’E pparole ca ricéva nònnemo
di
Felice Marciano - Ferdinando Mosto
Salvatore Fiore - Pasquale Marciano
a cura di
Salvatore Argenziano
G. DF. S. A. per www.vesuvioweb.com
Presentazione del Professore Francesco D’Ascoli.
Lo studioso che si accinge a comporre un glossario del dialetto
di una cittadina della provincia s’imbatte subito in un problema di
limiti: dove finisce Napoli, dove comincia Striano, che cosa viene da
Napoli, che cosa accettare e che cosa non accettare come strianese?
Ebbene, nell'esaminare le bozze relative ad un “vocabolario
strianese-napoletano”, ho subito notato che gli autori Felice e
Pasquale Marciano, Ferdinando Mosto e Salvatore Fiore se la sono
cavata come meglio non si poteva: adoperando e riportando i lemmi
prettamente napoletani e quelli che sono nati dalla viva voce degli
abitanti dell'agro, che ben poteva offrire al ricercatore materiale
sufficiente per dare un'impronta propria al lavoro, in un territorio
carico di storia e di preistoria.
Gli autori hanno dato al loro paese un gioiello che non aveva:
un bravo di cuore!
Francesco D'Ascoli
La lettura di questa raccolta di parole, nomi e strangianommi di
Striano mi riporta immediatamente indietro alla mia infanzia. Solo
pochi anni fa mi decisi a scrivere un Ricordo di un anno particolare
della mia adolescenza ed ora mi ritrovo a ripensare a quei giorni e a
rinnovare quei Ricordi.
AA. VV. ’E pparole ca ricéva nònnemo.
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G. DF. S. A. per www.vesuvioweb.com
Il viaggio
Tra sedili di legno
appigliato al finestrino
nel vento della corsa....
L’inattesa gita pasquale
ci porta per paesi noti
e poi ignoti.
Il ricordo di quel viaggio, nel giorno di Pasqua del 1943,
attento a memorizzare i luoghi attraversati, i nomi nuovi per la mia
esperienza di bimbo non ancora decenne, la memoria del primo
viaggio fuori dal quartiere di vasciammare.
Per anni ho ricordato l’ultima successione delle fermate della
Circumvesuviana.
A Poggiomarino si cambia e poi: Striano, San Valentino,
Sarno.
AA. VV. ’E pparole ca ricéva nònnemo.
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Il treno si allontana dal mare
penetra in una realtà
cupamente ignorata
specchio della nostra tristezza.
Inimmaginata la vita
tra monti e monti
dove già l’ombra incupisce
ancor prima del tramonto,
senza la rasserenante visione
dell’ultimo chiarore lontano
di un orizzonte lineare
illimitante.
Poi l’esperienza di una diversità assolutamente insignificante
che, però, assumeva valore significante nella granitica immobilità
della nostra cultura chiusa del quartiere.
I bambini che all’alba non consumano la nostra infantile zuppa
di latte:
All’alba mangiano maccheroni,
e partono per i campi
anche i ragazzi con loro.
Parole diverse che percepiamo nel canto di una nota canzone:
Dimmi addó stace
Dimmi che face tu
Dicono stace per sta e face per fa
e mi appaiono tanto diversi da noi.
Era quello il mese delle libberge che mangiavamo ancora
acerbe cogliendole dagli alberi di...crisommole.
Leggendo questo lavoro di “custodia del parlare del nonno”
ritrovo con piacere quelle pochissime parole che, ancora oggi, sono
brandelli di memoria dei lontani giorni della mia infanzia.
Salvatore Argenziano
AA. VV. ’E pparole ca ricéva nònnemo.
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