LA PREISTORIA DELLA FILOSOFIA NELLA PREISTORIA
DELL’UOMO:L’ORIGINE DELLA DOMANDA SUL SENSO
DELL’ESISTENZA.
1.
2.
3.
4.
Indicazioni dalla psicologia dello sviluppo.
Indicazioni dalla preistoria.
La religione dell’antico Egitto e quella mesopotamica
La domanda all’origine della tradizione sapienziale greca: i poemi
omerici, la religione pubblica e i misteri orfici, le sentenze dei sette
sapienti.
5. La nascita della Filosofia tra fedeltà alla tradizione sapienziale greca
e incontro con le culture del Mediterraneo antico.
6. Punto di vista, oggetto, metodo, fine della filosofia antica.
1. Indicazioni dalla psicologia dello sviluppo.
Già nella prima infanzia – a partire dalla metà del secondo anno – lo
sviluppo del linguaggio nel bambino si articola nella formulazione di
domande finalizzate non al mero soddisfacimento di bisogni immediati
(anche gli animali esprimono queste domande attraverso linguaggi non
verbali), ma alla ricerca di significati sconosciuti, relativi al mondo che li
circonda; il passaggio dall’egocentrismo all’uscita da se stessi e
all’apertura al mondo esterno si manifesta, dunque, in primo luogo, sul
piano conoscitivo, come curiosità che genera domande e ricerca risposte;
in questa ricerca il bambino dipende totalmente dall’universo degli adulti
in cui è immerso, emerge però, fin da ora, un dato fondamentale: all’alba
della sua vita, l’uomo si rivela un animale che si interroga sulla vita stessa.
Sin da quest’alba, tuttavia, le domande possono essere più o meno
soddisfatte dal mondo circostante, con le relative conseguenze sul
successivo sviluppo psicologico del bambino; a tre anni i “perché”
vengono già ripetuti in maniera martellante.
Non si intende qui ripercorrere la psicologia dello sviluppo, ma cogliere
l’originarietà del “domandare” nell’uomo.
La stessa caratteristica emerge, in maniera molto più consistente ed
articolata, durante l’adolescenza; vediamone i tratti salienti:
• Contestazione dei modelli esistenziali ereditati (si esprime in maniera
diversa e più o meno intensa nelle diverse persone e nei vari
momenti storici);
• Presenza di irrequietezza, di insoddisfazione, di ricerca non ancora
orientata verso mete definite;
• Tendenza fortissima all’introspezione e ricerca del confidente, prima
dello stesso sesso, poi dell’altro sesso;
• Bisogno di fare riferimento a degli ideali, non necessariamente di
natura religiosa.
L’adolescente, dunque, si autoesplora e condivide con un interlocutore
privilegiato questa esperienza di introspezione; si pone delle domande alle
quali cerca risposte precise e assolute, “sposando” dei principi o dei
modelli ideali (figure carismatiche, idoli di successo).
2. Indicazioni dalla preistoria.
La stessa esigenza, spontanea e costitutiva dell’uomo, come si è
manifestata nella storia dell’umanità?
Non solo sul piano naturale, ma anche su quello culturale, il cammino
percorso dall’uomo nella preistoria è più importante di quello percorso
nella storia, per le acquisizioni raggiunte. Con l’affermarsi dell’homo
erectus si ha una svolta nell’evoluzione, individuabile nella proporzione
totalmente nuova tra lo sviluppo del cervello e quello delle altre parti del
corpo. “In linea generale, è evidente che vi sia un legame tra volume
relativo (peso cervello/peso corporeo) e intelligenza, documentato da tutta
la storia dell’evoluzione. Questo aumento della massa cerebrale è
continuato con velocità diverse lungo i vari rami dell’evoluzione. La
velocità più alta è stata quella registrata lungo il ramo che ha portato
all’uomo moderno. In definitiva, il dottor Jerison ritiene che la complessità
dei tracciati cerebrali, del wiring straordinario dell’uomo, non sia altro che
il risultato diretto dell’aumento del volume cerebrale: più il cervello di una
specie è sviluppato, più si hanno strutture complesse e intrecciate. E,
dunque, prestazioni cerebrali più elaborate e intelligenti” (1). L’homo
erectus pratica l’inumazione (2) e il cannibalismo (3); succhia, cioè, il
cervello dal foro occipitale allargato, per ereditare la forza vitale del
defunto. Emerge un’attenzione, sia pur primitiva, al valore della vita
umana al di là della morte; si potrebbe quasi dire che l’homo erectus –
perfino lui – interpella la coscienza dell’uomo di oggi e il suo modo di
porsi dinanzi all’esistenza. Emerge, inoltre, una originaria consapevolezza
di essere erede di un passato, quello di chi lo ha preceduto, il tempo
preistorico si va, quindi, riempiendo di significato; di esso l’uomo
preistorico comincia, sia pure in modo rudimentale, a fare memoria.
