Relazione di don Giuseppe Alcamo

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LA FAMIGLIA E LA CHIESA NELL’ATTUALE SFIDA EDUCATIVA
Giuseppe Alcamo
Introduzione
Benedetto XVI, nella ormai famosa lettera indirizzata alla diocesi di Roma che ha rilanciato,
sia nella Chiesa sia nella società, il dibattito sull’emergenza educativa, ha scritto che «educare non
è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli
insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative.»1
Le difficoltà educative nascono da fattori interni alla famiglia e da processi storici recenti che
superano la famiglia, ma che la coinvolgono e forse la travolgono, quali la globalizzazione, le
migrazioni di popoli che rendono la società multiculturale, le nuove forme di povertà.
Nello svilupparsi della riflessione del Papa, si afferma che le difficoltà che giornalmente
sfidano gli educatori possono indurre nella tentazione della rinuncia e nella situazione nebulosa di
non saper più cogliere con limpidezza la propria identità, il proprio specifico e delicato compito, il
ruolo e la missione.2
L’emergenza a cui il Papa ha dato voce non riguarda solo i destinatari dell’educazione, ma
anche, e forse soprattutto, gli educatori, gli adulti che non possono sottrarsi alla loro missione
educativa.
«In realtà, scrive Benedetto XVI, sono in questione non soltanto le responsabilità personali
degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere nascoste, ma anche un'atmosfera
diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona
umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita.
Diventa difficile, allora, trasmettere da una generazione all'altra qualcosa di valido e di certo,
regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali costruire la propria vita.»
A tutti coloro che non desiderano abdicare al loro compito educativo è chiesto di attuare una
forma di discernimento su questo momento storico, perché il mondo che cambia non è solo un
semplice scenario dentro cui ci si muove, ma influisce sul modo di pensare, sui desideri che ognuno
coltiva, sui progetti che vengono elaborati; si tratta “d’interpretare ciò che avviene in profondità nel
1
2
BENEDETTO XVI, Lettera sull’educazione, del 21 gennaio 2008, in «L’ Osservatore Romano» del 24 gennaio
2008, 8. Il documento si trova con il titolo “Lettera del Santo Padre Benedetto XVI alla diocesi e alla Città di
Roma sul compito urgente dell’educazione, del 21 gennaio 2008”, in «Civiltà Cattolica» 3786(2008), 589592.
Anche i Vescovi italiani denunciano questa preoccupazione; cf. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo.
Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio 2010-2020, n. 30.
1
mondo di oggi, di cogliere le domande e i desideri dell’uomo”, di mettere in atto una lettura
sapienziale per ritrovare il senso e il perché delle cose e della vita.3
Le difficoltà educative non vertono tanto sul “perché” educare, quanto sul “come”; non sono
in discussione il valore e il significato del ruolo educativo degli adulti educatori, quanto piuttosto le
modalità in cui mettere in atto un itinerario di accompagnamento che permetta ai ragazzi e ai
giovani, non di vivere in stato di perenne dipendenza e nemmeno con la logica dell’usa e getta, ma
di consolidarsi in uno stile di vita libero, responsabile e coscienzioso.
La domanda sul “come” educare risulta essere complessa, perché non si tratta di individuare
delle ricette applicabili a tutti, quanto di tracciare un percorso che sia personale e flessibile, in grado
non di massificare ma di rispettare l’originalità di ogni uomo.
Oggi ad interrogarsi sul “come” costruire un progetto educativo, adeguato ed efficace, capace
di accompagnare la crescita ed il consolidamento di una persona, dalla nascita all’età adulta, sono
innanzitutto i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli, non solo quando
sono piccoli o giovani, ma anche nell’età di giovani adulti, sovente incapaci di mantenersi saldi sui
valori che fondano la nostra cultura e di assumersi, in modo stabile e definitivo, le responsabilità
degli impegni assunti.
La domanda è presente, altresì, in tutti gli altri educatori che riflettono sul degrado e lo
scadere delle relazioni per una convivenza dignitosa e rispettosa; ma, bisogna costatare che la stessa
domanda è condivisa dagli stessi ragazzi e giovani, quando vengono aiutati a riflettere in modo
sistematico e serio sul proprio presente e sul proprio futuro, e chiedono di non essere lasciati soli di
fronte alle sfide della vita.
Si può affermare che la domanda sul “come” educare attraversa in modo trasversale tutti gli
educatori e tutte le agenzie educative, ma anche i giovani e i ragazzi. Chiama, inoltre, a verificare la
“qualità” dell’educazione che viene offerta, frutto di scelte metodologiche e di azioni concordi e
sinergiche.
Benedetto XVI avvia lo sviluppo della riflessione, indicando agli educatori alcuni elementi
che non possono mancare in una relazione educativa, che possa definirsi tale: sano equilibrio tra il
rischio della libertà e il valore della disciplina, vicinanza e fiducia fondati sull’amore, verità e
sincerità che vadano oltre le nozioni e le informazioni, sofferenza e solidarietà che irrobustiscano di
fronte alle concrete difficoltà quotidiane.
