Questo materiale è riservato agli studenti regolarmente iscritti al corso di storia dell’Italia dal Medioevo al
Rinascimento del CPIA sede Petrarca di Padova. E’ strettamente personale e non riproducibile. I materiali – tratti in
parte da Wikipedia, da treccani online e da altre fonti - sono a cura del Prof. Sergio Bergami. II Lezione: secoli V e VI
Origine dei termini
Il termine generico "rinascita" venne usato da Giorgio Vasari nel suo trattato Vite de' più eccellenti
architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino à tempi nostri per indicare un ciclo, da lui
individuato, che partendo da Giotto e affermandosi con Masaccio, Donatello e Brunelleschi si
liberava dalle forme greco-bizantine per tornare a quelle romano-latine, culminando nella figura di
Michelangelo, capace di superare gli antichi stessi. Si tratterebbe quindi di una delle poche etichette
storiografiche nate in concomitanza con l'epoca che le ha prodotte, sebbene mirasse a enfatizzare
piuttosto forzatamente la "novità" del proprio modo di essere rispetto al passato.
Il termine "Rinascimento" e l'immagine ideale del periodo che esso definisce è invece frutto della
storiografia ottocentesca, in particolare la paternità della definizione può essere attribuita allo
storico francese Jules Michelet che ne fece uso nel 1855 per definire la "scoperta del mondo e
dell'uomo" che ebbe luogo nel XV secolo. Nel 1860 lo storico svizzero Jacob Burckhardt ampliò
il concetto espresso da Michelet, descrivendo l'epoca come quella in cui sarebbero venute alla luce
l'umanità e la coscienza moderne dopo un lungo periodo di decadimento. Si può notare nel suo
atteggiamento l'eco dei giudizi dispregiativi espressi dai rinascimentali nei confronti del Medioevo,
termine che viene coniato proprio in età umanistica da Flavio Biondo per indicare un periodo
"buio" che egli contrapponeva enfaticamente al suo presente, che sarebbe stato caratterizzato invece
dalla ripresa degli studi sulla letteratura e la cultura della Grecia e di Roma antica.
La divisione dell’impero nei quattro tetrarchi (293 d. C.)
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La caduta dell’impero romano
L’ultimo Romolo non fu abbattuto per un eccesso di potere, ma per il motivo opposto e la sua
deposizione fu incruenta. La sua sorte finale fu tuttavia altrettanto oscura, visto che la sua esistenza
ulteriore è ignota.
Da tempo l’impero romano affidava la difesa dei suoi territori, ridotti ormai a una piccola parte
della precedente estensione, a truppe germaniche mercenarie. Erano milizie agguerrite ma fedeli in
prima istanza ai loro comandanti e rappresentavano di conseguenza un cronico fattore di instabilità.
Romolo fu deposto da uno di questi generali, Odoacre, re di una coalizione la cui componente
principale erano gli Eruli, che governò l’Italia con il titolo di re. Odoacre riconobbe la sovranità
dell’imperatore di Costantinopoli, ma il suo dominio era di fatto autonomo.
Il processo che portò alla caduta dell’Occidente non fu rettilineo. La crisi del III sec. d.C. – causata
da ricorrenti epidemie di vaiolo, da assalti di nemici su più fronti, dalla difficoltà di garantire le
accresciute esigenze finanziarie e belliche in coincidenza con una gravissima crisi demografica – fu
in gran parte superata, sul finire del secolo, grazie all’azione dei cosiddetti imperatori «illirici» e a
una poderosa mobilitazione di risorse umane, materiali e morali.
Nel IV sec. il timore della morte di Roma sembrò dissolto o almeno allontanato. Ma alla lunga la
ripresa delle aggressioni esterne, l’eccessiva pressione fiscale, le difficoltà dell’agricoltura e delle
manifatture urbane, il popolamento insufficiente di alcune province determinanti, l’impossibilità di
tenere in armi grandi eserciti reclutati tra cittadini romani, il venir meno dei sentimenti di
appartenenza soprattutto tra le popolazioni rurali, la rinascita dei sostrati etnici sopraffatti, la
corruzione degli amministratori rimisero in moto un processo di sfaldamento che non fu possibile
arrestare. Questo viluppo di fattori negativi non si verificò (o si verificò in misura assai minore)
nella parte orientale dell’impero, che riuscì a resistere.
La fine dell’impero romano d’Occidente era stata dunque a lungo preparata da un progressivo
deterioramento, scandito da traumi maggiori quali la battaglia di Adrianopoli del 378, in cui i
Visigoti, insieme con truppe provenienti da altre popolazioni, avevano distrutto l’esercito romano e
ucciso l’imperatore Valente, e il sacco del 410, opera dei Visigoti di Alarico, in cui per la prima
volta dai tempi dell’incendio gallico del 390 a.C. Roma era rimasta per alcuni giorni preda inerme
dei nemici.
Problemi di interpretazione: La fine del mondo antico (da: www.treccani.it)
La problematica della fine del mondo antico si è arricchita e complicata, negli ultimi decenni, a
causa della dilatazione degli spazi geografici e antropici presi in considerazione dagli storici e dagli
archeologi. Ora gli studi tardoantichi coinvolgono aree che in precedenza erano studiate da pochi
specialisti appartati, o non lo erano affatto – il Nord Europa, l’Europa orientale continentale ecc. –
mentre si attribuisce un’importanza fondamentale alle vicende del Mediterraneo orientale, della
Siria, dell’Iran, dell’Afghanistan, dell’Etiopia il cui studio non apparteneva tradizionalmente, tranne
rare eccezioni, alla formazione accademica dell’antichista o del medievista.
