Gli avvenimenti alla frontiera nord-orientale: l'Alpenvorland e l'Adriatisches Küstenland (1943-45) di Luciano Luciani 1. Premessa - 2. Le zone di operazioni Alpenvorland e Adriatisches Küstenland - 3. L'Alpenvorland - 4. Le forze contrapposte nell'Adriatisches Küstenland 5. Le operazioni militari nel Litorale Adriatico - 6. Struttura amministrativa ed attività politica nell'Adriatisches Küstenland - 7. I rapporti intertedeschi 8. Rapporti tra i supremi commissari e le autorità italiane - 9. L'agonia di Zara italiana - 10. Tentativi di Mussolini per salvaguardare l'italianità della Venezia Giulia e di Zara - 11. La Guardia di Finanza nelle zone di operazioni - 12. Epilogo 1. Premessa Lo sgombero delle forze dell'Asse dall'Africa Settentrionale e dall'ultimo baluardo in Tunisia (12 maggio 1943) fece comprendere anche ai fascisti più intransigenti che la guerra era irrimediabilmente perduta. Ormai anche Mussolini iniziava a pensare alla possibilità di uscire in qualche modo dall'avventura in cui si era cacciato tre anni prima. I sentimenti unanimi dei vertici istituzionali e della popolazione italiana sulla necessità di scindere i destini nazionali da quelli dell'ingombrante alleato dell'Asse erano peraltro già noti ad Hitler che fin da metà maggio 1943 aveva dato ordine di pianificare l'invasione della penisola in caso di ormai più che prevedibile defezione italiana. Il dittatore tedesco non si faceva più illusioni al riguardo: riteneva che in caso di attacco alleato della penisola le forze armate italiane non avrebbero combattuto contro il comune nemico; naturalmente esisteva la possibilità che essi non si limitassero a smettere di combattere ma 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 591 STORIA LUCIANO LUCIANI cambiassero schieramento passando a collaborare con il nemico ai danni della Germania. Sulla base di queste premesse e nella convinzione che presto gli anglo-americani avrebbero organizzato uno sbarco in Italia o nella penisola balcanica, l'OKW (1) predispose due piani: il primo, denominato "operazione Alarico" prevedeva l'invio in Italia di consistenti forze tedesche per sostenere e se del caso sostituire l'esercito italiano nel contrasto di un'invasione degli alleati (2). In tale quadro, il 22 maggio, Hitler firmò gli ordini per inviare nel Nord-Italia, subito, con pretesti vari, quattro divisioni tedesche, oltre alle due operanti già in Sicilia, che in caso di necessità sarebbero state seguite da altre sedici. Le unità germaniche sarebbero state poste al comando del feldmaresciallo Rommel, sarebbero state introdotte in Italia con la massima cautela diplomatica ed avrebbero dovuto fermare l'invasione nemica quanto più a sud possibile. Per rispettare le apparenze i tedeschi posero la massima cura a non fornire pretesti al governo italiano di protestare per una palese intrusione non richiesta all'interno dei propri confini. Il secondo piano, denominato "operazione Achse", anch'esso affidato alla responsabilità di Rommel, era basato sull'ipotesi di un abbandono dell'alleanza da parte dell'Italia. Aveva l'obiettivo di disarmare immediatamente le forze armate italiane, di impadronirsi delle loro armi ed equipaggiamenti e, se necessario, di trattare i militari come prigionieri di guerra. I due piani erano complementari, in quanto l'attuazione del primo avrebbe senz'altro preceduto quelli del secondo, mentre contemporaneamente si sarebbe dovuto contrastare l'invasione angloamericana. Il 10 luglio gli alleati sbarcavano in Sicilia, conquistando l'isola in 39 giorni, malgrado ne avessero previsti molti di meno. (1) OBERKOMANDO WEHRMACHT: Comando supremo delle forze armate. (2) FRASER D., ROMMEL, L'ambiguità di un soldato, A. Mondadori Ed., p. 420. STORIA 592 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Nel frattempo il 25 luglio Mussolini veniva deposto dal Gran Consiglio del Fascismo ed il giorno dopo arrestato all'uscita dall'udienza con il Re. Il Governo venne affidato al maresciallo Badoglio ed Hitler, furibondo per la defenestrazione del suo amico, diede il via all'operazione Alarico. La questione più delicata era rappresentata dai valichi alpini (Resia, Brennero, Dobbiaco) che dovevano essere occupati unitamente al corridoio dell'Adige fino a Verona, presentando tutto ciò come un aiuto agli italiani che invece protestavano per l'intrusione. La vicenda venne gestita, da una parte e dall'altra in perfetta malafede. I tedeschi ritenevano che l'Italia a breve termine sarebbe uscita dalla guerra ed agivano di conseguenza, assicurando però in ogni circostanza che avevano piena fiducia dell'alleato e volevano continuare la guerra in pieno accordo. Gli italiani sostenevano la stessa cosa, mentre invece era già stata assunta - molto confusamente - la decisione di trattare con gli anglo-americani per l'uscita dalla guerra. Dopo la caduta del fascismo furono tenuti due convegni italotedeschi: il primo a Tarvisio (6 agosto) tra i ministri degli esteri Von Ribbentrop e Caviglia ed i capi di S.M., il secondo a Bologna tra Rommel, comandante designato dal gruppo di Armata B che stava attuando l'operazione Alarico e Roatta, capo di S.M. dell'Esercito Italiano. Gli incontri, svoltisi in un'atmosfera gelida e densa di reciproci sospetti, si conclusero senza alcun risultato, ma confermarono da un lato i tedeschi nella loro intenzione di intensificare la penetrazione in forze nella penisola e dall'altro l'Italia a concludere al più presto le trattative per uscire dalla guerra, anche tenuto conto dell'impossibilità di opporsi alle 8 efficienti divisioni tedesche già in loco. Nel corso del mese di agosto il comando supremo della Wehrmacht aveva perfezionato il piano Achse per l'assunzione dei poteri in Italia in caso di defezione dell'alleato. Vi era previsto il disarmo dell'Esercito italiano, l'occupazione delle posizioni sensibili (valichi montani, porti, ferrovie, strade statali) e la definizione del territorio del Regno come zona di operazioni con conseguente trasferimento dell'esercizio dei poteri civili ai comandanti tedeschi. L'annuncio dell'armistizio dell'8 settembre non trovò impreparato il governo tedesco, mentre gettò nel caos quello di Badoglio. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 593 STORIA LUCIANO LUCIANI Fin dalle 20,30 dell'8 settembre (l'armistizio era stato annunciato in Italia alle 18) Rommel ordinò l'immediata occupazione del Brennero e successivamente dell'intera Italia settentrionale. Due giorni dopo il disarmo delle truppe italiane della pianura padana era concluso (3), soprattutto per mancanza di precisi ordini del Comando Supremo. Anche al centro-sud le forze armate italiane vennero disarmate in breve tempo. Più laborioso fu invece il disarmo e la cattura delle divisioni italiane fuori dei confini nazionali, specie nei Balcani, ma entro il mese di settembre ogni forma di resistenza organizzata era cessata e la Wehrmacht aveva ovunque il completo controllo della situazione. La flotta ed i pochi velivoli della Regia Aeronautica ancora efficienti raggiunsero invece, in attuazione delle clausole di armistizio, rispettivamente la base di Malta e gli aeroporti sotto il controllo alleato. 2. Le zone di operazioni Alpenvorland e Adriatisches Küstenland Intanto, il 10 settembre il führer aveva emanato un'ordinanza, integrata poi il 10 ottobre, con cui veniva ristrutturato il territorio italiano occupato (4). Il territorio occupato era diviso in "zone di operazioni" ed in "restante territorio occupato". Le zone di operazioni erano: - il territorio a sud della provincia di Roma, L'Aquila e Teramo, sul quale il potere esecutivo era esercitato dall'Alto comandante (OB) sud, Kesserling; - il territorio alpino, dal confine croato a quello svizzero, che fu suddiviso nella zona di operazioni Adriatiches Küstenland (litorale adriatico), con le province di Trieste, Gorizia, Udine, Pola, Fiume e Lubiana, e nella (3) Profilo della situazione in Italia, 10 settembre 1943, delineato da GROTA, Uff. de Segr. Di St. C.C. vol. 16, pp. 136 e seg. (4) Entrambe le ordinanze sono integralmente riportate quali appendici 1 e 2 in STUHLPFARRER K., "Le zone di operazioni prealpi e litorale adriatico 1943-45", Ed. libreria Adamo, Gorizia, 1969. STORIA 594 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND zona operativa Alpenvorland (Prealpi), con le province di Bolzano, Trento e Belluno. I poteri civili sulle due zone erano affidati ai gauleiter, rispettivamente della Carinzia Friedrich Rainer (5) e del Tirolo Franz Hofer; - era poi prevista un'ulteriore zona di operazioni comprendente le province costiere dell'Adriatico e del Tirreno, che rifletteva la preoccupazione dell'A.O.K. (6) di possibili sbarchi degli alleati lungo la penisola, ma lo stabilizzarsi del fronte di combattimento a sud di Roma portò a non attuare questo disegno. (5) Friedrich Rainer nacque nel 1903 nei pressi di Klagenfurt. Si laureò in giurisprudenza a Graz in un clima di acceso nazionalismo che lo portò ad aderire giovanissimo al partito nazionalsocialista. Fu un fervido sostenitore dell'anschluss dell'Austria alla Germania e percorse rapidamente i gradi della gerarchia del partito. Fu nominato gauleiter di Salisburgo nel 1940 e della Carinzia nel 1941. Catturato al termine della guerra dagli inglesi, fu poi consegnato agli jugoslavi che nel 1947 lo condannarono a morte per crimini di guerra e lo giustiziarono a Lubiana. (6) Armée Oberkomando: Comando Supremo dell'Esercito tedesco. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 595 STORIA LUCIANO LUCIANI Nelle ordinanze del Führer non veniva indicata la sorte della provincia di Zara, che comprendeva, oltre al capoluogo, il comune di Lagosta, perché Hitler aveva divisato di cederla alla repubblica croata di Ante Pavelic. Mentre nella zona operativa del sud Italia i poteri civili e militari erano riuniti nelle mani dell'Alto comandante militare Kesserling, nelle due zone operative Prealpi e Litorale Adriatico i poteri militari erano esercitati dal Comandante del gruppo di esercito B, Ervin Rommel, mentre quelli civili facevano capo ai due gauleiter, Rainer ed Hofer. La personalità piuttosto forte di questi due gerarchi nazisti, che rispondevano del loro operato soltanto ad Hitler, creò frizioni con i comandanti militari, specie nel litorale Adriatico ove le formazioni partigiane tenevano testa validamente alle unità germaniche; i gauleiter, infatti, interferivano attraverso le forze di polizia che a loro facevano capo, con la Wehrmacht, che invece pretendeva mano libera nella lotta alla guerriglia, dato che in questo tipo di operazioni il confine tra operazioni di polizia e operazioni militari è piuttosto labile. L'autonomia di Hofer e Rainer aveva modo di esplicarsi, in tutta la sua estensione, in campo politico e nell'amministrazione civile. Scopo dichiarato della costituzione delle zone di operazioni era quello di assicurare il successo della guerra in corso. I territori in questione controllavano le vie di comunicazione del Brennero - Verona e di Tarvisio - Trieste - Fiume, molto vulnerabili ad attacchi della resistenza, ma indispensabili per l'alimentazione delle truppe tedesche che operavano sui fronti di combattimento in Italia meridionale e nei Balcani. Sulla sistemazione dei territori a guerra conclusa, Hitler non si era ancora pronunciato e non si pronuncerà mai, e ciò per riguardo a Mussolini, di cui continuava a subire il fascino. Tuttavia, pochi a Berlino pensavano che, in caso di vittoria, i confini nord orientali dell'Italia sarebbero stati quelli fissati al termine della 1^ guerra mondiale. Goebbels, il potente ministro della propaganda, si era spinto a dichiarare, in conversazioni private, che la Germania avrebbe dovuto avere con l'Italia i confini dell'Austria del 1850, e cioè fino al Mincio ed al Po, impadronendosi quindi del Triveneto. STORIA 596 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Rainer ed Hofer, avevano avuto ordini espliciti di non fare mai, in nessun caso, affermazioni relative alla futura sistemazione dei confini, e ciò per non creare frizioni con Mussolini, che tra l'altro aveva preso il potere nel 1922, sulla base di programmi di acceso nazionalismo, nell'ambito dei quali lo slogan della "vittoria mutilata" per la rinuncia dei governi democratici all'annessione della Dalmazia aveva avuto notevole peso, ma agirono sempre in modo che al termine della guerra, che loro ritenevano vittoriosa per la Germania, l'inserimento nel grande Reich dei territori da loro amministrati non avrebbe procurato problemi. La prima mossa dei due supremi commissari, appena insediati, fu quella di escludere nei territori da loro amministrati, ogni influenza del governo della Repubblica Sociale Italiana. Essi rimossero i prefetti titolari o impedirono l'insediamento di quelli nominati dal Ministro degli Interni della R.S.I., insediando nel contempo alla carica personaggi di nazionalità italiana, ma di loro fiducia. Hofer e Rainer, infatti, avevano una pienezza di poteri che consentiva loro una autonoma agibilità totale nei confronti della R.S.I. e molto ampia anche di fronte allo stesso plenipotenziario del Reich presso il governo dell'Italia fascista, Rudolf Rahn (7), una sorta di commissario politico affiancato a Mussolini. Il Duce fece molti tentativi, come si vedrà in seguito, direttamente presso Hitler, per recuperare l'effettivo esercizio della sovranità sulle due zone. In particolare egli fu molto rincresciuto per la nomina di prefetti nelle zone di operazioni dai due supremi commissari invece che dal governo della R.S.I. (7) Secondo una nota del Ministero degli Esteri dei Reich, "il delegato del Reich è il centro verso il quale devono affluire le questioni importanti di politica estera nell'ambito di tutto il territorio sottoposto alla dominazione tedesca in Italia. Pur non avendo il diritto decisionale, egli può far valere il suo influsso sulle trattative concernenti queste questioni, in quanto gli uffici ai quali esse affluiscono dovranno rivolgersi ed accordarsi con lui. Non viene specificato quali questioni possono essere definite di politica estera. Ma si può presumere che vi appartengano almeno quei problemi per i quali è necessario trattare con il governo nazionale fascista", cfr. STUHLPFARRER K., "Le zone di operazioni", op. cit., p. 63. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 597 STORIA LUCIANO LUCIANI Il prefetto, infatti, nell'ordinamento giuridico amministrativo italiano era nel 1943, come oggi, la massima autorità periferica dello Stato. E lo era ancor di più nel sistema centralistico fascista in quanto figura cardine della struttura di governo e di amministrazione sul territorio dello Stato e concreta presenza del potere unitario. Dopo il 25 luglio 1943, Badoglio aveva iniziato subito a sostituire ai prefetti di nomina fascista, funzionari fedeli allo Stato e non al regime. Mussolini, dopo essere ritornato al potere, fece anch'egli la stessa operazione, nominando ed insediando i capi delle province. Ma non lo poté fare nelle due zone di operazioni. E questa limitazione fu, e fu intesa così anche da Mussolini, la prova più concreta ed evidente che la R.S.I. aveva dovuto rinunciare alla sovranità nelle due zone di operazioni (8). 