Cattolici in politica: minoranza creativa nella

punti di vista
Cattolici in politica:
minoranza creativa
nella società italiana
Giorgio Campanini
Professore f.r. di Storia delle dottrine politiche
nell’Università di Parma
Quanto incide la tradizione cattolica sulla società del nostro
Paese? E in politica i cattolici sono davvero una minoranza,
e di che tipo? A tali quesiti cerca di dare una risposta questo
contributo, tracciando le linee principali della storia della presenza cattolica in politica nel corso dei 150 anni di vita della
nostra Repubblica, dalla Breccia di Porta Pia a oggi, e indicando alcune piste di riflessione per tutti i cattolici impegnati.
L’
impegnativo e un poco provocatorio titolo di questo contributo fa riferimento al concetto di minoranza dei cattolici
nella attuale situazione della società italiana, ma di che tipo di minoranza si parla? Passiva e insignificante, oppure attiva e
creativa?
Da un primo punto di vista, si potrebbe affermare che in Italia
i cattolici sono ancora una componente maggioritaria del popolo
italiano: al di là del numero dei praticanti domenicali (tra il 20 e il
25% della popolazione), le tradizioni, il linguaggio, le arti e i costumi sono indicativi di questa presenza della Chiesa e dei cattolici (cfr
Melloni 2013 e Garelli 2007). L’Italia, anche quella parzialmente
secolarizzata di oggi, non è pensabile al di fuori della sfera di
influenza del cattolicesimo: chiunque abbia occasione di visitare
popoli di altra tradizione, dall’Africa alla Cina, non manca di rendersi conto dell’orma profonda che il cattolicesimo ha impresso nella
società italiana.
Aggiornamenti Sociali giugno-luglio 2014 (471-480)
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Tuttavia il processo di secolarizzazione in atto nel nostro Paese
da almeno 150 anni, e cioè dalla raggiunta unità politica, ha influenzato profondamente la società italiana; lo si constata soprattutto in due importanti ambiti: quello della cultura, al cui interno
la presenza cattolica, pure importante e significativa, può apparire
marginale, e quello del costume, con particolare riferimento alla sfera famigliare e sessuale, anche se i matrimoni religiosi, contratti in
forma cattolica, rappresentano ancora oggi un’ampia maggioranza 1.
Un particolare ambito di riflessione, al quale faremo soprattutto
riferimento, è rappresentato dalla politica. Qui si pone un duplice
problema, che può essere affrontato a partire da due diversi punti di
vista. I cattolici, in politica, sono realmente una minoranza? E
se di minoranza si può parlare, essa è marginale e passiva, oppure è
autenticamente creativa e, dunque, capace di incidere sulla società
italiana (cfr in proposito Sorge 2010, 65 e Turi 2014, 48 ss.)?
Si cercherà di rispondere a questi interrogativi, sempre a partire
dalla scelta di campo dichiarata in precedenza, e cioè che si farà
riferimento esclusivo alla presenza dei cattolici nella società e, più
specificamente, in politica.
Un necessario excursus storico
Per poter rispondere a questi interrogativi, si impone un rapido
excursus storico, riferito ai circa 150 anni che ci separano dall’Unità
d’Italia (1860) e dalla fine del potere dei pontefici (1870), cioè dalla
Breccia di Porta Pia, assunta dall’ideologia laicista come punto di
riferimento non solo della fine del potere temporale dei papi, ma
anche della (presunta) fine del cattolicesimo.
Questa tesi ha avuto una parvenza – ma solo una parvenza –
di credibilità per quanto riguarda gli anni che vanno dal 1870 al
1943, e cioè sino alla caduta del fascismo. In questa stagione di
circa settant’anni, in effetti, i cattolici sono stati sostanzialmente
assenti dalla vita politica (salvo la breve parentesi del Partito popolare di Luigi Sturzo dal 1919 al 1923), ma non certo dalla vita
sociale. L’amplissima messe di studi sul Movimento cattolico ha
posto in evidenza come siano state molteplici le forme di presenza
dei cattolici nella società: dalle cooperative alle società di mutuo
soccorso, dalle casse rurali alle amministrazioni comunali. Il non ex1 Si deve riconoscere che il processo di secolarizzazione, soprattutto da un decennio a questa parte, ha in parte scalfito l’antico legame tra Chiesa e famiglia (cfr
Campanini 2013b, 41 ss.). Resta però il fatto che negli anni Duemila i matrimoni
celebrati con rito civile, non pochi dei quali contratti da emigrati non cattolici, sono
stati poco più di un terzo del totale e che molti di questi – secondi matrimoni di
divorziati – sarebbero stati celebrati con rito religioso se la attuale disciplina della
Chiesa lo avesse consentito (cfr Donati 2012, 48 ss.).
