Martina Treu Coro per voce sola. La coralità antica sulla scena

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Martina Treu
Coro per voce sola.
La coralità antica
sulla scena contemporanea
Emozioni collettive
Sess anta persone possono stare in una sola automobile ?
Sì, se cantano in coro. Questa è l’idea-chiave di una recente pubblicità: «This is what a Honda feels li ke» sono le prime e uniche
parole dello spot. Quel che segue non è l’ imm agine consueta di
un’auto immersa in un paes aggio suggestivo, come le curve sinuose della Val d’ Orcia o la natura aspra e incontaminata dell’Island a . In questo caso, ed è la peculiarità che ci interessa, il
compito di evocare le emozioni della guida è af f idato a un vero
e proprio coro: addestrato da un diret tore in mesi di prove per
imparare a ‘cantare’ una partitura composta dai suoni prodotti
d all’automobile e dall’ambiente circostante.Il risultato è un bel
cortometraggio, interamente visibile on line con gli estrat ti dalle prove3.
Qui vediamo il regista e il diret tore del coro impartire
istruzioni ben prec ise: non basta riprodurre ogni suono con la
m assima accuratezza, si vuole ric reare e far rivivere un’ esperienza sensori ale ed emotiva . Con la stessa partecipa z ione con
cui si es eguirebbe un brano di Moz art. L’idea in sé potrebbe far
insorgere i tradi z ionalisti . Ma per certi versi l’ispirazione di fondo di questo es empio non ci sembra tanto lontana dall’opera lirica , e prima ancora dalla tragedia greca .
Il canto di un coro, ossia una pluralità di voci, un suono
collet tivo, viene qui us ato per trasmet tere a livello emotivo, senza bisogno di parole, le più diverse sensazioni e passioni . Anche quelle intime e private, che norm almente si associano al singolo individuo. In una simile fun z ione, l’espressione collet tiva
delle emozioni , c’è chi rintraccia una delle principali prerogative del coro tragico. Quel che Yeats def inisce «emozione di moltitudine» si può a nostro parere annoverare tra i punti di forza
dell’ intero spet tacolo antico, e forse anche della sua trasposizione sulla scena moderna, come ci proponiamo di mostrare.
Il coro tragico rappres enta sotto molti aspet ti un inevitabile punto di confronto per interpreti e critici, prima ancora che
2
The Greek Drama has got
the emotion of multitude from its chorus
William Butler Yeats1
“Siamo una…?”“Moltitudine!”
EelST2
per autori e registi . La riflessione teorica e la prassi scenica si incrociano molto presto, se è vero che lo stesso Sofocle scrisse un
trat tato Sul coro, oggi purtroppo perduto. Anche Aristotele accenna in diverse occasioni all’origine e alle fun z ioni del coro
( c f.ad es empio Poet. 1449a9-19, 1456a26) e così solleva un’ infinità di questioni che sono ancora oggi materia di studio e di
dis cussione: basti guard are la sterminata bibliografia accumulata fino ai giorni nostri e il panorama recente dei convegni internazionali , a circa vent’ anni dall’XI Congresso Interna z ionale di Studi sul Teatro Antico dell’INDA, intitolato Il coro della
tragedia greca : strut tura e funzione4.
Ci limiti amo qui a due esempi: nel 2003 è dedicato alla resa del coro sulla scena moderna e contemporanea il ter zo Post gradu ate Symposium dell’Archivio di Rappres entazioni Classiche di Oxford (APGRD), e lo stesso tema ricorre costantemente nei seminari e nelle pubblica z ioni del gruppo di Oxford5. Così pure il seminario interna z ionale di studi tenutosi all’Università di Urbino due anni dopo, nel 2005, e intitolato Dalla lirica
corale alla poesia drammatica . Forme e funzioni del canto corale
nella tragedia e nella commedia greca, si inserisce in una lunga
tradi z ione di ricerche collet tive, inaugurata da Bruno Gentili e
Franca Perusino e proseguita fino ad oggi6.
Se gu ardi amo alle pubblica z ioni il coro tragico e il suo
trat tamento scenico sono ogget to periodicamente di studi specifici, volumi collet tivi, e numeri monograf ici di riviste7. Nel panorama na z ionale ci interess ano in particolare, ai nostri fini ,
due articoli ripubblicati nello scorso numero di questa stess a
rivista , «Dioniso», con cui ci poni amo in diret ta continuità. Ne
sono autori rispet tivamente Claude Calame e Diego Lanza: il
primo ha dedicato anni di studi all’ espressione corale lirica e
tragica ,e sintetizza qui i ruoli drammatici e le funzioni sociali del
coro tragico8. Il secondo si concentra su un aspet to della tragedia cui si ricollega la pres ente indagine,l’emoz ione tragica ,e nel
f inale sot tolinea una tendenza in atto nella messins cena moderna del dramma antico :
«È questo carattere corale dell’emoz ione tragica il tratto di più dif f ic ile reali z z abilità per un teatro, come il
moderno, tut to giocato su vicissitudini quando non su
stati d’ animo individuali. Non è dunque un caso che
sia proprio la capac ità di reinterpretare con efficac i a
l’aspetto corale,collet tivo, della rappresentazione il tratto distintivo di alcune grandi messe in scena contemporanee della tragedia greca . […] Cori diversi , diversamente orchestrati , che suggeris cono dif ferenti possibili interpreta z ioni tragiche, ma tut ti ef f icac i , perché
tut ti credibili oggi , in un tempo in cui voci corali sembrano non poter avere spa z io nei nostri teatri»9.
Gli allestimenti portati ad es empio da Lanza (Stein, Hall,
Nel, Salmon) si collocano temporalmente tra il 1978 e il 1988: alcuni di questi , e altri dello stesso periodo, sono da tempo e per
diversi aspet ti ogget to di atten z ione da parte della critica10. Da
simili studi prende le mosse la nostra ind agine che si concentra
su allestimenti contemporanei e si propone di approfondire certi aspet ti dello spet tacolo antico che si ripropongono con nuove vesti anche nel teatro di oggi, at tingendo sia ai testi sia alla
frequentazione diret ta della scena teatrale11.
La nostra ricerca si incentra sul ruolo del coro e sui problemi legati alla sua trasposi z ione scenica negli allestimenti e
nelle ris c ritture moderne, in particolare come veicolo dell’ e-
moz ione collet tiva . Nel dare conto delle ind agini fin qui condotte ci limiteremo ad alcuni es empi significativi privilegi ando
gli esiti più recenti e sperimentali, i mezzi di espressione e ricerca innovativa o finora poco praticati, più che allestimenti gi à
noti sulla scena interna z ionale12. Ci sof fermeremo quindi in
particolare sugli allestimenti dei drammi greci che trovano proprio nel coro una risorsa importante e si distinguono per l’ aspet to sopra citato, la resa “emotivamente” ef f icace del coro. La
cosiddet ta“emozione di moltitudine”si rivelerà a fine indagine
una risorsa preziosa per gli allestimenti del dramma antico e
anche una strada non suf f ic ientemente esplorata, ma promettente,per la trasposizione del coro nel dramma moderno, il recupero di alcune sue fun z ioni originarie, l’attribuzione di nuovi ruoli adat ti alla contemporaneità e al mutato contesto di riferimento.
Sul contesto d’ origine della polis basti qui ricord are un
tratto fond amentale per la nas c ita del teatro e la sopravvivenza
del coro: la dimensione collet tiva vissuta quotidi anamente da
coreuti e spet tatori nell’ antica Atene, dove gran parte della popola z ione partecipa costantemente a riti e cerimonie, ass emblee e tribunali , feste e spet tacoli . Il dato più signif icativo per
noi è proprio questo: i coreuti non sono professionisti , a differenza degli attori , bensì semplici cit tadini reclutati e addestrati
per partec ipare a una performance collet tiva nel qu adro di una
festività civica13.
Un gruppo di persone comuni, dunque, per un breve periodo si trasforma in coro, si fa tutt’ uno per una rappres entazione: si trat ta certo di una condi z ione temporanea, legata all’ occasione festiva, che segna quindi un momento eccez ionale e
al di fuori della quotidi anità. Ma questo evento singolo ha radici profonde in molte altre pratiche collet tive consuete che scandiscono la vita degli ateniesi e li unis cono anno dopo anno con
vincoli durevoli . Il coro in qu anto tale, come entità collet tiva ,
per il fat to di ess ere composto di cittadini gode di uno status
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peculi are rispet to agli attori . Questa sua condi z ione, a pres c indere dal ruolo drammatico che di volta in volta ricopre,è in fondo sempre pres ente sotto la veste e la maschera del coro: e dalle tragedie rim aste possi amo ipoti z z are che le due personalità
coesistano e interagis cano, sebbene il gioco non sia trasparente come nella commedi a14.
Nel caso del coro, in sintesi, si avverte in modo particolare l’enorme distanza spa z io - temporale che ci separa dal dramma greco. Rispetto alle condizioni originarie il concetto stesso di
coro non sembra appartenere più alla nostra epoca, che privilegia l’ individuo e la dimensione del privato. Già è arduo per
noi moderni ricostruire cosa dovesse significare per un cit tadino ateniese di V secolo assistere a una rappres enta z ione classica e ancor più far parte di un coro. Ancor più dif f icile sembra
trovare degli equivalenti moderni, tra le esperien ze emotive e
collet tive di oggi: forse qu alche analogia si può rintracc i are –
più che a teatro o nell’opera lirica – in ambiti diversi ed eterogenei dove il canto collet tivo è forma prec ipua di identif ica z ione e aggregazione.Potrebbero prestarsi a es empio, cias cuno per
un aspet to, i cori del gospel o dello stadio, degli alpini o delle cerimonie religiose o sportive.Nessuno preso di per sé sembra in
grado di rendere la complessità dell’esperienza corale nella sua
globalità. Ma tutti insieme possono rendere l’idea dellla coralità, a livello sonoro ed emotivo. Se dal punto di vista esterno l’effet to sonoro è ben percepibile ma soprattutto all’ interno del coro: l’ armonia delle voci porta cias cuno a sentirsi parte di un tutto, l’ individuo si annulla nella collet tività, in un coinvolgimento totale, assoluto.
Un “nodo” gordiano?
Ammet ti amo dunque che qu alcosa di simile avvenga nell’Atene di V secolo, e che tra coreuti e spet tatori del teatro antico esista un canale di comunica z ione privilegi ato.Viene da chiedersi se una simile condizione si sia mantenuta in seguito, e se fe-
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nomeni simili possano ancora verificarsi ai giorni nostri.Va detto an z itutto che la situazione sopra des c rit ta è di breve durata :
il modo di sentire la collet tività nel V secolo cambia radicalmente nello spa z io di pochi decenni. Numerosi dati storici, testu ali e archeologici testimoni ano una rapida evolu z ione nel
tessuto soc i ale e nelle istituzioni, a partire dalla stessa polis,che
sposta progressivamente il suo fulc ro dal pubblico al privato.
Questo processo si riverbera naturalmente sugli spet tacoli , sui
drammi e sugli edifici. E ha effet ti pes anti per quel che rigu arda
la pres enza, il peso e il ruolo del coro.
Dal IV secolo in poi il coro comincia a cedere spa z io e perdere importan z a , nei testi e nella pratica teatrale viene sempre
più em arginato fino a scomparire fisicamente dalle nuove forme teatrali . Col mutare delle condi z ioni storiche e soc i ali, nella
stessa Atene e poi nel Mediterraneo ellenistico, in modo complesso ma non equivocabile si assiste al prevalere del singolo
sulla collet tivit à , e in teatro alla gradu ale afferm a z ione delle figure professionali dell’attore o del cantante solista , orm ai veri e
propri divi impegnati in tourn é e,a scapito del coro15. Sul finire
dell’era antica il coro sembra orm ai relegato a un triste destino
di animale in via d’ estinzione, simbolo e residuo di una concezione spet tacolare bifocale orm ai estinta.
Dovranno pass are diversi secoli prima che il coro torni alla ribalta gra z ie alla ris coperta e alla rinnovata frequentazione
dei testi antichi da parte di filologi e critici: di volta in volta viene inteso e interpretato – nelle varie Nazioni, epoche e correnti – come spet tatore ideale,tramite fra pubblico e at tori , portavoce del poeta e così vi a . I problemi sollevati dalla sua pres enza nei testi antichi , legati alla sua natura, origine e fun z ione, le
cause del suo declino e le possibilità di restituirlo alla scena sono tra i temi caldi che ad ondate inf i amm ano il dibat tito intellet tu ale e teatrale nell’Europa um anistica e rinascimentale,neoclassica e romantica16.
Le interpretazioni teoriche e critiche si accompagnano vi a
via a sempre nuovi esperimenti e pratiche artistiche: dramm aturghi e registi di teatro, e poi musicisti e libret tisti d’opera, si cimentano nella rivisitazione dei drammi antichi, ris c ritture e allestimenti , traduzioni in musica e contaminazione con altre forme di spet tacolo. Molti di loro si pongono il problema del coro
e lo affrontano con diverse motiva z ioni, intenti ed esiti , d all’ omaggio al dramma classico alla parodia nonché le implica z ioni did attiche, estetiche, ideologiche, politiche dell’opera z ione.
Naturalmente mutano nel tempo le condi z ioni storiche e sociali , e così le consuetudini teatrali : la pres enza del coro in scena rappres enta una evidente deroga ai canoni realistici che nel
frattempo si affermano nella storia del dramma moderno. Dunque riportare il coro sulla scena può signif icare un ritorno al
passato o viceversa come uno sgu ardo al futuro, a seconda della fun z ione che gli si at tribuisce in modo più o meno programmatico e cons apevole. Così l’ elemento più carat teristico del
dramma antico può diventare paradossalmente per certi autori un mez zo espressivo inedito e moderno, uno strumento per
rinnovare o riform are il teatro: basti pensare all’ antinaturalismo dei cori di Schiller (La sposa di Messina) o al ruolo del coro nello straniamento teorizzato e reali z z ato da Brecht17.