In queste condizioni è evidente che un tema classico quale la «fine del mondo antico» trovi
crescenti difficoltà a essere inquadrato dentro una prospettiva unificante e dentro una cronologia
simmetrica: si prende atto che l’antichità si è esaurita in tempi diversi nelle differenti aree prese in
considerazione. Il compito, tuttavia, è reso arduo dall’uso spesso disinvolto delle categorie forti
della trasformazione storica, a cominciare da quella di «continuità», applicata impropriamente a
fenomeni che rappresentano semplici persistenze. L’approccio morfologico, al contrario, sembra
l’unico in grado di periodizzare le grandi cesure epocali. Esso può sempre avvalersi, per quanto
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riguarda la storia dell’economia e della società, di categorie come «modo di produzione» e
«formazione economico-sociale», le quali, adoperate con duttilità ed evitando il teleologismo,
appaiono ancora dotate di un sufficiente vigore.
La natura delle nostre fonti suggerisce tuttavia di attribuire un’attenzione particolare alla storia delle
città. Se si attribuisce, com’è inevitabile, un’importanza fondamentale ai caratteri della città grecoromana, può dirsi che la fine del mondo antico coincida con la fine della città antica, verificatasi
con modalità e tempi diversi nelle varie aree un tempo appartenute all’impero romano. Sembra
evidente, per es., che le città delle zone costiere abbiano resistito più a lungo di quelle
dell’entroterra e che l’urbanesimo orientale abbia goduto di una maggiore vitalità (W.
Liebeschuetz). I fattori cui gli storici devono prestare attenzione sono numerosi, con l’avvertenza
che le loro interrelazioni sono non meno importanti del loro singolo destino: i principali sono la
rottura dell’unità tra città e campagna, con le inevitabili ripercussioni sul prelievo fiscale; il declino
delle curie e la trasformazione dei decurioni in notabili le cui decisioni non erano più prese in
pubblico ma in privato; l’indebolimento della cittadinanza; il declino delle istituzioni culturali
civiche; la cristianizzazione della vita civica e l’imporsi di spazi di aggregazione alternativi a quelli
tradizionali; la fine dell’evergetismo (la pratica, diffusa nel mondo classico, di elargire
benevolmente doni alla collettività in modo disinteressato), soppiantato dalla carità cristiana; la
centralità del ruolo politico dei vescovi. Aspetti quali l’estensione e la qualità degli abitati, il
numero degli abitanti, le condizioni di vita delle masse sono attualmente oggetto di forti
controversie e, paradossalmente, non sembrano in grado di offrire soluzioni sufficientemente
condivise per l’inquadramento della fine del mondo antico.
Deposto Romolo Augusto a Ravenna e inviate le insegne imperiali a Bisanzio, Odoacre governò
l'Italia per 17 anni come rex gentium – una formula del tutto nuova – teoricamente alle dipendenze
di Zenone, imperatore d'Oriente. Si servì del personale amministrativo romano e fu insignito del
titolo di Patrizio dei Romani, lasciando libertà di culto ai cristiani, pur essendo lui ariano, e
combatté con successo i Vandali strappando loro la Sicilia.
Nel 489 Zenone, imperatore d’Oriente, allontanò gli Ostrogoti dal basso Danubio inviandoli in
Italia affinché rovesciassero Odoacre e conquistassero l'Italia. Dopo cinque anni di guerra, il re
ostrogoto Teodorico riuscì ad uccidere Odoacre e a impadronirsi del trono (493).
ARIANESIMO
di M. Simonetti (da www.treccani.it)
Importante movimento eretico, che si sviluppò in Oriente nel corso del sec. IV e dalla metà dello
stesso secolo coinvolse l'Occidente, protraendosi qui, a causa delle invasioni dei barbari, fino a tutto
il sec. VI e oltre, con alterne vicende. Trae nome da Ario, prete di Alessandria d'Egitto, che intorno
al 320 diffuse una dottrina trinitaria, secondo la quale Cristo non sarebbe Figlio di Dio in senso
proprio - come voleva la tradizione - ma soltanto la più eccellente delle sue creature, definita Figlio
solo in senso accomodato, diversa dal Padre per natura e radicalmente a lui inferiore per autorità e
dignità. Subito combattuta, questa dottrina fu condannata nel concilio di Nicea del 325 e Ario fu
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inviato in esilio. Ma il radicalismo di certe affermazioni antiariane del concilio, coniugandosi con
motivazioni di carattere politico o anche soltanto personale, favorì una reazione antinicena, di cui si
giovarono, morto Ario nel 336, i suoi seguaci, attestati ormai dottrinalmente su una linea molto più
cauta rispetto all'insegnamento del maestro. Dopo un complicato succedersi di vicende politiche e
di polemiche teologiche, l'imperatore Costanzo II impose una soluzione moderata del contrasto
dottrinale, fondata sull'affermazione che Cristo è simile al Padre secondo le Scritture (concilio di
Rimini del 359 e di Costantinopoli del 360). Pur non specificamente ariana, questa proposizione fu
allora sentita come tale e a essa si sarebbero in seguito costantemente richiamati gli ariani di ogni
osservanza. Dopo il 360 l'arianesimo perdette rapidamente vitalità in Occidente, dove restò vivace
quasi solo in qualche città dell'Illirico. Fu più vitale in Oriente, in forma sia temperata sia radicale
(anomei, capeggiati da Eunomio), dando origine, in questa seconda forma, a una vera e propria
