Dalle Piante Forme e Colori - Dipartimento di Botanica

Orto Botanico
Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali
Università degli Studi di Catania
Via A. Longo, 19 – 95125 Catania
tel. 095-430902; fax 095-441209; e-mail: [email protected]
Quaderno
L’Orto botanico per la scuola
2012-2013
A cura di Cristina Lo Giudice e Loredana Palermo
Il quaderno L’Orto botanico per la scuola 2012-2013 raccoglie una serie di
approfondimenti relativi agli argomenti trattati durante i laboratori educativi proposti alle
scuole dall’Orto botanico di Catania.
Indice
Estratto Dalle Piante…forme e colori
Dalle Piante…forme e colori...................................................
Pigmenti delle piante superiori.........................................
Estrazione dei coloranti naturali......................................
Germinazione del seme.........................................................
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36
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39
Bibliografia ........................................................................................ 41
Sitologia............................................................................................... 42
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Dalle Piante…forme e colori
I pigmenti delle piante superiori
Estrazione dei colori naturali
Germinazione del seme
2
I pigmenti delle piante superiori
Gli innumerevoli colori che la natura ci
mostra, ad esempio nei fiori, nei frutti o nelle
foglie, sono il risultato dell’azione di
particolari molecole. Per capire il loro
funzionamento bisogna conoscere lo Spettro
d’azione di ciascuna.
Le molecole assorbono in modo selettivo le
radiazioni elettromagnetiche che ricadono
nello spettro del visibile. Il colore che i nostri
occhi osservano è dato però dall’unica
radiazione elettromagnetica non assorbita ma riflessa.
Possiamo affermare, quindi, che le molecole assorbono radiazioni elettromagnetiche di
lunghezze d’onda ben precise che, quando note, possono essere schematizzate graficamente
attraverso lo spettro di assorbimento (Spettrofotometria).
La fig.1 mostra lo spettro di assorbimento di due
importanti pigmenti fotosintetici presenti nelle foglie, la
clorofilla a (linea in rosso) e b (linea in blu). Di
quest’ultima sono evidenti i caratteristici picchi di
assorbimento a 420 nm e a 665 nm ma in entrambi i
pigmenti, l’assorbimento pari a zero corrisponde alla
lunghezza d’onda del verde-azzurro, pertanto le foglie
appaiono ai nostri occhi di colore verde. La capacità di
assorbire la luce, nei corpi in genere e nei pigmenti
fotosintetici in particolare, è dovuta alla presenza nella
Fig.1 Spettro di assorbimento della
loro
struttura
clorofilla a (rosso) e b ( blu).
molecolare
di
cromofori, dal greco “portatori di luce”, gruppi di atomi che
alternano legami semplici a legami doppi (legami coniugati).
I pigmenti principali delle piante sono: la clorofilla a e
pigmenti accessori come la clorofilla b e i carotenoidi. La loro
principale funzione è catturare la luce indispensabile per il
processo fotosintetico, ma sono anche i responsabili dei
colori che le piante ci mostrano.
Abbiamo appena visto, ad esempio, che nello spettro di assorbimento la clorofilla a non
assorbe la lunghezza d’onda che corrisponde al verde-azzurro mentre la clorofilla b non
assorbe quella del verde-giallo. Questi pigmenti (all’interno dei cloroplasti) si trovano in
notevole quantità nelle foglie che perciò ci appaiono di colore verde.
Anche i carotenoidi sono presenti nelle foglie, all’interno dei
cloroplasti, e appaiono di colore gialloarancio:
la
linea
che
mostra
l’assorbimento delle radiazioni solari dei
carotenoidi decresce, infatti, dopo i 500
nm. I carotenoidi sono presenti nelle
foglie, all’interno dei cloroplasti ma sono
mascherati dalle clorofille; quando arriva
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la stagione avversa la clorofilla viene pian piano degradata, nei cloroplasti si accumulano i
carotenoidi e le foglie assumono il colore giallognolo tipico delle foglie secche.
In associazione con questi importanti pigmenti ci sono anche i
flavonoidi.