Oggi per certi versi sembrano orm ai lontane le querelles
tra antichi e moderni e le dispute del passato, come pure le riforme programm atiche e gli esperimenti citati . Eppure il coro
non cessa di es ercitare il suo fas c ino e di at tirare l’attenzione sia
nelle interpreta z ioni critiche sia sulla scena . E d’altra parte le
difficoltà che la sua pres enza comporta sono tutt’ altro che superate, anzi sono semm ai acuite e moltiplicate dalla proliferaz ione e dif fusione planetaria dei drammi antichi negli ultimi
decenni. Il problema rigu arda tut te le categorie coinvolte nello
spet tacolo, dai registi ai coreografi agli interpreti .Ma ancor prima rigu arda gli spet tatori, e assume sfaccet tature divers e, d al
punto di vista di chi fa teatro e di chi vi assiste, negli edif ici teatrali antichi e ancor più moderni.
Non si amo più abitu ati , per i motivi sopra citati , a un’ entità collettiva che si comporta come una persona: un coro at tivo sulla scena può rappres entare un corpo estraneo, un anacronismo orm ai alieno alla nostra concez ione spet tacolare che
è improntata al realismo. E può essere spi a z z ante o persino disturbante,spec ie per chi non ha dimestichezza col teatro antico,
seguire contemporaneamente i movimenti del coro e degli attori
su due piani di azione paralleli , scena e orchestra. E questo vale sia per gli allestimenti o ris c ritture del dramma antico sia per
altre opere teatrali d’imposta z ione corale : un’eccez ione forse è
rappres entata dall’opera lirica dove la pres enza del coro è orm ai acquisita tra le conven z ioni del genere e quindi più fac ilmente accet tata dal pubblico.
La situazione non migliora, anzi semm ai peggiora , se ci
poniamo dall’altra parte della scena : chi lavora in teatro riconosce nel coro – potremmo dire all’ unanimità – un termine di
confronto ancor più arduo di qu anto non sia per il pubblico.
Qu alsi asi coro, antico o moderno, comporta numerosi problemi di resa e di gestione sia che debba dan z are, camminare o star
fermo, cantare, parlare o anche tacere. Le soluzioni adot tate da
drammaturghi e registi si ripercuotono di volta in volta sulle altre figure professionali coinvolte nella messinscena: i coreografi, i music isti e gli attori, sia che interpretino i coreuti sia che si
confrontino con loro. Non c’è da meravigli arsi dunque se un
fondato “pregiudi z io” nei rigu ardi del coro si ris contra spesso
nell’opinione comune,e a maggior ragione tra gli “addet ti ai lavori”. Basti qui citare a rigu ardo alcune testimoni an ze eccellenti .Per prima l’ironica e sconfortante descrizione data da Thomas Stearns Eliot in merito all’allestimento del coro nel suo
dramma Riunione di famiglia (1939), con oss erva z ioni riferibili anche ad altri allestimenti e riscrit ture moderne dei drammi
antichi. Il drammaturgo individua proprio nel coro il punto di
massima distanza tra le concezioni spet tacolari antiche e moderne, e in particolare assegna la palma di vera e propria “besti a
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nera” al coro delle Eumenidi18.
Questo stesso passo di Eliot serve da spunto all’ analisi di
Dario Del Corno: « il punto in cui il compromesso tra antico e
moderno mostra la precarietà del suo equilibrio è la pres enza del
coro» – così l’autore sintetizza il problema pass ando in rass egna le innumerevoli soluzioni , quasi sempre insoddisfacenti di
cui è stato testimone. Il coro viene spesso ridotto a un solo attore
o solista , le stesse parti corali sono perlopiù soppresse o ridotte, e così via19.
Potremmo dire metaforicamente che il nodo rappres entato dal coro, come quello gordi ano, non è di fac ile soluzione o
forse non è neppure solvibile. E se non si può sciogliere, semplicemente, si taglia. Molti registi “tagli ano” le parti corali , rinunciano a us are il coro come risorsa, lo neutrali z z ano o perf ino lo eliminano fisicamente dalla scena . Lo fanno forse, perché
non sanno gestirlo o perf ino ne hanno paura , come sostiene
Peter Stein in una recente intervista siracus ana20.
Il suo parere è senz’ altro interess ante,visto che la sua Ore stea ha segnato gli anni Ot tanta e Novanta e si è imposta come
pietra mili are per il trat tamento del coro antico nel panoram a
interna z ionale degli ultimi decenni: con lui pochi altri registi
possono vantare allestimenti di successo in cui il coro è chiave
di volta o ingrediente importante, sin dagli anni Sessanta.A questo rigu ardo va ribadito il fatto che gli es empi portati da Lan z a ,
ed ogget to di studi critici, fino a pochi anni fa si concentravano
soprattut to all’estero.
Nel nostro Paese la situ a z ione era, e in parte rimane, del
tutto diversa: «i gu ai per un regista che, in Italia, deve met tere in
scena un autore, classico o moderno, che adopera il coro, cominc i ano proprio da lì, d al coro».Così inizia la voce “Coro”del
Piccolo dizionario di termini teatrali di Andrea Camilleri , testimone autorevole e parte in causa della storia teatrale itali ana
come spet tatore,c ritico e regista , prima che scrit tore di successo. La perentoria afferm a z ione d’apertura viene motivata e ar-
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ricchita da esempi trat ti dall’esperienza diret ta in una duplice veste: dapprima elenca le difficoltà incontrate personalmente nel
gestire un coro sulla scena , come regista , poi attinge alla sua
esperienza di spet tatore, al Teatro Greco di Siracus a , per rievocare alcune dis avventure cui è protagonista il coro21.
Orestee “corali”
Il coro dunque viene di volta in volta avvertito come spada di Damocle, relitto ingombrante e scomodo, scoglio pericoloso, motivo di crucc io e fastidio più che risorsa. Simili giudi z i ,
a distanza di anni, si possono considerare ancora validi oggi ?
Rivederli alla prova dei fat ti è l’ obiet tivo della nostra indagine,
ancora in corso, dedicata alla situazione at tu ale della messinscena di drammi classici in Italia. Ci limitiamo qui a riportare alcuni es empi , rim and ando agli studi già pubblicati e in corso di
stampa . Ci proponi amo di verificare se il coro abbia ancora una
vita diffic ile in Italia, e se sì che cosa lo condanni a un simile destino. O viceversa, ponendo la questione in chi ave positiva, ci
chiedi amo cosa potrebbe “salvare” il coro dall’ estin z ione e riportarlo al centro della scena.
La stessa dom anda si può rivolgere idealmente a varie categorie di persone,dagli spet tatori ai critici agli studenti, ma soprattut to ai registi , alle compagnie,ai produttori e finanziatori ,
ossia a chi ha il potere di scegliere cos a rappres entare e come
rappres entarlo. Dobbiamo aspet tarci esiti diversi a seconda di
chi dec ide, se cioè la volontà di met tere in scena un dramm a
antico che comprenda un coro – e anche la scelta di un testo in
particolare – sia frutto di un’iniziativa autonoma del regista o sia
concordata con altri , o ancora sia commissionata da chi produce lo spet tacolo. Nella migliore delle ipotesi possi amo presumere che proprio l’ interesse per il coro sia il motivo trainante
della scelta del testo da rappres entare.
Quest’ ultima dec isione,che sia di un singolo o concord ata con altri , è in particolare rilevante perché alcuni drammi an-
tichi prevedono un impiego maggiore del coro rispet to ad altri , sia in termini qu alitativi sia qu antitativi . Non esiste naturalmente un criterio di valuta z ione univoco a rigu ardo, e non è
questa la sede per stabilire dei parametri o tantomeno stilare
una “classifica”. In linea generale teniamo conto della proporzione tra le parti corali e quelle degli attori , e delle fun z ioni svolte dal coro nell’azione scenica ; e tut tavia non necess ari amente
un numero elevato di versi corali si accompagna sempre a un
ruolo at tivo del coro sulla scena.A tale riguardo possi amo prendere ad es empio i tre drammi che compongono l’Orestea di
Es chilo : nell’ arco della trilogia la qu antità dei versi corali decres ce dall’Agamennone alle Coefore alle Eumenidi, come appare evidente confrontando i testi . Eppure quest’ ultima tragedi a
dal punto di vista scenico ha un coro molto at tivo, suggestivo ed
ef f icace, e proprio per questo dif f ic ile da rendere, come si è visto sopra.
Se consideri amo la storia della messinscena recente dell’Orestea si riscontra inoltre un’ulteriore vari abile : si può anche
dec idere di met tere in musica il testo, e in particolare i cori , interamente o par z i almente. Nel caso di Eschilo, vista l’ ampiez z a
dei cori , la scelta è evidentemente dec isiva, anzi può essere perfino il punto di partenza.All’ estero possi amo portare ad es empio The Oresteia Project, un proget to pluriennale statunitense: il
compositore Andrew E. Simpson e la libret tista Sarah B. Ferrario, lavorando a stret to contatto, trasform ano l’Orestea in un’ opera lirica in tre parti , andata in scena dal 2003 al 2006 alla Catholic University di Washington DC22.
Al dramm aturgo e al regista si af f i anca quindi una figura
altret tanto importante, il compositore. Si distingue in tal senso
anche un altro progetto pluriennale incentrato sull’Orestea, questa volta in Italia, che met te in musica i cori e ne fa il perno centrale da cui si sviluppa e si costruis ce l’ intera messinscena. Si
trat ta del recente proget to Oresti ade di Teatridithalia, che prevede in origine la messinscena dell’Orestea nella versione di Pier
Paolo Pasolini , anche se di fatto per difficoltà produt tive si limita all’allestimento di Coefore (1999) e di Eumenidi (2000) 23.
La scelta di iniziare con Coefore è det tata proprio dall’interess e
spec if ico per il suo coro, condiviso dal regista Elio De Capitani
e dalla compositrice Giovanna Marini : quest’ ultima mantiene
per i cori il testo eschileo in greco antico combinando modi greci, s cale non temperate e armonie mediterranee,at tingendo alle proprie ricerche decennali nel Sud Italia oltre che a quelle dell’antropologo Ernesto De Martino e del musicologo Diego Carpitella .
La corifea Maria Grazia Mandruzzato (già Ecuba nelle
Troi ane di Salmon) guida un gruppo coeso di at trici nelle vesti
di coefore, portatrici di offerte funebri , moderne pref iche che
levano alto il “grido” del lamento. Sempre loro, nel finale del
dramm a , danno voce con le loro strida dissonanti alle invisibili Erinni , e l’ anno seguente tornano in scena come coro delle
Eumenidi. Qui dal buio ini z i ale che le avvolge nel prologo, come
fantasmi o visione della Pi z i a , si rivelano progressivamente al
pubblico nel corso del dramm a : di volta in volta stagli andosi
immobili o muovendosi compatte,strisciando o dan z ando. Fino all’ultimo si oppongono strenu amente ad Oreste, e agli dei
suoi protet tori , come austere sorvegli anti e custodi dell’ordine
costituito, f inché Atena ries ce a placarle con un’appassionata
perora z ione alla concordia – pronunciata rivolgendosi al pubblico – e le vecchie dee trovano posto nel nuovo ordine trasformandosi in Eumenidi .E tut tavia la dif f icoltà ad accet tare la metamorfosi e il senso di incompiutezza, comuni a gran parte degli allestimenti moderni,traspaiono bene dalle loro espressioni
e dal canto finale: già l’anno prima le Coefore non erano compiute né testualmente né musicalmente,bensì chiuse da una domanda e un accordo sospeso.Anche qui l’ultimo accordo non è
conclusivo, ma musica e testo si rispondono perfet tamente nel
rim and are al non det to e al perm anere del dubbio24.
Il coro in sintesi rappres enta un tratto carat teri z z ante in
7
entrambi gli spet tacoli , ed è di rilievo ai nostri fini la scelta del
greco, in alternanza con l’itali ano, nelle parti corali e cantate. E
tut tavia nelle Coefore la dec isione di tornare al testo originale e
di musicare i cori in greco antico, ris ervando l’itali ano ai di aloghi, è essen z i almente det tata da esigen ze artistiche maturate nel
corso delle prove: ed è dunque un punto di approdo,non di partenza, nel processo che conduce alla messinscena . In Eumenidi
la scelta si conferma e si rafforza con la pres enza di due corifee
( Anna Coppola e Frances ca Bres chi) rispet tivamente at trice e
cantante solista per le parti rec itate in itali ano e cantate in greco. Queste ultime prevalgono non solo proporzionalmente,ma
anche in termini musicali si distinguono qualitativamente tra
le più suggestive e intense: spec i almente il primo stasimo («Cominc i amo il nostro coro in cerchio…») e il canto dopo l’ assoluzione di Oreste («Ah , giovani Dei… ») sono cantati su tonalità dissonanti , più gravi e ctonie rispet to alle Coefore25.
L’ esperienza, purtroppo incompiuta per la mancata messins cena di Agamennone, non costituis ce un fat to isolato nel
percorso artistico di regista e compositrice. Entrambi dimostrano anche in altri ambiti la stessa at ten z ione alla coralità e
all’impiego di lingue “altre”e inusuali .Insieme si sono cimentati con la tragedia corale in friulano I Turcs Tal Friul , dello stesso
Pasolini (Biennale di Venezia, 1995), ma prima ancora nel 1990
De Capitani dirige proprio a Gibellina – già scena delle Troi ane
di Salmon e Marini – il dramma di Schiller sopra citato, La spo sa di Messina. L’interesse spiccato per i cori e per l’ambientazione sic iliana del dramma spinge il regista a far tradurre le parti
corali in sic ili ano – dal poeta e interprete Franco Scaldati – per
meglio met tere in luce la coralità e “sic ili anità”dell’ intero dramma26.
