Ospiti illustri
Giulia Samoyloff a Casamicciola nel 1844
di Domenico Di Spigna
Chi era la contessa Samoyloff? Era una bella e romantica dama russa divenuta celebre a Milano per la
sua condotta di vita sfarzosa ed altolocata, senzʼaltro
una figura singolare della città per le sue simpatie, per
le sue stranezze, per le sue beneficenze. Abitava in Via
Borgonuovo al civico 1531 (così segnato nel secolo
XVIII, mentre oggi è riportato il numero 20); il suo
salotto fu luogo di ritrovo dellʼalta società meneghina e
straniera. Si chiamava Giulia, ma preferiva essere chiamata Bulka, così come diceva nei momenti di tenerezza e come, guarda caso, si rivolgeva alla sua cagnetta
preferita, alla quale, quando morì per cimurro, tributò
un vero funerale.
Era nata dal conte Pietro Alexenoitch di Pahlen, originari della Livonia (oggi Lituania-Estonia), capo degli strangolatori dello Zar Paolo I nel 1801. Suo nonno,
il conte Strawonsky, era lʼultimo della famiglia da cui
uscì Caterina, moglie di Pietro il Grande.
Visse alcuni anni alla corte russa e fu già a diciotto anni damigella dʼonore dellʼimperatrice. La nonna
materna era una Engelhardt vedova Strawonsky, che
sposò in seconde nozze Giulio Renato Litta (1) vice
ammiraglio e gran ciambellano alla corte moscovita.
Era nata a Pietroburgo il 6 aprile 1803 e, andata sposa al colonnello Samoyloff, ne rimase presto vedova,
per cui lo zar Nicola II la onorò della propria benevolenza, ma forse ne fu lʼamante ed essendosene stancato
in circostanze non del tutto chiare la mandò via dalla
Russia.
Dice Nino Bazzetta de Vemenia: «Dai remoti lidi
della gelida Neva, dʼItalia nostra a respirar sen venne
la bellʼaura gioconda e sullʼamena sponda della fertile Olona rattenne i passi, ivi fermò suo seggio, il nobile
carteggio delle Bellʼarti a sé chiamando intorno, onde
fregiato e adorno, di maraviglia obietto, va sopra gli
altri il suo sublime tetto».
Donna sensuale, affascinante, bruna e di alta statura,
divenne presto ammirata e corteggiata, ma anche molto
discussa per le sue stravaganze nel capoluogo lombardo, dove arrivò allʼetà di ventiquattro anni, facendosi
notare in città per i suoi fasti, amori e bizzarrie. Aveva
paura dʼingrassare, ma diventava sempre più pingue,
si lasciava condurre per la città in carrozza traballante
1) Di questo nobile casato esiste ancora oggi un monumentale
palazzo, in rococò, in Corso Magenta a Milano.
La contessa Giulia Samoiloff, nata Pahlen
sulle strade di allora mal selciate; possedeva cani e gatti, pappagalli e canarini.
Si bagnava al mattino in una vasca di latte, per dare
tono e lucentezza alla sua pelle, ma si venne a sapere
che il suo servo, un ebreo convertito al cattolicesimo,
recuperava lo stesso latte per poi rivenderlo al Caffè
delle Antille e persino allʼaristocratico Caffè Cova (ancor oggi esistente) frequentato da ufficiali austriaci; per
tale laida frode dovette licenziarlo su due piedi.
Incoraggiata dal prevosto Ratti della chiesa di San
Fedele ad aiutare i poveri della città, ne assunse consuetudine rilevando dote di caritatevole slancio, cosa
che manifesterà poi anche al suo arrivo, nellʼestate del
1844, a Casamicciola. Tra le sue azioni pietose si ricordano pure un suo intervento, con ori e argenti, per
salvare una banca milanese dal fallimento, il beneficio
ad una sua ex cameriera che chiedeva aiuti economici
per potersi maritare, donandole alcuni pizzi di valore
del suo corredo esortando così: «Siete, mia cara ragazza, arrivata tardi a fine mese, quando solitamente sono
senza denari! Accettate questi pizzi, ne ricaverete qualcosa. Tanta felicità».
Nelle sale della procace nobildonna russa conveniva lʼufficialità austriaca con tanti bei nomi ed anche
lʼamica del musicista siciliano Vincenzo Bellini, la signora Giuditta Cantù, sposata con Ferdinando Turina
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commerciante di porpora. Negli intrecci amorosi viene
doveroso, con acribia, ricordare che anche il Bellini
ebbe una breve simpatia con la bella Giulia, dalla quale successivamente venne avversato assieme allʼaltro
musicista catanese Giovanni Pacini del quale sʼinnamorò.
