MINI-GUIDA ALL'INTERNO DELLE CONTRADDIZIONI DEL PENSIERO UNICO Innanzitutto è necessario comprendere che il sistema capitalistico non funziona affatto come rappresentato dalla scienza economica ufficiale e come veicolato dai media. Non devono pertanto stupire le tante incongruenze che tutti rilevano ogni giorno nelle spiegazioni e nelle ricette che vengono proposte da quello che sempre più viene ornai chiamato il Pensiero Unico. E' assolutamente normale, infatti, che nel medio-lungo periodo il punto di vista dei dominanti prende il sopravvento nell'immaginario collettivo di tutto il popolo. La scienza ricoprirà quindi di "scientificità" questo punto di vista soggettivo e i media lo veicoleranno come l'unico e scientifico punto di vista pensabile, mentre anche le stesse organizzazioni di massa dei dominati finiranno per esserne egemonizzate, sposandone almeno una parte, quella compatibile con il doppio ruolo, di lotta, da una parte, e istituzionale, dall'altro, che vengono ad assumere nella società capitalistica. Scendendo dal generale al particolare, quindi, occorre anche prestare attenzione a due ulteriori fattori: 1)che il capitalismo è ormai approdato alla sua fase iperfinanziarizzata e multinazionale, il che ha comportato il prevalere di trust e Finanza sulla piccola e media impresa, all'interno del blocco sociale dominante delle società a capitalismo maturo, e, parallelamente, il riassestamento ideologico dei valori ottocenteschi, per la necessità di giustificare il guadagno senza rischio d'impresa proprio della speculazione di Borsa rispetto ai tradizionali argomenti giustificativi del profitto quale remunerazione del rischio d'impresa, propri della cultura borghese degli ultimi duecento anni; 2)che il crollo del muro di Berlino ha rafforzato tra i dominanti le posizioni di coloro che ritengono sia ormai inutilmente dispendioso mantenere il welfare-state delle socialdemocrazie "concesso" alla fine della seconda guerra mondiale sotto il timore del pericolo "rosso". Fatte queste premesse, vediamo di esaminare in estrema sintesi questo blocco assiomatico e le sue aporie. La prima incongruenza consiste nella premessa maggiore del Pensiero Unico : l’esistenza del mercato di concorrenza perfetta, anziché l’esistenza di un mercato dei beni e dei servizi dominato dai trust e di un mercato mobiliare che non solo è dominato dai grossi gruppi creditizio-finanziari, ma che, per giunta, è un mercato essenzialmente speculativo. Quando i neoliberisti tuonano contro l’intervento statale e i sindacati, responsabili a loro avviso di impedire alla “mano invisibile del mercato” di operare, nel contempo non tuonano anche contro i trust e contro la Finanza, ma si limitano a suggerire solo a mezza voce una politica ant-trust di cui non chiariscono i termini. Eppure, dal loro punto di vista, la mano invisibile può operare solo se il mercato è di concorrenza perfetta, cosa assolutamente impossibile se esistono i trust e i loro accordi di cartello. Ne è ipotizzabile un continuum tra la concorrenza perfetta e l’oligopolio, talchè esisterebbe “un tasso di oligopolio” che si possa ridurre o accrescere: o ci sono accordi di cartello, e allora c’è l’oligopolio, o non ci sono accordi di cartello, e allora c’è la concorrenza perfetta! Parlare di anti-trust, dunque, vuol dire una cosa ben precisa: eliminare gli accordi di cartello, impedire che le poche imprese che controllano la commercializzazione di quel bene piuttosto che di quel servizio si accordino tra di loro esplicitamente o tacitamente sulle quote di commercializzazione e sul prezzo all’ingrosso. Qualsiasi politica anti-trust diversa da questa è solo una presa in giro e un’idiozia scientifica. Parlare di antitrust, pertanto, senza specificarne i connotati in questi precisi termini, e, per giunta, insistere nel contempo per uno “stato leggero” e per la deregulation del mercato del lavoro, da un punto di vista politico, vuol dire accettare la realtà dell’oligopolio e bloccare le sole forze politiche e sociali che possono fare da contraltare ai trust, ovvero lo stato e le associazioni sindacali, a tutto vantaggio dei trust. In più, sempre da un punto di vista politico, vuol dire fare della demagogia, in quanto si dice una cosa assolutamente falsa circonvenendo un’opinione pubblica disinformata al fine di favorire un interesse di parte che viene falsamente presentato come interesse generale. Da un punto di vista scientifico, poi, una politica anti-trust che non elimina i trust è più che una idiozia scientifica, è disonestà scientifica! In buona sostanza, tutto l’impianto teorico del Pensiero Unico poggia su una forma di mercato che non esiste più da secoli (la concorrenza perfetta) la quale, per rivivere, necessita di interventi politici di portata colossale, mentre, oltretutto, occorrerebbe aprire un dibattito, da un lato, sulla opportunità economica e storica di eliminare davvero i trust, anziché limitarsi a controllarli dall’esterno con lo stato democratico o con altrettanto democratiche istituzioni sovranazionali, e, dall’altro, sulla fattibilità storica di una simile radicale opzione. Quand’anche, poi, si fossero davvero eliminati i trust , residuerebbe un ulteriore problema scientifico, quello della sperimentazione mai fatta della esattezza delle teorie neo-liberiste, dal momento che non si è mai potuto sperimentarle in senso “galileano” proprio in ragione del fatto che il mercato non è mai stato di concorrenza perfetta per tutto il tempo in cui queste teorie sono state elaborate! Che dire, quindi, di teorie che: 1)afferiscono a una forma di mercato (la concorrenza perfetta) sparita da secoli; 2)che non sono mai state sperimentate scientificamente; 3) che si vorrebbe applicarle ad una forma di mercato (l’oligopolio) radicalmente diversa da quella per cui sono state elaborate; 4)che in loro nome si chiede di eliminare una parte soltanto delle caratteristiche del mercato vigente (l’intervento statale e le organizzazioni sindacali) nonostante le caratteristiche residue di cui non si chiede sinceramente l’eliminazione (i trust e i loro accordi di cartello) siano quelle che da sole sono necessarie e sufficienti per caratterizzare l’una forma di mercato (l’oligopolio) in luogo dell’altra (la concorrenza perfetta)? Si deve almeno dire che è una stupidaggine scientifica di portata macroscopica! Che dire, se dal piano scientifico si passa a quello politico? Come minimo, che è demagogia di bassissima lega! Eppure… Più in dettaglio, sappiamo che il Pensiero Unico demonizza l'inflazione e propugna la deflazione, il rigore finanziario, la precarizzazione del lavoro, lo smantellamento dello stato sociale, la riduzione del prelievo fiscale, l'autonomia delle Banche centrali dai parlamenti, nonchè la deregulation, ovvero l'abolizione di qualsiasi controllo sulla circolazione dei capitali. In più auspica lo stato "leggero", la moderazione salariale, la riforma delle pensioni e la americanizzazione del sistema politico-parlamentare. Nel suo schema di pensiero, lo sviluppo deriverebbe dall'accoglimento di queste ricette, mentre ogni defezione o scollamento anche solo parziale, lo comprometterebbe. In buona sostanza, quindi, non si tratterebbe di ricette chieste nel solo interesse dei dominanti, ma nell'interesse di tutti. Questa è almeno la sua pretesa