Il dialogo educativo non si può improvvisare, va coltivato e bisogna imparare a condurlo in
modo rispettoso, autorevole ed efficace; la relazione educativa che fonda le scelte di vita è
3
Cf. IDEM, n. 7
2
particolarmente impegnativa perché richiede una vicinanza affettiva, una reciproca fiducia e una
intimità relazionale da costruire e ricostruire continuamente.4
A partire da queste brevi indicazioni proviamo a riflettere sul ruolo educativo della famiglia e
della comunità ecclesiale. La mia non è la riflessione di un pedagogista, ma di un catecheta, che
tenta di far incontrare il dato biblico, il dato teologico e la vita dell’uomo nel contesto odierno, sia
ecclesiale che sociale.
L'azione educativa di Dio
Leggendo la Scrittura possiamo cogliere lo stile, la pedagogia, l'agire salvifico di Dio che ama
educando ed educa amando; Dio, per il suo popolo, vuole essere una guida amorevole, sapiente,
instancabile, un Padre provvidente che apre al futuro.
Il libro del deuteronomio descrive l’azione educativa di Dio nei confronti del suo popolo in
questi termini: «Egli lo trovò in una terra deserta, in una landa di ululati solitari. Lo educò, ne
ebbe cura, lo allevò, lo custodì come pupilla del suo occhio. Come aquila che veglia la sua nidiata,
che vola sopra i suoi nati, egli spiegò le sue ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore lo
guidò da solo, non c'era con lui alcun Dio straniero.» (Dt 32, 10-12)
Le immagini utilizzate e che attraversano tutto l’Antico Testamento ci collocano subito in una
relazione familiare, affettuosa ma esigente, attenta e vigilante, personalizzata e gelosa.
Il popolo d’Israele assume la cura che Dio ha per lui a modello paradigmatico della cura che il
padre deve mettere in atto nei confronti del figlio, non solo per la sua crescita umana e culturale, ma
anche per la nascita e la maturazione della sua fede.
Il padre dovrà raccontare al figlio ciò che Dio ha fatto alla loro famiglia e quindi a lui:
«Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. Tu amerai il Signore, tuo Dio, con
tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel
cuore. Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per
via, quando ti coricherai e quando ti alzerai… Quando in avvenire tuo figlio ti domanderà: "Che
cosa significano queste istruzioni, queste leggi e queste norme che il Signore, nostro Dio, vi ha
dato?", tu risponderai a tuo figlio: "Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece
uscire dall'Egitto con mano potente. Il Signore operò sotto i nostri occhi segni e prodigi grandi e
terribili contro l'Egitto, contro il faraone e contro tutta la sua casa. Ci fece uscire di là per
condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci. » (Dt 6, 4-7.20-23)
Alla luce di questo progetto educativo viene specificata l’identità personale e collettiva,
sociale, politica, culturale, religiosa del popolo d’Israele; si fonda la libertà del popolo e si educa
4
Cf. L. LEUZZI – F. MONTUSCHI, Aiutare i giovani a progettare la vita,Ed. OCD, Roma 2009, 15-43.
3
alla libertà i singoli; si impara ad entrare in una relazione costruttiva con gli altri popoli senza
assumere o lasciarsi condizionare dai loro dei e dalla loro cultura.
Su questo sfondo si sviluppa la rivelazione neotestamentaria che trova nella preghiera del
Padre nostro il suo vertice e nella passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo la manifestazione
più completa e definitiva.
Nella tradizione evangelica della Chiesa che fa riferimento a Matteo, l’esperienza di Gesù è
presentata al mondo dalla “Voce” nel fiume giordano: «Questi è il figlio mio prediletto, nel quale
mi sono compiaciuto», e si conclude con la testimonianza del centurione e di tutti quelli che
facevano la guardia a Gesù: «Davvero costui era figlio di Dio»(Mt 3,17; 27,54)
Non è raro trovare nella prima tradizione ecclesiale un modello di catechesi di tipo familiare,
messo in atto dallo stesso Gesù e continuato dagli Apostoli; la casa di Pietro, per esempio, diventa il
luogo ideale dove il Maestro si dedica all’istruzione, alla spiegazione delle parabole e alla cura degli
infermi.
Pur essendo un maestro itinerante che insegna sul lago, lungo la strada, nella sinagoga e nel
tempio, lo stile e gli ambienti familiare non vengono mai esclusi, anzi sono cercati e privilegiati.
Gesù attua nei confronti della famiglia una forma d’interpretazione teologica, che supera i
legami del sangue e si fonda sulla relazione con il Padre: «chi compie la volontà di Dio, costui è
mio fratello, sorella e madre.» (Mc 3,35)
Tutti coloro che si lasciano coinvolgere dal suo progetto entrano a far parte della sua famiglia;
i discepoli di Gesù entrano a far parte di una fraternità perché vivono della stessa figliolanza; in
questa relazione familiare non solo è possibile conoscere il Padre, ma diventa accessibile il
compimento pieno della sua volontà.