La nostra sarà ammessa nel salotto culturale e politico della contessa Clara Maffei, frequentato tra lʼaltro
da due celebri pianisti coevi, Franz Listz e Talberg, ma
in quanto filoaustriaca ne venne allontanata. Quivi un
giorno avvenne una scena comica e patetica da parte
di Giulia Samoiloff che, avendo incontrato Giulietta
Pezzi, sorella di Gian Giacomo, suo innamorato, si
commosse fino alle lagrime e, baciandola a lungo, le
lasciò sul viso il nerofumo col quale si tingeva ciglia e
sopracciglia, mania che ebbe fin in punto di morte.
Notissima fu la festa del 9 maggio 1832 che tenne
nei giardini (oggi ridotti nelle dimensioni) di tale magione, ricevendo tanti nobili invitati e tantissimi cani e
gatti; la festa si protrasse fino allʼalba.
Era stata presente anche alla festa del 30 gennaio
1828 che aveva organizzato il conte magiaro Giuseppe Batthyani nel suo palazzo di Porta Renza (la Porta
Orientale di manzoniana memoria), abbigliata in abito
da contadina, corpetto e sottana rossa, maniche bianche,
velo bianco sui capelli che cadevano fin giù le gambe,
con a fianco la giovane Amazilia Pacini, figlia del celebre compositore che andrà poi in sposa ad Achille
Manara (fratello di Luciano, detto “il milordino”); di
tale costume ci resta la tela realizzata dal pittore russo
Carl Paulovich Brjullov (2).
Alta , formosa, sensuale, fu nellʼoccasione ammirata
anche dal pittore Francesco Hayez, nella contingenza
nelle vesti dellʼarchitetto Giulio Romano, che a sua
volta aveva disegnato i costumi per la nobiltà milanese; il noto artista veneziano la ritrasse con le forme
delle russe poco accentuate, sulle quali scendevano i
suoi nerissimi riccioli neri. La tela fu poi mandata a
Gian Giacomo Pezzi, uno dei suoi tanti amori. Questa
donna, dagli occhi verdi che riflettevano un fascino irresistibile, una finezza inebriante mista a voluttà, fece
innamorare non poche persone tra le quali si annovera
il musicista catanese Giovanni Pacini che in quel periodo dava al Teatro alla Scala la sua opera più nota,
“Saffo”. Essi si amarono e dopo che questi rimase vedovo stavano per convolare a nozze ma, a quanto pare,
per una reciproca incomprensione non se ne fece nulla e restarono buoni amici. Della loro corrispondenza
epistolare restano poche lettere, perché alcune distrutte
dallo stesso maestro, per timore che venissero pubblicate; in esse si rileva sempre un sincero affetto, come
2) Detta tela trovasi a S. Pietroburgo; il suo artefice a Milano dipinse pure il ritratto del soprano Giuditta Pasta.
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da quella scritta da Mosca intorno al 1840, in cui lo
diffida di guardarsi bene da certi cantanti definiti “pignatte rotte”(3). La vivace contessa, sia per le sue notorie idee filoaustriache, sia per la mascherata di gatti ed
i pomposi funerali per la cagnetta “Bulka”, era invisa
ai Milanesi, malgrado il suo spirito altruista e lʼaulico
lignaggio; per tali motivi, probabilmente, i lavori del
compositore siciliano venivano fischiati (4), come per
lʼappunto la “Saffo”, rappresentata per il Carnevale del
1842.
Rovistando tra le cronache milanesi del tempo, non
si può tralasciare il ricordo della gita fatta da Giulia sul
lago di Como, laddove noleggiò un barcone foderando
lʼabitacolo con pellicce e cuscini, visitandolo per tre
giorni, fino a Colico. Una sera in questa città, affascinata dalla voce del baritono Pery, che cantava nellʼErnani, gli chiese di sposarla e, non appena questi muore
(5), si risposa con il marchese de Mornay, dal quale si
separa prontamente (siamo al terzo matrimonio).
Per via di tutte queste sue “stranezze”, diceva una
delle donne più costumate delle famiglia Litta, con la
quale era imparentata, per mezzo di Giulio Litta grandʼammiraglio alla corte moscovita: lʼè roba deʼ mazala!, ed ancora il prevosto, “tutti imattʼ in minga alla
Senavra” (lʼantico manicomio milanese).