Sempre a Gibellina, del resto, l’impiego di una traduzione
“artistica”in sic iliano e di un coro fortemente connotato caratterizzano anche un altro progetto pluriennale legato all’Orestea:
una trilogia sic iliana composta dal poeta e artista Emilio Isgrò
8
e liberamente trat ta da Es chilo, che inaugura nel 1984 un Festival ancora oggi attivo e denominato appunto Oresti adi27. La storia degli Atridi e quella dell’intera Sic ilia si fondono sin dal primo dramm a ,intitolato Agaménnuni: vera e propria tragedia corale ricca di scene di massa e seguita da una forte partec ipa z ione popolare,come pure i drammi singoli Cuéfuri e Villa Eume nidi rappres entati in seguito, a ricomporre la trilogi a .
Lo stesso Festival Oresti adi ,infine, commissiona e co-produce – insieme con altri teatri e la Biennale di Venezia – una
ambiziosa riedi z ione della trilogia es chilea : non un semplice allestimento, ma una versione libera e personale, aperta all’adattamento, alla traduzione e alla ris c rit tura. Ogni dramma è affidato a un regista giovane, anche se già affermato: Agamennone
a Rodrigo Garcia, Coefore a Monica Conti ed Eumenidi a Vincen zo Pirrot ta . I tre spet tacoli debut tano a Venezia nel 2004 e
vengono poi allestiti in diversi teatri itali ani, a cominciare dai
co - produt tori28.
Dei tre allestimenti ci limitiamo a citare l’ultimo, che si riallaccia per certi aspet ti al filone sopra citato: Pirrot ta infat ti da
un lato ad at ta liberamente in sic iliano la versione pasoliniana
di Es chilo, d all’ altro at tinge nella messinscena a tecniche rec itative della tradi z ione locale, come il cunto. Il coro questa volta
è mas chile, e ridot to a pochi elementi , ma ries ce comunque a
essere ef f icace e suggestivo grazie ai movimenti coreografici (in
particolare le contorsioni striscianti rendono bene l’aspetto demonico e l’assimila z ione al serpente) e soprat tut to gra z ie alle
musiche di Ramberto Ciamm arughi , premi ato dalla critica . In
particolare merita una cita z ione l’ ultimo canto corale, che è in
realtà il secondo stasimo es chileo, adat tato e trasposto qui da
Pirrot ta , a suggello am aro dell’ intero dramma. Lo stesso regista e interprete spiega in scena, prima dell’ esodo, perché abbia
dec iso di tagli are l’ultima parte dell’originale e di far chiudere la
tragedia alle Erinni, non trasform ate in Eumenidi , con un lamento funebre più che mai at tu ale : «Oggi murìu la giustizia»29.
A chiudere questa prima rassegna, inf ine,va ricordato un
ultimo allestimento recente delle stesse Eumenidi, anch’esso itali ano e contraddistinto dai requisiti visti sopra . La più recente
edi z ione dell’Orestea al teatro greco di Siracusa – portata in scena dal regista Antonio Calenda in stagioni diverse – si conclude nel 2003 con le Eumenidi.Anche qui ritroviamo una spec i ale attenzione per il coro, un’efficace combinazione di canto, musica e danza, una soluzione personale e persu asiva al problem a
del finale.Dopo le coreute di De Capitani e gli uomini - s erpenti di Pirrotta la scelta cade su un coro androgino e ambiguo: uomini in vesti femminili che recitano, cantano e dan z ano con tale armonia da meritare un applauso a scena aperta e un bis ( ancora il primo stasimo, «l’inno che incatena», reso anche qui magistralmente) 30.
Questi es empi, anche se non es austivi , bastano a sfatare il
pregiudi z io di lunga data secondo cui in Italia non si può mettere in scena un coro? Di certo segnano una contro-tenden z a ,
nel panorama itali ano, e mostrano che la scelta oculata di un
testo come l’Orestea , se si accompagna a un reale interesse per il
coro, possa dare dei buoni risultati . Anche il coro più “diffic ile”
– la “bestia nera”di registi e dramm aturghi contemporanei ,come ricorda Eliot – a certe condi z ioni può diventare realmente il
perno e il punto di forza dello spet tacolo: e possono diventare
pregi persino le caratteristiche più problem atiche, o se si vuole
“difet ti”,come la natura demonica delle Erinni e la metamorfosi delle Eumenidi.
Per lo stesso principio, forse, chi mette in scena le Eumenidi
può non partire necess ari amente dal coro, ma comunque appassionarsi alla sfida, strada facendo. E viceversa in altri casi
possi amo ipoti z z are che valga il princ ipo contrario: un coro
composto di vecchi o di donne,statisticamente più comuni nelle tragedie rim aste, rispet to alle Erinni può apparire a certi occhi meno allettante,perfino “ordinario”. Un coro simile pres enta
meno dif f icoltà e problemi di resa – almeno in apparenza – e
dunque fac ilmente può non ris cuotere l’atten z ione che merita .
Spec ie se il testo non è scelto dal regista , ma commissionato dall’esterno, si può scorgere in aggu ato la routine,l’adozione di soluzioni deludenti , la resa scenica scialba o i tagli alle parti corali .
Da simili pericoli naturalmente non è es ente nessun coro,
moderno e antico, persino se in teoria il perno del testo. Drammi ricchi di parti corali possono ess ere allestiti con una scarsa
atten z ione o perf ino un totale disinteresse per il coro. Prendi amo ad es empio l’Orestea, testo come si è visto dotato di cori poten z i almente “forti”: la messins cena può ess ere incentrata su
motivi che non hanno nulla a che fare con il coro, e dunque può
non comportarne un uso massiccio, può es cluderlo di fatto dall’azione o renderlo un’icona o un fantoccio (come i conigli di
gesso che impersonano il coro dell’Agamennone, nell’allestimento recente della Soc ì etas Raf faello San z io) 31.
La scelta di un testo “corale” di per sé, in sintesi , non necess ari amente comporta una pres enza forte del coro. Il punto
di partenza della messinscena può ess ere altrove, e la motivazione “interna”del regista o della compagnia possono portare da
tutt’altra parte.Occorre tener conto caso per caso di tutte le vari abili , anche le più diffic ili da calcolare, qu ali i mutamenti osservati nella percez ione della collet tività e nella concez ione spettacolare moderna. E sull’esito finale, come dimostrano gli es empi citati , pes ano di volta in volta ragioni storiche ed estetiche,
personali e collet tive, na z ionali e internazionali .
Poco spazio per il coro?
A questo proposito vale la pena di tornare sulla situazione
itali ana. Nel di z ionario sopra citato Camilleri , con la consueta
ironia, riconduce la cattiva fama del coro in Italia a un trat to
spiccato, a suo dire, in molti nostri conna z ionali : un innato individu alismo, che nel caso dell’attore è es altato dal protagonismo – tipica dalla categoria – ed es asperato da una tradi z ione di
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divismo di lunga data. In ef fet ti la nostra storia teatrale,soprattutto in passato, è costellata di mattatori e primedonne che condi z ionano spesso e volentieri registi e produttori .
Nelle scelte produt tive in pass ato i drammi cosiddet ti“corali”, magari privi di un vero protagonista ,sono spesso oscurati da quelli dominati da grandi personaggi , soprattut to tragici.
Il nome del divo in cartellone è un potente richi amo, e dunque
per chi punta sul divo e sul “tutto es aurito” valgono ov vi amente di più le parti soliste e i virtuosismi interpretativi rispet to all’armonia dell’insieme e l’affiatamento degli interpreti . Se questi sono i presupposti è evidente che il coro, anche se è previsto
nel testo originale,nella considerazione generale può fac ilmente decadere da potente mez zo di espressione collet tiva a massa
indistinta e anonima in cui l’individuo si annulla e si perde. E
può divenire dunque metaforicamente un ostacolo da aggirare,
un peso morto da rimuovere o rendere meno noc ivo possibile,
neutrali z z andolo o camuf fandolo sullo sfondo, quasi parte vivente della scenograf i a .
Anche ammet tendo che Camilleri abbia ragione, per certi versi, l’em argina z ione del coro in Italia non si spiega solo con
la tradizione del teatro d’ at tore. La pres enza del coro in un
dramma può rappres entare un problema, anche e soprat tutto
oggi, per la pres enza costante e anzi cres cente di alcune condizioni di tipo economico, geografico e politico che carat teri z z ano il nostro teatro e condi z ionano inevitabilmente le scelte estetiche e artistiche dei registi e delle compagnie.Il teatro in Italia,
come conferm ano recenti ind agini, d al punto di vista organi zzativo e produttivo è un universo composito e frammentato che
comprende molte realtà locali del tut to eterogenee : d ai teatri
stabili ai privati , d ai centri di ricerca e innova z ione alle piccole
compagnie e ai circuiti indipendenti32.
Ciascun sogget to ovviamente deve conc iliare le esigen ze
artistiche ed estetiche che va perseguendo con altre “materi ali”
e contingenti, qu ali la consistenza numerica e la stabilità eco-
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nomica dei suoi membri o dipendenti , i finanziamenti e le risorse a disposizione,i costi produt tivi e gli spazi disponibili per
le prove e gli spet tacoli. Chi lavora in teatro sa bene come simili fattori poss ano inc idere fortemente, più di quanto uno spettatore possa imm aginare, sulla genesi di una messinscena, sulla scelta di un dramma piut tosto che un altro, sulla composizione del cast e l’ambientazione; ma anche,nel nostro caso, sulla pres enza stessa e resa scenica del coro, sulla risoluzione di ridurlo a un solo attore o di tagliare la sua parte.
Chi si proponga di reclutare e addestrare un numero elevato di attori deve disporre ov vi amente di uno spa z io adegu ato, suf f ic ientemente ampio e attrez z ato. Ma deve anche investire il tempo necess ario per addestrare un numero congruo di attori, form arli e perfez ionare via via la loro coesione.A maggior
ragione se si trat ta anche di far comporre musiche ad hoc per lo
spet tacolo, di istruire gli attori a cantare, muoversi o dan z are
secondo movimenti studi ati da un coreografo.
Tutto questo implica un impegno economico comprensibilmente non alla portata di tutti, e proporzionale alla qu alifica
e al cachet di ogni professionista coinvolto – dall’at tore al maestro del coro al coreografo al costumista – senza contare il costume per ogni membro del coro, che può essere ugu ale per tutti o diverso, ideato appositamente o “riciclato”da altri spet tacoli , come accade nelle produzioni a basso costo. Non tut ti , an z i
ben pochi,possono permet tersi un coro, potremmo dire in sintesi. E anche ammesso che ce lo si possa permet tere, in teori a ,
non sono certo molti i proget ti che effet tivamente vanno in porto e le produzioni che a conti fat ti portino in scena un coro consistente, per numero, e dignitoso per addestramento e prestazioni.
Si è ipotizzato fin qui come le condi z ioni produt tive e di
rappres entazione, lo spa z io, il contesto non solo condi z ionino
fortemente la messins cena ma inf luis cano in particolare sulla
resa del coro. Proviamo ora a tracciare una mappa nel panora-
ma nazionale recente sulla base di questi fattori : la disponibilità economica , il tempo e lo spa z io adeguato per dimensioni e
per tipo, e di conseguenza il numero dei membri e la complessità del loro uso, sia negli spet tacoli all’aperto e a maggior ragione negli spazi chiusi .
Consideri amo innan z itut to i luoghi e le condi z ioni produttive: storicamente in Italia i cori di proporzioni considerevoli caratteri z z ano le grandi produzioni di prosa e lirica , spec ie
nei festival di lunga tradi z ione che si tengono d’estate e in spazi all’aperto particolarmente suggestivi. Fra questi vi sono naturalmente i teatri antichi , greci e romani , e le aree archeologiche o i singoli monumenti anche immersi nel tessuto urbano
purché si prestino ad essere “teatrali z z ati”: da Siracusa a Taormina, dall’Arena di Verona all’ Olimpico di Vicenza, d alle Terme di Caracalla a Villa Adri ana33.
Ogni spa z io del genere comporta naturalmente dei vantaggi, d al nostro punto di vista, ma anche limitazioni e restrizioni diverse, come la distanza dal pubblico o l’ illuminazione
naturale o artif iciale,e non di rado si impongono scelte non fac ili per il tipo di spa z io o il contesto. Difat ti anche la “semplice”
ripresa di uno spet tacolo da un teatro antico ad uno moderno
comporta necess ari ad at tamenti e ritocchi, se non modif iche
notevoli: basti citare la recente messinscena dei Sette a Tebe concepita per il Teatro di Siracusa e poi ripresa al Teatro Olimpico
di Vicen z a34. Anche il trat tamento del coro va rapportato an z itutto a quest’ ordine di problemi , se si vuole comprendere come possa ess ere af frontato il problema da chi met te in scena un
dramma classico, ammesso che disponga di un budget adegu ato, a qu ali condi z ioni e con qu ali fini e come possa la scelta del
coro rivelarsi vincente, in termini di costi e benef ici.
Vale la pena a rigu ardo di ricord are la storia del Teatro
Olimpico di Vicenza,un gioiello rinascimentale ancora utilizzato
per concerti e spet tacoli , tra cui anche drammi classici, in occasione del Festival d’autunno35. Commissionato dall’Accade-
mia Olimpica ad Andrea Palladio, completato alla sua morte da
Vincenco Scamozzi, viene inaugurato nel 1585 da un allestimento epocale dell’Edipo Re, considerato per conven z ione la
prima rappres entazione tragica sulla scena moderna .Da allora
la stessa tragedia sofoclea torna regolamente in scena all’ Olimpico, di volta in volta affidata a registi e compagnie interna z ionali e con esiti diversi. In particolare nel 1997 l’anniversario dell’inaugurazione viene celebrato, anche se tardivamente,con una
versione filologica ,o rievocazione,dell’Edipo Tiranno. Questa si
propone come del tutto fedele all’ originale del 1585 e difat ti riprende,con minime variazioni, sia la traduzione di Orsatto Giustiniani sia i cori dell’epoca , composti da Andrea Gabrieli .