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pedit, ossia il divieto di partecipare at- Con il non expedit (“non conviene”) papa
tivamente alla vita politica, non esclu- Pio IX nel 1868 dichiarò inaccettabile per
deva una forte presenza nel sociale, che i cattolici italiani partecipare alle elezioni
politiche e, per estensione, alla vita politiin effetti si è verificata soprattutto nelle ca. Fu abrogato ufficialmente da Benedetto
Regioni del Settentrione, ma anche il XV nel 1919.
Mezzogiorno ha registrato significative esperienze, soprattutto in Campania e in Sicilia (cfr Traniello e
Campanini 1997 e Scoppola 2005).
A questo settantennio di apparente marginalità è subentrato un
cinquantennio (1943-1992) di forte protagonismo e, al limite,
di egemonia dei cattolici attraverso il partito della Democrazia
cristiana, di dichiarata ispirazione cattolica e a lungo appoggiato e sostenuto dalla stessa gerarchia ecclesiastica; la DC ha
svolto un ruolo fondamentale nella resistenza ai totalitarismi, sia
con la lotta partigiana sia, ancor più, con la resistenza passiva, il
soccorso ai perseguitati e l’aiuto alle popolazioni disastrate; nell’elaborazione della Carta costituzionale; nell’avvio della ricostruzione,
nella gestione di quella fase storica detta del “miracolo economico” (1950-1970) alla quale si guarda ancora oggi, anche da parte
dei critici di quella stagione, con ammirazione e nostalgia. La fase
terminale della DC, con i fenomeni di degenerazione accentuatisi
dopo la morte di Aldo Moro (1978) non può fare dimenticare i suoi
meriti precedenti: gli stessi fenomeni di corruzione che hanno caratterizzato quella stagione appaiono a non pochi osservatori ben poca
cosa di fronte al malcostume e alla corruzione che hanno caratterizzato spesso la cosiddetta “seconda Repubblica”. Si era pensato che
i cattolici al potere fossero la causa prima della corruzione, ma si è
dovuto constatare che il cambio della classe dirigente non ha affatto
eliminato il fenomeno, anzi, lo ha forse accentuato.
In sintesi, i circa 150 anni di storia che ci separano dall’Unità
possono essere definiti ora quelli dell’esclusione, ora quelli dell’inclusione. Siamo oggi di fronte a una nuova marginalità, quasi a un
nuovo non expedit (Bobba 2010)?
I cattolici minoranza politica?
La drammatica fine della DC ha indotto diversi osservatori a
decretare la fine di una forte presenza cattolica in politica, e specificamente nelle sue istituzioni rappresentative, nazionali e locali. Ma
le cose stanno veramente così? Anche prescindendo dalle conclamate
(ma spesso retoriche e strumentali) affermazioni di ossequio alla
Chiesa, al suo Magistero e alla sua Tradizione, si deve constatare
che la presenza dei cattolici nelle istituzioni non è mai venuta meno.
Si potrebbe quasi affermare che, se si tornasse a riunire i cattolici
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“osservanti” presenti nei diversi partiti, essi sarebbero ancora
la maggioranza relativa e quindi hanno un peso tutt’altro che
marginale. Perché, dunque, la sensazione diffusa della loro “insignificanza” o, comunque, marginalità?
La risposta è semplice e complessa nello stesso tempo: semplice,
poiché è evidente che presenze cattoliche frammentate e disperse
sebbene numerose non hanno la forza di una compagine unitaria
e compatta; complessa, perché questa frammentazione corrisponde
a un nuovo contesto storico che i cattolici non hanno il potere di
modificare e che in Occidente, e comunque in Italia, deriva dalla
conclusione del periodo delle contrapposizioni ideologiche, con l’inizio della stagione delle contrapposizioni programmatiche.