3. L'Alpenvorland La istituzione dell'Alpenvorland rispondeva all'esigenza immediata di un saldo controllo militare della linea di comunicazione che dal Brennero adduce a Verona, per assicurare i rifornimenti delle armate tedesche che combattevano contro gli alleati in Italia. A questa motivazione si aggiunsero, come per l'Adriatisches Küstenland, le aspirazioni annessionistiche dei circoli nazionalisti di Berlino e Vienna, i quali non avevano dimenticato che Hitler era stato costretto ad assicurare nel 1938 l'intangibilità "per sempre" della frontiera del Brennero, per ottenere l'approvazione di Mussolini all'Anschluss dell'Austria. Oltretutto la situazione politica dell'area consentiva un'occupazione nazista non problematica. Delle 3 province costituenti la zona di operazioni, quella di Bolzano era abitata in gran parte da popolazioni etnicamente tedesche e politicamente molto vicine al nazismo, in quella di Trento esistevano molti simpatizzanti per la Germania e solo quella di Belluno era pienamente di sentimenti italiani. (8) Vedi CORSINI U., "L'Alpenvorland, necessità militare o disegno politico?", in "Tedeschi, partigiani e popolazioni nell'Alpenvorland (1943-45)" . Atti del convegno di Belluno 21-23 aprile 1983, Marsilio editore, p. 42. STORIA 598 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Il supremo commissario Hofer, appena insediato, si premurò di recidere ogni legame con la R.S.I., destituendo i prefetti nominati dal governo repubblicano e nominando al loro posto uomini di sua fiducia. A Trento venne insediato l'Avv. De Bertolinis, già deputato trentino al parlamento di Vienna nel periodo precedente la prima guerra mondiale, a Belluno il vice prefetto Comm. Salvetti ed a Bolzano il dirigente del gruppo etnico tedesco Peter Hofer, soltanto omonimo del supremo commissario. Il secondo atto del gauleiter fu la modifica delle circoscrizioni delle province di Trento e Belluno, per annettere alla provincia di Bolzano alcuni comuni, i più importanti dei quali erano Cortina d'Ampezzo e Pieve di Livinallongo (Belluno). Successivamente Hofer vietò la riorganizzazione del Partito Nazionale Fascista e l'ingresso nella zona di operazioni di funzionari del governo di Mussolini. Sul piano militare l'Alpenvorland godette di una certa tranquillità. Episodi di resistenza armata ai tedeschi si verificarono con una certa intensità soltanto nelle aree meridionali delle province di Belluno e Trento e vennero represse senza particolare difficoltà dalle forze di polizia germaniche, nelle quali si erano affrettati ad arruolare numerosi elementi del gruppo etnico tedesco dell'Alto Adige. Per contro la linea di comunicazioni stradale e ferroviaria tra il Brennero e Verona venne sottoposta fino al termine della guerra a metodici bombardamenti aerei che provocarono notevoli danni e quindi intralci alla circolazione di treni e automezzi. Alla fine delle ostilità, la zona di operazioni Prealpi fu l'ultimo lembo del territorio italiano in cui si svolsero combattimenti, addirittura oltre il 2 maggio 1945, data ufficiale del termine della guerra in Italia. L'Alpenvorland era stato incluso nella "Fortezza Alpina" che comprendeva le regioni alpine del nord-est d'Italia, del sud della Germania, dell'Austria e della Slovenia. Qui si sarebbe dovuta condurre l'ultima difesa del III Reich e vi si sarebbero dovute concentrare tutte le truppe ritiratesi dagli altri fronti. Il progetto non fu potuto realizzare per lo sfacelo della Wehrmacht a seguito delle disastrose sconfitte subite nei primi mesi del 1945. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 599 STORIA LUCIANO LUCIANI Comunque quest'area era la naturale linea di ritirata dei reparti tedeschi dopo che gli alleati erano dilagati nella pianura padana. Alla fine di aprile e nei primi giorni di maggio 1945 piccoli reparti che avevano perso i collegamenti con i comandi superiori cercavano di raggiungere il Tirolo lungo le valli alpine delle province di Trento e Belluno. Qui subirono gli agguati dei partigiani che provocarono loro perdite consistenti. Fu in queste circostanze che i tedeschi si abbandonarono ad eccessi rivalendosi sulle popolazioni inermi con massacri di innocenti e incendi di paesi e villaggi. 4. Le forze contrapposte nell'Adriatisches Küstenland Nel mese di settembre 1943, la Venezia Giulia, la Slovenia e la Croazia del Nord erano presidiate dalla 2^ e dall'8^ armata, comandate rispettivamente dai generali Robotti e Gariboldi. La 2^ armata, con sede a Fiume, era articolata su tre corpi: l'XI, il V ed il XVIII. L'XI corpo occupava la provincia di Lubiana, in Slovenia e la regione di Karlovac in Croazia ed aveva alle dipendenze 3 divisioni di fanteria (Lombardia, Treviso e Cacciatori delle Alpi). Il V Corpo, su due divisioni di fanteria (Macerata e Murge) e una brigata costiera (XIV) era stanziato nella Dalmazia settentrionale comprese le isole di Veglia, Cherso, Lussino, Arbe e Pago. Infine, il XVIII Corpo aveva giurisdizione su Zara e la Dalmazia centrale, e le rispettive isole e disponeva di due divisioni di fanteria (Zara e Bergamo) e di due reggimenti bersaglieri. L'8^ armata, con sede a Padova, disponeva anch'essa di 3 corpi d'armata. In particolare, il XXIII corpo era ubicato a Trieste e nell'Istria ed aveva alle dipendenze la divisione Sforzesca e tre reggimenti costieri, oltre le truppe dei presidi di Monfalcone, Trieste e Pola. Il XXXV corpo, invece, con sede ad Udine presidiava la parte settentrionale della Venezia Giulia, da Postumia a Tarvisio ed aveva delle dipendenze la divisione alpina Julia e la divisione di frontiera Torino. STORIA 600 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Infine il XXXV corpo aveva competenza sull'Alto Adige, Trentino e pianura padana e disponeva di due divisioni alpine (Cuneense e Tridentina) ed un reggimento bersaglieri. Le due armate erano assai poco efficienti perché disponevano di organici largamente incompleti, ed erano ancorate a compiti statici di controllo del territorio e del presidio di obiettivi fisici. Le unità, in gran parte reduci dalla disastrosa campagna di Russia erano in lento riordinamento, prive di armamento pesante e di automezzi e con morale, tranne che per le unità alpine, alquanto depresso. Accanto ai reparti dell'Esercito, nelle basi, nei porti e lungo i litorali erano stazionate numerose unità della Marina. Limitatissimi sia per uomini sia per mezzi, erano i reparti dell'Aeronautica. Dopo l'8 settembre, mentre le forze armate italiane si dissolvevano, il XCVII Corpo d'Armata germanico assumeva rapidamente il controllo del territorio ad est del Tagliamento, costituendo successivamente l'ossatura del sistema di occupazione. Il comando delle operazioni fu assunto dal generale delle truppe da montagna Ludwig Kübler, con sede prima ad Abbazia e poi, dal dicembre 1943, a Cormons. Le forze operative erano costituite dalla 71^ divisione di fanteria, dalla 188^ divisione alpina e dalla 162ˆ divisione costituita da truppe ucraine, turchestane e azerbagiane. Verso la metà del 1944 la 71^ divisione fu sostituita dalla 278^ divisione di fanteria ricostituita con i resti della 332^ e 333^ divisione in parte annientate sul fronte orientale. Nell'estate del 1944 la 162^ e la 278^ divisione furono sostituite dalla 237^. Nel 1944 numerose unità tedesche reduci dal fronte orientale furono inviate nella Venezia Giulia per alcune settimane di riposo e per essere riorganizzate. Verso la fine della guerra furono stanziate nella regione reparti della costituenda 24^ divisione da montagna "Cacciatori del Carso", che avrebbe dovuto essere formata da volontari altoatesini e da collaborazionisti italiani, sloveni e croati. Il numero degli arruolati non raggiunse però il numero sufficiente per costituire soltanto una brigata. Nel Litorale operarono anche unità organiche della Repubblica di Salò. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 601 STORIA LUCIANO LUCIANI All'indomani dell'8 settembre 1943, dopo la costituzione della zona di operazioni Litorale Adriatico, i tedeschi accettarono a malincuore la costituzione di reparti che in qualche modo facevano capo ad autorità fasciste. Tutti i reparti italiani vennero posti alla dipendenza, che allo stato dei fatti risultò puramente nominale, perché essi difatti ricevevano ordini solo dai comandi locali tedeschi, del CCIV Comando Militare Regionale di Trieste, affidato al generale Giovanni Esposito. Dal C.M.R. dipendevano (soltanto nominalmente) i Comandi provinciali di Trieste (31°), Pola (34°) e Fiume (35°). Il CMP di Trieste era strutturato su reparti della consistenza complessiva di 7 battaglioni. I Comandanti di Pola e Fiume disponevano di forze di varie Armi e servizi e della Marina ammontanti a circa 6 battaglioni ciascuno. Il reparto della RSI più efficiente operante nell'area era la X Mas che comprendeva il reggimento San Marco, il reggimento San Giusto ed il battaglione Folgore. La X Mas era alle dipendenze del Comandante Junio Valerio Borghese che rivestiva anche la carica di Sottosegretario alla Marina del Governo di Salò. Borghese riuscì ad operare con una certa autonomia dai tedeschi, cercando sempre di far valere l'italianità della Venezia Giulia. Ciò costituiva disturbo alla politica di Rainer che cercò da subito di ottenere l'allontanamento della X Mas dal Litorale, riuscendovi, soltanto parzialmente, alla fine del 1944. Alcuni ufficiali della X MAS furono protagonisti di contatti trasversali con colleghi che militavano nella Marina del sud, ove l'Ammiraglio De Courten, ministro della Marina del governo Badoglio, aveva predisposto un piano, che prese il suo nome, per uno sbarco di unità di élite delle FF.AA. nella zona di Trieste, trasportate da navi della Marina militare italiana, con l'appoggio di gruppi di artiglieria della X MAS che avrebbero dovuto proteggere l'operazione da terra. Il piano sarebbe divenuto operativo al momento del crollo tedesco per prevenire l'occupazione dell'Istria da parte Jugoslava. Il progetto fu preventivamente presentato agli anglo-americani, che però, per non compromettere i rapporti con Tito, loro alleato nei Balcani, avrebbero dovuto fingere di ignorare la missione. STORIA 602 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND In tale quadro, emissari dello S.M. della Marina del sud si infiltrarono nel nord ed ebbero colloqui con il ministro della Marina repubblicana, Ammiraglio Sparzani e con il comandante Borghese. Entrambi si dichiararono disposti a collaborare, ma misero in evidenza l'estrema difficoltà di operare all'insaputa dei tedeschi, che per prevenire evenienze del genere avevano ufficiali di collegamento ovunque, anche nei minori reparti. Altri contatti furono presi con le autorità del nord nei primi mesi del 1945, ma in tali occasioni emerse anche la contrarietà al piano del C.L.N. della Venezia Giulia, ufficialmente perché la X Mas veniva ritenuta inefficiente e comunque invisa alla popolazione. Col passare del tempo, l'atteggiamento degli Alleati, inizialmente favorevoli al piano De Courten, mutò, perché essi avevano scelto di appoggiare con decisione Tito e non erano più disposti a correre il rischio che un'operazione, sia pur condotta da soli reparti italiani, ma con avallo e copertura alleata, pregiudicasse i difficili equilibri balcanici che intendevano costruire. Il piano De Courten, così come era stato concepito, risultò sin dall'inizio irrealizzabile e quindi velleitario, perché le decisioni non tenevano conto delle connesse implicazioni politiche (9). I tedeschi, con l'aiuto marginale delle milizie non solo italiane, ma anche slovene (domobranci) e croate (ustascia) erano impegnati a fronteggiare le forze della guerriglia che erano incentrate sul IX Corpus sloveno stanziato nelle provincie di Gorizia e Trieste ed in parte di quella di Pola, dell'VIII Corpus operante nella provincia di Lubiana e della 13^ Divisione croata dell'XI Corpus dislocata nella restante parte della provincia di Pola ed in quella di Fiume. I primi due reparti facevano capo all'E.P.L. (Esercito Popolare di Liberazione) sloveno ed il terzo all'E.P.L. croato. (9) Sull'argomento cfr. DE FELICE S., "La Decima flottiglia MAS e la Venezia Giulia 1943-45", Edizioni Settimo Sigillo, 2000, pp. 108-127; ROMANO P., "La questione giuliana 1943-47", Lint Ed. 1997, pp. 104-116; DE COURTEN R., "Le memorie dell'ammiraglio De Courten 1943-46", U.S.M.M., Roma 1993, pp. 545-555; ANDRIOLA F., "1944-45: la strana alleanza tra marinai del sud e della R.S.I. per difendere Trieste e le terre dell'Est", in bollettino d'archivio dell'Ufficio Storico della Marina Militare, Roma, anno XII, marzo 1988, pp. 119-142. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 603 STORIA LUCIANO LUCIANI Subito dopo l'armistizio, si costituirono ed operarono, in un primo momento autonomamente, diverse formazioni partigiane, espressione della resistenza del gruppo etnico italiano. La prima fu la brigata proletaria triestina con base di operazione nel Carso tra Gorizia e Monfalcone. La brigata combatté contro i Tedeschi con alterne fortune, sempre assillata da difficoltà logistiche che la costrinsero a chiedere appoggio al IX Corpus con la conseguenza di perdere progressivamente la sua autonomia anche operativa, finché, nell'autunno del 1944 la brigata che nel frattempo aveva assunto la denominazione di "14^ Brigata d'assalto Garibaldi-Trieste" non venne prima smembrata cedendo i suoi battaglioni ad altre formazioni slovene e poi trasferita fuori dai confini nazionali, alle dipendenze dell'VIII Corpus della Slovenia. Tale strategia dell'E.P.L. della Slovenia era stata attuata in quanto la brigata Garibaldi - Trieste, con l'afflusso di un numero notevole di italiani (oltre 2000) che avevano deciso di partecipare alla guerra partigiana, aveva assunto una consistenza tale da preoccupare le autorità slave che vedevano l'eccessiva presenza di combattenti italiani nei territori oggetto di rivendicazione, pregiudizievole degli interessi nazionalisti del proprio gruppo etnico. La seconda, fu la divisione partigiana Osoppo, definita anche brigata bianca, sorta da preesistenti reparti alpini i cui componenti dopo l'8 settembre si erano data alla macchia, e che operava nell'area compresa tra Isonzo e Tagliamento. La Osoppo mantenne sempre, ed a qualunque costo, la sua connotazione di italianità e ciò la costrinse a combattere i nazifascisti guardandosi sempre le spalle dalle formazioni slave dell'E.P.L. Che i timori dei partigiani italiani non fossero infondati lo dimostrò, il 7 febbraio 1945, l'episodio di malga Porzus allorquando il comandante e lo stato maggiore della Osoppo furono sterminati con l'inganno da emissari del IX Corpus sloveno (10). (10) Nell'area di competenza della Osoppo operava anche la brigata comunista Garibaldi STORIA 604 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Altre formazioni partigiane che subirono sorte analoga alla brigata proletaria triestina, furono la brigata Istria, il battaglione italiano antifascista, il battaglione italiano d'Istria, il battaglione Budicin. I reparti furono sciolti ed i patrioti inquadrati in unità slave. Solo il Budicin poté godere di una certa autonomia, in quanto inquadrato con comandante e commissari politici croati o italiani che militavano nel partito comunista croato. Verso la fine della guerra i pochi combattenti italiani della Resistenza rimasti nella Venezia Giulia furono trasferiti nelle zone più remote della Slovenia e della Croazia. Solo dopo il 20 maggio 1945, alle brigate Trieste e Fontanot, che avevano combattuto nella Slovenia interna, fu concesso di raggiungere Trieste. 