L’homo sapiens neinderthalensis, che, attraverso l’accensione del
fuoco, crea i primi focolari, compie probabilmente le prime pratiche
magiche, segno del fatto che comincia ad avvertire nel suo universo la
presenza di eventi che lo ostacolano e che non riesce a dominare con le sue
sole forze naturali. Con l’uomo di Neinderthal appaiono anche le prime
forme d’arte, le pitture parietali con soggetti animali di significato
propiziatorio.
Nell’età neolitica verranno edificati altari a divinità che simboleggiano
la vita e la fecondità (Gran Madre); dalla rivoluzione agricola in poi, non
sarà più l’uomo a far parte della natura, ma la natura diventerà strumento
per i fini dell’uomo; in uno stadio più maturo tale consapevolezza si
esprimerà nelle religioni delle civiltà del Mediterraneo antico.
3. La religione dell’antico Egitto e quella mesopotamica dinanzi
alla domanda.
In Egitto la religione è politeistica a sfondo naturalistico (4).
Percorrendo le tappe fondamentali della preistoria, abbiamo notato
come nell’uomo le domande fondamentali sul significato dell’esistenza
comincino ad emergere prima di tutto da alcuni gesti e segni che
esprimono la percezione di un’indigenza avvertita, in modo particolare, nel
momento in cui si soffre la perdita di una realtà che si ama; è il lutto a far
entrare l’uomo in modo nuovo nel tempo e a renderlo desideroso di
assimilare un passato, assimilando la vita stessa di chi ha amato e che non
c’è più, a far nascere in lui interrogativi su un futuro ancora sconosciuto.
Nella civiltà egiziana queste stesse domande hanno trovato delle
risposte codificate dalla religione ufficiale. E’ proprio su questa esigenza
di codificazione che è necessario fermarsi, per poter procedere nel nostro
racconto, ma per intravederne le principali ragioni, è indispensabile prima
cogliere alcuni aspetti di queste civiltà antiche. In Egitto la società si
struttura in modo piramidale (la piramide non è solo una tomba
monumentale, è anche il simbolo di una mentalità). In essa il faraone è il
“simbolo dell’unità, l’interprete della volontà divina, nella quale si
identifica, protettore, padre, pacificatore, a lui si attribuiscono poteri
divini; è il capo di tutta l’amministrazione e dei numerosi e potenti ordini
sacerdotali; non ha ostacolo alla sua potenza e la sua parola va ascoltata in
religiosa umiltà; unico limite al suo sconfinato potere è solo un ideale di
verità e di giustizia che guida le sue decisioni”. (5) I funzionari, detti “suoi
occhi e sue orecchie”, hanno funzioni politiche e religiose. Dal faraone
partono parole e disposizioni divinamente ispirate, egli è una sorta di causa
prima, al faraone, come ad uno scopo supremo, tendono tutte le attività
della nazione. (6)
In una civiltà come quella egiziana la libertà di ricerca è permessa,
pertanto, solo nell’ambito del sapere profano applicato alla tecnica per fini
utilitaristici; una ricerca dettata da altre esigenze trova già tutte quante
codificate e rigidamente controllate le risposte possibili. In una società così
gerarchizzata al suo interno ed ermeticamente chiusa verso l’esterno, la
presenza di coscienze autenticamente critiche – sempre e ovunque
problematica – diventa, di conseguenza, impossibile. Gli Ebrei stessi, nel
momento in cui vengono coscientizzati da Mosè, non possono ad un tempo
vivere da liberi nel sentire e nell’agire e rimanere in Egitto.
