di manovra maggiori in macroeconomia che in microeconomia. ➤ Diversamente dalla microeconomia, la macroeconomia dipende dallo studio degli aggregati economici. ➤ La Grande Depressione ha indotto un ripensamento della misurazione delle variabili economiche e della teoria macroeconomica, dando l’avvio alla moderna macroeconomia. ➤ 1. Quale delle seguenti domande si riferisce allo studio della macroeconomia? Quale alla microeconomia? Perché? (a) Qual è il profitto che il mobilificio Barletta ottiene installando un nuovo macchinario nella sua fabbrica? (b) Come varia il livello complessivo delle vendite del settore manifatturiero al variare dello stato generale dell’economia? (c) Quali tipi di spesa per investimento portano a un più elevato tasso di crescita economica? (d) Mirella dovrebbe acquistare una nuova automobile? 2. Spiegate perché in microeconomia c’è meno spazio per un intervento pubblico che in macroeconomia. 120 110 Stati Uniti 100 Gran Bretagna Germania 90 Francia Italia 80 70 60 50 1929 1930 1931 1932 1933 1934 1935 La Grande Depressione nel mondo La Grande Depressione dagli Stati Uniti si propagò rapidamente all’America Latina e all’Europa. In Germania, in particolare, il ritiro dei prestiti statunitensi mise in crisi il complesso e delicato sistema delle riparazioni di guerra, trascinando nella spirale depressiva anche Francia e Italia. In tutti questi paesi si verificò un drastico calo della produzione, seguito da una diminuzione dei prezzi, molteplici crolli in borsa, fallimenti e chiusura di industrie e banche, e un aumento della disoccupazione. L’Italia, benché contagiata dalla crisi internazionale, ebbe a patire conseguenze meno drammatiche di altri paesi, poiché il governo fascista, avendo promosso una politica di autarchia che la escludeva da gran parte degli scambi internazionali, aveva parzialmente isolato il paese dal resto del mondo. Nel grafico si confrontano gli indici della produzione industriale negli anni della Grande Depressione in alcuni dei paesi citati. Si osservi come in Italia la flessione dell’indice della produzione industriale risulti meno pronunciata e duratura rispetto a Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Francia. Dati indicizzati (1929 = 100). Fonte: C. P. Kindleberger, La grande depressione nel mondo 1929-1939. ETAS, Milano, 1982. RIPASSO RAPIDO VERIFICATE IL VOSTRO APPRENDIMENTO 14.1 334 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 ■ IL CICLO ECONOMICO Tasso di disoccupazione (%) 12 10 8 6 5, 6 20 00 20 04 95 4 19 Tasso di disoccupazione medio 19 90 Figura 14.2 Tasso di disoccupazione e recessioni negli Stati Uniti dal 1948 al 2004 Di solito durante una recessione il tasso di disoccupazione aumenta, per poi diminuire nelle fasi di ripresa. Come mostra il grafico, nel periodo postbellico negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione ha fatto registrare oscillazioni molto marcate. Le aree ombreggiate evidenziano i periodi di recessione; quelle prive di ombreggiatura le fasi di ripresa economica. Nell’intero periodo 19482004 il tasso di disoccupazione medio negli Stati Uniti è stato del 5,6%. Fonte: Bureau of Labor Statistics; National Bureau of Economic Research. 19 85 lavoratori scoraggiati individui in grado di lavorare che rinunciano a cercare un impiego perché credono di non riuscire a trovarlo 19 80 forza lavoro la somma dei lavoratori occupati e disoccupati di un paese Una recessione è un evento meno grave di una depressione, ma è altrettanto sgradevole. Come la depressione, la recessione provoca un aumento della disoccupazione, una riduzione della produzione e dei redditi, e un abbassamento del tenore di vita. Per comprendere la disoccupazione e la sua relazione con gli effetti negativi della recessione, dobbiamo capire come è strutturata la forza lavoro. L’occupazione misura il numero totale di individui attivamente impiegati, e la disoccupazione il numero totale di individui che non hanno un’occupazione e sono attivamente alla ricerca di un lavoro. La forza lavoro di un paese è la somma dell’occupazione e della disoccupazione. La definizione ufficiale di forza lavoro non include i lavoratori scoraggiati, individui che sono in grado di lavorare ma che rinunciano a cercare un impiego perché credono di non riuscire a trovarlo. Le statistiche occupazionali non includono informazioni sulla sottoccupazione, il nume- 19 75 disoccupazione il numero totale di individui che non hanno un’occupazione e sono attivamente alla ricerca di un impiego ◆ Occupazione e disoccupazione 19 70 occupazione il numero totale di individui attivamente impiegati 19 65 espansione una fase di crescita economica, in cui la produzione e l’occupazione aumentano; detta anche ripresa 19 60 recessione una fase di flessione economica, in cui la produzione e l’occupazione diminuiscono 19 55 depressione una flessione economica grave e prolungata Come accennato nella vicenda che abbiamo descritto in apertura del capitolo, nel 2002 un mercato del lavoro stagnante rese la vita difficile a chi era in cerca di lavoro, indipendentemente dalle sue competenze. La situazione era particolarmente deprimente, soprattutto alla luce del fatto che