La «polledra ardente delle steppe algenti» (6), pur
nella mutevolezza dei suoi sentimenti, rimase fedele a
Gian Giacomo Pezzi che, da parte sua, innamoratissimo, le dedicava versi che suonavano così: «Tu padre,
tu madre, suora, sposa mi sei, tu pia, tu amante, tu di
angelica e di celeste cuore dotata!». Si sentì ancora
più solo G. G. Pezzi, quando “Bulka”, così si faceva
chiamare la Samoyloff, si allontanò da Milano per un
viaggio in Russia.
Tra le lettere raccolte dal Mantovani che da Parigi
arrivavano a Milano, la ormai sessantenne scriveva:
«Mio povero angelo buono, mio adorato Jean Jacques,
povero mio martire!» Ed in un altro stralcio: «Ti bacio,
ti adoro, ti desidero con tutta lʼanima mia finché vivrò!» Dato il suo alto tenore di vita, la gentildonna russa, per rimpinguare le sue finanze, intese causa al duca
Litta, spuntandola, così le venne mandato un legato di
100.000 lire. Tra le sue azioni, stavolta non amorose,
si viene a sapere che nel 1836 si fa sovvenzionare da
Gian Battista Gavazzi la somma di 340.000 lire con
3) In unʼaltra lettera scritta da Palazzo Litta, concludendo il suo
idillio, si legge: «Addio mio caro Nino, ti abbraccio di cuore».
4) Per maggior conoscenza storica aggiungiamo che il compositore
morì a Pescia, amorosamente assistito dalla sua terza moglie Marianna Scoti; lo scultore Guidi ne ritrasse le forme.
5) Morì per unʼindigestione di frutta, per la qual cosa la gente
ironizzava, dicendo il «Pery morì di pere».
6) Così veniva definita dal conte Andrea Maffei, che si separò dalla moglie Clara il 6 giugno 1846, con rogito del notaio Tommaso
Grossi e testimoni Giuseppe Verdi e Giulio Carcano.
Bains), viene ad inserirsi quello effettuato nellʼisola dʼIschia nel 1844.
Veniamo a conoscenza del suo soggiorno a Casamicciola in modo indiretto; come e quando vi arrivò non
è stato possibile definirlo in modo
circostanziato. Lo sappiamo invece,
dalla lettera di Madame de Lamartine (moglie del poeta francese Alphonse) che, in data 20 agosto 1844,
scrivendo allʼamica marchesa De La
Grange, diceva di aver preso in affitto col marito la Villa Tagliaferro (7)
alla Sentinella, appena lasciata libera dalla contessa Giulia Samoyloff.
Aggiunge nel suo scritto che questa
vi aveva rimasto un sofà e qualche
piccola tenda persiana per abbellire
il salotto. Quando con esattezza vi
7) Detta villa oggi non esiste più, crollò per
il terremoto del 1883.
Dovʼera Villa Tagliaferro? *
Giulia Samoiloff - Disegno di Gravedon,
1830 (Civica Raccolta Stampe Bertarelli,
Milano).
interesse del 5%, dando in garanzia
allʼatto notarile le sue immense gioie
consistenti in 2829 brillanti, pietre di
colore, 21 gocce di brillanti, smeraldi, ametista, granata, topazio. Nel
1849 poco ci mancò che non gli venisse sequestrata la casa dal signor
Giuseppe Vigliezzi (Intendente Regio) per aver prestato 7000 lire alla
cantante Boccabadati con una sua
garanzia ipotecaria, che in effetti poi
pagò per lei.
La procace donna frequentava il
salotto della patriota Clara Maffei,
ma, per le sue simpatie per gli austriaci che riceveva in casa sua, ne
venne allontanata. Dallʼarchivio Venino risulta la sua presenza a Milano
fino al 1855, anno in cui fece affrescare il salone del suo appartamento
dal pittore Demin; tra queste pitture
figurava unʼapoteosi di Napoleone
Bonaparte, di cui la russa era ammiratrice. Ciò provocò un “incidente
diplomatico” col governatotre austriaco Hartig, per cui fu costretta
a cancellarlo e sospendere i lavori
e per poter risarcire lʼartista veneto,
che versava in miseria, sʼimprovvisò
attrice, recitando la parte di un giovane nella commedia “Le prime armi
del Richelieu” al Teatro Re, mentre
il canonico Ambrosoli raccoglieva
le offerte dei generosi spettatori.