A lungo gli italiani si sono divisi su “grandi questioni”: il rapporto Stato-Chiesa, le forme della democrazia, la collocazione del Paese
nel contesto internazionale, risolte la prima grazie al Concordato del
1929 e alle successive intese del 1984, la seconda con l’approvazione
della Carta Costituzionale che fonda i diritti della persona; la terza
con l’ingresso dell’Italia nell’Europa unita.
Non manca chi – interpretando in modo estremistico alcune
sollecitazioni e messe in guardia del Magistero – ritiene di poter
identificare una formazione politica cattolica sulla base della discriminante rappresentata dalle questioni etiche, da quelli che vengono
definiti “principi non negoziabili” (cfr Campanini 2013a), espressione che per altro non ricorre nei documenti del Magistero della Chiesa, ma appare assai arduo identificare una formazione unitaria di
cattolici sulla base di questioni come la regolazione delle convivenze
o le decisioni relative al “fine vita”. Senza contare che una siffatta
formazione avrebbe inevitabilmente una connotazione negativa, e
cioè quella della difesa di alcuni valori, ma non avrebbe alle spalle
alcun progetto reale di società.
I nodi da sciogliere
Il terreno sul quale si giocherà il futuro del Paese, e sul quale
sarà giudicata la creatività dei cattolici, è vasto e complesso, ma vi
sono tre questioni fondamentali da affrontare e, possibilmente, da
risolvere.
La prima è di natura economica, ove si pone il problema se puntare su uno Stato forte e interventista oppure su uno Stato che stimoli e regoli l’economia di mercato a partire dalla consapevolezza
che il problema prioritario da risolvere è quello della disoccupazione,
soprattutto femminile e giovanile.
La seconda questione riguarda il rapporto fra Stato e autonomie
locali (Regioni, Province, Comuni) sia sotto il profilo della legisla474
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zione sia dal punto di vista dell’allocazione delle risorse disponibili,
ovvero in quale misura debbano essere assegnate allo Stato o agli
enti locali, con una versione ora più forte ora più debole del principio di sussidiarietà.
L’ultima questione aperta è il ruolo dell’Italia in Europa e, in
generale, nella comunità internazionale: se il suo contributo alla pace e allo sviluppo debba avvenire attraverso missioni militari a fini
umanitari o se invece debba essere privilegiata la via della cooperazione allo sviluppo, valorizzando, in questa prospettiva, energie
intellettuali e conoscenze scientifiche spesso abbondanti in Italia e
qui impossibilitate a esprimersi. Sullo sfondo si colloca il contributo
che l’Italia può dare alla pace nel mondo, nella linea indicata dai
periodici messaggi dei pontefici.
Ci si è limitati all’indicazione di alcune grandi tematiche, sia
perché stilare l’elenco dei problemi del Paese significherebbe compilare un lungo e a volte malinconico cahier de doléances, sia perché
l’indicazione delle priorità non può essere opera individuale, ma
implica l’incontro e la collaborazione di diverse competenze. Né è
un caso che da molti e da molto tempo si invochi la redazione di un
manifesto-programma come quello che, alla vigilia della caduta del
fascismo, venne stilato a Camaldoli nel 1943 e pubblicato a Roma
nel 1945 sotto forma di “Codice”.
Il conflitto delle interpretazioni
Come avviene in ambito filosofico e teologico, anche in politica
si è di fronte al “conflitto delle interpretazioni”: a partire dallo
stesso patrimonio di valori che si esprime nel cattolicesimo, si è
di fronte a diverse letture degli stessi problemi e, conseguentemente, a differenti proposte politiche. Riprendendo le tematiche
in precedenza evidenziate, come affrontare i problemi dell’econoIl Codice di Camaldoli è un documento
(titolo originale Per la comunità cristiana)
emerso dall’incontro che si tenne dal 18 al
24 luglio 1943 presso il monastero benedettino di Camaldoli, sotto la guida di mons.
Adriano Bernareggi, assistente ecclesiastico
dei laureati dell’Azione Cattolica, dove un
gruppo di intellettuali – laici e religiosi – cattolici si riunì con lo scopo di confrontarsi e
riflettere sul magistero sociale della Chiesa,
sui problemi della società, sui rapporti tra
individuo e Stato, tra bene comune e libertà
individuale. Il 25 luglio e i successivi av-
venimenti modificarono il piano di lavoro,
che prevedeva una ampia partecipazione;
la stesura fu affidata a Sergio Paronetto,
Pasquale Saraceno, Ezio Vanoni, Giuseppe Capograssi che la completarono nel
1944. Una delle caratteristiche essenziali
del “Codice”consiste nel porre la giustizia
sociale tra i fini primari dello Stato, così
come la salvaguardia della libertà, istanze
che influenzarono gli intellettuali cattolici
dell’ala sociale della DC e la stessa stesura
della Carta Costituzionale (cfr Baietti e Farese 2012).