fino a due anni prima il mercato del lavoro statunitense era in piena espansione. L’alternanza nel breve periodo tra periodi di flessione economica e periodi di ripresa è detta ciclo economico. Una depressione è una flessione profonda e prolungata; fortunatamente, negli Stati Uniti e nelle principali economie mondiali l’ultima risale agli anni 1930. Ma in questi anni si sono verificate flessioni economiche meno prolungate, dette recessioni, periodi nei quali la produzione e l’occupazione tendono a diminuire. Invece, un periodo di ripresa economica in cui la produzione e l’occupazione tendono ad aumentare è detto espansione (o semplicemente ripresa). Secondo il National Bureau of Economic Research, a partire dalla seconda guerra mondiale negli Stati Uniti si sono verificate 10 recessioni della durata media di 10 mesi; i periodi di ripresa, invece, sono durati in media 57 mesi. La durata media di un ciclo economico, dall’inizio di una recessione all’inizio della recessione successiva, è stata di 5 anni e 7 mesi; il ciclo più breve è durato 18 mesi e il più lungo 10 anni e 8 mesi. La recessione che ha colpito i disoccupati del 2002 è iniziata nel marzo 2001. La figura 14.2 descrive l’andamento storico del tasso di disoccupazione negli Stati Uniti dal 1948 al 2004, e l’an- 19 4 19 8 50 ciclo economico l’alternarsi nel breve periodo di fasi di flessione economica, dette recessioni, e di crescita, dette espansioni damento dei cicli economici dalla seconda guerra mondiale in avanti. In questo periodo il tasso di disoccupazione si è mantenuto in media attorno al 5,6%. Le recessioni sono indicate dalle aree ombreggiate. Che cosa accade durante un ciclo economico, e che cosa si può fare per controllarlo? In proposito, analizziamo tre questioni: gli effetti delle recessioni e delle espansioni sulla disoccupazione; gli effetti sulla produzione aggregata; il possibile ruolo delle politiche pubbliche. Anno 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 Alcuni lettori potrebbero domandarsi quale sia la definizione esatta di recessione ed espansione. La risposta è che non esiste una definizione esatta per questi concetti. In molti paesi gli economisti hanno adottato la regola secondo la quale l’economia è in recessione se la produzione aggregata diminuisce per almeno due trimestri consecutivi. In tal modo si evita di classificare come recessioni brevi sussulti nell’andamento economico che non hanno conseguenze durature. A volte, tuttavia, questa definizione è troppo restrittiva. Per esempio, se un sistema economico sperimenta tre mesi di forte fles- sione, seguiti da tre mesi di debole crescita, seguiti da altri tre mesi di rapido declino, si deve certamente concludere che ha attraversato nove mesi di recessione. Negli Stati Uniti, per cercare di evitare errori di classificazione, si assegna il compito di determinare l’inizio e la fine di una recessione a un comitato indipendente di esperti del National Bureau of Economic Research (NBER). Questo comitato prende in considerazione una molteplicità di indicatori economici, concentrandosi soprattutto su occupazione e produzione. In ultima analisi, però, il comitato emette un parere indipendente. ro di individui che durante una recessione lavorano a un salario più basso di quello che riceverebbero durante una fase espansiva, a causa di un minor numero di ore di lavoro, di una paga più bassa, o di entrambi. Il tasso di disoccupazione è la percentuale di individui nella forza lavoro che sono disoccupati. È calcolato come segue: Tasso di = Numero di disoccupati × 100 (14.1) disoccupazione Numero di + Numero di disoccupati occupati Il tasso di disoccupazione è generalmente un buon indicatore delle condizioni del mercato del lavoro: un tasso di disoccupazione elevato è il segnale di un mercato del lavoro stagnante, in cui è difficile trovare un’occupazione; un tasso di disoccupazione moderato indica un mercato del lavoro attivo, in cui è relativamente facile trovare un impiego. In generale, durante una recessione il tasso di disoccupazione aumenta, durante una ripresa diminuisce. Torniamo a osservare la figura 14.2, che mostra il tasso di disoccupazione registrato mensilmente dal 1948 al 2004. Il valore medio del tasso di disoccupazione nel periodo considerato è il 5,6%, con notevoli fluttuazioni attorno a tale valore medio. Una economia in fase fortemente espansiva, come quella della fine degli anni 1960 o della fine degli anni 1990, può ridurre la disoccupazione anche al di sotto del 4%. Ma in una grave recessione, come quella del 1981-1982, il tasso di disoccupazione può superare il 10% (in A volte questo parere è controverso. Infatti è tuttora in corso un dibattito sulla recessione del 2001. Secondo il NBER la recessione cominciò nel marzo 2001 e terminò nel novembre 2001, quando la produzione cominciò ad aumentare. Tuttavia alcuni osservatori sostengono che la recessione ebbe effettivamente inizio molti mesi prima, quando la produzione industriale cominciò a diminuire. Altri sostengono poi che non si è conclusa nel 2001, perché l’occupazione continuò a diminuire e il mercato del lavoro rimase debole ancora per un anno e mezzo. quell’occasione, la