Il regista Gi anfranco De Bosio, forte di una decennale
esperienza anche nel campo dell’opera lirica , si trova a dover
af frontare uno spa z io scenico non fac ile, di concez ione ibrida,
tra antico e moderno. In particolare le dimensioni e la configura z ione della scena las c i ano ben poco spazio ai movimenti del
coro. La soluzione scelta è per noi molto signif icativa: il coreografo Mauro Bigon zet ti viene incaricato di ideare i movimenti
scenici. Ma non quelli del coro, bensì di ballerini in abiti moderni che dan z ano sulla scena durante le parti corali , mentre i
coreuti cantano rim anendo rigoros amente fermi al loro posto.
Così le diverse mod alità espressive che caratteri z z avano la messinscena antica – rec ita z ione, canto e danza – vengono di fatto
s c isse e ripartite tra differenti sogget ti: gli attori rec itano e non
cantano, i coreuti cantano e non si muovono, i ballerini dan z ano muti .
Senza entrare nel merito delle scelte singole va sottolineato, a nostro parere, che questo es empio è forse estremo ma non
isolato, ed è anzi emblem atico di una certa visione del coro che
ancora perm ane in certe tenden ze del teatro itali ano. Soluzioni
simili o analoghe,a dire il vero, non sono rare sulla scena. E soprattut to non paiono sempre scelte obbligate o det tate da uno
spa z io ristret to o fortemente limitante come quello dell’ Olim-
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pico. Non è raro, difat ti , trovare un coro “muto” o “dimidi ato” –
rispet to a uno “completo” che rec iti , canti e danzi – anche nei
teatri antichi o in spazi che potrebbero virtu almente ospitare
un coro numeroso e at tivo.
D’ altra parte non mancano es empi del fenomeno contrario,ossia casi in cui il coro di un dramma antico,o di una sua ris c rit tura, può muoversi e cantare e assumere grande ris alto anche senza bisogno di spazi ampi o cornici grandios e.Ad es empio la dimensione raccolta e suggestiva del piccolo teatro di Palazzolo Acreide,nel maggio 2004, si è prestata bene a ospitare lo
s catenato coro del dramma satires co ‘U Ciclopu, da Euripide,
nella versione sic iliana di Luigi Pirandello. Il regista Vincen zo
Pirrot ta e il capocoro Sileno las c i ano ampio spa z io al coro, che
si impadronisce let teralmente del teatro e lo riempie fisicamente per tut ta la durata del dramma: coglie di sopresa gli spet tatori alle spalle,scende dalle gradinate della cavea e si instaura nell’orchestra dove canta , rec ita e danza sfrenatamente36.
Allo stesso modo si distinguono per un uso del coro molto ef f icace e suggestivo diversi spet tacoli che non hanno luogo
in teatri antichi , ma in spazi moderni anche non teatrali e apparentemente inad atti a ospitare uno spet tacolo classico, e in
particolare un coro. Alcuni sono piccoli , o di forma anom ala ,
come le gallerie o le chiese sconsac rate.Altri sono viceversa sterminati , d alle ex-aree industri ali alle fabbriche dismess e,o particolarmente inospitali .Queste caratteristiche accomunano due
spazi particolari , entrambi anom ali benché dissimili tra loro,
che segnano indelebilmente uno spet tacolo rim asto celebre per
il suo coro: le già citate Troi ane dirette da Thierry Salmon e musicate da Giovanna Marini.
Il regista e gli allievi
Nel settembre 1988 lo spet tacolo debut ta a Gibellina , il
paese del Belice raso al suolo dal terremoto e ricoperto con il
grande Cret to bianco di Alberto Burri,che riproduce idealmente
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come un sud ario il volto dell’antico abitato distrutto. Il debutto
ha alle spalle un proget to lungo e complesso, paragonabile per
costi e investimenti ai proget ti più costosi come l’Orestea di Peter Stein o di Ari ane Mnouch kine.Le tappe principali sono: nel
luglio 1986 lo spet tacolo preparatorio Premesse alle Troi ane,nel
febbraio 1988 le prove a Gibellina e nei mesi seguenti l’allestimento di vari segmenti della tragedia in Italia, Germania e Francia. Diversi finanziatori locali si ripartiscono le spese necess arie
per produrre gli spet tacoli che si suss eguono per tutto il 1988.
Nel dicembre dello stesso anno la tournée si chiude al teatro
CRT di Milano, che in quel momento è in corso di ristrut turaz ione: per questo è vuoto, privo di arredi , ingombro di calc inacci. Come Gibellina, e come Troia, è un luogo desolato e inospitale, un des erto e una rovina.
Lo spet tacolo è già stato ampiamente e dif fus amente studi ato, ma vale la pena di ricordare alcuni trat ti salienti nel trattamento del coro che rim ane per molti aspet ti una pietra mili are. Si trat ta di una produzione interna z ionale, a cominc i are
d al coro. Donne di diversa na z ionalità e lingua –trentac inque a
Gibellina, poi ridot te di numero in altre riprese – interpretano
anche i personaggi mas chili della tragedi a . L’ intero testo è rec itato e cantato in greco antico: una lingua straniera per tutte le interpreti , che devono let teralmente lot tare con le parole per impararle e farle proprie, una a una. Ma la faticosa di z ione, per lo
sfor zo costante di articolare i suoni, produce di fatto un’intensif ica z ione emotiva che domina tut ta la tragedi a . Le interpreti ,
e il pubblico con loro, arrivano così a superare la barriera linguistica e comprendere l’ essenza della tragedia in modo totale
e intuitivo: un vero e proprio rito collet tivo di lutto e cordoglio,
a cui tutti gli spet tatori partec ipano anche loro malgrado, come sottolineano i critici e riconoscono i testimoni oculari dell’epoca37.
La scelta del greco antico non compromet te affatto, ma
anzi in qualche modo es alta , la coralità, l’efficacia e l’ intensità
emotiva . La rinuncia alla comprensione verbale sposta sul pi ano fisico ed emotivo la comunica z ione tra coro e pubblico, grazie a un’intesa perfet ta tra regista , compositrice e interpreti . Per
questo ed altri aspet ti lo spet tacolo assume rilevanza internazionale non solo per il cast, ma per le condi z ioni economiche e
produt tive in cui si sviluppa . Sotto questo aspet to, m algrado la
prima e numerose repliche avvengano in Itali a , lo spet tacolo è
un caso eccez ionale nel panorama itali ano. Qui , prima ancora
delle limita z ioni contingenti e pratiche, hanno purtroppo un
grande peso le ristret tez ze economiche, la discontinuità dei finan z i amenti , la precarietà dei lavoratori . Il caso celebre delle
Troi ane anticipa alcune tenden ze degli ultimi anni e segna una
strada senz’ altro promet tente, qu asi obbligata , per le compagnie itali ane; soprattut to se l’Italia resta vincolata alla situ a z ione economica at tu ale: la co - produzione teatrale.
Considerando le nostre ultime stagioni teatrali e tracc i ando idealmente una mappa della penisola emergono diversi dati interess anti : gli allestimenti dispendiosi e dal cast numeroso,
inclusi quelli corali ,si concentrano nelle sedi classiche come Siracus a , Verona o Vicenza e in occasione di Festival ricorrenti ;
sono sempre più spesso co-produzioni fra teatri ed enti diversi , spesso con il concorso di sponsor privati . Simili soluzioni ,
come il consorzio di investitori e la partec ipazione a un Festival ,
sono sempre più ricorrenti nel teatro italiano. Spec ie per le compagnie piccole, indipendenti e di ricerca , che spesso hanno a
m alapena i fondi necess ari per debut tare, non certo suffic ienti
per reclutare un coro. Le ragioni economiche pes ano a favore
del monologo o del dramma con pochi attori ; e anche quando
si rappres enta un testo antico spesso è qu asi una necessità ridurre il coro a pochi attori, ridimensionare o tagli are le parti
corali.
E tut tavia anche in queste condi z ioni dif f icili ci sono casi
fortunati in cui giovani artisti o compagnie possono permettersi un coro gra z ie al sostegno economico e alla promozione
garantita da teatri stabili ,enti na z ionali , Festival importanti : è il
caso delle sopra citate Eumenidi di Pirrot ta – una coproduzione di vari Festival e teatri ,come si è visto sopra – o prima ancora
delle fortunate Baccanti di Serena Sinigaglia (1999). Quest’ultimo spet tacolo nasce gra z ie ad accordi interna z ionali tra l’Itali a
e l’ Albania, che portano la compagnia italiana in Albania e permet tono di form are un coro giovane e multilingue italo - albanese, vero e proprio fulc ro dello spet tacolo, con la partec ipazione degli allievi attori dell’Accademia di Tirana . Su quest’ultima componente, gli allievi attori , vale la pena di sofferm arsi
perché si trat ta di una risorsa prez iosa per il teatro di ricerca , e
in particolare per quel che rigu arda il coro.
Sempre più spesso i cori dei drammi corali sono composti di allievi che frequentano una scuola di teatro, uno stage professionale, un seminario con grandi maestri : basti pens are alla
Scuola di Teatro “Giusto Monaco”,tradizionale ‘vivaio’ di giovani
coreuti per gli spet tacoli classici dell’INDA38. A una simile soluzione ricorrono volentieri non solo grandi produzioni, come
quelle siracus ane,ma in primo luogo le compagnie piccole e indipendenti , form ate da giovani . Talvolta il coro di allievi è una
scelta obbligata – quando la produzione o la compagnia possono permet tersi un coro solo se è di allievi – ma spesso si traduce in una risorsa. Tant’è che alcuni registi partono per necessità da simili soluzioni, all’ini z io della carriera , e poi vi tornarno volentieri anche in seguito, qu ando potrebbero permet tersi
anche un coro di professionisti .A maggior ragione vale la pena
di distinguere caso per caso le motiva z ioni e le condi z ioni che
portano a compiere una simile scelta .
Il ricorso a un “coro di allievi” ha a prima vista vantaggi
eminentemente economici come il costo minore e una maggior
flessibilità, rispet to all’impiego di attori professionisti . Simili requisiti sono sicuramente apprez z abili, se non talvolta indispens abili , spec ie nelle diffic ili condi z ioni economiche e lavorative
in cui opera gran parte del teatro itali ano (un set tore, lo ricor-
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di amo, qu asi interamente costituito da lavoratori precari , costret ti a dipendere da sovven z ioni che arrivano in ritardo e a
singhiozzo e dunque non permet tono programmi a lunga scaden z a ) . Gli stessi calcoli pes ano anche, in termini relativi, nel
caso di teatri stabili , produ z ioni straordinarie e budget più o
meno ricchi .
Se ci limiti amo ai meri fattori economici possi amo già in
prima battuta ipotizzare alcune potenziali conseguenze che si ripercuotono sul coro: più il costo a giornata degli at tori diminuis ce, con l’impiego di allievi, più si rendono disponibili potenziali risorse. Si può di conseguenza prevedere che possa aumentare virtu almente il numero dei membri , o quello delle ore
di prova . E in tal caso la resa del coro dovrebbe trar giovamento dalla maggior atten z ione dedicata al lavoro di gruppo, all’ interno della singola produzione: una supposi z ione teorica , questa , supportata dall’ esperienza diret ta e dalle testimonian ze di
molti registi , e fac ilmente verificabile da chiunque lavori in teatro.
Simili considera z ioni hanno il loro peso, certo, ma non
bastano a spiegare il successo di una formula orm ai collaudata
e sperimentata da più parti , anche in grandi produ z ioni . L’ esperienza diret ta permet te di riscontrare altre motiva z ioni, in
termini artistici e um ani prima ancora che economici, nel regista e negli alllievi ,e di riconoscere che la formula pres enta numerosi vantaggi da entrambe le parti . Il rec iproco scambio di
s aperi tra regista e allievi appare fond amentale per stabilire
un’intesa comune e garantire l’efficacia dello spet tacolo, e ancor più nel coro, che è frut to di per sé di un pa z iente lavoro collet tivo. Per gli allievi il lavoro di gruppo sulle parti corali , sotto
la direz ione di registi esperti , rappres enta un’occasione unica
per met tersi alla prova a tutto campo, un es ercizio insostituibile per sperimentare e migliorare la tec nica . I registi da parte loro trovano più frequentemente negli allievi, rispet to agli attori
maturi , una maggior disponibilità di tempo e energia, una pre-
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disposi z ione a lasciarsi più fac ilmente guidare, e a farsi “coro”
come forse lo intendevano gli Ateniesi: non una somma di singoli , ma una collet tività indistinta , dove la propria individu alità si perde e si annulla nel gruppo, nella comune ricerca dell’armonia e coesione di voc i , suoni, corpi , a z ioni .
In linea generale è ipotizzabile che la formula “coro di allievi” implichi di fat to il ricorrere di alcuni elementi nello spettacolo e la pres enza di alcune costanti nelle scelte artistiche del
regista. In particolare una serie di scelte nel trat tamento del coro e nella resa scenica possono nascere proprio da elementi ricorrenti nella form a z ione della compagnia e nella composi z ione del coro, se questo è il punto di partenza nella produzione di
uno spet tacolo. Poni amo ad es empio che un regista afferm ato
dec ida di met tere in scena, di sua ini z i ativa o su commissione,
uno spet tacolo con gli allievi, e che proprio per questo motivo
scelga un dramma corale. In tal caso il punto di partenza dell’intero spet tacolo è la volontà di guidare gli allievi di una scuola in un percorso did attico ed educativo. Così il coro stesso è il
centro e il motivo d’ess ere del proget to, e il lavoro è comune sin
d alle prime fasi, la dramm aturgi a ,l’idea z ione e la prepara z ione
di scene e costumi , musiche e canti ,oltre naturalmente agli es ercizi fisici e interpretativi necess ari a form are il coro vero e proprio.