Chiesa separata da quella ufficiale. Solo con il concilio di Costantinopoli del 381 l'arianesimo si
poté considerare debellato in Oriente, dove comunque continuarono a sussistere piccole comunità
ariane, in alcune delle quali la coerenza dottrinale giunse fino a far modificare la prassi battesimale:
una sola immersione in nome della morte del Signore, in luogo di tre con formula trinitaria. Ma già
da tempo il goto Ulfila, cristiano di radicale fede ariana nonché vescovo e soprattutto missionario,
aveva diffuso questa sua fede fra i Goti ancora pagani, che gradatamente perciò si stavano
convertendo a un cristianesimo di stampo ariano, diffusosi in breve tempo anche fra altri barbari
(Vandali, Svevi, Burgundi). Così, a mano a mano che queste popolazioni germaniche si stabilivano
nell'impero, prima in veste di federati e poi di conquistatori, vi importavano anche la loro fede
religiosa, cui erano attaccate soprattutto come segno di specificità razziale nei confronti dei
Romani, ch'erano cristiani cattolici. Questo contrasto dette esiti diversi da regione a regione: in
Africa si ebbero forti attriti fra la popolazione locale e i Vandali invasori, in Spagna e in Italia i
Visigoti e gli Ostrogoti riuscirono a convivere più pacificamente con la popolazione cattolica; ma
ovunque gli invasori dettero vita a una comunità ariana separata da quella cattolica, con propri
edifici di culto. Lo stesso accadde in Italia quando, dopo la brevissima parentesi della riconquista
bizantina, sopravvennero i Longobardi, anch'essi di fede ariana. Solo gradualmente, fra il sec. 6° e il
7°, si ebbe dovunque la conversione degli ariani alla fede cattolica. Come abbiamo accennato, già
sporadicamente nel corso del tardo sec. 4° e soprattutto dopo, in Africa, Italia e Spagna, al tempo
delle invasioni barbariche, gli ariani si dettero un'organizzazione ecclesiastica propria, affiancata a
quella cattolica e in contrasto con essa. Sappiamo anche di proprie specificazioni, ancorché
sporadiche, in campo liturgico, rispetto alla prassi cattolica.
Teodorico il Grande
Teodorico, detto il Grande, (Pannonia, 454 – Ravenna, 526), è stato re degli Ostrogoti dal 474 e
patrizio d'Italia dal 493 al 526, secondo dei re barbari di Roma. Teodorico nacque in Pannonia, fra
le attuali Ungheria e Austria.
Figlio del re ostrogoto Teodemiro e di una sua concubina, Erelieva, all'età di otto anni fu inviato
come ostaggio, a garanzia della pace tra Bizantini ed Ostrogoti, presso la corte dell'imperatore
Leone I, dove visse per dieci anni. Nella capitale dell'Impero romano d'Oriente venne educato,
apprese il latino e il greco. Riscattato dal padre, si fece subito valere come comandante degli
Ostrogoti in diverse battaglie, conquistandone ben presto la fiducia.
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La successione
Teodorico succede al trono degli Ostrogoti dopo la morte del padre (474) e prosegue la politica di
alleanza con il vicino Impero, dal quale otteneva compensi per i servigi di protezione dei confini.
L'imperatore bizantino, alleandosi con Teodorico, sperava che questi riuscisse a porre sotto il
controllo ostrogoto le nuove popolazioni barbariche che spingevano ai confini dell'Impero,
assicurando così a Bisanzio una zona di influenza che fungesse da cuscinetto tra l'Impero e le
popolazioni barbariche.
I successi di Teodorico portarono l'imperatore Zenone a riconoscere al re ostrogoto lo stato di
federato romano e ad eleggerlo a console nell'anno 484 (alcuni anni dopo gli fu anche eretta una
statua equestre a Costantinopoli), ufficializzando in questo modo il predominio ostrogoto sull'area
balcanica.
La presenza di Teodorico stava diventando però sempre più ingombrante per Zenone e nel
contempo Odoacre in Italia stava allargando la sua zona di influenza minacciando gli interessi di
Bisanzio. Zenone pensò di risolvere i suoi problemi mettendo l'uno contro l'altro i due re barbari,
per cui, con l'aiuto di Bisanzio, nel 488 Teoderico preparò la spedizione verso l'Italia, intrapresa
nell'autunno dello stesso anno.
La spedizione in Italia
Teodorico varcò le Alpi orientali nel 489 con al seguito un esercito di circa 100.000 Ostrogoti e
condusse le sue genti in una serie di cruenti scontri contro gli Eruli, scontri che terminarono dopo
cinque anni (493), quando Teodorico fece uccidere a tradimento il suo acerrimo rivale Odoacre e
tutta la sua corte durante un banchetto che avrebbe dovuto sancire la pace tra i due re. Altre fonti
riferiscono che Odoacre venne passato per le armi dopo un rapido processo nel palazzo reale, in
quanto cercava ancora di insidiare la vita di Teodorico corrompendo i suoi luogotenenti. L'uccisione
di Odoacre segnò l'inizio del dominio degli Ostrogoti in Italia, dominio che rappresentò un lungo
periodo di pace e stabilità.
I rapporti tra Ostrogoti e Romani
Teodorico seguì le linee guida già tracciate da Odoacre, lasciando ai Romani, che gli si
dimostrarono fedeli, gli impieghi amministrativi e politici che già possedevano, riservando nel
contempo esclusivamente ai Goti i compiti di sicurezza e difesa. Inoltre, per pacificare l'Italia,
riscattò i cittadini romani fatti prigionieri da altri popoli barbari e procedette alla distribuzione delle
terre. Tale liberalità e avvedutezza nella ripartizione dei terreni è da attribuire all'esiguo numero di
Ostrogoti rimasti dopo aver varcato le Alpi.