punta massima fu registrata nel novembre 1982, con una disoccupazione del 10,8%). Dietro queste cifre astratte si nascondono le più diverse esperienze personali. Per esempio, nel novembre 1982, quando negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione toccò il 10,8%, 12 milioni di persone erano alla ricerca di un lavoro ma non riuscivano a trovarlo. Più di recente, con l’aumento della disoccupazione nei primi anni 1990, centinaia di migliaia di lavoratori furono licenziati, e molti di coloro che trovarono un impiego erano fortemente sottoccupati. Di conseguenza, il paese cadde in preda al dubbio e allo sconforto. (Un libro molto influente pubblicato in quegli anni si intitolava: America: What Went Wrong? «America: cosa è andato storto?» N.d.T.].) Ma alla fine degli anni 1990 la disoccupazione scese al livello più basso dei trent’anni precedenti, le imprese cominciarono a fare a gara per trovare dipendenti e persino gli studenti meno brillanti e con poca esperienza di lavoro ricevettero offerte di lavoro allettanti. Ahimé, com’è nella natura dei cicli economici, quest’epoca felice è terminata nei primi mesi del 2001, quando l’economia è andata incontro a un periodo di flessione e la disoccupazione è tornata ad aumentare. ◆ La produzione aggregata L’aumento della disoccupazione è la conseguenza più dolorosa di una recessione, e la riduzione della disoccupazione è la caratteristica maggior- PER I PIÙ CURIOSI COME DEFINIRE LE RECESSIONI E LE ESPANSIONI 335 sottoccupazione il numero di individui che durante una recessione lavorano a un salario più basso di quello che riceverebbero durante una fase espansiva, a causa di un minor numero di ore di lavoro, di una paga più bassa, o di entrambi tasso di disoccupazione la percentuale di individui nella forza lavoro che sono disoccupati 336 14. Macroeconomia: un quadro generale produzione aggregata la produzione totale di beni e servizi finali in un sistema economico in un dato periodo di tempo © 978-88-08-26614-9 mente desiderata di una ripresa economica. Tuttavia il ciclo economico non riguarda solo l’occupazione, ma anche la produzione. Nel corso di un ciclo economico il livello di produzione di un sistema economico e il suo tasso di disoccupazione si muovono in direzioni opposte. In termini formali, la produzione aggregata è la produzione totale di beni e servizi finali in un sistema economico in un dato periodo, convenzionalmente un anno. La produzione aggregata non include i beni e i servizi che entrano come fattori nella produzione di altri beni (detti anche beni intermedi): l’acciaio prodotto con lo scopo di fabbricare un’automobile non è incluso nella produzione aggregata, che include invece l’automobile prodotta con quell’acciaio. Il PIL reale è la misura numerica della produzione aggregata usata di norma dagli economisti. Vedremo come calcolare il PIL reale nel capitolo 15; per il mo- mento, il punto che vogliamo enfatizzare è che la produzione aggregata diminuisce nelle fasi recessive e aumenta in quelle espansive. La figura 14.3(a) mostra il tasso di crescita annuale del PIL reale statunitense tra il 1948 e il 2004; in altre parole, mostra la variazione percentuale della produzione aggregata tra il 1947 e il 1948, tra il 1948 e il 1949, e così via. La produzione è cresciuta in media del 3,5% all’anno. Come si può osservare, il tasso di crescita effettivo ha oscillato in modo considerevole intorno a questo valore medio, da un massimo dell’8,7% nel 1950 a un minimo di –1,9% nel 1982. Mettendo a confronto la figura 14.3(a) con il grafico della figura 14.2, osserviamo che l’anno in cui la produzione fece registrare la diminuzione più marcata del secondo dopoguerra fu anche quello in cui la disoccupazione raggiunse il suo valore massimo. (a) Il tasso di crescita annua del PIL reale Tasso di crescita del PIL reale (%) 10 8 6 Tasso di crescita medio 3, 5 4 2 0 –2 –4 48 50 19 19 55 19 60 19 65 19 70 19 75 19 80 19 85 19 90 19 95 19 00 04 Anno 20 20 (b) PIL reale PIL reale (miliardi di dollari del 2000) 12 000 10 000 8000 6000 4000 2000 19 48 Figura 14.3 La crescita della produzione aggregata negli Stati Uniti dal 1948 al 2004 Il PIL reale è una misura numerica della produzione aggregata, ovvero della produzione complessiva che l’economia riesce a generare. La parte (a) mostra il tasso di crescita annuale del PIL reale degli Stati Uniti dal 1948 al 2004: nel periodo, la crescita media annua dell’economia statunitense è stata del 3,5%. Nonostante il PIL reale sia aumentato nella maggior parte degli anni, la crescita del PIL reale è stata soggetta a oscillazioni dovute al ciclo economico, e in alcune annate il PIL reale è diminuito. La parte (b) mostra gli stessi dati in forma diversa: l’andamento del valore assoluto del PIL reale nel periodo. Da questo grafico possiamo notare che, in un’ottica di lungo periodo, quando gli effetti del ciclo economico sono meno evidenti, il PIL reale statunitense ha manifestato una netta tendenza alla crescita. Fonte: Bureau of Economic Analysis. 