Enea Silvio Piccolomini e l`idea di Europa

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Enea Silvio Piccolomini e l’idea di Europa:
giornata di studi promossa da Progressus
Anno I, n. 2, dicembre 2014
ISSN.2284-0869
PROGRESSUS
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Una personalità affascinante, un’idea seducente. Così potrebbe
sintetizzarsi la giornata di studi su “Enea Silvio Piccolomini e l’idea
d’Europa” organizzato dal Centro Studi Progressus e dall’Accademia dei
Rozzi lo scorso 13 di Dicembre e tenutosi nella prestigiosa Sala della
Suvera1.
Sia da umanista che da papa, Enea Silvio, raffinato e coltissimo, coltivò
sempre un grande sogno, quello di un’Europa non intesa quale
“espressione geografica” ma come la sintesi – anzitutto culturale – di
forze chiamate a contrastare, in nome dei comuni valori cristiani,
l’avanzata dei Turchi. Che, dopo la presa di Costantinopoli, nell’anno del
Signore 1453, lo stesso in cui il Piccolomini saliva al soglio di Pietro,
sembrava irresistibile. Dunque un concetto di Europa come bacino di
popoli consimili, accumunati dalla fede in Cristo come pure dalla eredità
della antica Roma, in primo luogo con la sua lingua, il latino, e poi col
suo sistema giuridico, il Corpus iuris. Europa civile contrapposta alla
barbarie turca, secondo una visione, un sentire dichiaratamente
umanistico, ampiamente diffuso e condiviso tra le elite culturali del
vecchio continente. Notava Francesco Fiorentino, insigne filosofo del
XIX secolo, che “il Cusano ed il Piccolomini”, tra i più insigni
rappresentanti di questa elite, “sono due uomini che, diversi d’ingegno, e
d’inclinazioni, si rassomigliano in ciò, che hanno inaugurata quella
corrente, in virtù di cui il pensiero tedesco e l’italiano sono venuti in
reciproca comunicazione. Per mezzo del Cusano fluiva in Italia la
speculazione germanica; e per mezzo del Piccolomini rifluiva in
Germania l’Umanesimo”. L’Europa finalmente unificata grazie alla
propria cultura e pronta al confronto con le orde, barbare, di Maometto.
Umanesimo è dunque parola chiave per intendere quel (complesso)
periodo che preludeva all’avvento del novum tempus emblematicamente
segnato dalla celebre ammonizione dell’Eterno ad Adamo, secondo
l’Oratio de Hominis dignitate che Pico della Mirandola avrebbe composto
nel 1486, ventidue anni dopo il transito terreno di Enea: “Non ti ho fatto
Comitato organizzatore: Eleonora Belloni, Alfredo Franchi, Leonardo Magionami,
Laura Neri, Petra Pertici, Vinicio Serino, Giacomo Zanibelli.
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del tutto nè celeste nè terreno, nè mortale, nè immortale perchè tu possa
plasmarti, libero artefice di te stesso, conforme a quel modello che ti
sembrerà migliore”.
E questa formidabile presenza di Humanitas è stata colta bene nella
prima sezione del Convegno, intitolata “Quadri locali”, moderata da
Leonardo Magionami (Università di Siena). Ha aperto i lavori Ettore
Pellegrini (Accademia dei Rozzi) che ha illustrato la ricca messe di
pubblicazioni riguardanti la figura di Pio II in questo ultimo decennio,
evidenziando come, all’epoca del pontificato piccolomineo, la cultura
senese fosse davvero quella che animava il pensiero e l’azione del Sacro
Soglio.
La raffinatezza di questa cultura, impersonata appunto da Enea Silvio,
viene confermata dal rapporto che legò il futuro pontefice ad Amedeo
VIII di Savoia, antipapa col nome di Felice V e di cui lo stesso Enea
Silvio fu segretario. Gustavo Mola di Nomaglio e Valerio Gigliotti
(Centro Studi Piemontesi – Università di Torino) ne hanno diffusamente
trattato, sottolineando come la rinuncia al soglio di Pietro da parte di
Amedeo fu motivata proprio da quel valore irrinunciabile della “unità dei
Cristiani” che avrebbe costituito la bussola pastorale di Enea Silvio.