ideologica. Nella misura in cui si introietta o anche solo si accetta sufficientemente questo "nocciolo duro" epistemologico, non c'è più spazio per alcuna rivendicazione sociale da parte dei dominati e le stesse verrebbero bollate come velleitarie, corporative e contrarie all'interesse nazionale. Il bene dei dominati, infatti, deriverebbe "automaticamente" dal libero dispiegarsi degli egoismi capitalistici che, generando il progresso economico, consentirebbe anche ai dominati di appropriarsi di quote sempre maggiori dei benefici di questo stesso progresso. In questo schema, le Borse costituirebbero una sorta di termometro attendibile dello stato delle economie e della giustezza delle scelte operate e la politica verrebbe confinata nei soli ambiti residuali lasciati liberi dai precetti degli "esperti" e dei "tecnici", che altro non sono se non gli intellettuali organici al blocco sociale dominante, ovvero trust e Finanza. Non ci sarebbe più spazio, così, per "destra" e sinistra" in quanto si contenderebbero l'elettorato solo fazioni del medesimo partito degli affari, che, nel maggioritario, sono generalmente solo due. Alla democrazia politica dei parlamenti nazionali, quindi, succederebbe la "democrazia del mercato globalizzato" e si realizzerebbe quella "fine della storia" tanto vagheggiata dagli ideologi dell'americanismo. Tutta questa è semplice falsa coscienza. Scendiamo nei dettagli, quindi. 1)la demonizzazione dell'inflazione e delle indicizzazioni automatiche. Il Pensiero Unico sostiene che l'inflazione è il pericolo numero uno dell'economia, in quanto erode i redditi fissi, peggiora la competitività delle imprese nazionali e provoca "fughe" di capitali, con conseguenti disavanzo della bilancia dei pagamenti, svalutazione della moneta nazionale, aumento del saggio d'interesse, peggioramento dell'Import-Export, caduta degli Investimenti, dell'Occupazione e del Reddito. In più, sostiene che le indicizzazioni automatiche delle retribuzioni sono a loro volta "fattore di inflazione", innescando una spirale perversa prezzi-salari che amplifica il fenomeno inflattivo rendendolo incontrollabile. In realtà, invece, l'erosione dei redditi fissi innesca semplicemente una redistribuzione del Reddito. Il "segno" di questa redistribuzione è dai redditi fissi verso quelli variabili, ovvero da retribuzioni, pensioni e redditi mobiliari verso i profitti mercantili. Mentre retribuzioni e pensioni si affidano tradizionalmente alle indicizzazioni automatiche e alla lotta sindacale per recuperare il potere d'acquisto "reale", sino ad oggi non si conoscono indicizzazioni per il Risparmio. A questo punto, anziché dire che è il mondo dei detentori di ricchezza mobiliare l'unico a soffrire davvero l'inflazione, o proporre l'introduzione di indicizzazioni per il piccolo Risparmio, l'inflazione diventa un problema di tutti, lavoratori e pensionati soprattutto, e per giunta…la scala mobile diventa un "fattore d'inflazione" in quanto innesca una "perversa spirale inflazionistica". Orbene, dire che è la scala mobile a provocare l'inflazione ha la stessa dignità scientifica del sostenere che è l'apertura degli ombrelli a provocare la pioggia, a tanto basti. In secondo luogo, anziché dire che la scala mobile serve semplicemente a impedire che siano lavoratori e pensionati a pagare il prezzo dell'inflazione, e, quindi, a innescare una redistribuzione regressiva del reddito, ovvero dai Redditi più bassi verso quelli più alti, con la conseguenza di fare aumentare i Risparmi percentuali e diminuire i Consumi percentuali (visto che i Redditi bassi consumano percentuali più alte del proprio Reddito rispetto a quelli alti) innescando quindi un movimento moltiplicatorio ed acceleratorio impansivo di Investimenti, Occupazione e Reddito, si nega l'effetto recessivo del calo del potere d'acquisto delle retribuzioni e delle pensioni nella misura in cui non vengono sufficientemente protette dall'inflazione e si attribuisce paradossalmente proprio alla scala mobile la responsabilità dell'inflazione! Come vedremo meglio appresso, negare gli effetti recessivi dell'erosione di retribuzioni, pensioni e piccoli risparmi non è un semplice "errore". Questa bugia è infatti molto importante all'interno del modello interpretativo del Pensiero Unico, che ha il problema di far credere che sia il Risparmio il "motore" dell'economia capitalistica e non il Consumo. Se si diffondesse l'idea che la redistribuzione perequata del reddito promuove Investimenti, Occupazione e Reddito, mentre quella sperequata ha effetti recessivi, verrebbe meno uno dei più grossi ostacoli ideologici alle rivendicazioni dei dominati e, contemporaneamente, verrebbe meno una delle più importanti difese ideologiche al mondo della ricchezza mobiliare nel suo complesso. Nel contempo si avrebbero consistenti effetti delegittimanti del potere dei dominanti. Ecco, quindi, perché è così importante per il Pensiero Unico ribaltare i termini della questione e negare alla radice ogni positività alle indicizzazioni che difendono il mondo dei dominati. Una volta negata qualsiasi positività alle indicizzazioni, il Pensiero Unico cerca quindi di attribuire "scientificamente" la massima nocività possibile all'inflazione in sé, punto di partenza basilare per potere poi sostenere la necessità di dare la priorità su tutto alla lotta all'inflazione. Come vedremo tra poco, infatti, saranno proprio i mezzi con cui si combatte l'inflazione quelli che consentiranno surrettiziamente ai dominanti di fare prevalere i propri interessi su quelli dei dominati. Procediamo per gradi. 2)inflazione e competitività del made in Italy. Fughe di capitali, svalutazione e import-export. Per il Pensiero Unico, l'inflazione peggiorerebbe la competitività del made in Italy, e, quindi, l'Import-Export. Conseguentemente, diminuirebbero anche Investimenti, Occupazione e Reddito. Innanzitutto va considerato che l'argomento ha una sua persuasività intuitiva che ne favorisce l'introiezione se viene presentato da solo, ovvero non in relazione con la svalutazione della moneta nazionale di cui pur si ammette che sia una conseguenza necessaria del processo inflattivo. Dal punto di vista delle imprese esportatrici, però, se la moneta nazionale si svaluta in misura uguale al differenziale di inflazione, nulla cambia in termini di competitività. Sappiamo del resto, come ammette lo stesso Pensiero Unico pur se perché mira a ben altre conclusioni, che in costanza di inflazione e in assenza di controlli valutari anti-speculazione (controlli che sappiamo bene che il Pensiero Unico, fanatico della deregulation, osteggia tenacemente) la moneta nazionale tende a svalutarsi. Orbene, sappiamo anche che in queste condizioni la moneta nazionale tende necessariamente a svalutarsi ancor di più del differenziale di inflazione, per cui la coppia inflazione+svalutazione…aumenta la competitività del made in Italy! Questa è però una conclusione che non piace al Pensiero Unico che vuole demonizzare l'inflazione e convincere in tutti i modi che l'inflazione è negativa, per cui mette l'accento solo sulla prima parte del processo, ovvero sulla perdita diretta di competitività del made in Italy quando c'è inflazione. Della svalutazione della moneta nazionale che l'inflazione pur provoca non ne parla, invece, in rapporto