50 19 55 19 60 19 65 19 70 19 75 19 80 19 85 19 90 19 95 19 00 004 Anno 2 20 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 La figura 14.3(b) mostra l’andamento del PIL reale nel medesimo periodo, dal 1948 al 2004. Come evidenzia la tendenza nettamente crescente della produzione aggregata, le riduzioni del PIL reale verificatesi durante le recessioni hanno avuto natura temporanea. Dal secondo dopoguerra in poi il PIL reale degli Stati Uniti è cresciuto di più del 500%. ◆ Controllare il ciclo economico Come abbiamo spiegato, una delle missioni fondamentali della macroeconomia è capire perché si verificano le recessioni e se sia possibile fare qualcosa per porvi rimedio. Un altro tema caldo della macroeconomia è l’inflazione, un aumento del livello generale dei prezzi causato spesso da un’espansione economica troppo sostenuta. I provvedimenti di politica economica attuati per ridurre la gravità di una recessione o per tenere a freno un’espansione troppo vivace sono detti politiche di stabilizzazione. La politica di stabilizzazione è basata su due strumenti fonda- mentali: la politica monetaria, che cerca di stabilizzare l’economia facendo variare la quantità di moneta in circolazione nell’economia, il tasso di interesse o entrambi; e la politica fiscale, che cerca di stabilizzare l’economia facendo variare l’imposizione fiscale, la spesa pubblica o entrambe. Esamineremo questi strumenti nei capitoli 17 e 18, dove mostreremo come possano ridurre la gravità e la durata di una recessione e attenuare un’espansione troppo marcata. Ma in quei capitoli studieremo anche le ragioni per cui non è possibile attuare una stabilizzazione perfetta, cioè perché la politica fiscale e quella monetaria non possono eliminare del tutto le fluttuazioni del sistema economico. Così, in ultima analisi, il ciclo economico è sempre con noi. Il ciclo economico è uno dei temi principali della macroeconomia, e quello che storicamente ha avuto la maggiore influenza nello stimolare lo sviluppo della disciplina; tuttavia la macroeconomia si occupa anche di altre questioni. Rivolgiamo adesso la nostra attenzione alla crescita economica di lungo periodo. 337 politiche di stabilizzazione i provvedimenti di politica economica attuati per ridurre la gravità di una recessione o per tenere a freno un’espansione troppo vivace politica monetaria una politica di stabilizzazione che agisce sulla quantità di moneta in circolazione nell’economia, sul tasso di interesse, o su entrambi politica fiscale una politica di stabilizzazione che agisce sull’imposizione fiscale, sulla spesa pubblica, o su entrambe Il ciclo economico è stato domato? La macroeconomia come oggi la conosciamo è nata durante la Grande Depressione, dal desiderio degli economisti di impedire il ripetersi di un evento altrettanto disastroso. L’evidenza empirica sembra indicare che i politici e gli economisti statunitensi abbiano avuto successo: da allora gli Stati Uniti non hanno subito alcuna recessione così grave da poter essere considerata una depressione. Ma siamo riusciti nel compito strettamente collegato di domare il ciclo economico? Non proprio. La figura 14.4 mostra il tasso medio annuo di disoccupazione degli Stati Uniti a partire dal 1900. La figura è dominata dal forte aumento della disoccupazione verificatosi negli anni 1930: dalla seconda guerra mondiale in avanti gli Stati Uniti sono riusciti a evitare che il fenomeno si ripetesse. I macroeconomisti ritengono che ciò sia dovuto in parte ai progressi compiuti dalla teoria economica, che nel secondo dopoguerra hanno permesso di formulare provvedimenti di politica economica molto più efficaci. Tuttavia gli economisti diffidano di chi ritiene che il ciclo economico sia del tutto sotto controllo, e che le recessioni siano una cosa del passato. Questo tipo di atteggiamento si era molto diffuso Tasso di disoccupazione (%) 25 20 15 10 19 00 19 10 19 20 19 30 19 40 19 50 19 60 19 70 19 80 19 90 20 0 20 0 04 5 Anno L’ECONOMIA IN AZIONE Figura 14.4 Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti dal 1900 al 2004 I progressi della teoria macroeconomica hanno reso i sistemi economici più stabili? Questo grafico mostra il tasso di disoccupazione medio annuo negli Stati Uniti a partire dal 1900. Chiaramente, nessun fenomeno della portata della Grande Depressione – qui evidenziata dalla crescita esplosiva del tasso di disoccupazione che domina la prima parte del grafico – si è più verificato da allora. Ma gli economisti che negli anni 1960 avevano dichiarato che il ciclo economico era stato domato sono stati smentiti dalle forti recessioni degli anni 1970 e dei primi anni 1980. Fonte: U.S. Census Bureau; Bureau of Labor Statistics. 