Gesù insegna ai discepoli a pregare il Padre con quella fiducia e libertà che solo i figli
possono acquisire; tra loro sono chiamati ad intessere relazioni improntati sull’amore, sull’aiuto
reciproco e sul perdono senza limiti. Gesù propone un altro modello di famiglia, dove le relazioni
non sono fondate su vincoli di sangue o su logiche umane, ma sulla ricerca della volontà di Dio e
del suo Regno.5
Per coloro che accolgono il Vangelo l’orizzonte della vita si allarga perché la fraternità e
l’amore reciproco non solo diventano possibili nella logica della relazione umana, ma diventano un
dono da accogliere e da offrire, come unica via di accesso a Dio e ai fratelli.
5
Cf. R. FABRIS, La Chiesa famiglia negli scritti del Nuovo Testamento, in R. FABRIS – E. CASTELLUCCI (edd.), Chiesa
domestica. La Chiesa–famiglia nella dinamica della missione cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2009, 15123.
4
Il ruolo educativo della famiglia nel magistero della Chiesa
La concezione della famiglia come “Chiesa domestica”, lungo lo scorrere dei secoli, ha subìto
sviluppi e battute di arresto; ma anche il processo inverso, “la Chiesa come famiglia” ha subìto un
percorso di sviluppo non facile e non sempre omogeneo.6
Possiamo individuare una linea di sviluppo che ha il suo punto di riferimento nel Nuovo
Testamento in cui con “Chiesa domestica” si indica la Chiesa che si raduna a casa di una famiglia
per vivere e celebrare comunitariamente la fede; inoltre, i Padri, a partire da Giovanni Crisostomo,
hanno identificato la “Chiesa domestica” con la famiglia costituita sul sacramento del matrimonio,
che celebra e vive la fede in comunione con le altre famiglie, presiedute da un ministro ordinato.7
Le due prospettive hanno in comune la coscienza ecclesiale che la famiglia non può essere
vista con la logica dell’utenza e non può essere strumentalizzata con lo stile della manovalanza; la
famiglia è “la manifestazione più originaria del mistero della Chiesa”.8
Quando la relazione tra Chiesa e famiglia non è entrata in crisi, quando cioè la Chiesa non si è
strutturata in modo così complesso e articolato da non avere più i ritmi e i tempi della famiglia, si
può documentare che l’esperienza cristiana, fondata sulla preghiera liturgica, sull’ascolto della
Parola e sulla carità fraterna, si sviluppa dentro l’alveo di relazioni “calde”, affettuose, familiari,
dove il rispetto reciproco, l’accoglienza e l’attenzione ai fragili favoriscono una fede pensata,
vissuta e celebrata.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II, con la Lumen Gentium e la Gaudium et Spes, nel
rifocalizzare l’identità della Chiesa e della famiglia, indica due livelli di realizzazione, come cerchi
concentrici che si richiamano vicendevolmente e permettono di passare da un livello ad un altro,
dalla Chiesa universale alla Chiesa locale e viceversa; nella Chiesa locale il popolo di Dio deve
poter fare esperienza della dimensione familiare della Chiesa, anche dentro l’antica struttura
parrocchiale o le nuove realtà che i movimenti e le associazioni esprimono.9
Nel nuovo percorso ecclesiale che si viene a delineare a partire dal Vaticano II, matura l’idea
che la famiglia è una Chiesa domestica (cf. LG 11) e che la Chiesa locale deve mostrare un volto
dai lineamenta familiari. Nel Concilio Vaticano II la famiglia diventa uno dei paradigmi con cui
pensare alla Chiesa e la Chiesa diventa il paradigma di riferimento per definire l’identità teologica
della famiglia stessa.10
6
7
8
9
10
Cf. E. CASTELLUCCI, la Chiesa domestica dai padri al Vaticano II, in R. FABRIS – E. CASTELLUCCI (edd.), Chiesa
domestica,o.c., 129-298.
Cf. J. BEYER, Ecclesia domestica, in «Periodica» 79(1990), 295-300; P. RENCZES, L’emergenza educativa secondo
i padri della Chiesa, in «Civiltà Cattolica» 159(2008), 253-265.
Cf. D. SARTORE, la famiglia “Chiesa domestica, in «Rivista di Pastorale Liturgica» 5(1980), 25-30.
Cf. G. ALCAMO, Associazioni e Movimenti ecclesiali. Formazione, catechesi e dinamiche educative, Paoline,
Milano 2011.
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esortazione Apostolica “Familiaris Consortio del 22 novembre 1981 (EV VII, 15221810); CEI, Evangelizzazione e Sacramento del Matrimonio del20 giugno 1975 (ECEI II, 2219-2239); IDEM,
Documento pastorale Comunione e Comunità nella Chiesa domestica, del 1 ottobre 1981 ((ECEI III,707-742);
IDEM, Direttorio di Pastorale Familiare. Per la Chiesa italiana, del 1993.