Il regno ostrogoto in Italia fu caratterizzato da molti risultati positivi, come il ristabilimento di parte
dell'antica prosperità dell'Italia e la conquista di vari territori dell'ex Impero romano d'Occidente,
come la Provenza, il Norico e la Pannonia. Il sistema statale tardo-romano non venne abolito: le
cariche civili (come i governatori civili delle province, i vicari delle diocesi e il prefetto del
pretorio) continuarono ad essere esercitate da cittadini romani, sebbene la loro autonomia fosse
limitata da un funzionario goto detto "conte".
I governanti Romani, in più di un caso, si rivelarono incapaci di venire incontro alle esigenze della
popolazione favorendo per contro i loro interessi personali, fatto già largamente diffuso nel Tardo
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Impero. In questo periodo fu autorizzata una legge, mutuata dai costumi germanici, che permetteva
ai contadini vittime di atti di schiavismo di uccidere i loro padroni come atto di legittima difesa. Più
di un proprietario terriero latino venne cruentemente ucciso in ottemperanza a questa norma, e le
loro proprietà passarono nelle mani dei proprietari goti oppure di latini collaborazionisti e rinnegati,
alimentando un clima di sospetto. L'eliminazione di questi proprietari terrieri, ripresa con ulteriore
violenza sotto Vitige e Totila, provocò enormi danni anche alla produzione agraria, in quanto i
nuovi padroni pensavano principalmente al sostentamento personale e dei propri uomini. La loro
generale inesperienza in agricoltura, inoltre, provocò una sostanziale riduzione dei terreni coltivati,
destinata ad aggravarsi con la Guerra gotica.
A più riprese si verificarono incidenti che non sfociarono in aperto conflitto solo per mezzo di
complesse trattative diplomatiche: molti dei soldati latini vennero indennizzati, altri poterono
continuare a prestare servizio sia pure con capacità ridotte. I pagamenti in natura tramite beni agrari
e capi di bestiame furono in talune circostanze talmente esosi da ridurre la popolazione alla fame,
smentendo le cronache del tempo che parlavano di grande abbondanza di cibo per l'intera
popolazione.
Dispute religiose
Anche in ambito religioso Teodorico, benché seguace del Cristianesimo ariano, non perseguitò la
fede cattolica, seguendo anche in questo l'esempio di Odoacre.
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Il nuovo imperatore Giustino I, che ambiva a un nuovo ruolo dell'Impero anche in relazione alle
questioni religiose che agitavano il cristianesimo, dette inizio alla sua personale crociata contro
l'arianesimo, visto come fede inconciliabile e soprattutto pericolosa per il crescente potere della
Chiesa cattolica. Fedele a questa sua linea di ostilità nei confronti dell'eresia ariana, nel 524 decretò
che i luoghi di culto ariani venissero consegnati alla Chiesa cattolica.
Teodorico, convinto che ci fosse un'intesa segreta tra l'impero di Costantinopoli e gli abitanti
romani d'Italia, reagì con violenza: fece uccidere alcuni dei suoi più preziosi collaboratori, tra cui
Severino Boezio. In seguito Teodorico costrinse papa Giovanni I a recarsi a Costantinopoli per
chiedere la revoca del decreto a Giustino I e chiedere per giunta che gli ariani convertiti
forzatamente al cattolicesimo potessero riabbracciare la fede ariana. Il Papa ottenne la revoca
dell'ordine, ma si rifiutò anche solo di chiedere all'imperatore il permesso per gli ariani convertiti al
cattolicesimo di tornare all'arianesimo. Così, quando tornò a Roma, Giovanni I fu imprigionato e
lasciato morire in carcere nel 526 da Teodorico.
Teodorico morì nello stesso 526 lasciando l'Italia, apparentemente pacificata, al nipote Atalarico
sotto la reggenza della figlia Amalasunta.
Guerra gotica (535-553)
Nel 535 il nuovo e ambizioso imperatore d'Oriente Giustiniano (527-565) prese di mira la penisola
nel suo tentativo di ricomporre l'unità dell'impero romano. Da lì iniziò la lunga guerra gotica, che si
protrasse per oltre vent'anni, portando ulteriori devastazioni dopo le invasioni barbariche.
La guerra gotica (535-553), detta anche guerra greco-gotica, fu un lungo conflitto che contrappose
l'Impero bizantino agli Ostrogoti nella contesa di parte dei territori che fino al secolo precedente
erano parte dell'Impero romano d'Occidente. La guerra fu il risultato della politica dell'imperatore
bizantino Giustiniano I, già messa in atto precedentemente con la riconquista dell'Africa contro i
Vandali, mirante a riconquistare all'impero le province italiane e altre regioni limitrofe conquistate
da Odoacre prima e dagli Ostrogoti (Goti orientali) di Teodorico il Grande alcuni decenni prima.
L’impero bizantino alla morte di Giustiniano (565)
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Il conflitto ebbe inizio nel 535 con lo sbarco in Sicilia di un esercito bizantino sotto il generale
Belisario; risalendo la penisola le forze di Belisario sconfissero delle truppe gote dei re Teodato
prima e di Vitige poi, riconquistando molte importanti città tra cui le stesse Roma e Ravenna.
L'ascesa al trono ostrogoto di Totila ed il richiamo di Belisario a Costantinopoli portarono alla
riconquista da parte dei Goti di molte delle posizioni perdute; solo con l'arrivo di una nuova armata
sotto il generale Narsete le forze imperiali poterono riprendersi, e dopo la morte in battaglia di
Totila e del suo successore Teia la guerra si concluse nel 553 con una completa vittoria per i
Bizantini.