In questo modo, anni fa, il regista Gabriele Vac is ha avviato un lungo percorso approd ato a due allestimenti molto fortunati . I suoi spet tacoli Set te a Tebe di Es chilo (1992) e le Feni cie di Euripide (1997) nas cono rispet tivamente da due seminari condot ti con gli allievi della Scuola di Arte Dramm atica Paolo Grassi. I drammi scelti sono entrambi ambientati a Tebe, e
hanno una forte voca z ione “civile”.Vac is e i suoi allievi creano
insieme una vera e propria partitura corale : ogni at tore interpreta una parte, ma è parte di un gruppo, non è “solista”. Così
pure è frutto di un lavoro collet tivo ogni componente dello spettacolo, d alla coreografia alle musiche alle scene39.
Giovani allievi crescono
La stessa sede,la Scuola d’Arte Drammatica di Milano, nei
primi anni Novanta ha visto riuniti come allievi Serena Sinigaglia e gli attu ali componenti della compagnia sopra citata, l’ATIR.Anche loro, così come molti altri registi e attori , ancora oggi tengono periodicamente alla Scuola seminari, laboratori, Master a cadenza regolare e annuale.
Il caso dell’ATIR è particolarmente interessante ai nostri fini,perché una forte coesione caratterizza sin dalla fondazione il
suo nucleo originario, giovani allievi “nati”artisticamente e cresciuti insieme. E al tempo stesso si segnala per la tendenza a riprodurre gli stessi meccanismi di coopta z ione: ad ogni seminario o laboratorio i giovani attori dell’ATIR istruiscono e coinvolgono altri allievi delle scuole che si affiancano via via negli
spet tacoli di repertorio. È una sorta di “voca z ione” alla coralità
in tut ti i sensi , dentro e fuori scena, che è quasi un “marchio di
fabbrica” della compagnia. Molti loro spet tacoli trat tano da un
punto di vista “corale” la storia recente e i temi contemporanei
vissuti con gli occhi degli attori protagonisti (si ved ano, ad esempio, gli ultimi dedicati al 1968 e al 1989, anni cruc i ali della nostra storia). Ma ancor più la coralità si distingue come assoluto
punto di partenza e di forza del gruppo nel trattare testi antichi: si ved ano in particolare le Troi ane di Euripide con inserti
dell’ Ili ade (2005) e le Donne in Assemblea da Aristofane
(2007)40.
Questi due spet tacoli , ultimi in ordine di tempo, vengono
proposti uno dopo l’altro nell’aprile 2007 al Piccolo Teatro Studio di Milano: la commedia e la tragedia si presentano come
due punti di vista “corali”, diversi ma complementari , sul mondo antico. I due spet tacoli fanno parte di un unico progetto,
Spa z io Masterclass, che coinvolge i giovani allievi della scuola di
teatro del Piccolo e di altre sedi . Sono loro a form are di volta in
volta il coro: m as chile e femminile, comico e tragico, guid ati
d alla giovane regista e accompagnati dagli altret tanto giovani
attori dell’AT I R, in un’ intensa maratona durata oltre un mes e
tra prove e spet tacoli .
L’attenzione dedicata dalla Sinigaglia al coro dà i suoi frutti , nella coesione e armonia di un gruppo sempre compatto, anche se articolato, da cui si staccano di volta in volta i protagonisti delle singole scene. Il coro è mobile e versatile, doc ile a seguire le indica z ioni della regi a , a muoversi in modo autonomo
e rela z ionarsi con gli attori , a sciogliersi a tratti e ricomporsi . La
rec ita z ione si arricchisce di canto e danza, gra z ie alla cura costante di musiche e coreografie. Le parti corali sono di volta in
volta rec itate o cantate, in simultanea o suddivise tra membri
diversi, m an mano che il gruppo si scioglie e si riforma, prim a
fa emergere e poi ri assorbe i singoli attori .
Entrambi gli spet tacoli si bas ano su ris c rit ture e contamina z ioni , che coinvolgono anche il coro. Prima caratteristica innovativa e distintiva di Troi ane è in tal senso la commistione di
testi epici e tragici che comporta la pres enza di un doppio coro
(anche se il numero è ridotto, per ragioni produttive, dal 2005 al
2007). Al coro femminile euripideo – prigioniere troi ane – si
aggiunge un coro mas chile, che comprende gli eroi omerici e
tragici del conf litto troiano. Ettore, Priamo e i loro compagni,appaiono qui fisicamente in scena come protagonisti dei più celebri episodi dell’Ili ade. Non sono fantasmi, ma tornano a vivere
nei ricordi a flashback delle donne: mariti , figli e nemici rivisti
nel pieno delle for ze,sul campo di bat taglia o in tempo di pace.
Benché morti sono belli e poss enti , splendidi e felici, molto pi ù
“vivi” e vitali delle donne: loro sì, soprav vissute alla guerra, ma
tanto annientate dal dolore da vagare come spet tri , senza vita
né luce negli occhi. Il paradosso è evidente, c rudele, stra z i ante:
il roves c i amento fun z iona,e incarna una contrapposizione,rintracciabile già nel testo antico, tra il pass ato luminoso e il presente cupo e lut tuoso. Soprat tutto quando il f lashback si estende a comprendere, oltre a brani dell’Ili ade, alcune scene d’inven z ione che rievocano i momenti felici della città, feste di noz-
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ze o banchet ti ,la presunta partenza dei Grec i . E qui , signif icativamente, anche il coro femminile si ri anima e ritrova per un
istante la gioia di rivivere il passato.
La dimensione festosa e vitale, conf inata ai f lashback nelle Troi ane, è chi aramente dominante nell’altro spet tacolo presentato nel 2007 a Milano: Donne in parlamento,rielaborazione
dramm aturgica delle Ecclesiazuse di Aristofane. Qui la festa , il
sesso, il cibo e il banchet to – tut ti temi centrali ,com’è noto, nella commedia antica – sono pres enti fondatamente sin dall’ inizio
dello spet tacolo: a partire dalla scenograf i a , una distesa di tavoli di diverse forme, accostati a mos aico per comporre un pavimento rialzato su cui camminano gli attori . Questi stessi temi,
vari amente declinati , uniscono come filo conduttore tutte le scene della commedia, da quelle propri amente corali della prim a
parte ai cosiddet ti “episodi” in forma di sketch della second a
parte,af f idati agli at tori41. Sulla fals ariga del testo originario gli
spet tatori vengono coinvolti a più riprese con apostrofi diret te,
slogan,incitamenti. Il coinvolgimento,in crescendo, è affidato in
primo luogo al coro di donne, che sin dall’ ini z io si rivolge al
pubblico, soprattut to femminile, per cercare empatia e solid ariet à . Il clou coincide colla proposta centrale della commedia di
condividere e redistribuire beni, donne e cibo : qui il coro rompe una volta per tutte ogni barriera e si sparge tra le file della
platea per of frire vino agli spet tatori e festeggi are insieme. L’apice tut tavia si raggiunge nel finale, dove l’ intero gruppo di attori dà libero sfogo alla propria vitalità in un vero e proprio “carnevale” scenico. La carica e l’energia tipiche della commedi a , e
del festino comico in particolare,trovano ideale corrispondenza in questo happening moderno: la massa di attori deborda fisicamente dallo spa z io scenico nella platea e dilaga per tutto il
teatro. Scorrono fiumi di vino, farina e cibi vari sparsi dappertutto: è l’ età dell’oro evocata dalle utopie comiche e dai miti antichi …
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Gli es empi fin qui analizzati hanno in comune l’ evidente
volontà di far rivivere la coralità del dramma antico e di valorizzarne la forza, già insita nel testo, in modi nuovi e originali .La
tenace motiva z ione e la costante atten z ione al coro dimostrata
da gruppi giovani, come quelli citati , ci sembrano riconduc ibili in primo luogo alla loro formazione comune e alle condi z ioni in cui sono nati artisticamente e cres c iuti insieme. Anche i
registi di punta dei due gruppi, rispet tivamente Serena Sinigaglia e Vincen zo Pirrot ta ,meritano atten z ione per il lavoro svolto sul coro da diversi anni, ciascuno a suo modo, con continuità e passione.Entrambi hanno orm ai avviato un percorso indipendente e autonomo, al di fuori dei teatri stabili , carat teri z z ato dalla messa in scena di drammi corali , classici e non. Basti
ricord are,in aggiunta a quanto già det to su Pirrot ta , che è stato
allievo di Mimmo Cuticchio e che con la stessa compagnia di
Eumenidi e ‘U Ciclopu nel 2006 met te in scena a Roma la Sagra
del Signore della Nave di Pirandello (un dramma corale e allegorico di diffic ile res a , un rito collet tivo che coinvolge ben tredici attori e quattro music isti) e nel 2007 allestis ce, con più di
venti attori , il Filottete di Sofocle (27-28 luglio, teatro antico di
Taormina)42.
Questi e altri progetti,se considerati in termini meramente
economici, vantano a loro favore le “buone pratiche” delle co produ z ioni , di cui si è det to, e i cons eguenti contatti e crediti
che via via si acquisiscono. Ma altret tanto importanti a nostro
parere sono i pregi artistici e um ani di una simile esperien z a
corale: il valore aggiunto di un gruppo che anno dopo anno si
c imenta su spet tacoli diversi e costruis ce insieme a un proget to
comune. Anche i registi che emergono dal gruppo come figure
di riferimento, spesso, nascono dalla stessa esperienza di allievi
attori, e fondano il loro lavoro sul medesimo ambiente e tiroc inio che trasmet tono a loro volta ad altri .
Questo processo virtuoso di “formazione a catena”ha precedenti illustri , in Italia e all’estero: il sopra citato Gabriele Vac is
è stato tra i fondatori della Cooperativa Laboratorio Teatro Settimo di Torino, dove ha lavorato per anni fianco a fianco con
Laura Curino, Eugenio Allegri e molti altri artisti43.Altri gruppi at tivi ancora oggi , e insieme da decenni, formano per così dire un “coro”nel senso lato del termine, nell’ accezione vista sopra.
Il Teatro dell’ Elfo di Milano, che ha ospitato il citato Progetto
Oresti ade,è sede stabile di un gruppo teatrale di at tori , registi e
collaboratori che lavorano insieme da trent’anni.Allo stesso periodo, la fine degli anni Set tanta , ris ale la nas c ita di un altro
gruppo storico che si caratterizza per la componente “corale”: il
Teatro delle Albe di Ravenna.
Il regista Marco Martinelli ,Erm anna Montanari e gli altri
membri del nucleo originario non solo portano avanti da decenni il loro lavoro collet tivo di ricerca , con la dramm aturgia e
regia di proget ti comuni e spet tacoli corali , ma si distinguono
per la voca z ione didat tica originale e ben radicata nel territorio.
La “non scuola” di Ravenna , nata sotto il segno di Artaud, ha
form ato nel tempo gli allievi che via via hanno costituito i cori
dei loro spet tacoli . Molti di loro, una volta cres c iuti , sono entrati a far parte di questa comunità,o se si vuole famiglia teatrale,
che ha per motto il proverbio africano «Io sono noi»44.
La stessa atten z ione al lavoro collet tivo, in particolare con
ragazzi e studenti, carat terizza i proget ti anche al di fuori del
territorio: da anni il gruppo conduce regolarmente laboratori
teatrali in condi z ioni dif f ic ili, in Senegal o con gli adoles centi
dei ghet ti di Chicago. L’ ultimo in ordine di tempo è partito nel
2005, in collaborazione con il Mercad ante-Teatro Stabile di Napoli , ed è un proget to triennale intitolato Arrevuoto: ScampiaNapoli: un anno intero di lavoro, ricerca e laboratori con raga zzi delle scuole cit tadine, della periferia degrad ata e dei campi
rom.Si forma così un gruppo di set tanta coreuti impegnati nella ris c rit tura e nella messinscena di una commedia di Aristofane – Pace! – allestita nel 2006 a Scampia, Napoli e Roma, e seguita nel 2007 da una versione “napoletana” del celebre Ubu di
Jarry: Ubu sot to tiro. 45.
Rispet to ai casi finora visti , che si svolgono comunque in
sedi istituzionali , ci troviamo qui evidentemente “al limite”, sia
per il contesto – una zona di povertà e degrado, disoccupa z ione e camorra,spacc io e guerriglia urbana – sia per i sogget ti coinvolti : adoles centi di diversa estra z ione soc i ale e culturale, in
gran parte “dif f ic ili”e senza alcuna esperienza di teatro.A maggior ragione la crea z ione del coro parte da molto lontano, e si
fonda sull’ intesa e sulla solidarietà che si viene a creare tra i suoi
membri , gli attori e gli allievi, ma anche in senso lato la comunità di Scampi a .At traverso il lavoro sul campo e sul testo, i laboratori e l’ allestimento, si punta a coinvolgere non solo i ragazzi del coro,ma le loro famiglie e idealmente l’intera comunità.