5
I coniugi, ministri del sacramento del matrimonio, compiono un atto ecclesiale nel vivere e
nell’espletare i fini della loro vocazione: il vicendevole amore che ha come punto di riferimento
l’amore di Cristo per la Chiesa e l’amore della Chiesa per Cristo, l’accoglienza e l’educazione della
prole come testimonianza storica del’amore gratuito e fecondo di Dio.
Nel decreto sull’apostolato dei laici, i padri conciliari descrivono come nella famiglia la
società e la Chiesa trovano un punto di incontro costruttivo e fondante, in quanto “ cellula prima e
vitale”; il testo conciliare sviluppa in modo articolato gli elementi che rendono la famiglia sia una
“Chiesa domestica”, sia “principio e fondamento dell’umana società”: « Sono sempre stati doveri
dei coniugi, ed oggi sono la parte principale del loro apostolato: a) manifestare e comprovare, con
l'esempio della propria vita, l'indissolubilità e la santità del vincolo matrimoniale; b) affermare con
fortezza il diritto e il dovere che spetta per natura ai genitori e ai tutori di educare cristianamente
la prole; c) difendere la dignità e la legittima autonomia della famiglia. Essi dunque e gli altri
fedeli collaborino con gli uomini di buona volontà, affinché nella legislazione civile siano sanciti e
difesi questi sacri diritti; perché nel governo della società si tenga conto delle esigenze familiari
per quanto riguarda l'alloggio, l'educazione dei fanciulli, le condizioni di lavoro, la sicurezza
sociale e gli oneri fiscali; nella regolamentazione dell'emigrazione si salvaguardi nel modo più
assoluto la convivenza della famiglia…. Fra le svariate opere dell'apostolato familiare, ci sia
concesso enumerare le seguenti: adottare come figli i bambini abbandonati, accogliere con
benevolenza i forestieri, dare il proprio contributo nella direzione delle scuole, consigliare e
aiutare gli adolescenti, aiutare i fidanzati a prepararsi meglio al matrimonio, collaborare alle
opere catechistiche, sostenere i coniugi e le famiglie nelle loro difficoltà materiali e morali,
provvedere ai vecchi non solo l'indispensabile, ma anche renderli partecipi equamente dei frutti del
progresso economico. » (AA 11)
Nel cammino post conciliare, i documenti del Magistero sono concordi nel riconoscere alla
famiglia un ruolo sociale fondamentale ed insostituibile: è nel grembo della famiglia che inizia il
cammino di un uomo, un mondo senza famiglia sarebbe molto povero e in qualche modo
inconcepibile; la famiglia non può essere qualcosa di facoltativo per l’identità di un uomo, ma è il
cuore stesso della sua identità; nella famiglia si vive di relazioni molto concrete, si sperimenta la
bellezza della reciproca e incondizionata fiducia; dentro la famiglia è possibile mostrarsi fragili
senza temere di essere espulsi; è il luogo dove si è unici e insostituibili.
La riflessione conciliare sulla relazione intrinseca tra la famiglia e la Chiesa viene
approfondita e sviluppata, alla famiglia si riconosce il compito di mostrare la vocazione
evangelizzante e missionaria di tutta la Chiesa. 11
La famiglia come “Chiesa domestica” non è una semplice metafora, ma un’attuazione storica
della Chiesa, colta nella sua natura comunionale; l’identità della famiglia è legata all’identità della
Chiesa; si potrebbe dire, se l’affermazione non fosse troppo azzardata, che Chiesa e famiglia
svelano l’una l’identità dell’altra; la riflessione ecclesiologica rivela il valore ecclesiale della
11
Cf. F. SCANZIANI, La famiglia Chiesa domestica nel magistero postconciliare, in R. FABRIS – E. CASTELLUCCI (edd.),
Chiesa domestica. La Chiesa–famiglia nella dinamica della missione cristiana, o.c., 217-242.
6
famiglia, l’ecclesiologia di comunione trova uno dei suoi paradigmi di riferimento nelle relazioni
familiare.
In questa simbiosi, entrambi, Chiesa e famiglia, sono a servizio del Vangelo, sentono la
vocazione di annunciarlo all’umanità del XXI secolo e non a quella del XIX secolo; sono invitate,
dalla dinamica dello stesso vangelo di Gesù Cristo, pur fiere e radicate nella loro storia e tradizione,
a guardare al presente e al futuro e non al passato.