La lunga guerra provocò vaste distruzioni alla penisola, spopolando le città ed impoverendo le
popolazioni, ulteriormente flagellate da un'epidemia di peste e da una carestia; l'occupazione
dell'Italia da parte dei bizantini si rivelò effimera visto che già dal 568 le forze dei Longobardi
iniziarono a calare nella penisola, occupandone vasti tratti anche grazie alla debolezza dei difensori.
L'invasione franco-alemanna
Tuttavia la guerra non era ancora finita del tutto: non solo alcune fortezze gote sparse per la
penisola, infatti, ancora rifiutavano la resa, ma gli Ostrogoti che avevano rifiutato di abbassare le
armi avevano inviato un'ambasceria al re dei Franchi Teodobaldo, chiedendogli sostegno militare
contro i Bizantini; il re dei Franchi, tuttavia, rifiutò di intervenire direttamente nel conflitto pur non
impedendo a due comandanti alemanni del suo esercito, Butilino e Leutari, di invadere la penisola
alla testa di un'orda franco-alemanna.
Dopo aver messo in fuga un esercito franco-alemanno di 2.000 uomini nella primavera del 554,
Narsete ritornò a Ravenna e da qui si diresse verso Roma. Mentre l'esercito di Leutari tornava nel
nord Italia venne sconfitto presso Pesaro dagli Imperiali; i superstiti trovarono rifugio nella Venezia
in mano franca dove però molti morirono di dissenteria.
Butilino decise di dirigersi in Campania per affrontare Narsete; i due eserciti si scontrarono dunque
nella battaglia del Volturno (554) in cui ebbe la meglio il generale bizantino, che distrusse l'esercito
franco costringendolo al ritiro. Questa vittoria, che pose fine alle grandi operazioni militari della
guerra gotica, venne celebrata da Narsete a Roma.
Conseguenze
Il 13 agosto 554, con la promulgazione a Costantinopoli da parte di Giustiniano di una pragmatica
sanctio pro petitione Vigilii ("Prammatica sanzione sulle richieste di papa Vigilio"), l'Italia veniva
fatta rientrare, sebbene non ancora del tutto pacificata, nel dominio "romano"; con essa Giustiniano
estese la legislazione dell'Impero all'Italia, riconoscendo le concessioni attuate dai re goti.
L'Italia fu organizzata in Prefettura e suddivisa in due diocesi, a loro volta suddivise in province. La
Sicilia e la Dalmazia vennero però separate dalla prefettura d'Italia: la prima non entrò a far parte di
nessuna prefettura, venendo governata da un pretore dipendente da Costantinopoli, mentre la
seconda venne aggregata alla Prefettura dell'Illirico; la Sardegna e la Corsica facevano già parte, fin
dai tempi della guerra vandalica (533-534), della Prefettura del pretorio d'Africa. Secondo la
"Prammatica Sanzione" i governatori provinciali sarebbero stati eletti dalle popolazioni locali,
ovvero i notabili e i vescovi; tuttavia sull'effettiva applicazione di tale principio sono emersi dubbi,
dato che da tempo i governatori provinciali erano controllati dall'autorità centrale. La guerra aveva
comunque inflitto all'Italia danni che non fu possibile cancellare in breve tempo e, anche se Narsete
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e i suoi sottoposti ricostruirono numerose città distrutte dai Goti, la situazione della penisola era
comunque disastrosa, dato che, come ammise in due lettere papa Pelagio, le campagne erano
talmente devastate da essere irrecuperabili e la Chiesa riceveva proventi solo dalle isole o da zone
esterne alla penisola.
A peggiorare le condizioni del paese contribuì inoltre un'epidemia di peste che spopolò l'Italia
dal 559 al 562; ad essa, inoltre, fece poi seguito anche una carestia.
Anche Roma faticò, nonostante i fondi promessi, a riprendersi dalla guerra e l'unica opera pubblica
riparata nella città di cui si ha notizia è il ponte Salario, distrutto da Totila e ricostruito nel 565. La
guerra rese Roma una città spopolata e in rovina: molti monumenti si deteriorarono e dei 14
acquedotti che prima della guerra fornivano acqua alla città ora solo uno, secondo gli storici, rimase
in funzione, l'Aqua Traiana fatto riparare da Belisario. Anche per il senato romano iniziò un
irreversibile processo di declino che si concluse con il suo scioglimento verso l'inizio del VII
secolo: molti senatori si trasferirono a Bisanzio o vennero massacrati nel corso della guerra.
Roma, alla fine della guerra, contava non più di 30.000 abitanti (contro i 100.000 di inizio secolo) e
si avviava alla completa ruralizzazione, avendo perduto molti dei suoi artigiani e commercianti e
avendo accolto al contempo numerosi profughi provenienti dalle campagne. Il declino non
coinvolse, tuttavia, tutte le regioni: quelle meno colpite dalla guerra, come la Sicilia o Ravenna, non
sembrano aver risentito in misura rilevante degli effetti devastanti del conflitto, mantenendo la
propria prosperità.
Il governo bizantino sul territorio italiano fu, inoltre, contraddistinto da una forte pressione fiscale
che ricadeva sulle genti italiche, dovuta alla natura stessa del sistema fiscale bizantino, ereditato
dall'Impero romano. Il sistema romano-bizantino della iugatio-capitatio, istituito da Diocleziano e
rimasto in vigore fino al VII secolo, stabiliva infatti in anticipo l'ammontare della cifra che i
contribuenti dovevano sborsare, senza tener conto di eventuali devastazioni ad opera di invasori,
carestie, epidemie e altri fattori che potessero provocare un cattivo raccolto; solo in casi di
devastazioni molto gravi le autorità riducevano temporaneamente il carico fiscale della provincia
colpita dalla catastrofe.