I flavonoidi possono essere definiti come le molecole per
eccellenza dei colori naturali, infatti, sono presenti in maggior
quantità nei fiori e nei frutti e, in minor quantità, anche nelle
foglie.
Nella classe dei flavonoidi rientrano i flavoni e le antocianine (o
antociani).
Le antocianine sono sicuramente la
classe più importante di pigmenti
idrosolubili presenti nelle piante, il
loro colore varia dal blu al rosso
secondo il pH del mezzo in cui si
trovano. Abbondano nei frutti, nei fiori
e in piccola parte si trovano nelle
foglie, associate ai carotenoidi.
Sulla tavolozza dei colori della natura
le sfumature di blu dei fiori come il
rosso porpora dei frutti sono il risultato della presenza degli antociani.
Appartiene a questa classe la pelargonidina, la più semplice degli antociani, che dà il colore
rosso alle fragole, ai lamponi maturi e al fiore del geranio domestico (non a caso il suo nome
latino è proprio Pelargonium).
La cianina in soluzione acida si presenta di colore rosso (come nel fiore del papavero) o di
colore viola in soluzione basica (l’intenso viola alle more mature o il profondo nero dei ribes e
dei lamponi, il lilla del fiordaliso) cosicchè il colore può mutare anche in uno stesso fiore.
L’esempio più eclatante di questa capacità è dato da Ipomea purpurea L.; questa specie, infatti,
presenta fiori blu al mattino che cominciano a virare verso il rosso la sera, quando il fiore
appassendo diventa più acido.
Altri antociani sono: malvidina (il violetto dei fiori di malva), peonidina (nelle peonie),
delfinidina (nei Delfinium) e petunidina (nelle petunie).
Ci sono naturalmente delle eccezioni. Il rosso della barbabietola o il rosa dei fiori di
Bouganvillea è dovuto ad altri pigmenti naturali chiamati betacianine, contenuti nel vacuolo
della cellula che somigliano come colore agli antociani, ma differiscono come struttura
chimica.
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Estrazione dei colori naturali
Addentrarsi nel mondo dei colori delle piante e al
modo in cui questi si estraggono, significherebbe
aprire un capitolo infinito, tante sono le specie
che si usano e molteplici i metodi di estrazione
dei colori naturali; le tecniche e le specie vegetali
inoltre variano da paese a paese e da popolo a
popolo. Tralasceremo volutamente i coloranti
naturali inorganici, cioè quelli provenienti da
rocce e sedimenti, e ci limiteremo a una breve
presentazione di alcune tra le piante “tintorie” e
alla descrizione di alcuni metodi di estrazione dei
pigmenti vegetali.
Tra le specie impiegate per estrarre colori naturali possiamo citare: Equisetum telmateja dal
quale si ottiene un rosa antico; Fagus sylvatica dalle cui foglie si ricava un arancio; da Salix
caprea si estrae un color nocciola; il giallo dei fiori di Hypericum perforatum diviene una terra
di Siena bruciata; i fiori di Achillea setacea un senape chiaro; dai fusticini di Isatis tinctoria si
ricava un blu jeans; con i petali di Papaver rhoeas si ottiene un grigio violaceo; un marrone
chiaro si ricava dalle radici di Juniperus communis e ancora, le foglie del noce danno un giallo
mentre e il mallo un marrone scuro; dal mallo delle mandorle si ottiene un rosa cipria…. etc.
Raccolte le parti delle piante utili per estrarre i
colori, si mettono in acqua e si lasciano macerare
per un’intera notte. L’indomani la poltiglia va
decotta e filtrata, in questo modo si estrae il
pigmento vegetale. A questo punto, nel liquido
filtrato si può immergere il tessuto o il filato che si
vuole colorare lasciandolo bollire per alcune ore;
per fissare meglio il pigmento si aggiunge l’allume.
Per distribuire uniformemente il colore, durante il
bagno di colore e nel momento del raffreddamento
occorre mescolare. Infine il tessuto colorato va lavato per eliminare residui di colore e steso
all’ombra ad asciugare.