L’evoluzione antropologico- sociale della Famiglia
La famiglia non è mai stata una realtà immobile e monolitica, ha conosciuto varie
trasformazioni con tensioni molto forti, perché risponde al contesto sociale e culturale del quale fa
parte.12
Se guardiamo la famiglia dal punto di vista antropologico-sociale nel mondo occidentale,
dobbiamo chiederci di quale famiglia vogliamo parlare, perché si possono individuare,
schematicamente, almeno cinque modelli diversi di famiglia:
La famiglia patriarcale: un universo chiuso, predominato dalla figura del padre, verso cui si
nutre una certa soggezione; i legami familiari, pur essendo forti, non si basano sul calore naturale
del cuore, ma sull’ubbidienza; si usano le maniere forti per educare ai modelli prestabiliti; nel
nostro contesto sociale questo modello è quasi totalmente scomparso.
La famiglia nucleare o “affettiva”: le relazioni sono intime e dolci; c’è un rafforzamento dei
vincoli affettivi tra i membri al suo interno e c’è un indebolimento dei vincoli sociali. L’individuo ci
guadagna: l’affetto tra gli sposi è maggiore, i rapporti tra padre e figli sono più intimi e distesi,
l’autorità si fa sentire meno. Anche la donna in questo tipo di famiglia, può esprimersi con più
libertà e creatività.
La famiglia “negoziale”: concepita attorno all’individuo; ciascuno ha il suo spazio e la sua
libertà. La pratica educativa privilegia la negoziazione e diventa democrazia, è spogliata del senso
comunitario attorno a dei valori; si allargano gli spazi di autonomia individuale all’interno della
stessa famiglia.
La famiglia spezzata: separazioni e divorzi destrutturano la compagine familiare “classica” e
danno luogo a ricomposizioni a volte anche intricate.
Le non famiglie: le coppie di fatto e le monocomponenti dove si vive l’individualismo
libertario; si rivendicano gli stessi diritti della famiglia riconosciuta dalla costituzione, ma si fa
fatica ad assumerne i doveri.
Alla luce di queste schematiche indicazioni si può dedurre che il quadro complessivo dei
vissuti matrimoniali e delle dinamiche familiari è decisamente in evoluzione, porta in sé diverse
fragilità ed ogni esemplificazione si rivela inadeguata, anche se alcune costanti è possibile
individuarle.
12
Cf. B. BORSATO, L’avventura sponsale. Linee di pastorale coniugale e familiare, EDB 2006, 25-30.
7
Nei diversi modelli di famiglia, appena accennati, si tende a rivendicare una progressiva
privatizzazione della identità e dei comportamenti familiari; per cui, tutto - sentimenti, aspirazioni,
gusti, preferenze, aspettative - viene visto come un fatto privato, individuale e soggettivo, slegato da
vincoli sociali e morali.
Si è passati dall’autorità paterna che attua un controllo soffocante ad un vuoto educativo che
permette una libertà incondizionata, dove ognuno si sente autorizzato a poter fare tutto quello che
gli piace.13
«Possiamo sinteticamente dire che la specificità della crisi attuale riguarda la grave e
generalizzata difficoltà di dar vita e mantenere vive nel tempo relazioni familiari stabili che siano
generative. Oggi è messa in dubbio non solo la capacità di stabilire legami solidi e duraturi tra
coniugi e tra genitori e figli, ma addirittura la capacità e persino la possibilità di riuscire a
trasmettere il patrimonio affettivo e morale da una generazione all’altra.» 14
Bisogna, altresì, tenere presente che le diverse visioni dell’istituto familiare esprimono logiche
culturali diverse, che sono alla base del travaglio sociale di oggi; esemplifico, a grandi linee, alcuni
passaggi che esprimono le tendenze culturali verso cui, in modo consapevole o inconsapevole si sta
camminando.15
- Si sta passando da una cultura totalizzante a una cultura del soggetto e del frammento.
In passato fare appello alla Tradizione era fonte di garanzia; oggi, fare appello alla Tradizione
significa richiamare in vita qualcosa di morto, di superato, qualcosa che va contro il progresso. Oggi
stiamo camminando verso la cultura del soggetto: la persona, cioè, vuole dare autonomamente le
risposte ai propri quesiti, cercarle lei stessa, non accetta di essere inglobata in una risposta data da
altri o data per sempre. La persona vuole essere creatrice del suo futuro a partire dalla sua realtà.
Questo pone anche un aspetto molto problematico: si vive nella provvisorietà, si ha paura del
definitivo e dell’irreversibile; parlare del “per sempre” e dell’impegno indissolubile incute
sgomento. La persona vuole esprimersi liberamente e poter cambiare opinione e scelte se non è più
convinta di quello che ha detto e fatto. Domina il criterio della reversibilità in tutti i campi, da
quello politico, a quello lavorativo, ma anche a quello affettivo e sessuale. Questa idea di
reversibilità serpeggia in tutti i ceti sociali e in tutte le appartenenze religiose. Dietro un divorzio o
un tradimento la dimensione da prendere in considerazione non è solo quella morale, ma anche
quella culturale, con cui bisogna profeticamente confrontarsi.
Si sta passando dalla cultura del dovere e della legge alla cultura del piacere e del
desiderio.