338 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 durante gli anni 1960, caratterizzati da una prolungata fase di crescita economica. A questo fortunato periodo, però, sono seguite due gravi recessioni, che hanno riportato la disoccupazione ai valori del secondo dopoguerra. L’idea che il ciclo economico fosse definitivamente scomparso è tornata a circolare durante la lunga fase espansiva degli anni 1990, solo per essere contraddetta dalla recessione del 2001. In anni recenti altri paesi hanno sofferto recessioni economiche almeno altrettanto gravi della Grande Depressione. Per esempio, in Argentina tra il 1998 e il 2002 la produzione aggregata è crollata del 18%, il tasso di disoccupazione ha toccato il 24% e molte famiglie della classe media si sono ritrovate in condizioni di povertà. Queste gravi recessioni hanno indotto gli economisti a un bagno di umiltà. Anche se si pensa che oggi la teoria economica sia in grado di impedire un’altra Grande Depressione, la nostra capacità di stabilizzare l’economia è ancora da affinare. Il ciclo economico, cioè l’alternanza di recessioni e riprese economiche, è una delle principali preoccupazioni della macroeconomia moderna, che si è sviluppata in larga parte per prevenire l’insorgere di depressioni. ➤ La forza lavoro, pari alla somma di occupazione e disoccupazione, non include i lavoratori scoraggiati. E le statistiche sull’occupazione non contengono dati sulla sottoccupazione. In generale il tasso di disoccupazione aumenta nelle fasi di recessione e diminuisce in quelle di espansione economica, esattamente all’opposto di quanto accade alla produzione aggregata. ➤ Le politiche di stabilizzazione utilizzano due strumenti principali: la politica monetaria e la politica fiscale. A questi strumenti si ricorre per ridurre la gravità delle recessioni e governare riprese eccessivamente vivaci. ➤ RIPASSO RAPIDO VERIFICATE IL VOSTRO APPRENDIMENTO 1. Perché il tasso di disoccupazione e la produzione aggregata si muovono in direzioni opposte durante il ciclo economico? 2. Descrivete alcuni dei costi che un elevato tasso di disoccupazione impone alla società. 3. Quali sono i probabili indicatori del successo di una politica di stabilizzazione in un dato periodo di tempo? 14.2 ■ INFLAZIONE E DEFLAZIONE misura nominale una misura che non tiene conto della variazione dei prezzi nel tempo misura reale una misura che viene aggiustata per tenere conto delle variazioni dei prezzi Il 2002 è stato un anno difficile per tutti i neolaureati in cerca di un lavoro, tuttavia le retribuzioni offerte erano ugualmente molto buone rispetto ai dati storici. Nel 2002 un lavoratore medio guadagnava circa il triplo che nel 1948, fatti gli aggiustamenti per l’aumento dei prezzi di beni e servizi. Questa precisazione è importante: se non si effettuassero le dovute correzioni per l’aumento dei prezzi di beni e servizi, l’aumento dei salari registrato tra il 1948 e il 2002 apparirebbe molto più marcato, con un moltiplicatore di 20 anziché di 3. Questo esempio illustra quanto, in macroeconomia, sia importante distinguere tra misure nominali e misure reali. La misura nominale di una variabile economica, come i salari nominali, non tiene conto della variazione dei prezzi nel tempo: così diciamo che i salari nominali sono aumentati di 20 volte tra il 1948 e il 2002. Per contro, la misura reale di una variabile economica viene aggiustata per tenere conto delle va- riazioni dei prezzi: così diciamo che i salari reali sono aumentati di 3 volte tra il 1948 e il 2002. Gli economisti di norma esprimono i salari in termini reali, perché il salario reale è il miglior indicatore della variazione del potere d’acquisto effettivo dei lavoratori nel tempo: il salario reale permette di sintetizzare la differenza tra la variazione dei salari e la variazione dei prezzi dei beni e dei servizi che i lavoratori possono acquistare. Così, anche se i salari sono cresciuti di 20 volte nei 55 anni considerati, nel 2002 i lavoratori potevano comprare solo una quantità tripla di beni e servizi, non di 20 volte superiore. In altre parole, il salario del lavoratore medio nel 2002 espresso in dollari del 2002 – cioè la quantità di beni e servizi che il salario di un lavoratore medio avrebbe potuto acquistare nel 2002 – era il triplo del salario medio del 1948 espresso in dollari del 2002 – cioè la quantità di beni e servizi che il salario di un lavoratore medio del 1948 avrebbe potuto acquistare nel 2002. Il livello complessivo dei prezzi di tutti i beni e i servizi prodotti nel sistema economico, cioè il 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 IPC (periodo base = 1982-1984) 200 180 160 140 120 100 80 60 40 20 00 20 04 19 90 19 80 19 70 19 60 19 50 19 40 19 30 19 13 19 20 20 Anno livello dei prezzi della produzione aggregata, è detto livello generale dei prezzi. Quando questo livello dei prezzi aumenta, diciamo che l’economia sperimenta inflazione; quando diminuisce, diciamo che sperimenta deflazione. Come spiegheremo nel capitolo 15, due sono le misure del livello generale dei prezzi usate comunemente: il deflatore del PIL e l’indice dei prezzi al consumo, o IPC. La figura 14.5 mostra l’andamento dell’IPC negli Stati Uniti tra il 1913 e il 2004. Dalla figura si può osservare che il livello generale dei prezzi, come la produzione aggregata (vedi figura 14.3(b)), è aumentato notevolmente nel tempo: nel 2004 era quasi 20 volte più elevato che nel 1913. Contrariamente alla tendenza positiva della produzione aggregata, tuttavia, l’andamento crescente dei prezzi non è necessariamente la caratteristica di un sistema economi- co ben funzionante; tanto meno è necessariamente un fenomeno positivo. L’inflazione e la deflazione creano entrambe problemi per l’economia, benché di natura più sottile rispetto a quelli associati