Il proget to prevede infatti il recupero dell’unico spa z io teatrale di Scampia, l’Auditorium , da sempre abbandonato e inutilizzato. In questo modo si vuole riportare il teatro al centro
della vita del qu artiere, come spa z io di pace e di di alogo. Qui
avviene il debut to dello spet tacolo annuale, e qui l’identif icazione tra coro e pubblico raggiunge il suo culmine. Il progetto ha
riscosso grande successo di pubblico e critica e ha ricevuto numerosi premi ,sia per la valenza soc i ale e didat tica ,sia per il forte impatto scenico e l’efficacia corale. Gli spet tatori sono chi amati a prendere parte al rito, come parte in caus a , e a raccogliere la sfida lanciata dai ragazzi.
In questo senso il proget to Arrevuoto non si conclude con
i tre spet tacoli previsti , ma intende las c i are dei segni durevoli
nella comunità, oltre che nel gruppo di ragazzi, e vuole pros eguire idealmente nella tensione e nella spinta al cambiamento di
cui è portatore. L’ energia collet tiva sprigionata da Scampia diventa una condi z ione perm anente, presupposto e fond amento
delle repliche successive: anche qui la coesione all’ interno del
coro e la partec ipa z ione del pubblico sono elementi costanti ,
seppure in condi z ioni diverse da quelle originarie. Una simile
partecipa z ione collet tiva del pubblico è rara , oggi .Ci riporta in-
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dietro nel tempo, alla ris coperta del teatro classico come rito
collet tivo e ad alcuni precedenti illustri che si concentrano soprattutto negli anni Sess anta : uno su tut ti , l’Antigone del Living
Theatre (1967). Tra le analisi dedicate a questo celebre spet tacolo
vale la pena di citare, sul trat tamento del coro, la sintesi di Annam aria Cas cet ta : « il coro subis ce qui un signif icativo cambiamento di rotta, ma conserva ,nella sostanza, un’importanza sulla quale il magistero dello spet tacolo antico resta di fat to vivo e
inc isivo». In quell’Antigone, il coro si fa portatore dell’eredità
antica , come oss erva la stessa Cas cet ta , su tre distinti livelli : il
coro - personaggio, ossia il coro di vecchi della tragedia sofoclea ;
il coro come gruppo degli attori del Living – una “mic rosoc ietà”, una comunità che si autorappres enta – e inf ine il pubblico coro, chi amato a partec ipare alla rappres entazione come parte
in causa46.
Il pubblico-coro
Quest’ultimo es empio, paradigmatico e pregnante, ci riporta in un certo senso al nostro punto di partenza.Si amo partiti dall’Atene di quinto secolo, una realtà circos c rit ta nello spazio e nel tempo fortemente caratteti z z ata da pratiche collet tive
di partec ipa z ione, nonché da forme d’ espressione dramm atica
e poetica che prevedono la pres enza di un coro. Quest’ultimo in
quanto tale sembra dunque in prima istanza il sintomo e il frutto delle condi z ioni spec ifiche di quel contesto: la stret ta interdipendenza tra testo e spet tacolo, contenitore e contenuto, edif ic io e territorio, individuo e collet tività, aspet ti civili , politici e
religiosi.
Una simile dimensione corale appare per altri aspet ti conf inata al passato, inevitabilmente legata a un contesto o a un teatro, inteso come edificio e come gruppo che lo anima. Eppure
ancora oggi possiamo ris contrare es empi di una tendenza contrari a , che si estende da un gruppo di attori a una comunità pi ù
o meno estesa, come nei casi sopra citati . A Ravenna, ad es em-
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pio, si costituis ce attorno a un teatro la “Non-Utopia”delle Albe:
il loro obiet tivo, raggiunto in tre decenni, è fare di un intera città la “casa del teatro”. Il radicamento nel territorio è conquistato passo passo e mantenuto a partire dalle scuole. Così la compagnia può contare su molte nuove leve, ma di aloga con la città anche in altri modi – aprendo il teatro ad incontri e serate di
diverso tipo – e ha già mostrato di poter estendere la propri a
comunità “allargata” al di fuori dei confini cit tadini , regionali e
na z ionali , con i proget ti av vi ati a Chicago, in Senegal e a Scampi a .
Un simile processo altrove può partire dall’iniziativa di un
singolo, o di un gruppo, ed ess ere favorito anche da altri fattori , come la pres enza di un teatro antico. Il caso più celebre è in
tal senso l’iniziativa di un gruppo di siracus ani che nel 1913 fonda un comitato e l’anno seguente organizza il primo ciclo di
spet tacoli classici nel teatro greco : da allora e fino a oggi , quasi
un secolo dopo, le rappres enta z ioni siracus ane continu ano ad
ess ere seguite e “vissute” d alla comunità con la stessa passione,
come possiamo constatare fino ad anni recenti , di persona e
gra z ie a numerosi protagonisti e testimoni dell’epoca47.
A Siracusa la rappres entazione si integra e si compenetra
con la cit t à : ogni anno si celebra una sorta di festa collet tiva,
non più stret tamente religiosa, ma laica,civile e teatrale.I cit tadini siracus ani non si limitano al ruolo di spet tatori , ma partec ipano agli spettacoli in vario modo : lavorando come figure
professionali più diverse (tec nici,operai e macchinisti , maschere
e comparse); e naturalmente come coreuti : i giovani allievi attori
che frequentano la scuola dell’INDA possono entrare a far parte del coro, con audi z ioni pubbliche, mentre i più giovani attori delle scuole ogni anno si cimentano nella messins cena dei
drammi antichi al Festival dei Giovani nel teatro greco di Pala z zolo Acreide48.
Uno spirito per certi versi analogo, anche se fisicamente
lontano da un teatro antico, viene riproposto nell’ultimo e pi ù
recente caso su cui vogli amo sofferm arci. La Maison du Grütli ,
a Ginevra , è un centro culturale polifun z ionale che comprende
un cinema e un teatro, finora gestito in modo piuttosto tradizionale. Con una svolta percepita come radicale,dagli stessi concit tadini, il teatro viene af f idato nel 2006 a una coppia di direttrici, per tre anni : l’ intento è dare un taglio net to col passato e
creare un nuovo spa z io di sperimentazione teatrale. Rispet to a
Siracusa o a Ravenna – dove si fa sentire il peso della storia antica o moderna, la vic inanza o pres enza stessa di teatri o monumenti – il contesto è apparentemente estraneo alla cultura
antica . E viste le diret trici ci si aspet terebbe una programm azione tenden z i almente volta al contemporaneo.
La stagione teatrale 2006/2007, invece,si intitola a sorpresa “Saison LogoS” èd è net tamente ispirata al teatro antico, in
una dimensione di ricerca e innova z ione def inita “post - greca”
d alle diret trici: l’idea ispiratrice è rileggere il mito greco in modo contemporaneo, contaminato e provocatorio, e coinvolgere
at tivamente in questo esperimento l’intera città. La stagione si
inaugura con un seminario di studio sulla tragedia e sullo spettacolo antico, cui partec ipano docenti universitari , registi e traduttori . Si pros egue con appuntamenti periodici aperti al pubblico, per dar modo a spet tatori e compagnie di incontrarsi , verificare insieme il processo creativo, la dinamica performativa e
gli esiti della messinscena.Agli spet tacoli veri e propri si af f i ancano eventi di vario genere ispirati a testi classici, ini z i ative collaterali e veri e propri happening. Basta scorrere i titoli : Pentesi lea XY da Von Kleist, Elet tra , Persi ani, Sette a Tebe, Lemnos Pro ject con il Filottete di Heiner Müller49.
Gli spet tacoli sono diversi per concez ione e messa in scena, ma accomunati da una proposta organica e coerente dall’ obiet tivo ambizioso: reinterpretare gli antichi festival ateniesi e
ricreare in qualche modo quella compartec ipa z ione che doveva caratterizzare nel quinto secolo sia la dimensione eccez ionale, festiva e ritu ale del teatro sia le altre istitu z ioni democ rati-
che, dai tribunali alle ass emblee. L’idea di fondo è ispirarsi all’antica polis e ai meccanismi della democ razia, dove i cit tadini
potevano partecipavare al teatro come all’assemblea o al governo, alle giurie popolari o a quelle dei concorsi drammatici.
La ricerca della perduta coralità e il coinvolgimento del
pubblico, o almeno idealmente dell’ intera comunità, pass ano
anche attraverso la riproposizione di antichi meccanismi di partec ipa z ione collet tiva . I cit tadini di Ginevra non sono semplic i
spet tatori : diventano di volta in volta “arconti” e giurati , coreuti e interpreti . Il proget to Concorso Elettra – Elektr’academy (settembre 2006-aprile 2007) ass egna al pubblico il compito dell’antico arconte – selez ionare i drammi da rappres entare – e
quello di votare il vincitore. A sfid arsi sono i dramm aturghi , o
meglio i loro personaggi: nove versioni del mito di Elet tra da
quelle antiche – Sofocle ed Euripide – alle più recenti di Yourcenar, O’ Neill , Sartre, Mishima. Nell’arco di set te serate viene
dec retato il vincitore: O’Neill . Il lutto si addice a Elet tra va in scena a fine stagione, tra aprile e maggio.Al di là degli esiti artistici l’ esperimento – ispirato ai meccanismi democ ratici e all’ assemblea di Atene,oltre che i concorsi teatrali – si propone come
sfida per coinvolgere e far presa su un pubblico spesso inerte,
abitu ato al televoto televisivo o alla nomination di un reality
show.
Altri spet tacoli , in modo dif ferente, cercano di abbattere
le tradi z ionali barriere tra attori e spet tatori , di spingere il pubblico a far parte integrante della rappresenta z ione. O perf ino
portare la città a teatro e fare della città stessa il coro. Quest’ultima frase è da intendersi in senso let terale nell’ allestimento dei
Persi ani, intitolato significativamente Les Perses. Let’s experiment
democracy! A guidarlo è la dramm aturga e regista Claudia Bosse del gruppo Theaterkombinat di Vienna,che si è cimentata in
passato con una ris c rit tura radicale dell’Orestea (Mass aker My kene) messa in scena a Vienna con Jos ef S zeiler dal 1999 al
200050.
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Il nuovo proget to si sviluppa nell’ arco del 2006 e prevede
due allestimenti diversi dei Persi ani: uno a novembre a Ginevra , l’ altro a dicembre a Vienna51. La doppia sf ida prevede rispet tivamente di portare la città a teatro nel primo caso, il teatro in piena città nel secondo (lo spet tacolo di Vienna si svolge
in un tunnel sotterraneo ) . Ci concentri amo qui sul solo caso di
Ginevra, per l’insolita mod alità di partec ipa z ione del pubblico
e gli esiti cons eguiti : diversi mesi di intense prove, e uno sfor zo
collet tivo senza precedenti , permet tono di ricreare un vero coro e dar vita a un rito laico e teatrale,culminante in un evento eccez ionale.
Il coro ginevrino non è composto da attori professionisti ,
ma da abitanti della città e dintorni . Dovrebbero essere cinquecento, nelle inten z ioni dei coordinatori : la cifra simbolica vuole richiam are i coreuti dei festival ateniesi, ma anche i membri
del Consiglio dell’ antica polis. L’ intento è rievocare una forma di
partec ipa z ione diret ta come quella atenies e, rinnovare simbolicamente quei legami simbolici che in origine unis cono il teatro, la popolazione e il territorio: somm are in un solo corpo civico l’ esperienza del coro tragico o del ditirambo e la pratica
quotidi ana delle istituzioni democ ratiche. Nell’estate 2006 viene indet ta una selez ione pubblica : non si cercano professionisti,
ma persone comuni,s enza particolari abilità, purché disposte a
partec ipare gratuitamente,ad investire tempo ed energie nel ricreare un coro greco.
Al termine della selez ione rim angono centos ettanta volontari , che vengono addestrati nell’arco del 2006 dalla regista e
d ai suoi assistenti . Alla prima prova , racconta la regista, uno di
loro parla e gli altri lo as coltano; punto di partenza del percorso con i coreuti è il puro suono, e lei stessa sottolinea : «Nel mio
lavoro non ci sono imm agini.Ma suoni in tre dimensioni». Qui
sta la chi ave di volta dell’ intero spet tacolo : ric reare il coro in
senso prima di tutto fisico. I suoni delle voc i , lo spa z io occupato dai corpi , l’ eco delle parole in uno spa z io chiuso. Si prova sul
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testo es chileo tradot to in frances e, che viene suddiviso in sillabe, e tras c rit to su una spec ie di pentagramm a , qu asi a creare
una “partitura parlata”52.
Nello spet tacolo i coreuti scandiranno le sillabe all’unisono, seguendo la partitura , rec itando di volta in volta in singoli
gruppi o tut ti insieme. Dovranno sostenere i suoni e i silenzi, i
pieni e i vuoti . Si allenano quindi per prima cosa a udirsi l’ un
l’altro, a sentire con atten z ione anche le pause e i respiri , perché
nello spet tacolo non potranno vedersi o as coltarsi bene: saranno mescolati agli spet tatori ,f i anco a fianco,in una vasta e alta sala det ta Black Box (“S catola nera”). Qui gli spet tatori , al loro ingresso, trovano una folla immobile e silenziosa.Gli spet tatori ,all’ inc irca la metà dei coreuti ,si dispongono in piedi nel poco spaz io libero. Il pubblico ginevrino riconos ce famili ari , vicini di
casa e conos centi . Sono uomini e donne comuni, vestiti coi loro abiti usu ali. Ma al tempo stesso non sono più loro: anche
frammisti al pubblico, quando la sala è piena, coreuti e spet tatori si distinguono a colpo d’ occhio.Un abisso li separa dal pubblico, ma anche dal loro stesso stato abitu ale di semplici cit tadini. Hanno tutti lo stesso sgu ardo vigile, il corpo in evidente
tensione.Sono come statue pronte a ri animarsi , robot o automi
in attesa di essere accesi .