Nella cultura del dovere al centro non vi era la persona ma il dovere, la persona era
un’occasione o uno strumento per applicare la legge o il dovere; c’era la mortificazione dei propri
desideri e delle proprie potenzialità, perché non si era coinvolti nel rapporto interpersonale; i
13
14
15
Cf. P. DONATI, La famiglia come relazione sociale, FrancoAngeli, Milano 1989; G. SAVAGNONE, Maestri di
umanità alla scuola di Cristo. Per una pastorale che educhi gli educatori, Cittadella, Assisi 2010.
COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI (a cura del), La sfida culturale. Rapporto-proposta
sull’educazione, Laterza, Roma-Bari 2009, 26.
Cf. N. GALANTINO – A. MATTEO, La sfida educativa in un mondo che cambia, in «Rassegna di Teologia» 1(2011),
19-38.
8
rapporti basati sul dovere erano ripetitivi, dalle leggi nasce la ripetitività. La cultura del soggetto
mette in primo piano la dignità, la irripetibilità e l’unicità della persona, elementi tipici
dell’antropologia cristiana. Ma nello stesso tempo pone in dialettica il rapporto tra persone e coppia.
Oggi, dal punto di vista antropologico, ma anche dalla prospettiva evangelica si sta riscoprendo lo
spessore del piacere e la positività del desiderio. Vivere con piacere sembra un’etica non lontana dal
vangelo. Gesù è venuto perché l’uomo possa vivere felice non solo nell’aldilà, ma anche
nell’aldiquà. Vivere la vita non per il piacere, ma con piacere dona alla persona la voglia di un
rapporto più libero e meno passivo. Il trarre gusto da quello che si fa e, quindi, farlo con piacere
crea nella persona equilibrio, serenità, ma anche lo stimolo per continuare nel proprio impegno e
nel proprio compito. Il problema nasce quando non trovo più il piacere di portare avanti gli impegni
assunti, quando non è più un piacere essere fedeli e responsabili alla scelta coniugale compiuta.
-
Si sta passando dalla cultura dell’unità alla cultura della differenza o dell’alterità.
Il valore della differenza accentua il valore dell’originalità di ciascuno, il valore dell’alterità
annuncia che la persona non può essere soffocata neanche in nome dell’amore, e che il progetto di
ciascuno va rispettato e promosso. Quindi c’è un passaggio anche nel campo dell’amore e del
matrimonio: dall’amore inteso come fusione, all’amore inteso come relazione e come rispetto
dell’alterità dell’altro. La cultura dell’alterità pone in grande risalto il valore della libertà; l’anelito
alla libertà è da sempre presente nell’uomo; dal bisogno di libertà nasce il desiderio di autonomia.
Ma qui bisogna dire che solo nella libertà e nell’autonomia è possibile scambiarsi l’amore. Dentro
questo passaggio va collocata anche la nuova e consapevole identità della donna, che rivendica
parità di peso nelle scelte, che non accetta di avere un ruolo solo domestico, che cerca spazi
professionali molto più coinvolgenti e totalizzanti di un tempo. Tutto questo ovviamente va
armonizzato con il ruolo e il senso della maternità.
Queste diverse logiche culturali hanno prodotto una nuova legislazione, promuovendo una
concezione del matrimonio e della famiglia, in qualche modo diversa da quella cristiana, all’insegna
dell’individualismo libertario, definito dal presidente della CEI “patologia del post-moderno”.16
Esemplifico con quanto è avvenuto nella legislazione italiana: nel 1969 la corte costituzionale
depenalizza l’adulterio; nel 1970, in seguito a un referendum popolare, è ammesso l’istituto del
divorzio. Caduti i pilastri della fedeltà e dell’indissolubilità, nel 1975, con la riforma del “diritto di
famiglia”, il matrimonio diviene di fatto un contratto per il conseguimento di interessi privati; nel
1994 una risoluzione del parlamento europeo sui diritti degli omosessuali sollecita i Parlamenti
nazionali ad accogliere nel proprio ordinamento il riconoscimento delle coppie omosessuali.17
Nella legislazione indicata non sono più garantiti e difesi tutti gli elementi che strutturano il
sacramento del matrimonio: la fedeltà, l’indissolubilità, la comunione di vita, la complementarietà
dei sessi; l’idea di vita coniugale che viene legiferata è altra rispetto all’idea di vita coniugale che
sottostà al sacramento del matrimonio, nonostante il Concordato e il riconoscimento civile di quanto
viene celebrato in Chiesa.
16
17
Cf. A. BAGNASCO, Prolusione. Assemblea CEI, del 23 maggio 2011.
Cf. EDITORIALE, Un nuovo modello di uomo interpella la Chiesa. Fede cristiana e realtà italiana, in «Civiltà
Cattolica» 3648(2002), 523-533.