E’ impossibile, dunque, coltivare l’amore per la sapienza – per ciò che
rende sapida la vita – se non si è diventati liberi di sentire e di vedere,
guidati dai propri modelli, ma non soffocati nella propria costitutiva
libertà. Libertà e consapevolezza sono, infatti, in un rapporto reciproco e
dialettico; diventa possibile, in tal modo, parlare di libertà consapevole e di
consapevolezza libera; non si tratta, comunque, di un punto di partenza,
ma di un punto di arrivo, risultato di un faticoso e spesso accidentato
cammino. L’abilità di guardare e di cercare, tuttavia, è condizione
necessaria, non sufficiente al filosofare, ritornando al nostro percorso,
infatti, notiamo che nelle civiltà mesopotamiche si cominciava a dare
spazio alla libertà, ma neanche qui è nata la Filosofia.
Anche nello sviluppo delle civiltà mesopotamiche la posizione
geografica e la natura del territorio hanno esercitato un’influenza
determinante. Come il Nilo, il Tigri e l’Eufrate sono fonte di vita, ma,
diversamente dall’Egitto, la Mesopotamia è terra attraversata da molti
popoli; in essa, pertanto, il commercio, non solo interno, ma anche esterno,
ha una funzione rilevante dal punto di vista economico; esso favorisce lo
sviluppo di un ceto commerciale che emerge dal basso per libera iniziativa
di singoli uomini intraprendenti, non rigidamente condizionati da
un’autorità politica. Dal punto di vista culturale, favorisce la creazione di
una mentalità aperta a istanze diverse, non costretta all’interno di
codificazioni troppo rigide stabilite anch’esse dal potere politico; qui,
infatti, il sovrano non è ritenuto divino, e quindi infallibile, ma mediatore
tra l’uomo e gli dei e, pertanto, fallibile. La cultura ha una valenza
utilitaristica e una religiosa: la poesia, la magia, l’epatoscopia, l’astrologia
sono tutti tentativi di penetrare, già in questa vita, il significato di tutto ciò
che appare incomprensibile e, più di tutto, della morte e dell’oltretomba,
terra senza ritorno; si ha timore degli dei e di tutte le realtà sconosciute,
traspare un’insicurezza anche sul piano morale circa la giustizia delle
proprie azioni, in cui si ha paura di sbagliare e di offendere Dio. “In
genere…la cultura mesopotamica fu più vivace e più ricca di curiosità di
quella egiziana,…anche qui però non si concepì lo studio di un problema
per pure ragioni conoscitive, ma ogni difficoltà fu sempre affrontata solo
perché si presentava come un caso concreto da risolvere, con un forte
senso di praticità, ma con scarsa consapevolezza scientifica”. (7)
Tramite la civiltà cretese, giungono in Europa le prime testimonianze
della civiltà egiziana e di quelle mesopotamiche; a Creta si diffonde la
venerazione della dea Potnia, simbolo della vita e della fecondità, oltre ad
una produzione artistica attenta all’individuo.
4. La domanda all’origine della tradizione sapienziale greca: i
poemi omerici, la religione pubblica e i misteri orfici, le sentenze
dei sette sapienti.
Da una rapida considerazione delle maggiori religioni del Mediterraneo
antico, è emerso un elemento costante, che è bene tenere presente nel
nostro percorso: esse forniscono delle risposte ad un senso di insicurezza –
anche psicologica – che l’uomo ha sempre nutrito fin dalle origini,
avvertendo il proprio limite strutturale e la propria impossibilità di
superarlo, egli alza lo sguardo verso una forza che lo sovrasta e nella cui
esistenza crede. La credenza religiosa deriva, quindi, da un bisogno
naturale dell’uomo e implica un movimento dal basso verso l’alto.