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mia? Puntando sul pubblico o sul privato? Come realizzare concretamente il principio di sussidiarietà? Come contemperare la “scelta
pacifista” insita nella natura profonda del messaggio cristiano con il
doveroso impegno a favore delle vittime della violenza?
Interpellate su questo insieme di problemi, le comunità cristiane
darebbero inevitabilmente risposte diverse e proporrebbero conseguentemente soluzioni differenziate: analogamente i cristiani che
siedono in Parlamento o nei Consigli regionali e locali si dividerebbero. Come sarebbe possibile militare nello stesso partito se, pur
nell’accordo su valori fondamentali, si optasse per soluzioni operative profondamente diverse?
Da questo punto di vista sembra si debba affermare che – almeno nella normalità dell’agire politico e fatta salva la necessaria unità
sui temi etici – la diversità dei punti di vista e delle conseguenti
decisioni operative non è l’eccezione, bensì la regola: quanto è avvenuto in una situazione di emergenza, come nella stagione della
guerra fredda e del prolungato infeudamento di varie forze politiche
all’ideologia marxista e alla prassi del comunismo, è stato il risultato
di una contingenza eccezionale, fortunatamente superata. È possibile che, a proposito dell’attuale crisi economica, possa essere invocato
il caso dell’eccezionalità e non si può escludere che di fronte alla
gravità del problema i cattolici ovunque schierati trovino, felicemente, un punto di incontro e di convergenza per il bene del Paese;
ma questa unità non potrebbe diventare la regola una volta che il
quadro generale del Paese fosse sottratto all’assillo dell’emergenza.
La pluralità delle scelte politiche dei cattolici è d’altra parte ormai
la linea prevalente in pressoché tutti i Paesi dell’Occidente (esclusa
la Germania, almeno in parte), dagli Stati Uniti alla Francia, dalla
Gran Bretagna alla Polonia. E non è un caso che Paesi che hanno
conosciuto una stagione, talora assai lunga, di “unità politica” dei
cattolici, li vedano ora schierati su posizioni diverse. Ciò che importa, alla fine, non è tanto il restare insieme a ogni costo, ma semmai
il pensare insieme a un comune progetto di società: affrontando i
problemi senza essere condizionati dalle reciproche “appartenenze”,
con la piena disponibilità al dialogo e all’accettazione di posizioni
che inizialmente erano state rifiutate in via pregiudiziale. È a questo
livello che potrebbe essere raggiunta dai cattolici impegnati in
politica non una compiuta unità ma una convergenza pratica,
non solo in ordine ad alcuni valori condivisi ma anche, non in
pochi casi, in ordine alle soluzioni concrete da adottare.
Le comunità cristiane, nelle loro varie articolazioni, potrebbero
essere il luogo, doverosamente “neutrale” quanto alle scelte di campo, nel quale realizzare questo confronto tra cattolici. Si potrebbe
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punti di vista
qui verificare che quanto unisce è assai più di quanto divide (cfr
Alici 2013).
Quali potrebbero essere i luoghi di questa possibile “nuova creatività”, che riprenda, nel contesto del XXI secolo, le intuizioni della
migliore cultura cattolica, dal “Codice di Camaldoli”, così attento
alla giustizia sociale, alle grandi intuizione del sindaco di Firenze
Giorgio La Pira, pioniere della riconciliazione tra i popoli e dell’impegno per la pace?
La risposta a questo interrogativo implicherebbe un’analisi ad
ampio raggio dei problemi della società italiana, pertanto ci si limiterà qui a individuare tre nodi fondamentali del messaggio sociale
cristiano, oggetto di ripetuti interventi del Magistero sociale della
Chiesa e riconducibili alla fondamentale categoria di bene comune.
Il primo ambito di questo progetto di rinnovata creatività
dei cattolici è quello della politica internazionale, in duplice
prospettiva: quella dell’impegno per la pace e quella della lotta alla
fame, all’ignoranza e al sottosviluppo.