Tra i suoi numerosi viaggi (Mentone, Nizza, Carlsbad, Parigi, Aix le
Questa è una domanda alla quale non si può rispondere né prontamente, né
categoricamente. Occorre tenere ben presente sia quanto scrive la signora Lamartine: «Nous sommes établis, dans une petite villa, la villa Tagliaferro, près de
Casamicciola», sia la topografia contemporanea del paese.
È noto che il centro di Casamicciola fino al 1883 era costituito dalla contrada
Maio. Qui cʼera una grande piazza con lʼantica Chiesa parrocchiale dedicata a
San Severino, la primitiva Confraternita di Santa Maria della Pietà, la Gendarmeria, il Comune, il Gran Caffè Centrale, una panetteria e altri due o tre negozi.
Verso questo centro gravitavano non pochi casali di periferia tra i quali, ad oriente, quelli di Casa Siano, di Castanito e della Sentinella.
Fatta questa premessa, appare chiaro che lʼespressione «près de Casamicciola»
va interpretata e tradotta «vicino al centro di Casamicciola», ossia nellʼambito di
questo territorio, non altrove.
Villa Tagliaferro non esiste più. Le numerose e accurate cronache del disastro
del 1883, che pure abbondano di particolari, non ne fanno menzione. Essa doveva sorgere su quella striscia di terra compresa tra lʼodierno Hotel Suisse e Villa
Sauvé. A localizzarla a Castanito concorrono questi due punti fermi: il poeta incontrava spesso «la vielle princesse Oginski paralysée dans son fauteuil», mentre
faceva la sua passeggiata; e lʼubicazione della dimora della principessa.
La contessa Amalia Zaluska dei principi Oginski abitava a Villa De Rivaz - poi
Casa Arcamone - che il celebre medico aveva destinato a Casa di Cura.
Semidistrutta dal terremoto dellʼ83, Villa De Rivaz fu venduta dagli eredi al
figlio della principessa Oginski, conte Carlo Zaluska; questi, dopo averla ripristinata, la ribattezzò Villa Zaluska. Lʼattuale proprietario, ampliandola, le ha mutato
il nome, ma ha lasciato intatta la parte più antica della casa, la cappella gentilizia e il tumulo a cielo aperto dove, a suo tempo, era stata sepolta la principessa
Oginski. Lʼepigrafe sulla base dellʼaltare e lʼaltra a pieʼ della croce del tumulo
parlano chiaro. Per questi motivi, è evidente che Villa Tagliaferro poteva sorgere
solo in queste vicinanze. Sulla terrazza di questa villa Lamartine ha scritto le
pagine indimenticabili di Graziella. A chi, poi, volesse sapere chi era la signora
Samoiloff, posso dire soltanto che, a Casamicciola, la contessa Giulia Samoiloff
godeva fama di persona tanto pia e religiosa quanto generosa e socievole. Virtù che invogliarono un oscuro sacerdote ad avvicinarla più volte quellʼanno per
chiederle insistentemente dei doni per la sua chiesetta. Dietro la tela della prima
stazione della Via Crucis, esistente nella chiesa di San Pasquale a Casamicciola,
cʼè scritto: «Questa Via Crucis fu dipinta da Luigi Marti per commissione della
Contessa Giulia Samoiloff nata Contessa von der Pahlen a vivissime ed eloquentissime istanze del Reverendo Sac. Giuseppe Monti». E, in basso, nellʼangolo sinistro cʼè scritto: «Lʼanno 1844». Non è improbabile che fu anche lei a donare alla
medesima chiesetta lʼaltare laterale dedicato alla Madonna Addolorata, il quale
presenta molti pregi artistici e, ai due lati, uno stemma gentilizio.
* Pasquale Polito, in Lamartine a Napoli e nelle isole del golfo, F. Fiorentino ed., 1975.
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sia arrivata non è stato possibile appurarlo. Certamente più di una volta
venne a Napoli insieme al suo Pacini
ed è certo che nellʼanno 1832 prese alloggio in Via Chiaia al Palazzo
Estherazy, mentre Pacini era ospite a
Palazzo Barbaja (8). A Casamicciola la contessa godeva reputazione di
donna generosa e socievole; per tale
motivo fu avvicinata dal sacerdote
Giuseppe Monti della chiesa di S.
Pasquale, in Corso V. Emanuele (allora Corso Ferdinando IV) per chiedere unʼofferta per la stessa. Ciò viene documentato da quanto è scritto
dietro il quadro della prima stazione
della via crucis, opera del pittore
Marti, eseguita per commissione
della contessa Von der Pahlen a vivissime ed eloquentissime istanze
del reverendo Sac. Giuseppe Monti.