La stessa domanda di cui abbiamo finora parlato, come viene
soddisfatta nella Grecia arcaica?
Durante l’invasione dorica gli aedi e i rapsodi cantano nostalgicamente
gli splendori della civiltà micenea, creando la materia dei poemi omerici.
L’Iliade e l’Odissea forniscono l’orizzonte dei valori entro cui si muoverà
la gioventù aristocratica greca; essi, infatti, sono ormai universalmente
definiti “la Bibbia dei Greci”; vediamone alcuni aspetti.
Esiste una totalità armonica nei poemi, nonostante le differenze interne;
l’uomo omerico non ha disposizioni e predisposizioni che improntino in
permanenza la sua natura individuale, egli può soltanto nutrire sentimenti e
passioni, tendenze momentanee, che trovano subito uno sfogo, spesso
violento, sul terreno sociale, dove cercano la loro immediata
soddisfazione; esiste, inoltre, una subordinazione netta delle figure
femminili a quelle maschili, un primato della vita sociale su quella privata
e una caratterizzazione esclusivamente professionale del personaggio; ci
sono poi una considerazione dell’onore (riconoscimento immediato della
vox populi) come dell’unico principio che ispira la condotta degli eroi
omerici e una considerazione della sfera privata e intima come l’unico
universo entro cui si esprime la personalità femminile; le figure femminili
omeriche si costruiscono un universo di sentimenti privati che gli uomini
non conoscono ancora. Mentre le passioni maschili hanno uno sfogo
nell’assemblea o sul campo di battaglia, sorgono improvvise o scompaiono
nell’azione, sono sempre accompagnate dal ragionamento, hanno uno
scopo, le passioni femminili derivanti da una sorta di predestinazione
sociale, diventano permanenti e quindi irrazionali, monomaniache, e
questa unilateralità affettiva può scadere nel patologico.
Guardiamo adesso alla sfera religiosa come conseguenza di questa
antropologia: “Il mito omerico…non è il prodotto di un lavoro razionale, il
risultato logicamente comprensibile di uno sforzo teologico e non è
nemmeno il riflesso diretto di esperienze religiose autentiche, cioè
paragonabili alle esperienze religiose moderne o a quelle dei popoli
primitivi noti alla scienza. Resta solo un campo in cui collocare il mito
omerico: la fantasia poetica”.(8)
Nelle altre religioni mediterranee, dunque, ad eccezione che
nell’ebraismo, gli dei rispondono alle indigenze dell’uomo, sono fonte di
vita e dominano, comunque, sugli uomini; nei poemi omerici gli uomini,
soprattutto gli eroi, esplodono in tutta la loro umanità, tentando di superare
qualsiasi limite esterno; gli dei diventano allora la proiezione di queste
forze umane, l’eroe omerico è colui che esprime in maniera incondizionata
tutta la sua natura e, in questo, diventa modello per la gioventù
aristocratica greca. “Quando gli atti individuali di interesse pubblico
cominciano a comportare una responsabilità, ed eventualmente una
sanzione, ossia devono essere riferiti ad un sistema di norme eticogiuridiche, è necessario che i moventi di quegli atti non siano più connessi
a spinte casuali e capricciose di una divinità qualsiasi, ma siano collegati
ad una sfera religiosa adeguatamente sicura, stabile, gerarchicamente
ordinata, che funga da strumento servibile non solo per spiegare, ma per
giudicare gli atti, per approvarli o condannarli. Al tempo di omero è
dunque in corso un processo di formazione teologica”. (9) Chi provvede a
questo compito? I poeti. Manca, quindi, in Grecia un’autorità istituzionale
che codifichi delle credenze o dei dogmi e ciò agevolerà enormemente la
libera ricerca. La dimensione religiosa non ha delle radici naturalistiche,
ma antropomorfiche, non genera codificazioni controllate dall’autorità
politica, ma si esprime attraverso la libera e creativa ispirazione dei poeti;
la parola poetica racchiusa in forme metriche che ne assicurino il prestigio
e la conservazione fa di Omero e di Esiodo i maestri di tutti i Greci. Nei
poemi omerici la giustizia (dìke) è il valore morale dominante e ottimistica
è, nel complesso, la visione dell’uomo; giustapposto è, rispetto agli
uomini, il mondo degli dei.