al differenziale di inflazione, ma come conseguenza separata e indipendente, ovvero come fatto in sè e senza mai metterla in rapporto con la competitività del made in Italy. Una volta impedita la concettualizzazione della coppia inflazione+svalutazione, il Pensiero Unico mette l'accento sul rincaro delle importazioni che la svalutazione provoca, cercando anche di equivocare tra importazioni "necessarie" e importazioni "non necessarie", e, soprattutto, drammatizza gli effetti della svalutazione sotto il doppio profilo della perdita di prestigio connessa alla svalutazione della moneta nazionale e del rincaro dei costi per il turismo all'estero. In più paventa il pericolo di una polverizzazione della moneta nazionale sotto i colpi della speculazione valutaria internazionale e a chi risponde che per controllare l'intero processo basterebbe semplicemente introdurre dei controlli valutari anti-speculazione e svalutare la moneta nazionale in misura esattamente uguale al differenziale di inflazione riducendo il problema a semplice problema "mensurale", il Pensiero Unico replica che la deregulation è ormai un dato irreversibile nel mondo globalizzato, e che pertanto i controlli valutari sono "fuori dal dibattito"! Questo ultimo argomento merita particolare attenzione perché è un concentrato di bugie che ha una valenza quasi paradigmatica e disvela in modo caricaturale quanto il Pensiero Unico sia solo e soltanto "falsa coscienza" dei dominanti. Innanzitutto "globalizzazione" non vuol dire libertà totale di circolazione anche per i capitali speculativi, come non significa libertà assoluta di circolazione per la droga, le armi nucleari, la prostituzione inflantile, gli organi espiantati con la violenza, gli schiavi, ecc. Globalizzazione infatti vuol dire libertà di circolazione per gli uomini , le merci e i capitali produttivi. In secondo luogo, "libertà" di circolazione non vuol dire negazione di ogni controllo nazionale: nel caso della libera circolazione degli uomini, ad esempio, un conto è il turismo e un altro l'emigrazione senza ritorno, fenomeno sul quale non è in linea di principio possibile negare ai parlamenti nazionali il potere di legiferare. Meno che mai è sostenibile che ormai un controllo sull'immigrazione sarebbe "fuori del dibattito", argomento assolutamente apodittico e "magico" e di nessuna dignità scientifica. Certamente mai i dominati furono "razzisti" verso i lavoratori immigrati. Ai dominanti, per capirci, facciamo schifo tutti in modo uguale, senza distinzione di razza, religione, sesso, provenienza etnica, ecc. Più numerosa è la forza lavoro, infatti, è più è disperata e debole, e, quindi, meno cara! Mai i dominanti ebbero in odio i "crumiri", anzi! Furono sempre i lavoratori che dovettero affrontare i crumiri per impedire al loro fronte di lotta di sfaldarsi come neve al sole. Un conto è quindi lottare per un commercio equo-solidale, per lo sviluppo economico, sociale e morale del terzo mondo, contro le multinazionali, il WTO, l'FMI e contro il necolonialismo come contro il colonialismo, e un altro e fare il gioco dei dominanti che con ipocrisia incredibile ci invitano alla "solidarietà" verso gli immigrati il cui numero, per loro, più aumenta e prima si potranno sbaragliare le organizzazioni id massa dei dominati e il lor oodiato stato sociale. Nel caso della circolazione delle merci, poi, occorre almeno fare mente locale alla questione dei costi sociali della produzione, che, come si sa, sono assai diversi da stato a stato: se un pallone da calcio, infatti, viene costruito in Pakistan sul supersfruttamento minorile e sull'assenza totale dei costi per un inesistente Stato Sociale, si potrebbe forse negare ai lavoratori di un paese con welfare state di chiedere al proprio parlamento e quindi ottenere l'imposizione di un dazio "sociale" che penalizzi questo supersfruttamento minorile e tolga incentivo alle imprese nazionali per una delocalizzazione in Pakistan? Anche questo sarebbe "fuori del dibattito"? E sarebbe pure "fuori del dibattito" difendere il sistema nazionale di incentivi all'agricoltura per mantenere la propria indipendenza agro-alimentare, come vorrebbe invece il WTO nell'interesse, come vedremo appresso, delle multinazionali statunitensi e dei nemici interni del welfare state? Circa la libertà di circolazione dei capitali, poi, sarebbe davvero "fuori del dibattito" l'imposizione di dazi anti-delocalizzazione? Nessuno qui nega che sia interesse dei dominanti produrre nel terzo mondo anziché in un paese con welfare state. Quel che qui si nega è che questo interesse debba necessariamente prevalere su quello di tutto il resto della popolazione e dire ancora una volta che questo è "fuori del dibattito" vuol dire solo dare per dimostrato ciò che non lo è affatto, al solo scopo di indurre la suggestione paraipnotica che proprio perché i media dicono che una cosa è ormai scontata e irreversibile, sia davvero … scontata e irreversibile! Il fatto è che trust e Finanza hanno un interesse preciso a depotenziare il più possibile gli stati nazionali, e ancor più i loro parlamenti. Il loro attuale obiettivo, infatti, come abbiamo già detto, è smantellare nel più breve tempo possibile il welfare state e la democrazia, riducendo i dominati di tutto il mondo ad una massa di disperati pronti a vendersi al minore prezzo possibile. E non è solo questione di profitti. La posta in palio, infatti, è il potere! Andiamo, quindi alla seconda questione, quella della deregulation. Dicevamo prima che il Pensiero Unico sostiene che la deregulation sarebbe anch'essa un dato ormai acquisito e che i controlli anti-speculazione così come gli strumenti anti-speculazione quali la Tobin Tax sarebbero anch'essi "fuori del dibattito". L'argomento, come abbiamo visto, è strumentale alla Finanza ed ai detentori di capitali mobili in genere. Serve a impedire l'introduzione di limiti alla libertà criminale di speculare in lungo e in largo per il pianeta mettendo in ginocchio stati e governi e ingurgitare enormi risorse grazie alla sola forza del denaro in quanto tale, sottraendolo non solo a chi perde in Borsa, che al limite potrebbe anche rivendicare il diritto di perdere come contropartita "leale" di quello di vincere, ma a tutti, inclusi i più diseredati del terzo mondo. La questione si pone in questi termini: -a)è lecito in sé il guadagno speculativo, o la legge può e deve combatterlo allo stesso modo di come combatte il gioco e le scommesse clandestine? -b)vale la pena economicamente e socialmente consentirlo ugualmente, indipendentemente dalla sua liceità, in quanto i suoi pro sono superiori ai suoi contro, o non vale la pena proprio perché il saldo tra pro e contro è pesantissimamente negativo? Sulla prima questione chi scrive non ha dubbi, ma non ritiene neanche che valga la pena spendere qui una sola parola di più sull'argomento. Sulla seconda questione, invece, fare chiarezza è d'obbligo e le conseguenze saranno così pregnanti da rendere quasi banale affrontare la prima questione. Orbene, in assenza di controlli valutari anti-speculazione (la così detta "deregulation") accade che i grossi gruppi finanziari possono scommettere al rialzo o al ribasso contro qualsiasi moneta a piacimento e per qualsiasi ragione così come per perseguire qualsiasi loro obiettivo. In più, sappiamo