5. Le operazioni militari nel Litorale Adriatico All'indomani dell'8 settembre 1943, a seguito della dissoluzione delle Forze Armate italiane, il controllo del territorio della Venezia Giulia, ad eccezione dei capoluoghi di provincia, passò agli esponenti politici della popolazione slava e croata, con il determinante aiuto degli elementi della resistenza. (segue nota) (diversa dalla Garibaldi Trieste) dipendente direttamente dal IX Corpus, che ostacolava l'azione della Osoppo stessa fino quasi ad annullarne l'efficienza. Lo scontro tra le due formazioni italiane, inizialmente ideologico, ebbe un drammatico epilogo con l'eccidio del 7 febbraio 1945 a Malga Porzus. Nel novembre 1944 Togliatti aveva ordinato che i reparti partigiani dell'area del Natisone passassero alle dipendenze del IX Corpus. La Garibaldi accolse entusiasticamente l'ordine, che invece fu sdegnosamente respinto dalla Osoppo. Ed allora fu decisa l'eliminazione fisica dei ribelli, affidandone l'esecuzione a Mario Toffanin, detto Giacca. Questi preparò un tranello nel quale caddero il comandante della Osoppo, capitano Francesco De Gregari, Gastone Valente, Giovanni Comin ed Elda Turchetti; nei giorni successivi i garibaldini trucidarono altri 17 osovani, tra i quali Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo ed il sottobrigadiere della Guardia di Finanza Pasquale Mazzeo, vice intendente della stessa unità. Dopo la fine della guerra Toffanin fu fatto espatriare dal partito comunista di Udine, su sollecitazione di Togliatti, per sottrarlo alla condanna all'ergastolo inflittagli dalla Corte d'Assise di Lucca per i fatti di Porzus. Successivamente fu graziato dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini, ma rimase in Yugoslavia, ove comunque continuò a percepire la pensione di ex combattente elargitagli dallo Stato italiano. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 605 STORIA LUCIANO LUCIANI La presa del potere nelle singole località avvenne senza spargimento di sangue, in quanto i rivoltosi furono agevolati dal disorientamento delle autorità e della popolazione italiana dovuto all'armistizio. Dopo qualche giorno, però, iniziarono le vendette e le ritorsioni non solo nei confronti dei fascisti, ma anche di coloro che avevano l'unico torto di essere italiani. Le fucilazioni, gli infoibamenti, l'affondamento di persone vive in mare divennero abituali e tutto ciò con le tecniche della pulizia etnica, che verrà nuovamente messa in atto negli anni 90 durante la guerra conseguente alla dissoluzione della ex Jugoslavia. Le città capoluogo di provincia, furono, invece, risparmiate da tali orrori, in quanto in esse era preponderante l'elemento italiano. La presenza di forze armate italiane, molto consistente, consentì inoltre di mantenere saldo l'ordine pubblico fino alla presa del potere da parte dei tedeschi, che disponevano nella regione di forze esigue, ma concentrate nelle città. Successivamente, per garantire la sicurezza delle linee di comunicazione con la penisola balcanica, l'O.K.W. ed il gruppo di eserciti B del generale Rommel, ordinarono una operazione contro le forze partigiane con l'obiettivo di riaffermare il controllo tedesco nella Venezia Giulia e particolarmente nell'Istria. L'offensiva, denominata operazione Wolkenbruch (nubifragio), ebbe inizio nella notte sul 2 ottobre 1943 (11) e fu condotta sotto il comando del generale delle SS Paul Hausser che aveva alle dipendenze le divisioni corazzate delle SS Prinz Eugen e Leibstandtarte Adolf Hitler, unità della 162^ divisione turkmena, la 24^ e la 44^ divisione di fanteria corazzata, la 71^ divisione di fanteria, ed infine, poco consistenti unità fasciste repubblicane da poco ricostituite. Il comando operativo dell'E.P.L. dell'Istria, invece, poteva contare su non più di 10.000 partigiani bensì imbaldanziti dalla resa italiana ed equipaggiati con le armi predate ai nostri militari sbandati, ma che non potevano sperare di tener testa con qualche possibilità di successo alle ben più potenti forze tedesche, ammontanti ad oltre 36.000 uomini (12). (11) LA PERNA G., Pola - Istria - Fiume, Mursia, 1993, p. 198 e ss. (12) RUMICI G., Infoibati (1943-45), Mursia 2002, p. 101. STORIA 606 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND L'operazione Wolkenbruch ebbe un'attuazione rapida ed incisiva che consentì di rioccupare il territorio ed annientare la resistenza slava, con l'impiego massiccio dell'aviazione e di unità corazzate. I tedeschi penetrarono nell'Istria con tre colonne, precedute da intensi bombardamenti aerei, e in pochi giorni raggiunsero tutte le principali località sulla costa e nell'interno e annientarono e costrinsero alla fuga verso località di montagna impervie i reparti partigiani. Nuclei della resistenza cercarono in qualche modo di rallentare l'avanzata nazista impegnando gli avversari con imboscate, colpi di mano e agguati alle colonne avanzanti, che, per reazione si rifecero sulla popolazione civile, anche di etnia italiana, con fucilazioni indiscriminate, violenze, incendi di villaggi e saccheggi. L'operazione Wolkenbruch si concluse il 9 ottobre con la conquista di Rovigno, ultima roccaforte della Resistenza. Il rastrellamento dell'Istria proseguì per tutto il mese di ottobre con una tale brutalità nei confronti non solo del movimento partigiano ma anche verso i civili innocenti di tutte le etnie, che fece salire le perdite tra insorti, partigiani, fiancheggiatori e soprattutto estranei al movimento partigiano a circa 2.500 persone. A novembre la situazione militare poteva dirsi normalizzata a favore dei tedeschi e per quasi un anno e mezzo l'Istria, Fiume ed il territorio della provincia di Gorizia ad ovest dell'Isonzo venne tenuto sotto controllo, sia pure con qualche difficoltà, dalle autorità dell'Adriatische Küstenland del gauleiter Rainer e del Comandante della Polizia, generale delle SS Globocnik. Le forze partigiane slave e italiane entrarono nella clandestinità e si limitarono ad attività di indottrinamento politico e di operazioni di guerriglia contro i presidi di occupazione isolati, in gran parte costituiti da piccole unità italiane aderenti alla R.S.I. e di preparazione all'insurrezione generale. Rimasero invece saldamente in mano all'E.P.L. le Alpi Giulie da Tarvisio al golfo del Quarnaro e qualche area rurale interna lontana dalle rotabili principali. In questa fase di riorganizzazione gli appartenenti alle unità partigiane di ispirazione italiana furono brutalmente poste avanti ad un 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 607 STORIA LUCIANO LUCIANI bivio: o perdere la connotazione di nazionalità mediante la dispersione dei singoli elementi nelle formazioni slave ad ovest e soprattutto ad est del vecchio confine italo-jugoslavo, oppure essere passati per le armi. È questa la sorte che toccò al capitano dell'Arma Filippo Casini, Comandante del gruppo di Pola, che passò alla Resistenza nell'estate del 1944 con oltre 100 carabinieri con l'intento di costituire un polo di riferimento dei partigiani di etnia italiana. I rapporti con gli slavi si fecero subito molto tesi, quando apparve chiaro che essi combattevano i nazisti per annettere alla Jugoslavia tutta la Venezia Giulia. Il capitano Casini venne ben presto isolato dai suoi uomini che furono dispersi nei reparti a preponderanza slava e fucilato, il 14 agosto 1944 assieme alla moglie (13). Nella seconda metà del 1944 la zona di operazioni del litorale Adriatico vide accentuarsi la sua importanza perché l'inarrestabile avanzata dell'Armata Rossa verso il centro dell'Europa aveva indotto Hitler a vagheggiare la costituzione della "fortezza alpina" che nel suo lato sud avrebbe dovuto incentrarsi sulle due zone di operazioni Alpenvorland (province di Bolzano, Trento e Belluno) e Adriatisches Küstenland. Il tale quadro l'O.K.W. decise di fortificare le coste dell'alto Adriatico fino a Fiume e di ripristinare le vecchie fortificazioni italiane a protezione del confine orientale. Quest'ultima linea, con caposaldo la città di Fiume era denominata "Ingrid" e controllava l'accesso dai Balcani. Verso la fine della guerra la Venezia Giulia divenne un grande cantiere di lavoro affidato all'organizzazione Todt che impiegò mano d'opera reclutata coattivamente, ammontante fino a 10.000 uomini dai 14 a 60 anni. L'aumentata importanza strategica della regione richiese un potenziamento della attività antiguerriglia, condotta con vaste azioni di (13) Cfr. "Il Carabiniere", n.11/1960 - La reazione nazifascista alla defezione del Capitano Casini fu drastica. Tutti i carabinieri in servizio nell'Adriatisches Küstenland furono disarmati e posti di fronte all'alternativa di arruolarsi nelle SS tedesche, alla MTD italiana o di essere internati in Germania. Solo un terzo scelse la prima possibilità mentre i rimanenti presero la via della prigionia. Nel successivo mese di agosto i nazifascisti disarmarono anche i carabinieri in servizio nel territorio italiano, formalmente appartenenti alla RSI, deportando la stragrande maggioranza in Germania, e ciò a causa della scarsa fiducia che i tedeschi nutrivano nei confronti dell'Arma. STORIA 608 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND rastrellamento a largo raggio a cui presero parte anche numerosi reparti della R.S.I. Lo spiegamento di consistenti forze nazifasciste costrinse l'E.P.L. ad ordinare il ritiro delle unità partigiane dall'Istria e paralizzò ogni attività politica e militare della Resistenza (14). Tra l'autunno del 1944 e la primavera del 1945 i nazifascisti divennero padroni assoluti della situazione nella penisola, completamente sgombra da significative forze slave. Nella provincia di Gorizia, invece, i partigiani delle zone collinari e montane mantennero fermamente le posizioni essendo risultate le azioni di controguerriglia di tedeschi ed italiani inefficaci. Qui ebbe un ruolo importante nella repressione la X Mas che con 4 battaglioni impegnò gli insorti nel territorio di Tarnova subendo perdite pesantissime senza poter raggiungere gli obiettivi prefissati. Nella zona quindi il controllo del territorio rimase nelle mani del IX Corpus sloveno. Il flusso e riflusso delle battaglie ai confini esterni della Venezia Giulia aveva creato due schieramenti contrapposti peraltro non molto omogenei al loro interno. Da una parte, a lato dei tedeschi operavano le forze della R.S.I., degli ustascia croati, dei domobranci sloveni e croati, dei cetnici serbi e la divisione cosacca in Carnia. Nella Resistenza militavano, oltre ai partigiani dell'E.P.L. di Tito, i combattenti italiani del C.L.N., i partigiani italiani aderenti ai partiti comunisti croato e sloveno, nonché un battaglione sovietico composto da ex prigionieri di guerra caucasici. Nel mese di marzo 1945, appalesatosi il declino irreversibile della potenza militare tedesca, Tito costituì la 4^ armata jugoslava, al comando del generale Peter Draspin, e le affidò la missione di attaccare le forze germaniche lungo la costa dalmata a sud di Fiume e successivamente, superato il confine orientale italiano, di puntare direttamente su Trieste (15). (14) GIURICIN L., Istria, teatro di guerra e di contrasti internazionali, Quaderni, C.R.S. Rovino 2001, vol. XIII, pp. 211-212. (15) La 4^ armata fu costituita con ordinanza del 2 marzo 1945 ed inizialmente dispose del IV Corpus (7^ ed 8^ divisione d'assalto), ciascuna su tre brigate e XI Corpus (13^ divisione 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 609 STORIA LUCIANO LUCIANI Il Comando jugoslavo subordinò all'esecuzione dell'"operazione Trieste" ogni altra attività della 1^, 2^ e 3^ armata, perché obiettivo di Tito era di impadronirsi della Venezia Giulia e di Trieste prima che vi giungessero gli alleati, in modo da porre un'ipoteca territoriale da far valere sul tavolo della pace ai danni dell'Italia. Per raggiungere prima possibile Trieste, gli jugoslavi rinunciarono ad occupare Zagabria e Lubiana, le capitali delle future repubbliche di Croazia e Slovenia, che vennero infatti liberate ben dopo il 7 maggio 1945, giorno della fine della guerra in Europa. La difesa tedesca era impostata su potenti capisaldi collegati tra loro da forze mobili. La posizione difensiva dal Vallone di Buccari sviluppandosi con direzione nord-sud raggiungeva M.Nevoso. La linea proseguiva poi per S.Pietro del Carso e Postumia. Il generale Kübler schierò il nerbo delle sue forze, costituito dalla 237^ divisione a sud, a protezione di Fiume, ritenendo che la 4^ armata avrebbe cercato di sfondare proprio in corrispondenza del Quarnaro. Egli stesso pose il suo quartier generale a Villa del Nevoso, in posizione molto avanzata e affidò la restante linea a reparti di collaborazionisti serbi e croati. Più a nord, a protezione di Trieste schierò la 188^ divisione e affidò la difesa costiera e la difesa delle isole di Veglia, Cherso e Lussino a reparti italiani e battaglioni presidiari tedeschi (16). La battaglia iniziò il 17 aprile con il violento attacco della 4^ armata sulla direttrice Dolnice-Fiume sbarrata dalla 237^ divisione tedesca. Nei quattro giorni successivi gli slavi riuscirono a conquistare le posizioni avanzate tedesche, ed a infiltrarsi in qualche punto, ma la difesa principale impostata sulla linea Ingrid, non venne sostanzialmente intaccata. (segue nota) dalmatica e 43^ divisione istriana anch'esse su tre brigate). Il 14 aprile le vennero assegnati in rinforzo il VII Corpus (15^ e 18^ divisione slovena), il IX Corpus (30^ e 31^ divisione slovena), le divisioni 9^, 19^, 20^, 26^ dalmatiche, le divisioni 34^ e 35^ slovene, una brigata carri, una brigata genio ed una brigata di artiglieria. (16) LA PERNA G., Pola, Istria, Fiume (1943-45), cit. p. 317 STORIA 610 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Contemporaneamente, però, la 26^ divisione dalmatica aveva attaccato l'isola di Veglia, riuscendo in breve tempo ad annientare il presidio nazifascista. Nei giorni seguenti quest'operazione diversiva proseguì con l'occupazione delle isole di Cherso e Lussino, blandamente difese. Veniva così acquisita dall'EPL una importante base di partenza per aggirare, attraverso sbarchi sulle vicine coste meridionali istriane, le difese tedesche della linea Ingrid. Il 24 aprile la situazione era la seguente: al centro, sulla direttrice Trieste-Fiume i tedeschi resistevano agli attacchi ed anzi avevano in corso una controffensiva, che però veniva bloccata dall'accorrere delle riserve della 4^ armata. Ad ovest, invece, cominciava a pronunciarsi un 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 611 STORIA LUCIANO LUCIANI aggiramento attraverso sbarchi di unità partigiane provenienti dalle isole, sulla costa tra Pola e Fiume che tendevano ad attaccare il fianco destro del XCVII C.A. tedesco. Era in corso anche un attacco sussidiario slavo contro il fianco est, nel settore subito a nord di M.Nevoso, difeso da unità cetniche e ustascia. Nei giorni successivi la situazione per i tedeschi si deteriorò perché il fianco est cedette all'irruzione di forze partigiane in corrispondenza di Villa del Nevoso. La 4^ armata sfruttò immediatamente la circostanza favorevole: variò la gravitazione degli sforzi dal settore centrale, sulla direttrice Fiume - Trieste, al settore orientale sulla direttrice Villa del Nevoso-Trieste e diede ulteriore impulso all'infiltrazione verso est e poi verso nord delle unità sbarcate sulle coste istriane. Il 29 aprile fu la giornata cruciale: la 4^ armata irruppe con la sua divisione da est e da sud verso Trieste, aggirando ed accerchiando il grosso delle forze del XCVII C.A. che era concentrato al centro ed al sud della penisola istriana. Mentre a Trieste iniziava l'insurrezione del CLN locale muovevano verso il capoluogo giuliano la divisione Hercegovina, da poco assegnata alla 4^ armata, che sopraffatto il presidio nazifascista di S.Pietro del Carso il 30 aprile raggiungeva Villa Opicina, il IX Corpus sloveno che dalla selva di Tarnova, a nord, attraverso Monfalcone raggiungeva anch'esso i sobborghi di Trieste ed infine la 20^ divisione dalmatica, che marciava verso il suo obiettivo provenendo da sud, dopo essere sbarcata sulla costa ad ovest di Pola. Il grosso del XCVII C.A. tedesco si trovò così