Con Esiodo, primo poeta storico, siamo intorno all’VIII secolo;
pessimistica – o forse più realistica? – appare ne “Le opere e i giorni”
l’immagine esiodea dell’homo faber, costruttore, attraverso le proprie
opere, del proprio tempo.
Abbiamo visto che l’eroe omerico è l’uomo che esprime in modo
esplosivo tutta la propria natura, senza distinzione tra forze positive da
promuovere e forze negative da estirpare e che gli dei omerici sono
oggetto del culto ufficiale e proiezione di queste forze naturali dell’uomo;
essi, inoltre, non coinvolgono gli uomini nella loro interiorità, non
suscitano, cioè, in essi alcuna trasformazione. Si comprende, in tal modo,
l’esigenza, emersa fin dal periodo arcaico, di vivere un’esperienza
religiosa che si rivolge al male presente dentro l’uomo. E’ interessante
intravedere questa consapevolezza in altri universi religiosi (ebraismo,
religioni persiane); emerge anche all’interno dell’Orfismo una visione
negativa della corporeità, che Platone farà sua, si coglie infine una
narrazione poetica dell’origine del cosmo dal caos. Le risposte sull’archè
(principio, ma anche forza) vengono affidate all’ispirazione poetica,
affiora però anche la consapevolezza del limite umano in questa ricerca e
si dà, pertanto, ancora uno spazio notevole alla credenza, a ciò in cui i
padri hanno già creduto e che hanno tramandato. Anche Museo, secondo
quanto riferisce Platone, parla di assoluzione e di purificazione dalle
ingiustizie per mezzo di riti piacevoli e la visiona dualistica dell’uomo
ritorna in Epimenide. Si tramanda, inoltre, che per la prima volta ferecide
di Siro abbia sostenuto che le anime sono immortali; in lui emergono,
come principi delle cose, quelli che troveremo nei fisiocrati. Teagene poi
parla per primo di contrarietà tra gli elementi come immagine allegorica
della contrarietà tra gli dei.
I sette sapienti offrono anch’essi una lettura prefilosofica del problema
morale. Dai loro testi si avverte come i valori laconicamente enunciati
siano stati prima esistenzialmente sperimentati.
5. La nascita della Filosofia tra fedeltà alla tradizione sapienziale
greca e incontro con le culture del Mediterraneo antico.
La tradizione mitico-religiosa e poetica della Grecia arcaica – frutto,
all’inizio, di una libera ispirazione – si è andata esprimendo, come
abbiamo visto, in maniera sempre più definita, in testi organizzati secondo
regole precise, che hanno costituito un punto di riferimento autorevole per
la costruzione dell’identità culturale ellenica.
Dopo l’invasione dorica, la cultura ufficiale esprime le istanze di una
società dominata dall’aristocrazia latifondista; scopre il potere dei re,
tipico della società micenea, e l’indigenza della maggior parte della
popolazione diventa diventa motivo di “esodo” dalla madre patria verso le
coste dell’Asia minore. Partire significa, anche in questo caso, vivere
l’impatto con tradizioni culturali diverse e relativizzare, quindi, la
tradizione culturale di provenienza. L’esodo libera, in qualche modo, dalla
sicurezza, anche psicologica, offerta dalla cultura dei Padri, rende insicuri,
fa avvertire l’esigenza di cercare, in modo più consapevole, risposte alle
domande radicali, che siano nuove non solo nei contenuti, ma anche nella
loro stessa natura; siano cioè dotate di una giustificazione che le renda
accettabili, o almeno proponibili, a quanti provengono da universi culturali
lontani, non solo geograficamente, da quello greco.