che questi gruppi posseggono più riserve valutarie di tutti gli stati nazionali messi assieme e i loro mezzi mobiliari sono in grado di materializzare una massa virtuale speculativa che ne è addirittura un multiplo.Parliamo di uno o due milioni di miliardi di dollari che vengono improvvisamente scommessi al ribasso su questa come quella Borsa, contro questa come contro quell'altra valuta, in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione. Poiché gli stati nazionali, in assenza di controlli, non hanno sufficienti capitali per scommettere in senso contrario, qualsiasi loro tentativo di opporsi alla speculazione finanziaria internazionale comporterebbe solo la polverizzazione delle loro riserve in poche battute. L'unica "contromossa" possibile, allora, è agire d'anticipo e rendere non conveniente una speculazione ribassista, il che, però, è possibile solo rendendo il proprio mercato mobiliare e la propria valuta appetibili ai detentori di capitali mobili. Più precisamente, ciò significa adottare quelle scelte politiche che sono così gradite a costoro da attrarre capitali e non mai scoraggiarli. Cos'è però gradito ai detentori di capitali mobili? Ai ricchi piace un'alta remunerazione del denaro, una bassa inflazione, un regime fiscale di favore per chi ha grosse fortune, una politica repressiva che li rassicuri contro ogni possibile pretesa dei dominati. Per contenere l'inflazione, poi, occorre impiegare strumenti deflattivi, ovvero, come si dice in gergo, "raffreddare l'economia". Occorre, cioè, un rigore finanziario attuato con tagli della spesa pubblica, quella sociale in testa a tutte, e non mai con una imposizione fiscale progressiva o, peggio, con una imposizione patrimoniale, che, per essere sgradita ai ricchi, allontanerebbe quei capitali che si vorrebbe invece sedurre. Occorrerà anche praticare strette creditizie, che sortiranno necessariamente l'effetto di rincarare il denaro, ovvero il saggio di interesse ("i"). Remunerare maggiormente il denaro, però, significa remunerare maggiormente chi lo detiene, ovvero i ricchi, mentre chi deve pagarlo di più è chi il denaro non ce l’ha e ne ha bisogno, ovvero chi lo chiede per Investimenti e chi lo chiede per Consumi. Ciò provoca necessariamente effetti recessivi, riducendo pure l’Occupazione, mentre ulteriori effetti recessivi vengono altresì indotti dal trasferimento regressivo del Reddito che è implicito nella maggiore remunerazione del denaro. Deflazione, quindi, significa necessariamente anche recessione. Non solo per compiacere i ricchi si dovrà “raffreddare” l’economia, ma non si potrà mai varare nessuna politica espansiva, poiché quel paese che “riscalderà” la propria economia vedrà paradossalmente defluire i propri capitali verso quelli che la raffredderanno. Nello stesso momento la speculazione mobiliare aggredirà la sua valuta scommettendo incalcolabili fortune al ribasso e la sua moneta ne verrà disintegrata. Come uscirne? E’ semplice: basterà reintrodurre quei controlli valutari antispeculazione che erano in vigore sino a una decina di anni fa e tassare le transazioni valutarie prive di contropartita “reale” e ci si sottrarrà a quello scacco sistematico cui la speculazione mobiliare altrimenti assoggetterà ogni governo. Poiché però alla Finanza internazionale interessano la deregulation e la deflazione, mentre se ne infischia della recessione, il suo punto di vista prevale su tutti gli altri ed è il Pensiero Unico che si prende carico del giustificare “scientificamente” questo perverso e antinazionale punto di vista. Non potrebbe prevalere, però, se non si avesse anche l’accordo dei trust intorno a una politica deflattivo-recessiva. Come mai questo accade, visto che i trust ricavano profitto commerciale dalla vendita di beni e servizi, e, quindi, dovrebbero in teoria gradire una espansione inflattiva in luogo della deflazione recessiva? La spiegazione di questo arcano è in parte economica e in parte politica: da un lato, infatti, occorre considerare che i trust sono fortemente finanziarizzati e, dunque, in quanto capitalisti finanziari oltre che capitalisti industriali, hanno affondato nel proprio stesso seno la contraddizione tra espansione inflativa e deflazione recessiva. In più, poiché la deflazione recessiva sega le gambe alla piccola e media impresa , per questa via si rende più agevole il processo di concentrazione industriale, consentendo al grosso capitale di rastrellare a prezzi da fallimento i complessi aziendali più piccoli loro graditi, lasciando gli altri alla deriva fallimentare. Dall’altro lato, però, la recessione, comportando fallimenti e licenziamenti, costringe i lavoratori organizzati sulla difensiva, e la deflazione consente lo smantellamento del welfare state. L’una e l’altra, insieme, spostano a destra gli equilibri politici e, sotto questo profilo, comportano vantaggi assai maggiori di quelli derivanti dal puro e semplice aumento di profitti ormai di per sé giganteschi. La difesa del potere, in sostanza, è assai più importante dell’aumento indefinito di una ricchezza che diventa sempre meno difendibile quanto più si va verso la piena occupazione. Compreso quanto detto fino a questo punto, diviene più facile affrontare criticamente i restanti assiomi del Pensiero Unico. Lo schema, infatti, resta il medesimo, in quanto si tratta di bugie funzionali alla sezione apicale del blocco sociale dominante, ovvero trust e Finanza. 3)La precarizzazione del lavoro, la moderazione salariale e la riforma delle pensioni. La moderazione salariale e la precarizzazione del lavoro, per il Pensiero Unico, renderebbero più competitivo il made in Italy e, comunque,ridurrebbero i costi di produzione, favorendo con ciò Investimenti e Occupazione. Lo schema è sempre lo stesso: così come già sostenuto a proposito del costo del denaro, la cui riduzione per il pensiero Unico favorirebbe gli Investimenti, è sempre riducendo i costi di produzione che si provocherebbe un aumento di Investimenti e Occupazione. Allo stesso modo, la riforma delle pensioni consentirebbe una riduzione del prelievo parafiscale e previdenziale, promovendo ancora una volta Investimenti e Occupazione sempre con il medesimo strumento: la riduzione dei costi di produzione. E’, invece, rispetto alla promozione di Investimenti e Occupazione facendo leva sui Consumi, meno che mai se pubblici, che il Pensiero Unico manifesta forte opposizione. La ragione l’abbiamo già detta: il Pensiero Unico deve convincere di un teorema assurdo, quello per cui sarebbe il Risparmio e non il Consumo il “motore” dell’economia capitalistica. Questa è per lui una vera necessità politica, in quanto la posta in palio è il venire meno delle difese ideologiche contro le rivendicazioni dei dominati e contro il welfare state. Se vuole difendere i detentori di ricchezza mobiliare, infatti, deve difendere il denaro in quanto tale e per difendere il denaro deve equivocare tra ricchezza parassitaria e Risparmio, e, quindi, convincere che è il Risparmio alla base di tutto. Di qui la ipervalutazione del Risparmio e la sottovalutazione, se non addirittura la demonizzazione, del Consumo. Ecco perché per il Pensiero Unico il Consumo è fattore di inflazione. Ecco perché propone l’impossibile trasformazione diretta dei Risparmi in Investimenti. Lo fa perché non vuole