con la recessione. Ecco due esempi: l’inflazione scoraggia gli individui dal detenere denaro contante, perché se il livello dei prezzi aumenta, la moneta perde di valore nel tempo. E questo fa aumentare il costo implicito di tutti gli scambi di compravendita per i quali si deve ricorrere al contante. In casi estremi gli individui smettono di ricorrere alla moneta e tornano a praticare il baratto. La deflazione può causare il problema opposto. Se il livello dei prezzi diminuisce, è più vantaggioso detenere saldi monetari, il cui valore aumenta nel tempo, che investire in nuove fabbriche e altre attività produttive, con l’effetto di esacerbare la recessione. In generale gli economisti descrivono come un obiettivo Tasso % di variazione dell’IPC (periodo base = 1982-1984) 20 Inflazione elevata e prolungata 15 10 Prezzi quasi stabili 5 0 –5 Marcata deflazione –10 20 04 20 00 19 90 19 80 19 70 19 60 19 50 19 40 19 29 –15 Anno 339 Figura 14.5 L’indice dei prezzi al consumo negli Stati Uniti dal 1913 al 2004 Il grafico illustra l’andamento di una delle più diffuse misure dell’indice generale dei prezzi negli Stati Uniti, l’indice dei prezzi al consumo, o IPC, nel periodo 1913-2004. Sebbene all’inizio degli anni 1930 i prezzi siano diminuiti, in generale l’indice generale dei prezzi ha manifestato una forte tendenza alla crescita. Nel 2004 il livello generale dei prezzi era 20 volte quello rilevato nel 1913. Fonte: Bureau of Labor Statistics. livello generale dei prezzi una misura sintetica del livello complessivo dei prezzi di tutti i beni e i servizi finali prodotti nel sistema economico inflazione un livello generale dei prezzi crescente deflazione un livello generale dei prezzi decrescente Figura 14.6 Inflazione e deflazione negli Stati Uniti dal 1929 al 2004 Il grafico mostra la variazione annuale dell’IPC. Dopo la deflazione degli anni 1930, l’economia statunitense è sempre stata caratterizzata da tendenze inflazionistiche. Ma gli elevati tassi d’inflazione degli anni 1970 e dei primi anni 1980 sono progressivamente diminuiti, e negli ultimi anni l’economia ha raggiunto una relativa stabilità dei prezzi. Fonte: Bureau of Labor Statistics. 340 14. Macroeconomia: un quadro generale stabilità dei prezzi una situazione in cui il livello generale dei prezzi del sistema economico varia lentamente tasso di inflazione la variazione percentuale annua del livello generale dei prezzi desiderabile la stabilità dei prezzi, una situazione in cui il livello generale dei prezzi varia molto lentamente. (Diciamo «varia lentamente» anziché «non varia» perché molti macroeconomisti ritengono che un tasso di inflazione moderato, al 2 o 3%, non danneggi l’economia e possa addirittura essere vantaggioso.) La stabilità dei prezzi è un obiettivo che fino a tutto il secondo dopoguerra è apparso irraggiungibile, ma che sembra ormai essere stato conquistato, per la soddisfazione della maggior parte dei macroeconomisti. La variazione percentuale annua del livello generale dei prezzi è nota come tasso di inflazione (che assume valori negativi in caso di deflazione). La figura 14.6 mostra il tasso di inflazione annuo negli Stati Uniti tra il 1929 e il 2004, misurato come variazione percentuale dell’IPC. Due bre- © 978-88-08-26614-9 vi fiammate inflazionistiche hanno accompagnato la seconda guerra mondiale: una all’inizio, prima che il governo introducesse i controlli dei prezzi, e una alla fine, quando i controlli furono rimossi. Oltre a questi due, altri tre elementi si manifestano con evidenza: primo, si è verificata una forte deflazione nei primi anni 1930, in coincidenza con l’inizio della Grande Depressione; secondo, gli anni 1970 e gli anni 1980 sono stati caratterizzati da un’inflazione elevata e prolungata; terzo, negli anni 1990 il livello dei prezzi è rimasto pressoché stabile. I macroeconomisti hanno dedicato non poche energie alla comprensione delle cause dell’inflazione e della deflazione, e a fornire indicazioni ai governi su come mantenere una via di mezzo tra questi due estremi indesiderabili. Una semplice (e appetitosa) misura dell’inflazione L’ECONOMIA IN AZIONE Il primo McDonald’s aprì nel 1954. Offriva un servizio rapido e poco costoso: non a caso è considerato l’iniziatore della ristorazione fast-food. Un panino con hamburger costava solo 0,15 dollari; 0,25 dollari con le patatine fritte. Oggi lo stesso panino in un tipico ristorante McDonald’s costa almeno 5 volte tanto, tra 0,70 e 0,80 dollari. McDonald’s ha forse perso di vista le sue umili origini di ristorante fast-food? Gli hamburger sono forse diventati un cibo esclusivo? Certamente no; anzi, rispetto ad altri beni di consumo, un panino con hamburger è oggi meno costoso che nel 1954. Nell’ultimo quarto di secolo i prezzi degli hamburger sono aumentati di circa il 400%, da 0,15 dollari a circa 0,75 dollari, mentre l’IPC è aumentato complessivamente di oltre il 600%. Se i prezzi di McDonald’s avessero seguito l’andamento generale dell’inflazione, un hamburger costerebbe oggi tra 0,90 e 1,00 dollari. L’inflazione è rallentata negli anni 1990, cioè il tasso di crescita del livello generale dei prezzi è diminuito. E lo stesso è avvenuto