L’esigenza diventa ora quella di dire non solo che il cosmo si origina da
qualcosa, ma anche perché e come esso si origina e si costituisce. Fornire
una simile giustificazione diventa impossibile se si rimane in un ambito
mitico-religioso e poetico, è necessaria un’indagine in cui le risposte non
vengano semplicemente accolte, ma siano attivamente ricercate. Ma per
ciò stesso è necessario l’uso di uno strumento nuovo (la rivoluzione è
notevole, è paragonabile a quella scientifica!), che, in qualche modo,
coincide con la cosiddetta luce naturale della ragione.
6. Punto di vista, oggetto, metodo, fine della filosofia antica.
La parola filo-sofia è una parola composta, che significa amore del
sapere, sapio corrisponde al verbo italiano assaporare, ossia cogliere il
gusto di qualcosa, cogliendo ciò per cui esso vale, assaporare implica
anche un alimentarsi. L’amore di cui qui si parla non è inteso come eros,
ma come filìa (amicizia). In un rapporto di amicizia non mi posso limitare
ad ascoltare passivamente i messaggi che l’altro mi comunica, ma ho delle
reazioni rispetto ad essi, analogo è il rapporto che si instaura tra il filosofo
e la sapienza, la cui coltivazione lo coinvolge non solo a livello
intellettuale, ma anche a livello affettivo. L’essere sapiente è un
atteggiamento, un modo di vivere, esprimere l’amore per la sapienza
significa dunque conoscere ed assaporare, ma –ahimè! –si può anche
conoscere senza assaporare (cioè senza amare ciò che si vede) e si può
assaporare senza conoscere (volendo cioè semplicemente possedere le
cose). In Grecia, la patria della filosofia occidentale, tale ricerca coincide
con l’indagine sull’origine e la natura del cosmo considerato nella sua
totalità ordinata e contrapposto al caos. Successivamente, in modo
particolare da Aristotele in poi, l’indagine si articolerà in direzione fisica,
etica, politica, logica, poetica; la filosofia, dunque, implica l’esercizio
quanto più pieno possibile dell’intelligenza, della volontà, dell’affettività,
essa, pertanto, non è un’esperienza frustrante, ma gratificante.
Parlando di filosofia, bisogna distinguere l’atteggiamento, per così dire,
filosofico dell’uomo comune da quello del filosofo in senso stretto.
L’essere filosofo è, prima di tutto, una dimensione naturale dell’uomo,
egli, infatti, è un animale che ricerca e che si interroga, in quanto dotato di
ragione, ma si tratta di una dimensione la cui realizzazione è possibile, ma
non necessaria; l’uomo, infatti, corre sempre il rischio di vegetare,
vedendo, in tal modo, morire l’espressione della sua umanità.
Lo psicologo teorico Viktor Frankl apre un suo libro (Logoterapia e
nalisi esistenziale) parlando della gioventù americana, che, in maniera
diffusa, vive come disagio più evidente l’assenza totale di iniziativa, non
riuscendo così a prefiggersi delle mete certe da raggiungere. Alla base di
questo profondo malessere, che colpisce la gioventù in genere, c’è
un’assenza di significato nella propria esistenza. Per Frankl, affinché si
possa guarire da questo male, non è sufficiente la psicoterapia, ma è
necessario intervenire con la logoterapia, cioè con l’esercizio costruttivo
della ragione, bisogna, cioè, darsi degli obiettivi verso cui orientarsi e che,
ai propri occhi, abbiano un valore. La filosofia è quindi una possibilità che
ci viene data, ma se non la si sa cogliere, si rischia di diventare malati!
Esistono, infine, dei possibili rapporti tra il senso comune (il modo
comune di sentire l’esistenza) e l’indagine del filosofo di professione? La
risposta non è univoca, alcuni filosofi hanno separato le due sfere, altri
hanno stabilito una continuità tra esse. La filosofia come indagine riflessa,
comunque, non può abbandonarsi alla spontaneità del senso comune, deve
sottoporlo ad attento e rigoroso giudizio critico, salvando unicamente ciò
che possiede in sé la forza di resistere dinanzi ad esso.