Una personalità molto forte, molto determinata, la sua, come ha
sottolineato Patrizia Turrini (Archivio di Stato di Siena) con la
presentazione di una serie di immagini, conservate presso l’Archivio di
Stato di Siena e l’Archivio Arcivescovile, disperse in più studi, e dai quali
emerge il rapporto controverso tra Pio II e Siena nel corso del
pontificato. Nonostante che Enea Silvio avesse conferito alla città dei
suoi avi la dignità dell’Arcivescovado – di cui la Turrini ha presentato la
relativa bolla – dopo pochi mesi dalla sua morte venne ripristinata
l’antica norma che inibiva il governo cittadino ai magnati: norma che era
stata, di malavoglia, abrogata per compiacere il pontefice. Morto lui,
tutto tornava come prima e per gli aristocratici non c’era più posto ai
vertici della politica repubblicana (con la sola eccezione del
Piccolomini!!!).
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Eppure, nonostante tutto, come ha evidenziato Clelia Ricciardello (Le
Antiche Dogane), il rapporto tra Pio II ed il territorio della Repubblica
era molto forte: lo si può ricavare dallo stretto legame con le terme di
Petriolo. Enea Silvio molto apprezzava quei bagni “sulfurei ed efficaci”,
tanto che, come racconta lui stesso, “per venti giorni (vi) fece una cura
che consisteva nel versarsi una doccia d’acqua calda sul capo […] cura
[…] utile perché secondo i medici sembrava che il suo cervello avesse
troppi umori”.
Eppure quell’uomo all’apparenza così concreto e realista non era affatto
alieno dal cogliere i “signa” che confortano o deprimono ogni anima
sensibile nel corso dell’esistenza. Proprio nell’ottica di questi “signa”,
l’equivalente degli auspicia della antica cultura etrusca, Carlo Alberto
Falzetti (Le Antiche Dogane) ha descritto l’evento – memorabile per
l’epoca – della scoperta, avvenuta intorno all’anno 1462, di un vasto
giacimento di allume sui Monti della Tolfa, a due passi da Civitavecchia e
nel cuore dei domini del papa. Si trattò certamente, dice appunto
Falzetti, di un fatto straordinario perché quella sostanza, l’allume,
appunto, era fondamentale nella tintura dei tessuti. E proprio anche al
monopolio dell’allume, ricavato da giacimenti in Anatolia, doveva le sue
fortune Genova che ora, con la scoperta della Tolfa, vedeva
ridimensionato fortemente il ruolo di potenza egemonica nel
Mediterraneo. Agli occhi di Pio II, però, questo evento assumeva un
significato che andava molto oltre l’aspetto economico: lo percepiva
infatti come una vera e propria “Ierofania”, una manifestazione del sacro
nel mondo degli uomini, che si accompagnava alla traslazione della testa
di Sant’Andrea, avvenuta nello stesso periodo. Segni, questi, che
confortavano il Papa impegnato nello sforzo titanico della Crociata, alla
quale era completamente votato e che sembravano di buon auspicio –
come poi non fu – per quella impresa così ardentemente perseguita.
Questo aspetto della personalità di Enea Silvio, il suo guardare “dietro”
alla realtà apparente, è stata trattata anche dalla analisi condotta da
Vinicio Serino (Università di Siena) sul valore (straordinario) della luce
nella Cattedrale di Pienza, la città ideale. Un monumento, costruito lungo
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l’asse (inconsueto) nord-sud, dice appunto Serino, letteralmente inondato
dalla luce che illumina i quattro altari e tutto il tempio. Sembra una
citazione architettonica tratta dal De Luce di Roberto Grossatesta:
“…l’origine dell’atto creativo dell’universo è nel punto luminoso che si
espande sfericamente, estendendo la materia informe”, generando così,
dal caos la bellezza della Natura. Una lezione che discende da Pitagora e
dalla sua armonia delle sfere celesti, come sapeva bene Leon Battista
Alberti che forse ispirò la filosofia architettonica di Pio II e del
Rossellino quando, nel De Re Aedificatoria, dichiara di confermarsi
“nell’opinione di Pittagora” e quindi dalla sua idea di Natura che si
manifesta attraverso la magia dei numeri, “quelli stessi che empiono
anche e gli occhi, e l’animo di piacere meraviglioso”. Forse, ha concluso
Serino, la Cattedrale di Pienza va intesa come un luogo dello spirito dove
la luce crea, nelle forme di quello straordinario edificio, la bellezza
armonica del Creato.
Un enigma, dunque, come quelli che riguardano l’araldica della
complessa ed articolata consorteria piccolominea, di cui ha dato ampia
illustrazione Gianni Maccherini (Associazione il Liceone). Molto
interessante la citazione della Biccherna di Don Gregorio (1324) dove i
crescenti della famiglia Piccolomini – le caratteristiche mezze lune – non
sono, come nello stemma di Pio II e Pio III cinque, ma sei.