con il prezzo degli hamburger: infatti nel 1997 McDonald’s ha tagliato i prezzi di molti dei suoi prodotti, incluso il Big Mac, il suo prodotto di punta. La variazione del salario reale è una misura della variazione del potere d’acquisto dei lavoratori più affidabile della variazione del salario nominale. ➤ Un ambito di studio rilevante nella macroeconomia è quello relativo all’andamento del livello generale dei prezzi. Sia l’inflazione sia la deflazione rappresentano un problema per il sistema economico, quindi gli economisti generalmente auspicano il mantenimento della stabilità dei prezzi. ➤ Il tasso di inflazione è la variazione percentuale annua del livello generale dei prezzi. È positivo quando i prezzi aumentano (inflazione) e negativo quando diminuiscono (deflazione). ➤ RIPASSO RAPIDO VERIFICATE IL VOSTRO APPRENDIMENTO 14.3 1. Supponete che il vostro salario sia aumentato del 10% nel corso dell’ultimo anno. In ciascuno dei seguenti casi, stabilite se la vostra condizione sia migliorata o peggiorata rispetto all’anno precedente. Argomentate la vostra risposta. (a) Il tasso di inflazione annuo è stato del 5%. (b) Il tasso di inflazione annuo è stato del 15%. (c) L’economia ha sperimentato una deflazione, e i prezzi sono diminuiti a un tasso del 2% all’anno. 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 341 LE FONTI DEI DATI SULL’ECONOMIA ITALIANA ED EUROPEA In questo capitolo si è fatto più volte riferimento a istituzioni ed enti che rilevano ed elaborano dati relativi all’economia statunitense. Chi volesse cimentarsi nel confronto tra la realtà degli Stati Uniti e quella italiana ed europea, o applicare quanto appreso in questo corso ai casi italiani ed europei, potrà fare utilmente riferimento alle note di adattamento, che troverà nei diversi capitoli contrassegnate dalla bandiera europea, e ad alcune fonti di rilevazione ed elaborazione dei dati in Italia e in Europa. Le principali fonti di dati sull’economia italiana sono alcune pubblicazioni dell’Istat e altre della Banca d’Italia, come la Relazione annuale, l’Appendice e le Note alla Relazione, il Bollettino Economico, il Bollettino Statistico, il Quadro di sintesi del Bollettino, e i vari supplementi. I dati italiani sono raccolti anche da diverse pubblicazioni che presentano dati statistici costantemente aggiornati relativi ai paesi dell’Unione Europea, come Eurostatistics: Data for short-term economic analysis, pubblicato mensilmente dall’Eurostat, il semestrale (con supplementi mensili) European Economy, pubblicato dalla Commissione Europea, e le pubblicazioni della Banca Centrale Europea, come il Rapporto annuale e i Bollettini mensili. Di un certo interesse sono anche le pubblicazioni dell’OCSE (Quarterly National Accounts, OECD Economic Outlook e il mensile Main Economic Indicators) e del Fondo Monetario Internazionale (l’annuario International Financial Statistics Yearbook e il semestrale World Economic Outlook). Un’utile guida ai siti internet che offrono dati ed elaborazioni relative all’economia italiana ed europea è stata allestita dal centro di Documentazione Statistica Internazionale dell’Università di Bologna, ed è accessibile da http://www2.stat.unibo.it/cdsi/index.htm. Nella tabella seguente segnaliamo i siti di più frequente consultazione per lo studente: Istat Banca d’Italia Consob Eurostat Banca Centrale Europea OCSE http://www.istat.it http://www.bancaditalia.it http://www.consob.it http://epp.eurostat.cec.eu.int http://www.ecb.int http://www.oecd.org Guardando avanti Nei prossimi capitoli esamineremo più approfonditamente le questioni che abbiamo introdotto qui. La nostra analisi dei modelli macroeconomici prenderà le mosse dall’analisi del ciclo economico. Dapprima cercheremo di capire la ragione delle fluttuazioni cicliche; nei capitoli successivi scopriremo come si possa fare ricorso alla politica fiscale e alla politica monetaria per stabilizzare l’economia. Ma prima di avviare l’analisi dei modelli macroeconomici, dobbiamo approfondire la conoscenza dei dati che andremo a studiare: come vengono stimati, effettivamente, la produzione aggregata, il livello generale dei prezzi e altre misure fondamentali dell’andamento della macroeconomia? Riepilogo 1. La macroeconomia è lo studio del comportamento dell’economia nel suo complesso: il livello della produzione aggregata, il livello generale dei prezzi, l’occupazione complessiva e così via. 2. Sono quattro i modi principali in cui la macroeconomia differisce dalla microeconomia: studia il modo in cui gli effetti cumulati delle azioni individuali producono esiti macroeconomici involontari; prevede un maggior ruolo per le politiche pubbliche; studia la crescita di lungo periodo; e fa uso di aggregati economici, variabili che riassumono i dati relativi a vari mercati di beni, servizi, fattori di produzione e attività patrimoniali. La macroeconomia moderna è nata dagli sforzi fatti per comprendere la Grande Depressione. 