assediato tra Fiume e Pisino ed attaccato furiosamente da ogni parte. La battaglia, in questo settore infuriò dal 29 aprile al 1° maggio, quando il generale Kübler decise di tentare lo sfondamento verso la direttrice Postumia-Lubiana, per mettere in salvo il grosso delle sue forze. Un deciso attacco dei tedeschi su Villa del Nevoso riuscì a sfondare il 3 maggio l'accerchiamento della 4^ armata. Attraverso il varco i reparti iniziarono a ripiegare, ma vennero attaccati da tutti i lati dalle forze partigiane richiamate con urgenza in zona. Nei due giorni successivi i combattimenti si svolsero furiosi ed incessanti e la manovra tedesca venne arrestata. Il generale Kübler, il 6 maggio, vista l'impossibilità di svincolarsi, decise di capitolare ed ordinò alle sue truppe di deporre le armi. STORIA 612 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Alle prime ore del 1° maggio l'accerchiamento di Trieste era completato. In città intanto il C.N.L. aveva ordinato l'insurrezione ed i reparti del C.V.L. affiancati da molti militari della Guardia di Finanza, dell'Arma e della Guardia Civica costrinsero i tedeschi ad asserragliarsi in pochi edifici protetti ed in alcune caserme di Villa Opicina (17). I tedeschi qui cedettero le armi il 3 maggio quando la 2^ divisione neozelandese, avanguardia dell'8^ armata inglese che aveva occupato l'Italia nord-orientale, inviò una colonna a Trieste per accogliere la resa delle ultime unità germaniche. Nel frattempo, i militi slavi della 4^ armata erano dilagati in città e dopo una brevissima convivenza pacifica con le forze della resistenza triestina, avevano iniziato a praticare una brutale pulizia etnica preliminare ad una slavizzazione della popolazione che avrebbe dovuto consentire al maresciallo Tito di rivendicare Trieste alla Jugoslavia. Per prima cosa furono rastrellati i fondi della Banca d'Italia, poi furono trucidati molti carabinieri e finanzieri, che pur avevano partecipato con il CLN alla liberazione della città ed infine furono saccheggiati gli archivi politici della Questura a fini di futuri ricatti. Contemporaneamente, sotto la labile giustificazione del collaborazionismo con i tedeschi, furono prelevati per essere infoibati comuni cittadini colpevoli soltanto di essere italiani. La piazzaforte di Pola capitolò il 6 maggio, mentre Fiume fu abbandonata dai tedeschi il 2 maggio. In tutta l'Istria per gli sconfitti non vi fu pietà. I più fortunati poterono dirsi quelli che ebbero in sorte la prigionia nei famigerati lager jugoslavi che nulla avevano da invidiare a quelli nazisti ed ai gulag sovietici (18). Per gli altri vi fu un unico destino: l'uccisione o l'infoibamento (19). (17) LA PERNA G., Pola, Istria, Fiume (1943-45), cit. p. 325. (18) Il più tristemente celebre fu quello di Goli Otok, nel quale trovarono la morte per fame e per sevizie migliaia di italiani e di jugoslavi oppositori del regime di Tito. (19) La stima delle vittime della repressione jugoslava nella primavera del 1945, ancor oggi non è univoca. In attesa di quantificazioni più certe, la stima di circa diecimila persone eliminate nelle foibe o nei campi di concentramento può essere ritenuta attualmente il riferimento più valido, tale comunque da inquadrare il fenomeno entro le reali dimensioni di genocidio che esso ha assunto e da spiegare il suo profondo radicamento nella coscienza della popolazione giuliana. Al riguardo cfr. OLIVA G., "La resa dei conti", Mondadori editore, Milano 1999, pp. 172-178. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 613 STORIA LUCIANO LUCIANI 6. Struttura amministrativa ed attività politica nell'Adriatisches Küstenland Ogni attività politica ed amministrativa nella zona di operazione ruota attorno alla figura del supremo commissario Friedrich Rainer. Egli con il crollo del fascismo in Italia non solo intuì la possibilità di far ritornare la Venezia Giulia nell'ambito dell'Austria e quindi del grande Reich, ma anche la possibilità di ritagliarsi un'area di potere personale, imitando il comportamento di altri gauleiter, specie quelli delle regioni confinarie della Germania (20). Nell'organizzazione amministrativa della regione, prima cura del gauleiter fu la scelta dei collaboratori che dovevano costituire una nuova struttura amministrativa in parte sostitutiva di quella italiana preesistente ed in parte sovrapponentesi ad essa. Poiché gli uomini da destinare ai singoli uffici, tutti di estrazione austriaca, erano limitati nel numero, perché le risorse umane del Reich erano impiegate in altre prioritarie esigenze belliche e amministrative in madrepatria, Rainer dovette far ricorso a funzionari italiani che dessero affidamento di efficienza ma soprattutto di fedeltà alla Germania ed al nazismo. L'esercizio del potere amministrativo del supremo commissario nel litorale Adriatico non fu uniforme nelle varie province. Rainer esplicò in modo pieno ed indiscusso la sua prerogativa di gauleiter nella regione ex absburgica di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume. In quest'area il controllo sugli organismi amministrativi italiani fu ferreo e venne affidato al governatore reggente, barone Wolsegger ed ai consiglieri tedeschi (deutsches beraters) affiancati con potere di veto ai singoli prefetti. L'obiettivo era qui di recidere ogni legame con l'Italia di Mussolini per preparare al meglio l'annessione della Venezia Giulia al grande Reich a guerra finita. La provincia di Udine ebbe invece sorte diversa: qui Rainer consentì che le autorità italiane corrispondessero con la RSI e che quest'ultima potesse svolgere, pur sotto tutela tedesca, limitata attività autonoma nei settori (20) APIH E., introduzione alla traduzione italiana di "Le zone di operazioni prealpi e litorale adriatico", cit., p. 23. STORIA 614 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND politici, economici e militari (21). In ogni caso fu esclusa la sovranità italiana nella Carnia, a favore dei cosacchi dell'Atamano principe Krasnov e nel tarvisiano, di fatto annesso alla Carinzia. La decisione di inviare i cosacchi in Carnia, fu assunta dal governo tedesco nel giugno 1944. Si trattava di truppe russe composte in maggioranza da ex prigionieri di guerra sovietici d'origine in gran parte cosacca che avevano deciso di ribellarsi al regime staliniano. Loro comandante era il gen. Andrei Vlassov, già comandante della XX Armata Sovietica ed eroe della difesa di Mosca nell'autunno 1941, catturato dai tedeschi nel 1942. Le divisioni cosacche calate in Italia erano, però, agli ordini diretti di ex generali zaristi, che mantenevano nei confronti di Vlassov una dipendenza solo formale, in quanto riconoscevano l'autorità del gen. Piotr Krasnow, celebre per essere stato un capo della rivoluzione antibolscevica degli anni venti. Per invogliare i cosacchi trasferirsi in Friuli, l'alto comando delle SS non aveva esitato a dichiarare che la Carnia sarebbe divenuta la loro seconda patria con il nome di "Kosakenland in Nord Italien". Nel luglio 1944 decine di treni scaricarono migliaia di uomini, donne, bambini, accompagnati da un numero altissimo di cavalli, dromedari, mucche, carrette, armi e bagagli. Complessivamente 30.000 uomini armati, di cui 10.000 cosacchi del Don, del Kuban e del Terek e 8.000 musulmani del Caucaso. Essi si installarono in Carnia, sommergendo e annientando i reparti della Resistenza, che nell'alto Tagliamento avevano creato una zona liberata. La convivenza con le popolazioni locali, inizialmente difficile, migliorò in seguito, tanto che si giunse ad un soddisfacente modus vivendi. I cosacchi, sul piano militare, riuscirono in breve tempo, grazie al numero rilevante ed alla spietatezza dei metodi operativi, a relegare (21) Al riguardo, veggasi presso l'Archivio Storico, custodito presso il Museo della Guardia di Finanza, la corrispondenza tra il Comando Generale del Corpo di Brescia e le legioni dipendenti: tra esse figura sempre la legione di Udine, ma non la legione di Trieste, i cui legami con le autorità centrali erano stati espressamente rescissi da Rainer. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 615 STORIA LUCIANO LUCIANI la guerriglia in aree marginali e assicurando così ai tedeschi un sicuro transito tra Austria e Friuli, attraverso i valichi alpini. A fine aprile 1945, sotto la pressione degli alleati, i cosacchi si trasferirono in Carinzia, dove furono fatti prigionieri dagli inglesi e dopo la richiesta di rimpatrio da parte di Stalin furono consegnati ai sovietici. Molti di loro si suicidarono gettandosi nella Drava, mentre per gli altri la sorte fu terribile: la deportazione nei gulag della Siberia, da cui ben pochi uscirono vivi. Krasnov, Vlassov e gli altri generali cosacchi, dopo un sommario processo, furono giustiziati a Mosca il 16 gennaio 1947 (22). L'ultima provincia della zona di operazioni, Lubiana, ebbe anch'essa una diversa sistemazione. Rainer, dando un'interpretazione molto personale alle direttive ricevute da Hitler e pretenziosamente ritenendo di essere investito di poteri assoluti, aveva divisato di ripristinare l'antico ducato della Carniola, nei confini dell'attuale Slovenia, che alla fine della guerra sarebbe dovuto divenire uno Stato vassallo della Germania con funzioni di cuscinetto verso le pressioni provenienti dai Balcani (23). In quest'ottica delirante, egli insediò a Lubiana quale governatore provinciale il generale sloveno Rupnik, già ufficiale dell'esercito austroungarico, dal quale dipendevano oltre 10.000 domobranci che costituivano una milizia anticomunista che collaborava con i tedeschi (24). Due furono i settori dove il supremo commissario rivolse la sua attenzione: il primo si riferiva all'ordine pubblico ed era di cruciale importanza per la sopravvivenza della zona di operazioni nella quale la resistenza antinazista, almeno in un primo tempo aveva preso il sopravvento. (22) PISANÒ G., "Storia della Guerra Civile in Italia - 1943-45", vol. III, Centro Editoriale Nazionale, Roma, 1981, pp. 1287-1298. (23) Deposizione di Rainer al giudice istruttore del tribunale militare della 4^ Armata Jugoslava. Fascicolo 924 dell'Istituto per la Storia del movimento operaio - Lubiana, 1947. (24) LA PERNA G., op.cit., p. 77. STORIA 616 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Per queste esigenze Rainer disponeva di un personaggio adatto al ruolo: si trattava del generale delle SS Odilo Lotario Globocnick (25). Uomo di una ferocia leggendaria, egli si distinse subito nelle repressioni dell'ottobre 1943. Tenne poi saldo, fino alla fine della guerra l'ordine pubblico (in senso nazista) corrispondendo appieno alle aspettative del suo capo. Il secondo settore era quello amministrativo. La direzione del litorale adriatico, alla quale era preposto il rappresentante permanente del supremo commissario, governatore Wolsegger, si articolava in dieci sezioni tra le quali le più importanti erano gli interni, le finanze, la giustizia e l'economia. L'ordinamento giuridico era impostato sulle ordinanze del supremo commissario: le preesistenti norme italiane avevano vigenza solo se non in contrasto con quelle emanate da Rainer. L'azione del commissario si trovò ben presto a interferire con altre autorità in tre settori: il settore delle operazioni militari ove i comandi della Wehrmacht rivendicavano una completa autonomia; i rapporti con le autorità di governo italiane della R.S.I. che non si rassegnavano ad essere completamente escluse dall'amministrazione della regione; le complesse relazioni con i dirigenti pubblici italiani della Venezia Giulia che avevano accettato di collaborare con i nazisti con la riserva mentale di fare il doppio gioco a favore del governo di Salò al fine di salvaguardare l'italianità della Venezia Giulia, e con i rappresentanti dei gruppi etnici croato e sloveno che trovavano un ambiente favorevole presso le autorità del Litorale. (25) Globocnick, figlio di un funzionario asburgico, nacque a Trieste e vi risiedette fino al 1923, anno nel quale si trasferì in Carinzia ove conobbe e frequentò il futuro gauleiter Rainer. Nazista della prima ora, fu nel 1939 vice gauleiter a Vienna, ma venne allontanato dalla carica perché coinvolto in una vicenda di speculazione di valuta. Allo scoppio della guerra fu riabilitato ed inviato a comandare la polizia del distretto di Lublino, nella Polonia occupata ove ebbe modo di dimostrare la sua ferocia nella repressione del dissenso politico. Anche qui inciampò in un affare di tangenti e fu momentaneamente allontanato dalle SS. Il suo amico Rainer brigò perché fosse nuovamente riabilitato e lo fece divenire il suo braccio destro a Trieste con l'incarico di capo delle SS dell'Adriatisches Künstenland. Morì suicida nel maggio 1945 per non cadere prigioniero degli alleati. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 617 STORIA LUCIANO LUCIANI 7. I rapporti intertedeschi Come si è visto l'istituzione delle zone di operazioni rispondeva ad esigenze essenzialmente di natura militare e quindi a rigor di logica avrebbero dovuto far capo ad un comandante militare, come in effetti avvenne nella zona di operazioni sud affidata al feldmaresciallo Kesselring. La nomina di due alti gerarchi del partito nazista quali supremi commissari dell'Alpenvorland e dell'Adriatiches Küstenland era invece frutto di intromissioni politiche dell'entourage di Hitler tendenti a porre le basi ad una futura annessione delle due regioni al grande Reich. Anche se il Führer mai si espresse in questo senso, i due gauleiter Hofer e Rainer interpretarono la loro nomina come missione a governare la transizione delle due regioni dall'Italia alla Germania e si comportarono sempre di conseguenza. Fin da subito essi intesero il loro ruolo simile a quello di un governatore di una colonia o di un paese sottomesso ed in tale veste pretesero di disporre anche delle forze militari tedesche stanziate nel territorio per condurre, specie nella Venezia Giulia, operazioni antiguerriglia. A ciò si oppose, molto fermamente, la Wehrmacht che considerava la guerra contro i partigiani non già semplici operazioni di polizia, di competenza delle autorità civili, ma giustamente vere e proprie operazioni belliche da condurre sotto l'esclusiva dipendenza delle autorità militari. Comandante militare delle truppe operanti sul Litorale era il generale Ludwig Kübler che dipendeva dal Comandante militare dell'Italia settentrionale (gruppo di armate B) generale Rommel fino al 21 novembre 1943 e poi generale Witthof. Un altro punto di frizione era costituito dai rapporti dei due gauleiter con l'ambasciatore Rahn (26), nominato da Hitler "delegato plenipotenziario del grande Reich" presso Mussolini (27). Secondo le (26) Rudolf von Rahn, entrato al ministero degli esteri nel 1928, percorse i vari gradi della carriera diplomatica sino a quello di addetto d'ambasciata a Parigi (1940). Poco dopo l'occupazione della Francia divenne rappresentante della Germania a Vichy e poi a Tunisi (1942). Nell'agosto 1943 fu nominato ambasciatore a Roma e plenipotenziario presso la R.S.I. (27) Comma VII dell'ordinanza del Führer del 10 settembre 1943. STORIA 618 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND intenzioni del Ministro degli Esteri Von Ribbentrop, il plenipotenziario doveva essere il centro verso il quale dovevano affluire le questioni importanti di politica nell'ambito di tutto il territorio sottoposto alla dominazione tedesca in Italia. In relazione all'evolversi della situazione politica ed alla ricostituzione del partito fascista, il 10 ottobre fu emanata un'ulteriore ordinanza del Führer che conferiva maggiori poteri al Comandante militare, talché egli veniva a sostituire il delegato plenipotenziario del Reich nella funzione di terminale della direzione amministrativa in Italia. Di conseguenza anche nel Litorale il Comandante militare avrebbe dovuto avere la preminenza sul supremo commissario, ma data l'alta valenza politica di quest'ultimo, gli fu riconosciuta la supremazia sugli affari civili e politici. Il sistema di equilibrio dei poteri dava però luogo a frizioni, per cui a Berlino si sentì la necessità di costituire una "Commissione interministeriale per le questioni italiane" (I.M.A.) composta da rappresentanti dell'O.K.W., dei dicasteri interessati, e quando necessario dei due alti commissari Hofer e Rainer, nell'ambito della quale discutere le difficoltà emergenti dalla delimitazione dei poteri dei singoli uffici tedeschi nel territorio italiano occupato e ciò allo scopo di dare da Berlino una direzione unitaria a tutti i problemi italiani (28). Questo obiettivo, nonostante le dichiarazioni d'intenti, non fu raggiunto mai: gli interessi politici in gioco erano troppo importanti e coloro che erano investiti di alte responsabilità politiche o militari in Italia non si rassegnavano a vedersi limitare la propria autonomia. Fu raggiunto, comunque, un compromesso di fatto che trasferiva la risoluzione dei problemi che di volta in volta sorgevano allo spirito di collaborazione delle persone interessate che, con comprensione e fiducia reciproca, mettevano in atto di volta in volta il provvedimento più adatto alla situazione. (28) Vedi STUHLPFARRER K., "Le zone di operazioni prealpi e litorale adriatico", op. cit., p. 85. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 619 STORIA LUCIANO LUCIANI 8. Rapporti tra i supremi commissari e le autorità italiane Non era sfuggito alle autorità fasciste della R.S.I. che le zone di operazioni Prealpi e soprattutto Litorale adriatico erano state costituite anche con l'intento di anticipare una possibile annessione dei territori al grande Reich al termine della guerra, ma la sudditanza in cui versava la Repubblica Sociale nei confronti dei tedeschi impediva a Mussolini di opporsi in modo diretto alle mire dei nazisti. Egli quindi doveva limitarsi ad interferire nell'amministrazione dei territori quando gli se ne presentava l'opportunità. Diversi erano i punti di frizione. Il primo riguardava la nomina dei capi delle province, come erano denominati nel nuovo ordine fascista i prefetti, che i supremi commissari si erano attribuite. Poiché, però, la scelta delle persone da insediare nella carica era dovuta per forza ricadere su personaggi vicini al partito fascista, dato che non era stato possibile convincere nessun altro a collaborare con i nazisti, erano gli stessi capi delle province a mantenere un legame informale con Salò, tenendo al corrente le autorità del governo sugli avvenimenti nelle singole province e ricevendo suggerimenti per resistere a tutte le attività di denazionalizzazione che i tedeschi mettevano via via in opera. Il Ministro degli Interni della R.S.I. nominò i capi di quindici province, aggiungendovi anche quelli delle province di Lubiana, Trieste, Trento e Belluno. I due alti commissari ignorarono l'ordine del ministro, impedirono ai neo nominati funzionari di entrare in carica e nominarono al loro posto personaggi di loro fiducia. Tra essi vi fu Bruno Coceani, membro del consiglio nazionale del partito fascista, e vice presidente dell'unione industriali, nominato prefetto di Trieste. Il personaggio proveniva dal mondo economico-finanziario triestino e fu scelto da Rainer proprio per tenere legati a se, in qualche modo, gli industriali della città, in modo che non vi fossero resistenze al funzionamento degli stabilimenti della zona, che in buona parte producevano materiali di diretta utilizzazione bellica. Coceani assunse la carica nell'intento, poi coerentemente perseguito, di fare il possibile, dall'interno dell'amministrazione germanica, per conservare l'italianità di Trieste e STORIA 620 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND della Venezia Giulia e di mantenere integri i diritti del governo nazionale nell'area orientale (29). Egli tenne quindi al corrente Mussolini sull'attività dell'amministrazione tedesca e prese le difese del gruppo etnico italiano ogni qualvolta Rainer, per ingraziarsi sloveni e croati assumeva decisioni contrarie agli interessi nazionali. In tale quadro, il supremo commissario emanava disposizioni tutte intese a dissolvere gradualmente, nel tempo la presenza ed i segni della comunità italiana, motivando ufficialmente i provvedimenti con l'esigenza di pacificare un territorio dove i conflitti nazionali tra popoli di diverse etnie erano sempre stati causa di perturbamenti dell'ordine pubblico (30). Di conseguenza, i tedeschi riconobbero i diritti linguistici di tutti i gruppi presenti sul territorio, ispirandosi alle tradizioni sovranazionali dell'impero austro-ungarico, realizzando così due obiettivi: conquistare le simpatie di tutti coloro che guardavano con nostalgia al mito asburgico ed indebolire le posizioni della popolazione di sentimenti italiani. Mostrando di voler attenuare ogni antagonismo nazionalista, i tedeschi si proponevano alle genti giuliane come gli unici in grado di esercitare un'efficace potere di arbitrato. In tale quadro, Rainer promosse l'apertura di scuole, giornali, enti culturali in lingua slovena e croata nella speranza di cogliere le simpatie dei rispettivi gruppi etnici, anche per togliere valore ad alcune delle rivendicazioni sul movimento partigiano. Nell'attuazione della politica del divide et impera, propria del regime austro-ungarico, Rainer dette particolare importanza anche a piccoli gruppi locali quali i Cicci ed i Morlacchi dell'Istria orientale e meridionale. In Carnia, invece, i nazisti fecero immigrare gruppi di (29) Coceani si adoperò anche per migliorare, nel limite del possibile, la situazione della provincia di Zara ed in particolare la tragica situazione della città, isolata completamente dalla madrepatria e sottoposta a disastrosi bombardamenti aerei. (30) Vedi RUMICI G., "Infoibati", Mursia 2002, p. 151. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 621 STORIA LUCIANO LUCIANI cosacchi e caucasici collaborazionisti che l'avanzata dell'armata rossa aveva fatto fuggire dalle regioni di origine, promettendo loro una nuova patria, il Kosakenland, a danno dei friulani. Un'altra delle iniziative anti-italiane fu il progetto di creare nel Friuli uno Stato cuscinetto (Pfufferstaates Friaul) allo scopo di interporre tra i territori italiani ad occidente ed i territori slavi ad oriente, un'entità territoriale che fondando la sua ragion d'essere sulle secolari tradizioni culturali e folkloristiche della friulanità, togliesse spazio in quelle terre di confine ai problemi nazionalisti ed alla propaganda irredentistica degli uni e degli altri (31). Di queste iniziative, Coceani informava puntualmente il governo di Salò. Il secondo punto di frizione concerneva l'attività delle Forze Armate della R.S.I. nelle zone di operazioni. I supremi commissari fecero in modo di impedire che formazioni militari fasciste si formassero o fossero trasferite nelle aree di rispettiva competenza. Graziani, Ministro della Difesa nazionale e Capo di SM generale del governo Mussolini, dovette così rinunciare ad avere giurisdizione su due dei suoi sette Comandi militari regionali. A completare il quadro negativo sopraggiunse il divieto da parte dei tedeschi di arruolare sia coscritti sia volontari della zona di operazioni. I reparti italiani stanziati nelle zone di operazioni dovevano operare alle esclusive dipendenze dei comandi tedeschi, venendo così sottratti dalla dipendenza dello SM generale della R.S.I. Il generale Graziani stesso, in una conferenza con Rahn del 20 gennaio 1945 (32), si lamentava che per visitare reparti armati nella zona di operazioni egli doveva richiedere l'autorizzazione ai tedeschi, ottenendo però una risposta rassicurante: non si trattava di chiedere consenso o permesso, ma soltanto di preavvertire. Sta di fatto che Graziani ritenendo questa procedura poco dignitosa non si recherà mai nel Litorale Adriatico. (31) LA PERNA G., "Pola, Istria, Fiume (…)", op.cit., p. 78. (32) Archivio Centrale dello Stato Roma, Atti della Segreteria Particolare del Duce, R.S.I., carteggio riservato, busta n.13. STORIA 622 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Come si è già annotato, Rainer ed i comandi della Wehrmacht della Venezia Giulia osteggiarono in ogni modo l'insediamento nella regione di reparti delle FF.AA. della R.S.I. e cercarono ogni pretesto per impedire la loro dislocazione in territorio per il quale i nazisti avevano progetti annessionistici. Nonostante ciò reparti fascisti vennero via via a costituirsi nella Venezia Giulia ed a Fiume a partire dal 1943 ed altri ne vennero trasferiti dalle altre regioni dell'Italia settentrionale, nei mesi successivi. Anche a Zara si costituì la compagnia universitari Vukassina e qualche reparto poi trasferito dai tedeschi in Penisola (33). I tedeschi cercarono in ogni modo di opporsi a questo spiegamento di forze per limitare le conseguenze di ordine politico che potevano derivarne, con bandi che vietavano l'arruolamento del personale, la costituzione della Guardia Nazionale Repubblicana nell'ambito delle SS tedesche, ed imponendo presso ciascun reparto la presenza di ufficiali di collegamento germanici dai quali in pratica i reparti dipendevano essendo questi ultimi gli unici a disporre di mezzi di comunicazione e di sostegno logistico. Pur tra le tante incomprensioni, diffidenze e difficoltà nei rapporti con l'alleato, i reparti italiani seppero sempre assolvere con onore i compiti affidati, giungendo spesso fino all'estremo sacrificio della vita nel disperato tentativo di difendere il suolo italiano dall'invasione panslava (34). Nel quadro delle misure anti italiane assunte da Rainer, va inclusa l'ordinanza di polizia (35) con la quale si vietava a tutti i reparti militari non tedeschi operanti nella regione l'uso di bandiere e gagliardetti dai colori nazionali. (33) Per una elencazione completa dei reparti italiani impiegati nel Litorale, cfr. LA PERNA G., "Pola, Istria, Fiume", op.cit., pp. 235 e ss. (34) LA PERNA G., "Pola, Istria, Fiume 1943-45", op.cit., p. 235. (35) Ordinanza in data 22 giugno 1944 dello S.S. Sturmbannführer und Mayor der Sch. Mundhenke - facente funzioni del comandante della Polizia nella zona di operazioni Adriatisches Küstenland. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 623 STORIA LUCIANO LUCIANI La disposizione era motivata con la necessità di tutelare i diritti di tutte le nazionalità al fine di evitare l'acuirsi di pericolosi antagonismi e di garantire il normale svolgimento della vita sociale nel rispetto delle leggi. L'ordinanza, in effetti, si rivolgeva anche ai reparti collaborazionisti di nazionalità slovena e croata, ma era evidente che il provvedimento era indirizzato di fatto alle unità italiane, numericamente preponderanti. L'ordine fu accolto con indignazione dalla totalità dei comandi che non solo inviarono ferme proteste per iscritto a tutte le autorità italiane della Venezia Giulia ed ai comandi superiori, ma praticamente lo ignorarono. Per di più i reparti che non disponevano del tricolore ne furono subito dotati ed il vessillo nazionale fu esposto con grande ostentazione e con maggior frequenza rispetto a prima. I reparti continuarono ad esporre la bandiera italiana fino alla fine della guerra, senza che i tedeschi insistessero oltre nelle loro pretese. Un terzo aspetto da esaminare concerne i rapporti tra autorità germaniche di occupazione e le organizzazioni fasciste repubblicane. Indubbiamente questo aspetto è un riflesso della diffidenza con cui i tedeschi consideravano gli atteggiamenti della Repubblica Sociale. Per buona parte degli ambienti governativi del Reich l'insediamento del regime fascista repubblicano veniva considerato più un impaccio che un fattore favorevole alla comune causa della lotta alle potenze alleate. Più d'uno a Berlino avrebbe preferito un'Italia sotto un'occupazione militare tedesca, senza dover mediare con un governo formalmente alleato ma non in grado di fornire un decisivo aiuto allo sforzo militare che la Germania andava conducendo. Soltanto Hitler, che subiva ancora il fascino di Mussolini, valutava che l'alleanza con l'Italia aveva ancora un'alta valenza politica e che pertanto andava perseguita anche a costo di subire limitazioni, peraltro solo formali, nella condotta della guerra nella penisola. Questo stato di cose induceva le autorità tedesche che operavano in Italia quali rappresentante del Reich a comportarsi in modo da ignorare la presenza del governo italiano avendo quale unico limite da un lato il timore di innescare lamentele troppo vivaci di Mussolini presso Hitler e dall'altro la personale predisposizione favorevole all'alleato fascista. Sotto questo punto di vista si erano create due correnti di pensiero che da un lato facevano capo a Kesselring, comandante STORIA 624 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND militare del fronte sud che nei limiti del possibile (ed il possibile era molto ridotto) veniva incontro alle esigenze italiane e dall'altro ai supremi commissari Hofer e Rainer che già erano anti italiani prima dell'8 settembre 1943 e che successivamente lo erano divenuti ancor di più, sentendosi investiti della missione storica di pilotare il rientro nella grande Germania delle terre perdute al termine della 1^ guerra mondiale. Nel perseguire i loro intenti di snazionalizzare l'etnia italiana dalle due zone di operazioni Hofer e Rainer non facevano distinzione tra fascisti e non fascisti: anzi i primi erano più invisi perché più nazionalisti e decisi assertori, fin dalla nascita del partito, dell'italianità degli abitanti delle regioni nord-orientali. Sotto questo punto di vista, appare spiegabile perché Hofer abbia vietato non solo la ricostituzione del partito fascista repubblicano nella zona di operazioni Alpenvorland (36), ma anche l'accesso al territorio degli esponenti della R.S.I. La motivazione del provvedimento era dichiaratamente la preservazione dell'ordine pubblico che poteva essere turbato dall'esercizio anche di limitate attività di partito, ma era ovvio che l'atto rispondeva all'esigenza di non trovare intralci in tutte quelle attività che tendevano a preparare un passaggio senza traumi della regione sotto il dominio tedesco, a guerra finita. Nell'Adriatisches Küstenland, invece, Rainer fu costretto a consentire la creazione della nuova organizzazione fascista a somiglianza di quanto avveniva nelle altre regioni italiane soggette all'autorità della R.S.I. e ciò non perché non esistessero le motivazioni che avevano indotto Hofer ad una decisione contraria, ma perché nella regione Giulia era in corso una dura e feroce guerra tra partigiani e tedeschi cui partecipavano aliquote non secondarie delle forze armate italiane costituite dal governo repubblicano. Anche se il supremo commissario avrebbe volentieri fatto a meno delle unità militari italiane, in questo caso dovette soccombere alle pressioni dei comandi della Wehrmacht che giudicavano indispensabile il coinvolgimento delle FF.AA. italiane (36) Ovviamente soltanto nelle province di Trento e Belluno, perché la provincia di Bolzano era completamente in mano tedesca. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 625 STORIA LUCIANO LUCIANI nelle operazioni militari. Fu così che a Trieste, Pola, Fiume, Gorizia e Udine furono istituite le federazioni del partito fascista repubblicano, a cui aderirono soltanto i fascisti, e non tutti, che avevano svolto attività politica nel vecchio partito. Rainer intrattenne con il fascismo ufficiale rapporti molto diradati. Prevalsero in lui ed in tutto l'apparato politico-amministrativo del Litorale atteggiamenti di indifferenza se non proprio di aperta ostilità per tutto ciò che riguardava i fascisti, né mancarono situazioni nelle quali venne volutamente ignorata l'esistenza della R.S.I. Il primo affronto fu subito dai fascisti quando, come si è visto, furono nominati i prefetti e le altre cariche civili della regione, facendo così mancare alla Repubblica di Salò gli elementi più importanti per esercitare la sovranità nella Venezia Giulia. Molte altre disposizioni ferirono l'orgoglio fascista, come ad esempio il ricordato divieto per i reparti militari di esporre la bandiera nazionale e la proibizione ed estendere al territorio giuliano di bandi di arruolamento emessi dal governo repubblicano. Ben più grave per il carattere apertamente antinazionale, fu la decisione tedesca di abbattere il monumento eretto a Capodistria alla memoria del martire istriano Nazario Sauro. Nel clima particolarmente ostile a tutto ciò che era italiano, il monumento non era gradito anche perché opere architettoniche del genere, erette per perpetuare nel tempo il ricordo di avvenimenti storici di grande rilievo o per onorare la memoria di personaggi legati alla storia patria, assai poco si conciliavano con i propositi espansionistici del Reich germanico. Nel maggio 1944, infatti, i tedeschi procederanno alla demolizione del monumento con la risibile giustificazione che il complesso, situato in posizione molto aperta vicino al mare, costituiva un punto di riferimento per i bombardieri alleati diretti verso l'Austria e la Germania (37). L'avvenimento ebbe vasta eco negli ambienti italiani di Trieste e Capodistria e provocò aspre proteste presso le autorità tedesche, che caddero tutte nel vuoto. (37) LA PERNA G., "Pola, Istria, Fiume - 1943-45", op.cit., p. 243. STORIA 626 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND I fascisti giuliani erano disprezzati, umiliati ed angariati proprio per mano di quell'alleato al cui fianco essi furono costretti per amor di patria a battersi fino all'ultimo. Emblematico è il caso del federale di Gorizia Franco Frattarelli (38). Per avere sempre svolto attività a favore dell'italianità della Venezia Giulia, anche in contrasto con il prefetto conte Pace, nominato da Rainer perché nostalgico dell'impero asburgico, venne sequestrato dalle SS, incarcerato a Klagenfurt per 40 giorni, trasferito a Trieste ove permase in carcere qualche giorno ancora per essere poi liberato senza alcuna spiegazione e reinsediato a Gorizia con l'obbligo di avallare la versione di non essere stato detenuto, ma ospite di Rainer in Austria. Un'ultima testimonianza sull'ostilità tedesca al fascismo repubblicano fu l'ostracismo alla visita nel Litorale di Alessandro Pavolini, accompagnato dal Ministro della Giustizia Pisenti (39). Dopo aver ispezionato gli uffici facenti capo al regime a Udine e Gorizia, egli giunse la sera del 25 gennaio 1944 a Trieste e chiese un colloquio al Gauleiter per rappresentargli la insoddisfazione del governo della RSI su come il supremo commissario gestiva i rapporti con le autorità italiane. Rainer non solo non acconsentì all'incontro, ma delegò un suo sottoposto a ricevere Pavolini non come ministro ma solo come "camerata fascista". Quest'ultimo, indispettito, nel programmato discorso al teatro Verdi, si lasciò trascinare ad espressioni esaltate sull'italianità della Venezia Giulia ed a velate insinuazioni sul modo di agire dei tedeschi, che suscitarono vibranti applausi e grida dal pubblico contro l'amministrazione del litorale Adriatico. Per di più i fascisti locali distribuirono volantini in cui il supremo commissario veniva definito "austriaco traditore del nazionalsocialismo". Rainer ne fu indignato e lo fece sapere a Pavolini. Impedì poi la partecipazione di funzionari tedeschi al pranzo offerto dal presidente del partito e gli vietò di recarsi a Pola. (38) GANAPINI L., "La Repubblica delle camicie nere", Collezione Storica Garzanti, 1999, p. 334. (39) PIRINA M., D'ANTONIO A., "Adriatisches Künstenland 1943-45", Centro Studi Silentes Loquimur, 1992, pp. 84-85. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 627 STORIA LUCIANO LUCIANI Pavolini invece si portò a Fiume, ove tenne a rapporto i federali della Venezia Giulia, sostenendo la tesi che la zona di operazioni doveva essere inserita nella RSI, suscitando così ancora una volta l'ira di Rainer che si sentì molto sollevato quando Pavolini finalmente ritornò a Brescia. L'avversione del Gauleiter alla Repubblica Sociale si manifestò infine con l'emanazione di norme intese a controllare il confine dell'Adriatisches Küstenland ed a impedire movimenti di merci e di persone tra l'Italia repubblicana e le province dell'Istria. Questo controllo sembrò importante al supremo commissario a causa delle differenze via via emergenti tra la zona di operazioni ed il resto dell'Italia, che allora veniva definita con l'espressione, rapidamente diffusasi di "Italia del Duce", nel settore dei salari e dei prezzi, nonché delle diverse modalità usate per il richiamo al servizio militare. La sorveglianza dei confini, in un primo tempo, veniva effettuata da un piccolo numero di guardie confinarie tedesche che operava principalmente con pattugliamento e sondaggi sulle vie di maggior traffico. A tale procedura, però, si oppose il delegato del Reich, ambasciatore Rahn, facendo notare che per il governo italiano ciò equivaleva ad un ulteriore passo sulla via dell'annessione dei territori alla Germania. Rainer dovette parzialmente cedere alle obiezioni del delegato e il 1° marzo 1944 deferì i controlli non alle guardie confinarie tedesche ma ad una sezione del supremo commissariato, la VII, deputata al controllo dell'economia. Per la parte operativa, la VII sezione si avvaleva di un organismo creato ad hoc, la "Wirtschaft Polizei" (WiPo) cioè la polizia economica (40) che dipendeva dal capo della polizia e comandante delle SS Globocnik, che aveva il compito di controllare l'osservanza delle norme sul controllo dei prezzi, sul movimento delle merci ed il controllo dei confini sia verso la Croazia e soprattutto verso il territorio amministrato dal governo della RSI. La polizia economica fu costituita con ufficiali e militari della Guardia di Finanza che in ottemperanza degli ordini emanati dal governo (40) MECCARIELLO P., "La Guardia di Finanza sul confine orientale, 1918-1954", Gribaudo Editore, 1997, p. 221. STORIA 628 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Badoglio avevano continuato nel servizio d'istituto nelle loro sedi stanziali. Nel nuovo organismo furono anche sistemati alcune centinaia di carabinieri che furono così sottratti all'alternativa tra arruolamento nelle FF.AA. collaborazioniste o deportazione in Germania (41). Il controllo dei movimenti di persone da e per l'Italia del Duce, fu affidato ad un battaglione della polizia economica che presidiava i passaggi sul Tagliamento ed effettuava controlli lungo le rotabili di accesso. Tutti coloro che intendevano accedere al litorale Adriatico dovevano essere autorizzati dal supremo commissariato previa domanda al prefetto della provincia in cui intendevano recarsi, nella quale dovevano essere indicati lo scopo dell'ingresso e la prevista durata del soggiorno. L'autorità adita poteva non concedere il permesso se la presenza non fosse stata giustificata da urgenti motivi bellici (42). In questo modo, con la regolamentazione delle entrate, il supremo commissario ebbe un mezzo molto efficace per impedire l'ingresso e la permanenza di personaggi sgraditi. 9. L'agonia di Zara italiana La provincia di Zara, composta dal comune capoluogo e da quello di Lagosta, ubicato in un'isola dell'arcipelago dalmata, non venne menzionata tra i territori italiani orientali che secondo il decreto di Hitler del 10 settembre 1943 dovevano far parte del Litorale adriatico, perché il Führer aveva deciso di cedere il capoluogo dalmata allo stato di Croazia allora in potere di Ante Pavelic. Questi, fin dalla notte sul 9 settembre aveva annunciato che Hitler gli aveva concesso di annettere alla Croazia tutta la Dalmazia, Zara compresa (43). (41) MECCARIELLO P., "La Guardia di Finanza nella 2^ guerra mondiale", Museo Storico della Guardia di Finanza, Roma 1992, p. 470. (42) STUHLPFARRER K., op.cit., p. 166. (43) Le notizie che seguono sulle vicende di Zara durante la seconda guerra mondiale sono tratte dalla monumentale opera di ODDONE T., "Dalmazia, una cronaca per la storia", edito in tre volumi dall'Ufficio Storico dello SME negli anni 1987-1994 ed in particolare dal volume II che tratta il periodo 1943-44, capitolo VI, pp. 1331-1445. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 629 STORIA LUCIANO LUCIANI Subito dopo, il plenipotenziario militare tedesco a Zagabria, d'intesa con il ministro del Reich a Zagabria, invitava le truppe croate ad entrare, assieme ai tedeschi, nella città. Fortunatamente erano stanziate a Zara consistenti truppe italiane (e la città stessa era abitata nella totalità da italiani), e ciò impedì un'invasione slava, com'era avvenuto in gran parte nell'Istria. Il 10 settembre un battaglione della Wehrmacht occupava la città accolto molto favorevolmente dalla cittadinanza che temeva invece l'ingresso degli ustascia. Le autorità italiane, presero contatti con il comandante tedesco che le riconfermò nella carica. Ai carabinieri restava affidata la tutela dell'ordine pubblico. Dei sedicimila soldati italiani presenti circa cinquemila inquadrati dai propri ufficiali (due battaglioni di fanteria, un battaglione bersaglieri, un battaglione della Guardia di Finanza, un gruppo di artiglieria da campagna ed uno contraereo) avrebbero conservato le armi per la difesa della città. Questi reparti, anche se nei mesi seguenti progressivamente si ridussero di numero, si sarebbero rivelati determinanti nel contrasto che insorse sulla sorte di Zara fra i comandi operanti della Wehrmacht ed i rappresentanti diplomatici tedeschi a Zagabria che sostenevano le aspirazioni croate. Il 14 settembre giunse a Zara una delegazione ustascia per insediare la nuova amministrazione del comune ed il "gran zupano" (governatore) della Dalmazia, che fu ricevuto dal comandante tedesco, il quale ascoltò le richieste dei delegati, ma manifestò loro l'intenzione di non modificare, per il momento, lo status quo. Il comandante tedesco, nel riferire ai superiori l'esito dei colloqui motivava la sua decisione con il pericolo di sommovimenti dell'ordine pubblico nella popolazione interamente di etnia italiana. Sia il comandante della divisione che il comandante dell'armata corazzata aventi giurisdizione su Zara supportarono il loro sottoposto invitando la missione diplomatica tedesca a Zagabria a non consentire di intraprendere alcuna attività amministrativa slava fino alla completa evacuazione degli italiani. Alle difficoltà del momento si univa anche il silenzio delle autorità di Roma. Il subbuglio ed il caos intervenuto a seguito della dichiarazione dell'armistizio e poi dall'insediamento del nuovo governo fascista repubblicano, aveva fatto perdere di vista quella lontana provincia orientale d'Italia. STORIA 630 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Da Zara si cercava in ogni modo di far conoscere la reale situazione al governo e soprattutto si sollecitava la nomina di un prefetto che potesse avere l'autorità di porsi come interlocutore ufficiale davanti ai tedeschi ed ai croati. L'interruzione delle comunicazioni radio e telefoniche imponeva di ricorrere a improvvisati corrieri che non sempre erano in grado di giungere a destinazione, lasciando quindi la cittadinanza nell'incertezza circa la sorte dei messaggi inviati. Solo il 12 ottobre Mussolini veniva informato sulla situazione di Zara e disponeva la nomina di un prefetto. Il funzionario designato si rese irreperibile e quindi l'italianità della città in quel periodo fu difesa soltanto dalla Wehrmacht che non poteva rinunciare alla collaborazione dei militari italiani per combattere la guerriglia delle varie formazioni slave che dilagava nei territori extraurbani. Soltanto il 2 novembre una delegazione riuscì a raggiungere Trieste ed a prendere contatto con il prefetto Coceani, che compresa la gravità della situazione cercò in tutti i modi di collegarsi con il Ministero degli Interni, per provocare un immediato decreto di nomina di un nuovo capo della provincia, senza risultato. Riuscì soltanto a parlare con il capo della polizia che convenne sulla gravità della situazione ma che si dichiarò incompetente a rendere operativa la nomina. Di fronte a tutte le incertezze Coceani tagliò corto e fece partire per Zara un telegramma con cui, con la forma "d'ordine del Ministero degli Interni" nominava prefetto di Zara Vincenzo Serrentino, che si trovava già in città con l'incarico di comandante dell'artiglieria contraerea. Contemporaneamente da Roma il capo della polizia faceva diffondere con il notiziario della notte un analogo comunicato. Nel mese di ottobre, intanto, si erano moltiplicate le iniziative del governo di Zagabria per prendere possesso della città, che era stata dichiarata dal consiglio dei ministri croato capitale del nuovo zupanato della Dalmazia. I tedeschi erano rimasti sorpresi da questa mossa. Fu per questo motivo che il rappresentante militare della missione diplomatica tedesca convocò a rapporto gli alti comandanti interessati. Nella riunione, dopo aver preso atto che la decisione di Hitler sulla sorte definitiva della Dalmazia non doveva essere in alcun modo posta in discussione, e per contro che l'aiuto delle unità dell'Esercito Italiano era indispensabile per la difesa antipartigiana nella città e nei dintorni, fu assunta una decisione che apparve un capolavoro di diplomazia, e cioè che 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 631 STORIA LUCIANO LUCIANI "l'amministrazione di Zara sarebbe stata assunta dai croati solamente con la contemporanea sostituzione delle forze armate ivi esistenti" (44). In tale modo la decisione sul passaggio dei poteri veniva attribuita alla Werhmacht. In ogni caso agli occhi della cittadinanza, la sorte di Zara e dei suoi abitanti era definitivamente segnata. Se la guerra, come tutto lasciava prevedere, si fosse conclusa a favore degli alleati, la città sarebbe stata annessa alla repubblica Jugoslava. Se invece la vittoria avesse arriso ad Hitler, Zara sarebbe entrata a far parte dello Stato croato di Ante Pavelic. Dal 3 novembre, comunque, il neo prefetto Serrentino (45) fu subito impegnato nella soluzione dei vari problemi del capoluogo che non aveva più, ne ebbe in seguito, alcun contatto con la madrepatria. Il capo della provincia, per prima cosa, doveva fronteggiare l'invadenza dei croati che volevano impadronirsi della città. Le difficoltà poi erano acuite dal fatto che le trattative si svolgevano tra i comandi tedeschi e gli ustascia, con esclusione di ogni intervento italiano. Unica chance di Serrentino era quella di tenersi a stretto contatto con i tedeschi, presso cui faceva valere la collaborazione di reparti militari italiani contro i partigiani slavi. In questo egli fu molto abile e quindi tutti i tentativi ustascia di farsi consegnare Zara furono elusi. Il secondo grave evento che Serrentino doveva fronteggiare era rappresentato dai bombardamenti aerei. Per motivi ancora oggi incomprensibili Zara fu sottoposta a 54 incursioni (46) durante le quali (44) TALPO O., "Il martirio di Zara e di Vincenzo Serrentino", ed. Libero Comune di Zara in esilio, 1997, p. 5. (45) SERRENTINO V., siciliano di nascita, frequentò