Inizia lo spet tacolo, le luci non si spengono. Mai . Appena
il coro si anima, all’ unisono, il primo impatto è una vera e propria onda d’ urto. I coreuti iniziano a muoversi, piano pi ano, e
per tut to lo spet tacolo continuano a muoversi e ferm arsi, s eguendo il ritmo del testo. Rec itano di fronte o anche di spalle,
senza gu ardarsi, coordinandosi tra loro col respiro. Comunque
si muovano, spet tatori e coreuti sono parte di una stessa folla ,
immersi in un magma sonoro che li circonda da ogni parte: un
mare d’acqua che sommerge tutto. Non si ries ce a distinguere
chi parla e chi ascolta nel coro, e non si percepiscono i singoli
suoni e le voci, ma solo l’insieme.
Dalla massa um ana emergono a trat ti alcuni attori , tede-
schi e francesi : ciascuno rec ita nella propria lingua madre. L’ uso della doppia lingua risponde ad un’ esigenza pratica , ma la
ricaduta dal punto di vista artistico è evidente: attori, coro e
pubblico si trovano su pi ani net tamente separati . Anche i sottotitoli francesi, proiet tati sul muro, sono volutamente decentrati e scarsamente visibili . Più che facilitare la comprensione
contribuiscono a creare un senso di estraneità e spaes amento.
Nel complesso per tut ti , coreuti e spet tatori, è un’ esperienza totale,fisicamente molto forte e perf ino disturbante: anche se percepita e des c rit ta vari amente,nei commenti a fine spet tacolo, è
comunque inedita e assoluta. Durante le prove e nelle repliche,
come ricorda la regista, persone diverse e in momenti dif ferenti scoppiano frequentemente in lac rime.
Coralità antica e moderna
Alla luce di quest’ ultimo es empio possi amo ora tirare le
f ila del nostro discorso, cercare di trarre alcune possibili conclusioni o quantomeno avan z are alcune ipotesi. Rivedi amo anzitut to gli interrogativi sostan z i ali che hanno guid ato la nostra
ricerca : che cosa spinge una compagnia a met tere in scena un
dramma corale,a “scommet tere”sul coro, e a investirci tempo e
fatica? Che cosa porta un regista a farne un punto di forza dell’intero spet tacolo, capace di dec retarne il successo? E con questi presupposti qu ali sono i fattori che contribus cono al successo di un coro?
Nel corso dell’ indagine abbiamo individuato diversi possibili fattori e requisiti che appaiono più o meno importanti di
per sé, e combinabili in vario modo: molti sono imponderabili , legati alle scelte del singolo e del momento, al contesto o alle
circostan ze fortuite.Alcuni sono costanti , o quantomeno ricorrenti , e a nostro parere fondamentali e dec isivi : primi fra tut ti la
scelta del testo e del luogo, il contesto e il budget a disposizione;
e ancora la composi z ione del coro e la natura della compagnia,
l’unione tra i suoi membri e la forte coesione. Inf ine, a corona-
mento di tut to questo, in ultima analisi ma prima di tut to rimane la motiva z ione di fondo per cui si sceglie il coro: quel che
si sente l’urgenza di dire e di manifestare.
Rivedi amo sotto questo aspet to l’ ultimo caso, i Persi ani:
al di là degli esiti peculi ari raggiunti a Ginevra si trat ta sen z a
dubbio di un testo-simbolo,quasi un manifesto, sin dalla prima
rappres enta z ione ad Atene. Nel 472 a.C., com’è noto, Es chilo
sceglie di rappres entare la celebre vittoria dei suoi compatrioti
sui Persiani (480 a.C.) non in prima persona per bocca dei vincitori , ma al contrario at traverso il dolore e il lut to dei vinti , che
costituis cono il coro e i personaggi della tragedi a . Per questo
messaggio universale questa tragedia è stata spesso ogget to di riprese e rivisita z ioni. E per motivi storici contingenti – le guerre
ricorrenti tra Oriente e Occidente – viene allestita con frequenza anche in spazi non antichi e neppure teatrali , ma altamente
simbolici: basti ricordare ad es empio l’allestimento del 2003 a
New York vic ino a Ground Zero, in memoria dell’11 set tembre.
O ancora nel maggio 2006 il primo allestimento dei Persi ani
nella storia della Turchia moderna, nella chiesa scons ac rata di
Sant’Irene a Istanbul , una coproduzione greco - turca diret ta dal
regista Theodoros Ter zopoulos: il coro di set te attori greci e sette turchi dà vita a uno spet tacolo di grande impatto emotivo, in
turco, greco antico e moderno53.
Il luogo stesso è fond amentale,ancora, in due allestimenti itali ani recenti : rispet tivamente un’ ex fabbrica di proiet tili ed
ex - centrale nucleare, alle porte di Genova , per i Persi ani alla
Fium ara del Teatro della Tosse (1998), e il Cimitero Militare
Germ anico del Passo della Futa (dove sono sepolti migli aia di
sold ati tedes chi , caduti sulla “Linea Gotica” degli Appennini )
per il progetto triennale del gruppo teatrale Archivio Zeta, inaugurato nel 2003 coi Persi ani e pros eguito con i Set te a Tebe54.
I Persi ani della Futa, come quelli di Ginevra, si caratteri zzano per un coro di at tori non professionisti , di semplici cit tadini e abitanti del luogo, reclutati e addestrati sul posto insieme
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agli attori . Ma in questo caso il coro della tragedia es chilea è interpretato da vecchi del luogo, che hanno vissuto sulla propri a
pelle i conflit ti della seconda guerra mondi ale e ne sono testimonianza vivente,insieme con i luoghi stessi : il cimitero, il passo e l’intera Linea Gotica .Qui il conf ine tra vinti e vincitori si annulla . Il senso profondo dell’intervento del coro, della sua partec ipa z ione intensa e dell’intero proget to, è sinteti z z ato nell’ epigrafe di Pavese che chiude i Persi ani della Futa : «Ogni guerra
è una guerra civile : ogni caduto somiglia a chi resta , e gliene
chiede ragione»55.
Chiunque si amo e comunque sia non possiamo chi amarci fuori , siamo tut ti coinvolti . Questo è,in ultima analisi , il mess aggio di fondo trasmesso agli spet tatori . E non solo nei Persi a ni ma in qu asi tut ti gli es empi visti fin qui . La guerra è, evidentemente, il filo conduttore che lega i due drammi di Eschilo scelti da Archivio Zeta , ma anche le Fenic ie e le Troi ane di Euripide,
sopra considerate rispet tivamente negli allestimenti di Vac is,
Salmon e Sinigagli a . Ed è la guerra vissuta dalla collet tività, oltre che dai singoli , in molti modi , luoghi e momenti storici diversi, eppure rappres entata sulla scena come una sola : la guerra tra itali ani e tedes chi, che da alleati si ritrovano da un giorno
all’ altro nemici; la guerra di Troia, che non ha vinc itori ma solo vittime ; la guerra dei Persi ani e tutte le successive – si ano esse “di conquista”,“di difes a”o “preventive”– tra Oriente e Occ idente; la guerra fratricida dei figli di Edipo, della ex Jugoslavia o
del Medio Oriente56. E ancora tut te le altre guerre ancora in atto e da venire. Finché ci sarà una guerra , purtroppo, ci sarà una
tragedia greca da rappres entare. E ci sarà un coro per cantarne
l’insensatezza,il lut to per i morti e il dolore dei soprav vissuti . Il
coro, in estrema sintesi, è portatore forte di questo mess aggio.
Per questo, oltre che per molti altri aspet ti , rim ane un aspet to
paradigm atico e fun z ionale, che conquista ancora oggi molti
fautori .
Non a caso, possiamo dire a questo punto, le tragedie so-
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pra citate sono spesso ogget to di allestimenti corali forti ed efficac i , da quelli citati a molti altri : il tema di fondo che le accomuna proviene da tutti ed è da tut ti condivisibile e dunque non
viene affidato a un singolo, ma a un gruppo di persone. E difatti si chiudono, rare eccezioni tra le tragedie sopravvissute,con un
canto corale che è prima di tutto lamento collet tivo, doloroso e
lugubre, ininterrotto e cres cente fino alla fine57.
L’ espressione collet tiva delle emozioni , in particolare del
dolore, è da sempre prerogativa del coro e condi z ione indispens abile per la sua ef f icacia: la citazione di Lanza e le considera z ioni ini z i ali si conferm ano alla luce degli es empi citati . Da
alcuni decenni si sono imposti in ambito interna z ionale diverse interpretazioni corali che hanno suscitato l’attenzione dei critici e il favore del pubblico. La scena teatrale itali ana è apparsa
per lungo tempo in forte ritardo rispet to all’estero, sotto questo aspet to, eppure si registra anche da noi negli ultimi anni una
sempre maggiore e dif fusa atten z ione per il coro, in particolare
dei drammi antichi.
In questa breve rass egna ci si amo limitati a pochi es empi ,
capaci a nostro avviso di evidenziare le tenden ze in atto, le differenti scelte registiche, il trat tamento del coro peculi are e personale.Questa pres enza forte e dominante appare in primo luogo riconduc ibile a costanti di ordine “interno” qu ali la motivazione, ambi z ione, abnega z ione e caparbietà di registi e drammaturghi : certo guidati da prec isi intenti artistic i , favoriti da
una congiuntura di for ze, e tut tavia sogget ti a fattori esterni di
tipo produt tivo e contingente.
In molti spet tacoli ritroviamo tut tavia almeno alcune costanti signif icative. La scelta del testo, innan z itut to, cui si aggiunge un secondo fat tore essenziale, la composi z ione della
compagnia. Gli stessi elementi ricorrenti sono talvolta rintracciabili in ordine inverso nel percorso del singolo o della compagnia: si dispone di un gruppo numeroso, magari di allievi, e
si cerca un testo ad atto da met tere in scena,per valorizzare il la-
voro comune.
Se solitamente l’addestramento di un coro richiede lunghe prove, come si è visto, la scelta di investire sul coro può ess ere fac ilitata dalla pres enza di una compagnia già dotata di
molta esperienza ed affiatamento o anche di un gruppo coeso e
solid ale, insieme da decenni, sul lavoro come nella vita . In anni
recenti ci pare di notare un infit tirsi di simili esperien ze e di intravedere una certa tendenza a “puntare sul coro” non come
s emplice componente interna allo spet tacolo, ma come filo conduttore di un percorso artistico – individu ale o collet tivo – che
comprende più spet tacoli e perf ino più genera z ioni: credi amo
di poterlo rintracciare in compagnie come l’ATIR e nella scelta
di vita trentennale di Teatridithalia o nella “Non scuola” di RavennaTeatro.
In molti es empi visti fin qui credi amo di riconoscere per
certi versi l’ eredità del coro antico. Abbi amo cercato di ricostruire le tracce del passato, individu arne la persistenza in tenden ze recenti , tentare di antic ipare il prossimo futuro. Tra questi tre momenti il coro si pone per diversi aspet ti come segno
forte di continuità, quasi eco di quell’interdipendenza di cui si è
det to, che è perno e cardine della democ razia ateniese e delle
sue istituzioni, d all’ass emblea ai concorsi dramm atic i .
Ancora oggi un’entità collet tiva sembra rius c ire talvolta ,
meglio di chiunque altro, ad innes care questo processo di identif icazione e coinvolgimento: con parole e azioni, canto, musiche
e coreograf ie, se bene orchestrate, si arriva in pochi fortunati
casi a quel coinvolgimento del pubblico che appare prez ioso, se
non indispens abile, per garantire la massima ef f icacia al mess aggio. Tutti gli allestimenti considerati hanno il loro punto di
forza nel coro e “investono” considerevoli ricerche ed energie
nella ricerca della coralità: il fulcro e il centro dello spet tacolo è
un’entità collet tiva che ci immerge in un’ esperienza paragonabile, anche se lontanamente, al dramma antico. Una sorta di rito collet tivo ci fa riscoprire una facoltà di aggrega z ione lontana
nel tempo e forse quasi perduta , che però a tratti sembra balenare: qu ando una moltitudine si fa carico di una forte emozione e la trasmet te agli spet tatori . Questo si traduce in scena di
volta in volta in modi diversi: in un muro sonoro, fatto di tante
voc i , in un mos aico o ara z zo di volti e corpi che occupa fisicamente la scena o l’orchestra, in una tessitura di suoni, parole e
azioni.Alcuni cori si concentrano sul puro suono, cantano o recitano tutti insieme, altri puntano sulla fisic ità e sull’intrecc io
dei corpi .
Singoli interpreti e coro, in sintesi, possono interagire vari amente, tra loro e col pubblico. Se c’è sintonia tra i partec ipanti , e tut to fun z iona come dovrebbe, l’ ef fet to non è artific ioso o costruito.Al contrario lo scambio rec iproco di emozioni, il
transfert collet tivo, avviene in modo istantaneo e istintivo. Lo
spet tatore può essere cat turato e coinvolto nel gioco dramm atico al punto da faticare a credere che tut to ciò non sia spontaneo, qu asi naturale.Eppure dietro l’apparente immedi atezza di
un gesto o di suono, come abbiamo cercato di mostrare, possono nascondersi dif f icoltà e sac rifici, un lungo addestramento
e un pa z iente lavoro collet tivo durato mesi o anni interi . Dedicarsi al coro può essere una scelta radicale, nella vita come sulla scena. Il prez zo da pagare può anche ess ere alto, in termini
um ani ed economici. Ma lo è altret tanto la posta in palio, come
sa bene chi lavora in teatro o lo frequenta , ed ha la fortuna di
partec ipare a uno spet tacolo autenticamente corale.Un coro efficace, che fun z iona davvero, può dare risultati straordinari in
termini di coinvolgimento. In una parola: può fare la differen z a.
23
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(Footnotes)
1. YEATS (1924, 265-67).
2. Cf. www. eelst. com.
3. Spot e prove sono visibili al link http: //www. honda. co. uk/civic/
selezionando “watch”dal menu, poi “watch the film”o “see the rehearsal”.