Un altro metodo di estrazione è quello per frantumazione. In un mortaio si pestano le parti
della pianta che ci interessano, come fiori, frutti o stami (come nel caso del tarassaco o dello
zafferano), fatti seccare in precedenza. Ottenuta una polvere sottilissima, si aggiunge un
legante (naturale o chimico) e il gioco è fatto. Si possono colorare tele, dipingere quadri e
pitturare muri, lasciando libera la nostra “naturale” fantasia creativa.
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Germinazione del seme
Il seme è una struttura tipica delle piante terrestri più evolute,
le Gimnosperme e le Angiosperme, che appunto sono anche
dette Spermatofite (= piante con semi). Questa struttura ha la
funzione di proteggere e nutrire l’embrione in attesa della sua
germinazione.
Se analizziamo un seme, dall’esterno possiamo distinguere: i
tegumenti, una serie d’involucri protettivi; l’endosperma, un
tessuto parenchimatico di riserva e l’embrione.
L’embrione a sua volta è composto da una parte centrale
detta asse embrionale, che presenta alle estremità due zone
di accrescimento: la plumula, che diventerà la parte aerea
della pianta, l’altra, invece, andrà a formare la radichetta. Nell’asse embrionale s’inseriscono i
cotiledoni, foglie profondamente modificate che spesso assolvono il compito di riserva. I
cotiledoni possono essere due nelle Dicotiledoni, uno nelle Monocotiledoni e molti nelle
Gimnosperme.
Dopo un iniziale periodo di crescita lo sviluppo dell’embrione si arresta per riprendere solo
durante la fase germinativa. La crescita dell’embrione e l’accumulo delle sostanza di riserva si
interrompono quando il seme comincia a disidratarsi, gli enzimi si inattivano, il metabolismo
rallenta e il seme entra in una fase di quiescenza. Questo permette alla giovane piantina di
germinare solo quando le condizioni ambientali all’esterno sono favorevoli alla sua
sopravvivenza.
Dopo il periodo d’inattività del seme si passa alla fase di germinazione, una serie di eventi
fisiologici che hanno inizio con l’imbibizione del seme, la ripresa dell’attività metabolica e con
la rottura dei tegumenti. Perché il seme possa germinare, all’esterno devono presentarsi
condizioni favorevoli (acqua, temperatura, luce e ossigeno). Le esigenze nei confronti di questi
requisiti ambientali cambiano da specie a specie.
Per esempio, considerando il fattore temperatura, esistono semi che germinano a
temperature poco sopra lo zero (come Tulipa sp., Fagus sylvatica o il frumento), altri a
temperature di almeno 10-15°C (come il mais) e altri ancora che hanno bisogno di
temperature più calda (come il melone).
L’acqua è il fattore scatenante per eccellenza, la
reidratazione ingrossa il seme, spacca i tegumenti e
permette la fuoriuscita della radichetta.
Nei confronti della luce possiamo distinguere semi con
fotosensibilità positiva, nella maggior parte dei casi,
semi con fotosensibilità negativa, come per il genere
Cyclamen che germina solo al buio, e altri che sono
indifferenti alla presenza o assenza di luce.
Ci sono poi dei semi che pur godendo di tutte queste
condizioni favorevoli non riescono a germinare perché
sono dormienti, presentano cioè degli ostacoli alla
germinazione. Per eliminare le “dormienze” c’è bisogno di eventi estremi come la
vernalizzazione (che può essere rappresentata da un abbassamento repentino delle
temperature), estivazione (innalzamento delle temperature esterne) o l’affumicazione (nel
caso delle pirofite, i cui semi germinano solo dopo il passaggio del fuoco).
Durante la fase di ripresa del metabolismo il seme si comporta come un organismo eterotrofo.
Infatti, per allungare la radichetta o produrre le prime foglioline l’embrione utilizza le riserve
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(zuccheri, amminoacidi, nucleotidi ecc…) che erano state immagazzinate nell’endosperma o
nei cotiledoni. Solo con la formazione delle prime foglie, e quindi con l’avvio delle fotosintesi,
inizia la fase autotrofa
Da questo momento in poi la giovane plantula potrà crescere grazie all’acqua, ai sali minerali
disciolti e alla luce solare.
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