che si comprenda il legame diretto che esiste tra Domanda per Consumi e Investimenti e vuole nascondere il ruolo giocato dal profitto sotto il profilo che, com’è ovvio, è possibile promuovere gli Investimenti e l’Occupazione solo rendendolo profittevole, ovvero promovendo la Domanda per Consumi. E’ assurdo, all’incontrario, sostenere che in presenza di stagnazione o recessione possano aumentare Investimenti e Occupazione solo perché è meno costoso investire e assumere. Quando non è profittevole aumentare la Offerta, infatti, Investimenti e Occupazione non possono che calare anche se il loro costo è diminuito, in quanto la maggiore Offerta ottenibile con ulteriori Investimenti e nuova Occupazione non sarebbe profittevolmente collocabile su un mercato che stagna o si restringe. Mettere l’accento sui costi di produzione e misconoscere il ruolo della Domanda, nonché sostenere, come in effetti sostiene il Pensiero Unico, che gli aumenti della Domanda provocano solo inflazione e peggioramento dell’import-export è solo falsa coscienza dei dominanti priva della minima base scientifica, fondamentale, però, all’interno del blocco assiomatico dei dominanti. 4)ancora sull’inflazione. Vale la pena adesso fare qualche ulteriore chiarimento in ordine all’inflazione. Abbiamo detto più sopra che l’inflazione è un problema solo mensurale, ovvero solo nominalistico, una volta impedito con opportune indicizzazioni una redistribuzione regressiva del Reddito, e, quindi, una volta che si impediscono gli effetti recessivi della redistribuzione causata dall’inflazione. Nel dirlo, però, non abbiamo bene lasciato intendere che sono proprio questi effetti regressivi, da una parte, e quelli recessivi, dall’altra, il possibile vero obiettivo che i dominanti si vogliono prefiggere con l’inflazione. Non lo abbiamo detto perché non abbiamo ancora spiegato come avviene l’inflazione e soprattutto chi la produce. La spiegazione però è ormai intuitiva: l’inflazione la provocano i trust ritoccando sistematicamente al rialzo i listini all’ingrosso , costringendo con ciò la catena distributiva a coerentemente ritoccare anche quelli al dettaglio. Una volta che le indicizzazioni fanno crescere anche il prezzo del lavoro, ovvero i salari, e che aumentano di conserva anche le utenze, i noli, ecc, basta nascondere al pubblico la sua origine e l’inflazione viene presentata come una sorta di Minerva che esce d’incanto dalla testa di Giove e si possono ribaltare i termini della questione, scaricando sulle indicizzazioni ogni responsabilità, o, almeno, presentare l’inflazione come un fenomeno spontaneo e non diretto da precise volontà né tanto meno riconducibile a precise responsabilità dei trust. Eppure basta pensare che in assenza di inflazione importata dall’esterno del sistema (si pensi al rincaro di materie prime importate, quali ad esempio il petrolio) non è possibile nessuna inflazione in costanza di stagnazione e di recessione, e balzerà all’occhio che solo una inflazione “volontaria” è in questi casi possibile! Delle scelte politiche recessive dei trust, abbiamo già parlato. Qui basterà aggiungere che l’inflazione è l’alibi fondamentale per potere invocare la deflazione, che, come abbiamo visto, è necessariamente produttiva di recessione. Senza inflazione, quindi, è più difficile fare accettare la deflazione sistematica. In costanza di inflazione, invece, tutto ciò e molto più facile. Ma non è tutto: ritoccando i listini all’ingrosso più degli aumenti retributivi, si consegue anche un grosso obiettivo strategico, quello della riduzione sistematica e nascosta della quota di prodotto sociale che va ai dominati. Mentre i lavoratori, i pensionati e gli utenti dei servizi sociali devono lottare in piazza e nei luoghi di lavoro per ottenere aumenti, i trust non hanno altro da fare che provocare inflazione e ottengono l’effetto opposto, scaricandone grazie ai media la responsabilità sulle lotte sociali. Ecco perché esiste l’altrimenti impossibile fenomeno della stag-flation, ovvero della stagnazione/recessione unita a più o meno consistente aumento del livello generale dei prezzi. Ecco perché si dovrebbe parlare di inflazione da oligopolio, anziché di inflazione pura e semplice o di inflazione da costi, piuttosto che da Domanda e quando più oltre esamineremo il meccanismo di fissazione dei prezzi nel mercato oligopolista, la questione sarà ancora più chiara. 5)il rigore finanziario e lo smantellamento dello stato sociale. Una volta chiarito che con la deregulation non si possono tassare i redditi elevati e tanto meno i patrimoni, perché non sarebbe “gradito” alle Borse, che appunto registrano “in tempo reale” gli umori dei detentori di capitali mobili e dei ricchi in genere, diventa anche chiaro che non si potrà neanche risanare il bilancio pubblico tassando in modi sgraditi alla Borsa. La conseguenza ovvia è che i dominanti, una volta fatto passare il principio che non si possono tassare i ricchi, possono impunemente tuonare contro il deficit di bilancio e invocarne il rigore, certi che solo tassando i redditi bassi e tagliando la spesa pubblica si potrà attuare questo rigore. Ecco anche perché chiederanno con tanta insistenza il rigore: perché ormai sono certi che non saranno loro a pagarlo! Poiché poi ogni taglio della spesa pubblica e ogni tassazione sui redditi bassi provocherà certamente recessione, ecco spiegato, ancora una volta, il vero movente dell’azione politica dei dominanti e il vero significato di classe del Pensiero Unico. Una volta passato il principio dei tagli della spesa pubblica, infine, è facile puntare l’attenzione sulla spesa sociale, sia perché è l’unica spesa il cui taglio è gradito alla Borsa, sia perché è dialetticamente agevole sostenere che in costanza di tagli necessari occorre cominciare a tagliare da quelle spese che non ci si può permettere di sostenere in momenti di congiuntura. Col paradosso che di stato sociale ce ne si potrebbe permettere tanto meno quanto più ce ne fosse bisogno, ma, tant’è, siamo ormai abituati al senso unico dei paradossi del Pensiero Unico! 6)la riduzione del prelievo fiscale e lo stato “leggero”. Sappiamo anche che il neoliberismo propugna la riduzione delle tasse e lo stato “leggero”. Siamo adesso in grado di comprenderne a fondo il senso: in un contesto di deregulation e deflazione sistematiche, i tagli della spesa pubblica sono nel mirino del Pensiero Unico, e questo l’abbiamo già detto. Lo stato “leggero”, allora, è semplicemente un ulteriore involucro ideologico che riveste la lotta di classe dei dominanti per lo smantellamento del welfare state. “leggero”, infatti, è sinonimo di spesa pubblica ridotta, cui è coerente il taglio delle spese sociali. Anche l’obiettivo del taglio delle tasse, in questo senso, è coerente anch’esso, poiché se si riducono le tasse, si dovranno di conserva ridurre anche le spese! Poiché, poi, nella deregulation, saranno le tasse sui ricchi le prime ad essere tagliate, con questo argomento il Pensiero Unico vuole ribadire il concetto che tassando di meno i ricchi aumenteranno i “risparmi”, e, quindi, calerà il costo del denaro e sarà meno costoso investire, assumere, ecc. Falsa coscienza, dunque, e di bassa lega pure! Torniamo quindi alla questione del meccanismo di fissazione dei prezzi nel mercato oligopolista, poiché le acquisizioni che ne deriveranno consentiranno di passare alle ultime due questioni ancora sospese: quella del funzionamento effettivo del sistema capitalistico e di come sia possibile l’espansione, da una parte, e, dall’altra, di cosa sia e come funziona il sistema mobiliare, quello della così detta ricchezza “virtuale”. 