È ben noto l’apporto significativo e determinante fornito dai cattolici alla pacificazione in Europa, soprattutto attraverso l’impegno
per l’Europa unita. Questo ideale appare oggi sbiadito, se non del
tutto oscurato, per le cadute efficientistiche e burocratiche che le
istituzioni europee hanno conosciuto, soprattutto da due decenni a
questa parte. Ma è possibile, ed è compito preminente dei credenti,
rifondare le radici ideali e spirituali dell’Europa e farne un punto essenziale di riferimento per la collaborazione tra i popoli e per la pace
nel mondo. Oltre tutto, su questo terreno sono possibili larghe convergenze fra credenti e non credenti (cfr Simone 2008 e Alici 2008).
Un secondo campo di impegno è quello della giustizia
sociale, esso pure antico e sempre al di là della forma-partito. Si sta
facendo strada nel mondo una economia umanistica che sta conoscendo una stagione felice, dall’India del premio Nobel per l’economia Amartya Sen agli Stati Uniti di un altro vincitore del medesimo
riconoscimento, Joseph Stiglitz, e che anche in Italia ha conosciuto
significative espressioni nell’ambito della cosiddetta “economia di comunione”, con il superamento della pura e autoreferenziale economia
di mercato, finalizzata esclusivamente al profitto, in nome di un’economia partecipata e solidale, preoccupata non soltanto dell’efficienza
produttiva ma anche e soprattutto delle relazioni umane; un’economia che non rinuncia all’efficienza ma che non fa esclusivamente
del profitto la categoria-chiave del suo operato (cfr Bruni 2008 e
Zamagni 2008). Si tratta, per ora, di piccole isole, quasi di una sorta
di spina nel fianco del dominante modello capitalistico, ma di esperienze che vanno diffondendosi e che del resto sono sollecitate dalla
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crescente consapevolezza, acuita dalla crisi, dell’inevitabile fine di un
modello di economia consumistico e distruttivo dell’ambiente e delle
relazioni umane. L’idea che progresso economico e aumento del PIL
vadano di pari passo con il soddisfacimento dei bisogni fondamentali
e con il conseguimento di quella che, sinteticamente, si può definire
“felicità collettiva”, trova sempre meno sostenitori e si va facendo
strada la convinzione che un’economia della quantità debba cedere il
passo a un’economia della qualità: e che cos’altro è tutto ciò, se non la
ripresa della grande tradizione patristica e medievale, a partire dalla
modernità travolta dalla cultura e dalla prassi del capitalismo?
Passando dalla sfera del pubblico (politica ed economia) a
quella del privato, o meglio, dell’apparente privato, un ruolo
determinante è chiamata a svolgere un’istituzione oggi rimessa
drammaticamente in discussione dall’esplosione dei diritti (o sedicenti tali) degli individui, la cui protezione è sempre più frequentemente estesa anche in ambito legislativo: la famiglia. Dire “famiglia” non è dire uso libero e disinibito in tutte le sue forme di
una sessualità orientata esclusivamente alla relazione e al piacere
dei singoli individui, bensì evocare un progetto di vita fondato su
due pilastri essenziali, quello della stabilità – perché solo nel tempo
la relazione di coppia può esprimere la sua potenzialità creativa e
aprirsi alla generazione, di per sé stessa un impegno a lunga durata – e quello della solidarietà, del reciproco servizio e anche della
capacità di sacrificio, fondamento di quelle energie solidaristiche
che le attuali società occidentali stanno largamente perdendo e che,
non a caso, finiscono per mettere in crisi la famiglia stabile fondata
su un amore capace di affrontare e superare la sfida della durata.
Un “modello” di famiglia, dunque, che è strutturalmente, per il suo
stesso esistere, una scuola di solidarietà e di impegno per la giustizia
che nessun’altra realtà può sostituire (cfr Donati 2012 e CEI 2011).
Del resto, come essere solidali e aperti se la relazione di coppia si
pone nel segno di una esclusiva gratificazione reciproca, lasciando
fuori dal suo orizzonte ogni “terzo”, e cioè molto spesso il figlio e,
in ogni caso, la società?