Nonostante la "Prammatica Sanzione" avesse stabilito che le tasse non sarebbero state incrementate
rispetto all'epoca gotica, evidentemente i danni provocati dalle devastazioni belliche e le continue
pestilenze e carestie che afflissero la penisola tra il 562 e il 571 avevano reso molto difficile pagarle
e, del resto, sembra che Narsete non ricevesse sussidi da Costantinopoli, ma dovesse provvedere da
sé per il mantenimento dell'esercito e dell'amministrazione, venendo quindi costretto ad
incrementare la pressione fiscale. A ciò si aggiunse la corruzione di taluni funzionari imperiali, i
quali abusavano del proprio potere per arricchirsi a spese dei sudditi e dello Stato, male tipico del
Tardo Impero romano.
Non va nemmeno dimenticata l'impellente necessità di entrate che affliggeva l'Impero romano
d'Oriente, a causa non solo del fatto che il lungo conflitto aveva drenato le casse dello Stato ma
anche a causa dell'epidemia di peste del 542, che aveva compromesso gravemente l'economia
statale. Storici moderni hanno attribuito molti degli abusi commessi dai ministri di Giustiniano alla
necessità di mantenere il bilancio in attivo nonostante l'epidemia di peste avesse ridotto di molto le
entrate statali, provocando al contempo una netta crisi nei commerci, nell'agricoltura e in altri
settori dell'economia.
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La prefettura del pretorio d'Italia, suddivisa in province.
Nel 568-569 i Longobardi invadevano l'Italia stremata dalla guerra, molto probabilmente perché
pressati dall'espansionismo avaro, anche se secondo la tradizione tramandata da Paolo Diacono (ma
considerata inattendibile dalla storiografia odierna) sarebbero stati spinti a invaderla dallo stesso
Narsete per vendetta contro Giustino II, che lo aveva richiamato a Costantinopoli.
L’Impero bizantino
A periodi di splendore politico dell’Impero corrisponde quasi sempre un intenso sviluppo
urbanistico, così come alla inarrestabile decadenza del XIV e XV secolo, il degrado degli edifici e il
calo demografico.
Al suo apogeo, nel VI secolo, quando l’Impero raggiunge la sua massima espansione, e poi
ancora nel XII, la città conta da 350.000 a 400.000 abitanti. È una città brulicante di vita e nelle
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numerose botteghe, nelle piazze, negli affollati mercati si muove una umanità eterogenea e
multietnica.
A Costantinopoli, grande emporio dell’Impero, arrivano uomini e mercanzie da ogni parte del
mondo. Gli stranieri sono soldati mercenari, viaggiatori, pellegrini e mercanti
Ben presto l'Impero perse, dunque, il controllo dell'Italia a vantaggio dei Longobardi, conservando
solo alcune zone costiere e, all'interno, un modesto corridoio umbro che collegava Roma con
Ravenna. Nel frattempo la Spagna bizantina subiva la controffensiva dei Visigoti condotti da re
Leovigildo, che riconquistò varie città, mentre la Prefettura del pretorio d'Africa era minacciata
dalle incursioni del re locale Garmul, sconfitto dal generale (e poi esarca d'Africa) Gennadio solo
nel 578. Il nuovo Imperatore Giustino II, invece di inviare rinforzi in Occidente per salvaguardare i
territori riconquistati da Giustiniano, decise incautamente di violare la tregua con la Persia,
ritenendo umiliante continuare a pagare il tributo ai Persiani che Giustiniano aveva accettato di
versare per comprare la pace.
La nuova guerra contro la Persia, iniziata nel 572 e terminata solo vent'anni dopo (591), portò
inizialmente alla perdita di Dara e impegnò per parecchio tempo la maggior parte delle truppe
dell'Impero d'Oriente, distogliendole dalla difesa dei Balcani e dei territori occidentali riconquistati
da Giustiniano. Quando, dunque, intorno al 580, i Balcani furono invasi da Slavi e Avari, l'Impero
non poté opporre forze sufficienti per respingerli, con il risultato che grosse porzioni dei Balcani
furono occupate da Slavi (mentre gli Avari erano intenzionati a compiere incursioni non per
stabilirsi entro i confini dell'Impero, ma per lo più a fini di saccheggio e per costringere l'Impero ad
aumentare il tributo).
L'Imperatore Maurizio (582-602) ereditò dunque una situazione disperata, con l'Impero invaso da
tutti i fronti. In Occidente tentò di porvi rimedio costituendo gli Esarcati, una sorta di vicereami
governati da un esarca con autorità sia civile che militare, nel tentativo di rendere i territori
occidentali in grado di autodifendersi senza ricevere aiuti da Oriente, e cercando l'alleanza dei
Franchi contro i Longobardi. Sempre Maurizio, nel 597, stabilì che alla sua morte si sarebbe
ricostituito l'Impero d'Occidente, governato dal figlio minore Tiberio, mentre l'Impero d'Oriente
sarebbe andato al primogenito Teodosio; secondo Ostrogorsky, questa sarebbe la prova che «non si
era rinunciato all'idea dell'Impero romano universale, né a quella dell'unico Impero romano
governato collegialmente, con amministrazione distinta delle sue due parti». Tuttavia la morte
violenta di Maurizio, ucciso dall'usurpatore Foca (602-610), mandò a monte i suoi piani.