7)il meccanismo di fissazione dei prezzi da parte dei trust. Nell’oligopolio le imprese che partecipano ogni cartello fissano i prezzi di concerto dopo attente indagini di marketing, individuando la coppia prezzo-quantità che consente loro mediamente di raggiungere il massimo profitto percentuale rispetto al capitale investito. A quel punto, il marketing interno a ciascuna di loro dovrà solo individuare quale sarà la quota di mercato che riusciranno a occupare. Se, ad esempio, il cartello dell’automobile individua questa coppia per le automobili del segmento B in 1.000.000 di pezzi per il mercato italiano al prezzo di 10.000,00 euro l’uno, il prezzo comune sarà 10.000,00 euro e la Fiat, come la Renault piuttosto che la Ford, avranno il problema di indovinare quante di quel milione di automobili del segmento B che saranno vendute sul mercato italiano saranno delle Fiat, piuttosto che delle Renault o delle Ford. Supponiamo che il marketing interno alla Fiat ritenga che le fiat che saranno vendute costituiranno il 35% del totale. A quel punto la Fiat saprà che dovrà costruire 350.000 Fiat Punto, non una di più né una di meno. Se durante l’anno i concessionari chiederanno un numero di Punto maggiore o minore della quota mensile così prevista, se le stesse richieste perverranno anche alla Renault e alla Ford, vorrà dire che è stato il marketing di cartello a sbagliare i calcoli, e tutte le imprese aggiusteranno insieme il prezzo rifacendo meglio i calcoli. Altrimenti vorrà dire che è stato il solo marketing interno Fiat a sbagliare la percentuale di Fiat che sarebbero state vendute, e, allora, non le resterà che mantenere il prezzo di cartello e variare le sole quantità, aumentandole, se la sua percentuale vera era in realtà maggiore e calandole, se minore. E’ la medesima logica per cui si distruggono le arance piuttosto che i pomodori: se la coppia quantità-prezzo ottimale, infatti, individua una quantità inferiore a quella che è stata la produzione agricola di quell’anno, si distruggerà la differenza, mentre nel caso opposto non potrà farsi nulla, se non rassegnarsi a vendere ciò che si è prodotto a un prezzo che, evidentemente, sarà di necessità più alto di quello ottimale, rinunciando al massimo profitto teorico. La differenza sta nel fatto che le auto non crescono sugli alberi, ma le costruiscono i trust, che, pertanto, non hanno alcun bisogno di distruggere un “raccolto in eccesso”, e, all’incontrario, possono aumentare le quantità prodotte, se la coppia quantità-prezzo ottimale individua una quantità maggiore. Stando così le cose, ogni volta che aumenta la Domanda, significherà che la curva di Domanda individuerà per ogni quantità un prezzo maggiore di prima. Ciò equivale a dire che rispetto a prima il mercato è disposto a pagare un prezzo maggiore. Il marketing di cartello, allora, rifarà i calcoli tenendo conto di questo mutamento, individuando una coppia ottimale quantità-prezzo necessariamente più alta, sia per le quantità, che per il prezzo. Ciò significa che nel mercato dominato dai trust mai un aumento di Domanda comporterà un corrispondente aumento dell’Offerta, ma che necessariamente parte della tensione esercitata dai consumatori verrà trasferita dai trust sui prezzi, provocando…inflazione. Come chiamarla questa inflazione se non “inflazione da oligopolio”? Ecco ancora una volta dimostrato perché e come in presenza di trust non può esserci mai espansione senza inflazione, così come è dimostrato perché per fare diminuire il livello generale dei prezzi (deflazione) occorre necessariamente fare contrarre in parte anche la produzione, ovvero provocare recessione. Un rimedio in realtà ci sarebbe, ma anch’esso, tanto per cambiare, è secondo il Pensiero Unico “fuori del dibattito”: basta che lo stato imponga il calmiere dei prezzi o che intervenga con proprie imprese economiche vendendo a prezzi più bassi rispetto a quelli di cartello. Così facendo costringerebbe i trust ad abbassare di conserva anche i loro prezzi ed ecco perché il Pensiero Unico profonde un disperato sforzo per screditare l’efficienza delle imprese pubbliche e propagandare l’esigenza dello stato “leggero”. Ancora una volta falsa coscienza, e di bassa lega anche questa volta! 8) La questione della moneta e del “virtuale”. Questo è il regno del Capitale finanziario e dei ricchi in genere. Il regno dunque del massimo inganno possibile, quello più disperato e ostinato. Procediamo per gradi. Come prima cosa va saputo ciò che tutti credono di sapere ma di cui raramente comprendono il significato profondo, ovvero che la moneta ha valore esclusivamente fiduciario. Sin dal medio evo di questa fiducia hanno imparato a farsi bellamente le beffe i banchieri. Costoro, avendo notato che in genere i depositanti preferivano effettuare i pagamenti trasferendo le ricevute di deposito anziché l’oro che esse rappresentavano, fecero un semplice calcolo risolvendo una semplicissima equazione di primo grado a una incognita: se in genere restano in giacenza i 9/10 dei depositi, qual è quell’ammontare i cui 9/10 danno il totale dei depositi? La risposta è semplice: un multiplo 10 volte maggiore. La conseguenza fu che i banchieri poterono cominciare a prestare a interesse un equivalente in oro 9 volte superiore ai loro depositi consegnando ai mutuatari altrettante ricevute di deposito “false”, poiché questi prestiti, sommati ai depositi in oro davano un ammontare il cui 10% era pari…ai depositi effettivi! Essi avevano inventato quello che è passato alla storia con il nome ormai arcifamoso di “moltiplicatore dei depositi”, dimostrando a chi lo voleva capire quale uso della “fiducia” si possa fare. La cosa tragicomica di queste ricevute false di deposito, su cui vorrei che si incentrasse l’attenzione, è che a ben vedere esse erano insieme …false e vere! False, perché non corrispondeva loro un bel nulla. Vere, perché la fiducia verso i banchieri le faceva accettare allo stesso modo di quelle “vere”. Oggi, che l’oro non viene più da oltre 30 anni posto in nessun modo alla base della moneta, il sistema bancario nel suo complesso è riuscito a elevare scientificamente a dismisura il valore del moltiplicatore dei depositi. Non esistono dati verificabili su quello che è oggi il suo valore, ma più autori parlano ormai di un numero che sorpassa 1000/1! Cos’è allora la moneta bancaria? Meritano le banche la fiducia che tanto propagandano di meritare? Perché gli stati, che tanto hanno fatto negli ultimi 500 anni per tenere saldo nelle proprie mani il potere di battere moneta, hanno consentito che esistono banche private ed hanno loro lasciato il potere di battere una moneta bancaria 1000 volte maggiore della loro? E’ davvero azzardato sostenere che l’hanno fatto perché non è per niente vero che “lo Stato siamo noi”, in quanto in realtà “lo Stato sono loro”? Se possibile, le cose stanno ancora peggio con riferimento alle altre forme di valori mobiliari, quali i titoli compravenduti in Borsa. Intanto, accanto