9
La sfida educativa
Educare significa tramandare valori, stili di vita, ragioni di fiducia negli uomini e di speranza
verso il futuro; educare significa conservare e tramandare la sapienza di vita, ossia la verità, la
bontà, la bellezza che le generazioni passate hanno espresso per accrescerle e rinnovarle.
Occorrono ragioni forti, motivazioni convincenti, previsioni rassicuranti e, più ancora, esempi
chiari che dispongano a coltivare il momento pedagogico come valore in sé, ma anche nel
convincimento che, così, si prepara la ricostruzione del tessuto lacerato della vita sociale.18
In questo dinamismo culturale la famiglia, così come i cristiani la concepiscono, non può
essere una figura “altra”, che si aggiunge a quelle delineate o ancora da individuare; deve, invece
rappresentare l’istanza ideale che porta ad essere lievito nella pasta.19
Per assolvere a questa vocazione educativa verso tutta la società, risulta utile per la famiglia
discutere e confrontarsi sul “come” educare in questo contesto sociale di grandi cambiamenti e di
continua evoluzione, tenendo presente che genitori e figli crescono insieme, perché diventano tali
nello stesso giorno e nel medesimo istante.
Necessitano spazi e occasioni dove i genitori-educatori possano condividere le domande e le
preoccupazioni, entrare in un salutare confronto per meglio comprendere la propria identità, le
scelte compiute e così migliorare il proprio ruolo educativo; è necessario creare luoghi reali e
virtuali dove è possibile a tutti gli educatori stabilire alleanze e coordinamento; spazi accoglienti,
sereni, sicuri, in grado di progettare per rendere visibile forme concrete di vita buona.20
«L’educazione, il buon governo di sé, non è perciò confinabile a una specifica età della vita, è
invece un processo continuo che accompagna uomini e donne, padri e madri, lungo tutta la loro
traiettoria vitale.»21
Il processo educativo è frutto di una storia vissuta insieme, di una vicinanza quotidiana dove i
valori non vengono semplicemente annunciati o imposti ma condivisi ed offerti; genitori e figli
imparano insieme, ognuno a proprio modo, ma dentro un clima di fiducia e di benessere reciproco.
Evidentemente, il cammino educativo dei genitori è diverso dal cammino dei figli; gli
educatori devono imparare ad indicare le mete, aprire il sentiero e camminare davanti, qualche volta
affiancare per rincuorare o correggere, vivere per primi quello che si reputa giusto e bello da
indicare al figlio.
Questa istanza ideale punta ad educare, genitori e figli, su alcuni valori che qualificano la vita
familiare dei cristiani: la cura delle relazioni di amore e di servizio, perché senza amore e servizio
non vi è educazione; l’unità tra tutti i componenti della famiglia, perché non vale tanto quello che si
dice ma il vivere insieme le emozioni, le sensazioni, il vissuto quotidiano; l’accoglienza della vita
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Cf. M. G. MASCIARELLI, Il Grido di Benedetto XVI. Dall’emergenza educativa alla pedagogia del cuore, TAU
editrice 2009.
Cf. R. BONETTI (ed.), Progettare la Pastorale con la famiglia in parrocchia, Cantagalli, Siena 2001.
Cf. F. DE GIORGI, La personalizzazione dello sguardo. Per un rinnovamento della pastorale familiare, in «Chiesa
in Italia – Edizione 2009. Annale de Il Regno» EDB 2010, 57-67.
COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI (a cura del), La sfida culturale. Rapporto-proposta
sull’educazione, o.c., 29.
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come apertura amorosa che non solo genera, ma sa farsi carico di tutto il processo di
accompagnamento perché ogni bimbo possa diventare uomo.22
La famiglia ha il compito educativo, condiviso da entrambi i genitori, che possiamo
descrivere come “cura responsabile” della vita, attraverso una vicinanza quotidiana e familiare: «Un
compito, questo, se si vuole semplice anche se non facile che è costitutivo dei generanti, di coloro ai
quali compete la cura responsabile dei figli. Un compito elementare e originario che accomuna i
genitori di tutte le latitudini e di tutti i ceti sociali.»23
In questa quotidiana vicinanza ai genitori-educatori viene chiesto di imparare ad ascoltare, di
interpretare le nuove esigenze, le nuove istanze, le nuove opportunità, per intercettare le aspettative,
valorizzare le risorse; tutto questo processo di discernimento comunitario, al convegno ecclesiale di
Verona, è stato indicato come una delle vie che la Chiesa italiana è chiamata a percorrere per dare
testimonianza del Vangelo.24
«In altri termini, il primo compito degli educatori è di sapersi a loro volta lasciarsi educare
dalla realtà, senza presumere di sapere già tutto ciò che serve per il loro delicatissimo impegno.
Impareranno, così, a discernere ciò che nella tradizione a cui si rifanno è essenziale e ciò che
invece era legato a determinate situazioni storiche, ormai superate.»25
I Vescovi italiani, negli Orientamenti per il decennio in corso, al numero 30 affermano che “è
necessario formare gli educatori”, “occorre ravvivare il coraggio, la passione per l’educazione”;
l’urgenza o la sfida educativa parte, quindi, dalla identità e dalla capacità degli educatori.