Note
1) P.ANGELA, Viaggio nella scienza, Milano, 2002, p.144.
2) A partire dall’età del bronzo, una particolare forma di
inumazione è stata l’incinerazione: si è pensato che,
rispondendo meglio la distruzione rapida col fuoco al bisogno
di liberarsi dal terrore che incute il ricordo o lo spirito dei
morti, l’incinerazione sia stata adottata perché utile ai vivi.
3) Tra i vari motivi che lo dettano fin dalla preistoria, non ultimo
quello più diffuso della sopravvivenza, c’è la superstizione:
essa nasce dall’idea comunissima tra le genti di rango inferiore,
di poter trasferire nel vivo le qualità fisiche o morali del morto,
risiedano esse nella carne…, nel cuore, sede del coraggio…,
ecc. (lib.cit. dal III vol. dell’Enciclopedia italiana).
4) Oltre al Nilo, datore di vita, vengono venerati:
il dio Grano;
lo Scarabeo usato anche come amuleto;
Osiride che esprime la vittoria del bene sul male;
Iside, dea consolatrice degli afflitti,
Oro, il Sole;
Anubi che pesa le azioni degli uomini nel passaggio all’aldilà (
il giudizio sulle azioni umane conferisce alla dimensione
religiosa uno spessore morale);
i morti e l’oltretomba, considerata quest’ultima come il luogo
della continuazione della vita;
si ha infine un forte senso della famiglia e viene riconosciuta
una particolare importanza alla donna e ai figli.
5) Lib. Cit. da A.CAMERA, R.FABIETTI, Elementi di storia
antica,Bologna, 1990.
6) Vediamone alcune:
l’agricoltura, molto florida e importante, impegna i contadini,
che, però, non possono disporre del raccolto, esso, in gran parte
viene loro requisito dall’amministrazione civile e militare,
perché la terra che lavorano appartiene al faraone o a qualche
ordine sacerdotale;
le attività minerarie: i minatori vivono una vita molto dura,
forse peggiore di quella dei contadini;
l’artigianato. Gli artigiani godono di una situazione sociale
meno sfavorevole, essi lavorano per i gruppi sociali più agiati,
al cui benessere partecipano, almeno marginalmente,
il commercio: è poco importante, perché prevalentemente
interno;
la cultura ufficiale si esprime nella realizzazione di colossali
opere architettoniche civili e religiose, nella letteratura, nel
diritto, nell’astronomia, nella chirurgia.
7) A.CAMERA, R.FABIETTI, op.cit, p.78.
8) F.CODINO, Introduzione a Omero,Torino 1990, p.159.
9) Ivi, p.161.
10)Cfr. I PRESOCRATICI, Testimonianze e frammenti, tomo I,
Roma-Bari 1986, pp.3 e ss.
Secondo la concezione orfica, alberga nell’uomo un principio
divino chiamato demone (dàimonion, di gen.neutro), considerato
colpevole di essere caduto in un corpo, ciò significa che,
originariamente, esso si trovava in un universo differente,
nell’uomo è quindi qualcosa, la cui origine è diversa da quella del
corpo. La caduta ne provoca lo scadimento della natura ed è
espressione di una colpa, il corpo è considerato negativamente, per
cui il demone passerà da un corpo all’altro finchè non avrà espiato
tutte le sue colpe. La caduta avviene nel momento in cui l’anima
razionale si esprime sottomettendosi all’anima irascibile e questa
all’anima concupiscibile. I riti orfici costituiscono il mezzo per
espiare queste colpe: l’uomo avverte dentro di sé la presenza di
forze negative, che non è bene siano espresse liberamente, di esse
ci si deve liberare non attraverso la repressione, ma con la pratica
di riti considerati piacevolmente dolorosi, portatori, cioè, di una
sofferenza terapeutica, tutt’altro che masochistica.
Anna Maria Vultaggio
Palermo, 18 giugno 2006.