La seconda Sezione, intitolata “Verso una grande Europa” è stata
moderata da Eleonora Belloni (Università di Siena – Direttore Centro
Studi Progressus) ed ha riproposto, ancora una volta, il tema della
Humanitas con l’intervento di Moreno Lifodi (Associazione Italiana di
Cultura Classica) che ha trattato l’Enea Silvio poeta, illustrando genesi,
modelli, temi e personaggi dei Carmina. Soffermandosi, in particolare, sul
Liber Epygrammaton e sulla sua struttura, comprensiva dell’intera
produzione in versi dell’umanista. Attraverso questa ricerca si è potuto
conoscere aspetti poco noti della produzione poetica del Piccolomini
che, ad esclusione della Cynthia, risulta ancora in buona parte da
analizzare e da indagare. In particolare nella sua indagine lo studioso ha
fatto riferimento all’edizione dei Carmina del Van Heck (1994) e il
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volume Pio II umanista europeo. L’ideale umanista di Enea Silvio ricorre
anche nell’intervento di Francesco Ricci (Liceo Classico E.S.
Piccolomini, Siena) dedicato al mondo delle corti ed a un raffronto tra le
finezze erudite dello stesso Enea Silvio e quelle di Baldassarre
Castiglione, nato quattordici anni dopo la morte del papa senese, autore
del celeberrimo Il Cortegiano. Due mondi molto diversi si confrontano:
quello del pensiero che vola alto, sfiorando la dimensione metafisica,
proprio di personaggi quali lo stesso Enea o il suo sodale Cardinal
Cusano e il Castiglione – come pure il Machiavelli – molto più portati
verso la categoria dell’utile e del fruttuoso. Perché chi vive a corte, a
contatto col principe, deve, in primo luogo, risultargli gradito,
perseguendo sempre, come appunto dice il Castiglione, il “desiderio
intenso di compiacere”, molto più che affannarsi dietro incomprensibili e
fumose “fantasticherie filosofiche”.
Il tema dell’Humanitas ritorna con Stefano Di Brazzano (Liceo Classico
F. Petrarca, Trieste) sul rapporto di Enea Silvio Piccolomini con la città
di Trieste. Ricorrendo ad esempi letterari, epigrafici ed artistici Di
Brazzano segue il percorso evolutivo della cultura municipale triestina
nel corso dei decenni centrali del secolo XV, durante i quali, da una
situazione di predominio assoluto del gusto tardogotico, si passa a un
deciso affermarsi della nuova sensibilità umanistica, sotto lo stimolo del
sempre presente influsso culturale veneziano. Influsso al quale si affiancò
quello di Enea Silvio Piccolomini, presente in quella città, di cui fu
vescovo, nel periodo 1447-1450. Il quadro che ne emerge dimostra
peraltro come la ricezione della cultura umanistica non fosse omogenea,
ma molto articolata: si andava infatti da un accoglimento convinto da
parte dell’aristocrazia municipale, a un atteggiamento più diversificato e
prudente nel clero, a una sostanziale impermeabilità nei rappresentanti
dell’autorità imperiale.
Alfredo Franchi (Centro Studi Progressus) ha affrontato un altro tema
legato alla centralità dell’Uomo, quello della magnanimitas nella vita e nei
Commentarii. Significativa, al riguardo, la citazione – con relativo
accostamento – al filosofo olandese Rob Riemen e della sua opera dal
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significativo titolo La nobiltà dello spirito. Elogio di una virtù perduta. La
perdita della aristocratica magnanimitas, dice appunto Franchi, è alla
radice della crisi della idea d’Europa e segnala la mancanza di un nuovo –
eppure indispensabile – Umanesimo. Lo sapeva bene Enea Silvio
quando, scoperto l’esorbitante impegno finanziario che aveva richiesto la
realizzazione di Pienza magnanimamente rassicurò il Rossellino: “Hai
fatto bene, Bernardo [...] a mentirCi sulla spesa futura di tutta l’opera; se
Ci avessi detto il vero non Ci avresti mai persuaso a metter fuori una così
gran somma, e questo nobile palazzo e la Cattedrale stupenda tra quante
sono in Italia, non esisterebbero”.
Un personaggio davvero straordinario, Enea Silvio che, per Giacomo
Zanibelli (Università di Siena), aveva fatto propria l’idea della educazione
dell’individuo – una educazione aperta a correnti spirituali diverse, e
talora anche non consonanti – come mezzo per esaltarne l’Humanitas,
alla maniera in cui la intendeva Cicerone: ossia come costante
miglioramento di sé, che trova “nella vita sociale e nella struttura dello
stato la sua più alta realizzazione”.