3. Un tema fondamentale della macroeconomia è il ciclo econo- mico, l’alternanza nel breve periodo di recessioni, periodi in cui la produzione e l’occupazione diminuiscono, ed espansioni, periodi in cui la produzione e l’occupazione aumentano. La macroeconomia moderna è nata soprattutto per cercare di impedire il verificarsi di un’altra depressione, una flessione della produzione profonda e prolungata. La forza lavoro, la somma di occupazione e disoccupazione, non include i lavoratori scoraggiati, cioè gli individui disoccupati che sono in grado di lavorare ma hanno rinunciato a cercare un impiego. Le statistiche occupazionali non includono neppure i dati sulla sottoccupazione, cioè quei lavoratori occupati che guadagnano meno di quanto farebbero durante una fase espansiva a causa dell’orario di lavoro ridotto o di un salario più basso. Il tasso di di- 342 14. Macroeconomia: un quadro generale © 978-88-08-26614-9 soccupazione, che è di norma un buon indicatore delle condizioni del mercato del lavoro, è aumentato e diminuito ripetutamente nel tempo. La produzione aggregata, il livello totale di produzione del sistema economico, si muove in direzione opposta al tasso di disoccupazione nell’arco del ciclo economico. 4. Le politiche di stabilizzazione, attraverso le quali il governo tenta di attenuare il ciclo economico, si avvalgono di due strumenti principali: la politica monetaria, cioè le variazioni della quantità di moneta in circolazione, del tasso di interesse, o di entrambi; e la politica fiscale, cioè le variazioni dell’imposizione fiscale, della spesa pubblica o di entrambe. 5. Gli economisti distinguono tra misure nominali, che non ven- gono aggiustate per tenere conto della variazione dei prezzi, e misure reali, che vengono invece aggiustate per l’inflazione. Le variazioni del salario reale sono la migliore misura della variazione del potere d’acquisto dei consumatori. Il livello generale dei prezzi è una misura del livello dei prezzi di tutti i beni e i servizi finali prodotti nel sistema economico. Il tasso di inflazione, cioè la variazione percentuale annua del livello generale dei prezzi, è positivo quando tale livello aumenta (inflazione) e negativo quando diminuisce (deflazione). Poiché inflazione e deflazione possono causare problemi, di norma è preferibile la stabilità dei prezzi. Attualmente l’economia statunitense e quella europea sono molto prossime a una situazione di stabilità dei prezzi. Parole chiave aggregati economici (p. 331) ciclo economico (p. 334) deflazione (p. 339) depressione (p. 334) disoccupazione (p. 334) espansione (p. 334) forza lavoro (p. 334) inflazione (p. 339) lavoratori scoraggiati (p. 334) livello generale dei prezzi (p. 339) misura nominale (p. 338) misura reale (p. 338) occupazione (p. 334) politica fiscale (p. 337) politica monetaria (p. 337) politiche di stabilizzazione (p. 337) produzione aggregata (p. 336) recessione (p. 334) sottoccupazione (p. 334) stabilità dei prezzi (p. 340) tasso di disoccupazione (p. 335) tasso di inflazione (p. 340) Esercizi 1. Quali delle seguenti domande sono rilevanti per lo studio della macroeconomia, e quali per quello della microeconomia? (a) Che effetto subirebbero gli incassi che Cecilia realizza attraverso le mance se chiudesse i battenti la grande impresa manifatturiera nei pressi del ristorante dove lavora? (b) Cosa accade alla spesa dei consumatori quando l’economia entra in recessione? (c) Come cambia il prezzo delle arance se gli aranceti della Sicilia vengono danneggiati da una gelata? (d) Come cambiano i salari dei lavoratori di una fabbrica se questi si iscrivono tutti al sindacato? (e) Qual è la relazione tra il tasso di disoccupazione e il tasso di inflazione di un paese? 2. Se un individuo risparmia, la sua ricchezza aumenta, così può permettersi di consumare di più in futuro. Se tutti gli individui risparmiano, il loro reddito atteso diminuisce, così che anche i consumi correnti diminuiscono. Spiegate questa apparente contraddizione. 3. Che cos’è stata la Grande Depressione? Quale impatto ha avuto sul ruolo dello Stato nell’economia e sulla «cassetta degli attrezzi» del macroeconomista? 4. La Macronesia ha una popolazione di 100000 abitanti. Tra que- sti, 25 000 sono troppo anziani e 15 000 sono troppo giovani per lavorare. Dei restanti 60000 abitanti, 10000 non lavorano e hanno rinunciato a cercare un’occupazione, 45 000 sono occupati e i restanti 5000 sono disoccupati in cerca di un’occupazione. (a) Di quanti individui è composta la forza lavoro della Macronesia? (b) Qual è il tasso di disoccupazione in Macronesia? (c) Quanti sono i lavoratori scoraggiati? 5. Le rette universitarie sono aumentate considerevolmente nel corso degli ultimi decenni. Tra l’anno accademico 1971-1972 e quello 2001-2002 il costo complessivo delle rette universitarie, dell’alloggio e del cibo pagato da uno studente universitario impegnato in un corso a tempo pieno è aumentato in media da 1357 a 8022 dollari nelle università pubbliche e da 2917 a 21413 nelle università private. Ciò equivale a un tasso di crescita medio annuo rispettivamente del 6,1% e del 6,9%. Nel medesimo intervallo di tempo il reddito individuale medio disponibile è aumentato da 3860 a 26156 dollari, che equivale a un tasso di crescita medio annuo del 6,6%. Questo aumento dei costi ha reso più o meno difficile per uno studente medio accedere all’istruzione universitaria?