DANTE E IL MONDO CLASSICO
Valerio Casadio
Proporrò alcune riflessioni sui rapporti di Dante col mondo classico, in particolare con i
grandi poeti latini e greci, in primis Omero. Esemplare è la presentazione che ne fa Virgilio
nel Limbo (Inf .IV 86-88): “Mira colui con quella spada in mano, / che vien dinanzi ai tre sì
come sire: / quelli è Omero poeta sovrano”. I tre sono Orazio, Ovidio e Lucano. Sono i poeti
cui Dante fa continuo riferimento in prosa e in poesia, oltre che a Stazio, che ritroverà nel
Purgatorio, e, ovviamente, al suo “maestro e autore” Virgilio (Inf. I 85-87), duca” nel suo
viaggio (Inf. II 140 et al.). Quando questi si unisce a loro (salutato dallo stesso Omero con
“Onorate l'altissimo poeta; / l'ombra sua torna, ch'era dipartita”, IV 80-81), si ricompone la
“bella scola”, cui poco dopo lo stesso Dante viene associato (vv. 94, 98) come “sesto tra
cotanto senno”(v.102): un non troppo taciuto riconoscimento di eccellenza, come già
suggerisce nel suo Commento il Boccaccio, o comunque di
diretta continuità (così
Momigliano).
Però, se Dante legge, e direttamente, i poeti latini, così da poterli citare in diversi luoghi,
più problematico è il rapporto con Omero, noto solo attraverso fonti latine, che non sempre è
possibile rintracciare e tanto meno valutare nella loro consistenza. Non appare improbabile che
il nostro Poeta conoscesse la compendiosa Ilias Latina (di soli 1070 esametri a fronte dei quasi
16.000 dell’Iliade greca, e attribuita a un Publius Baebius Italicus, senatore romano di età
neroniana), ma nulla sappiamo di traduzioni latine dopo l’ormai perduta Odusia di Livio
Andronico (III sec. a. C.) e prima delle prove “preumanistiche” della seconda metà del XIV
secolo. Cosa Dante dunque conosceva dell’Iliade? cosa dell’Odissea? E’ un interrogativo, la
cui portata risulterà chiara, proprio a partire dal tema fondamentale del poema: il viaggio
nell’Aldilà. Accingendosi al cammino che Virgilio gli ha indicato, il nostro Poeta esprime la
sua titubanza (Inf 2.31-33): “Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede? /Io non Enëa, io non
Paulo sono;/ me degno a ciò né io né altri 'l crede.” Sono evidenti da un lato il richiamo
dell’esperienza mistica di Paolo, asceso al terzo cielo, cui l’apostolo accenna nella seconda
Epistola ai Corinzi, dall’altro il ricordo delle accorate parole con cui Enea, nel VI libro
dell’Eneide (vv.106-123), prega la Sibilla di concedergli di scendere nell’Ade per rivedere il
padre, rammentando gli esempi di Orfeo, Polluce, Teseo, Eracle e rivendicando: “et mi genus
ab Iove summo” (“anch’io sono della stirpe del sommo Giove”): una rivendicazione di dignità,
cui sembrano alludere proprio le parole di Dante. Boccaccio, tuttavia, buon conoscitore
dell’Odissea, se non altro nella recente traduzione di Leonzio Pilato (1360/1362), nel proemio
al suo Commento all’Inferno si ricorda di un altro viaggiatore:
“Domandavasi appresso dove sia l'entrata ad andare in questo inferno, con ciò sia cosa
chel'autore, quella nel principio del III canto scrivendo, dove ella sia in alcuna parte
non mostra. Della qual cosa appo gli antichi non è una medesima oppinione. Omero, il
quale pare essere de' più antichi poeti che di ciò menzione faccia, scrive nel libro XI
della sua Odissea Ulisse per nave essere stato mandato da Circe in Occeano per dovere
in inferno discendere a sapere da Tiresia tebano i suoi futuri accidenti; e quivi dice lui
essere pervenuto appo certi popoli, li quali chiama Scizi, dove alcuna luce di sole mai
non apare, e quivi avere lo 'nferno trovato”.
Mi resta l’interrogativo se Dante nel Canto III dell’Inferno ignorasse il viaggio di Ulisse
o se,
piuttosto, deliberatamente gli escludesse quella “dignità”, cui egli anelava. Che la
motivazione sia quest’ultima mi pare di poter dedurre da Inf. II 35 (appena successivo a quelli
sopra ricordati): “temo che la venuta non sia folle”, una puntuale anticipazione, per l’appunto,
del “folle volo” di Ulisse di Inf. XXVI 125. Un folle volo, dunque dannato, improbabile
anticipazione del viaggio salvifico del Poeta. A ulteriore conferma potrei ricordare che il
viaggio verso il “mondo sanza gente”(Inf. XXVI 117) inizia, come sottolinea lo stesso Ulisse
(vv. 90-93) , “ Quando / mi diparti’ da Circe, che sottrasse / me più d’un anno là presso a Gaeta
/ prima che sì Enea la nomasse”. E’ il medesimo punto di partenza di Omero, forse un segnale
per il lettore colto, teso a sottolineare l’innovativa verità
introdotta nella fabula mitica:
Ulisse, per Dante, non è mai arrivato agli Inferi. La sua impresa (l’“alto passo” di Inf. XVI
132, in evidente relazione con l’ "alto passo” prospettato dal timoroso Dante di Inf. II 12)
volontaria, non suggerita e favorita dall’aiuto divino, come invece sottolineava la Circe
odissiaca (Od. X 504-511), quando l’eroe si inoltra nell’Oceano (come nel luogo omerico!),
fallisce alla vista della montagna del Purgatorio (Inf. XXVI 132-141).