all’arcifamoso moltiplicatore dei depositi esiste un assolutamente ignoto “moltiplicatore dei titoli” che afferisce la quantità di titoli depositata dai privati presso le varie istituzioni finanziarie e che vengono da queste utilizzate per operazioni di Borsa anche spregiudicatissime alla totale insaputa dei depositanti, sfruttando il medesimo meccanismo che abbiamo sopra illustrato a proposito dei banchieri medioevali. In secondo luogo, esistono una varietà di così detti “prodotti derivati” quali le opzioni, le opzioni sulle opzioni ed altre ancora che elevano enormemente l’ammontare complessivo di tutta la ricchezza mobiliare in circolazione sul pianeta. Circa 5 anni fa, alcuni autori hanno calcolato che il rapporto tra questa ricchezza mobiliare e tutti i beni e servizi acquistabili sul pianeta era ormai giunta a…53/1! Altri autori calcolano oggi che per ogni dollaro che passa di mano ogni giorno per acquisto di beni o servizi, 100 ne passano di mano “contro carta”, o, meglio ancora, si dovrebbe dire “contro display”, in quanto neanche la carta passa più di mano e sono solo numeri a fosfori verdi che mutano nei display dei computers delle varie istituzioni finanziarie l’unica cosa che accade, mentre poi solo periodicamente le istituzioni compongono tra di loro i reciproci rapporti di dare-avere. Cos’è allora tutto questo “virtuale”? Esiste o non esiste? Cos’è qualcosa che esiste solo se ci si crede, e, soprattutto, se la si usa solo in parte infinitesima, mentre, se la si usa già solo in piccole quantità si autodisintegra in un’inflazione che spazza via tutte insieme le istituzioni finanziarie di tutto il pianeta? Cosa vuol dire che la Borsa ha bruciato due anni fa l’equivalente “virtuale” del PIL di Italia, Francia e Germania messi assieme, se poi non è successo quasi nulla? Il fatto è che esistono a tutti gli effetti solo i valori mobiliari che sono detenuti da chi li tesaurizza davvero come “Risparmio”, e, per giunta, come Risparmio alternativo al Consumo e non Risparmio così grande da non influenzare affatto il Consumo neanche se per avventura si riduce a un decimo di sé stesso. Tutto il resto non esiste davvero, ma, grazie al suo valore fiduciario, consente ai depositari di tanta “fiducia” di prelevare dal resto della collettività cospicue “tangenti” neo-feudali, senza contribuire in nessun modo alla produzione di ricchezza. Perché "neo-feudali"? Perché un prelievo è feudale se è più o meno spontaneamente ottenuto da una classe che non contribuisce affatto alla produzione, ma è creduta "fideisticamente" dalle altre classi la depositaria delle precondizioni per la perpetuazione del sistema ed è in questo nome che ottiene il suo prelievo. 9)come funziona in realtà il capitalismo e come si può promuovere lo sviluppo. Abbiamo più sopra sottolineato che nel capitalismo il motore dell'economia non è il Risparmio, bensì il Consumo. Ciò accade perché nel capitalismo, come in ogni sistema mercantile, è la ricerca del Profitto che spinge i produttori a Investire e creare Occupazione, per cui solo una crescita degli sbocchi profittevoli di mercato può promuovere Investimenti e Occupazione. Ecco perché è la Domanda per Consumi al centro di tutto. Ingenuamente, invece, verrebbe da pensare che gli Investimenti siano alternativi ai Consumi e che li si possa promuovere appunto stornando risorse direttamente dai Consumi verso gli Investimenti. In effetti, nei sistemi pianificati accade proprio così e, oltretutto, questa sarebbe certamente un'idea ragionevole, intuitiva e razionale. E' il capitalismo, però, che, seppure è razionale, non è affatto "ragionevole" né "intuitivo". Il Pensiero Unico ne approfitta e cerca in tutti i modi di porre l'accento sui costi di produzione e sulle condizioni ottimali per la produzione, nascondendo il più possibile il ruolo del Profitto e della Domanda, lasciando per scontato che una produzione ci sia comunque, anche se non si sa bene perché. Dando per scontata la produzione capitalistica e il suo "perché", il Pensiero Unico pone quindi l'accento su ciò che la agevola, la favorisce in parte, onde suggerire che è solo agendo su ciò che la agevola che sia possibile intervenire. Messa così la questione, riducendo i costi di produzione si "agevola" certamente un pochino la produzione. Anzi, se immaginiamo di produrre per l'esterno, ovvero per le Esportazioni, una riduzione di costi significa maggiore competitività, e quindi, aumento delle esportazioni. Questo modello ha un nome: "bassi salari+esportazioni". In questo modello, però, la produzione di un'area capitalistica non è pensata per il Consumo della stessa area, ma per il consumo di aree ad essa "esterne". Basterà allora immaginare un pianeta tutto capitalistico, e si comprenderà tutta la drammaticità dell'equivoco. A quel punto, infatti, l'unica possibilità sarebbe uno sviluppo a scapito dei paesi "fratelli", aumentando le nostre Esportazioni negli altri paesi, ma, contemporaneamente esportando in questi paesi anche fallimenti e disoccupazione, nel che è l'essenza nel nazionalismo militarista e imperialista che fu alla base del voto favorevole ai crediti di guerra espresso dai lavoratori francesi e tedeschi nella prima guerra mondiale. Altrimenti, se immaginiamo un mondo tutto capitalistico e unificato anche sotto il medesimo governo e la medesima moneta, un mondo che ormai deve sostanzialmente "vendere a sé stesso", dobbiamo concludere che a quel punto il meccanismo si inceppa! Il capitalismo, infatti, per potersi riprodurre alla fine di ogni ciclo, dovrebbe a quel punto riuscire a trasformare in Consumo … tutto il Risparmio in eccesso! In più, man mano che la produttività del lavoro aumentasse per effetto del progresso scientifico e organizzativo-commerciale, occorrerebbe sempre meno Occupazione per produrre lo stesso flusso di Offerta e il capitalismo si troverebbe di fronte all'alternativa tra ridurre l'orario di lavoro per impedire alla Domanda per Consumi espressa dai lavoratori licenziati di calare, oppure licenziare e causare con ciò un'accelerazione del processo impansivo della base produttiva. L'unica alternativa, del resto, sarebbe quella di "togliere soldi ai ricchi", che risparmiano troppo, e "darli ai poveri", che li destineranno volentieri ai Consumi. Non solo. Ma quando non ci fossero più né ricchi né poveri? A quel punto, per impedire l'impansione, non resterebbe che …trasformare il sistema da capitalistico in pianificato! E' chiaro adesso a quali terribili conseguenze politiche giunge il ragionamento se il Pensiero Unico non riesce a distogliere l'attenzione dal "perché" della produzione capitalistica, spostandola su come solo agevolarla un pochino? E di che stupirsi? Del fatto che l'economia non sia una scienza ma solo "falsa coscienza"? Non credo tanto che sia questa la vera ragione dello stupore, bensì la meraviglia per non esserci arrivati da soli, senza bisogno di alcun aiuto! E' però uno stupore immotivato. Non solo perché, come dice il poeta, "non c'è nulla di così assolutamente difficile da capire di ciò che è assolutamente semplice". Ma, soprattutto, perché trascuriamo la forza della egemonia culturale, o, meglio, non crediamo che possa coinvolgerci a questi livelli. Eppure basta ricordarci di quando non mangiavamo carne il Venerdì, di quando credevamo che l'incesto "peggiorasse la razza" (con buona pace dei rudimenti della zootecnia), che l'uomo non fosse un frutto dell'evoluzione ma della creazione diretta da parte di Dio, ecc. Ma se la sovrastruttura è funzionale alla struttura, per cui anche moda, motti di spirito, convenevoli, costumi erotico-sentimentali, senso del sacro, ecc. sono "sovrastruttura" e sono perciò "falsa coscienza" del blocco sociale dominante, perché stupirsi che la più funzionale delle sovrastrutture sia la sovrastruttura economica, ovvero il Pensiero Economico? Il fatto è che nessuno di noi è disposto a credere davvero di essere "egemonizzato". Basta invece farci l'abitudine e passare il tempo a scoprire quanta falsa coscienza c'è in ciò che crediamo, pensiamo e perfino, "sentiamo" dentro di noi come la parte più "nostra", ovvero i sentimenti e le percezioni della realtà materiale. Quando poi "una cosa non ci quadra", non pensiamo più di essere ignoranti o stupidi, ma fidiamoci di questo piccolo "campanello d'allarme" che la parte semeiotica del nostro cervello segnala a quella induttivo-deduttiva. E comunichiamo i nostri dubbi e le nostre scoperte. SINTESI Qual è, allora, la ricetta politica economica che si evince dal presente scritto? Semplicemente che basterebbe che gli Stati rivendicassero il potere di battere la moneta “virtuale” allo stesso modo di come conservarono per secoli quello di battere la moneta metallica e cartacea, e lo scettro del potere passerebbe di mano dalla Finanza ai trust. Basterebbe poi che gli stessi Stati “rompessero i cartelli” con proprie imprese che vendessero a prezzi di calmiere, e lo scettro passerebbe una seconda volta di mano, dai trust agli eletti dal popolo. A quel punto, lo Stato dovrebbe sostenere la Domanda per Consumi pubblici e privati sia con opportuna redistribuzione del Reddito, sia attingendo al "virtuale" per "chiudere il circolo" della produzione capitalistica, nonché ridurre progressivamente l'orario di lavoro in armonia con la crescita della produttività del lavoro. Dovrà anche nazionalizzare il Credito e le assicurazioni, vietare in Borsa le operazioni speculative e introdurre controlli valutari anti-speculazione (cosa oggi molto più facile di ieri, per noi europei) onde potere svalutare progressivamente la moneta in funzione del differenziale di inflazione che viene causato dall'espansione così promossa. Basterebbe, appunto. Ma prima occorrerebbe che il popolo avesse bene introiettato almeno una parte del contenuto delle presenti notazioni. Ecco perché la controinformazione economica è il primo obbligo di ogni intellettuale organico dei dominati. E la prima controinformazione va fatta all’interno delle organizzazioni di massa dei dominati, poiché ogni popolo perde la sua battaglia prima “nell’immaginario” che “nel reale”. Ecco perché i dominanti combattono così strenuamente sul fronte dell'immaginario. Solo se soccombono o temono di soccombere su questo fronte ne aprono subito uno militare. La ricetta del potere, infatti, è alla fine sempre la stessa di come la definì Richelieu quando disse che "il popolo deve sempre restare povero, ignorante e bastonato", mentre il problema dei dominanti è pur sempre quello che "felicemente" descrisse Churchill quando disse che "la questione principale è che la gente benestante vuole vivere in pace a casa propria". Ogni tanto, però, il popolo si riprende lo scettro del potere. Un’altra strategia, complementare a quella del confronto politico a tutto campo e che presenta il vantaggio di essere assai meno “scoperta” consisterebbe nell’instaurazione di rapporti di produzione pianificati laterali a quelli capitalistici già esistenti. Le unità pianificate sarebbero pianificate al loro interno ma mercantili all’esterno, nel senso che prorrebbero sul mercato i beni e servizi prodotti né più né meno che se fossero delle imprese capitalistiche, allo stessa maniera di come fanno le cooperative esterne. E’ al loro interno, infatti, che i rapporti sono pianificati. Così già vivono e prosperano diverse strutture, quali ad esempio San Patrignano. I settori nei quali è più facile costituirle sono i settori agroalimentare, specialmente dei prodotti biologici, e quelli della ristorazione e della albergazione. Nulla osta, però, in linea di principio, all’invasione di altri settori contigui quali quello dello spettacolo e della ricreazione, o anche di alcune produzioni particolari quali la piscicultura e perfino l’edilizia convenzionata. Si prestano bene anche i servizi in genere, quali i trasporti, l’assistenza fiscale e computeristica, l’assistenza domiciliare, l’artigianato integrato ed altri ancora. Si tratta di iniziative nelle quali si possono agevolmente coinvolgere i comuni e diversi enti pubblici, non solo territoriali, in quanto spesso sensibili alle istanze che vengono dal territorio e dalla base in genere e che si preannunziano portatrici di sollievo alla disoccupazione, nonché di prestigio politico e culturale e di voti. Tante sono le aree dismesse, i terreni e i locali che questi enti possono concedere, mentre molte di queste attività richiedono un basso investimento di capitale. In più, si tratta di attività che richiedono organizzazione anche di livello comune, e, quindi, esercitano una forte attrazione sulle persone non particolarmente dotate che riescono così a dare facilmente il loro contributo attivo e trarne un riconoscimento personale che conferisce loro un ruolo e una dignità. Presto il senso del “noi” e del “nostro” prende il sopravvento sul senso “dell’io” e del “mio” e i vantaggi economici che ne derivano crescono fino a soddisfare le esigenze personali almeno alla pari di un lavoro dipendente di livello mediobasso. Man mano che si crea una “piccola burocrazia di villaggio” l’interesse alla sopravvivenza e all’espansione della unità pianificata rende coeso il gruppo e conferisce dignità e ruolo anche a chi si attiva a livello organizzativo superiore. A quel punto, la cellula è viva e vitale, e si espande, tendendo perfino a occupare spazi inizialmente non di sua pertinenza, quali soprattutto la dimensione abitativa. Da ognuna di queste cellule, nel tempo, si staccheranno unità-figlie e il fenomeno si estenderà sempre di più a macchia d'olio. Una variante, consiste nella creazione di assicurazioni private locali contro la disoccupazione, sulla stregua di quella più sopra pensata a livello nazionale, e di istituti di credito locale collegati a queste mutue, le quali diventano altrettante unità pianificate che utilizzano i capitali così mutuati e il lavoro degli assicurati momentaneamente disoccupati, occupando settori che richiedono maggiore impiego di capitali, quali l'edilizia, la produzione industriale o i megastore. Data la natura mercantile dei rapporti che legano queste unità con il resto della società, il capitalismo non le riconosce come cellule "malate" e non sviluppa gli "anticorpi" che le aggrediscano. Anzi, finisce per commerciarci senza problemi e accettare la trasformazione in senso "misto" dei rapporti di produzione. Nel contempo, gli equilibri politico-elettorali si spostano sempre più a sinistra per effetto dell'impatto ideologico che simili unità esercitano automaticamente sia al proprio interno che, perfino, al loro esterno. Fino ad una resa dei conti allo stato non prevedibile. www.nandoioppolo.org