Per una nuova creatività politica
L’attuale situazione dell’Italia e del mondo dovrebbe rappresentare per i cattolici italiani una forte sollecitazione a tornare a “pensare”
politicamente, come diceva Giuseppe Lazzati (1988). La crisi della
DC è intervenuta quando la frenesia del “fare” ha eclissato l’attitudine a pensare: da questo punto di vista, la tragica fine di Aldo
Moro (1978), un uomo che, ostinatamente e cocciutamente, richiamava l’importanza e il valore del pensiero, è emblematica: per una
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punti di vista
lunga stagione la politica dei cattolici Sotto la responsabilità della Giunta centrasi è trascinata sull’onda del passato le dell’Azione Cattolica e in accordo con la
senza riuscire a trovare vie nuove e Santa Sede, nel 1925 si costituisce l’Istituto cattolico di attività sociali (ICAS), per
conseguentemente impantanandosi garantire alle istituzioni sociali “bianche”
nella pura gestione del potere.
quegli spazi che la Confederazione italiana
La nuova situazione del mondo – dei lavoratori (CIL) sembrava ormai incae non soltanto gli inquietanti scenari pace di tutelare e che, oltre a promuovere
dell’economia – pongono ai cattolici attività di studio, ebbe il compito di curare
l’organizzazione delle Settimane sociali dei
l’istanza di ritornare a pensare, indivi- cattolici italiani.
duando momenti e luoghi adatti. In altre stagioni l’Istituto cattolico di attività sociali (ICAS) ha svolto un
ruolo di grande importanza. Non sono mancati poi, in questi anni,
dalle periodiche Settimane sociali dei cattolici ai Convegni di Todi,
interessanti esperimenti in questa direzione; non si è riusciti però
a creare luoghi specifici per l’esercizio di quel discernimento che è
essenziale per la politica come lo è per l’etica (cfr Campanini 2010).
Quale può oggi essere la via da seguire, in modo anche da promuovere e coordinare una rete fra i vari centri di ricerca di ispirazione
cristiana che non mancano nel nostro Paese? Il ricco Magistero sociale
della Chiesa dovrebbe rappresentare il fondamento di questa riflessione comune, ma la sua concreta lettura nello specifico contesto politico
italiano non potrebbe che essere responsabilità di chi vi è direttamente
impegnato, in linea con quella legittima “autonomia” della politica
sottolineata dal Concilio Vaticano II (cfr Savagnone 2013).
Si tratta dunque di pensare politicamente, insieme, per poi
agire politicamente, anche se divisi. Passa per questa via l’auspicio
di una nuova e felice stagione dell’impegno politico dei cattolici, che
sia volto soprattutto a ridurre e, se possibile, a debellare, l’inaccettabile scandalo della povertà in un Paese e in un mondo che grazie
alle acquisizioni della tecnica potrebbe avere ragione di questo male
antico. A questa priorità dell’impegno politico dei cattolici ci ha fortemente richiamato papa Francesco nella sua esortazione apostolica
Evangelii gaudium, allorché, a partire dalla denuncia dello scandalo
della povertà, ha affermato: «Ogni cristiano e ogni comunità sono
chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri» (n. 187), sottolineando che questo è uno dei compiti
primari della politica. «Prego il Signore» – conclude ancora su questo punto il Pontefice – che ci regali più politici che abbiano davvero
a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri» (n. 205). Questa
nuova generazione di politici, tuttavia, non potrà cadere dall’alto:
potrà soltanto essere il frutto di un’attenta analisi dei problemi e di
una lucida individuazione delle soluzioni. Alla fine, è questo uno dei
fondamentali banchi di prova della “creatività” politica.
Cattolici in politica: minoranza creativa nella società italiana
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risorse
In una cultura come quella italiana ancora impregnata di valori
cristiani, pur se non esplicitamente percepiti come tali, i cattolici
pienamente appartenenti alla comunità cristiana sono una minoranza: tutte le indagini statistiche e sociologiche vanno in questa direzione. Ma vi sono fondamentalmente due modi di essere minoranza:
quello “catacombale”, il solo possibile ieri come oggi dove l’ambiente
esterno è ostile e a volte persecutorio, quello lucido e aperto tipico di
tutte le minoranze attive e propositive, consapevoli di essere portatrici di valori inconsapevolmente condivisi da molti altri, da quanti
forse senza rendersene conto attendono un orientamento per il loro
incerto cammino.