In Oriente, invece, Maurizio cercò di risolvere un problema per volta: cioè prima vincere la guerra
contro la Persia e, solo dopo aver risolto il problema persiano, riconquistare i Balcani agli Slavi e
Avari. Vinto nel 591 il conflitto contro la Persia, approfittando di una guerra civile scoppiata
nell'Impero sasanide, e ottenuta parte dell'Armenia, Maurizio poté quindi volgere una gran parte del
suo esercito contro Slavi e Avari, nel tentativo di scacciarli dai Balcani e respingerli oltre Danubio.
Le sue campagne, durate fino al 602, furono nel complesso vittoriose e portarono al ripristino del
limes danubiano, ma la sua politica volta al risparmio generò nel 602 un ammutinamento
nell'esercito che gli costò il trono.
Dopo la morte dell'imperatore bizantino Maurizio a opera del sopracitato Foca, l'imperatore
sasanide Cosroe II usò questo come pretesto per riconquistare la provincia romana di Mesopotamia.
Foca, un imperatore impopolare che viene spesso descritto da fonti bizantine come un "tiranno", fu
bersaglio di numerose cospirazioni a opera del Senato e venne alla fine deposto nel 610 da Eraclio
che divenne il nuovo imperatore bizantino. Sotto Foca ed Eraclio, la situazione in Oriente e nei
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Balcani degenerò nei primi vent'anni del VII secolo: i Persiani, rotta la pace con il pretesto di
vendicare l'assassinio di Maurizio, dilagarono in Oriente, conquistando Siria, Palestina e Egitto e
devastando l'Asia Minore; gli Avari e gli Slavi ripresero l'offensiva, strappando di nuovo all'Impero
l'Illirico. Nel 626 Costantinopoli stessa si trovò assediata da Persiani e Avari, ma la città resistette e
l'Impero riuscì a sopravvivere. Nel frattempo, in Occidente, i Visigoti riuscirono nel 624 circa a
cacciare i Bizantini dalla Spagna, mentre, in Italia, Bisanzio e i Longobardi erano in pace fin dal
603, grazie alla politica conciliante dell'esarca Smaragdo. L'esarca Isacio (625-643) continuò a
rinnovare la tregua con i Longobardi, ma non poté impedire loro - sotto il regno di Rotari - di
conquistare la Liguria e, in Veneto, Oderzo e Altino (639/643).
L'Impero bizantino nell'anno 600.
Eraclio riuscì invero a recuperare il terreno perduto con una serie di campagne orientali durate dal
622 al 628, vincendo inaspettatamente la guerra contro la Persia e recuperando i territori orientali
(628). La guerra sfinì però sia i Bizantini che i Sasanidi, e li rese estremamente vulnerabili agli
Arabi. I Bizantini vennero infatti sconfitti dagli Arabi nella Battaglia del Yarmuk nel 636, quando
Ctesifonte era già caduta due anni prima. Siria e Palestina caddero presto in mano araba e l'Egitto
venne annesso al Califfato Rashidun nel 642.
Storia economica e fiscale
L'economia dell'Impero Romano d'Oriente soffrì molto meno, rispetto alla controparte, le incursioni
dei barbari tanto che, se all'anno 150 il tesoro ricavava 14.500.000 solidi e nell'anno 215,
22.000.000 solidi e durante il regno di Diocleziano, gli introiti ammontavano a 9,4 milioni di solidi
su di un totale di 18 milioni, sotto il regno di Marciano le entrate annuali sono stimabili a 7,8
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milioni di solidi potendo così accumulare circa 100.000 libbre di oro o 7.200.000 solidi per il tesoro
imperiale.
L'Impero bizantino nel 650 ca., dopo le conquiste islamiche e longobarde
Tale riduzione, secondo Warren Treadgold, è addebitabile ad una moderata riduzione della
produttività agricola e della popolazione per quanto bisogna considerare che i pochi dati relativi alla
popolazione cittadina dimostrino una tendenza lievemente positiva tra i secoli III e V d. C. pertanto
si può affermare che il regno di Marciano segnò l'inizio di tale crescita.
La ricchezza di Costantinopoli è ricavabile da alcuni dati: Giustino II spese 3700 libbre d'oro per
celebrare il proprio consolato, alla morte di Anastasio I la tesoreria aveva in cassa oltre 23 milioni
di solidi o 320.000 libbre d'oro e Giustiniano agli inizi del regno poté contare su un surplus di oltre
28 800 000 solidi.
Sempre Giustiniano, prima delle sue campagne di Riconquista dell'Africa e dell'Italia, poteva
contare su un fatturato di 5.000.000 di solidi, da lui ulteriormente incrementati a seguito delle
campagne.
Nonostante ciò, la peste, le ingenti spese dovute alle Guerre romano-persiane con i conseguenti
ingenti tributi da lui pagati ai sovrani Sasanidi e le 20.000 libbre d'oro di costo per la ricostruzione
di Santa Sofia, esaurirono il tesoro.
Onerosi furono gli esborsi ed i sussidi pagati dai successori di Giustiniano ai nemici: Giustino II
pagò 80 mila monete d'argento agli Avari, la di lui moglie Sophia comprò una tregua di 1 anno da
Cosroe I dietro l'esborso di 45.000 solidi e Tiberio II Costantino pagò 7200 libbre d'oro ogni anno
per quattro anni.
Quando l'imperatore Eraclio cambiò lingua ufficiale dell'impero dal Latino al Greco, intorno al 620
d. C., il solidus, fu sostituito dal Nomisma.