E di Pio II educatore ha parlato anche Carla Benocci (Soprintendenza
Comune di Roma), con riferimento alle strategie politiche e familiari di
Guido Sforza, Signore di Santa Fiora, e dei suoi eredi, Bosio e Francesca
Sforza Orsini. Il coraggioso viaggio di Pio II a Santa Fiora sul Monte
Amiata è un vero e proprio atto politico, fortemente voluto da Bosio
Sforza, ormai stabilitosi nel parmense, con lo scopo di aiutare il
giovanissimo figlio Guido, rimasto orfano di madre ed in balia delle
oligarchie senesi desiderose di impadronirsi della contea sforzesca. È lo
stesso papa a sintetizzare nei Commentarii i risultati raggiunti dal giovane
conte nella gestione del potere dopo la strategia delineata: i pilastri di
questa strategia sono la coesione sociale, anche nei confronti di
componenti in altri stati ritenute estranee, come gli ebrei; il ricorso a
risorse economiche e non alla guerra come mezzo per risolvere questioni
di confine; l’uso delle arti per la realizzazione di “manifesti politici” e di
celebrazioni familiari; accorti legami matrimoniali fondamentali per
stabilire una efficace rete protettiva a presidio del casato.
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Dunque una vera propria arte di governo che si ritrova, come ha
sostenuto Barbara Baldi (Università di Milano), nella visione di Enea
Silvio Piccolomini sul tema, spinosissimo, dei confini esterni e interni
dell’Europa. Ossia unità dei Cristiani come indispensabile forma di
contrasto all’avanzata dei Turchi, ormai saldamente insediati a
Costantinopoli e pronti a colpire a morte gli “infedeli”. Enea Silvio, già
dal tempo del Concilio di Basilea, aveva pienamente compreso il rischio
mortale a cui era sempre più esposta la civiltà cristiana. E, per
scongiurarlo, aveva accarezzato persino l’idea, poi abbandonata per la sua
irrealizzabilità, di offrire a Maometto II, a patto della sua conversione, il
primato politico di un mondo nuovo, in cui Oriente ed Occidente si
sarebbero uniti. Ma, appunto, il temerario progetto fu prontamente
deposto in favore di una crociata che, come è noto, non ebbe mai luogo.
La Cristianità avrebbe dovuto aspettare più di cento anni per sconfiggere,
per la prima volta, nella epica battaglia di Lepanto (7 Ottobre 1571),
l’Impero Ottomano.
Il convegno si è chiuso con una tavola rotonda, moderata da Petra
Pertici (Accademia degli Intronati), su “Pio II, la Chiesa rinascimentale e
la Crociata”, alla quale hanno preso parte Duccio Balestracci (Università
di Siena), che ha tratteggiato la figura di Pio II fra idea di Crociata e
progetto politico, e Marco Pellegrini (Università di Bergamo) sui
retroscena della elezione di Pio II che, diversamente da quanto riferito
nei Commentarii, fu il frutto di un preciso piano strategico. Una scelta
maturata nell’ambito di una cerchia di cardinali che avevano ben chiari,
in mente, una serie di obiettivi di grande respiro politico ed ecclesiastico.
Tra di essi, la guerra santa spiccava tra le più urgenti priorità, per motivi
geo-strategici non meno che per ragioni intra-ecclesiali. A seguito degli
sviluppi del Concilio di unione greco-latina di Ferrara-Firenze del 143839, infatti, la Chiesa romana del Quattrocento si era trovata direttamente
implicata in un’azione di contenimento dell’espansionismo ottomano
nell’Est Europa, oltre che necessitata dal riconoscimento della sua
sovranità spirituale sopra l’Oriente cristiano.
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Di qui la drammatica sfida che gli elettori di Pio II intesero raccogliere,
designando come nuovo capo della Cristianità un personaggio dalle
indubbie inclinazioni intellettuali ma anche dalla tempra fattiva, che negli
anni precedenti si era distinto per i suoi richiami alla “renovatio” di un
istituto così tipicamente medievale, come la Crociata.
Nel corso della giornata di studi è stata allestita anche una interessante
mostra sulla produzione letteraria di Enea Silvio Piccolomini curata da
Francesco Dondoli dal titolo: “Gli scritti sul Concilio di Basilea e l’indice
dei libri proibiti”.
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