Al di là di eventuali scelte di campo partitiche, i cattolici italiani – ora anche con la forte sollecitazione del magistero di papa
Francesco – sono chiamati a essere questa minoranza creativa e
propositiva, interprete dell’anima profonda del Paese, incunabolo di una nuova società che prenda il posto di quella attuale,
in cui ormai quasi nessuno si riconosce più. Essere minoranza
creativa implica la pazienza dei tempi lunghi e insieme lucidità e coraggio nell’intraprendere il cammino: ma non può che essere questo
il terreno sul quale si misureranno la forza e la fantasia del cattolicesimo italiano.
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scheda / documenti
«Funzioni e ordinamento
dello Stato moderno»
P
er dire una parola che adesso ci richiami più direttamente e più specificamente alla nostra coscienza di cattolici,
che di fronte a un compito il quale parte da una premessa di
radicale rinnovamento noi non possiamo non tener conto del
presente. Non si può evidentemente distruggere la casa […]
prima che sia stata costruita l’altra. Ma la casa si può usarla
come un meno peggio e tuttavia non accettare e pensare
efficacemente alla costruzione della casa nuova. Ora a me
pare che, per noi cattolici, il modo efficace di pensare alla
costruzione della casa nuova sia anzitutto partire da questa
premessa: non avere paura dello Stato. [...] Respingere ogni
visione pessimistica: non limitare l’autorità dello Stato, invece
che diffondere uno scetticismo sulla sua funzione o esasperare nel garantismo la sua efficienza; affermare, costruire e
diffondere un’analisi sociologica che veda tutta la verità del
presente, che determini la coscienza profonda dei compiti
prossimi, non rinviandoli a decenni: che quindi consenta di
fondare una ideologia politica e infine un programma di strumentazione giuridica. Questo è il presupposto di tutto. O si
fa questo, o altrimenti non ci si salverà. L’avere indebolito lo
Stato o avere paralizzato la sua autorità allo scopo di difendersi non tanto da eventuali pericoli presenti, ma da quelli
che altri potrebbero apprestarci cogliendo le nostre forme
per imporci un’autorità tirannica, potrebbe far sì che molte di
queste cose a un certo punto ci rovinino addosso. Al posto di
uno Stato debole, agnostico, insufficiente, verranno altri che
costruiranno uno Stato forte e volitivo, eventualmente senza
di noi, eventualmente contro di noi.
Nel capo XIII dell’Epistola ai romani, negli ultimi versetti, S.
Paolo […] indica negli uomini che governano lo Stato, anche
se sono romani, anche se sono pagani, anche se si valgono
di questa autorità contro Dio, i ministri. […] Nel testo greco,
mentre per parecchi versetti ritorna la parola diacono, diaconos, alla fine, quando si tratta di inculcare ai romani che
bisogna pagare il tributo a chi si deve, qualunque tributo,
allora si indicano coloro che esigono il tributo non più come
diaconi, come ministri semplicemente, ma con una parola
più forte, più comprensiva: leitourgoi. Gli «operatori liturgici», per così dire, nel senso evidentemente dei liturgici che
apprestavano i servizi pubblici nello Stato greco, gli operatori
liturgici di Dio. A me pare che gli uomini i quali vedano profilarsi uno Stato capace di imporre loro dei gravi sacrifici di
ordine materiale allo scopo però di avviare ad una reformatio
del corpo sociale e ad una maggiore aequalitas fra gli uomini
debbano vedere finalmente profilarsi i «liturgici di Dio».
Pubblichiamo la
conclusione della
relazione generale tenuta
da Giuseppe Dossetti al
III Convegno nazionale
di studio dell’Unione
giuristi cattolici italiani
nel 1951 sul tema
«Funzioni e ordinamento
dello Stato moderno».
Nonostante siano trascorsi
più di sessanta anni
dal momento in cui fu
pronunciato, questo
discorso presenta una
sorprendente attualità
sui limiti degli assetti
istituzionali consacrati
nella Carta costituzionale,
adottata solo alcuni anni
prima, e sulla necessità
di un cambiamento
riformatore.
Il testo della relazione di
Dossetti con un ampio
apparato critico è tratto da
G. Dossetti, «Non abbiate
paura dello Stato!».
Funzioni e ordinamento
dello Stato moderno, a
cura di E. Balboni, Vita e
Pensiero, Milano 2014.
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