4. Cf. gli atti del congresso in «Dioniso» LV (1984-1985) e gli altri numeri della
stessa rivista, che raccolgono in apposite sezioni gli studi sui testi, gli allestimenti e
le riscritture di drammi antichi (indici sul sito http: //www. indafondazione.
org/dioniso).
5. Cf. la sintesi del simposio pubblicata sul sito (www. apgrd. ox. ac. uk/events/
postgradsymp3. htm), e le notizie sul coro in allestimenti contemporanei
disseminate nei volumi collettivi dell’Archivio: Agamemnon in Performance,
Dionysus since 69, Medea in performance e così via (elenco titoli e sommari sul sito
alla voce “Publications”http: //www. apgrd. ox. ac. uk/publications. htm).
6. Cf. da ultimo, per una sintesi e bibliografia aggiornata, GENTILI (2006). Per il
programma del seminario urbinate cf. http: //www. uniurb. it/FilClas/ProgrammaCORO. htm.
7. Cf. tra gli altri RIEMER-ZIMMERMANN (1998), GOLDER-SCULLY (1995-1996), SILK (1996).
8. Cf. anche i contributi precedenti dell’autore, tra cui la versione francese
dell’articolo in questione (in «Paideia» LX [2005]) e gli altri citati in CALAME (2006, 2223).
9. LANZA (2006, 223).
10. Fino al 1990 resta fondamentale FLASHAR (1991), ma dagli anni Ottanta si
sono moltiplicati gli interventi critici e le monografie: per una rassegna aggiornata
su Stein, Mnouchkine e altri allestimenti dell’Orestea cf. da ultimo il volume di BIERL
(2004, 50, 79-110 e passim) e la sua rassegna sul coro dell’Agamennone in
MACINTOSH-MICHELAKIS-HALL-TAPLIN (2005, 291ss). Sulle Troiane di Salmon cf. infra e
l’analisi dettagliata di Floriana Gavazzi in CASCETTA (1991, 149-99).
11. Il coro greco, prima comico e poi tragico, è da anni al centro delle mie
ricerche e del mio lavoro in teatro: cf. TREU (1999) e (2005a, 293-300) ripreso in TREU
(2005b, 75-100) e (2007b).
12. Per gli allestimenti di Agamennone sulla scena internazionale si veda il
contributo di Bierl, specifico sul coro, ma anche gli altri della stessa sezione, in
MACINTOSH-MICHELAKIS-HALL-TAPLIN (2005, 291ss).
13. Si ricorda che la presenza di un coro accomuna diversi generi teatrali antichi
– tragedia, commedia e dramma satiresco – ad altre forme di espressione legate a
celebrazioni rituali, come la lirica corale e il ditirambo. Sulle origini del genere in
rapporto al ditirambo e alla lirica corale cf. GENTILI (2006, 1-36)
14. Su questo aspetto, nonché sulla natura, personalità e autorità del coro cf. i
contributi di Silk in RIEMER-ZIMMERMANN (1998, 1-26 e 195-226), e quelli di Goldhill e
Gould in SILK (1996, 217-43 e 244-56).
15. Cf. GENTILI (2006, 42-49)
16. Si vedano rispettivamente per l’età moderna, l’Ottocento e il Novecento i tre
saggi di Brunkhorst, Silk, Baur in RIEMER-ZIMMERMANN (1998, 171-246).
17. Sul trattamento del coro in Schiller e Brecht, ciascuno visto nel contesto
storico del secolo, cf. rispettivamente i contributi di Silk e di Baur in RIEMERZIMMERMANN (1998, 206-12 e 227ss.)
18. Per la citazione completa di Eliot e i giudizi sul coro cf.TREU (2005b, 118s) e
Del Corno in DE FINIS (1989, 79-88) per le soluzioni adottate da alcuni registi e
drammaturghi rispetto al problema del coro di Eumenidi.
19. Cf. l’intervento di Del Corno in CASCETTA (1991, 60-61).
20. Cf. la conversazione del regista con Emanuele Giliberti in occasione della
sua Medea siracusana (2004) sul sito dell’INDA (www. indafondazione. org).
20. Chiude la voce “coro”uno spassoso “fuori programma”di cui Camilleri è
25
testimone durante una rappresentazione tragica proprio al Teatro Greco di
Siracusa: cf. CAMILLERI (2001, 32s.).
21. Per informazioni e registrazioni live dei tre spettacoli Agamemnon (2003), The
Libation Bearers (2004), The Furies (2006), cf. rispettivamente http: //music. cua.
edu/agamemnon, http: //music. cua. edu/libationbearers, e http: //music. cua.
edu/furies/. Sul trattamento del coro nella prima opera, Agamemon, cf. la sintesi di
Helene Foley in MACINTOSH-MICHELAKIS-HALL-TAPLIN (2005, 326s.).
22. Per la storia del progetto e la descrizione dettagliata dei due spettacoli cf.
TREU (2005b, 151-98)
23. Per la questione del presunto “lieto fine”eschileo e della metamorfosi delle
Erinni in Eumenidi, cruccio di molti registi, cf. tra gli altri BIERL (2004, 28-29, 89-90 e
passim) e TREU (2005b, 118s).
24. Si vedano i due canti, corrispondenti rispettivamente a Aesch.Eum 306-96 e
778-846, nella traduzione di PASOLINI (19852, 141-44 e 160-64).
25. Per l’elenco aggiornato delle attività del regista e della compositrice si
vedano rispettivamente i siti www. elfo. org e www. giovannamarini. it.
26. Per il Festival Orestiadi e le altre attività della Fondazione si veda il sito www.
fondazione. orestiadi. it.
27. Il progetto “Trilogia-Orestea”, è ideato da Gianfranco Capitta, direttore di
Fondazione Orestiadi, e da Massimo Castri, Direttore della Biennale Venezia, ed è
co-prodotto da: Fondazione Orestiadi di Gibellina, Biennale di Venezia, Teatro
Stabile delle Marche, CTB-Centro Teatrale Bresciano, Mercadante Teatro Stabile di
Napoli, Teatro di Roma. Dopo Venezia, tra settembre e ottobre 2004, gli spettacoli
sono in scena a Gibellina, a Roma e nelle Marche, e negli anni seguenti a Brescia e
in altre città italiane.
28. Per la versione pasoliniana del canto «da oggi nel mondo la Giustizia è
finita», corrispondente a Aesch. Eum. 490-565, cf. PASOLINI (19852, 149-51). Per il loro
lavoro nel 2005 Pirrotta e Ciammarughi sono stati premiati dall’Associazione
Nazionale Critici. Sullo spettacolo di Pirrotta, in tournée ancora nel 2007 in molti
teatri italiani, cf. TREU (2005b, 198-204).
30. Per un’analisi più approfondita dello spettacolo e del contesto di riferimento
cf. TREU (2005b, 103-32).
31. Orestea (una commedia organica?), regia di Romeo Castellucci, 1995: cf. BIERL
(2004, 127-49).
32. Cf. GALLINA (2005) e BENTOGLIO (2003, 145-87) per gli aspetti produttivi e
finanziari, con cifre, leggi specifiche sul finanziamento al teatro e bibliografia.
33. Per gli interventi recenti su teatri e anfiteatri romani in Europa,e relativa
bibliografia, cf. RUGGIERI TRICOLI (2006).
34. Cf. per questo caso BARONE (2006) e, per una prospettiva più ampia, il già
citato saggio di Del Corno in CASCETTA (1991, 57-64)
35. Sullo spettacolo inaugurale si veda TREU (2005b, 45-66).
36. Si veda TREU (2005b, 253-76).
37. Cf. per prima l’analisi puntuale di Gavazzi in CASCETTA (1991, 221-45) e da
ultimo Salvatore Nicosia, intervistato dall’INDA (http: //www. indafondazione.
org/stagione/2007/trachinie/appr_nicosia-trachinie. php) come traduttore delle
Trachinie siracusane (2007).
38. Attualmente i membri del coro vengono selezionati per concorso, dalla
Fondazione INDA, ad inizio anno: cf. http: //www. indafondazione.
org/informa/news. php?ID=192&PB=1&PageSel=1&PageRec=25.
39. Per i due spettacoli di Vacis, Sette a Tebe (1992) e Fenicie (1997), cf.
rispettivamente ALBINI (1993) e TREU (2005b, 205-28).
40. Cf. per questi due spettacoli http: //www. piccoloteatro. org/spettacolo_sch.
php?stepdx=Sxpet&AcRec=581 e www. atirteatro. it/pagine/spettacoli. html per gli
altri spettacoli dell’ATIR.
26
41. Per le parti corali e l’esodo di questa commedia cf. PERUSINO (1987, 64-75, 8789) e TREU (1999, 42, 52, 163).
42. Cf. http: //www. teatrodiroma. net/schedaSpettacolo.
asp?idSpettacolo=13&nomeTeatro=india&anno=2005-2006 per il primo
spettacolo e http: //www. taormina-arte. com/2007/scheda. asp?ID=19 per il
secondo.
43. Cf. http: //www. jolefilm. com/files/index. cfm?id_rst=33&id_elm=271.
44. Cf. il sito www. teatrodellealbe. com e MARTINELLI (2006, 7-16), per la storia
delle Albe, la Non-Scuola e la collaborazione con artisti africani. Si veda anche
l’esperienza condotta per due anni e mezzo da un altro regista, Marco Baliani, con
un coro di ragazzi di Nairobi, che ha portato alla drammaturgia e all’allestimento
dello spettacolo Pinocchio nero: cf. BALIANI (2005).
45. Su questo e i precedenti spettacoli delle Albe, tra cui All’inferno! Affresco da
Aristofane, cf. i contributi di TREU (2005a; 2005b, 96-97; 2007b). Per il progetto
Arrevuoto cf. il sito delle Albe sopra citato e il link http: //www. teatrostabilenapoli.
it/stagione/calendario/spettacoli/progetti/laboratori.
46. Cf. CASCETTA (1991, 82-86)
47. Si legga ad esempio la divertita descrizione del regista Giuseppe Di Martino,
testimone nel 1954 delle scaramucce tra i cittadini “partigiani”di Antigone e i
sostenitori del Prometeo, in scena a Siracusa: cf. DI MARTINO (1993, 169-81).
48. Cf. il sito dell’INDA, rispettivamente alle sezioni “INDA informa”e “INDA i
giovani”.
49. La stagione si chiude in bellezza con il successo dell’ultimo spettacolo,
intitolato significativamente Filottete, o la menzogna in politica (di Müller e da
Sofocle) e prolungato a grande richiesta fino al 3 giugno 2007 (www. grutli. ch).
50. Per il resoconto sintetico dello spettacolo cf. BIERL (2004, 167ss.).
51. Si vedano rispettivamente i siti www. grutli. ch/lesperses (in francese) e
www. theatercombinat. com (in tedesco) Nel primo alla voce “Gru500” si accede a
un ricco dossier che ripercorre la cronistoria dei due spettacoli, e comprende tra
l’altro documenti sul convegno Debat LogoS (settembre 2006), la partitura
completa del coro in francese, interviste alla regista e ai coreuti, indici dei nomi,
mappe e cronologie, fotografie della conferenza stampa, delle prove e dello
spettacolo a Ginevra. Il secondo sito riporta parte degli stessi materiali, in aggiunta
a quelli dello spettacolo di Vienna. I Persiani è la prima tappa di un progetto che
affronterà nel 2007 e nel 2008 il Coriolano di Shakespeare e la Fedra di Racine.
52. Non ci sono inserti moderni né riferimenti diretti alla contemporaneità,
anche se Claudia Bosse in conferenza stampa cita Bambiland dell’autrice austriaca
Elfriede Jelinek, premio Nobel per la letteratura nel 2004 (JELINEK 2005) Questa
strana opera, sorta di flusso di coscienza ispirato alla guerra in Iraq, rende omaggio
in apertura ai Persiani (p. 3) e ingloba nel testo qua e là parafrasi o citazioni quasi
letterali ma frammentarie, ad esempio (p. 29) il motivo della sposa che bagna di
lacrime il letto vuoto (Persiani, vv. 134-37) e l’apostrofe ai consiglieri Persiani (p. 49).
Più spesso si tratta di echi e rimandi indiretti, parole-chiave di sapore eschileo
come «giogo» (pp. 9-11) o «dismisura della ricchezza» (p. 40).
53. La gestazione dello spettacolo e i due mesi di prove, tra Atene e Istanbul,
sono documentati da un intenso film che è un contributo simbolico di grande
rilevanza al sempre difficile dialogo tra due Stati tuttora in guerra: cf.
rispettivamente www. greekfestival. gr e http: //www. iksv.
org/tiyatro/english/program. asp?EID=2 sullo spettacolo, http: //www. filmfestival.
gr/docfestival/2007/index. php?page=filmdetails&ln=en&box=greek&id=711 sul
documentario.
54. Per l’analisi dei due spettacoli cf. TREU (2005b, 133-50). Per le attività teatrali
delle due compagnie si vedano rispettivamente www. teatrodellatosse. it e www.
archiviozeta. org.
55. Cf. PAVESE (1990, 122).
56. Si veda, tra gli altri, l’allestimento dei Sette a Tebe ripreso nel film Teatro di
guerra di Mario Martone (1998), e da ultimo il “balletto civile”di Michela Lucenti
che rilegge i Sette alla luce del conflitto palestinese, presentato nel 2006 a Ortigia e
in tournée nel 2006/2007 (http: //cssudine. it/produzioni_scheda. php/ID=92).
57. Si vedano a riguardo le osservazioni di Vincenzo Di Benedetto, supportate
da analisi puntuali dei testi, in CASCETTA (1991, 13ss.).
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