La contessa muore a Parigi allʼetà
di settantadue anni non prima di aver
raccomandato alla sua cameriera di
tingerle i capelli. I funerali si svolsero nella chiesa russa di Via Daru e
le sue sostanze andarono allʼultimo
suo amante, il medico Boulgarel.
8) Appartenuto al famoso impresario Domenico Barbaja; si trova in Via Toledo a Napoli.
Bibliografia
1) Neri Carmelo - Bellini morì di veleno? Prova dʼAutore- Catania 2000.
2) Bazzetta de Vemenia Nino - Luci
e Penombre della Lombardia, Como,
1919.
3) Corriere della Sera 22/23 ottobre
1943, anno XXI.
4) Sioli Legnani-Mezzanotte Paolo
- Contrade milanesi - Il BorgonuovoMilano, 1945.
5) Possenti Eligio - Milano AmorosaBaldini e Castoldi- Milano, 1964.
6) Raffaello Barbiera - Il Salotto della
contessa Maffei, Firenze, 1915.
7) Pasquale Polito - Lamartine a Napoli e nellle isole del golfo, Fausto Fiorentino editore, Napoli.
8) Cfr. Lettera di G. Donizetti a Melzi
del 27.9.1832 - G. Zavadini a Donizetti
pag. 302.
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Da «Il Casamicciola
Corriere dellʼisola dʼIschia Rivista Termale Ebdomadaria»
Direttore-proprietario Nicola Fittipaldi - Mercoledì 31 gennaio
1906
Forio allʼEsposizione
internazionale di Milano
Giovanni Maltese, lʼamico nostro carissimo, lo scultore modesto
quanto geniale, il poeta dialettale spontaneo e prediletto di Forio e dellʼIsola ha voluto mostrare che la sacra scintilla dellʼarte non è spenta
fra noi.
La più completa solitudine in cui passa la vita con la sola compagna
amata, anchʼessa anima di artista affettuosa e gentile, la mancanza di
un ambiente in cui il genio trovasse a spaziarsi ispirandosi al bello e
lʼincoraggiamento allietasse fecondando, non sono ostacoli pel caro
artista.
Vi sarà a Milano una Esposizione internazionale per lʼapertura del
traforo del Sempione, con un reparto, fra tanti altri, per la scultura, pittura o belle arti, ed il nostro simpatico amico concorre affermando il
buon nome di questa Isola dimenticata affrontando ogni sorta di spese
e di disagi e lavorandovi da mesi.
Egli esporrà fra lʼaltro, oltre al suo Naufrago, stupenda interpretazione e concezione di vero artista, anche la sua Agrippina, assieme a
testine e busti aggiungendovi il suo nuovo lavoro, la Vendemmia: un
bassorilievo bellissimo per linea prospettica, per varietà dʼinsieme e
di dettaglio e soprattutto per sentimento di gaiezza che spira, ovunque lo sguardo del visitatore si posi; il movimento generale nel bassorilievo che sembra una pittura, è pieno di vita e di azione: i monelli
e le piciòcche che trasportano lʼuva al palmento nei tini ripieni ed i
giovinetti che accompagnano i somari carichi di mosto ed i vigili padroni o gli amici e le comari, tutto è canto, è gaiezza; e della deliziosa e lieta festa della vendemmia nulla è dimenticato nulla è trascurato
ed il bacio furtivo scambiato tra due innamorati, di fretta fra le risa
ed il canto in quella ressa, in quel vociare, in quel viavai incessante,
non è stato dimenticato e riprodotto in una azione attraente e gradita
perché indovinato. Abbiamo visitato il nuovo lavoro quando era appena abbozzato nelle linee generali, ma fin dʼallora vi era tutta una
promessa di sicura riuscita, tutto lʼaccenno di una vera opera dʼarte.
Ci duole non poterne dire di più pel momento, ripromettendoci intrattenerci sul nuovo lavoro del nostro amico a suo tempo. Per ora gli
mandiamo gli auguri sinceri e sentiti, che il vero coraggio sia coronato
di successo facendo lieto, superbo ed orgoglioso il paese.
In questa speranza attendiamo con ansia che al successo artistico
che non potrà mancargli, si accoppiasse lʼaltro mon meno gradito e
necessario per quanto volgare, annunziato col sacro e solenne cartello
ad ogni suo lavoro che porta la fatidica parola. Venduto! (N. F.).