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I Franchi
I Franchi furono uno dei numerosi popoli germanici occidentali che entrarono nel tardo Impero
romano come federati e stabilirono un reame duraturo, in un'area che copre l'odierna Francia e parte
della Germania.
Il regno dei Franchi fu sottoposto a varie partizioni e ripartizioni, in quanto essi dividevano le loro
proprietà tra i propri figli e, senza un ampio concetto di res publica, concepivano il regno come
una forma estesa della proprietà privata. Questa pratica spiega, in parte, le difficoltà nel
descrivere con precisione le date, i confini fisici dei diversi regni franchi e chi ne governava le varie
parti. La contrazione nell'alfabetizzazione durante il dominio dei Franchi pone inoltre un altro
problema: essi produssero pochi documenti scritti.
Due dinastie regnanti si succedettero alla guida dello Stato franco, i Merovingi e i Carolingi.
Il primo periodo della storia dei Franchi rimane abbastanza oscuro. Parte dell'insieme definito dalla
Germania di Tacito come Istaevones, uno dei tre gruppi nei quali lo storico romano ripartisce i
Germani occidentali, i Franchi - inizialmente una piccola tribù stanziata nell'area del Reno-Weser divennero presto una confederazione di tribù. L'elemento "franco" originario si fuse con apporti di
diversa origine, anche se principalmente sempre a partire dai Germani occidentali stanziati in
quell'area; tra i popoli che entrarono a far parte della confederazione dei Franchi ci furono sia
Ingaevones, come nuclei di Sassoni, sia Herminones, come contingenti di Bavari, sia altri
Istaevones,
come
Catti,
Cauci,
Bructeri,
Camavi
o
Sigambri.
La sede originaria della tribù germanica dei Franchi fu l'area Baltica, in seguito si stabilirono nei
territori del Reno-Weser.
La fondazione del regno
Nel IV secolo la federazione dei Franchi fu protagonista di diverse incursioni in territorio gallico,
condotte a partire dalla loro area d'insediamento presso il Reno. L'imperatore Costanzo II e Giuliano
(allora ancora Cesare), nel 358, li respinsero a fatica e Ammiano Marcellino, per la prima volta li
menziona come Franchi Salii; i Franchi avevano occupato la Toxandria, la regione tra la Mosa e la
Schelda. Giuliano li sconfisse, lasciandoli però in possesso di quel territorio assegnandogli quella
parte di Gallia Belgica in qualità di foederati dell'Impero romano, incaricati di difendere la
frontiera del Reno, con l'impegno di fornire anche uomini all'esercito romano. Da questo territorio i
Franchi si estesero gradualmente in gran parte della Gallia romana, continuando a contribuire alla
difesa dei confini dell'Impero, ma soprattutto i Salii della Toxandria, all'inizio del V secolo
cominciarono ad affermare la propria indipendenza.
I Merovingi
I regni dei primi capi franchi, Faramondo e Clodione (prima metà del V secolo), sono attribuiti più
al mito che alla realtà e la loro relazione con la linea merovingia è incerta. In quel periodo,
comunque, i Franchi germanici divennero i governanti di un numero crescente di entità galloromane, anche se probabilmente non tutte le tribù della confederazione seguivano univocamente le
decisioni
centrali,
portando
alla
formazione
di
diversi
piccoli
regni.
Comunque Clodione avanzò verso sud, verso la strada romana che congiungeva Arras con Colonia,
ma prima di poterla raggiungere, verso il 431, fu affrontato e sconfitto da Flavio Ezio, che aveva il
comando militare della Gallia.
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L'impero romano ed i Franchi foederati.
Non molto tempo dopo Clodione occupò Cambrai, prendendo il controllo della grande via di
comunicazione romana. Proprio in quel periodo, la città di Tournai, sulla Schelda, divenne la
capitale dei Franchi Salii.
Nel 451 Ezio chiamò i suoi alleati germanici per aiutarlo contro gli Unni: i Franchi Sali risposero
alla chiamata, mentre Meroveo era il loro re.
In seguito Clodoveo I (466 circa-511), il vero fondatore del regno, consolidò i domini franchi in
Gallia e in Renania e, sconfiggendo Siagrio nel 486, pose termine al controllo romano sulla regione
di Parigi.
Clodoveo alleato dei Burgundi di Gundobado, dei Franchi Ripuari di Sigiberto lo Zoppo e anche
dell'imperatore romano d'Oriente Anastasio, nel 507 invase il regno dei Visigoti, sconfiggendoli
nella battaglia di Vouillé, presso Poitiers, dove Alarico II venne ucciso, si dice, dallo stesso
Clodoveo; l'anno dopo, con la conquista di Tolosa, s'impadronì di tutti i territori che i Visigoti
avevano in Gallia, cosicché questa popolazione venne ricacciata oltre i Pirenei. Nel 508, a
suggello dell'alleanza, Clodoveo ricevette dall'imperatore Anastasio I il titolo di console, che gli
permise di entrare a Tours con le insegne romane.
Si fa risalire a quest'anno il trasferimento della capitale nella vecchia Lutezia, ribattezzata Parigi
dal nome dei suoi abitanti galli, i Parisii
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La conversione di Clodoveo al cattolicesimo mise in luce la sua posizione agli occhi del papa e
facilitò l'accettazione del dominio franco da parte della popolazione e del clero locale.
I Merovingi dividevano le terre tra i propri figli, e le frequenti divisioni, riunificazioni e ri-divisioni
del territorio risultavano spesso in assassinii e guerre tra le famiglie principali, generando una
strutturale debolezza del potere centrale e favorendo l'ascesa, tra V e VI secolo, dell'aristocrazia.
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