La formazione dei genitori-educatori è una delle sfide che permette alle nostre Chiese locali di
vivere oggi la propria profezia e di assurgere ad una visibilità sociale inedita, non legata al culto, ma
alla centralità della vita dell’uomo.
Alcune problematiche chiedono, però, ulteriore riflessioni per vivere in modo positivo le sfide
che vengono lanciate alla Chiesa e, in lei, alla famiglia: la sfida di aiutare le nuove generazioni a
passare da un cristianesimo anagrafico (sono cristiano perché provengo da una famiglia che si
riconosce in questa cultura), ad una scelta di vita cristiana (sono cristiano perché ho incontrato Gesù
Cristo nella Chiesa e desidero vivere alla luce del suo Vangelo); la sfida di educare gradualmente a
vivere la propria sessualità dentro un progetto di vita che faccia del dono gratuito di amore il suo
punto di riferimento, la logica di vivere la castità nel proprio stato di vita non può essere un punto di
partenza ma di arrivo e una visione manichea dell’uomo non lo permette; la sfida di contemplare il
mistero della vita con lo stupore e la meraviglia di colui che contempla il mistero di Dio; la sfida di
ripensare la relazione e la prassi ecclesiale con tutte quelle famiglie che non sono dentro il
sacramento del matrimonio.
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Cf. R. BONETTI, Famiglia sorgente di comunione, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004; G. BELOTTI – S. PALAZZO,
Genitori La sfida educativa, LDC, Torino 2007.
COMITATO PER IL PROGETTO CULTURALE DELLA CEI (a cura del), La sfida culturale. Rapporto-proposta
sull’educazione, o.c., 43.
Cf. CEI, “Rigenerati per una speranza viva” (1Pt 1,3): testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo. Nota pastorale
dell’Episcopato italiano dopo il 4° convegno ecclesiale nazionale, nn. 14 e 17.
G. SAVAGNONE, Maestri di umanità alla scuola di Cristo, o.c., 19.
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Tutti questi temi, elencati a titolo esemplificativo, devono essere affrontati nelle comunità
ecclesiali, per offrire alle famiglie uno spazio di crescita e di confronto che le renda quelle che sono:
“Chiese domestiche”.
Pierpaolo Triani individua alcuni percorsi formativi che attendono di essere approfonditi:
«C’è bisogno che i percorsi formativi mettano a tema l’apertura verso la realtà e verso l’altro per
aiutare le persone ad uscire da una concentrazione narcisistica su di sé; che mettano a tema la
fragilità perché presi dall’illusione dell’espansione delle possibilità senza confini, facciamo fatica
ad accettare le nostre debolezze e i nostri limiti. Abbiamo bisogno tutti di sostegno per imparare a
stare dentro le fatiche del vivere. C’è bisogno di porre al centro il tema del dono di sé e del gratuito
come forma compiuta della vita umana; il tema della partecipazione come fattore essenziale di una
società a misura di persone; il tema del futuro per aiutarci ad uscire da uno sguardo ristretto sul
qui ed ora che genera alla fine disinteresse per chi e per ciò che verrà. E soprattutto occorre,
valorizzando a pieno le peculiarità dell’antropologia cristiana, porre al centro il tema della
trascendenza.»26
Conclusione
La Chiesa e la famiglia non possono non accogliere la sfida dell’educazione, devono
costituire una rinnovata alleanza per permettere a tutti gli adulti di prendere in mano la propria vita
per poter assolvere al compito di accompagnare nella crescita le nuove generazioni.
La famiglia e la comunità ecclesiale nel passato hanno avuto un ruolo determinante per la
formazione dell’uomo, oggi devono ritrovare un nuovo sentiero formativo perché la società ha
bisogno di ambienti educativi che permetta all’uomo di maturare e di crescere sempre più.
Il mondo di oggi attende dalla Chiesa e dalla famiglia l’elaborazione di una cultura educativa
che permetta di costruire progetti condivisi che umanizzino l’uomo e il suo ambiente, con mete e
obiettivi che risultino creativi e rispettosi dei tempi di crescita dell’uomo.
Educare significa assumere il coraggio di uno sguardo verso il futuro e insieme sostenere e
dare significato al presente; è speranza concreta, realismo che fa sognare, attesa operosa, sguardo
che va oltre l’orizzonte; educare significa esercitarsi nell’impegno all’ascolto, all’accoglienza, a
riiniziare da dove ci si è fermati; è silenzio orante, fiducia incondizionata nelle capacità dell’uomo,
fede nel grande educatore dell’umanità.
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P. TRIANI (a cura di), Educare impegno di tutti. Per rileggere gli Orientamenti pastorali della Chiesa italiana
2010-2020, AVE, Roma 2010, 37-38.
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