l'accademia militare di Modena uscendone sottotenente nel 1916. Prese parte con valore alla 1^ guerra mondiale e fu legionario fiumano con D'Annunzio. Dopo la guerra, congedatosi, fu sindacalista fascista a Zara fino al 1939, quando fu nominato comandante della milizia artiglieria contraerea. Dal 2 novembre 1943 al 30 ottobre 1944 fu capo della provincia di Zara e dal 2 novembre successivo al 1° maggio 1945 fu l'animatore del Comitato per l'assistenza dei profughi dalmati di Trieste. Il 5 maggio fu catturato dai partigiani slavi che lo condannarono a morte per aver fatto parte del Tribunale straordinario istituito nel 1942 dal Governatorato della Dalmazia per reprimere i crimini dei partigiani slavi. Fu fucilato a Sebenico il 15 maggio 1947 e fu seppellito in località ignota. (46) TALPO O., BRCIC S., "(…) Vennero dal cielo", Libero comune di Zara in esilio, 2000, p. 46. STORIA 632 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND furono sganciate 900 tonnellate di bombe che uccisero 2000 persone e ne ferirono circa il doppio. Le abitazioni rase al suolo furono l'85% del totale procurando così a Zara il non invidiabile primato di città italiana più bombardata della 2^ guerra mondiale. La ricerca storica non ha consentito di chiarire il motivo di tanto accanimento contro una città sostanzialmente indifesa ed assolutamente priva di obiettivi militari. Si è così accreditata l'ipotesi, non infondata, che la distruzione del capoluogo dalmata fosse stata richiesta dal maresciallo Tito per cancellare ogni segno di italianità e poter quindi procedere all'annessione senza che sorgessero in seguito problemi di natura etnica (47). Le autorità cercavano di fronteggiare le enormi emergenze sanitarie, alimentari, di controllo dell'ordine pubblico che minacciavano la città, pur con scarsissimi mezzi disponibili. A fine dicembre 1943 però la maggior parte della popolazione era sfollata nelle campagne circostanti e viveva negli stenti alimentandosi con quanto riusciva a reperire in loco. Il prefetto, da un lato cercava di far funzionare al meglio le residue strutture amministrative e dall'altro cercava di agevolare l'esodo, con mezzi di fortuna, dei cittadini verso l'Istria e Trieste. Verso la fine dell'estate 1944 la situazione si aggravò ancora di più. Agli incessanti bombardamenti, che peraltro non preoccupavano più perché colpivano una città completamente in rovina e sgombra degli abitanti che vivevano, anzi sopravvivevano, nelle campagne circostanti, si era aggiunto l'affondamento dei piccoli natanti (48) che trasportavano (47) Zara, nella sua bimillenaria storia, non era mai stata soggetta a dominazione slava. Fu colonia romana dal 78 a.C., appartenne all'impero romano d'occidente e poi d'oriente, nel 1000 fu assoggettata al dominio veneziano, nel XIX secolo fece parte dell'impero austro-ungarico e dal 1918 al 1947 del Regno d'Italia. (48) L'unico piroscafo di una certa stazza che assicurava con una certa regolarità i collegamenti con Trieste era il Sansegò che però fu affondato a Lussino il 27 maggio 1944. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 633 STORIA LUCIANO LUCIANI derrate dall'Istria e nel viaggio di ritorno caricavano i profughi che sfollavano a Trieste. Ormai i pochi rimasti percepivano che la guerra, almeno in quella martoriata città era al termine. Il 30 ottobre 1944 i tedeschi abbandonarono Zara via mare e per ferrovia da Selenico e ad essi si univano il prefetto Serrentino con le ultime autorità italiane ed i pochi cittadini che riuscirono a trovar posti sul convoglio. Il 1° novembre entrarono in Zara le truppe jugoslave, che per colmo di ironia furono sottoposte ad un violento bombardamento aereo degli alleati, cui non era ancora giunta la notizia che i tedeschi si erano ritirati. Subito iniziò il saccheggio della città e le fucilazioni di coloro che erano invisi ai nuovi occupanti, ad iniziare dai carabinieri, dai finanzieri e dagli agenti di Pubblica Sicurezza cui i tedeschi avevano consegnato il controllo della città (49). Anche nel resto della Dalmazia, mano a mano che i tedeschi si ritiravano, le minoranze italiane di Sebenico, Spalato, Curzola e Ragusa erano costrette all'esilio per sottrarsi alle vendette dei partigiani slavi. La situazione dei Dalmati era particolarmente difficile: abbandonati a se stessi, vittime della insistente e penetrante propaganda slava, che trovava ascolto anche in Italia, coscienti che non sarebbe mai stato concesso loro di tornare nelle proprie case, vivevano nella più assoluta incertezza e preoccupazione per la sorte che li attendeva. 10. Tentativi di Mussolini per salvaguardare l'italianità della Venezia Giulia e di Zara Il governo fascista repubblicano tentò in vari modi e con una insistenza degna di miglior risultato, di modificare a suo favore la situazione delle zone di operazioni. (49) Il primo ad essere fucilato fu il tenente dell'Arma Ignazio Terranova colpevole di aver fatto issare la bandiera italiana sul campanile più alto di Zara, alla partenza delle truppe tedesche di occupazione. STORIA 634 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Fin dall'ottobre 1943, Mussolini inviò al Führer, per il tramite del generale Graziani che si recava al Quartier Generale della Wehrmacht, una lettera con cui segnalava la situazione insostenibile nella quale era venuto a trovarsi il suo governo a causa della istituzione delle zone di operazioni e la perdita di prestigio del nuovo regime di fronte alla popolazione italiana. Anche il figlio del Duce, Vittorio e poi Pavolini, in occasione di visite in Germania, enfatizzarono gli aspetti del problema ponendo l'accento sui riflessi negativi all'estero, ove si parlava apertamente di annessione al Reich dell'Alpenvorland e dell'Adriatisches Küstenland. Le risposte delle autorità tedesche - non è noto il riscontro di Hitler alle lettere di Mussolini - battevano tutte sullo stesso tasto: sebbene i tedeschi intendessero aver riguardo per Mussolini in tutti i provvedimenti e volessero non lasciare dubbi, nemmeno all'estero, sul fatto che le zone di operazioni fossero territorio italiano, era tuttavia necessario per ragioni esclusivamente militari, che la situazione in quelle zone si mantenesse invariata (50). Nell'ottobre 1943, l'agenzia inglese Reuter aveva diffuso un comunicato nel quale dava notizia dell'annessione al Reich delle provincie italiane dell'Alpenvorland. Il comunicato non parlava dell'altra zona di operazioni del Litorale, ma era a tutti chiaro che il destino futuro dei due territori era comune. Poiché da poco Mussolini era stato reinsediato a capo del governo, l'opinione pubblica poteva essere indotta a ritenere che il Duce avesse barattato con l'alleato che lo aveva rimesso al potere, terre italiane. La reazione del governo italiano fu molto decisa, tanto che pochi giorni dopo l'agenzia giornalistica ufficiale tedesca smentì la Reuter, ma il relativo comunicato fu trasmesso solo all'esterno della Germania. Il governo della RSI più volte protestò per l'esclusione dalle due zone di operazioni di gran parte delle sue potestà, ma dovette agire solo attraverso l'ambasciatore a Berlino Anfuso, che segnalò le lamentele italiane più volte, e particolarmente nell'ottobre 1943, nell'agosto e nel settembre 1944 ed infine nel febbraio 1945. (50) STUHLPFARRER K., op.cit., p.148. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 635 STORIA LUCIANO LUCIANI Particolarmente vibrata fu la presa di posizione dell'agosto 1944: su sollecitazione di Mussolini l'ambasciatore presentò al Ministro degli Esteri tedesco un memorandum nel quale si rappresentava che i supremi commissari nelle zone di operazione boicottavano apertamente ogni azione tendente ad organizzare il partito fascista e che essi tendevano alla "reintroduzione del sistema asburgico" con la conseguenza che, intenzionalmente o meno, l'appartenenza allo Stato italiano delle provincie sottoposte alla loro amministrazione veniva sempre più cancellata (51). Il memorandum si concludeva con la richiesta di richiamare tutti quei funzionari tedeschi (ed i primi non potevano che essere Hofer e Rainer) che avevano preso provvedimenti lesivi della dignità e dell'autorità della RSI e di impartire istruzioni a tutti gli uffici militari e civili delle zone di operazione e di prendere contatto immediato col governo fascista per regolare tutti i problemi pendenti. Tutte le proteste di Anfuso, però, si scontrarono con un muro di gomma. Invariabilmente il ministro Ribentrop rispondeva che le questioni rappresentategli esulavano dalle competenze del Ministero degli esteri, in quanto rientranti nella sfera militare. Mussolini ebbe l'occasione di sollevare nuovamente la questione il 22 e 23 aprile 1944, questa volta direttamente con Hitler, nella conferenza di Kleissheim. Il Duce chiese al Führer di consentirgli di riconquistare, anche parzialmente, la sovranità amministrativa nelle zone di operazioni, o almeno di conservare la potestà di nominare o destituire i funzionari, e di poter liberamente organizzare le federazioni fasciste. Hitler, però, eluse ogni contrasto su questo punto facendo capire che non desiderava, per ragioni di necessità militare, un mutamento dello status quo. Il governo dalla RSI continuò ad avanzare lamentele a tutti i livelli, finché il governo tedesco, nel febbraio 1945, con una nota del Ministro degli Esteri del Reich respinse energicamente il rimprovero avanzato all'amministrazione tedesca di svolgere una politica "slavofila, austrofila ed antitaliana". (51) STUHLPFARRER K., op.cit., p. 150. STORIA 636 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Nel litorale Adriatico invece, secondo la nota ministeriale, veniva attuata una politica intesa unicamente a mantenere la pace e l'ordine pubblico, nonostante l'opposizione di alcuni "circoli ultrafascisti", per cui era da respingere ogni conclusione volta a far credere che i provvedimenti delle autorità sottintendevano una politica filo slava e filo austriaca (52). Retrospettivamente, è stata posta la questione se, sotto il profilo giuridico, i territori delle zone di operazioni abbiano fatto parte, dal 10 settembre 1943 al 1° maggio 1945 dello Stato italiano oppure debbano essere considerati a tutti gli effetti annessi al grande Reich (53). Effettivamente, nel Litorale Adriatico, come nell'Alpenvorland, venne del tutto esclusa la sovranità della RSI, venne eluso il diritto di nomina sia dei prefetti, che nell'ordinamento giuridico amministrativo italiano erano le massime autorità periferiche dello Stato, sia dei questori, massime autorità deputate al mantenimento dell'ordine pubblico, fu vietato il reclutamento militare e furono poste forti limitazioni alla dipendenza dal governo italiano delle forze armate operanti nel territorio, furono modificate numerose norme penali, processuali, amministrative. La giurisdizione penale, civile e amministrativa fu sottoposta al supremo commissario, il quale interferì anche pesantemente nei programmi scolastici e nei libri di testo, cercando di far prevalere ove possibile, la lingua e la cultura tedesca o slava. Tuttavia le discussioni su questo punto devono essere ritenute definite dalle note sentenze della Corte di Cassazione (54), le quali riferendosi all'Alpenvorland, ma con effetti anche per il litorale Adriatico, affermano che il governo germanico non volle escludere, ne escluse nel territorio ogni potestà della RSI, tenuto conto che la RSI stessa traeva origine ed efficacia dall'autorità militare tedesca. (52) STUHLPFARRER K., op.cit., p. 151. (53) Un'analisi completa del problema è stata effettuata da Umberto Corsini ("Alpenvorland, necessità militare o disegno politico?", in atti del convegno di Belluno 21-23 aprile 1983, op. cit.) riferita alla zona di operazioni Prealpi, ma che è pienamente valida anche per l'Adriatisches Küstenland. (54) Sentenza della Corte di Cassazione a sezioni riunite del 18 giugno 1953, n.1829, della II sezione civile del 24 gennaio 1953, n. 211 e del 20 aprile 1955. Il foro italiano 1953 e Repertorio generale della giurisprudenza italiana 1955. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 637 STORIA LUCIANO LUCIANI Conclusivamente, si può affermare che Mussolini ed il suo governo si trovarono, quando furono insediati, di fronte al fatto compiuto: non poterono modificarlo in alcun modo e dovettero tollerarlo sino al crollo finale, tentando ripetutamente ed inutilmente di ottenere qualche ritocco al piano nazista di precostituire le condizioni di annessione della zona, ormai deciso nei disegni politici del Reich. 11. La Guardia di Finanza nelle zone di operazioni L'8 settembre 1943 i reparti del Corpo stanziati nella Venezia Giulia erano inquadrati nella legione di Trieste, comandata dal colonnello Persirio Marini, che dipendeva dal locale comando di Zona di cui era titolare il generale di brigata Giuseppe Bagordo, poi sostituito dal parigrado Filippo Fiocca. Dalla zona di Trieste dipendeva anche la legione di Udine. I reparti della Guardia di Finanza rimasero ai loro posti, in applicazione della nota circolare 28 agosto 1943, n. 827 - R.C. (55), ma quelli ubicati nelle aree rurali furono sommersi dalla sollevazione dei partigiani slavi che insanguinò la penisola istriana nel mese di settembre 1943. Ripristinato il controllo da parte dei tedeschi nella zona operativa del litorale, la Guardia di Finanza continuò a funzionare soltanto nei maggiori centri urbani, in quanto i reparti minori, situati per lo più lungo la linea di confine tra Italia e Jugoslavia, vennero soppressi dal supremo commissario Reiner e sostituiti da doganieri tedeschi. Intanto la legione di Trieste aveva assorbito una buona parte dei militari dei battaglioni mobilitati della Croazia e della Slovenia che l'8 settembre si erano sbandati ed i cui componenti, che non erano caduti vittime dei partigiani slavi o non erano stati deportati in Germania, erano riusciti a defluire alla spicciolata nella Venezia Giulia. Il colonnello Marini si era così trovato alle dipendenze circa 5.000 uomini, forza decisamente eccedente le modeste esigenze del servizio d'istituto. (55) La circolare è esposta nel museo storico del Corpo. STORIA 638 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Poiché gli occupanti tedeschi, a somiglianza di quanto attuato nel rimanente territorio della R.S.I., vollero creare reparti di "Polizia Economica" (Wirtscaft Polizei - Wi.Po.) il generale Fiocca colse l'occasione per trovare un impiego al personale del Corpo in esubero, che altrimenti sarebbe stato inesorabilmente adibito alla lotta antipartigiana nella quale i finanzieri, in grandissima parte di sentimenti antitedeschi, non volevano farsi coinvolgere. La Wi.Po. della Venezia Giulia disponeva di un comando a Trieste, di cui era titolare il Ten. Col. Corradino Giummo, dal quale dipendevano uffici provinciali ed uffici locali denominati "sotto uffici" (56). La Polizia economica era deputata a combattere la borsa nera, a frenare l'ascesa dei prezzi ed a impedire l'esportazione dei beni verso il resto d'Italia. Per quest'ultima esigenza, fu costituito, nell'ambito della Wi.Po. un apposito reparto, di circa 600 uomini, denominato Polizia economica di frontiera (57). Spesso, però, gli uffici della Polizia Economica si trasformavano in reti informative a favore della resistenza, come a Pordenone, dove il capitano Rosito, evitato fortunosamente l'arresto, si diede alla macchia (58). L'impiego della Polizia economica, tuttavia, risolse solo in parte l'esubero di personale del Corpo in forza alla legione di Trieste ed Udine. Non fu possibile nascondere tale stato di fatto ai tedeschi, che se ne accorsero. La polizia germanica iniziò a pretendere che reparti della Guardia di Finanza partecipassero alla lotta contro i partigiani ed il gen. Fiocca si trovò impossibilitato ad eccepire che tutti i finanzieri erano impiegati nel servizio d'istituto, come avevano fatto con successo i suoi colleghi comandanti di zona nelle altre parti d'Italia. Egli, oltre tutto, aveva (56) MECCARIELLO P., La Guardia di Finanza sul confine orientale, Gribaudo Torino, 1977, p. 222. (57) Ibidem, p. 222. (58) Ibidem, p. 223. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 639 STORIA LUCIANO LUCIANI come interlocutore il gen. Globocnick, che era alieno dall'accettare che i suoi ordini non venissero eseguiti e reagiva spesso alle resistenze che gli venivano opposte con l'internamento in Germania dei recalcitranti. Fu così che il gen. Fiocca fu costretto ad accettare la costituzione di reparti da adibire al concorso al mantenimento dell'ordine pubblico (che significava combattere il movimento partigiano) (59). Furono costituite tre compagnie autonome. La prima a Trieste, con il compito di assicurare la completa agibilità della strada statale Trieste - Fiume. Una parte dei finanzieri si rifiutò di partecipare a queste incombenze, ma i renitenti furono subito rastrellati dai tedeschi e deportati a Dachau. I rimanenti si dislocarono lungo la rotabile, divisi in piccoli presidi, e cercarono subito di concordare un "modus vivendi" con i partigiani slavi, ma la proposta fu rifiutata. Ne seguì una serie di azioni e reazioni, che portarono il reparto a farsi coinvolgere nella repressione antipartigiana. Ciò fu anche agevolato dal comportamento del tenente comandante, che si era strettamente legato ai tedeschi, che lo avevano anche proposto per una promozione per meriti di guerra, peraltro rigettata dal Comando Generale di Brescia (60). La seconda compagnia fu costituita a Udine, all'indomani dell'armistizio, e le fu affidato il compito di controllare il collegamento stradale tra Cividale e Caporetto. Gran parte della compagnia, però, compreso lo stesso comandante, cap. Mario Giannone, passò dopo pochi mesi alla Resistenza (61). L'ultima compagnia, costituita per i servizi straordinari di sicurezza, fu quella di Gemona. Il reparto fu affidato al tenente Mario Osana che, grazie alla sua conoscenza del tedesco, riuscì a captare la benevolenza del comandante delle SS di quella località. Osana, però, era in contatto con la Resistenza per conto della quale aveva creato, presso la Guardia di Finanza, una vasta rete informativa e di sostegno logistico. (59) Ibidem, p. 224. (60) Ibidem, p. 225. (61) Ibidem, p. 225. STORIA 640 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND La incessante attività del tenente a favore dei partigiani iniziò, verso luglio 1944, a destare sospetti nei tedeschi, per cui Osana e molti dei suoi dipendenti disertarono per passare senza ulteriori indugi nei reparti della Resistenza (62). Verso la fine della guerra il CLN di Trieste, che tra l'altro agiva in armonia ma in concorrenza con l'omologo comitato esecutivo antifascista italo-sloveno (C.E.A.I.S.), e che disponeva di forze piuttosto esigue, per poter organizzare l'insurrezione generale dovette rivolgersi alla Guardia di Finanza, da tempo in contatto con i partigiani, come d'altra parte in molte città dell'alta Italia, soprattutto a Milano. La legione di Trieste predispose per l'occasione un battaglione di circa 600 uomini con 22 ufficiali, al comando del ten.col. Giummo, che costituì per la sua forza e per la sua efficienza, la punta di diamante del CLN Triestino. Le operazioni iniziarono il 28 aprile 1945 e si conclusero due giorni dopo. Gli insorti con alla testa i finanzieri occuparono via via la stazione radio, la centrale telefonica, la stazione ferroviaria, la centrale elettrica, la sede della Banca d'Italia i principali uffici pubblici, l'area portuale e le principali caserme dell'esercito della R.S.I.. Nei combattimenti trovarono la morte 16 tra sottufficiali e finanzieri. Ai reparti della Guardia di Finanza si consegnarono diverse unità tedesche che intendevano arrendersi soltanto alle Forze Armate regolari. Il 1° maggio 1945, quando la città era completamente nelle mani del CLN, entrarono in Trieste le avanguardie dell'esercito popolare di liberazione di Tito che si sostituirono subito ai partigiani del CLN nel controllo delle città. Nei giorni successivi gli Jugoslavi, dopo aver lodato la Guardia di Finanza per il contributo alla liberazione, iniziarono a circondare le caserme ed a deportare i finanzieri nei campi di concentramento, prima nei dintorni di Trieste e poi in Slovenia ed in Croazia. Particolarmente (62) Ibidem, p. 226 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 641 STORIA LUCIANO LUCIANI tragica fu la sorte di 96 militari di cui 3 ufficiali, rastrellati nella caserma di Campo Marzio e poi spariti nel nulla (63). Secondo alcune testimonianze tutti i finanzieri furono trucidati e gettati nelle foibe di Bassovizza. Ventura analoga ebbero i finanzieri di Gorizia, Pola e Fiume e dei distaccamenti della penisola istriana. Il destino dei finanzieri di Udine fu diverso, Parteciparono anch'essi all'insurrezione generale, subendo perdite anche per mano dei partigiani sloveni, ma al termine delle operazioni militari poterono riprendere senza problemi il loro servizio istituzionale essendo il Friuli occupato dalle forze anglo-americane. La Guardia di Finanza, che aveva cessato di operare a Trieste il 2 maggio perché soppressa dalle autorità Jugoslave, riapparve nella città il 1° settembre inquadrata nella "Venezia-Giulia Police Force" organizzata dall'Amministrazione militare alleata (A.M.G.). I finanzieri, arruolati con apposito concorso aperto a tutti coloro che risiedevano nella VeneziaGiulia, furono apertamente appoggiati dal Comando Generale che riuscì a tenere sempre aperto un canale di collegamento con gli alleati ed in particolare con la "Finance Guard Brauch" nell'ambito della quale veniva svolta l'attività d'istituto. Si trattava di circa 750 uomini al comando del ten.col. Domenico Veca, che il 26 ottobre 1954, con la cessazione dell'Amministrazione militare alleata, rientrarono, anche formalmente, nei ranghi del Corpo (64). I finanzieri stanziati in Alto Adige e nel Trentino, che erano inquadrati nella legione di Trento, invece, all'indomani dell'8 settembre vennero tutti rastrellati dai tedeschi. Il personale dei circoli di Merano, Bolzano e Brunico venne internato nei lager tedeschi, unitamente al comandante della legione, col. Giacomo Bortone. (63) Nel museo storico del Corpo è esposta una fotografia dei 96 finanzieri ancora ignari della loro sorte (a loro era stato detto che venivano trasferiti in un'altra caserma) in partenza verso l'ignoto. (64) MECCARIELLO P., La Guardia di Finanza sul confine orientale, cit., pp. 313-322. STORIA 642 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Agli altri fu consentito di restare in servizio, limitatamente alle provincie di Trento e Belluno, ma ai militari furono sequestrate tutte le armi, comprese quelle individuali. Particolarmente drammatici per i finanzieri furono gli avvenimenti dell'8 e 9 settembre 1943 in Alto Adige. L'annuncio dell'armistizio sorprese i comandanti dei reparti ai loro posti di servizio. Fin dalle ore 20,30 (l'armistizio era stato reso pubblico alle ore 19,30 dell'8 settembre) i tedeschi piombarono nelle caserme dei reparti di frontiera catturando tutti gli appartenenti al Corpo e trasferendoli nei giorni successivi in Germania, senza tener conto delle loro proteste basate sull'applicazione della legge di guerra che dispone la permanenza in servizio delle forze di polizia anche in territorio controllato dal nemico. A Bolzano, il Comandante del Circolo, magg. Emilio Jacoboni, ricevette notizia della cattura degli ufficiali e dei militari delle brigate e delle tenenze di confine, e dopo aver dato ordine agli altri comandanti di caserma di opporsi con le armi ad eventuali tentativi di intrusione da parte dei tedeschi, si mise in contatto con il comandante di legione, col. Bortone, per avere direttive. Il colonnello non ritenne che la Guardia di Finanza dovesse comportarsi differentemente dagli altri reparti dell'Esercito e non ritenne neppure che il Corpo potesse rimanere a svolgere i suoi compiti d'istituto in territorio occupato dal nemico per cui impose al magg. Jacoboni di recarsi presso la sede del Corpo d'Armata di Bolzano e di seguire gli ordini del generale Gloria comandante del Corpo d'Armata. Il maggiore fu quindi testimone degli avvenimenti in quella importante sede militare: verso le 03,00 del mattino del 9 settembre truppe tedesche attaccarono la caserma, ma furono respinte dai carabinieri di guardia, a cui si erano aggiunti 3 finanzieri di scorta al loro comandante di circolo. I tedeschi si ritirarono, ma poco dopo si ripresentarono con un carro armato che giunto ad 80 metri sparò una cannonata sul portone d'ingresso, mandandolo in frantumi. I tedeschi poi invasero il palazzo 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 643 STORIA LUCIANO LUCIANI sparando e lanciando bombe a mano nelle stanze e catturarono il personale presente nella sede. In seguito catturarono anche tutti gli ufficiali ed i militari del presidio compreso il Magg. Jacoboni ed il comandante della compagnia Cap. Fausto Musto, deportandoli prima ad Insbruck e poi in Germania (65). 12. Epilogo Alla firma dell'armistizio fra Italia ed alleati, il 3 settembre 1943, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti si erano impegnati ad occupare tutto il territorio italiano entro i confini prebellici ed a dare un'equa soluzione al problema della frontiera orientale con le trattative che avrebbero portato al trattato di pace. Questa posizione nei mesi successivi venne via via attenuata a favore del maresciallo Tito che fece abilmente valere i suoi successi militari contro i tedeschi negli incontri di Bolsena con il maresciallo Alexander, supremo comandante alleato in Italia, nel luglio 1944 ed a Belgrado nel febbraio 1945. In quest'ultimo convegno fu convenuto che Tito avrebbe permesso la costituzione di un governo militare alleato nella penisola istriana, a condizione che le autorità jugoslave ne assumessero l'autorità civile (66). Gli angloamericani volevano infatti mantenere il controllo della costa occidentale, dal momento che era di loro vitale interesse mantenere il controllo dei porti e delle vie di comunicazione che adducevano al nord, verso l'Austria e la Germania, in vista di una possibile continuazione della guerra in quella direzione. Verso la fine di aprile 1945, mentre i tedeschi deponevano le armi, Alexander ordinò alla 2^ divisione neozelandese di occupare l'Istria e di crearvi un governo militare alleato (GMA) che avrebbe dovuto amministrare la regione fino alla stipula del trattato di pace. (65) Relazione del Magg. Emilio Jacoboni, conservata all'archivio del Museo Storico del Corpo. (66) LAMB R., "La guerra in Italia 1943-46", Milano, Corbaccio, 1996, pp. 123 e ss. STORIA 644 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004 GLI AVVENIMENTI ALLA FRONTIERA NORD-ORIENTALE: L'ALPENVORLAND E L'ADRIATISCHES KÜSTENLAND Tito, però, non tenendo fede ai patti, invase tutta la Venezia Giulia fino all'Isonzo ed impedì ai neozelandesi di assolvere il loro compito (67). Per appianare le divergenze, Alexander inviò il 9 maggio una delegazione alleata, sotto la guida del generale Morgan, che propose agli slavi di dividere la regione in due zone di occupazione, la A e la B. Una linea di demarcazione, indicata in seguito come linea Morgan, doveva dividere con direzione nord-sud la Venezia Giulia in due parti e gli alleati avrebbero controllato quella ad occidente, al fine di disporre dei porti di Trieste e di Pola e di tutti gli ancoraggi della costa tra le due città. Tito, però, respinse il piano, irritando i governi alleati che, in risposta presentarono il 15 maggio un'ultimatum basato sull'applicazione del piano Morgan. Tito lo respinse, ma il 21 maggio improvvisamente cambiò atteggiamento, forse su consiglio di Stalin, dimostrandosi disponibile alle trattative. Queste si conclusero il 9 giugno a Belgrado con la firma di un accordo (68) che prevedeva per la zona A, amministrata dagli alleati, la città di Gorizia, di Trieste e per la zona B, il restante territorio istriano e giulio. (67) Il maresciallo Alexander intendeva occupare la Venezia Giulia oppure almeno le coste occidentali dell'Istria al solo scopo di controllare i porti di Trieste e Pola e gli ancoraggi intermedi per utilizzarli come base di alimentazione delle forze alleate destinate ad operare nelle future zone di operazione in Austria. In un telegramma inviato al primo ministro britannico Winston Churchill il 5 maggio 1945, riferendosi a Tito propone che se consentirà agli angloamericani libertà di movimento in Istria, "gli si potrà assicurare che quando io non avrò più bisogno di Trieste come base per le mie forze in Austria egli avrà il permesso di incorporarla nella sua nuova Jugoslavia" (W.Churchill, "La seconda guerra mondiale", Arnoldo Mondadori Editore, 1967, parte sesta, p.1242). Il primo ministro colse subito la pericolosità di questa affermazione, ed il giorno dopo telegrafò ad Alexander per un richiamo a non esorbitare dalla sue competenze. In tale circostanza precisò che "non c'è questione alcuna di nostri accordi con lui (Tito) circa l'incorporazione dell'Istria o di qualsiasi parte dell'Italia pre bellica nella sua nuova Jugoslavia. Il destino di questa parte del mondo è riservato al tavolo della pace, e voi dovreste certo farglielo capire" (ibidem, p.1242). Successivamente Churchill contattò Truman per concordare una linea di condotta che comprendesse anche l'uso delle armi da parte degli alleati per stabilire sull'Istria il governo militare previsto dagli accordi Alexander - Tito precedenti la conclusione della guerra. (68) Il testo è riportato integralmente nella citata opera di LA PERNA G., "Pola, Istria, Fiume 1943-45", p. 339. 2/2004 Rivista della Guardia di Finanza 645 STORIA LUCIANO LUCIANI In applicazione degli accordi, gli slavi abbandonavano la zona A, rafforzando però la loro presenza nella zona B. La sorte dei territori dell'Istria, della Venezia Giulia, di Fiume e di Zara era così segnata e Tito aveva mano libera per iniziare il processo di profonda snazionalizzazione che troverà una copertura giuridica con la definitiva cessione di quelle terre alla Jugoslavia, sancita dal trattato di pace del 1947, e confermata dagli accordi di Osimo del 10 novembre 1975. Del territorio che comprendeva le province di Gorizia e Trieste, l'Istria, il Carnaro e Zara, di 9952,38 Kmq., dopo il trattato di pace sono rimasti alla madrepatria solo le città di Gorizia e Trieste con un minimo di retroterra, in totale 695,70 Kmq.. All'Italia è stato sottratto un territorio di 8257 Kmq. che geograficamente le apparteneva per storia, cultura e popolazione autoctona, anche se nel 1945 e ancor più nel 1947 alla firma del trattato di pace, popolato in maggior parte da sloveni e croati, a causa dell'esodo che senza soluzioni di continuità aveva interessato la Venezia Giulia fin dal periodo bellico. La partenza di oltre 300.000 italiani su una popolazione di circa 500.000 abitanti trasformò radicalmente l'immagine e l'essenza di una regione ed in pochi anni le principali città della costa istriana si svuotarono dall'elemento italiano che era sempre stato percentualmente maggioritario (69). (69) Per una bibliografia completa sull'argomento cfr. R UMICI G., "Infoibati" , op.cit., pp.465-483 e LA PERNA G., "Pola, Istria, Fiume 1943-45", op. cit., pp. 401-417. STORIA 646 Rivista della Guardia di Finanza 2/2004